APPROFONDIMENTO
pordenonelegge
Libertá di Parola 3/2015 ——
N°
Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire)
L'orto urbano nel cuore della città Da un'idea del Ballo della Scrivania, gruppo di cittadini di Marco Ciot Nel 2010 nacque a Pordenone, in via Brusafiera, uno spazio inedito, denominato PArCo2. Un edificio che un tempo ospitava una scuola fu trasformato in un luogo dove i pordenonesi potevano incontrarsi partecipando ad innumerevoli e coinvolgenti eventi culturali. PArCo2 significava anche molto altro: permette-
va alle persone di incontrarsi in luogo della memoria. Sui muri erano state lasciate visibili le stratificazioni del tempo. Fra i quadri e i filmati era possibile rivivere ricordi ed emozioni. Soprattutto era possibile condividerli. Dopo solo quattro anni, decisioni politiche imposero a questo spazio un funesto oblio: la trasformazione
Dal 16 al 20 settembre il capoluogo si tinge di giallo, il colore della manifestazione, e aprirà le porte ad autori, editori e pubblico del festival letterario più atteso del dopo estate in Italia. Ritorna Pordenonelegge, con i suoi oltre 300 autori ospiti. Cultura, ma anche turismo: una grande macchina organizzativa che porta sul territorio ricadute economiche ed occupazionali importanti. Ecco il viaggio nel dietro le quinte della manifestazione. a pagina 9
in uffici. La città stava perdendo un luogo ormai familiare. Alcuni cittadini coscienti della perdita, iniziarono perciò a discutere sulle diverse alternative. Si venne così a formare autonomamente il gruppo de “Il Ballo della Scrivania”. Dal confronto fra persone nacquero molte idee, progetti e proposte. Uno di questi prese vita e divenne realtà: si tratta di “Oltre il Giardino”, laboratorio di Permacultura Urbana. Luogo dove si creano relazioni reciproche fra persone per mezzo del divertimento, dal latino "divertere", uscire da sé stessi per incontrare il volto dell'altro. Il progetto oggi ha dato vita ad un orto urbano a due passi dal cuore della città, un’esperienza unica nel suo genere che non si è ancora conclusa.
CODICE A S-BARRE
Quando per i detenuti si aprono le porte del carcere a pagina 4
INVIATI NEL MONDO
Magica Budapest, tra archittetura e luoghi di incontro per giovani a pagina 13
PANKAROCK
Vasco Rossi, anche noi al cospetto del Komandante. Il viaggio a pagina 14
NON SOLO SPORT
Per la Carlito's cup record di presenze e di beneficenza a pagina 16
CELOX
L'Europa secondo me dopo il caso Grecia. Urge una vera unione a pagina 18
IL TEMA
Molto di più di un semplice orto
i ritmi lenti e la pazienza, virtù sempre più rara al giorno d’oggi. Permacultura significa dinamismo, adattamento, e soprattutto che il problema è la soluzione. Un altro interessante principio è che tutto fa parte di un ecosistema, ognuno contribuisce con la sua specificità e unicità. Nell’orto coltivato secondo la Permacultura, “se non ti diverti c’è qualcosa che non va” (Davide). Cos’è tutto questo se non la rappresentazione di quello che dovrebbe essere la nostra società? Ognuno di noi ha un ruolo (convenzionale o
no), ed ognuno porta il suo contributo indispensabile al funzionamento dell’organismo sociale. Ma il fatto che funzioni non significa che segua una direzione auspicabile. Si può sempre fare meglio. La Permacultura ci propone una strada sostenibile da percorrere. Lo scopo di questo progetto, come molti altri simili sparsi per il mondo, è quello di creare luoghi dagli spazi trascurati della città. Luoghi dove persone che probabilmente non si sarebbero mai parlate si ritrovano a commentare la vitale serenità di questo singolare orto, a condividere esperienze, storie tristi e belle. È bastato passarci davanti qualche minuto per cogliere l’azione magnetica della terra: bambini, anziani, animali trovano finalmente un luogo di svago e di comunità. Tutto questo stando seduti su dei tronchi, sotto l’ombra degli alberi e degli edifici che circondano l’area “Le Tombe” fra via Bertossi e via Brusafiera. Qui la tranquillità è inoltre assicurata dal costante scrosciare della fonte d’acqua che scorre vicinissima all’orto. Questo è un luogo dove si può imparare molto sulla natura, sull’ecologia, sull’amicizia e sull’umanità. Perché siamo tutti connessi e siamo immersi nel contesto naturale che dovremmo proteggere, rispettare ed alimentare in senso globale, ma ce ne siamo dimenticati. L’orto nasce nel novembre 2014, dopo un percorso di studio e sensibilizzazione, dall’incon-
ra andati perduti nel “walzer dei palazzi”, che ha portato PArCo2 allo stato di meri uffici. Non ci sono regole, non ci sono vincoli. Chiunque abbia il positivo desiderio di partecipare è caldamente invitato a farlo, perché questo piccolo angolo verde sia solo il primo di una lunga serie di luoghi ritrovati dai cittadini. La riap-
propriazione degli spazi urbani da parte degli abitanti è fondamentale. Aree comuni lasciate a sé stesse inizieranno a respirare nuova aria di un futuro condiviso più sostenibile per tutti. La stabilità di questi luoghi di sussidiarietà, socializzazione e coinvolgimento sarà assicurata dall’amore ritrovato dei cittadini
Nato nel 2014, è il primo esempio a Pordenone di Permacultura. Laddove prima c'era ParCo2 di Maeco Ciot
Può un giardino rappresentare una metafora sociale? Nel caso di “Oltre il Giardino” si tratta proprio di questo: è un piccolo orto nel pieno centro di Pordenone, in via Busafiera alle spalle di piazzetta Cavour. Per chi vi si avvicina per la prima volta, può trasmettere una gran confusione: tante aiuole semicircolari e rettangolari piene di piante diverse: aromatiche, fiori ed erbe che normalmente vengono definite “cattive”, da estirpate. Tutto questo potrebbe apparire senza ordine e privo di logica. Infatti non si tratta di
un orto convenzionale, ma segue il metodo della Permacultura: significa creare, attraverso cicli di progettazione, dei sistemi stabili, resilienti e sostenibili. Non ci sono regole o leggi. Tutto si basa sull’osservazione e sui feedback, che produrranno soluzioni creative agli eventuali problemi in un contesto continuamente mutevole. Secondo questa teoria tutto va conservato, tutto è in relazione, tutto ha un suo senso e un suo ruolo. La cura delle persone e la cura della terra vanno di pari passo e si accompagnano per ritrovare
Riappropriarsi del territorio È l'obiettivo del Ballo della Scrivania, promotore di Oltre il Giardino in Permacultura di Marco Ciot Ho conosciuto quelli de “Il Ballo della Scrivania” a fine luglio. Avevo una vaga idea di quello che avrei visto e di chi avrei incontrato. Queste confuse aspettative si sono trasformate in fantastiche e concrete rivelazioni. Quello che mi si è svelato è un gruppo di persone affascinanti e concretamente interessate a
creare ma soprattutto a fare qualcosa di positivo per Pordenone. Rappresentano la miccia, la scintilla del processo partecipativo. Attorno a loro, fuori e dentro “Oltre il Giardino in Permacultura”, si muovono singoli, associazioni formali e non, (99mq, Ubik art) che lavorano insieme per ricreare quegli spazi di cultu-
Sussidiarietà tra pubblico e privato L'assessore Moro: «Il progetto è precursore di quelle che saranno le città del futuro» di Flavio Moro, assessore al Patrimonio del Comune di Pordenone tro di persone che volevano fare qualcosa di concreto per la città. Ho conosciuto Flavia, Davide e Antonio. La passione che provano per questa avventura è pari solo alla sua potenza politica e sociale. Soprattutto in una piccola realtà. È stato fantastico per me, tornato a casa dopo quasi tre anni vissuti a Torino, trovare un volantino che parlava di un orto urbano a Pordenone! Questo orto ha una storia particolare: nasce su un’area resa disponibile dal Comune in seguito alla raccolta di 1200 firme per contrastare la trasformazione degli spazi culturali di ParCo2 in uffici. Questo progetto è stato modificato ricavando uno spazio autonomo adiacente all’orto, direttamente accessibile dal giardino. Il risultato finale ottenuto è a mio avviso ancora più potente: quegli spazi culturali non esistono più nella loro forma originale, ma ne è nato un luogo concreto di
vita in una zona altrimenti nota per essere frequentata da “malerbe sociali”, con la speranza che questo nuovo corso delle cose possa aiutare e stimolare positivamente chi ne ha bisogno. “Oltre il Giardino” è uno spazio dove persone e piante riscoprono la resilienza perduta negli anni caotici dell’industrializzazione e ancora di più negli ultimi anni di crisi, che non è solo economica, ma prima di tutto politica e sociale. Il futuro dell’orto è nelle mani della città. Più concretamente nelle mani e nel sudore di quelli che ci hanno creduto e di ognuno che in futuro vorrà frequentarlo. È possibile che da un piccolo orto nasca nuova consapevolezza; Che un orto sia una atto politico? Certo che è possibile e “Oltre il Giardino” è un grande esempio di “una vita che nasce in un contesto cementificato che nega la vita” (Bussolati). Il problema è la soluzione.
per i medesimi, rendendoli quasi una estensione della propria abitazione da condividere con il prossimo. Non è una lotta contro qualcuno o qualcosa, ma un flusso creativo dove il problema (la necessità di una condivisione e di una partecipazione) è la soluzione, secondo uno dei principi delle Permacultura. Questo è quello che sta succedendo con l’esperienza di “Oltre il Giardino”, laboratorio urbano di Permacultura. Luogo vivo ricavato negli spazi verdi di via Brusafiera. Istruzione ambientale, musica, proiezioni, tornei, eventi e soprattutto amicizia sono alla portata di tutti coloro che siano interessati al presente e al futuro di Pordenone. Questo luogo rappresenta quello spazio urbano passato da “sfascio in virtù”. Un luogo dove si formano reti fra cittadini, connessioni, spunti e nuove idee
in un contesto indipendente. Un luogo dove tutti si possono incontrare per discutere senza filtri, della città, di quello che va bene e delle cose che non funzionano. Confronto è una delle parole d’ordine, insieme a biodiversità: vegetale ma soprattutto umana. Solo nel confronto aperto e schietto fra chi condivide lo spazio si possono trovare nuove possibili vie da percorrere. Azioni come queste sono oggi di più facile attuazione attraverso l’art. 23 D.L. 185/2008, convertito in Legge n.2/2009. È infatti possibile per i cittadini proporre “microprogetti di arredo urbano o d’interesse locale operati dalla società civile nello spirito della sussidiarietà”, mediante la formulazione di Proposte Operative di Pronta Realizzabilità, come quella che ha dato vita ad Oltre il Giardino. Questi strumenti esistono. Utilizziamoli.
Quello che “Oltre il Giardino” sta realizzando presso lo spazio pubblico di via Bertossi è un progetto di partecipazione alquanto innovativo, non sempre semplice da comprendere e condividere. Nell’accogliere le proposte di “Oltre il Giardino” l’Amministrazione comunale ha inteso iniziare un nuovo rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione che li vede posti alle stesso livello in termini di azione e proposta. Il cittadino propone o raccoglie le proposte di collaborazione e la pubblica amministrazione crea gli strumenti ed agevola il percorso a che il progetto di collaborazione abbia a realizzarsi con l’obiettivo di tutelare e curare un bene comune. Da una iniziale diffidenza, dovuta anche alle modalità innovative con cui il gruppo di “Oltre il Giardino” si è rapportato con l’amministrazione si è passati ad un continuo confronto volto a sviluppare il progetto di Permacultura in città. Le città necessitano sempre più di nuove energie, energie che non consumino il territorio e che siano di ridotto o assente impatto ambientale, energie che anche in termini di costi per le pubbliche amministrazioni siano poco o nulla impattanti. Il progetto di “Oltre il Giardino”, da questo punto di vista, ne è un innovativo precursore che ci auguriamo possa avere seguito in altri luoghi della città. Se dovessi-
mo valutare i pro e i contro rispetto al progetto, credo non vi siano dubbi: i pro sono tali e tanti da rendere impercettibili i contro. Da qui è partita anche l’iniziativa di redigere, con un processo partecipato, il regolamento per la cura e tutela dei Beni Comuni che prossimamente passerà in Consiglio comunale. Regolamento che dovrà dare piena attuazione a quel principio della sussidiarietà orizzontale che, pur previsto dall’art.118 della nostra Costituzione già dal 2001 con la modifica del titolo V, è rimasto per troppi anni poco o per nulla attuato. Già oggi vi sono anche altre forme di collaborazione basate sul principio della sussidiarietà tra pubblica amministrazione e cittadini, basti pensare alle decine di genitori che in questi ultimi anni hanno svolto lavori presso le scuole frequentati dai propri figli. Inoltre, per il solo fatto di aver reso pubblica l’intenzione di redigere ed approvare il regolamento, parecchi cittadini, sia in forma associata che singola, si sono proposti o hanno presentato proposte di collaborazione basate sui principi della sussidiarietà. Nel prossimo futuro sarà sempre più necessario ridurre il ricorso alla spesa pubblica per alcune attività della pubblica amministrazione ed affidarsi alla collaborazione stretta e paritaria tra cittadini e pubbliche amministrazioni.
Prosegue il lavoro della redazione del nostro giornale nata all'interno della Casa circondariale di Pordenone. “Codice a s-barre” è uno spazio interamente gestito dai suoi detenuti.
Il trasferimento del mio compagno di cella «Trovare un equilibrio nella convivenza forzata tra detenuti è una fortuna. E ad ogni cambio si ricomincia d’accapo» di Massimo Ecco ci risiamo. L’assistente entra in cella come tutte le mattine per fare la battitura, saluta e poi dice «Preparati le tue cose che oggi sarai trasferito». Da quel momento hai pochi minuti per riordinare le tue cose, salutare gli altri, amici e non, e buttarti alle spalle quella che fino a quel momento consideravi la “tua” cella. Molti lo vivono come uno shock, una violenza, soprattutto se era da molto tempo che stavi
li, se la tua famiglia è vicina al carcere. In un attimo ti trovi catapultato in una nuova realtà di cui non conosci nulla, infatti, fino al momento della partenza non sai nemmeno dove sarai diretto. E’ difficile spiegare il perché - la natura umana infatti è strana - quando passi molto tempo in un posto, a stretto contatto con delle persone, si crea un legame e quando questo s’interrompe un po’ di sconforto
lo leggi negli sguardi di chi parte. Alcuni se lo aspettano, ma sperano di non partire, altri non se lo aspettano proprio. Oggi è partito un mio compagno di cella, ci conosciamo da un anno, ma condividevamo la stessa cella da circa sette mesi. Purtroppo, dato il sovraffollamento del carcere, un po’ mi aspettavo che se ne andasse, e credo anche lui. Però la notizia ci ha colti di sorpresa lo stesso. A lui è
Come pacchi postali Secondo trasferimento di carcere in pochi mesi per Paolo. Cronaca di una giornata senza destinazione nota di Paolo Alle 9 sento qualcuno gridare il mio nome dal corridoio del raggio dove mi trovo. Mi precipito fuori dalla cella e, in fondo al cancello, vedo un assistente che mi sta attendendo con un biglietto in mano. Mi dice di preparare tutta la mia roba per poi depositarla in magazzino: l’indomani sarò trasferito. Non riesco a credere che stia succedendo ancora, due trasferimenti in pochi mesi. In un istante mille cose mi passano per la mente: il perché, dove andrò a finire, la famiglia, ricominciare tutto da capo con persone che non conosco. Ma purtroppo c’è ben poco da fare, noi detenuti siamo come pacchi
postali, veniamo spediti senza sapere la destinazione. Rientro in camera deluso e demoralizzato per ciò che sta succedendo, vengo attorniato dai miei compagni di cella, anche loro dispiaciuti, e cerchiamo di capire i motivi di questo trasferimento. Ho faticato non poco per riuscire ad organizzare una cella come quella in cui mi trovo: quattro non fumatori tutti over quaranta, quattro persone con cui ci si capisce con poche parole, il modo migliore per poter affrontare una detenzione serena. Preparati tutti i miei indumenti, libri, carte processuali riempio due sacchi e vado al magazzino, dove
cominciano a concretizzarsi i primi problemi di un trasferimento. Un detenuto tradotto non può viaggiare con più di 8 chilogrammi di peso e i miei sacchi li superano. Mi vengono consegnati due zaini dove dovrei infilare tutta la mia roba, tutto il resto deve rimanere fuori; cominciano così le prime discussioni ma alla fine riesco a raggiungere un compromesso per portare via le mie cose. Tornato in cella mi getto sulla branda esausto e la mente comincia ad immaginare il domani. Dove sto per andare? Con chi e perché? Ricominciare tutto dall’inizio. Spero soltanto di andare a finire in un carce-
arrivata come un destro ben piazzato in mezzo al naso; a me dispiaceva per lui e per il fatto di perdere un compagno con cui mi trovavo bene, che definirei quasi un amico. Qui in carcere, infatti, è difficile trovare persone con cui condividere qualcosa di più dei problemi giudiziari, detenuti con cui creare un rapporto umano. Con il mio compagno non si parlava quasi mai di avvocati o udienze, ma di re dove le celle sono da due posti o ancor meglio singole. Ho il terrore di finire in quelle stanze con sette, otto persone di culture diverse in cui ognuno la pensa a modo suo, dove nessuno ha rispetto per nessuno e dove per un nulla si accende una discussione, dove non c’è rispetto per chi non fuma o per quelli che vorrebbero dormire quando altri vogliono giocare a carte. Per non parlare della tv, delle pulizie o di chi mangia per conto suo, dove insomma non esistono regole e dove alla fine credi di poter perdere la dignità. Alle 18 io e miei compagni di cella ci troviamo tutti seduti intono al tavolo a sorseggiare l’ultimo caffè insieme e a raccomandarci l’un l’altro. Ci stringiamo in un forte abbraccio e vado via. Giù trovo la scorta con i miei zaini, vengo ammanettato e salgo sul furgone, una volta partito chiedo a uno degli agenti dove sono stato assegnato e li si concretizzano alcune mie preoccupazioni: Pordenone, un carcere che mi calza stretto.
famiglia, dei nostri affetti, di cosa avremmo fatto “domani” (inteso come la data di uscita che per molti è un’incognita). Quando, con enormi sforzi, riesci a far sì che una cella, se pur assortita e variopinta, funzioni bene grazie al rispetto reciproco e alla pulizia, cose banali cioè ma che qui dentro a volte rappresentano dei veri problemi, dispiace perdere dei compagni. Nel giro di un mese mi sono ritrovato in cella solo con cinque estranei e dover ristabilire delle regole e trovare nuovi equilibri non è sempre facile. Spesso è proprio la convivenza forzata l’aspetto più duro da sopportare in carcere. In una Casa circondariale però devi presto abituarti a questa situazione, perché i trasferimenti sono una routine; in questi luoghi, infatti, si è in transito e una volta fatto il processo di primo grado si viene trasferiti in un altro penitenziario. Ripensando al mio compagno di cella posso solo dire che spero di avere presto sue notizie e di sapere che si trova bene nel carcere dov’è ora.
IN MEMORIA DI STEFANO Lettere della redazione di Codice a s-barre A distanza di qualche giorno ci chiediediamo se è stato proprio Dio a portarselo via. Se, così, come l’ha fatto venire al mondo lo ha chiamato al suo cospetto con molti anni d’anticipo, come se avesse qualcosa di molto importante da dirgli, senza poter aspettare un giorno in più. Forse però tutto questo non c’entra niente, forse l’unica cosa vera è che Stefano se n’è andato per sempre. Non riusciamo però ad accettare che questo fosse il suo vero destino, troppo crudele. Ci piace invece credere che ora Stefano si trovi serenamente in qualche posto per noi ancora sconosciuto, ma molto migliore e che tutto ciò duri per l’eternità. La perdita di una vita lascia un vuoto, una lacuna che non si può colmare. E’ come un’opera incompleta, dove la composizione dell’artista emerge, ma non nella sua interezza. Anche se tutto si può comprendere e riferire alla natura caduca delle cose, un respiro angoscioso ti travolge ed il vuoto si riempie di tristezza. Si fatica a trattenere le lacrime e a contenere le emozioni in quel guscio dell’animo umano. Ma l’uomo, opera straordinaria, eccellente della natura, ha la capacità di vivere quest’esperienza facendosene carico, come con qualsiasi altro sentimento, e viverlo per ciò che è, dandogli un ruolo dentro di sé. Come nella chimica degli elementi, ognuno assorbe gli atomi o le molecole che servono, così ognuno assume o perde qualcosa da questa reazione evento, poi sta all’elemento umano darne la valenza. Ciao Stefano da tutti noi
L’occasione inattesa di un’uscita premio «Le operatrici dei Rdp hanno saputo alleggerire l’ansia di quel ritorno alla realtà» di Alessandro «L’abbiamo proposta per un permesso premio». Questo l’invito che mi ha fatto l’educatrice alcuni giorni fa; un invito giuntomi improvviso ed inaspettato che, quindi, mi ha colto impreparato. L’opportunità di poter usufruire di questo momento di libertà ha innescato in me un insieme di emozioni che, dopo due anni di reclusione, il tempo sembrava aver fatto evaporare. I giorni antecedenti all’evento, pertanto, sono stati costellati da nervosismo e da un’altrettanta giustificata ansietà. Ma, poiché il tempo scorre in
maniera inesorabile, il giorno tanto atteso dell’uscita premio è arrivato senza dover far calcoli matematici di conto alla rovescia. Al portone d’ingresso della Casa circondariale, quel giorno, ad attendermi c’erano due operatrici dell’associazione “I Ragazzi della Panchina” che gestiscono il progetto “Codice a s-barre” al quale anche io partecipo. Era facile supporre che, dopo tanti mesi di esilio forzato, la magia di poter riabbracciare degli spazi aperti potesse darmi della sensazioni di novità spettacolari; con mio grande
stupore, però, tutto quello che, potenzialmente, sarebbe dovuto succedere, come ansia e paura, in realtà non è successo. L’apprensione che mi aveva attanagliato nei giorni precedenti, infatti, scomparve come d’incanto alla vista della dimenticata realtà esterna. Ero piuttosto tranquillo e rilassato di vivere questo momento. Il permesso era finalizzato a partecipare all’incontro di presentazione del video “Tutto quello che abbiamo Dentro”, un cortometraggio realizzato nel percorso di “Codice a s-barre”. In esso si racconta di tre persone che le vicissitudini della vita hanno reso sicuramente meno fortunate di me, rispetto a quanto io stavo attraversando. Nella biblioteca, luogo dell’incontro, erano presenti diverse persone, tra le quali anche delle personalità della città stessa, visi più o meno conosciuti, la cui vista, però, non ha alterato la mia tranquillità iniziale. Come è ovvio tutto inizia e tutto finisce e così anche le ore di permesso concessemi sono giunte al termine e alle 21 sono rientra-
to in carcere, non ricevendone però, come era capitato in precedenza, forti emozioni negative. Riflettendo, in seguito, sullo stato d’animo che ho avuto durante il permesso, penso che la mia tranquillità sia stata determinata dalla presenza delle due operatrici che già conoscevo e che sono riuscite, scherzando e parlando con me e gli altri ragazzi in permesso, ad alleggerire la tensione nervosa e a farmi sentire più sicuro, cosa che forse non avrei provato se mi avessero accompagnato degli sconosciuti.
126 ORE NELLA SEDE DEI RAGAZZI DELLA PANCHINA piacere, poi, la fiducia che il dott. Alessandro Zamai ha investito nei miei confronti
coinvolgendomi nella strutturazione di un nuovo gruppo terapeutico-educativo da tenere in sede, attraverso il quale aiutare, per quel che è possibile, persone con le più svariate difficoltà. Essere coinvolto in questo piccolo, ma importante progetto, mi ha fatto capire che valgo ancora qualcosa e che posso dare il mio contributo anche per la mia più che trentennale esperienza con le sostanze e con tutto quello che comprende la vita di un “tossico”. Questi lavori socialmente utili sono stati tradotti
vengono sti mangia lische. Comunque sia, mi stiracchio comodamente e scendo dal lettone, non vorrei mai scendere perché qua sdraiati con mamma e papà si sta benone. Il papi mi abbraccia come un peluche, anche se la verità è che sono io che vengo abbracciata da un’animale (sempre l’idiota di prima) che russa di notte come un facocero della Savana. E sapeste che allegria avere una mietitrebbia all’orecchio, mentre cerchi di addormentarti! Dai, sù, via verso la ciotola dell’acqua, qual-
che sorso benfatto, magari mangio anche qualcosina. Ecco fatto, sono pronto: salgo in auto e pronti, partenza, viaaaa! All’aperto, si starebbe divinamente se l’idiota con la sua automobile non ci litigasse, producendo una nuvola nera di smog puzzolente, che il mio real tartufo è costretto ad odorare. I cani sì che hanno naso, anche troppo. Non vi dico cosa sento dopo che papà è stato al bagno! Kill the animal, save me! Il papi dice che siam in direzione de la sede de “I Ragazzi della Panchina”. «Ve-
«Un periodo di lavori socialmente utili che mi ha insegnato tanto» di Mauro Paludetto A causa di un illecito commesso nel 2013, di recente, ho dovuto scontare una pena alternativa al carcere: 126 ore di lavori socialmente utili a favore di un ente locale. Questo percorso l’ho svolto presso l’associazione “I Ragazzi della Panchina”, rimanendo in sede dalle 14 alle 18, dal lunedì al venerdì, svolgendo una serie di azioni a favore dell’associazione stessa. L’opportunità di svolgere i lavori socialmente utili presso questa realtà è stata decisa dal giudice, ma è nata grazie alla disponibilità di Ada Motznich, presidente dell’associazione, e grazie alla mia avvocatessa, che si è data molto da
fare per raggiungere questo obiettivo. Ho iniziato questo percorso il 28 maggio e l'ho finito verso metà luglio. Stare qui in sede mi è piaciuto molto perché ho potuto svolgere diverse mansioni: ho aiutato nella pulizia dello stabile, ho tagliato l’erba del giardino ed altri piccoli compiti che mi sono stati proposti dai vari operatori presenti. Inoltre, in questo periodo, ho avuto varie occasioni di confronto con gli educatori dell’associazione; queste si sono rivelate delle opportunità per, non dico superare definitivamente, ma almeno affrontare nel migliore dei modi vari miei problemi. Mi ha fatto molto
LE CRONACHE DI CHANEL
«Buon giorno umani» Cronache di Chanel parte seconda: pronti per raggiungere la sede di Rdp di Chanel Giacomelli Ciao a tutti, la lingua più veloce del Nord est è tornata! Perchè inizio così il mio articolo? He He voi non vi immaginate nemmeno a che velocità da record viaggiano i miei bacini! Per chi non lo sapesse noi cani baciamo così, non ci sfreghiamo le labbra o altro come fate voi umani. Dunque è una bella giornata! Sole, sole, sole, troppo sole. Ma perché l’idiota (il papà di Chanel ndr) deve aprire la finestra alle sei del mattino? Non si può iniziare così la giornata. Parti già di mattina ad esser più sclerata di una gatta in calore. Avete mai visto una gatta in calore? Ma poi, perché in calore? Sono le umane in menopausa ad avere molto calore, delle vere vampate. Noi animali andiam in amore, perché siam teneri e coccolosi! Ma le gatte non
sono animali, sono delle assatanate: urlano, sbraitano, fanno le idiote in cerca disperata di un pirla di gatto che scappa, vaga ascoltando il loro richiamo, quasi un’eco, e che, come Ulisse rimbambito dalle sirene il rincretinito si fionda come la mosca nel letame. Sapeste le vere “cagnette” prima di concedersi quanto la fanno annusare! Mica si può far così tanto per fare? Ma che bene che si sta a dormire sul Memory AffOnD, io poi che mi acciambello sembro una pralina deliziosa in una scatola di dolciumi per palati fini, affondo come nella scatola, comoda comoda e dovermi alzare mi scoccia. Mica vado io a lavorare? Ma devo andare in bagno e la mia aiuola mi aspetta, poi inizierò la ronda per i gatti clandestini, invasori. Proprio a casa mia
in 126 ore piacevoli, perché ho potuto dedicarmi alla sede, anche attraverso diverse attività manuali, e ciò mi è piaciuto molto. Ora che è terminato questo periodo, posso tirare le somme e dire che è stato assolutamente positivo, anche se devo ammettere che per alcuni giorni non mi sono comportato al massimo. Nonostante ciò mi sono comportato quasi sempre bene e mi sono relazionato in modo positivo sia con gli operatori che con le altre persone che frequentano la sede, aiutando, in alcune occasioni, dei ragazzi in difficoltà. Spero di cuore di continuare in questo modo, al di là della fine delle pena, impegnandomi per l’associazione e per me stesso, perché considero l’associazione la mia seconda famiglia e la sede, per me, è un posto sano dove si può vivere serenamente condividendo le difficoltà ed i problemi che si possono verificare nella vita quotidiana; questa è, quindi, un’opportunità che non posso, come il mio solito, abbandonare per tornare in “strada”. Mauro datti Fare!
drai che ti ameranno tutti», mi garantisce. Poco dopo sopra di me leggo un cartello che indica che siam arrivati. E qui inizia il bello. Punto uno, attivazione naso formidabile. Devo passare in rassegna la zona per capire, analizzare, catalogare. Dopo poche annusate capisco che qua ogni tanto ci passan dei gatti e qualche cane di taglia nana: quindi è zona mia. Varcata la porta di ingresso, intravedo qualche ceffo che già conosco. Il primo che noto è un tizio alto con un cespuglione in testa, una barba curata, vestito sportivo che mi scruta diffidente, magari crede pure che lo morda? Se si abbassa forse, ma se no mica penserà che mi metto a saltare per lui? Più in là una signora con occhiali. Ho sentito che la chiamavano Ada. Lei mi sorride a piena dentiera. Meno male che io sono una signora e che conosco il linguaggio umano e percepisco l’umore. Non ho il sesto senso per niente. Mostrare i denti per molti animaletti è un segno di aggressività. Non per gli umani però. Quindi ricambio il suo sorriso inondandola di bava, leccandola a raffica con la mitralinguetta!!! Il resto alla prossima puntata. Bye Bye Chany
«Disegnare, una passione che mantiene stabile la mia salute» Talento innato, per Patty il disegno riempie il tempo altrimenti occupato dalle sostanze di Patty Isola
Ho cominciato a disegnare fin da piccola. Il mio talento è stato subito notato da maestri e genitori che mi hanno indirizzato a frequentare una scuola d’arte e a specializzarmi nelle discipline pittoriche: era proprio la scuola che faceva per me. Per mia incoscienza e mancanza di giudizio, però, non sono riuscita a terminare gli studi. Bocciata più volte e con il sette in condotta era logico che, nonostante il mio talento, non potessi continuare i miei studi, soprattutto dopo l’overdose che, all’età di diciannove anni, mi ha tenuto tre giorni in coma. La passione per la pittura è nata con me ed è dentro di me. Per questo, nonostante tutto, ho scelto di non abbandonarla e, da autodidatta, di perfezionare la mia tecnica: ho imparato, così, nuovi “trucchetti” e strategie per le proporzioni; ho imparato ad utilizzare profondità, luminosità, chiaroscuri, tratteggi ed altri sistemi utili a rendere un semplice disegno un qualcosa di più. Le mie capacità artistiche unite ad una buona manualità nelle discipline plastiche, mi hanno permesso di realizzare diversi lavori come le ceramiche artigianali che facevo e deco-
ravo da me stessa e grazie a queste capacità ho trovato vari impieghi nel settore come restauratrice di vecchi affreschi, in particolare a Venezia, dove quest’attività è molto diffusa. Si trattava di lavoretti saltuari, che però mi davano soddisfazione. Avrei potuto andare molto avanti in questo settore, se la mia vita non mi avesse scaraventato in un altro mondo, quello della droga, dove il disegno non mi permetteva di guadagnare abbastanza e dove la mia dipendenza mi faceva perdere gradualmente l’interesse e anche la possibilità di mantenere un hobby così costoso. Nonostante questo, per tutti gli anni della tossicodipendenza, ho continuato a disegnare per lo più schizzi su foglietti, soprattutto a penna biro, perché per me l’arte era ed è soprattutto passione e, col tempo, sono riuscita a sfruttare ed incanalare questa passione a mio vantaggio. La pittura è diventata così una strategia contro i periodi bui di depressione. Certo l’arte non mi cura ma, ancora oggi, noto che i disegni più belli li realizzo proprio quando il mio umore è a terra. Un giorno ho detto «finché non finirò di piangere, non smetterò di disegnare». Per me disegnare è una vera e propria valvola
di sfogo attraverso la quale butto fuori tutto il male che altrimenti mi farebbe esplodere. Adesso disegno nel tempo libero, non è un lavoro che mi dà reddito, ma qualcosa di più importante: mantiene stabile la mia salute. Mi ricordo che all’inizio delle scuole superiori, quando per me era difficile socializzare e non ero più in classe con mia sorella, disegnavo: era molto più semplice! Quando terminavo un dipinto mai avrei voluto separarmene. Ma, rendendomi conto che, con l’accumularsi dei miei lavori, perdevo l’interesse nel farne dei nuovi, ad un certo punto ho deciso di liberarmene, vendendoli anche a poco, oppure regalandoli, per ritrovarmi poi a volerne fare di nuovi. Per me disegnare è diventato un modo per allontanarmi dai vizi, un modo sano per riempire giornate altrimenti frustranti, ma soprattutto un’attività che mi dà soddisfazione. Tale sensazione è una cosa nuova, perché dopo più di tredici anni di tossicodipendenza, una soddisfazione che non proviene dalla droga per me è qualcosa di grandioso. E per fare quello che faccio io credo che gli ingredienti siano pochi, se il talento è innato, ci vuole pratica, tanta pratica, ma soprattutto tanta fantasia. Adesso, oltre a disegnare a tempo libero, dipingo anche su commissione. La mia passione maggiore rimane tuttavia disegnare a perditempo, nelle notti insonni che altrimenti avrei riempito con le sostanze o con l’autolesionismo: per me disegnare è vita.
L'ANGOLO DELLA FRANCA
L’ecologia integrale come nuovo paradigma di giustizia Laudato si’, l’enciclica del Papa sulla cura della casa comune di Franca Merlo Non credevo che la recente enciclica di papa Francesco fosse così straordinariamente ricca, finchè non l’ho letta. La si trova facilmente nel web. E’ una lettura lunga, ma vale davvero la pena. Trovo che sia una sintesi perfetta della situazione del nostro Pianeta, che va facendosi disperata e si avvicina al punto di non ritorno; sintesi realistica e supportata da una solida conoscenza dei fenomeni esaminati, però sempre accompagnata dalla visione positiva della vita, dalla scommessa sulla capacità dell’uomo di risollevarsi e volgersi al bene. Francesco, con quel parlare laico che lo caratterizza, si rivolge «a ogni persona che abita questo pianeta» perchè è preoccupato della
sorte degli uomini e soprattutto dei più deboli della Terra, quelli che più risentono della sua cattiva gestione. Analizza mali che conosciamo, come la privatizzazione dell’acqua, la perdita della biodiversità, il deterioramento della qualità della vita e parla di sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza. Parla della debolezza della reazione politica internazionale e scrive senza mezzi termini: «Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti». Usa parole forti, il buon Francesco. «La finanza soffoca l’economia reale». Parla di peccato in un conte-
sto che sembrerebbe del tutto laico: distruggere la diversità biologica, spogliare la terra delle sue foreste naturali contribuendo al cambiamento climatico, inquinare le acque, il suolo, l’aria: un crimine contro la natura è sempre un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio. «L’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti. Chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti. Se non lo facciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza degli altri. Per questo i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosa significa il comandamento “non uccidere” quando un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere». A supporto dell’impegno ecologico che tutti dovremmo avere, Francesco propone una coraggiosa rivoluzione culturale. Accenna a San Francesco d’Assisi come esempio di ecologia integrale, vissuta con gioia. «Egli entrava in comunicazione con tutto il creato, predicava persino ai fiori e li invitava a lodare e amare Dio... Questa convinzione non può essere disprezzata come
un romanticismo irrazionale, perché influisce sulle scelte che determinano il nostro comportamento. Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea». Passare dal consumismo alla capacità di condividere significa imparare a dare, non semplicemente rinunciare. «E’ un modo di amare, è liberazione dalla paura, dall’avidità e dalla dipendenza. Si può aver bisogno di poco e vivere molto, soprattutto quando si è capaci di dare spazio ad altri piaceri e si trova soddisfazione negli incontri fraterni, nel servizio, nel mettere a frutto i propri carismi, nella musica e nell’arte, nel contatto con la natura, nella preghiera. La felicità richiede di saper limitare alcune necessità che ci stordiscono, restando così disponibili per le molteplici possibilità che offre la vita».
Addio richiami vivi: vietate le catture Dopo decenni di "resistenza", una nuova legge europea vieta per la prima volta l'uccellagione di Paola Doretto LAC (Lega Abolizione Caccia) Apprendo da uno dei tanti siti animalisti questa bella notizia: dopo decenni di "resistenza" alla crudele pratica dell'uccellagione, portata avanti da giovani e coraggiosi volontari (spesso correndo dei rischi seri) è arrivato finalmente l'articolo 21 della legge europea. Cito dal blog, «per decine di uccellini selvatici il futuro si tinge di speranza. Con questo articolo di legge, infatti, il Senato ha sancito in via definitiva il divieto di catturare tordi, merli, pavoncelle, colombacci, allodole e altre specie per farne richiami vivi. E' stato messo infatti al bando ogni sistema di prelievo escluso dalla direttiva uccelli, come trappole, reti e vischio». La pratica dell'uccellagione è
diffusissima anche se è un argomento che non trova molto spazio nei media. Non se ne parla, ma sono milioni gli uccelli che ogni anno vengono catturati e uccisi durante le loro migrazioni, per alcune specie c'è addirittura il rischio di estinzione. I cacciatori con la patente e non, di solito li attendono nei luoghi dove trovano sosta e riparo durante il lunghissimo viaggio che compiono, attraversando tutto il Mediterraneo. Più spesso sono le isole, Cipro, Malta e anche la nostra Sardegna: lì con metodi crudelissimi come appunto le reti o il vischio vengono catturati. Una parte di loro verrà venduta ad altri cacciatori perché li usino come richiami vivi per la cat-
tura di altri esemplari della stessa specie. Un'altra parte, e forse la più cospicua, verrà invece venduta ai ristoratori come cibo tipico. La crudeltà della cattura con la rete o con il vischio è qualcosa di veramente perverso. L'animale, libero, in volo, viene d'un tratto a trovarsi imprigionato e poi lasciato lì, come se fosse una cosa, senza alcuna pietà, nella più totale indifferenza alla loro libertà e alla loro bellezza. Qualcuno dice che la nuova legge è ambigua e che comunque non riuscirà a fermare del tutto i bracconieri. Ma io voglio pensare invece che qualcosa è stato fatto, un primo passo, al quale speriamo ne seguiranno altri. Soprattutto cambieranno
le cose per i ragazzi volontari del Cabs (una delle associazioni tra le più attive contro il bracconaggio), che non saranno più dei fuorilegge che devono rischiare a volte la loro stessa vita per contrastare i cacciatori più violenti. Un ringraziamento da parte mia va sempre a loro che, nell'ombra e senza ricompense o glorie di nessun tipo ,da anni, lontano dalla legge, hanno lottato per liberare queste piccole meravigliose e innocenti creature.
L'APPROFONDIMENTO ————————————————————————
PORDENONELEGGE DIETRO LE QUINTE di Milena Bidinost «C’è una parola che abbiamo incontrato spesso, in quest’ultimo anno, nei libri che abbiamo incrociato o che ci sono stati proposti. Non è difficile indovinare: è la parola “crisi”. Una parola declinata in tutti gli accostamenti possibili, dall’economia alle istituzioni, dalla famiglia all’impresa, e poi fin dentro lo specifico di cui ci occupiamo: crisi dell’editoria, crisi del libro. Crisi, ovvero, necessariamente: cambiamento. Il momento della crisi è quello di un passaggio, di cui avvertiamo gli effetti, e di solito generano segnali di disagio, peggioramento, allarme. E’ necessario cercare di capire che cosa sta accadendo, durante una crisi. E oggi più di sempre è proprio nei libri che si trovano, se non le risposte, le domande giuste. E poi nei libri di quest’anno ricorre, senza che vi sia paradosso, un’altra parola: “futuro”. Solo il futuro, il futuro che è già qui e che dobbiamo imparare a vedere sarà non la soluzione, ma la conseguenza della crisi. Ci appare chiaro, oramai, che quello che è stato il mondo della crisi, è il mondo di ieri, e il suo tempo non avrà più corso. Mentre il mondo dove le conseguenze della crisi sono già all’opera si lascia intravedere, soprattutto attraverso i libri, nell’avvento di nuove dimensioni di esistenza, di produzione e di relazione comunicativa. Abbiamo cinque lunghi giorni, meravigliosamente intensi, per imparare a leggerle meglio e per parlarne insieme» Così Gianmario Villalta, direttore artistico, assieme a Alberto Garlini e a Valentina Gasparet, ovvero i tre curatori della manifestazione, salutano quest'anno il pubblico della 15ª edizione di Pordenonelegge, in programma in città dal 16 al 20 settembre. “Crisi vs futuro” è il loro augurio: un obiettivo verso il quale il festival con gli autori è tutt'altro che passivo. I curatori hanno confezionato oltre 300 eventi con i maggiori protagonisti della scena letteraria nazionale ed internazionale, tra i quali ci saranno anche ben 27 anticipazioni letterarie riservate al pubblico del festival. La Fondazione Pordenonelegge, che dal
2013 guida l'intera macchina organizzativa dell'evento, ha definito luoghi, accoglienza, promozione: in una parola, il contenitore del festival. Saranno cinque giornate con gli autori in cui la città cambierà volto, puntando a superare le presenze dello scorso anno: nel 2014 ce ne furono ben 130.000. Ma è un indotto non solo culturale ed intellettuale, bensì anche economico, occupazionale e sociale quello che il festival ogni anno garantisce a capoluogo e provincia e che induce a dire che Pordenonelegge sta facendo la sua parte per portare futuro laddove c'è la crisi. Lo confermano i dati della ricerca svolta da un team di professori universitari di tutta Italia, con a capo l'Università Bocconi di Milano, chiusa nella primavera di quest'anno. E' un focus sulle ricadute economiche ed occupazionali che ha portato la passata edizione. I risultati sono tutti positivi, a partire dall'investimento messo in campo dalla Fondazione: 868.612 mila euro di cui il 25% di fondi della locale Cciaa, 34% di finanziamenti pubblici e 40% di sponsor e partner privati. Ben il 76% del totale è rimasto in città e provincia, il 4% entro i confini della regione. Tale investimento si è tradotto in un impatto economico pari a 934.720 euro. E' invece stato di 5.381.650 euro quello prodotto dalla spesa totale fatta dal pubblico della manifestazione (3.218.720 euro), tenendo conto solo dei turisti che hanno pernottato in città e dei pendolari dalla regione. L’impatto economico totale del Festival Pordenonelegge nel 2014 è stato quindi pari a 6.316.370 euro: per ogni euro investito ne sono ritornati nel territorio della provincia di Pordenone 7,27, uno dei valori più alti tra i festival italiani. Ma l'effetto è andato ben oltre ai numeri economici: un sondaggio proposto ad un campione di visitatori ha fatto emergere che il 69% degli intervistati ritiene che Pordenonelegge abbia in generale contribuito a modificare il suo modo di vivere la città e il suo territorio.
Non solo libri, ma anche turismo commerciale Prosegue la collaborazione tra la Fondazione e “Sviluppo e Territorio”. Tra le proposte, “A spasso con gusto” e una nuova convenzione per i possessori del pass staff di Rafael Tra i collaboratori di Pordenonelegge c’è anche “Sviluppo e Territorio”, associazione presieduta da Alberto Marchiori e nata per creare occasioni d’interesse per il centro storico. Le proposte che arrivano dai negozianti anche in questa edizione del Festival, non mancano quindi. E’ infatti una sinergia, quella instauratasi tra l’organizzazione del Festival da un lato e l’associazione di promozione commerciale dall’altro, che va avanti con successo oramai da sei anni. “Sviluppo e Territorio” ha due anime: una più istituzionale, che riunisce attorno ad un tavolo tutte le istituzioni della città per realizzare una politica di marketing legata al territorio, e una più commerciale che ha la funzione di promuovere i negozi del centro. L’obiettivo è promuovere il turismo commerciale, quindi è legato al bilancio dei negozi. Le proposte arrivano dal basso, ovvero dai commercianti stessi: “Sviluppo e territorio” le valuta e ne fa un progetto che poi divulga agli altri tramite mail, visite dirette o attraverso delle riunioni nella propria sede. Nel caso di Pordenonelegge “Sviluppo e territorio” non interviene nella sua organizzazione, ma vi abbina iniziative realizzate con i negozianti. L’associazione coordina e dà cioè supporto ai commercianti del centro storico. Le cinque giornate della manifestazione culturale sono, infatti, ogni anno volano per la cultura ma anche per il commercio locale. Porta la firma di “Sviluppo e Territorio” ad esempio l’iniziativa “A spasso con gusto”, una sorta di percorso enogastromico realizzato in collaborazione con i locali del centro, che in questi cinque giorni, propongono alla clientela menu con prodotti tipici della zona, i vini e pietanze, al fine di promuovere le bontà della provincia. La Fondazione Pordenonelegge, attraverso i suoi centomila volantini, pubblicizza
questi percorsi e quindi i bar dove si possono gustare tali prodotti. Oltre all’iniziativa “A spasso con gusto”, in passato l’associazione ha realizzato anche alcune proposte per i bambini, “i baby care”, dove i genitori potevano lasciare i bambini che venivano accuditi ed accompagnati in un percorso di avvicinamento alla lettura. La novità che “Sviluppo e territorio” ha in serbo per quest’anno durante il festival è una particolare convenzione con Pordenonelegge: per tutti gli scrittori, gli editori, i giornalisti, quindi per coloro che hanno il pass di “staff”, saranno previsti degli sconti nei negozi. L’obiettivo è quello di catturare l’attenzione delle migliaia di visitatori. «Manifestazioni come Pordenonelegge – spiega il manager dell’associazione, Andrea Malacart - non sono fatte per aumentare il lavoro dei negozi, ma sono comunque molto sentite da tutti i commercianti anche perché possono portare in città anche 150.000 persone. Non tutti ne beneficiano in eguale misura – prosegue
- ma in ogni evento c’è una differenza nella tipologia di esercizio commerciale più o meno coinvolto». Secondo la lettura che dà lo stesso Malacart, la manifestazione settembrina dedicata agli autori e al libro, «è un grosso traino soprattutto per i pubblici esercizi, come i ristoranti e gli alberghi, che ne traggono profitto, ma anche per quei negozi che beneficiano di qualsiasi evento che porta tanta gente a Pordenone. La percezione dei commercianti è che questo Festival negli anni sia cresciuto tantissimo e che sia un evento importante per la città, è sentito assolutamente da tutti. I negozianti oggi - è l’analisi fatta dal manager - sono consapevoli che Pordenonelegge, come anche le Giornate del Cinema muto, Dedica Festival e il Blues festival sono eventi che stanno caratterizzando Pordenone quale città di cul-
tura». E la cultura può e deve fare da traino all’economia. «Favorisce indirettamente anche l’occupazione – aggiunge Malacart - perché Pordenonelegge in particolare è un’ottima occasione per i giovani per farsi conoscere. La cultura ed il turismo culturale sono uno dei driver su cui l’Italia dovrebbe puntare, quindi sicuramente Pordenonelegge la sua piccola parte la fa». Il bilancio di “Sviluppo e territorio” rispetto a questi sei anni di collaborazione con Pordenonelegge è sicuramente positivo; da quando l’associazione ha iniziato a proporre “A spasso con gusto” sono aumentati gli aderenti all’iniziativa ed è stato evidente come promuovere i prodotti tipici regionali sia stata una scelta vincente.
Parola d’ordine: ospitalità Zanolin dell’Hotel Moderno «Per rendere bello il festival anche il commercio deve fare la sua parte» di Cristina Colautti Affinché il turista stia bene a Pordenone ed i festival come Pordenonelegge continuino a crescere è importante, secondo il titolare dell’Hotel Moderno Gianpietro Zanolin, «che tutti facciano la propria parte» e che, quindi, anche le attività commerciali coadiuvino gli enti istituzionali e gli organizzatori. A partire dall’accoglienza. I turisti per un hotel come il Moderno,
che si affaccia sul Teatro comunale Verdi di piazza XX Settembre, sono soprattutto gli ospiti della manifestazione. L’hotel rappresenta per loro il luogo del “rientro”, un piccolo spazio di privacy tra tanta folla. «Volendo fare un confronto - dice a riguardo Zanolin - il personaggio dell’ambiente letterario è meno capriccioso della star dello spettacolo: ha le sue manie, ma sono
Vigili, tutto pronto per coordinare sicurezza e viabilità Buranel, «È un pubblico che non ha mai comportato problemi» di Guerrino Faggiani «Pordenonelegge è una manifestazione che a fronte del grande ritorno per la città, richiede una gestione poco più che ordinaria da parte della amministrazione comunale e del nostro comando». Lo afferma il comandante della polizia municipale, Arrigo Buranel. «Certo - continua - richiede attenzione per una presenza e controllo particolari del territorio, sia con pattuglie automontate che a piedi, fondamentali in quei giorni in cui in centro città si tiene anche il mercato cittadino». Ma nella sua opera il comando è coadiuvato anche dall’elettronica: sono 52 le telecamere attive 24 ore su 24 dislocate in tutta la città. «Servono per una sicurezza continua Buranel - sia delle persone che del traffico, ma vanno comunque di buon grado affiancate alla presenza fisica delle pattuglie, sia ai fini della tempestività di intervento sia come deterrente. E non escludo di utilizzare personale in borghese: lo utilizziamo soprattutto come azione di antidegrado della città».
Pordenonelegge da quindici anni a questa parte è in ogni caso un evento che non ha mai creato problemi di ordine pubblico o emergenze particolari, «solo positività», ribadisce Buranel. Unica nota che comunque non è considerato un problema dal comandante, è che la grande presenza di gente può attirare in città un maggior numero di mendicanti, come succes-
meno estrose e più facili da soddisfare». Tra gli ospiti del Festival, il titolare ricorda con piacere Giorgio Faletti, una persona molto alla mano, che andava nel retro portineria e prendeva il caffè con lo staff dell’albergo. «Inoltre prosegue Zanolin - gli autori, a differenza di alcuni cantanti, si rivolgono a un genere di pubblico che tendenzialmente non viene in albergo per chiedere loro l’autografo, non ne invade cioè la privacy”. Ma come sono gli autori di Pordenonelegge fuori dal palco? « Le loro richieste dice Zanolin - in media sono abbastanza semplici e riguardano prevalentemente la sistemazione della camera. Ci danno molti spunti per migliorare i nostri standard di servizio nel caso di un loro ritorno a Pordenone, come a volte succede. Lo staff dell’hotel ad esempio - aggiunge - cerca
di ricordare le varie abitudini di ciascuno di loro per farli sentire, nel limite del possibile, a casa». L’albergo infatti, secondo. Zanolin, «è un’attività economica, ma noi diamo in primo luogo ospitalità. La persona è un ospite pagante, ma pur sempre un ospite». Il bilancio dell’esperienza ultra decennale di Pordenonelegge è sicuramente positivo. «La città - dice Zanolin - vive se si riescono a far crescere queste manifestazioni, che hanno un ritorno importante in termini di promozione fuori confine della nostra città: stimolano il turismo. Pordenone piace a chi la visita - è l’impressione che si è fatto l’albergatore- Pur non avendo molti monumenti importanti, dal punto di vista dell’ospitalità, della ristorazione, della viabilità, della pulizia e della sicurezza è nell’insieme una bella apprezzata da chi viene da fuori».
so a maggio con l’Adunata degli alpini in cui se ne sono contati a centinaia. «Ricordo – afferma – che l’accattonaggio non è vietato, purché non sia invasivo: si può chiedere l’elemosina, ma senza disturbare, senza usare minori e o animali allo scopo». Dunque il festival è un evento che non ha nulla da scoprire grazie ad una gestione ormai collaudata. La città inoltre offre agli ospiti una sua ottima fruizione grazie a parcheggi sia in strada che in struttura, che consentono una accoglienza agile e senza grossi traumi e disagi per i cittadini. Ai quali, tra l’altro, non dispiace essere assorbiti dalla colorata baraonda di quei giorni. «È una manifestazione molto pacata - rileva Buranel - che coinvolge gente dal temperamento pacifico, che ama la cultura e rispetta le regole. Diversamente da sagre e fiera in cui alcuni sono indisciplinati, e per colpa dei quali noi agenti di polizia locale veniamo
chiamati soprattutto per risolvere casi di auto parcheggiate su passi carrai o in punti in cui intralciano la normale fruizione degli abitanti, costringendoci all’intervento anche sanzionatorio». Nel caso queste siano parcheggiate in posti chiave o spazi destinati al passaggio dei mezzi di soccorso scatta la rimozione, come prevede il codice. Sono situazioni queste ultime in cui il comandante garantisce che i suoi uomini sono inflessibili. «La verifica sul campo a che sia sempre assicurato lo spazio per i mezzi di soccorso - dice - dal passaggio di un’ambulanza ad un’autoscala dei vigili del fuoco, è di fondamentale importanza. In caso di necessità di intervento i soccorsi non possono bloccarsi davanti ad un ostacolo. E’ fondamentale quindi il rispetto di tali disposizioni, che il comando fa rispettare con fermezza. Questo vale per tutti gli spazi in città e per tutto l’anno”. E’ un consiglio questo che vale anche per i frequentatori di Pordenolegge, dunque, e che non guasta mai. Unica nota dolente, ma che nulla c’entra con la manifestazione, è la cronica carenza di personale che riguarda tutte le forze di polizia. Con un organico di 50 agenti effettivi di età media 50 anni, attraverso i quali coprire i territorio comunali di Pordenone e Roveredo in Piano, Buranel avrebbe bisogno di innesti di giovani rincalzi, ma il perdurare annoso del blocco delle assunzioni non lo consente. «Ne va dell’efficienza del servizio – afferma – con le forze che abbiamo facciamo quello che possiamo”.
ECCO COME NASCE PORDENONELEGGE Il quartier generale della manifestazione per l'organizzazione dell’evento è la Fondazione che porta il suo nome. Ce ne parlano il direttore, Miche Zin, assieme ad una delle sue collaboratrici Paola Schiffo di Irene Vendrame La manifestazione di Pordenonelegge registra ogni anno un’affluenza sempre maggiore e riscuote molto successo. Ma che tipo di progettazione si nasconde dietro ad un evento di questa portata? Ce lo spiega Michela Zin, direttore della Fondazione Pordenonelegge, nata nel 2013 per volontà della Camera di Commercio di Pordenone e dei rappresentanti delle associazioni di categoria che ne compongono la giunta e presieduta da Giovanni Pavan. La Fondazione ha, tra i suoi eventi di promozione della cultura e del territorio, proprio il festival del libro come fiore all’occhiello. Con il direttore lavorano, tutto l’anno, Debora Dal Bo, Paola Schiffo e Monica Bonacotta. Il team non si occupa soltanto della creazione del programma, ma di tutto ciò che concorre alla buona riuscita del festival. Il nostro tour nel dietro le quinte di un mega evento come quello settembrino parte dal loro quartier generale, la sede della Fondazione di via Castello 4. L’organizzazione. Nella sede della Fondazione ci lavorano queste quattro operatrici alle quali, nel periodo più impegnativo che va da giugno a settembre, si affiancano altri collaboratori fino a raggiungere un totale di una decina di persone. Da qui vengono tenuti i rapporti organizzativi con i circa 360 ospiti, tra autori, presentatori e giornalisti individuati dai curatori artistici della manifestazione, ovvero Giammario Villalta, Alberto Garlini e Valentina Gasparet. Da qui partono gli inviti con un’offerta di partecipazione che comprende il viaggio (solitamente in treno), il servizio taxi, l’albergo, i gadget e soprattutto viene seguita tutta l’accoglienza degli ospiti una volta arrivati in città. «Quello che è importante infatti - sottolinea Zin- è porre l’autore al centro della festa. E’ lui il protagonista, quindi nei preparativi bisogna assolutamente tenerne
conto. Il corpo organizzativo si occupa inoltre dell’allestimento dei luoghi del festival (dopo aver concordato con il Comune tutti i permessi necessari), dell’acquisto di spazi pubblicitari, soprattutto nelle testate giornalistiche locali. Sceglie ogni anno la grafica che caratterizzerà cartelloni e gadget – prosegue - contatta gli interpreti per gli invitati stranieri e si fa carico della formazione degli Angeli, ossia delle braccia concrete della manifestazione». Pordenonelegge è presente in tutti i social: facebook, twitter, instagram, i quali vengono aggiornati costantemente ed è disponibile, oltre ovviamente al sito internet www.pordenonelegge.it, l’app scaricabile su tutte le piattaforme. Un ufficio stampa esterno segue la comunicazione attraverso i media. «Tutto ciò è possibile – tiene a precisare il direttore - non solo grazie ai contributi stanziati dal Comune, ma anche, in buona parte, agli sponsor privati, che riescono a coprire le spese del festival per il 45%, percentuale in aumento». Parlando di denaro, questa iniziativa sembra avere una ricaduta nettamente positiva sull’economia del territorio, poiché si ottiene un guadagno che è circa sette volte maggiore della spesa. Il libretto Pordenonelegge. Piccola Bibbia per i parteci-
panti al festival è la guida che raccoglie tutte le informazioni sugli eventi organizzati. Un visitatore non si immagina quanto lavoro ci sia dietro e con quanta cura venga preparato il planning degli appuntamenti. Dopo che per un anno intero i curatori hanno attentamente selezionato gli ospiti e scelto i temi degli eventi e dopo aver indetto una riunione con il Comune, i vigili e tutte le associazioni coinvolte, si comincia a creare quello che è un grande puzzle. Già a giugno si cominciano a delineare date ed orari. «È un processo piuttosto delicato – spiega Zin perché bisogna incastrare gli impegni di più persone e fare in modo che non si sovrappongano, per questo è necessario pianificare tutto al minuto e prestabilire con precisione la durata dei meeting. Ad agosto il programma è praticamente pronto ed è possibile consultarlo sul sito internet o direttamente dall’app, tuttavia la creazione dei libretti cartacei avviene solo in settembre, dopo il lancio del programma in conferenza stampa, in modo che vengano apportate anche tutte le modifiche dell’ultimo momento». Di libretti ne vengono stampati circa 30.000 copie l’anno, il numero rimane stabile, perché sempre più utenti si avvalgono del formato digitale.
Gli Angeli. Sono circa una sessantina i giovani che si occupano del lavoro pratico durante le cinque giornate della manifestazione. Sono gli Angeli. Si può diventare un angelo a partire dai 16 anni; il primo anno lo si svolge da volontario, mentre quelli successivi, se l’esperienza si è rivelata positiva e si è stati promossi ad angelo Junior, è previsto un compenso. Se si continua a lavorare come Angeli anche negli anni successivi si può aspirare a ricoprire il ruolo di Angelo Capo, ossia la figura più in alto della “gerarchia”. Per assolvere alle diverse mansioni, vengono suddivisi in squadre miste di quattro o sei persone, in modo che i nuovi arrivati possano pian piano apprendere dai più esperti; si opera in turni di mezza giornata ed ogni squadra ha un compito ben preciso, come, per esempio, la preparazione delle location per gli incontri, ossia posizionare il giusto numero di sedie, affiggere i manifesti e fare in modo che eventuali esigenze dei partecipanti vengano rispettate, oppure la gestione del pubblico all’entrata delle sale, ma anche accompagnare gli ospiti al loro arrivo e poi nei loro spostamenti. «Per diventare un angelo bisogna superare delle selezioni – spiega Paola Shiffo, che ne è la referente -. Inizialmente si invia il proprio curriculum e successivamente si partecipa ad un colloquio. È molto importante, come in un vero e proprio lavoro, la puntualità, ma vengono prese in considerazione anche le motivazioni che ti spingono a partecipare. Il ruolo di angelo infatti è molto impegnativo - dice -. Chi passa la selezione viene formato opportunamente, perché è fondamentale che si svolga un servizio di qualità, che rispettino i tempi, che si sappiano destreggiare in tutte le situazioni senza perdere la calma e il sorriso» Sono gli Angeli che accompagnano autori e ospiti, loro che danno le prime informazioni al pubblico in strada, sono loro cioè il volto di Pordenonelegge che si mescola tra la folla di quei giorni. Essere un Angelo è un’esperienza soprattutto a livello personale. «Di solito racconta Schiffo - si crea un forte legame emotivo tra la Fondazione e gli Angeli, molti del quali nel tempo continuano a dare il loro contributo anche se studiano o lavorano lontani da Pordenone». A dimostrazione che Pordenonelegge ha saputo diventare nel tempo ben più di un semplice festival del libro.
INVIATI NEL MONDO
Sedotta dalle luci e dalla gente di Budapest «Grazie all’amicizia stretta in quei giorni con Funni ho sentito che quella città mi apparteneva» di Irene Vendrame Budapest è una città che mi è rimasta nel cuore. Ho avuto occasione di vistarla grazie ad un progetto di scambio organizzato dalla mia scuola ed ero quindi qualcosa di più di una turista. Lo scambio culturale è più di un semplice viaggio, perché richiede una buona dose di spirito d’avventura: si viene ospitati da un ragazzo di cui non si sa praticamente nulla, sperando che capisca bene l’inglese, altrimenti si può andare incontro ad una serie di problematiche d’aspetto pratico non indifferenti. Ma soprattutto si spera di trovare una sintonia con il proprio guest student, infatti non c’è situazione peggiore di trovarsi a soggiornare presso una famiglia che non si conosce, in una città estranea e mettersi a litigare con la persona che dovrebbe essere il proprio punto di riferimento. Fortunatamente, ho trovato subito un’intesa con Fanni, la ragazza che mi ha
dato alloggio e, superata la timidezza iniziale, abbiamo subito capito di avere molto in comune: mi ha raccontato che è un’appassionata d’arte, che dipinge e le piacerebbe moltissimo venire in Italia per poterne sperimentare le ricchezze culturali; inoltre anche a lei piace leggere e per di più ci siamo accorte di ascoltare lo stesso genere di musica. Lei abita in un paese ad un’ora di treno da Budapest, Felsogod, immerso nel verde, per questo, ogni giorno, anziché tornare a casa dopo le attività che si svolgevano a scuola, per non perdere troppo tempo nel tragitto, dato che avremmo dovuto ritornare in città per la sera, ci trasformavamo in vagabonde per le strade di Budapest, mangiando un panino e passeggiando tra i palazzi, che si confondevano tra i rami degli alberi lungo i marciapiedi. Ed è gironzolando così, senza una meta precisa, chiacchie-
rando dei nostri interessi e delle nostre abitudini, che ho a poco a poco scoperto Budapest: la Piazza degli Eroi, con le sue statue scure, rappresentanti gli eroi storici d’Ungheria, o il grandioso Parlamento, il simbolo dell’indipendenza dall’Impero d’Austria, affacciato sul Danubio. Il fiume, prima del 1873, divideva la capitale in due città distinte: Pest, situata sulla sponda orientale (e pianeggiante) e Buda, sulla collinosa sponda opposta. Qui si trova il maestoso castello di Buda, costruzione eretta originariamente durante il 1200 che poi ha subito diverse variazioni ed è stata fin da subito residenza dei reali e centro culturale d’Europa (soprattutto a partire dal Rinascimento). Le due parti della città sono collegate da numerosi ponti di varie forme architettoniche, il più antico è il Ponte delle Catene, costruito a metà del 1800, distrutto sotto i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale ed infine ripristinato nel ’49. Dopo le lunghe passeggiate, le serate che ci attendevano erano sempre movimentate ed elettrizzanti, o almeno lo sono state per me, poiché ogni città quando cala la sera indossa una nuova veste, più luccicante ed affascinante. Ci muovevamo in gruppo prendendo prima la metro (che è una delle più antiche in Europa), poi gli autobus, entrando ed uscendo dai locali più diversi. Tipici di Budapest sono i ruin pubs (pub in rovina, il primo ad aprire è stato il Szimpla Kert che è anche il più famoso), delle strane birrerie, che a prima vista sembrano delle soffitte o dei rifugi mal assestati, si trovano in vecchi edifici d’epoca, nel cuore della città e sono riempiti dai più stravaganti pezzi d’arredamento: sedili d’auto, vasche da bagno, biciclette rotte penzolanti dal soffitto, vecchie stampe anni ’50, tele colorate stile figli dei fiori, insomma sembra un ammasso di oggetti raggruppati a casaccio. Ma il bello è che il risultato è una sorta di tana accogliente dove potersi sedere per una birra o ascoltare musica o an-
che guardare un film proiettato su un muro scrostato. Ma i ruin pubs non sono l’unica attrattiva che ho potuto sperimentare. Il venerdì e il sabato sera ci siamo recati a Erséber tér, un grande parco al centro del quale si trova l’Akvàrium klub, un altro locale che organizza spesso serate e concerti. Il parco dalle nove di sera si riempie letteralmente di giovani, seduti sull’erba con le coperte, per chiacchierare o strimpellare la chitarra. Il clima che vi ho respirato è indescrivibile, vedere tanta gente riunita, con cui poter parlare e stringere amicizia, è stato straordinario per me, che vivo in un piccolo paese e in genere frequento sempre le stesse persone. Lo ammetto, sono stata sedotta dalle luci e dalle genti della città.
Se ripenso a quelle giornate mi viene un po’ di nostalgia e non so delineare con precisione ciò che mi è rimasto di questo viaggio. Quando ho chiesto a Fanni di scrivere due righe su ciò che pensasse dello scambio, ha espresso il suo entusiasmo, ricordando quanto le fosse stato utile per conoscere meglio le altre culture, capire il modo di pensare degli altri e scoprire con soddisfazione che potessimo lavorare in gruppo senza alcun pregiudizio, nonostante avessimo origini diverse. Di come far parte di questo progetto abbia creato dei ricordi indelebili e sia stato indimenticabile per tutti noi. Questo è ciò che penso anche io; grazie a lei, alla sua disponibilità, alla sua amicizia ho sentito che quel posto mi è appartenuto, poiché sono convinta che a rendere speciale un’esperienza siano i legami che si creano e soprattutto la condivisione.
PANKAROCK
Direzione Firenze, stadio Artemio Franchi
Pronti a tutto pur di essere tra il pubblico di Live Kom 015, l'ultimo tour di Vasco Rossi di Alain Sacilotto e Andrea Lenardon " Siamo solo noi che non abbiamo vita regolare, che non ci sappiamo limitare", canta il Blasco. Siamo solo noi, che pensiamo che si può fare, perché quando ti convinci che non ce la farai quasi sicuramente sarà così, abbiamo pensiamo noi quando ci siamo messi in testa di esserci, a tutti i costi, ad una delle tappe del suo “Live Kom 015. Ma noi non eravamo un gruppo come tanti, perché io a quel concerto dovevo arrivarci in sella alla mia carrozzina. Ecco allora che ci siamo messi all’opera. Primo passo, procurarci i biglietti. Tutto esaurito dopo
un’ora dall’apertura delle iscrizioni per lo stadio “Euganeo” di Padova, ripieghiamo sull’”Artemio Franchi” di Firenze, 12 giugno. Secondo passo: inviare una richiesta via fax o e-mail all’organizzatore, nel nostro caso “Live Nation”, nella quale va indicato il nome e cognome del disabile e quello del suo accompagnatore, con tanto di certificato di invalidità. Ciò dà diritto ad un ingresso gratuito per disabile e gratuito o al massimo scontato per l’accompagnatore. Le persone con disabilità ai concerti si garantiscono così un posto riservato in settori
speciali, a seconda che siano o meno in grado di stare in piedi autonomamente. Quindi sistemata la questione dei biglietti, puntiamo alla tappa di Firenze. E’ il 12 giugno e, dopo un lungo sonno, ci prepariamo con i vari bagagli e accessori importantissimi per me: doppio ventilatore, prolunga, adattatore di corrente e via dicendo. Dopo un buon pranzo mi metto in viaggio assieme ai miei due compagni d'avventure, ovvero mio papà Graziano e l’ormai exbomber Andrea: senza di loro due non sarei mai riuscito a prender parte all'impresa. Se
vuoi puoi. Come successo a noi, che partiti alle 14.30 alla volta di Padova , dopo aver "sbancato" lo stadio “Franchi”, ci siamo rimettessi in macchina e siamo rientrati a casa alle 6.30 del mattino dopo. Mica un viaggio da poco, per uno come me. L'equipaggio è ottimista e va tutto bene finché, lungo la strada, ci accorgiamo che bisogna sostituire un fusibile della macchina per un malfunzionamento. Libretto di istruzioni alla mano superiamo questo piccolo ostacolo consapevoli che non sarebbe una bella avventura senza qualche imprevisto.
Vasco Rossi, il mito Trent’anni di carriera e ancora concerti da tutto esaurito. Il Komandante continua a segnare la storia della musica italiana di Alain Sacilotto Dopo trent'anni di carriera sempre sulla cresta dell'onda Vasco Rossi non riesce più a fermarsi: può passare il tempo, possono trascorrere gli anni, ma sul palco il Komandante è sempre lo stesso uomo pieno dell'energia e dell'entusiasmo tipici di un ventenne. Tutto questo si può capire dall'eloquenza di una sua frase: "Fare dischi mi annoia, è sul palco che mi sento vivo". Alla veneranda età di 63 anni Vasco fa ancora emozionare i suoi fan “multi generazionali” e riempie gli stadi con il suo nuovo tour "Live Kom 015", composto da 8 tappe e 14 concerti da nord a sud della nostra penisola, che si conclude con numeri sempre sbalorditivi! Per questo tour, andato in scena tra giugno e luglio di quest’anno, si parla di ben oltre 600.000 biglietti venduti, molti di questi “bruciati” dopo qualche minuto dall'apertu-
ra delle vendite. Il pubblico che lo segue è veramente eterogeneo: uomini, donne, romantici, rockers, nostalgici, trasgressivi; Vasco arriva a tutti. Ai suoi concerti sono presenti tre generazioni, si vedono bambini con i loro
genitori e i loro nonni! Questo fenomeno sociale raggiunge migliaia di persone che lo seguono godendo dell'aria di libertà e voglia di vita che emanano le sue canzoni, unendo la spensieratezza e la vitalità dei teenagers alla
saggezza e serietà dei più adulti. Ci si chiede quale sia il suo segreto, cosa faccia del rocker di Zocca una leggenda musicale italiana capace di irretire a qualsiasi età e farti cantare a squarciagola i suoi testi. Vasco piace soprattutto perché è un uomo semplice, rimasto sempre l'umile ragazzo di provincia nonostante tutta la sua popolarità. Un esempio recente della sua semplicità: lunedì 13 giugno Vasco conclude con l'ultimo concerto a Padova il "Live Kom015", il giorno dopo viene avvistato nella sua Zocca, in piazza a giocare a carte con gli amici come un cittadino qualunque. Un'altra caratteristica principale del Blasco sono i testi delle sue canzoni che spaziano su diversi argomenti: dalla critica alla classe politica italiana, alle tematiche legate alla vita, alla sofferenza della persone, passando per la critica
Sballottati dalle curve degli Apennini e accompagnati da qualche goccia di pioggia arriviamo a Firenze, appena in tempo. Il traffico è da delirio, lo stadio sembra inarrivabile, ma quando finalmente lo raggiungiamo, ci investe un'aria elettrizzante da pre-show! Piccola sosta per comprare la fascia di Vasco e dei panini alla porchetta e poi si balla, ci immettiamo nel fiume di persone che entra al "Franchi", tempio del rock per questa sera, e prendiamo posto all'interno. L'atmosfera è unica, i cori a Vasco riempiono l'attesa e trentamila cuori palpitanti sono lì a spingere sull'acceleratore delle emozioni aspettando il Komandante! Spaccando il minuto, alle 21.30 finalmente Vasco esce ed è subito spettacolo. Il rombo delle casse ci risuona dentro riempiendoci il corpo di vibrazioni, la gola si spende tutta e la voce si perde insieme a quelle di tutti gli altri per cantare come un sol uomo le canzoni. Vasco corre su binari diversi e
religiosa ed infine soffermandosi sull'argomento che forse il suo popolo preferisce, ovvero l'amore e soprattutto il sesso. Queste tematiche escono dalle sue canzoni con un linguaggio semplice e comunicativo per raccontare le esperienze belle e brutte della sua vita spericolata che spesso si accomunano con le vite delle persone comuni. Nelle sue canzoni le emozioni entrano direttamente nel cuore della gente che sente propri i testi e che sente raccontata la propria vita dalle parole “alla mano” del suo idolo. Durante i concerti negli stadi di tutta Italia, la folla lo incita e canta le sue canzoni a squarcia gola partecipando di un'empatia collettiva.
pur dedicando spazio al suo ultimo album "Sono innocente" ci regala anche le canzoni di sempre. Momenti diversi si alternano: dalla carica rock di "Deviazioni" e "C'è chi dice no" alla magia e poesia di "Sally", "Vivere" e "Gli angeli". Il Blasco non ci fa mancare niente, trasgressione e riflessione allo stesso tempo, riesce
Negli anni in cui Vasco iniziò la sua carriera artistica, cioè fine anni ‘70 inizio anni ‘80, il panorama musicale italiano era caratterizzato da numerosi cantautori: da Lucio Dalla a Franco Battiato, passando per il grandissimo Fabrizio De Andrè considerato tutt'oggi uno dei migliori cantautori italiani di sempre, fino a Francesco De Gregori detto "Il poeta". Vasco fu considerato un cantautore "rivoluzionario" perché a differenza dei vari cantautori del contesto italiano, che si limitavano quasi sempre a comporre musica facendo sporadicamente dei concerti e non riuscendo a conquistare un ampissimo numero di persone, lui riuscì invece a compiere una vera
a far coesistere le novità con i mostri sacri del suo repertorio. E' difficile raccontare attraverso le parole scritte le due ore abbondanti che passiamo, sembrano volare e quando arriva la sequenza di "Vita spericolata", "Canzone" e "Albachiara" il concerto finisce in un tripudio di applausi e di coriandoli luccicanti. L'espe-
rienza è stata indimenticabile. Ciò che volentieri la prossima volta eviteremmo sono invece le due ore abbondanti di coda per uscire dalla città e raggiungere l'autostrada. Il viaggio di ritorno scorre tranquillo, la testa di Andrea è quella che tende più a ciondolare mentre i miei occhi spalancati riflettono ancora le emozioni vissute e sognano già il prossimo concerto incuranti delle sfuriate sul traffico del pilota (assolutamente giustificate!). Tornando a casa c'è spazio anche per una colazione furtiva delle 03.40 a base di brioche e red bull che ci tiene svegli fino all'arrivo a casa dove ognuno crolla con velocità record tra lenzuola e cuscini. Questa avventura ci ha dimostrato che il "si può fare" parte innanzitutto dalla testa e visto come è andata vi confidiamo che siamo già pronti per un nuovo tour, sempre convinti che "Vivere...è sorridere dei guai così come non hai fatto mai e poi pensare che domani sarà sempre meglio"!
e propria rivoluzione musicale introducendo uno stile nuovo fortemente espressivo, che riesce a far partecipare il cuore della gente portando nei suoi testi temi cari al tessuto sociale italiano. Si è conquistato così un'ampia fetta di pubblico, riuscendo a toccare diversi temi dai più trasgressivi da sempre carissimi alla platea giovanile, ai più seri avvicinando così un pubblico più maturo. Per concludere, c'è una canzone intramontabile che più di tut-
te rappresenta Vasco, personaggio che probabilmente in assoluto ha fatto la storia degli ultimi trent'anni della musica italiana. E’ quella in cui il Komandante canta: “Voglio una vita maleducata di quelle vite fatte, fatte così. Voglio una vita che se ne frega, che se ne frega di tutto sì. Voglio una vita che non è mai tardi, di quelle che non dormo mai. Voglio una vita di quelle che non si sa mai...Voglio una vita spericolata, voglio una vita come quelle dei film...”.
Una vita per la musica Vasco Rossi anche detto "Il Komandante" nasce il 7 febbraio 1952 a Zocca, paesino di quasi cinque mila anime in provincia di Modena. Cresce in una famiglia semplice, suo padre è camionista e sua madre casalinga. Fin da bimbo Vasco, su iniziativa della madre che è appassionata di musica, viene iscritto a scuola di canto e inizia ad appassionarsi di musica. A 13 anni vince l'"Usignolo d'oro" una manifestazione canora modenese, mentre a 14 anni entra a far parte di un gruppo chiamato "Killer". Dopo essersi diplomato in ragioneria, si iscrive a Economia per poi passare a
Pedagogia che abbandona a soli otto esami dalla laurea. L'anno della svolta è però il 1975, quando fonda, a Zocca, Punto Radio, una radio libera. Quest’esperienza in radio si rivela decisiva nella carriera del giovane Vasco, infatti in questi anni è invitato a numerose serate in discoteca come deejay. In questo periodo su consiglio di alcuni amici fidati inizia a comporre musica. Il suo primo album esce nel ’77. Nel ‘79 esordisce invece sul palco con il suo primo concerto a Bologna: da questo ha inizio la sua fama di cantautore. Fama che non si più arrestata.
NON SOLO SPORT
Carlito’s Cup, calcio per beneficenza Terza edizione per un evento dedicato alla memoria di un amico. Record di fondi a favore dell’Assistenza Domiciliare Pediatrica di Pasquale Bruno Sono qui a raccontarvi la storia della Carlito’s Cup, torneo di “Calcioabbestia” di Beneficenza che da tre anni organizziamo a Pordenone. Nell’ottobre del 2012 è morto Carlo, il mio migliore amico, aveva 34 anni e amava far festa, “casino”, andare a ballare e guardare le tipe degli altri, uno di noi insomma; inoltre odiava lo sforzo fisico, però, per limitare i danni dei suoi vizi, una volta a settimana giocava a calcetto con una compagnia di suoi sodali. Per ricordarlo, nonostante a lui del calcio non fregasse molto, abbiamo pensato di organizzare un torneo di “Calcioabbestia” per raccogliere un po’ di soldi di beneficenza e provare a trasformare una cosa bruttissima in una cosa bella. La famiglia di Carlo ci ha indicato l’Assistenza Domiciliare Pediatrica e noi ci siamo messi in moto organizzando torneo, pranzo, cena, lotteria e vendita magliette. Nelle prime due edizioni abbiamo raccolto rispettivamente 2.760 e 3.629 euro netti in una sola
giornata, abbiamo poleverizzato tanti record di “fighetti e femmenelle” da tornei con creste, polsini e cavigliere. Anche quest’anno, dopo aver sistemato i conti con tutti fornitori, è stato consegnato ad Omar Leone dell’Assistenza Domiciliare Pediatrica l’incasso netto della terza edizione della Carlito’s Cup: la somma devoluta in beneficenza è di ben 4200 euro, che rappresenta il record di offerte per una manifestazione di una sola giornata (la Carlito’s deteneva anche il record precedente). In queste tre edizioni la somma totale devoluta all’Assistenza Domiciliare Pediatrica supera gli undicimila euro. Il torneo, giocato il 9 maggio, ha visto la partecipazione di 16 squadre con circa 150 giocatori, la finale è stata vinta dal DC United che ha superato in finale I Bergogliosi; ma le questioni tecniche sono un dettaglio, infatti la Carlito’s è un torneo in cui il calcio è un semplice espediente per unire la gente, quello che conta è l’atmosfera di festa e di amicizia che si crea spontaneamente, sono i cori e le risate che portano ogni anno sempre più gente a stare insieme per ricordare Carlo, aiutando i bambini malati ad essere curati nel posto che amano di più, cioè casa loro. Carlito’s Cup, infatti, non è solo il torneo di calcio, ma è anche il trofeo George Best (che premia il miglior gioca-
tore) vinto dal giocatore più anziano della manifestazione, Giuseppe Crovato; Carlito’s Cup è il trofeo Pasquale Bruno (che premia il miglior gesto d’ignoranza calcistica) vinto da Nicola Furlanetto, capitano dei campioni in carica, che sbaglia un rigore apposta per consentire agli avversari di passare il turno; Carlito’s Cup è il trofeo Gazza Gascoigne (che premia l’ignoranza extracalcistica) vinto dagli ultras de I Bergogliosi che hanno offerto una cornice di striscioni e fumogeni degni di un derby sudamericano; Carlito’s Cup è il Trofeo Materasso, consegnato alla peggior squadra del torneo, la cui coppa però è molto più grande di quella per i vincitori finali. Oltre ai calciatori, è stato stimato un afflusso di oltre 400 persone, tra cui tantissimi bimbi. Sono stati distribuiti 250 piatti di pasta e 220 porzioni di pollo e patate annaffiati da ben 660 litri di birra, tutto questo in sole 12 ore. L’organizzazione dell’evento, oltre che grazie agli amici di
Carlo, è stata possibile grazie al decisivo aiuto dell’Associazione Festa in Piassa che ha messo a disposizione strutture e soprattutto volontari che, contagiati dall’atmosfera della Carlito’s, ormai fanno parte in pianta stabile dell’organizzazione. Infine la Carlito’s ha avuto un’eco altrettanto potente sulla pagina Facebook della manifestazione dove per giorni sono comparsi decine di foto e post di ringraziamento per l’ottima riuscita della giornata. Sempre legato a Facebook è il concorso “Spreading Carlito’s Worldwide” che raccoglie le foto fatte con addosso la maglia della manifestazione dai posti più impensabili del pianeta come il deserto di Dubai, Singapore, Giappone, Canada, Texas e Capo Verde. L’intenzione per i prossimi anni è di provare a ritoccare ulteriormente il record stabilito quest’anno, ma soprattutto di riunire di nuovo tantissime persone per aiutare chi ne ha bisogno e ricordare un grande amico.
PANKA NEWS
Quarant'anni di "Festa in Piassa" Ha attraversato la storia di Villanova, da dormitorio a quartiere vivo e protagonista di Associazione Festa in piassa Riassumere 40 anni di “Festa in Piassa Villanova” in 3000 battute non è certamente uno scherzo, perché “Festa in Piassa” non è un’entità ben definita. È la storia di un quartiere dormitorio a sud di Pordenone che a metà anni Settanta aveva più ombre che luci, ma
giovanissimi che varcano per la prima volta il cancello di via Pirandello 33, ogni giorno permette di dare vita alle molteplici iniziative di questa associazione. È senza dubbio sagra, anzi…Festa, che ormai da 40 anni anima le ultime due settimane di agosto tra
che ha saputo unirsi per risollevarsi e risplendere. È “piassa” (con la S e non con la Z!), perché nel 1975 non c’era altro punto di aggregazione in tutta la zona. È il centro sportivo “Armando Lupieri” (intitolato non a caso a una figura storica della nostra omonima associazione), struttura immersa nel verde che ospita gran parte delle attività associative. É gruppo calcio che ogni anno fa praticare lo sport più amato dagli italiani ai ragazzi del quartiere. È Babbo Natale, che dalle 17 di ogni 24 dicembre parte con i suoi aiutanti per consegnare i regali a tutti i bimbi buoni percorrendo le vie di Villanova. È esempio tangibile di valori come unione, volontariato, condivisione, gratuità, servizio, perché “tutti sono utili, ma nessuno è indispensabile”. È soprattutto gente che, a partire da quell’incontro al bar quasi casuale tra il prete del quartiere (don Romano Zovatto) e alcuni conoscenti, fino ad arrivare agli ultimi
costa, birra, tornei, liscio e spettacolari fuochi artificiali, che, con un filo di malinconia, decretano la fine della manifestazione e congiuntamente il termine dell’estate. È, infine, SkatePark, nato dall’idea di portare all’interno della Festa in Piassa una serie di serate con dj set per attrarre i molti ragazzi che, frequentando la sagra quasi abitualmente, se
ne andavano appena dopo cena non trovando una proposta adatta a loro. Per questo, dopo qualche anno di riflessione, alcuni tra i giovani “storici” dell’associazione hanno deciso di lanciarsi nell’organizzare una manciata di eventi nella nuova area skate, edificata a pochi passi dal centro sportivo. Queste semplici serate musicali allo SkatePark, senza troppe pretese, negli anni si sono moltiplicate di numero ed importanza, fino a diventare un riferimento per l'estate cittadina (basti pensare ai concerti live e ai contest di skate su scala nazionale). In tale contesto si è sviluppata la collaborazione con "i Ragazzi della Panchina", che quest’anno sono stati, per la sesta edizione consecutiva, graditissimi ospiti durante tutte e 12 le sere di festeggiamenti. L’iniziativa si è materializzata facilmente parlando con amicizie comuni: all’associazione è sembrato utile offrire l'opportunità ad una realtà legata al nostro territorio di dare il proprio contributo, dando modo ai ragazzi che frequentano le serate di informarsi sugli effetti delle sostanze, sulla prevenzione, sull’abuso di alcol e pure di divertirsi con quiz, videointerviste e giochi che i Ragazzi della Panchina hanno saputo ogni anno inventare. “Festa in Piassa Villanova” è, insomma, anche questo.
LA PANKA IN "PIASSA" Si è conclusa anche la Festa in Piassa 2015 caratterizzata da un dato quasi incredibile: il bel tempo, che ha permesso di poter realizzare tutto quello che c’era in programma con continuità ed un bel afflusso di gente. Tra la Festa e la Panka una collaborazione sempre fruttuosa, affettuosa, mai banale. Quest’anno le persone che si sono “affacciate” agli stand Panka sono state, più che negli altri anni, molto curiose ed hanno chiesto informazioni rispetto a leggi, dati, pericoli, modalità di assunzione di sostanze ed alcol. In molti, inoltre, hanno esplicitato la bontà del servizio che proponevamo e in due occasioni abbiamo ricevuto l’invito a partecipare con lo stand ad altri eventi pubblici. Meravigliosamente bene ha funzionato il gioco “Ma quante ne sai..?” : un torneo a gironi, in cui si doveva rispondere a 20 domande sia di cultura generale, che sulle sostanze e sulle malattie sessualmente trasmissibili. Un po’ di dati finali per quantificare la nostra presenza: siamo stati aperti 7 serate dalle ore 21 all’una di notte; si sono alternati nella gestione degli spazi 4 operatori Panka, una tirocinante, due educatrici del Ser.T e 2 volontari. Abbiamo distribuito oltre 50 cartoline informative, altrettanti volantini e circa 70 giornali “Libertà di Parola”; abbiamo effettuato 186 alcol test gratuiti; abbiamo realizzato 13 tornei del gioco per un totale di 104 partecipanti. E’ vero che i numeri dicono ma non raccontano, ma è anche vero che questi numeri raccontano da soli di una nostra presenza diventata ormai importante, sia per chi ne usufruisce e sia per chi la propone. Grazie a tutti quindi! Un grazie che potrebbe sembrare banale ma, essendo detto dal cuore, è un grazie colmo di gioia.
CELOX Giugno 2015, per l’Europa sono giorni di fibrillazione. La Grecia è chiamata al pagamento del debito col F.M.I, il Fondo monetario internazionale. Le banche greche sono senza liquidità; è un impegno che il premier greco, Alexīs Tsipras, non si sente di prendere. Segue perciò l’indizione di un referendum con l’ovvia vittoria del no (oltre il 60%). Qui si aprono scenari e prospettive tutt’altro che piacevoli, tra cui l’uscita dall’euro della Grecia o l’eventuale bancarotta. In Italia euroscettici e nazionalisti assortiti “se la ridono”. Alcuni evocano i fasti (tralasciando i nefasti) della lira. Intanto l’euro si deprezza e le borse entrano in un’altalena al ribasso che brucia svariati miliardi. Alla fine prevale il buon senso e la B.C.E, la Banca centrale europea, immette una robusta dose di liquidità, che per la maggior parte verrà usata per il pagamento del debito, riportando la calma nella zona euro. La questione greca ci mette davanti alcuni interrogativi: perché non è stato creato prima il fondo salva stati e non si è dato alla B.C.E. una maggior capacità di intervento? Si sarebbero risparmiati un sacco di tempo, energie e denaro. Le eventuali alternative all’iniezione di capitale erano impraticabili (uscita dall’euro o bancarotta) perché avrebbero condannato la Grecia, già duramente provata, a un ventennio di stenti. Io mi chiedo: ha ancora senso un’Europa incentrata sull’euro e suoi parametri? No! Primo. La rigidità dei parametri e la strada del rigore (un po’ eccessivo) hanno messo un freno all’economia già traballante di alcuni paesi e rallentato la ripresa di altri. Secondo. Ormai da tempo l’Europa avrebbe dovuto ripensarsi. Ispirata dall’idea iniziale della C.E.C.A. (Comunità europea carbone acciaio) creata per agevolare ricostruzione e sviluppo post-bellico e legare così le Nazioni con rapporti economici per evitare guerre, l’Unione europea nasce nel 1957 con il trattato di Roma, si evolve poi in M.E.C. (Mercato comune europeo) fino ad arrivare al trattato di Maastrich del 1992 e le direttive per l’unione monetaria. Il processo di unione è stato lungo, ma ha sempre mantenuto una visione commerciale economica. Non si è mosso cioè verso un’Europa unica per davvero, nella quale ci siano le stesse leggi su cor-
Serve un’Europa più consapevole del suo ruolo Il caso Grecia induce alla riflessione. Il punto sull’Unione europea oggi di Emanuele Celotto ruzione, falso in bilancio ed altro ancora, un’unica tassazione per le imprese tale da evitare la delocalizzazione in Paesi, come ad oggi sono ad esempio Romania e Irlanda, dove i tassi sono più favorevoli. Ma l’Europa dovrebbe anche avere politiche eco-
logico-ambientali, energetiche, di difesa, di gestione dell’immigrazione… comuni. Certo, alcuni poteri li ha già, ma per lo più emette direttive che poi gli stati “dovrebbero” applicare; non ha sufficienti poteri legislativo-esecutivi utili ad arrivare ad un vera
Unione europea, quasi una sorta di Stati Uniti europei. Insomma, a mio avviso, serve una minor centralità degli Stati e un maggior potere all’Europa. Un esempio? L’Europa dovrebbe difendere e promuovere l’integrità dei prodotti territoriali invece di legiferare (un clamoroso autogol) su questioni che sono strettamente nazionali come gli O.G.M. o il latte in polvere nei prodotti caseari, che finiscono solo per alimentare il mercato dei “tarocchi”. Basti pensare che il made in Italy fattura una sessantina di miliardi e il tarocco del made in Italy oltre cento; sarà compito dell’Italia spingere l’Europa verso la difesa dei suoi prodotti. Per ora le ultime decisioni dell’Europa non vanno in questa direzione. Morale: serve un’Europa che sia consapevole del suo ruolo e dei cambiamenti che si sono creati. Ormai la crisi riguarda tutta la zona euro e visto che, volenti o nolenti, siamo tutti legati, tentare delle strade comuni per uscire dalla situazione attuale mi appare l’unica soluzione. La ripresa sarà più lenta, non solo per Grecia, Italia o altri Paesi, ma per tutta l’area euro e comunque non si potrà più arrivare al livello (non eccezionale) precrisi. Che sia arrivato il momento di ripensare al sistema economico consumistico che per tanti anni ci ha accompagnato? Magari questo porterebbe finalmente ad un’Europa dei cittadini, un’Europa “a misura d’uomo”. Sia l’Italia che gli italiani hanno un gran bisogno di “europizzarsi” su tanti settori, soprattutto l’industria. Devo aggiungere un dato non da poco: l’occidente (Europa più U.S.A.) non ha più la maggioranza del P.I.L. mondiale, ma è stato superato dal resto del mondo. La continua crescita economica, adesso un po’ rallentata, degli stati emergenti, il T.R.I.C. (Turchia Russia India Cina), ha spostato gli equilibri economico-industriali, per cui L’Europa deve ripensare se stessa non solo in ottica europea, ma anche nel suo ruolo nel mondo. Un mondo che nel 2025 (non manca tanto) avrà oltre 8 miliardi di persone; un imput a intensificare le forze per la salvaguardia delle risorse e delle biodiversità del pianeta, spingere sempre più all’utilizzo di energie pulite. «L’ambiente non è un’opinione ma una cosa che riguarda tutti!» ha detto Barack Obama.
Hanno collaborato a questo numero
LDP - LIBERTÁ DI PAROLA Giornale di strada dei Ragazzi della Panchina ad uscita trimestrale o quasi
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Guerrino Faggiani Se è vero che della nascita non ci si ricorda nulla, chiedetelo a lui, vi saprà raccontare ogni secondo, è rinato nel 2007! Da cinque anni con la Panka cavalca la vita, non tanto per saltare gli ostacoli, ma proprio per abbatterli
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Irene Vendrame E’ arrivata in redazione una cucciola! Giovanissima, timida e delicata, ma altrettanto determinata e ambiziosa. Sogna di diventare una famosa giornalista come Oriana Fallaci, così è stata arruolata da LDP per farsi le ossa. Benvenuta Irene!
Alain Sacilotto Avete presente l'espressione "Bronsa coverta"? Eccola qua la nostra nuova penna! La sua timidezza nasconde un infuocata sete di sapere! Dietro ogni ostacolo c'è un domani, dentro ogni persona ci può essere una miniera di gemme preziose. Lui ne è l'esempio: forza, coraggio, acume e personalità da vendere. Del resto solo così si può essere amanti del verde evidenziatore e innamorati fedelmente dei colori Giallo-Blu del Parma Calcio. Che dire... Chapeau!
Registrazione presso il Tribunale di Pordenone N. R. G. 1719/2008 N. Reg. Stampa 10 del 24.01.2009 Direttore Responsabile Milena Bidinost Capo Redattore Guerrino Faggiani Redazione Marco Ciot, Flavio Moro, Massimo, Paolo, Alessandro, Mauro Paludetto, Chanel Giacomelli, Patty Isola, Franca Merlo, Paola Doretto, Rafael, Cristina Colautti, Irene Vendrame, Alain Sacilotto, Andrea Lenardon, Pasquale Bruno, Associazione Festa in Piassa, Emanuele Celotto, Stefano Venuto, Chiara Zorzi. Editore Associazione i Ragazzi della Panchina ONLUS Via Selvatico 26, 33170 Pordenone Creazione grafica Maurizio Poletto Impaginazione Ada Moznich
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Cristina Colautti È arrivata in sede in punta di piedi, adesso non le sfugge niente, anzi. Dottoressa in sociologia Bis, porta a casa un 110 e lode a mani besse! Pare che “ansia” sia il suo secondo nome, ed infatti è la nostra donna per Codice a s-barre, così almeno lì, si sente al sicuro!
Chiara Zorzi S: "Chiara, guarda che bella frase che ho scritto!" C: ”bella ma non si scrive così...” S: "ok non è perfetta ma il senso poetico..." C: ”...si bello, ma non si scrive così in Italiano!” S: "Quindi?" C: “tienila, ma non è giusta!”. Quando scorri, la consapevolezza del limite, che scorre con te, è vitale. Grazie Chiara
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Milena Bidinost Il direttore non si discute, si ama. Penna libera, riesce ad immergersi nella bolgia dell’Associazione con delicatezza e costanza, impegno ed esperienza. Quando le parli ti chiedi se le tue parole finiranno in un articolo! Ma confidiamo nella sua amicizia
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Mauro Paludetto Durante qualche giornata afosa, nel tentativo di un refrigerio si tuffa con tanto di carpiatura, ma non c’è acqua ad attenderlo… Per lo stile voto 8, ingresso in acqua 2, punti totali (in fronte) 10! Disponibile con tutti e tutti disponibili alla sua disponibilità, resta in credito finanziario all’infinito, ma con il sorriso stampato guarda al domani, e via..
Rafael Proviene da mondi caldi, riempiti da musiche, danze, sorrisi e sole. Arriva a Pordenone.. e capirete bene che una persona, in un modo o nell’altro, qualcosa si deve inventare! Entra in sede con delicatezza, disponibilità e vestiti puliti.. nuovo educatore della sede? chiedono i più.. lui sorride e dice: no, già sofferto abbastanza!
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Manuele Celotto Scrittore, nuotatore, scacchista, attore. Presenza morbida e mai sopra le righe, nonostante questo difficilmente non fa quello che pensa. Con la caricatura l’omaggio dell’affetto per lui nella folta chioma, ormai ricordo di antichi fasti e disavventure inenarrabili
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Franca Merlo Presidentessa onoraria dell’Associazione affronta la vita come una eterna sperimentazione. Oggi è a Londra, più avanti.. si vedrà. Non manca mai di commentare il blog, non manca mai di sentirsi Panchinara, ovunque sia.
Andrea Lenardon Tirocinante, educatore, psicologo, operatore psichiatrico, giocatore di calcetto da tavolo, giocatore di Ping Pong, amico. Si arriva alla Panchina per un motivo, si fanno mille altre cose, si vivono mille mondi, diventi mille vite. Il tirocinio finisce ed un po’ non finisce mai, se ne andrà dalla Panka ed un po’ non se ne andrà mai.
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Stefano Venuto Mimica facciale e gestualità ne fanno un perfetto attore! Lui però ha deciso di rinunciare alla fama per concedersi a noi. Magistrale operatore, tanto da confondere le idee e mettere il dubbio che lo sia veramente, penna delicata e poetica del blog, chietegli tutto, ma non appuntamenti dopo le 18.00!
La sede dei Ragazzi della Panchina é aperta dal lunedí al venerdí dalle ore 13:00 alle 18:00
LA LIBERTA' NON E' UNO SPAZIO LIBERO, LIBERTA' E' PARTECIPAZIONE GIORGIO GABER
I RAGAZZI DELLA PANCHINA CAMPAGNA PER LA SENSIBILIZZAZIONE E INTEGRAZIONE SOCIALE DE I RAGAZZI DELLA PANCHINA