Ldp 1/2017

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APPROFONDIMENTO

Con altri occhi

Libertá di Parola 1/2017 ——

Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire)

Chiudere gli occhi e muoversi negli spazi e nelle relazioni al buio può farci riflettere, ma comprendere chi ha una disabilità visiva, sia essa la cecità o l'ipovedenza, richiede molto di più: richiede un rapporto senza ansie e paure reciproche, una relazione umana alla pari, un'autonomia possibile per i non vedenti. Con l'aiuto dell'Unione dei ciechi e degli ipovedenti di Pordenone abbiamo voluto capire come tutto questo succede. a pagina 9

Pordenone, passione Mods di Cristina Colautti pordenonese, classe 1967, tra gli esponenti più importanti del movimento, sia a livello nazionale che locale. Dall’età di quattordici anni ha fatto di questa passione uno stile di vita, che gli ha permesso di conoscere gente ovunque. In Italia, il movimento prese piede con la seconda ondata del 1979, il Mod Revival, e la proiezione del film Quadrophenia, tratto dall’omonimo album degli Who. A Pordenone fu il periodo del Great Complotto, che raccoglieva tra le sue fila giovani vitali, con voglia di esprimersi ed uno stile che andava dal

Caro amico ti scrivo...dal carcere a pagina 4

PANKAMBIENTE

Volontari di valore, bancari in campo contro il degrado (cittadino) a pagina 13

Bruno Pisaniello, tra i fondatori del movimento culturale giovanile. «La nostra storia» Il movimento Mod, abbreviativo di Modernismo, nasce in Inghilterra all’inizio degli anni Sessanta e ne fanno parte quei giovani che iniziano «ad ascoltare la musica nera, ad usare vestiti eleganti, scooter italiani, spesso accessoriati, il taglio alla francese e il parka, poi diventato un simbolo». Sono dei ragazzi con un’inclinazione verso ciò che è nuovo, che li distingue dalla massa, perché «il Mod è individualista, appartiene ad un gruppo ma è singolo il modo d’interpretare lo stile». A raccontarci questa “cultura giovanile” è Bruno Pisaniello,

CODICE A S-BARRE

parka alla cresta, un vero mix, senza un’etichetta netta. Tra questi ragazzi però «c’era qualcuno che cominciava ad atteggiarsi e vestirsi nello stile Mod - racconta Pisaniello - li conobbi tramite mio fratello che frequentava qualcuno del Great Complotto e dopo aver visto Quadrophenia mi piacque subito lo stile; avevo le idee confuse e così decisi di informarmi attraverso le riviste del periodo». In quegli anni, infatti, i Mods si rintracciavano nelle varie zone d’Italia tramite inserzioni in alcontinua a pagina 2

INVIATI NEL MONDO

Israele, Palestina e Giordania zaino in spalle tra storia e controlli militari a pagina 14

PANKAKULTURA

Sulle note di Ezio Bosso, in concerto a Pordenone per piano trio. Emozione pura a pagina 16

NON SOLO SPORT

La Lambretta, simbolo italiano intramontabile a pagina 17


IL TEMA

«Facevamo la rivoluzione rimanendo in società» Marco Ferretti: il look, la musica, i luoghi del movimento Mod anni '80-'90 in città di Virginia Bettinelli anni ’80, le Clarcks e i mocassini nei ’60».

Marco Ferretti, classe 1976, è uno dei nomi più noti del panorama Mod pordenonese. Ha cominciato a muovere i suoi primi passi nel 1989, all'età di 13 anni. «All'epoca – racconta – in città c’erano molte bande giovanili ed io cercavo la mia. Già negli anni ‘80 il movimento era esploso a Pordenone anche grazie alla proiezione del film “Quadrophenia” ed io ascoltavo cassette e dischi, che possiedo tutt’ora e che continuo ad acquistare. Non ho mai smesso di essere Mod, ma oggi ho un coinvolgimento diverso» Cosa significava per te essere parte dei Mod? «È una domanda difficile. Ci si avvicinava da giovani, per gusti musicali, d’abbigliamento, per l’aggregazione ed anche perché si creavano molte amicizie. Non c’era un continua dalla prima pagina

cuni periodici musicali, come Rockerilla o Buscadero. Lentamente, anche a Pordenone, si creò un gruppo di giovani che si riconosceva nel movimento. Gli scambi epistolari e le fanzine erano gli strumenti di comunicazione di quegli anni e nel 1983 anche Pisaniello creò la sua “Modern Outlook”. «Inizialmente si trattava di un foglio A4 con due notizie - dice - si usava la macchina da scrivere, si tagliava e si incollava e così la mia scrivania sembrava una piccola redazione del Corriere della Sera». I Mods pordenonesi si incontravano alla

unico motivo. Era una rivoluzione che avveniva da dentro la società. Un Mod non ha la cresta o i pantaloni strappati; rimane dentro la società: il tuo look ti permetteva di essere “rivoluzionario” ma al contempo di stare nei posti di lavoro “normali” e di livello, come lavorare in banca. Non era una rottura drastica, ma un modo per distinguersi e allo stesso tempo identificarsi».

Pordenone era luogo di riferimento per il movimento Mod. Dove vi incontravate? «Storicamente c’è stata la sala giochi Perseo, in via Roma negli anni ‘80-’90. Era situata vicino al centro ed era un luogo d’incontro per ragazzi. Oppure le persone si incontravano alle feste, alla Birreria Martelli o al Britannia. Comunque si andava in questi posti perché erano vicino alla Perseo. I ragazzi Mod di Pordenone organizzavano anche dei concerti e feste. Di solito c’erano band che suonavano e poi Dj set in locali come lo Janez di Polcenigo». E fuori città? «Pordenone a livello nazionale ha avuto una grande

influenza, è sicuramente la città che ha avuto la più alta densità Mod. Ai bei tempi al raduno di Pasqua a Rimini ci andavamo anche in quaranta. È organizzato fin dal 1985 e in passato ci andavano Mod da tutta Europa. Ora la partecipazione è in calo, ma una volta richiamava anche mille persone. Pordenone era sempre un passo avanti con tante band, fanzine e Dj. C’erano poi raduni a Bibione e Lignano, sul mare, negli ‘80-‘90. Più di recente, una festa Mod è stata organizzata all’Astro di Fontanafredda ed è venuta gente da tutto il Nord Italia, compreso anche un gruppo da Vienna».

Cosa identifica esteticamente un Mod? «Il parka dell’esercito americano usato dai Mod per andare in scooter è una contraddizione estetica: l’abito elegante e sopra il giubbotto militare per coprirsi. Era pratico e funzionale all’inizio, poi è diventato lo stile. Il simbolo della Royal Air Force, era il simbolo Mod per eccellenza. Si usavano i Dr. Martens negli sala giochi Perseo, luogo di ritrovo per diverse compagnie. «A differenza di altre città d’Italia - ricorda Pisaniello - noi eravamo un gruppo unito, anche nelle diverse bande, ci conoscevamo tutti e non trovavamo motivo di “menarci”». Gli unici scontri, slegati a qualunque ideologia politica, erano con “i piazzettari e i butteri”, i giovani borghesi e quelli della campagna. Tra questi scontri, il più celebre fu di sicuro la Pomodorata che, nata da una provocazione, si è trasformata «in una battaglia annunciata, la situazione poi è degenerata in una rissa e sono arrivati i carabinieri». Nel 1985, per la prima vol-

ta, alcuni Mod pordenonesi parteciparono al Raduno Internazionale di Rimini, che diventò poi un appuntamento fisso per il gruppo, il quale, negli anni, divenne divenne tra i più numerosi ed attivi d’Italia. I Mod pordenonesi, infatti, iniziarono ad organizzare feste ed eventi, in luoghi come il Siri Club di Azzano X e la Casa del Popolo di Torre, che richiamavano un importante numero di persone da tutta l’Italia. Per alcuni anni gestirono anche lo Janes di Polcenigo e, nel 1991, realizzarono a Pordenone, insieme agli scooteristi della città, il primo raduno scooter nazionale. «Ho sempre portato avanti il

gruppo anche con la fanzine ed un disco – dice Pisaniel-


Mod e stadio. Qual'è il legame storico? «A Pordenone c’è stato un legame tra i Mods e lo stadio dal 1997 al 2003, con il gruppo Ultras Naonian Army. Era un gruppo aperto ed una buona parte del nucleo principale era composto da Mods, circa una trentina di persone. C’è stato chi attraverso il gruppo Ultras è diventato Mod e viceversa. Si creavano molte amicizie». Com’è cambiato nel tempo questo “movimento” a Pordenone? «Ogni movimento giovanile, necessiterebbe di un ricambio generazionale. Oggi invece alle feste Mod la media dell’età è di quarant’anni. Ciò mi fa pensare che si tratti di un movimento in calo, legato al momento storico passato. Del resto tutte le sottoculture e bande giovanili degli anni ‘80 non hanno avuto ricambio». Eppure nell'era del web comunicare è diventato più facile per i giovani. «Proprio perché più facile, c’è meno spirito di gruppo in generale e nella realtà si è tutti più isolati. Una volta per trovare un disco si doveva girare l’Italia, l’Europa, o avere un amico che ti passava la cassetta. Stessa cosa per l'abbigliamento. Oggi invece trovi tutto in un click e l'attesa che alimenta il desiderio non c'è più. Io ordinavo il disco in Inghilterra e stavo un mese ad aspettare che arrivasse e me lo godevo molto di più. Adesso hai tutto e niente e manca la voglia di ricercare. Ci si infatua molto più velocemente, ma altrettanto velocemente si perde interesse» lo - e poi Marco Ferretti (altro personaggio di spicco del movimento ndr) tirava su le nuove leve. I più giovani però non hanno saputo creare un seguito a loro stessi ed oggi pochi ragazzi hanno voglia di fare la “gavetta”». Nonostante questo, Pordenone è rimasta un punto di riferimento nella scena Mod nazionale. «Siamo sempre considerati quelli che vanno avanti comunque - sottolinea Pisaniello - per i quali il movimento ci sarà sempre, anche se con numeri molto più piccoli di un tempo. In città il nome Mod rimarrà per molto tempo ancora perché c’è ancora tanta voglia di fare delle cose importanti».

I miei vent'anni da Dj Mod

«Mi sono avvicinato al genere nel 1994 all'età di 16 anni. Tre anni dopo cominciai a passare dischi. Da allora non ho mai smesso» di Giulio Bresin Sono diventato Mod nel 1994. Avevo sedici anni, amavo la musica e lo stile inglese e desideravo essere diverso dai “fighetti” post-paninari e dai capelloni con le camicie a quadri e le t-shirt dei gruppi grunge in voga all'epoca. Mi piaceva lo stile pulito ed identitario dei mods e scooter boys che frequentavano la sala giochi Perseo di via Roma e che incontravo in giro per il centro. Sapevo chi erano ed avevo una vaga idea di cosa ascoltassero. Comprai un eskimo a Padova e un paio di polo Fred Perry e di felpe Lonsdale alla Quinta Strada in vicolo delle Acque. Ancora prima di diventare Mod sono sempre stato un appassionato di musica ed ho avuto la fortuna di reperire nella collezione di dischi di mio padre le principali band di british rnb come Who, Kinks e Yardbirds ed i classici del soul su etichette come Motown e Stax. Successivamente iniziai a girare con Marco Ferretti che mi fece conoscere molti gruppi del Mod revival, con sonorità a cavallo tra punk e sixties. In quegli anni stava emergendo il brit-pop: Blur e Oasis erano tra gli artisti più famosi, ma c'era una moltitudine di realtà sconosciute altrettanto valide e degne di nota. Terminate le scuole superiori ho conosciuto meglio Bruno Pisaniello e Gianluca Pitton e le loro collezioni di dischi mi hanno bombardato di preziosi riferimenti in termini di black music. Non solamente northern soul ma anche sonorità più ricche ed articolate come Funk, Disco e Boogie. Ho sempre acquistato dischi, già alle elementari, ed ho continuato negli anni. Da musicista mancato ho iniziato a mettere dischi a qualche festicciola locale. La prima volta successe nel 1997; l'ultima in ordine di tempo è stata il 25 marzo scorso

per il nostro “Pordenone Soul Alldayer”. Nel corso di questi vent'anni ho avuto il piacere di passare i miei dischi in tutta Europa ed anche negli Stati Uniti, esperienze meravigliose che mi hanno regalato emozioni uniche. Ho iniziato per scherzo nel locale di un mio amico che all'epoca si chiamava “Small”. La prima volta fu un mercoledì di fine luglio, nella discoteca non c'era nessuno (neanche il mio amico) e ad un certo punto han fatto capolino le teste di due carabinieri che facevano un giro di controllo nella zona industriale deserta. Poco dopo misi i dischi ad raduno scooter che si tenne in quello che ora è uno strip club. Il raduno terminò con un repentino cambio di musica e con il dj Roberto Ferrari (quello di Radio Dj che era stato ingaggiato dal locale per la stessa serata) preso a sberle. Col tempo le situazioni sono cambiate in meglio. In Germania mi sono sempre divertito così come a Vienna dove il pubblico è decisamente caloroso ed ha un'ottima cultura musicale. Londra è sempre stata una mezza delusione al contrario della Spagna che è una garanzia in

termini di gente ed atmosfera incandescente. Una delle esperienze più belle era mettere i dischi a quello che all'epoca era il più grande raduno mod/6ts al mondo, ossia l'Euro Yeye a Gijon, nelle Asturie, dove arrivavano da tutto il mondo più di mille persone per una settimana di festa ininterrotta, un festival unico che coinvolgeva tutta la città. Vedere una pista con oltre cinquecento persone che letteralmente salta con le tue selezioni alle 5 del mattino è una sensazione che non ha eguali. Da quasi dieci anni assieme a Bruno e ultimamente con l'arrivo di Domenico, un Mod di Portogruaro, organizziamo un paio di eventi all'anno molto frequentati da gente della nostra scena e da molti curiosi ed amanti della musica. Per noi è fondamentale creare un'energia positiva tra le persone che fanno sforzi e sacrifici per essere insieme a noi, far stare bene i nostri ospiti offrendo loro una proposta di qualità in termini di musica e locali con un'attenzione particolare al fattore umano che rende i nostri eventi assolutamente autentici sia in termini di stile che di attitudine. Credo che siano entrambi fattori importanti in un'epoca in cui musica e accessori in generale sono facilmente reperibili con un click e una discreta disponibilità economica. Tutto è acquistabile, ma stile ed originalità non hanno prezzo.


Prosegue il lavoro della redazione del nostro giornale nata all'interno della Casa circondariale di Pordenone. “Codice a s-barre” è uno spazio interamente gestito dai suoi detenuti.

IL LABIRINTO

“Nonno Marocco”, maestro di vita Era il mio prozio materno e a Nianey, capitale della Nigeria, era imam di Souleymane

Il 10 febbraio scorso al Museo di Storia Naturale di Pordenone sono state esposte le opere realizzate nell'ambito dei corsi 2016 tenuti all'interno del carcere cittdino. Titolo dell'iniziativa, illustrata da Alessandra Santin: "Labirinto". Questo momento è stato reso possibile grazie alla collaborazione tra la Casa Circondariale, l’Ambito Urbano 6.5, lo IAL, l’ARSAP, I Ragazzi della Panchina, i docenti Stefano Ornella, Pasquale Luongo, Virginia Di Lazzaro, Dagmar Friedrich e Valeria Manzo. I presenti hanno potuto passeggiare in un labirinto accompagnati dalle note di Massimo De Mattia e dalla lettura dei testi di Simone e Gianluca, riportati qui di seguito.

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er un attimo sono riuscito a guardare dentro di me rilassandomi, per pensare profondamente ed evadere dalla realtà ed immedesimarmi nella mia mente pensando solo al significato dell’incubo che sto vivendo: il carcere. Ho capito molto e sono riuscito a vedermi dagli occhi di chi mi ama e ho sentito e capito il dolore che gli ho provocato, molto probabilmente, nettamente superiore al mio. Così ho sentito un’emozione che non avevo mai provato, la disperazione e un senso di perdita e il vero dolore. Vi giuro, non avevo mai provato così tanta angoscia come in quel momento, che quasi sembrava un sogno inverosimile. Mi sono perso nella mia mente e quasi non riuscivo a trovare una via d’uscita. Lo interpreterei così un labirinto, un percorso con una sola uscita ma con tante vie possibili come la mente umana e la vita; solo percorrendole troverai forse l’uscita.

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utti noi, prima o poi, durante il tragitto della vita, mettiamo un piede in fallo ed inciampiamo, finendo in qualche situazione da cui abbiamo difficoltà a trovare una via d’uscita. Si può paragonare ad un labirinto in cui ci possiamo perdere e dal quale vorremmo uscire in un modo o in un altro. Chi ce la fa da solo è bravo e fortunato, ma più spesso c’è bisogno di una moderna Arianna che, con il suo filo, aiuta chi si è perso a ritrovare la strada per la retta via. Chi come noi detenuti ha fatto una scelta sbagliata, è finito fuori strada entrando in un labirinto oscuro che è il carcere. Da qui trovare la via d’uscita è più difficile, ma grazie al filo teso da educatori, volontari, psicologi…si riesce a trovare quella via d’uscita che passa attraverso un percorso personale utile, se non fondamentale, per tornare ad una vita regolare.

Della mia infanzia porto ancora nel cuore due persone della mia famiglia in Niger, che mi hanno segnato la vita. Sono i miei prozii materni. Io li chiamavo “nonno e nonna Marocco” perché la prima volta li conobbi durante una vacanza passata a Casablanca. “Nonno Marocco” non c'è più da anni. A “nonna Marocco” feci invece visita a Nianey nel 2010, quando avevo 13 anni e lo ricordo ancora. “Nonna Marocco” è una persona con un cuore grandissimo. “Nonno Marocco” era invece un magnanimo, una persona che segnò in modo indelebile la mia vita. Lui era l'imam della moschea di Plateu, ovvero colui che dirige la preghiera. Ed era così saggio e apprezzato dalla comunità da dirigere anche la preghiera del venerdì nella moschea centrale di Niamey. Il suo aspetto fisico, principalmente il volto, mi davano una sensazione di “candido”. Era un uomo alto e po’ panciuto e aveva dei bei capelli bianchi, tanto spugnosi: la sua barba era bianca, un particolare che in un uomo di colore fa molto contrasto. Se dovessi pensare ad un Babbo Natale di colore gli assocerei il suo volto. Ma di lui ciò che mi ha segnato di più in assoluto fu il modo in cui si relazionava con me; a differenza degli altri che mi trattavano come un ragazzino, lui mi trattava da uomo. Non mi chiamava per nome, ma mi chiamava “Albora” che tradotto dal dialetto Zabar-

ma significa “uomo”. Inoltre, essendo lui un imam mi insegnò i fondamenti e le più importanti sure del Corano e della religione islamica. E fu lì che decisi, di mia spontanea volontà, di essere mussulmano. Oltre ad insegnarmi gli aspetti religiosi, “Nonno Marocco”, mi insegnò a vivere in un contesto civile. La cosa più importante che mi insegnò fu il valore della responsabilità. La fiducia e l’onesta, per esempio, sono valori che appartengono ad una persona che si assume la proprie responsabilità, cioè una persona capace di sostenere sulle spalle il peso di un’azione positiva e negativa che sia, facendosi carico delle conseguenze di quest’azione. Mi diceva che se anche avessi sbagliato nella vita avrei dovuto prendermi la responsabilità dell’errore, cercando di rimediare. Mi insegnò anche il valore della famiglia. Mi diceva sempre che la famiglia è l’unica cosa dopo Dio a cui un uomo si deve aggrappare e che sarà sempre lì ad aiutarti nei momenti di difficoltà. Ora “Nonno Marocco” non c'è più da molti anni, ma i suoi insegnamenti e le sue parole rimarranno per sempre vive in me.


Domande senza risposte «Di me ognuno pensa ciò che vuole: io cerco solamente di lasciare un ricordo il più possibile positivo» di Fabio Amico, ti scrivo per raccontarti alcuni pensieri che da giorni mi girano per la testa. Sono costretto a vivere una vita piena di ostacoli e contemporaneamente di gioie che le persone mi regalano, un percorso che poteva essere migliore, ma che - dopo una lunga riflessione - ho capito non poteva essere diverso. Sono convinto che da chiunque incontriamo nel nostro percorso possiamo imparare e a nostra volta insegnare piccole cose che possono condizionare le reciproche esistenze. La mia vita è fat“Caro amico, ti scrivo così mi distraggo un po’”. Così comincia una vecchia e nota canzone di Lucio Dalla. Amico mio è con lo stesso spirito di distrazione, di “evasione” della mente e di accorato sfogo, che oggi voglio scriverti per raccontarti di me. Mi ricordo quando, all’alba dei nostri diciotto anni, ci sembrava di essere onnipotenti, certi del nostro splendente futuro e fiduciosi in noi stessi e nelle nostre potenzialità. Da allora siamo cambiati. La vita non è stata quella che ci aspettavamo, le prospettive sono mutate e il futuro oggi per noi, ma soprattutto per me, non è più un tappeto morbido sul quale si può camminare scalzi, ma una strada di sassi. Sassi contro cui si inciampa, si cade, ci si ferisce. Oggi sono preoccupato e disilluso anche se a momenti, tra una riflessione deludente ed una battuta sarcastica, ritorna l’umorismo di sempre, contraddistinto dal mio ottimismo. Mi sento deluso soprattutto da una giustizia che punisce privando della libertà coloro i quali non sono stati capaci di gestirla. Punisce nonostante l’articolo 27 della nostra Costituzione sancisca che la pena, e non il carce-

ta di pregi e difetti, ma vedo che in base alle persone che mi trovo di fronte il mio modo di esprimerli è sempre diverso. Perciò, anche il giudizio che ogni persona può avere nei miei confronti è diverso. Quello che per qualcuno può essere un pregio, diventa difetto per un altro. A volte mi fermo e resto nei miei pensieri, cercando di capire quello che durante la giornata ho visto, ho fatto e sentito, e mi faccio domande, poi dopo un po' mi chiedo se faccio bene o male a soffermarmi sui piccoli dettagli della mia

vita. Per questo poco a poco ho imparato, errore dopo errore, a costruirmi una vita su degli obiettivi da raggiungere: questi sono la stabilità, la famiglia, la carriera. Per mia natura mi interesso di tutto quello che mi circonda, non sono uno superficiale amico mio. Cerco di guardare le cose e le persone per quello che sono veramente. Ad esempio una foglia, per alcuni è un ornamento bellissimo che, in primavera, con i suoi colori spicca in mezzo alla natura; per altri è un un oggetto inetto da spazza-

Tornare ad essere buoni come i bambini «Caro amico, sono preoccupato e disilluso, ma ho ancora fiducia nel prossimo» di Ubaldo re e non la privazione della libertà, deve tendere alla rieducazione del condannato. Non si può rieducare qualcuno privandolo della libertà: lo

si rieducherebbe - se così si può dire - solamente al valore della libertà. Ma questa, una volta fuori dal carcere, non sarebbe comunque più la

re in autunno nel giardino. L’essere umano vede quello che vuole vedere: io penso che una piccola foglia ha lo scopo di nascere, crescere e produrre ossigeno – un elemento vitale per tutti -, è un organismo complesso che come noi esseri viventi ha un motivo per esistere. Come per una foglia, per tutto. A seconda di chi siamo ognuno di noi guarda in maniera diversa la vita. Eppure ogni cosa ha un'essenza, che non cambia. E allora mi chiedo, perché stravolgere quella che è la sua verità? Ma alla fine ognuno finisce per guardare e cogliere verità diverse in ogni cosa, o fatto o persona che sia. Ecco, vedi, mi faccio molte domande, vorrei sapere molte cose, ma alla fine ogni giorno mi ritrovo a fare il meglio che posso, cercando di lasciare di me un ricordo positivo in coloro che un giorno ricorderanno il mio nome. Ciao amico mio. A presto. stessa per il segno indelebile che il carcere ti lascia. Ho imparato che la nostra logica è piena di contraddizioni e che non esistono logiche diverse da quelle buoniste che ci si aspetta. La vita, purtroppo, a volte ci indebolisce. I dolori ci smorzano, le delusioni ci inacidiscono come le gioie ci accendono e le conquiste ci migliorano. Ed è proprio per questa ricerca di gioia e di felicità che non bisogna mai perdere la speranza nel futuro. Ma soprattutto bisogna mantenere vivi i nostri buoni principi, la nostra bontà, quella dote preziosa ma deperibile, come una piantina fragile, che deve restare identica a quella che riceviamo in dono da piccoli e che è la condizione necessaria per la felicità. Bontà, che è il nutrimento vitale in via d’estinzione, l’antidoto al cinismo, la fiducia nel prossimo, la capacità di accogliere. Va conservata, nonostante tutto, nonostante le continue disillusioni, nonostante la tristezza, il dolore, la perdita. E' dovere di tutti noi per non estinguerci e per parlare la stessa lingua di quelli che, bambini oggi, saranno uomini domani. Ciao amico mio.


Fuga dalla città Escursione sul Carso con il gruppo di Montagnaterapia: «Mi sento libero e felice» di Andrea S. Oh che grande felicità, finalmente si va in montagna con il gruppo di Montagnaterapia. Quest’avventura mi dà una botta di adrenalina, questa notte non ho chiuso occhio, perché sono troppo felice e so che andare in montagna mi darà la forza per affrontare la dura real-

tà qui in città. Finalmente il grande momento è arrivato. All’appuntamento sono il primo, ci sono due gradi sotto zero e ancora una bella luna. Iniziano ad arrivare le prime persone. L’uscita sarà sul Carso di Trieste e la mia mente e il mio cuore sono ormai lì, grazie al richiamo della mia

Bilanci di vita «Il mio percorso verso una stabilità fisica e mentale» di Tiberio Sono nato l’11 aprile del 1966 a Zurigo e sin da adolescente ho avuto i primi contatti con le droghe leggere. A 15 anni mi facevo le canne e poi purtroppo sono passato a provare di tutto e di più. Queste esperienze, che a quei tempi ritenevo positive, adesso mi rendo conto di quanto abbiano influito negativamente nel mio sviluppo fisico e mentale. Non tutti i mali vengono per nuocere e se non altro, a quei tempi, ho avuto l'occasione di vedere dei bellissimi concerti che non dimenticherò mai, come quelli dei Rolling Stones, Pink Floyd, Deep Purple, e ho girato un po’ l’Italia e l’Europa. Per avere oggi 50 anni, ho avuto diverse esperienze; mi sono sposato a 27 anni, ho avuto due bellissime bambine e ho conosciuto mia moglie, che per me sarà sempre la donna più importante della mia vita, visto che

mi ha dato quelle cose che nella vita di qualsiasi uomo, secondo me, sono le più importanti. Il calore di una famiglia, che ora non ho perché sono separato, qualcuno che ti aspetta la sera quando finisci di lavorare ma anche un riferimento nella vita, qualcuno su cui contare nei momenti di difficoltà e che ti dà un sostegno morale, che ti fa ca-

montagna che rispetto come la mia vita. Bene, si parte. La corriera è piena di gente e io piano a piano entro in uno stato di rilassamento e gioia. Mentalmente mi sento preparato all’avventura che mi aspetta. Si comincia a camminare tutti assieme incappucciati con sciarpe e berretti, solo io e un'altra persona respiriamo, senza grandi ripari, il vento di bora che tira un po’ forte. Che bello essere in fondo al gruppo e potermi godere tutti i rumori della montagna, la guardo, la sento e tutto entra nel mio cuore e mi chiedo se le persone che ho davanti sentono le mie stesse emozioni. Ho voglia di piangere perché mi sento una persona libera e sento un feeling pazzesco con lei, la montagna. La strada per me risulta una passeggiata, la giornata è chiara, limpida e c’è un sole fantastico. Da dove ci troviamo si vede il golfo di Trieste, che sembra un tappeto azzurro. Vedo alcuni che stanno arrampicando e con molto rispetto mi avvicino e iniziamo a chiacchierare. Questo per me si chiama “richiamo della montagna”, trovi persone che hai l'impressione di conoscere da sempre, che belle sensazioni che dà la montagna, sono perle di saggezza ed in ogni uscita

c’è sempre qualcosa che mi fa crescere. Riprendiamo la camminata e dopo poco ci fermiamo nel santuario che domina e protegge chi va in mare. Il mio sguardo, per deformazione professionale, si posa sui pavimenti, stupendi, ma anche il resto dell’edificio esprime la sacralità ed il rispetto per questo luogo. Durante l’escursione ci fermiamo un'altra volta per pranzare e così festeggiamo anche l’anniversario di una coppia del gruppo: un momento di festa e felicità per tutti. Si riparte per il versante opposto: il paradiso. Molti, verso la fine, hanno una grande fretta di tuffarsi dentro la corriera, perché sono stanchi. Io invece mi fermo ad accarezzare un gruppo di cavalli. Mi guardo intorno e vedo la mascotte del gruppo, una bambina di nove anni, la chiamo e viene serena verso di me. Le dico di avvicinare le manine al cavallo, lei lo fa e ci guardiamo negli occhi, lei è emozionata, cara stellina, ed io felice per questo. L’escursione è finita. Saliamo sulla corriera. Mi levo gli scarponi e mi rimetto in assetto città. Si riparte ancora con un bel sole e si arriva a Pordenone. Mi sento felice, sereno ma non stanco. Questa è la gioia che ti dà la montagna.

pire quanto tu sia importante. Devo ammettere che gli anni che ho passato con loro, sono stati tra i più belli della mia vita. Le mie figlie sono donne ormai e sono fiero di loro, non fumano, non bevono e fanno dei progetti per avere una vita decorosa. Sono consapevoli che per potersi

un fratello, dei parenti. Sono in cura al Ser.t. di Pordenone da alcuni anni, assumo metadone, ma mi sono stufato anche di quello e vedo molti coetanei e ragazzi molto più giovani di me che quando passano tutto il giorno senza fare niente (l’ozio è il padre dei vizi) si buttano nell’alcool, nei farmaci, nelle droghe, nel gioco e poi, chiaramente, i risultati si vedono. Una confusione mentale pazzesca. Come passo il tempo? Mi sveglio presto, faccio colazione, leggo il giornale, cammino molto, e ultimamente ho ricominciato a frequentare I Ragazzi della Panchina dove vado a fare un po’ di pesi, a giocare un po’ con i ragazzi e a fare quattro chiacchiere con chi frequenta il posto. Progetti per il futuro? Ho contattato un bravo assistete sociale di Cordenons e chissà che per il prossimo anno non abbia un tetto stabile sopra la testa, visto che da quando sono separato ho cambiato più case io che non sono un nomade. Che dire ancora? Vorrei far capire a tante persone cosa succede quando ti “sballi” la vita, con la droga e altre stupidaggini. Non lasciatevi trascinare da niente e nessuno, non ne vale la pena.

permettere questo ci vogliono dei sacrifici e, credetemi, di questi tempi non è facile visto che tutti vogliono tutto e subito. Attualmente non sto lavorando e da alcuni anni sto cercando di ritrovare una stabilità fisica e mentale, ma non è facile, soprattutto quando non hai più legami di sangue, nel senso che non ho più una madre, un padre,


Abbi bei ricordi figlia mia

Quando sto bene salgo da voi, perché lo sai che voglio giocare con te almeno quelle poche ore. Come vivrei altrimenti? Poi io, dalla mia stanza, ti sento. Tu no, ma io si. Come tutte le mamme credo di avere un “superudito” e un occhio puntato come quello del “signore degli anelli”, per osservarti durante il giorno. Ri-

cordati però una cosa: io non posso e non voglio intrufolarmi nella tua vita, è tua! Posso indirizzarti, posso mostrarti la strada, ma sei tu piccola mia che la devi percorrere. È la strada della consapevolezza e della tolleranza. Posso indicartela. Tu sei libera di seguirla o no e potrai sbagliare in futuro, perché sei umana. Io non ti posso biasimare perché sia io che tuo padre nella vita abbiamo sbagliato, ma tu non fare come noi. E’ solo grazie a te che siamo tornati in carreggiata. Spero che, se ti succederà di sbagliare, non sarai restia a raccontarlo, almeno a noi. Hai solo cinque anni ma mi scappi, ti vergogni della mamma quando sei con i tuoi amichetti. Credi non lo sappia? Era uguale per me. Quindi silenziosamente mi allontano, ma ti osservo. Tu sai già che bisogna tagliare il cordone ombelicale, e lo sai meglio di me. Sai che hai ancora tempo, ma lo stesso giochi a fare la grande. Voglio dirti che non c’è fretta, goditi l’infanzia, non tornerà. E abbi bei ricordi, sappi che non tutti sono fortunati ad averli. Tu hai smosso l’interno incandescente della mia Terra. Prima ero una specie di Luna statica, sterile. Ma da quando ti ho regalato la vita, l’hai accesa anche a me e ci hai messo dentro tutto.

altre parole la filosofia già secondo gli antichi greci avrebbe la colpa di spingere l’uomo a perdere il contatto con la terra, ovverosia il senso della realtà. Ma cos'è la filosofia in sé? È l'atto di domandarsi sempre il perché delle cose, di quanto ci succede intorno e dentro noi stessi ed è un meravigliarsi continuo dandosi delle risposte definite. Tutto parte come si diceva da Aristotele, dal "provare meraviglia" di tutto, dell’esistenza del mondo e della propria esistenza, delle cose belle cosi come delle cose banali. Non troveremo mai qualcuno che disdegni il momento della sospensione e della meraviglia, perché è alla scaturigine di ciò che noi abbiamo di più degno e rispettabile. Tutti hanno rispetto delle

invenzioni scientifiche e delle espressioni artistiche in cui, qualcuno, riapre i giochi in modo geniale e ci fa vedere qualcosa di nuovo, di inatteso. Albert Einstein una volta disse che «il genio si muove tra il semplice ed il banale», scardinò le fondamenta della fisica a lui precedente, facendosi domande tra il semplice ed il banale. Si vede che poi così banali non erano anche se tali potevano apparire. La filosofia è l’arte di saper vivere partendo dal "sapere di non sapere", come diceva Socrate, per imparare continuamente ed evolversi in un crescendo che non ha fine perché la ricerca non ha un termine ma è in continua evoluzione, ogni domanda genera una risposta la quale genera ulteriori domande e così via. Dobbiamo ricordarci che l’interrogarci, il domandare sempre e comunque è la cosa più preziosa che abbiamo. Quando c’è solo l’atteggiamento del "rispondere" le culture si induriscono e si allontanano. La filosofia si accomuna, poi, alla meditazione. Perché? Possiamo capirlo dal fatto stesso che ce lo stiamo chiedendo: le unisce l’atto stesso di domandare.

«Da quando ti ho regalato la vita, l’hai accesa anche in me e ci hai messo dentro tutto» di Patty Isola Domenica 12 febbraio abbiamo festeggiato il tuo quinto compleanno, figlia mia. Hai visto solo cinque inverni e già ti sento scivolarmi via, come la sabbia asciutta tra le dita. Sei nostra figlia, ma la tua vita è tua, tu sei solo tua! Sei nata tramite noi, i tuoi genitori, ma non sei di nostra proprietà, che ti sia ben chiaro. Avevo 24 anni e stavi per nascere, la gravidanza sembrava interminabile e quei nove mesi mi sono sembrati molto più lenti di questi cinque anni. Quello che volevo era soprattutto che nascessi sana. Quanti pianti, quante battaglie ho fatto perché potessimo stare insieme. Forse, per te era meglio una famiglia più “stabile” ma tu mi cerchi, cerchi tuo padre, ami i tuoi nonni, la tua famiglia e, quindi, penso che ormai portarti via da noi, per il tuo “benessere” poteva essere stata una decisione sensata, finché avevi qualche mese di vita. Ormai ti ribelli e ti vedo scattare come un cucciolo di

gazzella, anche per mostrare cosa vuoi. Ho sempre paura di perderti o di farti del male involontariamente, stando male io. Quindi, non arrabbiarti troppo se, a volte, mi allontano per questo. Sono i bambini che piangono non le mamme. Io vivo dabbasso e lo sai; tu, invece, stai al piano superiore con i nonni.

L'arte di farsi domande La filosofia, alla base della ricerca di sé e del mondo di Antonio Zani Tutto ebbe inizio più di due mila anni fa, prima con Talete, poi con Socrate, Platone, Aristotele e via via: fu un crescendo inarrestabile fino a giungere ai giorni nostri con i pensatori attuali. Parliamo della filosofia, termine che deriva dal greco antico (philein) amore e (sophia) sapienza, amore per il sapere, la scienza per eccellenza che studia, si pone domande e riflette sul mondo e sull’uomo, la disciplina più nobile in quanto mira al sapere senza alcun secondo fine. L’impossibilità di definire i confini della filosofia e la sua apparente inconcludenza pratica sono state tra le ragioni fondamentali di una serie di critiche nei confronti delle attività dei filosofi. Coloro che criticano la filosofia intendono perlopiù evidenziare l’inutilità di questo tipo di disciplina e di attività di pen-

siero dell’uomo. Sin dall’inizio della storia della filosofia si è posto il problema dell’inutilità pratica di questa attività, in


La lunga attesa di lei La mia notte insonne, la tappa sulla panchina di via Montereale, fino all'incontro che mi fa sentire per un attimo onnipotente nel mio marcio mondo di Giorgio D. La lunga notte racchiusa nel sarcofago dell’umido lenzuolo non l'ho dormita, ma sono incredibilmente riuscito a farla finire. Ora un timido bagliore mi percorre l’iride serrata e scatta la folle equazione lucegiorno. Apro gli occhi, riesco ad accendere l’accendino a stento per controllare l’ora. Il puzzo assurdo del mio giaciglio intriso del mio sudore mi procura un violento conato di vomito. Ce la faccio, piano a piano mi alzo anche se tremo come una foglia. Mentre “bestemmio” la vita mi vesto ed accendo una sigaretta. Abbondantemente coperto esco nel viale, è gennaio inoltrato, il freddo e la foschia rendono quest’orrenda mattina ancora più tetra e disperata. Sto camminando da dieci minuti

ed ho appena imboccato largo San Giovanni che come un grigio imbuto mi inghiotte verso via Montereale, lì dove il flusso di visitatori che escono dall’ospedale accoglie quello dei disperati del SERT. Lì su di uno slargo del marciapiede come un piccolo altopiano sulla vetta del “monte reale” c'è la “panka”, l’ombelico del mondo, il mio marcio mondo. Ho già notato che nessuno di quegli smunti volti di cui sono alla disperata ricerca è presente. Accelero comunque il passo, morboso di sedermici sopra, di occupare quell’assurda posizione, sicuro che mi porterà verso i miei malati intenti. Ecco, ci poso le natiche e riparte la solfa: sigaretta, sudore, crampi e gli occhi sbarrati ed umi-

Le voci del silenzio In “Stato di quiete”, la sua ultima raccolta in versi, il gemonese Pierluigi Cappello scandaglia le parole, superando il banale di Marlene Le parole costituiscono un’ingannevole arma a doppio taglio: ghermendoci dolcemente, minacciano di ridurre il pensiero ad un’associazione preconfezionata e logora di immagini che affondano le loro radici in una coscienza comune, ancestrale, ma individualmente abusata. Pierluigi Cappello, celebre poeta proveniente da Gemona del Friuli, offre una prospettiva completamente differente della parola. Nella sua ultima raccolta, “Stato di quiete”, comprendente poesie composte tra il 2010 e il 2016, osserva le

parole e ciò che lo circonda da angolazioni che escludono il banale e impregnano l’animo di significati pieni di essenza. Lo fa pur mantenendosi all’interno dell’umanità, della quotidianità. Il poeta vive intensamente ogni silenzio dell’istante grave, lo scompone in meditate parti tra sé e sé ma lo presenta con delicati ricordi ed emozioni evanescenti e contemporaneamente eterne. Scava nell’ignoto per rivelare, in versi, dei pezzi di materia e messaggi criptati e perduti. La raccolta è suddivisa in tre sezioni: “Por-

di. Sono già le dieci, ho appena ricevuto una grande notizia: lei, la mia amante, l'amante di molti, è stata vista al bar dell’angolo con Jambo. E allora mi rialzo e corro verso di lei. Non è energia la mia, quella l'ho persa l'ultima volta che ho avuto lei dentro le vene. È il suo totale magnetismo che mi fa muovere. Mi faccio un po’ schifo. Ieri sera ho venduto un piccolo vassoio d’argento di famiglia, per avere abbastanza danaro per unirmi a lei. Jambo me ta aperta”, “Colore” e “Stato di quiete”. Ognuna di queste rappresenta un viaggio in cui il poeta ci conduce nel movimento ma, allo stesso tempo, nella staticità. Perché un corpo in stato di quiete potrebbe comunque essere soggetto a forze contrastanti che si equilibrano, annullandosi: nel corso dell’esperienza, subendo pressioni derivanti dall’esterno e dall’interno di noi, ci muoviamo tendendo al futuro mutando l’equilibrio, e incontrando inaspettatamente il passato. Cappello crea delle immagini nitide ma con margine sfocato dei moti che ha provato nel proseguire della sua esistenza. Dal presente ritorna all’infanzia, remota ma sempre latente e pronta ad influenzare la corrente condizione in cui si è approdati. Le relazioni tra gli uomini assumono un tono di nostalgica malinconia e disillusione, nel ripetersi della realtà conforme all’evoluzione della persona, la quale però fa sempre parte della totalità del mondo cui partecipa. I versi rimangono impressi come nella pietra nel bagliore della luce, dalla sua più alta intensità a quella

lo conferma, mentre mi sfila 200mila lire. E allora afferro una bicicletta - non so di chi sia - e fuggo con lei a fare l’amore. Passo con il rosso, taglio la strada ad un bimbo ed attraverso senza guardare, percorro i portici incurante del disagio che porto agli ignari pedoni e mi fiondo all’interno della “casetta” dove niente e nessuno potrà disturbarci. Recupero il necessario per il nostro violento amplesso, le mani sudate e tremolati a stento riescono a terminare la preparazione del tragico evento. Ecco è entrata, cala lo stantuffo che come uno Tsunami alza la mortal onda che lenta ed inesorabile percorre tutto il mio apparato venoso infrangendosi devastante sul mio arido cuore, ricordandomene la costante presenza al centro del petto. E nell'amplesso io torno a sentirmi un dio. Fino alla prossima notte in bianco, al sudore, agli occhi sbarrati alle telefonate frenetiche per sapere di lei, al bisogno di denaro per farmi amare da lei, per sentirmi nuovamente onnipotente dentro il mio marcio mando. nascente dell’alba: le sensazioni sinestetiche avvolgono il lettore in un’atmosfera che lo trasporta in un’altra dimensione, con un piede restante nel tumulto interiore che coglie ognuno di noi, e che ha ispirato Cappello stesso in ogni componimento. In ciascun verso metabolizza degli avvenimenti o pensieri che l’hanno travolto in questi sei anni, e li trasmette a noi in un clima vivido di poesia partorita in silenzio.


L'APPROFONDIMENTO ————————————————————————

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Un altro sguardo sulla vita di Milena Bidinost Secondo le stime del Piano d’azione globale dell’Organizzazione Mondiale della salute, nel mondo sono 285 milioni le persone che soffrono di disabilità visive. Di queste, 39 milioni sono cieche. In Italia le stime Istat risalenti al 2005 – le più recenti a disposizione – parlano di 362mila persone non vedenti e di quasi 1 milione e mezzo di ipovedenti. Il numero di questi ultimi è in crescita anche a causa dell’invecchiamento demografico o di patologie come il diabete. Ipovedente è colui che vede in maniera sufficiente per non dover organizzare la propria vita come quella di un cieco, ma allo stesso tempo vede troppo poco per svolgere la sua vita come chi vede normalmente. L'ipovisione si manifesta con forme e modalità diverse in adolescenza come nell'età adulta e sconvolge la quotidianità del singolo, più che non una cecità riscontrata dalla nascita che diventa, fin da subito, il modus vivendi del bambino. Il tutto avviene in una società, moderna e globalizzata, che non ha ancora acquisito la cultura dell’ipovisione. La disabilità visiva – sia essa cecità o ipovisione – non si vede ed è di difficile comprensione. «Le persone vedenti – dice Susanna Tomasi dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti di Pordenone – tendono a rifiutare questo problema sociale perché credono che non possa mai riguardare loro ed invece non è così. La si sottovaluta, ma vedere un'ombra non è vedere e quando la patologia subentra spaventa la persona. Ciechi ed ipovedenti sono persone normali, che possono arrivare ad un ottimo livello di autonomia, ma vanno aiutate ed accompagnate, loro e i loro famigliari». In questo un ruolo fondamentale è svolto dall'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, fondata nel 1920 a Genova su iniziativa di un gruppo di reduci del primo conflitto mondiale ed eretta in ente morale nel 1923. La sezione provinciale di Pordenone ha sede in Galleria San Marco: risponde ai seguenti numeri telefonici: 0434.21941, oppure 0434.208258 e ha un suo sito internet (www.uicpordenone.org). La sede è aperta al pubblico dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 12.30 e il lunedì e giovedì pomeriggio, dalle 15 alle 17.30. Guidata dalla presidente Daniela Floriduz e dal vice Luciano

Missio, conta più di 200 iscritti, provenienti anche da altre realtà provinciali. «La sezione di Pordenone – spiega Missio - fu istituita nel 1969 e divenne in breve una delle cellule più vivaci e attive del sodalizio, segnalandosi soprattutto per le iniziative e per l’impegno diretto nei campi dell’integrazione scolastica, dell’inserimento lavorativo e dell’autonomia dei non vedenti, della mobilità e dell’abbattimento delle barriere architettoniche». A partire dal 1998 la sezione ha voluto proporsi in modo più sistematico anche come soggetto che interviene direttamente sul territorio della provincia, mettendo le sue risorse e le sue competenze a disposizione delle comunità locali con speciale attenzione per i più giovani e per coloro che perdono la vista durante la vita, anche in età adulta». E' ampia ed articolata la gamma dei servizi offerti in base a problematiche ed esigenze. La sede offre il sostegno socio- educativo organico e completo in ambito scolastico ed extra-scolastico; l'assistenza, anche a domicilio, di ciechi o ipovedenti che versino in situazioni di particolare disagio; l'assistenza per il disbrigo delle pratiche necessarie per ottenere l’indennità di accompagnamento, le pensioni e le altre provvidenze economiche speciali previste dalla legge; il trasporto; l'aiuto per l’ottenimento degli ausili tecnici che il Servizio sanitario nazionale fornisce in tutto o in parte gratuitamente ai ciechi e agli ipovedenti gravi. In sede si organizzano inoltre corsi, anche individualizzati, per l’apprendimento e/o per l’insegnamento delle tecniche di scrittura e lettura che possono essere utilizzate dai ciechi e dagli ipovedenti, con particolare riguardo per l'alfabeto Braille; la registrazione in formato audio, la stampa in braille, la predisposizione a caratteri ingranditi o il reperimento di libri di testo, dispense e altro materiale per gli studenti. La Biblioteca del libro Parlato “Marcello Mecchia”, è oggi riconosciuta tra le biblioteche d’interesse regionale. Infine, non va dimenticato il supporto offerto dall'associazione alle attività sportive praticabili dai disabili visivi (tandem, ginnastica dolce, nuoto, tennis per ciechi, passeggiate solidali), in collaborazione con altre organizzazioni ed enti, a cominciare dal Comitato italiano paralimpico.


Con la nebbia negli occhi Claudio, ipovedente: «Le mie bambine hanno la mia stessa patologia: ho insegnato loro a non sentirsi mai diverse e oggi vivono una vita autonoma» di Marco Ciot Claudio è nato nel 1973 con una patologia congenita del nervo ottico, l’ipovedenza: significa che nei suoi occhi non ci sono abbastanza connessioni con la retina. In questi casi le conseguenze possono essere diverse: c'è chi non vede con la luce, chi vede in bianco e nero, chi vede molto sfuocato, come nel caso di Claudio. Nei contesti domestico e lavorativo non ha problemi: con il tempo poi i sensi si sono affinati e l’istinto lo ha portato dove vuole arrivare, sempre entro certi limiti percettivi. «Le prime difficoltà – racconta Claudio - iniziarono a scuola, per evidenti ostacoli causati dalla capacità visiva: difficoltà a leggere la lavagna o a leggere un testo non ingrandito e con poco contra-

sto. Allo stesso tempo, essendo l’ultimo di quattro fratelli e comportandomi come gli altri, non si riusciva a capire

bene la mia situazione. Con i coetanei di paese non ci sono state grandi disparità fino al raggiungimento dei 18 anni». La patente però ha cambiato tutto. «Non potevo e non potrò mai dire andiamo con la mia macchina – dice -. Questo mi metteva in forte imbarazzo, soprattutto con le ragazze. È sempre stato difficile aprirmi agli altri, eccezion fatta durante i due anni al Configliachi di Padova, l’istituto dove ho seguito il corso per centralinista telefonico. Lì

non c’erano distinzioni. Anche con le ragazze era molto più semplice, le battute comuni aiutavano». Di carattere

Vivere una vita al suo fianco La storia di Francesco, cieco dalla nascita, e Teresa. «Per me e mio marito è stato un matrimonio senza ostacoli» di Cristina Colautti Teresa nasce nel 1946 in un paesino della provincia di Belluno e, all’età di circa 17 anni, si trasferisce insieme alla sua famiglia a Milano. In quella città conosce Francesco, suo coetaneo, cieco dalla nascita, che dopo alcuni anni diventa suo marito. «Ci siamo conosciuti perché eravamo vicini di casa ed io frequentavo la sorella - racconta Teresa - i genitori mi parlavano spesso di questo ragazzo, che studiava a Bologna ed era una persona eccezionale e per questo mi era di una tale antipatia che pensavo: “quando torna non mi faccio più vedere a casa sua”. Poi, invece, ne sono rimasta affascinata». Il primo incontro avviene a casa di lui, quando Francesco rientra per le vacanze estive da Bologna dove studia al liceo classico. I

genitori di Francesco si trasferiscono a Milano, dal paese d’origine, quando il figlio ha 7 anni per offrirgli un futuro migliore, ma il giovane, una volta terminato il collegio, ottiene la possibilità di studiare a Bologna dove, a differenza del capoluogo lombardo, ha la possibilità di frequentare il liceo e quindi l’università, invece di uno specifico corso di avviamento al lavoro per non vedenti. «Quando ci siamo conosciuti - ricorda Teresa – lui stava preparando un lavoro su “La solitudine in Montale” ed io ho cominciato a leggere per lui le poesie ed i vari scritti di questo autore. In quegli anni, infatti, non esistevano tutti i supporti tecnologici di oggi e se una persona cieca voleva conoscere un testo necessitava di qualcuno che glielo leggesse o lo

trascrivesse in Braille”. La giovane coppia per alcuni anni vive una relazione a distanza, alimentata dalle reciproche visite, ma soprattutto da una fitta corrispondenza epistolare. «Mi mandava delle bellissime lettere con la sua mac-

abbastanza solitario, a causa della distanza che si instaurava fra lui e il suo interlocutore quando parlava della sua condizione, Claudio allo stesso tempo non si è mai posto limiti. Né gli sono stati imposti. Ha sempre praticato molti hobby: bicicletta, nuoto e bodybuilding. Claudio oggi non riesce ad identificare una figura di riferimento. L'unica eccezione è per sua moglie. «L’ho conosciuta a casa di un amico – ricorda – e nel 2005 ci siamo sposati. Abbiamo avuto due bambine, la prima nel 2006 l’altra nel 2008. La decisione di avere una famiglia maturò nel ‘97, dopo che uno specialista mi assicurò della non-ereditarietà della mia ipovedenza. Questo era fondamentale – dice -: non avrei mai voluto che i miei figli vivessero quello che ho vissuto io». La natura però ha scelto diversamente. Entrambe le sue bambine svilupparono la sua stessa patologia. «I primi segnali arrivarono a scuola – prosegue Claudio - per le classiche difficoltà: leggere alla lavagna e i libri. Furono due shock. Soprattutto per mia moglie. Dopo le diagnosi, io divenni guida per le piccole e per mia moglie: lei diventava eccessivamente protettiva nei loro confronti e questo non le avrebbe aiuchina da scrivere - racconta Teresa - ed io gli rispondevo utilizzando l’alfabeto braille, che avevo imparato da autodidatta». I due, a 24 anni, si sposano e vanno a vivere insieme a Bologna dove Francesco sta terminando il percorso universitario in Lettere Classiche ed è attivo in politica. «Io ero innamoratissima – dice Teresa - era un ra-

gazzo affascinante ed aveva una vivacità intellettuale che ti conquistava. Inoltre era una persona molto indipendente e girava spesso da solo in città». La coppia, dopo la laurea di Francesco, si trasferisce in provincia di Pordenone, dove


tate a crescere in maniera autonoma». Il loro papà cercò di dare loro tutte le nozioni apprese nella sua vita, dai più piccoli accorgimenti (come affrontare i gradini), ai più grandi consigli (mai sentirsi diversi). «È importante comprendere quali sono gli ostacoli – sottolinea - a volte facendosi anche un po' male, ma ottenendo così l’autonomia che altrimenti resterebbe irraggiungibile. Oggi viviamo serenamente. Le ragazze fanno tutto: bicicletta, nuoto, danza, canto. Vanno a scuola in corriera, autonomamente. Non le abbiamo inserite in istituti per ciechi, ma in strutture normali proprio per garantire loro massime integrazione e socializzazione». L’ostacolo più grande, secondo Claudio, è far capire agli altri la loro condizione. «Non è una diversità – tiene a rimarcare - serve solo qualche supporto in più, ma soprattutto più informazione, a tutti i livelli. Per ridurre le distanze consiglio ai vedenti di provare a chiudere gli occhi per un mese e fare tutto al buio. Capirebbero tante cose. È come sedersi a tavola: le cose vanno assaggiate, poi sai cosa ti piace oppure no. Ora il mio principale progetto è occuparmi delle mie bambine, farle vivere felici». lui inizia ad insegnare all’Istituto Magistrale. «Ha scelto la scuola superiore perché alle medie avrebbe dovuto avere un assistente per tutte le ore, mentre in quel caso poteva averla solo durante il compito», porsegue il suo racconto Teresa, che ricorda quando controllava i ragazzi, aiutava il marito nella compilazione dei registri e, talvolta, si incantava ad ascoltarne le lezioni. «Difficoltà particolari – dice legate alla cecità, nel nostro matrimonio non ci sono state. Sapevo che lui determinate cose non poteva farle, ma non le ho mai vissute come un limite, ne ero consapevole e mi comportavo di conseguenza». Teresa ha coadiuvato il marito nel lavoro e negli impegni, che si sono moltiplicati una volta che Francesco è diventato preside di uno dei licei più importanti di Pordenone, riuscendo al contempo a lavorare diversi anni e a crescere il figlio nato dal loro matrimonio. Quella di Teresa e Francesco è stata quindi una normale vita di coppia, con le sue difficoltà, ma caratterizzata da un costante confronto e condivisione, oltre che dalla scelta di aprire le porte di casa a chiunque abbia avuto bisogno di loro.

Essere i protagonisti in un buio che non esiste Il podista Tullio Frau: «Corro perché non voglio essere una comparsa nel film della mia vita» di Antonio Zani Nasce in un piccolo paese della Sardegna, in provincia di Oristano, sessantaquattro anni fa, ma è pordenonese di adozione da oltre quarant'anni. Lui è Tullio Frau, noto podista non vedente. Una malattia contratta alla nascita prima dei vent'anni lo ha reso totalmente cieco. Quest'uomo affabile e cordiale, dopo una vita di lavoro come fisioterapista all'ospedale cittadino, una decina di anni fa ha iniziato a fare attività sportiva. «L'ho fatto – dice – per salvarmi dal baratro. Mangiavo e bevevo, pesavo quasi cento chili». Ad un certo punto decise che non voleva passare la sua esistenza seduto su di un divano. A Pordenone, diversamente da altre zone di Italia, non sono ancora molti gli sport accessibili ai non vedenti: oltre al podismo, ci sono il tandem, il tennis e il nuoto. Quasi per gioco Tullio si è iscritto alla famosa maratona di New York, dopo avere corso una sola maratona di preparazione in quel di Padova. Da allora ha preso parte ad una ventina di maratone tra le quali ricorda con piacere quelle di Parigi e di Praga e ad infiniti trails. Ha iniziato per caso con un amico. Corre in scioltezza solamente con l'aiuto di una breve cordicella che lo lega al compagno di turno nelle sue fatiche sportive. «Calma – dice - ci vuole calma per arrivare a certi livelli. La pri-

ma volta sono arrivato demolito, però sono arrivato». Il nostro instancabile podista giramondo ha corso in ogni angolo del pianeta: in Europa, in America, Africa e Asia. La competizione che ricorda con maggior piacere è la "Corsa della bora" che si svolge sul Carso triestino. La ricorda come un traguardo raggiunto per le particolari condizioni climatiche e del terreno: è stata una gara che gli ha permesso «di spostare l'asticella sempre più in alto,

se non ci riesco ci riprovo, l'alternativa è quella di rimanere a casa sul divano». Lui però non è tipo da salotto, bensì uno sportivo sempre alla ricerca di una nuova ed appagante sfida. Ha corso anche nel deserto – tra gli altri - in Iran, Giordania e Siria dove è stato accolto da vera star e dove ha ricevuto gli onori della ribalta ed onorificenze dai vari ministri dello sport. È stato il primo non vedente in assoluto ad attraversare il deserto del Sahara. «Correre nel deserto – dice - è una delle cose più belle che ci sia, raggiungi una sorta di pace interiore, sei a contatto con l'universo, senti solamente il silenzio assoluto ed il fruscio della sabbia sferzata dal vento, è qualcosa di indescrivibile». I suoi nuovi obbiettivi sono un trail attraverso il nostro appennino tosco-emiliano e poi la maratona della pace che si svolge in Palestina dove parteciperà come ambasciatore di pace in quei luoghi cosi tormentati dalla guerra. Tullio ha una solare percezione della vita. «Io non sono fortunato – dice si se - ma di più ancora, perché non ci vedo ma ho tutto ciò che posso desiderare dalla vita. Vivo da protagonista e non come semplice comparsa. Per me il buio non esiste e amo lo sport perché lo sport non fa discriminazioni». Oltre al podismo gioca a tennis, ha il brevetto di sub ed è sempre alla ricerca di nuovi orizzonti da scrutare e nuovi traguardi da raggiungere. Gli ostacoli che incontra nella vita quotidiana? «Solamente le barriere architettoniche che la città gli pone e, a volte, la maleducazione della gente».


Riconquistare la propria autonomia Corrado Bortolin, istruttore: «Ecco come un ipovedente può far tesoro della propria memoria motoria» di Milena Bidinost Accettare la propria disabilità visiva, riorganizzarsi la quotidianità e relazionarsi con gli altri, che faticano a comprendere ciò che ti stai vivendo. È il percorso che si trovano a fare le persone cieche e ancora di più quelle ipovedenti dall'età adulta, che sono la maggioranza. Esiste per questo una figura professionale che può trasferire loro metodi e nozioni utili a facilitarne l'inclusione sociale. Si tratta dell'Istruttore di autonomia, una figura qualificata che le aiuta a muoversi e orientarsi negli spazi. Corrado Bortolin è l'unico in provincia, e uno dei tre in regione, ad avere questa qualifica e da trent'anni opera nell'ambito della disabilità. È socio dell'Aniomap, l'Associazione nazionale istruttori orientamento mobilità autonomia personale, e collabora

con l'Unione dei ciechi e degli ipovedenti di Pordenone. «Quando la persona inizia a perdere la vista in età adulta – dice Bortolin – c'è un progetto di vita che crolla e che va riequilibrato. Io intervengo, su richiesta del soggetto, in questa fase di emergenza o in casi di cecità dalla nascita». Il primo blocco da superare è quello psicologico. «L'i-

povedente inizialmente pensa – spiega l ' i s t r u t t o re - che ciò che ha fatto fino a prima debba essere buttato via. Non è così». Esistono delle memorie motorie che vanno recuperate, conservando il proprio stile di vita il più possibile. In casa è più facile, ma anche qui la famiglia deve cambiare abitudini, riorganizzare gli spazi a misura della persona. Il secondo passo è uscire. «Il disabile visivo – dice Bortolin – tende all'autoreclusione e a delegare ad altri. Invece è fondamentale che

continui a frequentare tutti gli ambienti di prima». È la fase più complessa. «Si inizia – spiega l'istruttore – introducendo l'uso del bastone bianco, che significa accettare un punto di non ritorno, ma anche comunicare agli altri la propria disabilità che da fuori spesso non si vede. Nel caso degli ipovedenti, ad esempio, è difficile sapere che, se non ti salutano più per strada, è perché non ti vedono più e non perché sono maleducati». Bortolin fa anche da mediatore in tal senso, accompagnando la persona al lavoro, a scuola piuttosto che al supermercato. L'obiettivo è facilitare le relazioni e l'autonomia. Su quest'ultimo fronte però la società non è ancora del tutto attrezzata. «L'abbattimento delle barriere architettoniche – fa notare – è ancora a macchia di leopardo, ma più limitante è il problema della leggibilità dell'informativa pubblica e privata: scritte troppo piccole anche per un vedente, in tabelle, modulistica e documenti. In pratica – conclude – se un ipovedente può entrare da solo, fisicamente, in un ufficio, quando deve compilare un modulo viene meno la sua autonomia».

Le nuove tecnologie

Il piacere della lettura

Gli ausili digitali che liberano l'autonomia

Grazie ai volontari, la Biblioteca di libri registrati e in braille

Con l'avvento delle nuove tecnologie sono numerosi gli ausili disponibili sul mercato grazie ai quali viene agevolata l'autonomia delle persone non vedenti o ipovedenti: esistono gli orologi e le bilance (da cucina e pesa persone) e diversi strumenti medicali, come ad esempio il termometro a pressione e il misuratore di glicemia, parlanti. La sintesi vocale ha rivoluzionato, migliorandolo, anche l'approccio al mondo della comunicazione rendendo libero e autonomo l'utilizzo dei cellulari e dei personal computer. Gli stessi touche screen, per chi ha una buona manualità, non rappresentano degli ostacoli. Esistono poi i display Braille, delle periferiche per computer e tablet che permettono di leggere il contenuto della videata attraverso il tatto nel sistema di scrittura e lettura in rilievo per non vedenti. “Il Braille tuttavia – dice Caterina Avoledo, socia dell'Unione dei ciechi e degli ipovedenti di Pordeno-

Conta circa quattro mila volumi, tra libri in cartaceo e registrati, ed è rivolta ai disabili visivi e a quanti, per documentata patologia, incontrano delle limitazioni nella lettura, come nel caso degli anziani e dei portatori di altre disabilità. Attualmente è utilizzata da poco meno di un centinaio di utenti, all'interno dei quali c'è un certo turn over. Parliamo della “Biblioteca del Libro Parlato Marcello Mecchia”, istituita nel 1983 in seno all'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti di Pordenone. Vi si trovano opere registrate su audiocassetta, su cd-rom, in formato mp3 e in versione digitalizzata: i generi vanno dai romanzi alla saggistica, dalla letteratura per ragazzi alla scienza, con un occhio di riguardo alla produzione letteraria locale e regionale. Non mancano ovviamente testi e periodici in Braille e riviste sonore. Un'attenzione particolare è riservata agli studenti per i quali vengono effettuate trascrizioni

ne – è un sistema naturale da apprendere per chi nasce cieco, è molto più complesso invece per gli ipovedenti che sono abituati a leggere e scrivere normalmente”. Inoltre queste sono periferiche poco agevoli e sempre più ci si affida alla sintesi vocale. Con l'avvento delle nuove tecnologie il ricorso al Braille è in calo perché costa di più, ad esempio nella traduzione dei libri, e abbisogna di più spazio. Nella sede dell'Unione Avoledo insegna agli utenti l'utilizzo del computer. «Per scrivere – dice – si usa la tastiera normale secondo le regole della dattilografia, per leggere invece la sintesi vocale attraverso appositi programmi». Oggi un non vedente è in grado di utilizzare quasi tutti i programmi e di viaggiare in internet nei siti di informazione, che prevedano la sintesi vocale. I testi scritti – aggiunge – possono inoltre essere acquisiti anche attraverso scanner e tradotti con la sintesi vocale”. (m.b.)

in Braille e registrazioni di libri di testo, di dispense e fascicoli. «In gran parte – spiega Giorgio Piccinin, consigliere dell'Unione e uno dei volontari della biblioteca – si tratta di volumi che acquistiamo e che facciamo registrare da volontari formati. Mediamente un volume di 300 pagine richiede un tempo di registrazione di circa un paio di mesi. I volontari sono una ventina e non tutti attivi in modo costante». Il servizio bibliotecario compre l'intera regione ed è gratuito, salvo che per registrazioni di testi specifici. «Tra le traduzioni in Braille – prosegue Piccinin – rientrano anche delle nostre piccole produzioni, il calendario e gli opuscoli sui servizi del territorio». Le nuove tecnologie hanno favorito di molto la “lettura”. «Un tempo – dice Piccinin – servivano dalle trenta alle quaranta audiocassette per contenere un unico libro, oggi invece una chiavetta Usb ne arriva a contenere anche sette in Mp3». (m.b.)


PANKA AMBIENTE

VOLONTARI DI VALORE Crédit Agricole FriulAdria lancia il primo progetto di volontariato aziendale di Flavio Mariuzzo, Servizio Relazioni Esterne e Sponsorizzazioni Una volta scorreva il fiume nell’area verde di via Vecchia di Corva, vicino alle scuole medie di via Vesalio a Pordenone. Il Noncello ripiegava nel quartiere di San Gregorio con un’ampia ansa che veniva utilizzata dai barcaioli per attraccare i burci carichi di merci. L’antica chiesetta intitolata al santo che si trova nei paraggi riporta ancora nelle sue decorazioni interne tracce evidenti di questa quotidianità. Successivamente, con la costruzione della ferrovia ad opera dell’amministrazione austriaca verso la metà dell’800, il corso del fiume Con l’avanzare della tecnologia, delle connessioni fra uomini e dispositivi, tutto è diventato più veloce. Soprattutto l’acquisto: bastano un click, un carrello virtuale ed eccoci pronti a comprare quello che vogliamo, ovunque ci si trovi nel mondo. Ogni elemento del progresso ha aspetti positivi e negativi. L’eccessivo consumo è uno degli aspetti negativi. Consideriamo ad esempio il cibo. Nella nostra società, quella dei paesi ricchi, possiamo comprare ogni tipo di bene alimentare, proveniente da qualsiasi parte del mondo, in qualunque periodo dell’anno a prezzi accessibili. L’accessibilità economica è garantita da un sistema di produzione e distribuzione tali per cui il costo non pagato oggi, verrà messo in conto alle generazioni future. Ogni bene produce esternalità. Pensiamo alla catena di produzione globale della carne industriale: alle-

venne rettificato per favorire la realizzazione della massicciata e del ponte in pietra. Da allora, quel polmone di verde che rappresentava la porta d’ingresso in città attraverso il corso d’acqua, sul quale si affacciava anche il Santuario della Madonna delle Grazie (all’epoca conosciuto con il nome di Madonna delle Barche), subì un lento e inesorabile declino, fino all’attuale condizione di degrado. L’area è stata consegnata ai giorni nostri invasa da piante infestanti e acque stagnanti, pallido ricordo del placido scorrere del fiume. Provvidenziale è

arrivata l’iniziativa di volontariato aziendale di Crédit Agricole FriulAdria. I “Volontari di Valore” della banca si sono dati appuntamento in via Vecchia di Corva un venerdì pomeriggio di fine ottobre e sotto l’esperta guida dell’architetto Giulio Ferretti e di altri attivisti di Legambiente hanno completamente ripulito il sito, restituendolo alla comunità locale con la funzione di piccolo parco urbano dotato di panchine e di un cancello che lo collega alla vicina scuola media per le attività didattiche, come avveniva in passato. Per un intero pomeriggio, una squadra di bancari ha abbandonato le scrivanie e gli uffici per mettersi a disposizione della comunità nei due siti individuati insieme all’assessorato comunale all’Ambiente (l’altro era nei pressi del parcheggio dell’Interporto, sempre nel quartiere di Villanova, e necessitava di essere ripulito dalla spazzatura gettata per strada senza regole né ritegno da camionisti di passaggio). Con i lavori sono state eliminate piante secche e rampicanti, come l’edera, e altre specie invasive quali l’ailanto e le acacie, che hanno la particolarità di scaricare sul terreno, renden-

Eccesso di consumi, nemico dello sviluppo «Porta a culture intensive tali da mettere a rischio, per il futuro, interi ecosistemi» di Marco Ciot vamenti intensivi, basati su monocolture di soia e mais, indispensabili per garantire una veloce crescita al minimo costo di milioni di animali. Dalle monocolture inizia il ciclo di produzione e di inquinamento ambientale, fatto di emissioni di gas serra quali anidride carbonica, metano e monossido di azoto, per un contributo pari al 14,5% delle emissioni totali, più di tutti i tra-

sporti messi insieme. Emissioni che contribuiscono alla distruzione di biodiversità, alla perdita di resilienza dei terreni, all’aumento dell’effetto serra e quindi al cambiamento climatico. Tutti vettori questi di mutamento dell’equilibrio globale creatosi in miliardi di anni di coevoluzione fra elementi biologici e fisici. Con l’aumentare delle emissioni, non solo perderemo ecosiste-

dolo sterile, l’azoto e le tossine assorbite dall’aria. Le attività svolte dai dipendenti della banca sono state indirizzate alla formazione di un bosco maturo con piante autoctone come l’acero e la quercia. Alla fine sono state raccolte due tonnellate di rifiuti, ramaglie e tronchi, con il risultato di strappare al degrado un’area abbandonata che probabilmente sarebbe rimasta tale per chissà quanti anni. Il progetto “Volontari di Valore” di Crédit Agricole FriulAdria è stato premiato a Milano nell’ambito della decima edizione di Green Globe Banking, una rassegna che ogni anno riconosce l’impegno delle banche italiane più “verdi”. L’iniziativa si colloca nell’ambito del più generale programma di responsabilità sociale di Crédit Agricole in Italia che prevede diverse azioni di miglioramento nei confronti delle persone e dell’ambiente promosse dalle banche del Gruppo.

mi indispensabili al Pianeta, come le foreste primordiali, ma perderemo moltissime colture. Milioni di persone saranno costrette a migrare a causa dell’impossibilità di coltivare, o addirittura di vivere come avevano sempre fatto, proprio a causa del cambiamento del clima. Il nostro modello di sviluppo attuale, non rispecchia affatto la definizione di sviluppo sostenibile, inteso come uno sviluppo in grado di assicurare «il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri» (Commissione Mondiale per l’ambiente e lo sviluppo, 1987). Serve urgentemente «cambiare i nostri atteggiamenti e convenire di vivere in modo modesto e realistico, solo a vantaggio del futuro, che non è nostro, ma abbiamo preso in prestito dalle future generazioni» (Y. Boodhoo, 2003).


INVIARI NEL MONDO

I mille perché del mio viaggio Un Natale in Israele, Palestina e Giordania: tra architettura, cultura, storia e controlli militari di Piero Della Putta Ogni cosa, ogni viaggio ha il suo perché. Non avere un perché è, in sé stesso, un perché. Per parlare di Israele, di Palestina, di Giordania è necessario partire dai tanti perché. Perché scrivi? Perché Ada me l’ha chiesto, e a lei non so dire di no: in realtà perché ne ho bisogno. Perché a Natale? Perché non ci ero mai stato: per staccare dal lavoro, dall’inverno, dalle rogne, dai cenoni e da capodanno. Rifaremo. Perché Israele e Palestina, perché Giordania? Perché non ci ero mai stato, perché son curioso, perché costa abbastanza poco (poco se li hai, i soldi, ovviamente: ho imparato a non fare i conti in tasca a nessuno, diventando vecchio). Perché così, senza programma? Perché anno dopo anno peggioro. E non aver meta è ormai una costante dei miei viaggi, della mia vita. Tel Aviv, dunque. Città modernissima, che ti svela subito le mille discrepanze di un Paese, Israele, che non giudico ma che vive anche nel passato, e con passato, e futuro fa i conti ogni giorno. Mare, storia, grattacieli. Arabi, israeliani, hot pants e velo. Surf ed esercito. Tel Aviv, dove mi fermo poco, come troppo poco dura il mio viaggio. Bus collettivo, e Gerusalemme, dopo aver capito che quando si dice che in Israele durante il riposo settimanale non si

lavora, è perché non si lavora. Motivo in più per farmela piacere. Gerusalemme, dove tutto nasce, dove tutto inizia. Gerusalemme araba, mercati e mercanti, ebrea, pulizia e religiosità, cattolica, tradizione e storia. Gerusalemme armena, mistica e misteriosa. Gerusalemme culla del mondo intero. La via dolorosa, il muro del pianto – non andate nella parte femminile, basto io ad averlo fatto -, le moschee e la loro spianata, il convento armeno, che regala emozioni incomparabili anche ad un eretico. Gerusalemme e poi Betlemme, la natività, le moschee, i mercati, i controlli nel passaggio alla parte palestinese, i portoni che apro o che trovo aperti. Entrandoci. Il Monte degli ulivi, il muro di Gerusalemme, le porte di Damasco, di Erode, il quartiere arabo. Il centro commerciale della città, l’ortodossia che

vive accanto ad una fede moderata ed al laicismo. I controlli armati, ovunque. Gerusalemme, e Piero che si fida dell’omino che lavora alla biglietteria dei bus, e per raggiungere Amman si fa portare all’unico confine con la Giordania ove serva in precedenza il visto di ingresso. Controlli, controlli, mitra spianati, la terra di nessuno e un autobus incendiato, o esploso, che qui sembra normale. Controlli, sino al visto che manca. «Venga con me», e ti accompagnano dove parlano solo arabo, e ti portano di stanza in stanza, in preda ai pensieri peggiori. Sino alla sentenza, che mi fa sentire sans-papiers, la più brutta delle sensazioni. Rifiutato, la Giordania non mi vuole: torni indietro. Rifai tutto, controlli, controlli, mitra spianati e terra di nessuno. E due ore di taxi, fanculo i soldi, sino al confine a nord. Passa-

to, altre due ore di taxi condiviso. Amman. Finalmente Amman. E il suo incantevole teatro greco. E la sua cittadella, meraviglia archeologica che domina una città caotica, disordinata, confusa ma ospitale, anche se non fatta a misura di viaggiatori indipendenti. Dopo Amman, Jerash, secondo sito archeologico più importante di Giordania: mi ci perdo, mi ci tuffo, e ne vale sempre la pena. Poi l’incanto assoluto, Petra. Petra tradizionale, il primo giorno, Petra lontana dai turisti il secondo, e ne servirebbero mille altri. Chilometri e chilometri di sentieri, di resti ben conservati, di picchi e di burroni. Di gentilezze e di risse sfiorate, perché chi mi offre un passaggio a dorso di mulo non rispetta le precedenze, e si prende una sassata in testa. Forte, come forti sono le urla di coloro che nella rissa si tuffano. Bambini, adulti, donne. La lascio, Petra, dopo averci passato un capodanno spoglio: Wadi rum e il deserto mi aspettano. I suoi colori, i beduini, il suo freddo e le sue dune. Il sorriso dei bimbi, le tende, il suo tea e i suoi odori, i tramonti e le albe che rendono ancora più duro da accettare il ritorno a Gerusalemme. Dove mi perdo, dove cammino senza meta senza sosta, dove un allarme bomba che mi fa scendere dal tram sembra normale. Sembra. Come normale sembra il paesaggio brullo che, nell’ultimo mio giorno, mi porta al Mar Morto. Acque cristalline, salate, la sensazione di galleggiare che non ha pari, fanghi miracolosi, i russi. E ancora, la Giordania sull’altra sponda. Segno dell’inutilità criminale dei confini, segno sul quale rifletto, dopo aver baruffato con un tassista truffaldino, nell’ultima passeggiata a Gerusalemme. Si, ogni cosa ha un suo perché. Di qui ad accettarli, i perché, ci passa il mare. Morto.


In crociera senza barriere Viaggio in carrozzina su una nave. A spasso per il Mediterraneo in totale libertà di Alain Sacilotto

La crociera è una bellissima esperienza di viaggio soprattutto per le persone con disabilità, perché c'è la quasi totale libertà di movimento all'interno della nave e la possibilità di scoprire nuovi luoghi. Posso testimoniarlo direttamente perché ho vissuto quest'avventura a settembre 2014. Salpai, con la mia famiglia, da Savona, sulla "Costa Fortuna": itinerario lungo le coste spagnole e portoghesi. Tutti luoghi che sognavo da una vita. Prima di raccontarvi il mio viaggio, alcuni consigli pratici. Una volta deciso l'itinerario, meglio affidarsi ad un'agenzia di viaggi. Consiglio di informarsi sei mesi prima su ciò che serve, per avere il tempo di sistemare tutto: nelle navi non ci sono molte cabine per disabili e

quindi vanno a ruba. E' molto importante fare la richiesta per avere l'accompagnatore gratuito: la pratica si svolge tramite agenzia e consiste nell'inviare alla compagnia di crociera i certificati medici che attestino la patologia e il bisogno di accompagnamento. Quindi il mio viaggio. Una delle prime cose che mi colpì in quella nave fu l'arredamento luccicante e gli immensi saloni molto colorati. La prima missione che dovemmo compiere fu individuare le nostre cabine dati i dodici piani della nave. Dopo aver controllato gli spazi soprattutto nella cabina disabili, ci sistemammo e rilassammo in attesa della cena. Verso le 19 scendemmo in ascensore al ristorante dove fummo accolti gentilmente da maître e camerieri che ci accompagnarono al tavolo. Le portate durante tutto il viaggio erano sempre ottime e il servizio ci faceva sentire dei signori. Anche per richieste speciali, ad esempio avere cibo frullato, bastava avvisare il maître. Dopo cena la serata continuava nel teatro a tre piani dove solitamente c'erano spettacoli di varietà divertenti e coinvolgenti. Il divertimento è su misura per tutti con una decina di bar e una discoteca. Noi, dopo il digestivo, preferivamo riposare per il giorno seguente

nelle nostre comode cabine. Le giornate trascorsero velocemente e non c'era il tempo di annoiarsi tra mattinate impegnate nelle escursioni, pomeriggi di relax a bordo piscina, visite in biblioteca e nei negozietti e bellissime serate tra spettacoli, sale da ballo, tornei di carte, giochi di squadra e casinò stile Las Vegas. Per le escursioni degli ospiti disabili negli ultimi anni c'è stata una vera e propria rivoluzione. Prima del 2011 le persone non deambulanti erano costrette a fare escursioni per conto proprio nei luoghi di sbarco visto che nessun pullmann era munito di sollevatore. Non sempre poi gli Stati meta delle visite sono ben organizzati con scivoli nei marciapiedi e mezzi pubblici accessibili: secondo me tutto ciò era ed è una vergogna. Finalmente dal 2011 la compagnia Costa organizza anche delle escursioni private con mezzi accessibili muniti di autista e guida, che si possono prenotare direttamente presso l'ufficio escursioni della nave almeno quarantottore prima dello scalo nel luogo designato. Quando scoprimmo questa nuova possibilità, prenotammo subito due escursioni: Lisbona e Barcellona. A Lisbona, fummo accolti dalla guida che ci accompagnò al mini bus omologato. Prima tappa la bellissima Torre di Belém, simbolo e memoria del ruolo del Portogallo nell'era delle grandi esplorazioni;

raggiungemmo poi il Monumento alle scoperte realizzato per celebrare i marinai che parteciparono alle scoperte portoghesi. Infine il monastero "dos Jerónimos" voluto dal Re Manuele I per celebrare il ritorno di Vasco de Gama dopo aver scoperto la rotta per l'India. Se l'escursione a Lisbona ci affascinò per storia e cultura, a Barcellona la fece da padrone il calcio, lo stadio Camp Nou, il tempio del calcio e dei campioni. Già da fuori mi colpì per la sua imponenza e, quando entrammo nella bellissima arena, dopo aver visitato il museo, rimasi affascinato dall'immensità delle gradinate, immaginando l'atmosfera che si respira nelle partite casalinghe del Barcellona. Negli altri sbarchi, a Valencia, Cadice e Malaga, ci arrangiammo con mezzi pubblici e lunghe camminate, visto che la Spagna, quanto a barriere architettoniche è molto accessibile. Quel viaggio fu per me pieno di emozioni, anche per il fatto che ebbi la possibilità di muovermi in modo agevole e in sicurezza. Una vacanza è una vacanza, e non sarebbe lo stesso se in ogni momento ci fosse l'ansia di trovare il bagno accessibile, scendere o salire un gradino, guardarsi attorno in cerca di una presa di corrente o semplicemente inventarsene sempre una per risolvere i problemi. Io, come tutti, ho diritto al mio relax e in crociera l'ho trovato.


PANKAKULTURA

Quel qualcosa nel cuore Il pianista e compositore Ezio Bosso in “Music for the weather elements” per piano trio. Viaggio meraviglioso dentro e fuori la musica di Irene Vendrame La platea e le gallerie del “Verdi” sono gremite di spettatori, venuti da tutta Italia, che producono un mormorio concitato; chi è un assiduo ascoltatore, chi lo conosce appena, gli ultimi arrivati si affrettano a trovare il loro posto. Quando le luci si spengono è come se una mano invisibile avesse abbassato il volume. Il palco si accende di una luce blu intensa. Entrano il violinista David Romano, il violoncellista Relja Lukic ed infine lui, e lo scroscio di applausi risuona come pioggia in tutto il teatro. Ezio Bosso entra salutando e sorridendo affettuosamente al suo pubblico: la luce della sua espressione contrasta con la sua malattia, che lo costringe all’uso della sedia a rotelle e gli procura non poco dolore. Appena seduto al piano si rivolge verso la platea, per presentare il programma della serata: sembra quasi che parli ad un vecchio amico, scherza, ironizza, riprende gli spettatori che scattano le foto con il flash, perché «meglio avere qualcosa nel cuo-

re, che dentro al telefono». Introducendo i brani proposti, arrangiati nel progetto “Music for the weather elements” per piano trio, Bosso fa compiere al suo pubblico un inconsueto viaggio attraverso gli elementi meteorologici, che disegnano il paesaggio ed il mondo e sembrano avere molte cose in comune con la musica. Le nuvole si misurano in ottavi, il sole produce riverbero e la pioggia ha i suoi crescendo.

Concerto sold-out nella rassegna di Euritmica L'incontro di Ezio Bosso con Pordenone, rinforza la collaborazione del Verdi con l'associazione udinese A portare, lo scorso 11 febbraio, al teatro comunale Giuseppe Verdi di Pordenone un concerto da tutto esaurito sulle note del pianista e compositore torinese Ezio Bosso è stata Euritmica, l’associazione culturale udinese che da anni propone in regione eventi musicali di spessore. Ha firmato concerti di artisti del calibro di Michel Petrucciani, James Brown e B.B. King. L'in-

contro di Bosso con la città è avvenuto nell'ambito della rassegna “Note Nuove 10”, che ha registrato anche numerosi altri sold-out. «Da dieci anni – dice Giancarlo Velliscig, presidente di Euritmica – Note Nuove porta attualità e modernità in regione, rimanendo trasversale rispetto ai generi, affrontando vari stili, dal jazz alla musica etnica». Bosso alla Euritmica è oramai

E la musica a sua volta ha una grande qualità, quella di saper scandire il tempo senza che venga perduto. Dai primi tocchi del piano, timidi, ai quali si aggiungono i fili del violino e la voce calda e nostalgica del violoncello, si genera travolgente, una nota dopo l’altra, una musica che sembra essere emozione pura, così nitida e vera che entra nel petto come vento e stravolge l’anima e il cuoquasi di casa. «Lo abbiamo invitato per la terza volta – spiega Velliscig - perché lo riteniamo un musicista con la M maiuscola». Al Verdi di Pordenone, però, la formazione che il compositore ha proposto è stata del tutto nuova: era accompagnato dal violinista David Romano e dal violoncellista Relja Lukic. «È una formula – fa notare il presidente - che gli permette di spaziare in maniera musicalmente più ampia ed interessante, tant’è che il pubblico per lui accorso proviene da molte parti d’Italia. La scelta di utilizzare un teatro di Pordenone ed uscire dai confini della provincia di Udine, per questo ap-

re, cambiandone il ritmo. Lo rende partecipe di emozioni fresche e nuove come l’aria, lo trasporta in alto, in un volo appassionato tra le nuvole bianche, sembra quasi di sentirne le goccioline fredde sul viso insieme alla brezza. Gli applausi sembrano non finire quando conclude il brano, “Clouds, the mind on the (re)wind”, ma Bosso riprende a parlare, spiega cosa lo ha portato a scrivere il brano successivo, fa una battuta, racconta le sue verità. Dice che starebbe sul palco un giorno intero, perché per lui un giorno è una vita. Quando presenta “Rain, in your black eyes” dice di sperare sempre che, siano lacrime o gocce di pioggia, facciano comunque crescere qualcosa di buono. Suona ancora e parla di Schubert. Suona ancora e parla dei tuoni e dei fulmini. Suona ancora e la luce blu sullo sfondo diventa mano a mano sempre più rossa, a simboleggiare il tramonto. Racconta che “Following a bird” è simile al momento del tramonto. Quando tutto il paesaggio si colora di una luce calda e si perde la nozione del tempo e si comincia a vagare con la mente, lontano, fino a perdersi. Ed è la sensazione che rimane a fine concerto, la sensazione di aver seguito una creatura meravigliosa in un viaggio senza frontiere, attraverso musica, parole, emozioni, nuovi colori. Un viaggio attraverso un’anima, un cuore di vita pulsante. puntamento, deriva sia da fattori di disponibilità tecnica, sia dall’intenzione di dare un seguito alla collaborazione tra Verdi ed Euritmica, in modo da creare una stretta rete di eventi culturali a livello regionale». Nell'aria c'è la possibilità di un ritorno di Bosso per una quarta data friulana, forse a Villa Manin a Passariano di Codroipo, che ben si presta per i concerti all’aperto durante il periodo estivo. (i.v.)


NON SOLO SPORT

Lambretta, passione da settant'anni Ancora oggi per molti è un elemento di condivisione e di divertimento. I club di Pordenone ieri e oggi di Gianantonio Brusadin Passione Lambretta. Si comincia acquistandone una e da qui si apre un mondo: dai modelli più vecchi e caratteristici degli anni Quaranta e Cinquanta fino a quelli della fine degli anni Sessanta. C'è chi ne possiede già una e deve rimetterla a nuovo. Classico in questo caso trovarsi di fronte alla scelta: originale o modificata nell’aspetto e nelle prestazioni sia di motore che di ciclistica? L'importante è non tenerla in garage per paura di rovinarla. Il vero lambrettista non lo fa. Infondo questo è un mezzo nato per essere usato e anche oggi è facile e piacevole da usare quotidianamente, meglio se nella bella stagione. La Lambretta negli anni è stata mezzo di trasporto, ma soprattutto, ieri come oggi, elemento di condivisione per giovani. A Pordenone a riunire tutti gli appassionati è il “Lambretta club Friuli”: ha un sito www. lambrettaclubfriuli.it e una pagina facebook sempre aggiornati, che permettono di conoscere le iniziative organizzate. In città il fenomeno Lambretta ha attraversato gli ultimi Settant'anni di storia, tanti quanti ci separano dalla comparsa sul mercato di quello che è tutt'ora uno dei simboli dell'Italia del Dopoguerra e della rinascita

economica ed industriale. A partire dalla fine degli anni Quaranta, assieme alla Vespa, la Lambretta è stata per molti italiani il primo mezzo a motore con cui assaporare la libertà di muoversi. Il vero e proprio boom è arrivato nel decennio successivo, quando entrambe diventarono un fenomeno di massa. Nacquero i primi club di cultori dello scooter. A Pordenone, non ancora divenuta provincia, si costituì un club per appassionati di Lambrette, che già al tempo organizzava uscite ed eventi sportivi. Basti pensare che nel giro internazionale del 1964 tra Trieste ed Istanbul, organizzato dalla Innocenti, c'erano anche alcuni lambrettisti pordenonesi. Tra la fine degli

anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta, anche a causa dello stop della produzione del motoscooter da parte della Innocenti, il club venne meno. Rinacque sotto la spinta di un gruppo di giovani coinvolti nel cosiddetto Mod revival (mod79) all'inizio degli anni Ottanta. In quegli anni a Pordenone si assistette al risveglio della voglia di usare quella che nel frattempo era divenuta una vecchia moto. La cultura Mod prima e con essa, di lì a poco, gli scooterboys di ispirazione britannica, arrivarono anche in città. Sorse così un nuovo modo di intendere la Lambretta, in particolare quello della personalizzazione-customizzazioneelaborazione come possibilità di esprimersi e come mezzo di aggregazione per tutta una fascia di giovani che si riconoscevano in questo mondo. Nel 1991 a Pordenone, tra il parcheggio Marcolin e gli spazi della “Festa in piassa” a Villanova, si svolse il primo raduno italiano scooter “moderno” organizzato dallo scooter club attivo in quegli anni in città, che si chiamava “La vigliacca scooter club” ed era composto da giovani Mods. Negli anni il groove scooterista si mantenne qui più che in altre città più grandi e movimentate. All'inizio del 2011 nacque il “Lambretta club Friuli”, che ancora oggi riunisce estimatori giovani e meno giovani della regione. Tra gli eventi organizzati – in collaborazione con il “Lambretta Club Italia” - c'è stata, nel gennaio 2014, la mostra “È l’ora della Lambretta” (titolo ripreso dal primo spot radiofonico degli anni Quaranta). Fu

allestita negli spazi espositivi provinciali di corso Garibaldi e raccolse tutti i modelli che hanno segnato la storia del marchio, tra i quali la tv 175 completamente placcata d'oro, realizzata per un'attrice americana ma mai consegnata. Quest’anno ricorre il 70° anniversario del lancio del motoscooter di Lambiate e due saranno gli eventi imperdibili per gli appassionati del genere. A fine maggio all'autodromo di Monza, organizzato dal Lambretta club Lombardia, il primo. Il Lambretta club d’Italia organizzerà invece, all’autodromo di Adria in provincia di Chioggia, l’Eurolambretta. È un raduno di respiro europeo che dal 1989 ogni anno viene organizzato in un paese diverso. In questo tipo di raduni oltre a vivere le giornate in modo spensierato si ha la possibilità di visitare siti e luoghi di interesse storico-artistico, poi generalmente si fa un giro in sella cercando le zone panoramiche più belle. Nelle serate dei lambrettisti non manca mai la musica, soul o reagge, la loro colonna sonora.


LA STORIA

Gli accordi di Bretton Woods L’economia e la finanza mondiale tra il 1944 e il 1971 e l’abbandono del sistema deciso da Nixon di Emanuele Celotto Camp David 15 agosto 1971, Richard Nixon dichiara la fine della convertibilità in oro del dollaro. Fu una decisione obbligata, che finì per scombussolare il quadro economico mondiale. Vi si arrivò per un insieme di cause. La spesa pubblica ed il debito pubblico erano cresciuti a dismisura dopo anni di guerra nel Vietnam. Nel frattempo le riserve auree si erano ridotte di più del 30%, inoltre c’era un enorme quantità di dollari in circolazione e un buon numero di falsi. Questa decisione segnò la fine del sistema Bretton Woods, che garantiva la convertibilità dollaro-oro e che faceva del dollaro la moneta di riferimento per tutte le valute. Fu l’innesco di una crisi mondiale: deprezzamento del dollaro, il caos delle borse e la crisi del petrolio che seguì poco dopo. I paesi dell’OPEC (l’Organizzazione degli esportatori di petrolio) decisero delle restrizioni sulle forniture petrolifere che fece salire il prezzo dell’oro nero. Fu una misura attuata nei paesi aderenti alla Nato, colpevoli di avere appoggiato l’occupazione israeliana dei territori palestinesi. Il petrolio rincarò oltre quattro volte, ma fu una colossale truffa delle compagnie petrolifere: non vi era nessuna crisi del petrolio così tanto sbandierata. Il cul-

mine della crisi si ebbe nel 1974 con l’austerity, la paura che la crisi non sarebbe finita presto, le domeniche a piedi, le targhe alterne. La crisi portò anche all’inizio di movimenti ecologisti e gruppi di ricerche per energie alternative; si iniziava a parlare di “no allo smog”, ambiente ed inquinamento. La dichiarazione di Nixon creò un effetto domino e si sgretolò di colpo il sistema Breton Woods attivo dal 1944 quando, con le sorti della guerra ormai decise, le grandi potenze si incontrarono negli USA, a Bretton Woods (New Hampshire), dal 1 al 22 luglio. Vi parteciparono 730 delegati di 44 nazioni. Durante la conferenza furono presi gli accordi che diedero vita ad un sistema di regole e procedure volte a regolamentare la politica monetaria internazionale, con l’obiettivo di governare i futuri rapporti economici e finanziari, impedendo di ritornare alla situazione che diede vita al secondo conflitto mondiale. Le diffuse pratiche protezionistiche, le svalutazioni dei tassi di cambio per ragioni competitive e la scarsa collaborazione tra i paesi in materia di politiche monetarie, erano state tra le cause della guerra. I due principali compiti della conferenza furono perciò quelli di creare

le condizioni per una stabilizzazione dei tassi di cambio rispetto al dollaro (eletto valuta principale) ed eliminare le condizioni di squilibrio determinate dai pagamenti internazionali. Il sistema Breton Woods istituì, per il raggiungimento del fine, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (Banca Mondiale), due importanti istituzioni esistenti ancora oggi che diventarono operative nel 1946. Nel 1947 venne creato il GATT (General Agreement Tariffs and Trade), accordo generale su tariffe e commercio, che affiancava gli altri due organi nel compito di promuovere la liberalizzazione del commercio internazionale. Si arrivò ad una serie di accordi per definire regole e procedure mirate al controllo della politica monetaria internazionale. Il FMI aveva il compito di vigilare sulla stabilità monetaria con l’obbiettivo di ricostruire un commercio internazionale aperto e multilaterale. Era ammessa la svalutazione della moneta, ma solo su approvazione e supervisione del Fondo Monetario Internazionale. Al suo interno ogni stato aveva peso proporzionale alla quota capitale del fondo sottoscritta. Era un sistema dollaro-centrico, per cui i commerci internazionali erano soprattutto in quella valuta. Le banche centrali dovevano mantenere un cambio stabile con il dollaro; in particolare, tutte le valute dovevano essere convertibili in dollari. C’erano i diritti di prelievo che

permettevano di accedere a prestiti dal FMI, concessi agli stati in situazioni di disavanzo. In pratica il sistema progettato a Bretton Woods rispecchiava il vecchio gold exchange standard, basato su rapporti di cambio fissi tra valute, tutte agganciate al dollaro, il quale a sua volta era agganciato all’oro. Due le linee proposte: quella avanzata da J.M. Keynes aveva un orientamento più articolato, ma con meno poteri a FMI e Banca Mondiale (che è di privati), quella di H. Dexter White prevedeva un sistema liberista, che finisce col richiedere spesso un mercato con barriere e paletti finanziari ai minimi termini. Gli accordi di Breton Woods favorirono la seconda linea. Fu ben ponderata quella scelta? È lecito che la Banca Mondiale (ente privato) potesse e possa influire, perseguendo i suoi interessi, sui vari governi? Le conseguenze di un mercato ed una finanza senza paletti o barriere le stiamo vedendo e subendo ora.


Hanno collaborato a questo numero

LDP - LIBERTÁ DI PAROLA Giornale di strada dei Ragazzi della Panchina ad uscita trimestrale o quasi

—————————————— —————————————— Giorgio D. ——————————————

Cristina Colautti È arrivata in sede in punta di piedi, adesso non le sfugge niente, anzi. Dottoressa in sociologia Bis, porta a casa un 110 e lode a mani basse! Pare che “ansia” sia il suo secondo nome, ed infatti è la nostra donna per Codice a s-barre, così almeno lì, si sente al sicuro!

Si lancia dai pendii con i suoi rollerblade e siccome ha talento è riuscito a piazzarsi al 18° posto nel mondiale della disciplina e, pazzo com'è, con i suoi rollerblade va dapperttutto, perfino a dormire. La prossima sfida è diventare attore e giornalista: ce la farà il nostro eroe?

Alain Sacilotto Avete presente l'espressione "Bronsa coverta"? Eccola qua la nostra nuova penna! La sua timidezza nasconde un infuocata sete di sapere! Dietro ogni ostacolo c'è un domani, dentro ogni persona ci può essere una miniera di gemme preziose. Lui ne è l'esempio: forza, coraggio, acume e personalità da vendere. Del resto solo così si può essere amanti del verde evidenziatore e innamorati fedelmente dei colori Giallo-Blu del Parma Calcio. Che dire... Chapeau!

Andrea S. Quando la storia della tua vita è un film di Tarantino, quando decidi che la voglia di vivere diventi il finale del film, quando tutto questo è condensato in un unico uomo, all’accendersi delle luci in sala non puoi che applaudire il protagonista. Fa dell’informatica la sua ragione di vita e per ora riesce con grande stile ad accendere il computer! In miglioramento!

—————————————— Marta Quarin

Arriva in panka come tirocinante, carica di entusiasmo, sorrisi e vitalità, che lasciano però trapelare un carattere da vera combattente. Ritorna in una nuova veste, nell’anima e nel corpo, e dopo aver raggiunto un traguardo personale, ora ci affianca nelle sfide quotidiane della sede.

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Marco Ciot Ama della vita il romanticismo delle relazioni, la vicinanza agli altri che diventa calore che riscalda, abbracci e sorrisi che ti fanno credere che ci sia un meglio, che ci sia sempre di meglio. Questo calore l’ha portato in Brasile, dove il freddo non esiste e da dove, al rientro, un po’ di sole te lo tieni dentro. Scrive per noi perché non ha paura delle sfide, dell’oltre, del dopo.

Patty Isola L’immagine che la identifica è quella di un folletto. Eterea, nel bene e nel male mai banale, sfuggente, pungente, che appare dal nulla lasciando segni colorati di pennelli e sensibilità per poi scomparire nel suo mondo. Mondo che un po’ la protegge ed un po’ la mangia.. ma i folletti vivono così, ricercando equilibro dentro la rischiosa magia del buio.

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Redazione Virginia Bettinelli, Giulio Bresin, Souleymane, Fabio, Ubaldo, Andrea S., Tiberio, Patty Isola, Antonio Zani, Giorgio D., Marlene, Marco Ciot, Flavio Mariuzzo, Piero della Putta, Alain Sacilotto, Irene Vendrame, Gianatonio Brusadin, Emanuele Celotto, Marta Quarin. Editore Associazione I Ragazzi della Panchina ONLUS Via Selvatico 26, 33170 Pordenone Creazione grafica Maurizio Poletto

Stampa Grafoteca S.r.l. Via Amman 33 33084 Cordenons PN Fotografie A cura della redazione. Foto a pagina 1 di Bruno Pisaniello. Foto a Pagina 2 di Marco Ferretti. Foto a pagina 3 di Giulio Bresin. Foto a pagina 4 di Davide Pettarini. Foto a pagina 5, 6, 7 e 8 dal sito: https://it.graphicstock.com/ Foto a pagina 10 e 11 a cura degli intervistati. Foto a pagina 12 e 18 dal sito: https://commons.wikimedia.org/wiki/ Main_Page Foto a pagina 13 di Credit Agricole Friuladria. Foto a Pagina 14 di Piero Della Putta. Foto a pagina 15 di Alain Sacilotto. Foto a pagina 16 di Domenico Dragotti. Foto a pagina 17 di Gianantonio Brusadin.

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Questo giornale é stato reso possibile grazie alla collaborazione del Dipartimento delle dipendenze di Pordenone

Virginia Bettinelli Scrive scrive scrive, piacere esigenza amore. Non trova pace nella sua vita trafelata, in perenne corsa alla ricerca di stare al passo con l’orologio che invece, implacabile, indica il tempo troppo velocemente. Nella scrittura trova invece la quiete, la pausa, sopra il delirio. Scrive per la Panka anche per questo, tentativo di pace in un mondo ostile.

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Antonio Zani Quando una persona legge molto, quando poi si accorge che scrivere gli riesce, quando è costretto a fare attività fisica ma non gli riesce e non ne ha voglia, quando in tutto questo conosce la Panka, allora che fa? La risposta è Libertà di Parola! Dopo una gavetta alle rubriche ora esce con l’approfondimento, ma non ti preoccupare Antonio, sempre senza correre!

Capo Redattore Cristina Colautti

Milena Bidinost Il direttore non si discute, si ama. Penna libera, riesce ad immergersi nella bolgia dell’Associazione con delicatezza e costanza, impegno ed esperienza. Quando le parli ti chiedi se le tue parole finiranno in un articolo! Ma confidiamo nella sua amicizia.

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Emanuele Celotto Scrittore, nuotatore, scacchista, attore. Presenza morbida e mai sopra le righe, nonostante questo difficilmente non fa quello che pensa. Con la caricatura l’omaggio dell’affetto per lui nella folta chioma, ormai ricordo di antichi fasti e disavventure inenarrabili.

Direttore Responsabile Milena Bidinost

Impaginazione Ada Moznich

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Registrazione presso il Tribunale di Pordenone N. R. G. 1719/2008 N. Reg. Stampa 10 del 24.01.2009

Associazione i Ragazzi della Panchina ONLUS Via Selvatico 26, 33170 Pordenone Tel. 0434 082271 email: info@iragazzidellapanchina.it panka.pn@gmail.com www.iragazzidellapanchina.it FB: La Panka Pordenone Youtube: Pankinari Per le donazioni: Codice IBAN BCC: IT69R0835612500000000019539 Codice IBAN Friuladria: IT80M0533612501000030666575 Per il 5X1000 codice fiscale: 91045500930

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Irene Vendrame È arrivata in redazione una cucciola! Giovanissima, timida e delicata, ma altrettanto determinata e ambiziosa. Sogna di diventare una famosa giornalista come Oriana Fallaci, così è stata arruolata da LDP per farsi le ossa. Benvenuta Irene!

La sede de I Ragazzi della Panchina é aperta dal lunedí al venerdí dalle ore 13:00 alle 18:00 Con il sostegno di:


L'ESSENZIALE E' INVISIBILE AGLI OCCHI ANTOINE DE SAINT- EXUPERY

I RAGAZZI DELLA PANCHINA CAMPAGNA PER LA SENSIBILIZZAZIONE E INTEGRAZIONE SOCIALE DE I RAGAZZI DELLA PANCHINA


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