LDP 3/2017

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APPROFONDIMENTO

Il classico scritto da me

Libertá di Parola 3/2017 ——

Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire)

Venzone Borgo dei Borghi 2017 Laura Londero

IL BELLO DEI BORGHI

In Friuli Venezia Giulia ce ne sono dieci, sei dei quali nel Pordenonese di Stefano Padovan, coordinamento regionale FVG Borghi più belli d'Italia Venzone, in Friuli, è il borgo più bello d’Italia 2017: è stato eletto durante la trasmissione “Il borgo dei borghi” di Rai3, piccola costola del programma televisivo Il Kilimangiaro, mettendo d'accordo pubblico e giuria. È solamente uno dei dieci borghi antichi del Friuli Venezia Giulia, sei dei quali si trovano nella Destra al Tagliamento, meta di turismo alla riscoperta di arte, natura e tradizioni. La particolarità

dei dieci borghi della rete del Friuli Venezia Giulia è quella di avere scelto di lavorare insieme, di fare sistema, con risultati in termini di presenza turistica che si stanno facendo molto apprezzare (www. borghibellifvg.it). Nel marzo del 2001 nasceva il Club de I Borghi più Belli d’Italia, su impulso dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI). Questa iniziativa è sorta dall’esigenza di valoriz-

In occasione di Pordenonelegge 2017, I Ragazzi della Panchina hanno indetto il loro primo concorso letterario, “Il classico scritto da me”. Spazio quindi agli aspiranti scrittori di casa nostra, che si sono cimentati nella scrittura di racconti inediti ispirati ai titoli dei grandi classici. Nell'approfondimento, i migliori elaborati scelti dalla redazione di Libertà di Parola. a pagina 7

zare il grande patrimonio di storia, arte, cultura, ambiente e tradizioni presente nei piccoli centri italiani – e anche del Friuli Venezia Giulia, che sono, per la grande parte, ancora ingiustamente emarginati dai flussi dei visitatori e dei turisti. Per essere ammesso nel Club, ogni Comune deve soddisfare alcuni criteri, molto rigorosi e selettivi. Anzitutto deve avere una popolazione che nel Borgo antico del Comune o nella frazione indicata non superi i duemila abitanti. Nel Comune - complessivamente - non si possono poi superare i 15.000 abitanti. Deve poi possedere un patrimonio architettonico e/o naturale certificato dal Comune o dalla Soprintendenza. In terzo luogo, il borgo deve non solo offrire un patrimonio che si faccia apprezzare per qualità urbanistica e architettonica, ma anche manifestare, attraverso fatti concreti, una volontà e una politica di valorizzazione, sviluppo, promozione e animazione del proprio patrimonio, misurabili secondo criteri di valorizzazione, sviluppo, promozione e animazione. Infine, queste caratteristiche, che vanno verificate attentamente attraverso una prima visita di certificazione, vanno anche mantenute nel tempo, pena l’espulsione dal club. Certo, i Borghi più Belli d’Italia non si propongono come dei “paradisi in Terra”, ma sperano che le sempre più numerose persone che ritornano a vivere nei piccoli centri storici ed i visitatori che sono interessati a conoscerli possano trovare quelle atmosfere, quegli odori e quei sapori che fanno diventare “la tipicità” un modello di vita che vale la pena di “gustare” con tutti i sensi.

INVIATI NEL MONDO

In Colombia, nella terra del narcotraffico a pagina 11

PANKAKULTURA

Il Piccolo Teatro di Sacile porterà in scena “Fortunio”, commedia dimenticata del 1593 a pagina 12

PANKAROCK

I californiani Offspring al Lignano Sunset Festival a pagina 12

NON SOLO SPORT

Pionieri dello Slackline a Pordenone a pagina 14

PANKARAMARRI

Passione Neroverde. Gioie e dolori dei campionati del Pordenone a pagina 16


IL TEMA

Le sei perle della Destra Tagliamento Storia, architettura, natura, prodotti tipici ed eventi alla base del fascino dei borghi storici del nostro territorio a cura di Chiara Zorzi e Giorgio Achino Polcenigo - Acque fresche e ritmi lenti Un borgo figlio di contadini, tagliapietre e cestai, con nove chiese, vari palazzi storici e il ricordo di un vecchio maniero che i conti del luogo

devoti pellegrinaggi da zone anche lontane per chiedere fertilità, salute e pioggia. Vi sorge accanto il grande santuario della Santissima Trinità che conserva una magnifica icona lignea, scolpita e dipinta, di Domenico da Tolmezzo,

Polcenigo, Luigi Esposito

trasformarono in palazzo veneziano del Settecento: ecco Polcenigo, territorio ricco di sorgenti e corsi d’acqua, da scoprire poco a poco e con ritmi lenti. Molte le cose da vedere, tra le quali il Parco rurale di San Floriano, che si estende su una superficie di 40 ettari ed è l’unico esempio di parco naturale e rurale in Italia. La sorgente del Gorgazzo, affluente del Livenza, è alimentata dalle acque che, inabissatesi nelle fenditure dell’altopiano del Cansiglio o del Monte Cavallo, riappaiono in superficie. Infine, nella zona umida tra i comuni di Caneva e Polcenigo, a valle del Livenza, si trova il sito palafitticolo del Palù di Livenza risalente al Paleolitico (4900 a.C. ca.). A pochi passi dal centro, in località Coltura, sgorga la scenografica sorgente della Santissima che forma, con successivi affioramenti, il corso del Livenza. Fin dai tempi remoti è stata sede di riti propiziatori legati alla sacralità delle acque e meta di

datata 1494. Nel centro di Polcenigo la prima domenica di settembre si svolge un’antica e frequentata manifestazione, la Sagra dei Thést (cesti): tipica infatti del borgo è la lavorazione del vimini. Poffabro - La magia della pietra e del legno Poffabro è un museo a cielo aperto nel cuore della Val Colvera, alle pendici del Monte Raut; un’opera umana unica, incastonata nella natura. Il borgo vanta un’ineguagliabile architettura spontanea, dove la severità della pietra tagliata a vivo e degli archi in sasso è riscaldata da finestre e ballatoi in legno. L’insieme è un armonioso movimento di piani rialzati, scalinate tortuose e semplici pilastri che si rincorrono a formare case di pianta cinqueseicentesca poste in linea o avviluppate in corti interne. Il risultato è uno scrigno appartato dove gli abitanti hanno mantenuto vive le tradizioni

passate. L’isolamento della valle contribuì a sviluppare una sapiente manualità. Ancor oggi si producono oggetti d’uso quotidiano in legno e vimini e i graziosi “scarpéti”, le tipiche calzature del luogo in velluto. “Poffabro, presepe fra i presepi” è il suggestivo appuntamento che ha luogo ogni inverno da metà dicembre a metà gennaio. Da Poffabro si diramano inoltre numerosi sentieri di montagna. Il territorio del Comune rientra in parte nel Parco Regionale delle Dolomiti Friulane, ricco di straordinari paesaggi. Quanto alla storia, la temibile Santa Inquisizione qui vi celebrò un processo (1648-1650) contro alcune streghe che pare si radunassero ogni giovedì per il sabba nel prato del Mangustât, dietro il monte Ràut. Del resto questa è terra di orchi, folletti e “anguani”, creature d’acqua che alternano sembianze ogni tre giorni: ora donne bellissime, ora viscide serpi. Valvasone Arzene - Piccolo mondo antico È un piccolo paese compatto, con gioielli architettonici medievali, rinascimentali e del

’600 - ‘700, il cui centro urbano si è sviluppato sulla riva destra del fiume Tagliamento, in prossimità di un antico guado. Nella sua piazza sorge il castello che oggi appare come un edificio massiccio privo di quelle torri, quelle cinte merlate e quei ponti levatoi che lo caratterizzarono in passato. In fase di ristrutturazione, il vasto complesso appare il frutto di stratificazioni successive. Al posto d’onore vi è il duomo, che sorse a partire dal 1449 in stile tardoromanico, fu arredato nel corso del secolo successivo e ristrutturato a fondo a fine ’800 in stile neogotico, con numerosi elementi lignei sostituiti dal marmo e una nuova facciata. La chiesa ospita un organo del ’500 perfettamente funzionante, l’unico superstite ancora esistente in Italia della famosa tradizione cinquecentesca veneziana. I conti di Valvasone, fra gli illustri ospiti, accolsero anche Napoleone Bonaparte Valvasone, Armando Zilli


a cui riservarono la sala bianca del castello e un ricchissimo banchetto nei giorni della decisiva battaglia del 1797 che pose fine alla Repubblica di Venezia. Un vero e proprio ritorno al Medioevo si vive durante la rievocazione storica di Valvasone, imperdibile appuntamento che si tiene ogni secondo fine settimana di settembre tra le piazze e le calle del borgo. Da assaggiare il formaggio di latteria realizzato alla maniera di un tempo, con latte crudo non pastorizzato e proveniente da piccole stalle con mucche alimentate secondo tradizione. Sesto al Reghena - Nella terra degli abati Nella bassa pianura friulana al confine col Veneto, campi coltivati lungo l’antica strada romana annunciano la terra degli abati, ricca di verde e di acque. Verso la metà dell’VIII secolo, nell’ultima fase dell’età longobarda, tre fratelli fondarono l’abbazia benedettina di Santa Maria di Sesto, che dalle rive del Reghena avrebbe diffuso potere, spiritualità e arte. Dotarono il monastero sestense di tutte le vaste proprietà che possedevano in Friuli, tra Tagliamento e Livenza, ma anche nel Veronese e persino nelle Marche. Nasceva la più grande istituzione monastica nella storia del Friuli. L’Abbazia ancora oggi incanta il visitatore. Piazza Castello custodisce gli edifici più antichi e prestigiosi del borgo abbaziale. La torre campanaria, innalzata probabilmente nell’XI¬XII secolo è, assieme a Torre Grimani, l’unica altra superstite delle sette torri che difendevano il cenobio. Vivace la vita del borgo: ogni due anni, alla vigilia di Natale e nel pomeriggio di Santo Stefano, l’Abba-

Sesto al Reghena, Cosimo Barletta

settembre si organizza il “Settembre in Villa – Portoni Aperti”, tra gli eventi più importanti in regione. Cordovado - Nella quiete della campagna romana

Toppo, Pablo Abbate

zia diventa lo scenario unico per la narrazione del Presepe Vivente. Più di duecento figuranti, oltre a decine di animali, fanno rivivere nel borgo e nel parco abbaziale la Storia delle Storie. Nel mese di maggio i migliori espositori italiani di oggetti di modernariato danno vita a Sexto Vintage, mentre le notti d’estate regalano la rassegna Sextonplugged, con la migliore musica indipendente internazionale. Da non perdere, l'assaggio dei “bussolà”, i biscotti che la tradizione veneta ha lasciato in eredità a Sesto, dopo che il borgo è entrato nell’orbita della Serenissima.

per gli affari della famiglia Toppo. Il portone d’ingresso reca incisa sull’architrave una curiosa formula di benvenuto in latino, che tradotta significa: “Se sono chiusa vengo aperta ai cattivi, se sono aperta mi chiudo ai buoni.

Un paesaggio di quiete agreste, in cui attività e costruzioni non hanno deturpato la serena bellezza del centro storico. Cordovado, piccolo angolo di pianura friulana tra il Tagliamento e il Livenza, sorge su una campagna ottocentesca disseminata di casali e borghi, coperta di vigneti e biondeggiante di spighe. Il paesaggio rimanda alle “Confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo, dov’è citata la Fontana di Venchiaredo: da uno dei personaggi letterari, “Spaccafumo”, ha inoltre preso il nome il dolce artigianale del borgo, fatto con fichi secchi, uvetta, noci, nocciole,

Toppo - Anima rurale Caratteristica unica di Toppo è la persistenza della memoria dei masi medievali, case rurali a conduzione familiare. Nel Cinquecento c'erano venticinque masi e, in almeno tre casi, la loro sede era occupata da insediamenti di epoca romana. Da uno di questi masi nel XVI secolo si è sviluppato il Palazzo Toppo-Wassermann, ai piedi del castello. Rimaneggiato nel Settecento, l’edificio era sede amministrativa

Cordovado, Paolo Sambo

1543”. Interessante esempio di archeologia industriale, la fornace fu invece costruita nel 1926: chiusa nel 1957, è stata recentemente restaurata. Secondo una leggenda, il nucleo originario di Toppo si trovava più a sud, intorno alla Madonna del Carmine; all’arrivo di Attila gli abitanti sarebbero fuggiti, cercando riparo alle pendici del monte Ciaurlec e dando vita all’attuale paese. La storia e l'architettura si fondono, anche in questo borgo, con cucina, natura ed eventi. Il prodotto tipico è il formaggio salato, cremoso, morbido, maturato in una particolare salamoia di acqua, sale, latte e panna, conservata in tini di larice. I numerosi sentieri attorno al borgo si prestano per camminate in montagna e sotto il castello di Toppo c'è un campo attrezzato per l’atterraggio di chi si lancia in parapendio deltaplano dal monte Valìnis. Il secondo fine settimana di

pinoli, mandorle, arancini e miele. E' molto probabile che Cordovado fosse fortezza vescovile già prima del Mille perché era in posizione strategica rispetto ai vicini possedimenti dell’abbazia di Sesto, legata al patriarca, con cui ci fu perenne conflitto. Il primo documento nel quale il borgo è nominato è una bolla di Papa Urbano III del 1186: vi è indicato come facente parte dei beni del vescovo di Concordia. Nello stesso scritto si cita anche una preesistente pieve di Sant’Andrea che forse risaliva al IV¬V secolo. Il castello vero e proprio invece fu citato ufficialmente solo nel 1276 perché vi ebbe luogo l’investitura dell’abate di Sesto. La prima domenica di settembre Cordovado si immerge nella storia con la “Rievocazione Storica e Palio dei Rioni” organizzata dalla Pro Loco in collaborazione con i rioni Borgo Saccudello, Suzzolins e Villa Belvedere.


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La stagione dell’arrampicata «Dopo anni, di nuovo in cordata: ho provato a me stesso che il mio fisico e la mia mente, che in passato ho maltrattato, ci sono ancora» di Andrea S. Finalmente era arrivato il momento per me: la stagione giusta per l’arrampicata. L'aspettavo da tanto perché ero curioso di vedere come reagiva il mio fisico dopo anni di maltrattamenti con sostanze e veleni vari. Ho 50 anni, in ottobre ne compio 51, sono Hiv positivo e, ringraziando chi sta sopra di noi, non ho avuto problemi con la malattia. Questa prova di arrampicata per me è stata una sorta di “studio” del mio corpo, della mia mente, dei miei limiti e un rimettermi in gioco. La prima uscita in falesia è stata molto gratificante: con la mente ero pronto e sapevo cosa dovevo affrontare. Il grande punto di domanda era come il fisico avrebbe risposto in parete. Mi preparai: imbrago, caschetto ben allacciato e partii. Non

mi impressionò che la mia vita fosse appesa ad una corda e che sotto di me ci fosse una persona che mi faceva sicura: non era la prima volta che arrampicavo, ma di tempo ne era passato un bel po’. Mentre arrampicavo ero molto concentrato su me stesso, mi trovavo gli appigli da me come avevo sempre fatto, g u a rd a n d o in giù e vedevo le persone sempre più piccole. S i g n i f i c a va che stavo arrivando piano piano alla catena di fine via. Du-

rante la salita rimasi in ascolto di me: la forza, il fiato, il battito cardiaco, come rispondevano braccia e gambe e mi stupii della facilità con la quale salivo e scendevo. «Bravo Andrea - mi dissi - non sei ancora una macchina da rottamare» e questo, da quel giorno, mi

Pregi e difetti di Facebook «Ho scoperto questo social network a quasi cinquanta anni: come nella vita reale ti devi muovere con i piedi di piombo. Se lo fai, ti regala belle amicizie» di Antonio Zani Ho scoperto Facebook a quasi cinquant’anni per causa di forza maggiore in un periodo in cui mi son trovato con tanto, troppo tempo libero da riempire. Avevo bisogno di non pensare, quindi mi immergevo nella lettura, entrando in contesti che nulla avevano a che fare con la mia vita reale, o in Facebook, creandomi così una vita virtuale. Di punto in bianco con l’aiuto di un amico ho creato un account e assieme a lui ho mosso i primi passi virtuali. Con il tempo ho imparato a navigare, ho iniziato a crearmi le mie prime amici-

zie e a chattare con loro; era un mezzo che mi permetteva di rimanere in contatto con il mondo esterno e combattere così la mia obbligata solitudine. Non è stato tutto “rose e fiori”: il mondo virtuale è colmo di trabocchetti. Non sono mancate infatti le intromissioni di donne che offrivano sesso virtuale a pagamento e nemmeno amicizie che si proponevano sotto mentite spoglie. Io mi son proposto per quel che sono e direi che mi è andata bene; diciamo che sono riuscito a gestire questo mezzo di comunicazione virtuale nel modo corret-

to, senza farmi buggerare e senza divenirne dipendente. Facebook mi ha fatto trascorrere parecchio tempo in serenità, mi ha fatto svagare e al tempo stesso conoscere molte realtà e persone diverse; con il tempo sono riuscito a traslare dal virtuale al reale alcune amicizie che ora fanno parte della mia vita quotidiana. Ho portato alla vita reale bei profili, tra i quali Milena di Reggio Emilia e qualche altro che tuttora continuo a sentire via chat oppure al telefono per parlare di cose di vita. Abbiamo anche organizzato un incontro per passare insie-

dette la forza e il coraggio per affrontare vie più difficili. Mi sento un po’ in colpa con la montagna perché l’ho usata come un check-up medico, ma non potevo fare altro. Quando si arrampica gli errori non sono ammessi, ci si potrebbe fare del male. L’operazione è andata a buon termine: ci sono. Del mio passato recrimino quanto sia stato incosciente a farmi del male, ma ora ci sono e in montagna sto bene, è il mio abitat naturale e mi piacerebbe viverci per immergermi ancora di più in una profonda simbiosi con la natura. Andare in montagna non è scappare dalla realtà, ma aprirmi a lei, ascoltandola, ascoltando il mio corpo e ascoltando chi mi accompagna. Fare sicura significa affidare letteralmente la vita al tuo compagno di cordata e ricevere nelle tue mani la sua. Tutto ciò mi gratifica. La responsabilità e la fiducia sono alla base di questa attività sportiva, che non si finisce mai di imparare. Ringrazio Ennio e Paola per la cura e la dedizione con cui costantemente preparano il momento di ristoro dopo l’attività in falesia: anche questo è prendersi cura degli altri. me qualche ora e poterci cosi stringere la mano e guardare negli occhi. Poi c’è Cristiana di Cavarzere che è diventata un’amica del cuore e alla quale voglio bene come ad una sorella: tra noi al telefono c’è sempre una bella parola, un consiglio, un conforto in un momento di scoramento; insomma, non siamo vicini, ma sappiamo che ci siamo l’uno per l’altra senza secondi fini ed è stupendo così. In questo social network bisogna andarci con i piedi di piombo e non buttarcisi a capofitto, la fregatura sta sempre dietro l’angolo. Non bisogna crearsi false aspettative, ma saper valutare e cogliere solo quel poco che di vero c’è perché c’è, esiste come esiste tanta falsità, ma su questo che differenza c’è tra il virtuale ed il reale? Forse che nella vita di tutti i giorni i trabocchetti e le falsità non esistono? Assolutamente no, esistono eccome, bisogna solo sapersi muovere e non mettere il piede in fallo per non farsi male; ecco, secondo me facebook altro non è che uno spaccato della nostra società odierna traslato nel virtuale. Bisogna sapersi muovere per non rimanere scottati, tutto qui.


Il potere del fantacalcio È un gioco di condivisione che stimola lo spirito di gruppo di Alain Sacilotto

lio. Il dato più bello però è che ci sono una miriade di piccole leghe private, gruppi di amici che decidono di mettersi in gioco e creano un campionato tra di loro, personalizzandolo come preferiscono. Le regole sono infinite e agli interessati consigliamo una breve ricerca su internet. Ciò che conta di più però è senza dubbio la condivisione tra amici e il senso di gruppo che si creano. Tre anni fa io e un gruppo di amici abbiamo fondato il "Fantabombers", ovvero la nostra lega. L'intento con cui siamo nati è stato proprio quello di creare un gruppo che condividesse il piacere e il senso dello stare insieme, il resto è secondario. Siamo partiti da otto membri per arrivare agli attuali dodici, ampliarci ha significato il conoscere nuove persone e rendere più appassionante la sfida. Da noi tutti vogliono vincere, ma non perchè ci siano soldi in palio o megapremi, è una questione di gloria ed orgoglio personale. Dopo un anno di lotte, gioie e delusioni, il vincitore, riceve un piccolo premio che simbolicamente gli viene pagato e consegnato dai giocatori retrocessi, i quali - per l'onta di essere arrivati ultimi - devono cambiare nome alla

Il week-end si avvicina, il countdown inizia a creare ansia. Impazzano i dubbi, i riti scaramantici, le tattiche prepartita e le gufate su whatsapp. Iniziano le partite di serie A. Le dita snocciolano i grani del rosario oppure le collane d'aglio o di peperoncino e ognuno si affida ai propri idoli, sperando

non deludano. La gioia di un gol e la delusione di un autogol, un rigore sbagliato che fa imprecare e un rigore parato che fa sognare. Tutto questo fa parte del mondo del fantacalcio. Il fantacalcio è un gioco che impazza in Italia da quasi vent'anni. Ci sono addirittura tornei nazionali con grossi premi in pa-

Prerogativa dell’uomo, fin dall’inizio dei tempi, è il senso di mistero presente in ogni frangente: le strutture sulle quali si basa la conoscenza vengono avvertite come precarie, la coesistenza di Realtà e Assoluto non appare possibile. L’individuo compare privo di un bagaglio di certezze pre-acquisite, ossia ciò che empiricamente si può notare limitatamente al campo d’azione percepibile umanamente. Non è concesso trattare di ciò che è la Vita, la “Vera Realtà”, per ignoranza: ogni istante è impregnato di dubbio, il motore delle azioni umane è una costante interrogazione e questa è un aspetto dell’esistenza che non può essere scisso dal concetto di homo sum. L’uomo privo di dubbi è un essere alienato, e l’alienazione può rappresentare solo un temporaneo porto di salvezza per l’anima in pena: si rinuncia alla Ricerca non da disillusi, ma da assenti. E l’uomo, in quanto presente, non può concedersi attimi eccessivamente lunghi di Nulla. Oggi l’individuo, per concentrare tutte le energie nella vita quotidiana, è cos-

La filosofia, strumento di ricerca umana senza certezze Non trovando la vera chiave di lettura della vita, l'Uomo vacilla tra dubbi esistenziali ed esperienze empiriche di Marlene Prosdocimo tretto a recidere la radice di dubbio tramite la quale non potrebbe adattarsi pienamente alla frenesia e alla finzione che spesso richiede, ad esempio, il mondo del lavoro. Il libero pensatore è pericoloso perché può dedicarsi esclusivamente all’Amore verso il Sapere, alla Filosofia puramente teoretica senza venir contaminato da ciò che può creare interferenza. Ma è davvero questo lo scopo dell’Uomo? Da sempre si è cercato

il motivo dell’esistenza della fatica e del lavoro: il senso di appagamento provato dopo aver svolto una mansione forse suggerisce - in un’ottica prettamente finalistica, ossia volta ad analizzare i fatti in funzione di un fine - che l’uomo non è destinato solo al pensiero, non deve disdegnare l’azione svolta all’interno del mondo sensibile. Ma nemmeno questa funge da certezza: scovare le cause e i fini può condurre in errore,

squadra l'anno dopo. L'anno si conclude con una grigliata finale dove si sprecano le prese in giro, ma regna il buon umore. Il campionato inizia con un'asta che serve a creare le formazioni e può durare diverse ore. È un momento fantastico, forse il più bello, dove attorno ad un tavolo, tutti gli allenatori si danno battaglia a colpi di cash virtuali per comprare i giocatori desiderati. Quel giorno ci si sente dei veri sceicchi e si gettano le basi fondamentali per una annata da leoni o da agnelli. In ogni caso, riflettendo seriamente, è veramente bello notare come nel nostro gruppo si creino relazioni e si aspetti il week end per trovarsi tutti, anche se via telefono, uniti per un gioco che può aiutare a dimenticare le rogne della realtà e portare un po' di sana distrazione e divertimento. I problemi reali purtroppo restano però il "Fantabombers" può essere quella zona franca dove regna l'entusiamo dei bambini e grazie alle dinamiche di gruppo ognuno si ricarica perchè in fondo, come diceva Aristotele, siamo sempre animali sociali e, aggiungiamo noi, esultare per un gol a volte può essere più terapeutico di molte altre cose.

e forse l’errore più grande risiede proprio nel pensare ad una causa e un fine. Non appare chiaro neanche il perché si continui da millenni a non accettare il fatto di Essere come un postulato, un dato autosufficiente: d’altronde, non capendo quale sia l’esatta chiave di lettura della vita, l’uomo prova a costruire un percorso personale di esperienza e vi si conforma per comprendere quali possa considerare successi e quali sconfitte, quali valori assoluti e quali relativi. La Filosofia offre la consapevolezza delle falle umane guidando nella tenebra, senza però garantire un lume che sia con certezza un lume.


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La salute dovrebbe cominciare a tavola Le conseguenze dello sfruttamento delle risorse della Terra sulla nostra alimentazione di Manuele Celotto L’ultimo decennio ci ha visti impegnati a contrastare la crisi. Ci siamo così dimenticati della cosa più importante, l’ambiente, ovvero del progressivo scioglimento delle calotte polari, dell'innalzamento dei mari con la parziale o totale scomparsa di alcune terre o isole, della desertificazione e della deforestazione crescente, l’effetto serra e così via. In tal senso gli accordi di Parigi del 2015 sono una presa di coscienza globale per il pianeta, dopo che per troppo tempo se ne era solo parlato. Finalmente si era arrivati ad accordi sottoscritti. Per decenni si era pensato a privatizzare, sfruttare le risorse, fare utili, senza mai curarsi delle conseguenze. L’ambiente siamo noi, ambiente è salute; e la salute

comincia a tavola. Ormai le corporation alimentari occupano il 70% del (super)mercato e la crisi ha finito per fare il loro gioco. Con meno soldi in tasca ci sono meno possibilità di scelta; spesso si corre verso i discount, i prodotti a basso costo o scontati di cui non si sa nulla o nelle cui etichette compaiono poche e scarne informazioni. Difendere il territorio nella sua integrità e genuinità è sempre più difficile. I DOP o gli IGP sono una garanzia oltre che di qualità e tracciabilità anche di salute. Il liberismo ad ogni costo ha aperto le porte, ad esempio, al riso del Sud Est asiatico: entrano nel nostro paese tonnellate di riso di cui si conosce a malapena la provenienza. Come viene coltivato e che trattamenti subisce, dato che

in esso sono stati trovati agenti chimici banditi da 30 anni nell’UE?. Oltre al danno per l’economia e per le nostre risiere vi è quello alla salute. Ma ci sono anche l’apertura verso l’olio tunisino che non rispetta le norme igieniche UE, i nuovi accordi di libero scambio col Canada dove circolano prodotti con etichettatura minima e dove usano sia pesticidi che OGM. Le associazioni dei consumatori chiedono la piena tracciabilità dei prodotti che serve per salvaguardare la loro qualità e con essa la salute dei consumatori. Se adesso sono diventati obbligatori vaccini per delle malattie infantili che facevano parte del ciclo di crescita (anche immunitaria) di un bambino, significa che il genere umano si è indebo-

La velocità giusta che ti salva la vita «Fare uso di sostanze è come andare in moto a 150 all'ora: ad ogni curva rischi di farti male» di Alì Quando ero piccolo, mio padre faceva il medico di gara durante le competizioni di motocross e mi portava spesso con lui. Le moto sono così diventate la mia grande passione. Dal rombo scoppiettante alle prestazioni, ho imparato che ogni gara è una metafora della vita: si corre veloce, si può vincere e perdere; si può uscire fuori pista, fare sorpassi e acrobazie. Io sono dell’idea che chi cade può anche rialzarsi. Se uno fuma erba, si fa di eroina o tira coca, può sempre rialzarsi se decide di fare il giusto percorso. In una gara, raggiunta una certa velocità, il rischio di cadere è elevato e in crescita. L’uso di sostanze aumenta ancor di più il rischio poiché la percezione è alterata e potrebbe giocare brutti scherzi: errori di calcolo, reazioni istintive non adeguate alle circostanze. Non sempre la caduta

potrebbe risparmiarti ferite, lividi o peggio ancora. Io ho deciso di fumare erba, ma un giorno “ero in gara” e ho perso l’equilibrio. Ho deciso di correre pulito e di andare in ospedale a farmi curare. Dall’ospedale sono passato al Ser.D., dal Ser.D. al Dsm e dal Dsm ho deciso di fare tappa in comunità. Lì ho imparato che è meglio non farsi di nessuna sostanza e che il tempo può passare anche se non hai una moto con la quale correre. Si possono fare davvero tante altre cose, “basta” avere una grande costanza e determinazione nel voler condurre una vita sana e senza pericoli. Ne va anche del proprio equilibrio interiore, si vive meglio e senza inutili preoccupazioni: si vive, non si guarda la vita che se ne va. La droga ti fa perdere l'equilibrio senza che tu te ne renda conto. Io andavo matto per

l’erba e per il fumo. In realtà mi stavano solo bruciando e consumando, ma ascoltare la musica quando ero fumato era troppo emozionante. Una volta fumato, il gioco è fatto, non c’è alcun rimedio. A volte sono stato male ma avevo già aspirato la dose avvelenata, quindi non avevo altra alternativa che godermi il viaggio sapendo che non potevo più tornare indietro. È una sensazione davvero strana dove la percezione e i riflessi sono alterati. Non mangiavo appositamente prima di drogarmi per essere più debole così da prolungare il più possibile l’effetto. Questo ha fatto si che perdessi molti chili nel tempo. Per me fumare era una necessità quotidiana, come bere, mangiare e andare in bagno. Non riuscivo ad affrontare una giornata senza estraniarmi dalla realtà che etichettavo come troppo

lito. Ci siamo indeboliti perché la qualità del cibo è scaduta, la terra è sfruttata e stressata e per anni è stata riempita di troppi additivi chimici. Molti alimenti hanno perso il gusto e l’odore che si sentivano anni fa, sostituiti da tanti tipi di frutta e verdura di dimensioni spropositate, ma che non sanno di nulla e hanno perso le peculiarità alimentari. A maggior ragione vanno sostenuti i prodotti a piena tracciabilità, i DOP e gli IGP per non finire nel banco alimentare del disgusto globale. Salute e sapore dovrebbero essere una priorità alla portata di tutti. monotona e triste. Ormai mi sentivo vuoto. Mi chiedevo come le persone, che non facevano uso di droga, potessero affrontare la vita senza le sostanze e reggere il peso della quotidianità fatta di lavoro impegni, responsabilità e doveri. Io pensavo di non esserne in grado, quindi ho scelto di drogarmi tutti i giorni senza obiettivi nonostante dentro di me avessi il desiderio di riuscire a smettere. Finché, dopo svariati colloqui con il Ser.D. e il Dsm dovuti a vari episodi di disturbi mentali causati dalla droga, i servizi vista la situazione, hanno deciso con il mio consenso di inviarmi in comunità, un luogo lontano da tutto e da tutti in particolare dalla droga. Tante regole e tanto lavoro nell’orto e nelle pulizie insieme a tossicodipendenti e operatori. La comunità è solo un breve passaggio nella vita anche se poi così breve non è! Ho capito che non basta smettere di drogarsi per uscire dalla comunità, ma bisogna acquisire esperienze e competenze oltre che imporsi dei limiti, per principio, in modo da gestire al meglio la propria vita. È un percorso difficile da completare che non augurerei a nessuno anche se a volte può essere l’unica soluzione per smettere.


L'APPROFONDIMENTO ————————————————————————

Pordenone si tinge di giallo per accogliere la Festa del Libro con gli autori, in programma dal 13 al 17 settembre. Anche quest'anno, Libertà di Parola dedica il suo approfondimento alla manifestazione. Lo fa, in modo inedito, raccontando le storie scritte dai lettori che hanno partecipato al concorso letterario “Il classico scritto da me”. Prima però, abbiamo chiesto ad Alberto Garlini, curatore - assieme a Valentina Gasparet e Gian Mario Villalta - della manifestazione organizzata dalla Fondazione Pordenonelegge, di raccontarci, in pillole, che cos'è un romanzo.

Aspiranti scrittori si mettono in gioco di Alberto Garlini

Partiamo dalla definizione. “Il romanzo è una narrazione piuttosto estesa, di solito in prosa, delle vicende, realistiche o fantastiche, di uno o più personaggi. Implica una situazione conflittuale, il cosiddetto nodo narrativo, di cui segue lo sviluppo fino alla conclusione di segno positivo, negativo o neutro”. Quindi, tralasciamo i temi dell’estensione (che distingue il romanzo dal racconto) e della necessità della prosa e - soffermandoci direttamente sugli elementi strutturali più rilevanti - proseguiamo col dire che i romanzi raccontano vicende. La narrazione è in primo luogo azione. Ci sono moltissime forme che possono esprimere i pensieri: il diario per esempio, il romanzo epistolare, una lettera a un amico. Ma quando si scrive un romanzo si raccontano fatti, cose che succedono. Sono queste a formarne l’ossatura vera e propria. L’altro elemento importante sono i personaggi. Molte forme narrative come il cinema o l’epica sanno portare avanti una storia altrettanto bene che il romanzo, ma nessuno di essi lo eguaglia per la profondità descrittiva dei personaggi. Il romanzo coglie delle possibilità dell’esistenza umana che prima erano nascoste. Il legame tra personaggio e romanzo è talmente forte che spesso i romanzi mutuano il titolo dal protagonista (ad esempio. Don Chisciotte, Madame Bovary, Anna Karenina). Bene: abbiamo l’azione e i personaggi. Siamo a buon punto, ma sentiamo che manca qualcosa. Finora abbiamo preso in considerazione solo la carrozzeria della macchina. Ma qual è il motore che la mette in moto? Eccolo, sta proprio nella chiusura della definizione: il romanzo implica una situazione conflittuale, chiamata il nodo narrativo, di cui si segue lo sviluppo fino alla conclusione di segno positivo, negativo o neutro. Nelle narrazione c’è sempre qualcuno che vuole raggiungere un risultato e qualcuno o qualcosa che gli impedisce di raggiungerlo. C’è

una domanda fondamentale, o tirante, che tiene insieme tutta la storia. È sempre successo. Pensate all’Iliade, qual è la domanda, qual è il nodo narrativo? Questa: riusciranno gli Achei a conquistare Troia? La domanda viene posta all’inizio e viene risolta alla fine, tiene tutta la narrazione. Per avere una narrazione serve quindi porre una domanda, trovare degli ostacoli e arrivare a una conclusione coerente con l’universo narrativo che abbiamo creato. A seconda del tipo di domanda fondamentale abbiamo tipi diversi di storia. La domanda di un romanzo giallo è: chi è stato?. In un romanzo giallo c’è un cadavere nelle prime pagine (Agatha Christie lo metteva a un quarto della narrazione per avere agio di presentare personaggi e ambienti) e si scopre un assassino alla fine. Pensate a un romanzo giallo di 100 pagine in cui c’è il cadavere nelle prime pagine e la soluzione a pagina 20. Non funziona. Oppure pensate ad un romanzo giallo, sempre di 100 pagine, in cui il cadavere appare a pagina 80. Chi riuscirà a leggere le prime 80 pagine di un romanzo giallo in cui non c’è il morto, in cui si innesca troppo tardi l’azione narrativa? Nessuno. Nei romanzi rosa, per esempio, la domanda è: riusciranno i due innamorati a coronare il loro amore? I Promessi Sposi iniziano con i due bravi che vanno da don Abbondio e dicono “Questo matrimonio non s’ha da fare”. Il romanzo rosa inizia sempre con una complicazione e si conclude con “e vissero felici e contenti”. Quando gli innamorati sono felici e contenti non c’è più storia, perché non c’è conflitto, non c’è niente da raggiungere, non c’è uno scopo. Lo schema dei Promessi Sposi è lo schema classico della storia d’amore: complicazione, separazione, ricongiungimento. In qualunque storia d’amore c’è almeno un momento in cui i due litigano e uno se ne va. Anche se per poco, serve che ci sia una separazione.


Il signore delle mosche

Fai molta attenzione alle sue parole: se no sta cercando di dirti, vuol dire che non è a di Gabriele Sorentini

L'attesa per Pordenonelegge ha stuzzicato puntuale come sempre la nostra fantasia. E puntuale è arrivata la domanda: in che modo parlare della manifestazione più attesa e recensita dell'anno in modo originale e restando fedeli al nostro stile, coinvolgendo cioè nuovi e vecchi collaboratori? Era giugno quando, in redazione, si è accesa la lampadina. Troppo tardi? Forse. Troppo complicato? Poteva essere. Ma noi volevamo che, in questo approfondimento, i protagonisti foste voi, i nostri lettori, e naturalmente la scrittura, il filo conduttore di tutto il festival. Perciò detto fatto, I Ragazzi della Panchina hanno lan-

ciato il loro primo contest letterario, “Il classico scritto da me”, chiusosi il 15 agosto. Numerosi i racconti brevi giunti in redazione, tutti ispirati ad un titolo di un romanzo classico scelto tra quelli indicati nel regolamento, ma dove i protagonisti e le loro storie sono tutti inediti ed usciti dalla fantasia dei partecipanti. A ciascun racconto è abbinato un sottotitolo e una foto altrettanto inediti, scelti dall'autore stesso. In questo approfondimento la redazione di Ldp pubblica quelli che ha ritenuto essere i migliori racconti a concorso. Tutti gli altri li potrete leggere nel blog www.iragazzidellapanchina.wordpress. com.

Il signore delle mosche Quando anche l’inferno è obsoleto di Irene Vendrame Si gira, si rigira, quasi si contorce sopra le lenzuola a loro volta attorcigliate, suda, sbuffa, prima sul fianco, poi a pancia in sotto, infine si ferma supino, arreso, con gli occhi spalancati, respirando l’aria afosa di una notte di luglio. Tutto è immobile, in un silenzio quasi pesante. A dire il vero sente sul serio un peso sul petto che quasi lo schiaccia: il respiro si fa affannoso, si alza a sedere, ma non passa. La gola sembra chiuderglisi a poco a poco, soffocandolo, il battito cardiaco aumenta, sente il sangue che gli inonda la faccia. Oddio no, così giovane no! Non può accadere ora. Affannato, ha paura. Tenta di lanciare un grido. Ne esce un verso raccapricciante, roco e sordo. Nessuno lo sente, è da solo. E il poveretto muore. Dopo alcuni attimi di incoscienza, si riprende, al cospetto di uno strano omuncolo seduto ad un tavolo di

legno molto semplice, chino su plichi di carte scritte fitte. È proprio un tipo singolare: grassottello, ha il collo corto e una testa tonda e pelata, dalla cui fronte escono due antenne nere. Sotto di esse trovano spazio due grandi occhi da insetto, neri e lucidi. Dal completo grigio, i cui bottoni sembrano sul punto di staccarsi a causa dell’addome prominente, escono due ali, che un tempo dovevano essere state trasparenti, ma che ora si tingono di riflessi giallastri. Le mani e le braccia sono piccole e sottili. -Bzbz…candidato numero 282636536…bzbz…morto stanotte per cause ancora non del tutto chiare…bzbz…si richiede autopsia. Il neo deceduto strabuzza gli occhi, incredulo. -Candidato numero 282636536 segua le mosche guida bzbz… la condurranno nel suo dormitorio bzbz-

Nella mia vita ne ho visti di clienti strani entrare nel mio bar, ma nessuno batte quello di ieri. Vi racconto la scena: è un normale pomeriggio e ci sono solo io dietro al bancone intento a pulire i bicchieri, mentre nell’aria danzano le note di Lonely Youth, terzo album degli Sheep Raiders. Non ho mai ascoltato un disco con un simile mix di jazz, blues e rock, davvero fenomenale. Sono dunque intento a riordinare, quando entra un uomo avvolto in un cappotto grigio e con un cappello nero sulla testa. A fare da contorno ci sono due occhiali scuri dalle lenti rotonde e un viso scavato e pallido. Questo grottesco signore si dirige verso il bancone e si siede proprio davanti a me. «Che cosa posso servirle?» chiedo.

Con un gesto della mano il signore mi indica il cesto della frutta alle mie spalle: forse vuole uno dei miei centrifugati? Ne avrebbe davvero bisogno vista la sua brutta cera. «Desidera mangiare un frutto?». Annuisce. «Beh, posso consigliarle un melograno, se ha tempo e pazienza di sgranarne i semi, mentre se desidera qualcosa di più esotico posso offrirle un ficodindia, un avocado o una pitaya». Fa segno di no con la testa. Istintivamente prendo una pesca in mano e domando: «Che frutto desidera allora?». Impossibilitato a rispondere con dei cenni, finalmente questo signore misterioso apre bocca: «Uno nero e pieno di mosche». Per un attimo resto immobile, indeciso se credere di aver

-Ma io… ci dev’essere un errore… voglio parlare con un suo superiore! -Bzbz… le assicuro che non c’è nessun errore bzbz la procedura è stata portata a termine correttamente bzbz il suo

come le si conviene. Bzbz se vuole incontrare il Signore delle Mosche, non deve fare altro che aspettare, appena avrà un momento libero vorrà di sicuro incontrarla-Lei sta dicendo che starei andando all’inferno?-Bzbz inferno bzbz no, non direi, il settore Hell1300 è stato chiuso quasi un secolo fa bzbz causa enorme dispendio di energia bzbz tutto quel calore bzbz tutti quei dipendenti, demonietti particolarmente ingestibili... bzbz tutte caratteristiche poco convenienti dal punto di vista del business -Vuole dirmi che trasformate tutti in mosche?-Bzbz non solo bzbz anche zanzare, cimici, vespe, che vengono poi reintrodotte nel mondo dei vivi e sono destinate ad essere schiacciate, avvelenate, disinfestate bzbz a costo zero -Diamine, siamo costretti a morire due volte dunque?-Bzbz a quanto pare si-E poi dove ci cacceranno?-Bzbz quello che mi chiede non è di mia competenza bzbz non ho idea di dove andrà dopo la sua seconda morte bzbz proprio non lo so… non mi è dato di saperlo.

è un caso da manuale.-…io non capisco… io pensavo che una volta… una volta andato in cielo una persona rispettabile come me avrebbe avuto un trattamento…-bzbz lei in effetti si trova nel settore mosche, signore. In vita ha sguazzato, come una mosca sguazza nel marciume delle carogne, in ogni genere di porcheria! Senza farsi alcuno scrupolo. Ora è stato assegnato al settore mosche,


on capisci che cosa ancora successo. sentito bene o se sono le note psichedeliche di Trip in Time degli Sheep Raiders ad avermi dato alla testa. Gli chiedo cortesemente di ripetere e lui ribatte: «Spara a un corvo». Che cosa? Perché mai dovrei sparare a un corvo? Forse è a questo che si riferisce con “frutto nero e pieno di mosche”? Visto che lo fisso senza capire, lui continua: «Lei mi fa i complimenti». A questo punto poso la pesca sul bancone e, squadrando quelle lenti scure, lo imploro: «Per favore, può dirmi che cosa vuole?». Lui fissa la pesca e infine si pronuncia: «Nebbia di vuoto». I trucchi magici non mi hanno mai impressionato, ma quello a cui assisto ora non può certo essere un trucco: la

pesca inizia a marcire sotto i miei occhi fino a diventare completamente nera, mentre uno sciame di mosche proveniente da non so dove inizia a ronzarle attorno. Il signore allunga una mano e, afferrata quella poltiglia di materia marcescente, sentenzia: «Non ci sono molti semafori in Oklahoma». Detto questo, si ficca la pesca in bocca e la mangia voracemente. Sento che sto per vomitare per la prima volta dopo anni passati a pulire il

Cent'anni di solitudine

così bravo?». Stamattina vado a camminare sull’argine del fiume. Arrivato sul punto dove Lisa, la mia prima fiamma, mi scaricò, sento un’inspiegabile malinconia assalirmi. Subito dal fiume si alza una densa foschia. Domani devo recarmi a Midwest City, in Oklahoma e ho il terrore di quello che potrebbe accadere. Forse cercando di attraversare una strada priva di semafori potrebbe passare un’auto…

probabilmente almeno un quarto faceva schifo, quindi se fosse riuscito a mantenere il ritmo, ne avrebbe avuti di nuovi per un centinaio di anni. Con i libri era più facile: in memo-

dove sarebbero andati a finire e ogni volta riuscivano a stupirlo. Era meglio del cinema. All'inizio aveva affrontato con entusiasmo il diario quotidiano, orgoglioso di lasciare una traccia di quel viaggio epico verso un nuovo mondo, un pianeta su cui la razza umana avrebbe potuto sopravvivere. Ormai però erano più di cinquant'anni che la maggior parte delle pagine riportava un laconico "niente da segnalare".

ria ne aveva più di tre milioni, non c'era bisogno di razionarli. Anche la musica era quasi illimitata e si poteva anche riascoltare. Spesso, però, lui preferiva il silenzio. Passava ore ad ascoltare i suoi stessi pensieri, a lasciarli correre liberi, per vedere

Dopo 36.428 giorni aveva deciso di averne abbastanza. Niente test, niente palestra, niente check up, niente film. Tanto, li aveva quasi finiti. Lo specchio della cabina gli restituì un'immagine poco diversa da quella di novant'anni prima. La pelle era meno

La sostituzione di Mia Camilla Lazzarini Ascoltava il ronzio sommesso dei motori dell'astronave. No, non era vero: i motori quasiluce sono assolutamente silenziosi, non ronzano, ma a lui piaceva pensare che lo facessero, per avere l'idea del movimento. Si era stancato di guardare fuori dall'oblò dopo i primi cinque anni, anche se tornava ad ammirare il panorama di tanto in tanto, quando si avvicinava a qualche corpo celeste. Dopo dieci anni aveva smesso di guardare anche gli schermi di navigazione. Anche la palestra gli era venuta a noia, ma continuava ad andarci tutti i giorni perché era necessario per superare il check up medico. Ogni giorno dedicava tre ore ai test di funzionamento dei sistemi della nave. Era arrivato quasi al punto di desiderare che ci fosse un guasto, così, solo per avere un diversivo. Si era imposto di guardare al massimo due film al giorno: ne aveva circa centomila e

bagno dai resti delle sbornie del vecchio Bob. Il signore se ne va senza aggiungere altro e come esce dal bar parte Hunting A Crow degli Sheep Raiders. Tornato a casa ceno con mia moglie e poi facciamo l’amore. Appena finiamo, lei mi dice: «È stato bellissimo. Da quanto sei

compatta e c'era un accenno di rughe sulla fronte e agli angoli degli occhi, ma non era cambiato molto. Probabilmente avrebbe avuto ancora una cinquantina d'anni, se avesse voluto. Ma non voleva, non così. Si sedette per l'ultima volta davanti alla postazione di comando e compilò con cura l'ultima pagina del diario, poi inserì un codice e per cinque volte fornì la conferma richiesta. Rimase lì, a immaginare il rumore dei motori, mentre l'astronave attivava la procedura di sostituzione. Nella stiva, la spia di una delle settantamila capsule di sopravvivenza iniziò a lampeggiare, mentre il corpo al suo interno veniva riportato alla temperatura normale e risvegliato da un sonno durato cent'anni. Un cicalino lo avvertì che il suo sostituto era uscito dall'ibernazione e aveva superato il check up medico. Diede un ultimo sguardo intorno a sé per assicurarsi di aver lasciato tutto in ordine e augurò mentalmente buon viaggio al nuovo pilota e all'astronave con il suo carico di speranza, poi digitò ancora una volta il codice di sicurezza e ritirò la capsula che l'avrebbe addormentato per sempre.


Cent'anni di solitudine Il piccolo libro dimenticato di Giusy Matozza Sono un piccolo libro dimenticato. Un piccolo volume, non molto prezioso, senza nulla di speciale. Non sono un grande classico letterario o un antico manoscritto introvabile. Sono un libro comune, un romanzo come tanti altri. Nessuno mi ha mai scelto perché sono importante, o raro, o pieno di conoscenza. Sono un romanzetto, un’opera povera, un libro scelto per passare il tempo. I libri semplici come me spesso non vengono neanche considerati. Ce ne sono tanti altri più importanti di me. Eppure quella volta ha scelto me. Quel giorno in libreria quell’uomo ha scelto me. È corso con le dita tra le copertine dei vari libri, mi ha preso, mi ha osservato. Ha scelto proprio me. E la bambina, la bambina nella sua casa, era felice. Diceva: ”Che bello papà. È per me?” “Sì è tuo, buon compleanno.” Era curiosa, la bambina, co-

minciò subito a leggermi. Ma io non posso darti niente, pensavo. Sono solo un umile romanzo, un libro di poco valore. Di me ti stancherai subito. Eppure mi leggeva, leggeva tutti i giorni ad alta voce, in camera sua. Mi stringeva mentre era immersa nella lettura. Poi a volte si fermava, guardava il soffitto. Sognava ad occhi aperti.

Il signore delle mosche In attesa d’un’alba nuova di Francesca Costa Il soffice tappeto d’erba su cui era piombato il corpo stremato, si stava rivelando per quel che era davvero: dura superficie forgiata da piccole pietre acuminate che addentavano la carne per rimanerne conficcate. La coscienza sospesa, intorpidita, il volto ricolmo della salsedine di mare e di pianto. Gli occhi serrati per rimanere ancorata al sogno, per stringere con forza l’idea che nulla era cambiato. Con il suo ronzio, irriverente una mosca incominciava a innescare il ciclo dei pensieri di quell’anima spenta (del resto, che ne sa una mosca del dolore umano?). E di nuovo iniziava l’inferno sulla terra e si sta come mosche sul filo molle d’una ragnatela ormai sfaldata, in attesa dell’ultimo oblio. Si vive anche nel ricordo e il pensiero di lui agiva da martello, conficcando, a poco a poco e sempre più in profondità il chiodo: Tommaso, Tommaso, Tommaso! Lui che si era perso mille volte

e altrettante si era ritrovato; lui ubriaco di capitoli di vita finiti, cosciente di quanto fosse insignificante percorrere strade facili in direzione del nulla; lui che pensava fosse figo simularsi depresso, tossico e/o diverso; lui che aveva smesso di lottare contro ingiustizie e pregiudizi; lui che era stufo, annoiato, irritato e non trovava più la voce per mandare affanculo; lui che ormai è troppo tardi! Alessia si era rialzata come fosse un automa, insensibile all’indolenzimento che provava. Dentro sé la guerra del sangue che le pulsava nelle tempie senza sosta. Camminava a passi storti e senza meta evitando i rami spezzati dalla recente tempesta; sembrava che anche gli alberi manifestassero il loro dolore, piccole gocce di pioggia echeggiavano il pianto del cielo. Luna e stelle non avrebbero fatto bella mostra del loro scintillare, nascoste dalla veste a lutto delle nuvole. Non trovava pace il pen-

Però sono tanti anni che mi hai lasciato solo. Tu mi volevi bene e mi hai messo qui, su questo ripiano. Da qui si vede tutto. Vedo la tua stanza dove studi. Vedo il letto, la tua scrivania. Vedo la finestra con il giardino. E sulla parete le tue foto e le tue cartoline. Perchè tu non sei più una bambina, sei cresciuta. Ti sei fatta grande piccola mia, hai girato il mondo, e ti sei dimenticata di me. Mi hai lasciato qui da solo in mezzo a tutti gli altri libri. Non mi hai più guardato, non mi hai più sfogliato con le tue piccole mani. Quelle mani che ora piccole non lo sono più, segnate dai tanti anni che sia io che te abbia-

mo vissuto. Li ho contati uno a uno questi anni, giorno per giorno. Perchè noi libri i giorni li sentiamo su di noi. Sentiamo le pagine che si rovinano, la polvere, l’aria che ci manca. Sentiamo la vita che ci lascia lentamente e che solo ci ritorna quando qualcuno ci apre e ci concede di respirare. Ma io sono ancora qui, con il ricordo delle tue dita tra l’inchiostro delle parole. Sono ancora qui dopo una vita intera. Ora un’altra bambina entra nella stanza. Non sei tu, ti assomiglia, ma non sei tu. Viene verso di me, mi prende, mi sceglie anche lei. “Nonna, posso prenderlo?” E allora arrivi tu. Eccoti, finalmente. Tu che mi hai stretto a te tanti anni fa e che non mi guardi da una vita. Tu che non sei più una bambina e che porti sul tuo volto tutti i segni del tempo. “Prendilo pure, piccola mia. È un romanzo meraviglioso.” E mentre lei mi stringe io sento lo stesso calore delle tua mani. Mentre mi porta via tu mi guardi di nuovo, mi cerchi per l’ultima volta, perchè sai che regalerò sogni anche a questa bambina.

siero di Alessia che ripercorreva, come fosse un disco rotto, i momenti felici vissuti con Tommaso e non poteva capacitarsi di come non gli fosse stata vicina negli ultimi istanti e soprattutto, non si poteva perdonare di non aver capito che la fine era imminente e lo avrebbe colto sprovvisto del bagaglio per la sua traversata in un altro dove. Ma si sa, diamo sempre per scontata la presenza delle persone, come eterna, come la fine non esistesse, non si pensa alla nera signora che (rac)coglie la sua messe in modo inaspettato, talvolta, senza lasciare il tempo di un’ultima dimostrazione di affetto, di un ultimo saluto. Continuavano a calare le tenebre. All’orizzonte il mare s’abbracciava al cielo che,

pudico, mostrava il suo rossore. In lontananza il sole era in cerca del suo dio, così come Alessia era in cerca del suo Tommaso. Intanto lei era arrivata dove le onde, con il loro sciabordare, solleticano la riva e s’addentrava fra i flutti. Due giovani innamorati, che di lontano stavano contemplando la bellezza insolita del tramonto, scorsero la donna, cercarono di attirare l’attenzione mentre si precipitavano verso di lei. Alessia continuava a scomparire in quell’acqua calma che le accarezzava la pelle, l’avvolgeva come drappo per deporla nei suoi abissi accogliendone lo spirito, mentre la sua anima si ricongiungeva al suo amato bene nell’attesa di una nuova alba!


INVIATI NEL MONDO

Dove il narcotraffico ruba la terra e la libertà ai contadini Viaggio all’interno di un movimento di pace nel sud della Colombia. Itaca Pordenone e Oikos Onlus insieme per il progetto “Sabor eco y justo” di Luca Mansutti

Le nubi che ci han accompagnato durante tutto il primo tratto di questo nostro lungo viaggio, si diradano e sotto la pancia dell'aereo, i raggi del sole si riflettono sulle increspature dell'acqua, si intravedono navi che solcano un mare calmo, così com'è stato questo volo. La forte voglia di arrivare a destinazione fa un po' a pugni con l'idea di trovarsi sospesi in una bolla spazio-temporale come quella che si crea quando ci si trova ad affrontare un volo intercontinentale. È l'alba e nonostante la confusione che ci annebbia le menti si percepisce bene la sensazione di essere giunti realmente altrove. La meta finale è la città di Pasto, capitale della regione del Nariño. Colombia. La Cooperativa Itaca di Pordenone collabora con Oikos Onlus nella realizzazione di un progetto nel sud della Colombia, in zone in cui la diffusione della coltivazione di coca ha determinato la riduzione graduale della semina delle coltivazioni lecite e tradizionali, generando importanti limiti in tutti gli aspetti del settore agricolo, economico e sociale. L’obiettivo del progetto è quello di contribuire in maniera integrata e significativa a migliorare le condizioni di vita delle organizzazioni e delle associazioni di produttori di arance, caffè e di altri

cultivar locali, per contrastare concretamente le forme di oppressione, violenza e ingiustizia legate al narcotraffico e alla complessa situazione sociale e politica della zona, ma più in generale dell’intera Colombia. Il fulcro centrale di questo processo denominato “Sabor eco y justo”, è la realizzazione e la messa in funzione di un micro impianto di riciclo di materiale plastico, al fine di creare componenti e materiali utili sia alle colture agricole che all’edilizia. A fine marzo questa collaborazione ha portato una piccola delegazione di soci Itaca a conoscere da vicino la realtà nella quale opera sia Oikos sia l’associazione locale (l’Istituto Sur ISAIS, coordinato da Harold Montufar Andrade) che è traino e generatore di questo progetto e che opera in quel territorio del sud della Colombia tra le città di Pasto e Samaniego. Ci troviamo nel centro di una zona che per anni e anni ha vissuto da vicino tutta la violenza degli scontri tra esercito, guerriglia (FARC e ELN) e paramilitari e, giocoforza, l’affermarsi del sopruso e dell’ingiustizia quasi come prassi unica di scambio sociale. Nonostante questo panorama allarmante, la comunità di Samaniego vanta una lunga storia di partecipazione e resistenza non violenta al conflitto. A partire

dal 2004, infatti, Harold, che a quel tempo ricopriva la carica di sindaco della città, proponeva alle forze armate presenti sul territorio un patto locale di pace, dieci punti tra cui il rispetto della vita, il cessate il fuoco tra le forze armate e lo sminamento umanitario del territorio. L’addentrarsi in queste zone cosi impervie dove i tipici paesaggi delle Ande si aprono per rapirti nella loro bellezza ed atterrirti per la loro desolante vastità, ci ha fatto conoscere molte persone che hanno vissuto sulla propria pelle le violenze e i soprusi della guerra. Nell’avvicinarci a loro con occhi esterni abbiamo potuto condividere una vivida sofferenza. Colpisce come questa gente, che il più delle volte si trova a vivere in condizioni sia ambientali che sociali veramente estreme, mantenga in se un’identità comunitaria

cano zone urbane, forniscono assistenza medica, supporto psicologico alle vittime delle mine antiuomo o si adoperano per richiedere all’esercito di bonificare territori indiscriminatamente minati. Un fronte comune che nasce dal basso e risponde con processi di pace alla voce arrogante e prevaricante, riuscendo se non a zittirla del tutto, a renderne immune le orecchie dei più. Sentire questa voce unica che vuole reagire a situazioni del tutto impensabili a noi non è cosa comune; il lavoro portato avanti con così tanta passione da Harold non può essere che da esempio per noi, che con la sofferenza ci scontriamo ogni giorno (salute mentale, disabilità, minori in situazioni difficili) ricordandoci di non togliere la possibilità di dare voce a chi già normalmente e difficilmente viene ascoltato. La finalità di

forte e fiera, e che a fronte di così tanta violenza risponda con forme di collaborazione e partecipazione che coinvolgono tutti i soggetti della comunità. Qui le popolazioni dei vari distaccamenti abbarbicati nelle montagne attorno a Samaniego, si uniscono e partecipano fattivamente, ognuno portando il suo contributo singolare, ma nell’insieme creando un vasto fronte di resistenza civile: riqualifi-

quest'incontro è stato quello di produrre un documento di testimonianza e di denuncia di quelle che sono state le violazioni dei diritti umani perpetrate nel tempo, attraverso un processo di recupero della memoria storica del territorio ed informare e formare le comunità su quali siano i diritti umani, per creare una coscienza civile che diventi un'arma di tutela contro la violenza e la disumanità.


PANKAKULTURA

“Fortunio”, la commedia ritrovata del 1593 Scritta dall'udinese Vincenzo Giusti era rimasta nell'oblio. Sarà presentata al pubblico di Chiara Mutton, presidente Piccolo teatro Città di Sacile Eccezionalmente recuperato dall’immeritato oblio del tempo, il Fortunio, commedia dell’udinese Vincenzo Giusti (1532-1619), ha avuto una prima rilettura da parte degli attori del Piccolo Teatro Città di Sacile attraverso la drammatizzazione di alcune scene

per la rassegna “Di sera in Castello”, promossa nel 2013 dall’A.Gi.Mus. di Udine su iniziativa del professore Maurizio d’Arcano Grattoni, per la regia di Filippo Facca. Questa breve mise-en-espace è stata presentata in forma di intrattenimento teatrale “do-

mestico” nella Casaforte La Brunelde di Fagagna (luogo di riunione privilegiato dell’Accademia udinese de Gli Sventati, di cui lo stesso Giusti e il Conte d’Arcano facevano parte) e quindi in Palazzo Ragazzoni a Sacile. A questo primo approccio ha fatto seguito nel 2016 un ciclo di conferenze-spettacolo su teatro e tradizioni (artistiche, musicali e culinarie) del Cinque-Seicento con il progetto “A Tavola con Fortunio”, che ha offerto l’occasione per una più puntuale riduzione drammaturgica del testo, in modo da ricavarne un vero nuovo copione, da mettere in scena per intero.La trama riguarda un’intricata vicenda che prende le mosse dalla conquista di Cipro da parte dei Turchi: per causa di ciò, due coppie di sposi, divisi dagli eventi, arrivano infine a Genova, ignari della rispettiva buona sorte e sotto mentite spoglie. Di qui un gustoso intreccio di trame d’amore, burle ben riuscite, travestimenti e riconoscimenti, tra giovani innamorati, vecchi libertini, astute mezzane, servi scaltri o cialtroni, parassiti e pedanti. La commedia, pubblicata a Venezia nel 1593 e di cui non esiste un’edizione a stampa di epoca contemporanea, era stata al tem-

po attribuita anche a Pietro Aretino, a dimostrazione del valore letterario dell’opera di Giusti - forse il più importante drammaturgo friulano - che richiama plot tipici del gusto teatrale del Cinquecento, come le vicende di naufragi, travestimenti, amori e agnizioni de La dodicesima notte, di Shakespeare (1599 ca.) o de La commedia degli errori, dello stesso autore (1592/94). Pur nelle difficoltà date dalla lingua (in prosa, ma pur sempre nell’italiano del Cinquecento), dalla trama complicata da molti personaggi e da una stesura in ben cinque atti, la Compagnia del Piccolo Teatro Città di Sacile e de La Bottega di Concordia Sagittaria, legate insieme dalla figura del regista Filippo Facca, hanno deciso di intraprendere un’originale operazione di recupero drammaturgico e di co-produzione teatrale, che possa riportare alla ribalta un testo che ha già dimostrato, nei brevi saggi in pubblico, le sue qualità letterarie e di coinvolgimento degli spettatori, anche se a distanza di cinque secoli dalla sua pubblicazione. Con un plauso a Messer Vincenzo Giusti, a conferma che, quando il teatro è pensato e scritto bene, svolge sempre la sua funzione sociale.

PANKAROCK

Ritorno ai miti della mia adolescenza Al Lignano Sunset Festival, gli Offspring in concerto. «Il meglio del punk rock anni Novanta» di Loris Tomasella Quando la data d'inizio delle tue ferie combacia con il concerto di un gruppo che ha segnato la tua adolescenza, c'è poco da fare: godi! Perciò il 4 agosto, timbrato il cartellino e radunati gli amici di una vita, sono partito a tutto gas verso lo stadio Teghil di Lignano Sabbiadoro. La prima cosa che mi colpì fu l'eterogeneità del pubblico: c'erano ragazzini con la cresta, padri con figli a carico, turisti d'oltralpe, nostalgici. Non so se fosse il solleone o l'aria intrisa di salsedine, ma si respirava un'aria buona: l'aria del gran concerto. E così si è rivelato. Ad aprire le danze ci hanno pensato i Rumatera,

band pop punk veneta attiva dal 2007, il cui live show fortemente improntato sulla goliardia ha fatto ampiamente divertire i presenti. Dopo aver scaldato il pubblico per un'ora abbondante (manco ce ne fosse bisogno, vista la calura agostana), sono saliti sul palco i Millencolin, band punk rock svedese attiva dagli anni Novanta. Per chi, come me, è cresciuto guardando video di skate ed ha passato giornate intere a girovagare con gli amici sopra una tavola a rotelle, non si tratta di un gruppo qualsiasi. Rappresenta “la scena” e questa scena ha un pezzo di riferimento, “No Cigar”, can-

zone con la quale il quartetto ha dato il via alla propria setlist. Lo spettacolo da un lato mi ha molto emozionato, dall'altro mi ha lasciato amareggiato. Il sound del gruppo mi è sembrato fiacco, un po' spento. In soldoni, confidavo in un set più curato. Da chi invece non mi aspettavo un gran spettacolo erano proprio gli Offspring. Ritenuti da molti i mostri sacri del panorama punk rock mondiale, per quanto mi riguarda il gruppo ha cessato di esistere con “Conspiracy of One” del 2000. Da anni la band è solita sfornare album ripetitivi privi di originalità e smalto, riciclando la formula sonora che li

aveva contraddistinti nei tardi Novanta. L'entrata in scena del frontman Dexter Holland sembrò confermare le mie teorie, la presenza non era più quella degli anni di gloria, ma già il primo brano in scaletta spazzò via ogni dubbio. Il timbro vocale era sempre lo stesso e sembrò di essere ritornati indietro di vent'anni: in scaletta la gran parte dei brani dei tre album di maggior successo dei californiani. Tutto il pubblico ha intonato i cori dell'anthem generazionale “The Kids aren't alright”, ha pogato con “Pretty Fly”, ha saltato con “Self Esteem”, ha ballato con “Why don't you get a Job” e si è scatenato con “I want you bad”. Io stesso mi sono lasciato trasportare. Peccato che, dopo un'ora e mezza di spettacolo, “Always Look on the bright side of Life” dei Monty Python ci abbia invitato tutti a lasciare lo stadio. È stata dura “salutare” questa serata, un vero e proprio Amarcord della mia (e non solo) adolescenza.


NON SOLO SPORT

Slackline, camminare su una fettuccia sospesi nel vuoto A Pordenone un gruppo di amici, pionieri in provincia di questa disciplina, si incontrano al Parco del Seminario o al San Valentino de I ragazzi dello Slackline Pordenone A Pordenone e dintorni da un anno a questa parte è nato un gruppo spontaneo di amici che “camminano in equilibrio su una fettuccia elastica di poliestere o nylon, larga dai 2 ai 5 centimetri, a diversi metri di altezza”. Lo fanno, dicono, «perché amiamo il senso di libertà che questa pratica ci dà, in quanto richiede padronanza di sé, della propria mente e del proprio corpo, nonché uno stretto legame con la natura e l’ambiente che ti circonda». Il tutto succede mentre si è sospesi, con le opportune imbragature di sicurezza, a camminare da un punto all'altro di uno spazio aperto con unico appoggio questa fettuccia ancorata a due punti di appoggio, come alberi o rocce. In provincia, questi ragazzi sono i pionieri della Slackline (dal nome della fettuccia), una pratica non ancora molto conosciuta dalle nostre parti, ma che ha già conquistato migliaia di persone nel mondo. In particolare delle tre discipline in cui si suddivide, loro sono specializzati in Highline. Muniti di imbrago e coraggio - ma anche del giusto pizzico di paura - si cerca di camminare sulla Slackline installata da poche decine fino a centinaia di metri di altezza con lunghezze variabili. La fettuccia più lunga ad oggi mai camminata misurava 1662 metri. Spesso il montaggio di tali linee non è cosa semplice: bisogna scalare o calarsi, con trapani per co-

struire gli ancoraggi e molte attrezzature pesanti sulle spalle. La fettuccia viene messa in tensione con un sistema di pulegge, anche se le nuove tendenze sarebbero volte al "tensionamento a mano”, lasciando la linea molto molla (questo viene fatto anche per motivi di sicurezza e per avere un minore carico di lavoro sui chiodi delle soste). La Slackline è nata in America, all'inizio degli anni Ottanta e per caso. Ma fu Scott Balcom a dare inizio all'era della Highline, quando il 13 luglio 1985 riuscì per primo nell’impresa di camminare la Lost Arrow Sparrow Highline, la linea creata nella Yosemite Valley, in California, che ha reso celebre la Slacklining nel mondo. In Italia il gruppo più organizzato sta a Bologna, altri in Piemonte ed in Toscana, in altre regioni, come nella nostra, si tratta di piccole compagnie di amici che con la loro passione stanno contagiando poco a poco sempre

più gente. Succede anche a Pordenone, quindi, dove a lanciare questa avventura – da autodidatti – sono stati tre anni fa tre ragazzi. Oggi il gruppo viaggia tra le cinque e le dieci unità, giovani tra i 22 e i 30 anni che hanno la pagina Facebook “Slackline Pordenone”. «Condividiamo tutti le stesse passioni tra cui la montagna – dicono - era quindi inevitabile che le nostre strade si incrociassero per volgere nella stessa direzione, il mondo della Highline. Spesso ci uniamo ad altri gruppi. Ci potete trovare al Parco San Valentino, al Parco del Seminario di Pordenone oppure, se volete avere un’idea “dal vivo” di cosa sia l’Highline, spesso siamo a Trieste, Claut o Maniago». Oltre che nella loro pagina, informazioni si trovano

anche in quella del gruppo dei loro amici: "Slackline Trieste". Sono giovani che credono talmente tanto in quello che fanno e nel benessere che questa pratica porta a fisico e mente che, per promuoverla, coltivano il sogno di installare una Highline nel centro di Pordenone. «Non c'è nulla di pericoloso in questa pratica – garantiscono – che non ha nessuna controindicazione e che anzi fa molto bene al fisico oltre ad essere complementare ad altri sport. L’importante – continuano – è che prima di cavalcare un Highline si effettuino numerosi e ripetuti briefing». Il perché facciano tutto ciò, non è affatto facile spiegarlo. «Nemmeno noi lo sappiamo troppo bene – raccontano dal gruppo - e quelle poche idee, ben confuse, sono difficili da esprimere a parole. Solamente provandolo sulla propria pelle si capisce la commistione di paura, adrenalina, ma poi anche di concentrazione, spensieratezza e libertà che fa provare lo stare a 200 metri d’altezza su una superficie di due centimetri e mezzo, letteralmente appesi a un filo. Le emozioni sono molte, complicate, a volte contrastanti, e ognuno le vive e le interpreta a modo suo, a seconda della propria indole, anche se la cosa più importante è sempre e comunque il divertimento, cosa che a volte nella frenesia del mondo globalizzato si tende a dimenticare. Una cosa di cui siamo convinti – proseguono - è che dopo aver superato le paure iniziali, mantenuto la concentrazione a lungo ed essere tornati coi piedi saldi a terra, la felicità che permea tutto il corpo è incommensurabile. Più volte abbiamo visto persone piangere di felicità dopo aver camminato la prima Highline. Col tempo e con la pratica, cambia di molto la percezione del proprio corpo e della propria mente. È una crescita che permette di mantenere la concentrazione in diverse situazioni, anche nella “vita reale”».


PANKARAMARRA

UNA SQUADRA, UNA CITTÀ, UN SOGNO Pordenone Calcio, storia di un'ascesa e di un rapporto sempre più saldo con il territorio di Manuele Celotto Pordenone è stata per anni una città dove il calcio era spesso il secondo sport; il basket con gli anni gloriosi della A2 e B ed anche dei buoni giocatori locali, aveva creato un legame solido con la città. Il calcio invece è storia recente. Tanti anni di serie D e alcune “quasi” promozioni, poi l’era Setten e finalmen-

te l’approdo nella (ai tempi) C2: la stagione 2001-2002. Seguì il campionato tranquillo con salvezza anticipata (senza play out) conquistata sul campo, seguita dalla retrocessione per debiti. Quello fu un momento triste per il calcio cittadino; oltre alla retrocessione per debiti, l’anno successivo ci fu la retrocessione a tavolino ed il fallimento. Il 2005-2006 segnò un nuovo inizio, partendo dalla Promozione, che rimane ancora un boccone amaro per i cuori nero-verdi. Ma il nuovo presidente era appassionato ed ambizioso, con un progetto chiaro in mente: la serie B. La risalita, la serie D, che con la riforma

della serie C, diventata unica, (ora Lega Pro) accorciava le distanze da quella che sembrava un’utopia: la B. Dopo un campionato (in D) tirato fino all’ultima giornata, il Pordenone vinse prima il suo girone, poi lo scudetto dilettanti (miglior squadra su oltre 160). Le premesse erano buone e l'obiettivo “la B in 5 anni” non

era più una chimera. Ma le cose non andarono come ci si aspettava: dopo 13 giornate con 1 punto in classifica il campionato era compromesso. Un discreto girone di ritorno evitò la retrocessione diretta, che però arrivò coi play out. Sembrava la fine di tutto invece il presidente era convinto della bontà del progetto; pagò il ripescaggio e si ripartì

dalla C. Fu un inizio pieno di dubbi, con il ritornello: “Possiamo salvarci” che dopo marzo divennne “Possiamo sognare”. Stagione felice quella, chiudemmo al 3° posto ed entrammo nei play off! Ci fermò il Pisa (poi promosso) in semifinale. Divenne così il campionato della svolta: i tifosi erano aumentati (tribunetta nuova con 200 posti in più), il legame con la città era diventato più forte e il progetto serie B non sembrava più un miraggio. Inizialmente l’idea del nuovo stadio prevedeva la sua collocazione nella zona interporto, ma non era funzionale al progetto (una cattedrale nel deserto). L’obbiettivo era un coinvolgimento maggiore dei centri vicini, con ricadute positive per l’economia locale; un legame squadra-territorio dove le due cose camminassero assieme. L’attenzione si era rivolta verso lo stadio di Fontanafredda (da ristrutturare) che ha una capienza valida anche per partite di una certa importanza (10000 posti circa). Lo scopo finale del progetto, oltre all’approdo in serie B, era anche quello di creare un polo di attrazione calcistico tra Udine e Venezia oltre ad un veicolo di promozione del

territorio. Il calcio femminile cittadino fu assorbito con il motto: “Donne in nero-verde”. L’idea era di promuovere il calcio femminile coinvolgendo la tifoseria anche in questo sport. Nonostante in Italia il movimento fatichi a crescere, il Pordenone femminile conta un centinaio di atlete. In pochi anni la scuola calcio Pordenone è cresciuta tantissimo, diventando un fiore all’occhiello della società sportiva (è ritenuta una delle migliori scuole calcio del panorama nazionale); è anche un modo per legare meglio la città al calcio, con tutti i giocatori delle giovanili che sostengono la squadra nelle partite casalinghe. Il resto è storia di “ieri”. Il campionato 2016-17 inizia con un cambio di impostazione geografica dei gironi, che ci colloca nel più tosto (girone B). L’allenatore è confermato ed anche lo zoccolo duro della squadra. Dopo qualche scivolone iniziale la squadra ingrana, fa spettacolo e risultati (lo stadio ed i supporters diventano il 12° uomo); la sensazione è di poter competere fino in fondo per i primi posti. Nel girone ci sono squadre meglio attrezzate come budget, baci-

no di utenza e giocatori nella rosa. Finiamo terzi! play off!! Stavolta il percorso è più lungo ed insidioso, ma il Pordenone è arrivato alle final four di Firenze senza troppi patemi. Il “grande esodo” (500 tifosi) la gioia e l’entusiasmo hanno contagiato l’intera città. L’immeritata sconfitta ai rigori col Parma (poi promosso) non ha scalfito il progetto; tifosi e presidente non vedono più la B come una cosa lontana ma un sogno che si può avverare. Adesso c'è la nuova stagione, cominciata coi migliori auspici: tre vittorie in Coppa Italia. L’allenatore è nuovo, c’è stato qualche cambio nella rosa, ma l’entusiasmo e la passione dei tifosi è sempre più forte (lo si è visto alla presentazione della squadra) e la città sempre più coinvolta. Un altro anno di emozioni e spettacolo ci aspetta.


Hanno collaborato a questo numero

LDP - LIBERTÁ DI PAROLA Giornale di strada de I Ragazzi della Panchina ad uscita trimestrale o quasi Registrazione presso il Tribunale di Pordenone N. R. G. 1719/2008 N. Reg. Stampa 10 del 24.01.2009 Direttore Responsabile Milena Bidinost Capo Redattore Chiara Zorzi

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Alain Sacilotto Avete presente l'espressione "Bronsa coverta"? Eccola qua la nostra nuova penna! La sua timidezza nasconde un infuocata sete di sapere! Dietro ogni ostacolo c'è un domani, dentro ogni persona ci può essere una miniera di gemme preziose. Lui ne è l'esempio: forza, coraggio, acume e personalità da vendere. Del resto solo così si può essere amanti del verde evidenziatore e innamorati fedelmente dei colori Giallo-Blu del Parma Calcio. Che dire... Chapeau!

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Chiara Zorzi S: "Chiara, guarda che bella frase che ho scritto!" C: ”bella ma non si scrive così...” S: "ok non è perfetta ma il senso poetico..." C: ”...si bello, ma non si scrive così in Italiano!” S: "Quindi?" C: “tienila, ma non è giusta!”. Quando scorri, la consapevolezza del limite, che scorre con te, è vitale. Grazie Chiara

Antonio Zani Quando una persona legge molto, quando poi si accorge che scrivere gli riesce, quando è costretto a fare attività fisica ma non gli riesce e non ne ha voglia, quando in tutto questo conosce la Panka, allora che fa? La risposta è Libertà di Parola! Dopo una gavetta alle rubriche ora esce con l’approfondimento, ma non ti preoccupare Antonio, sempre senza correre!

Manuele Celotto Scrittore, nuotatore, scacchista, attore. Presenza morbida e mai sopra le righe, nonostante questo difficilmente non fa quello che pensa. Con la caricatura l’omaggio dell’affetto per lui nella folta chioma, ormai ricordo di antichi fasti e disavventure inenarrabili.

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Andrea S. Quando la storia della tua vita è un film di Tarantino, quando decidi che la voglia di vivere diventi il finale del film, quando tutto questo è condensato in un unico uomo, all’accendersi delle luci in sala non puoi che applaudire il protagonista. Fa dell’informatica la sua ragione di vita e per ora riesce con grande stile ad accendere il computer! In miglioramento!

Ada Moznich Delle quote rosa lei se ne infischia, non le servono! Essere presidente donna di un’associazione di tossici è da solo un miracolo in termini. Si ama e si teme nello stesso istante, tiene tutti e tutto sotto controllo, anche il conto in banca: - Ada ci servirebbe una penna.. “scrivi con il sangue che le penne costano..!”

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Irene Vendrame È arrivata in redazione una cucciola! Giovanissima, timida e delicata, ma altrettanto determinata e ambiziosa. Sogna di diventare una famosa giornalista come Oriana Fallaci, così è stata arruolata da LDP per farsi le ossa. Benvenuta Irene!

Creazione grafica Maurizio Poletto Impaginazione Ada Moznich

Fotografie A cura della redazione. Foto a pagina 1, 2 e 3 dall' Archivio Concorso Fotografico Borghiclic Foto a pagina 4, 5 e 6 dal sito: https://www.graphicstock.com/ Foto a pagina 7 dall'archivio di Pordenonelegge Foto a pagina (,9 e 10 a cura degli autori dei racconti Apagina 11 Luca Mansutti Foto a pagina 12 Chiara Mutton Foto a Pagina 13 I Ragazzi dello Slackeline di Pordenone Foto a pagina 14 dall'archivio del Pordenone Calcio Le informazioni di copertina e a pagina 2 e 3 sono state tratte dalla brocure "I Borghi più belli di Italia Friuli Venezia Giulia" 2017 e dal sito www.borghipiubelliditalia.it Questo giornale é stato reso possibile grazie alla collaborazione del Dipartimento delle Dipendenze di Pordenone Associazione i Ragazzi della Panchina ONLUS Via Selvatico 26, 33170 Pordenone Tel. 0434 371310 email: info@iragazzidellapanchina.it panka.pn@gmail.com www.iragazzidellapanchina.it FB: La Panka Pordenone Youtube: Pankinari

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Marlene Prosdocimo Se fosse nata in Trentino avrebbe vissuto una adolescenza drammatica ma in Friuli no, meno. Alleggerita da questo peso studia filosofia ed ama le arti. LdP esiste proprio perché è questione di arte realizzarlo ed anche perché senza la giusta filosofia sarebbe impossibile leggerlo. Lei l’ha letto ed ora ci scrive sopra. Perfetta.. proprio come la mela!

Editore Associazione I Ragazzi della Panchina ONLUS Via Selvatico 26, 33170 Pordenone

Stampa Grafoteca S.r.l. Via Amman 33 33084 Cordenons PN

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Redazione Stefano Padovan, Andrea S., Antonio Zani, Alain Sacilotto, Marlene Prosdocimo, Manuele Celotto, Alì, Alberto Garlini, Gabriele Sorentini, Irene Vendrame, Mia Camilla Lazzarini, Giusy Matozza, Francesca Costa, Luca Mansutti, Chiara Mutton, Loris Tomasella, I Ragazzi dello Slackeline di Pordenone, Stefano Venuto, Giorgio Achino.

Milena Bidinost Il direttore non si discute, si ama. Penna libera, riesce ad immergersi nella bolgia dell’Associazione con delicatezza e costanza, impegno ed esperienza. Quando le parli ti chiedi se le tue parole finiranno in un articolo! Ma confidiamo nella sua amicizia.

Per le donazioni: Codice IBAN BCC: IT69R0835612500000000019539 Codice IBAN Credit Agricol Friuladria: IT80M0533612501000030666575 Per il 5X1000 codice fiscale: 91045500930 La sede de I Ragazzi della Panchina é aperta dal lunedí al venerdí dalle ore 13:00 alle 18:00 Con il sostegno di:


NESSUN UOMO È UN’ISOLA, OGNI LIBRO È UN MONDO GABRIELLE ZEVIN

I RAGAZZI DELLA PANCHINA CAMPAGNA PER LA SENSIBILIZZAZIONE E INTEGRAZIONE SOCIALE DE I RAGAZZI DELLA PANCHINA


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