Ldp 1/2018

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APPROFONDIMENTO

L'arte del tessile

Libertá di Parola 1/2018 ——

Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire)

Artigianato, industria, Fiber Art contemporanea. Dalla seconda metà dell'Ottocento, il tessile ha attraversato la storia del nostro territorio, passando per il periodo d'oro, gli inizi del Novecento, quando fu chiamato la “Piccola Manchester d’Italia”. Oggi, questa tradizione è portata avanti dalla Savio macchine tessili di Pordenone e da un'associazione, “Le Arti Tessili” di Maniago, che di quella storia ne ha fatto un'arte. a pagina 7

Camminando con "Quelli della notte" di Milena Bidinost C'è un toccasana per la propria salute, per l'umore e le proprie relazioni interpersonali che è a costo zero e che comporta benefici multipli ed indiscutibili: è il movimento più antico del mondo, sostenuto dalla saggezza popo-

lare e dalla stessa scienza medica. Parliamo del “camminare”, uno stile di vita che negli ultimi anni è diventato il filo conduttore di un vero e proprio fenomeno di massa che va sotto il nome di “Quelli della notte”. È questa

la rete di “Gruppi di cammino” (a cui in alcuni casi si abbinano anche i gruppi corsa, camminata in montagna e Nordic walking) che sta spopolando in provincia e che, negli ultimi due anni e mezzo, si è estesa ad una trentina di comuni. Gruppi spontanei, aperti a tutti, che si auto regolamentano e che comunicano con i partecipanti attraverso i social. Tutto è nato a San Giovanni di Casarsa dall'intuizione di Ciro Antonio Francescutto, 45 anni, diabetologo e specialista in medicina dello sport all'ospedale di Maniago. È soprattutto medico-sportivo ed è convinto che il miglior elisir di lunga vita sia il movimento. Macinare chilometri a piedi, si sa, può essere noioso soprattutto se lo si fa da soli; richiede autodisciplina, se ci si deve ritagliare del tempo tra mille impegni lavorativi e personali; costanza e ritmo se si vogliono ottenere i massimi benefici. Insomma soprattutto per i più pigri e sedentari camminare non è sempre facile. Ecco quindi che si sceglie un giorno ed un orario favorevole, si posta un messaggio su Facebook per cercare compagni di corsa o di camminata e, con un tam tam spontaneo, ci si ritrova uscita dopo uscita in due, tre poi dieci fino ad anche centinaia di persone. Nasce così un fenomeno dal basso, che si alimenta di una comune esperienza: verificare sulla propria persona che camminare insieme è più facile, fa stare meglio e fa socializzare.

PANKA AMBIENTE

Gli ultimi torrenti alpini, rari angoli di natura selvaggia ricchi di vita. Saranno i protagonisti di un libro a pagina 6

PANKANEWS

“Il classico scritto da me”, 2° edizione del concorso letterario de “I Ragazzi della Panchina” a pagina 11

INVIATI NEL MONDO

L'incantevole Iran tra arte, tradizioni, rivolte e modernità, dove l'ospite è sacro a pagina 12

PANKAROCK

Vent'anni di Elvenking, band pordenonese Power/Folk Metal in tour con il suo ultimo album a pagina 13


IL TEMA di “Quelli della notte”, un movimento spontaneo di persone che macinano chilometri a piedi o di corsa, estate ed inverno, contagiati dal “virus della vita attiva”.

Camminare, elisir di lunga vita Ciro Francescutto, fondatore dei gruppi di cammino: «È una terapia a costo zero, che si assume più facilmente in compagnia»

Dottor Francescutto, qual è l'obiettivo di tutto questo? Non è tanto di far correre o camminare gli sportivi che già sono autonomi da questo punto di vista, quanto di motivare i più pigri, quelli che fanno fatica a mettersi in moto, quelli che la poca costanza non li fa durare nel tempo. Il difficile è convincere le persone ad assumere questo stile di vita, perché implica responsabilità: di solito si preferisce mettere in mano ad un'entità esterna – il farmaco – la soluzione dei propri problemi di salute: se non funziona, il fallimento non è il nostro, ma del farmaco o del medico. Invece la salute è una nostra responsabilità e il movimento è il farmaco più efficace in assoluto. Assumerlo da soli è noioso? Muoviamoci insieme allora.

di MIlena Bidinost «A volte per un appassionato della corsa è difficile trovare i tempi, incastrandoli con quelli di lavoro famiglia ed altri impegni, per cui mi capitava che settimanalmente, dopo aver messo a letto i bambini alle 21.15 uscivo per una corsa serale, ma in effetti a volte era una violenza: da solo, di notte, con più voglia di mettere il pigiama piuttosto che le scarpe da ginnastica era spesso difficile. Ho quindi pensato di mettere su Facebook un avviso ogni qual volta che

intendevo uscire per vedere se trovavo qualche pazzo compagno di intenti: la prima sera ho trovato due persone all’appuntamento, che nonostante la fitta nebbia si erano inaspettatamente uniti all’idea». Dopo sei mesi il gruppo di corsa era salito a 550 persone. È così che il dottor Ciro Antonio Francescutto, diabetologo e specialista in medicina dello sport, sul suo sito “Curati con stile” racconta l'inizio di quella che, partita da San Giovanni di Casarsa nel 2016, è diventata la storia

Il farmaco dai mille effetti benefici di Ciro Antonio Francescutto, diabetologo e specialista in medicina dello sport Vi è una importante differenza tra le classiche pastiglie che acquistiamo in farmacia ed il farmaco “movimento”, con cui intendiamo prevenire e/o curare le malattie: i classici farmaci possiedono un unico effetto, quindi se assumo un antipertensivo esso riduce la pressione, un ipoglicemizzante abbassa la glicemia, una statina il colesterolo. La cosa straordinaria del movimento è che assumendo un’unica “pastiglia” la sua azione è simultaneamen-

te efficace sulla pressione, sul diabete, sul colesterolo e non solo su questi. Camminare e muoversi in genere ha effetti benefici su praticamente tutti i nostri organi, a cominciare dal cervello in cui aumenta il tono dell’umore e riduce il deterioramento cognitivo. Dal punto di vista cardiovascolare esso aumenta la nostra capacità cardiaca e migliora la circolazione: in parallelo assisteremo ad una riduzione degli eventi cardiovascolari più temuti quali gli infarti, gli

ictus e le arteriopatie periferiche. Le persone che assumono tali medicine percepiscono una migliorata qualità degli scambi polmonari così il respiro ne trae beneficio. Le ossa ringraziano aumentando la loro compattezza e prevenendo la loro degenerazione osteoporotica; in parallelo muscoli più tonici ci mettono più al sicuro dalle cadute attraverso cui molti anziani entrano nel tunnel delle fratture di femore, dell’allettamento e della perdita di autonomia:

“Quelli della notte” è un fenomeno nato e alimentato dal basso. Come ci si è riusciti? I gruppi di cammino che nascevano dall'alto tendevano a spegnersi nel tempo, perciò ho pensato di catalizzare reazioni dal basso. A Casarsa sono nati i primi gruppi, rivolti alla fascia d'età tra i 30 e i 50 anni che è quella in cui l'efficacia del cambiamento è più alta anche per motivi di socializzazione, tempo e costi. Ho individuato un orario utile, il dopocena, e a fine giornata. La pubblicità è passata attraverso i social con un messaggio semplice del tipo “Oggi mi trovo per correre, camminare”. C'è stato subito un buon riscontro: dopo sei mesi eravamo già in 550 e ad oggi 11 mila persone si sono mosse solo a Casarsa. Altre in altri comuni hanno visto e copiato questo format e si è creata una rete con gruppi in una trentina di comuni: tra i più attivi Azzano Decimo, Maniago, Codroipo e Tavagnacco, fuori provincia.


LA STORIA

Cura il diabete con la corsa quotidiana Dopo dodici anni di farmaci, da quattro settimane sta dicendo addio all'insulina

Come funzionano? Sono gruppi spontanei aperti a tutti, in cui non c'è una vera e propria organizzazione ma dei referenti che lanciano l'invito: si incontrano una volta alla settimana di sera, camminando 1 ora e 15 minuti circa e correndo 45 minuti nel caso dei gruppi corsa. Poi in alcuni casi nascono anche gruppi al mattino, ad esempio per gli anziani, oppure di Nordic walking o camminata in montagna. A Casarsa ad esempio il gruppo storico si incontra il martedì sera, un centinaio di persone in media. Qui è nata anche la scuola di corsa gratuita, con formatori professionisti, che ha già diplomato 23 persone che corrono 45 minuti con continuità. Le persone con disabilità si incontrano il giovedì mattina, il sabato mattina c'è un altro gruppo, il lunedì il Nordic walking e la domenica si ospita solitamente una marcia Fiasp a rotazione. Il tam tam passa esclusivamente attraverso i canali social. Sono nate tante pagine Facamminare oggi in età adulta significa proprio stipulare un polizza sulla salute della vecchiaia, il cui obiettivo è la riduzione della probabilità di diventare anziani fragili. Dal punto di vista immunitario l’esercizio fisico giocherà un ruolo di rafforzamento delle difese comportando una ridotta suscettibilità alle infezioni. Poco conosciuto e sottovalutato risulta l’effetto in termini di prevenzione di alcune neoplasie, per le quali il beneficio di iniziare a mettersi in moto potrebbe equivalere a quello di smettere di fumare. Innegabile infine l’effetto sul peso corporeo che l’attività fisica esercita in sinergia ad una corretta alimentazione.

cebook con il nome “Quelli della notte” quanti sono i comuni in cui si è dato vita a questa esperienza (ci sono anche gruppi che si sono dati nomi diversi, ma che rientrano nella stessa filosofia ndr). Poi c'è il mio sito “Curati con stile”, dove dal 2011 promuovo i benefici del movimento e che è anche punto di riferimento per “Quelli della notte”. Alla pratica cioè unisco la teoria organizzando incontri pubblici gratuiti: ne ho già tenuti circa 200, ma si può fare di più. Perché dice “si può fare di più”? Il mio sogno è che il messaggio arrivi a più persone possibili e che diventi uno stile di vita. Tutto questo lo stiamo facendo senza costruire ospedali o scoprire farmaci miracolosi: perché stare bene a costo zero si può, è più facile di quanto si pensi, basta cominciare a camminare e farlo bene e con costanza. Alla fine il beneficio sarà anche sociale: più la gente sta bene, meno sono i costi della sanità.

«Da due anni corro tutti i giorni: lo faccio perché non voglio più stare male. Volevo provare ad eliminare le cure cui dovevo sottopormi a causa del mio diabete. Un po' alla volta mi è stata calata la dose di insulina e da quattro settimane non la prendo addirittura più. Sto bene e spero che non sarà più necessario reintrodurla». Lorena ha 46 anni e vive in provincia. Ha scoperto tardi il potere del movimento ma, grazie ad esso, sta già raccogliendo frutti importanti per la sua qualità di vita. Corre da sola - non ha mai partecipato ai gruppi di cammino - ma è proprio grazie all'incontro casuale con la “filosofia” del diabetologo Ciro Antonio Francescutto che la sua vita è cambiata. Lorena ha un diabete mellito 1, congenito e scoppiato dodici anni fa durante la gravidanza. Per i dieci anni successivi l'unica cura sono stati i farmaci. Poi, tre anni fa, partecipò ad una delle serate informative di Francescutto sui benefici del movimento e decise di farsi seguire da lui. «Il dottore mi tolse subito quasi tutti i farmaci, che erano numerosi, e mi introdusse l'insulina – racconta la donna -, una iniezione al

giorno. Mi contagiò soprattutto con l'idea del movimento, così cominciai a camminare prima, poi a marciare, finché due anni fa mi sono ritrovata a correre. Da allora non c'è stato niente che mi abbia impedito di farlo tutti i giorni». Per Lorena la corsa è diventata il farmaco che più ha prodotto effetti benefici per la sua patologia. «Sto attenta all'alimentazione – dice – e corro: mi sveglio al mattino, mi vesto, faccio colazione e parto per mezz'ora, tre quarti d'ora di corsa. Poi rientro a casa, mi lavo il viso e vado al lavoro. Mi riposo solamente la domenica, ma per me correre non è affatto un peso. Io mi sveglio ogni giorno con la voglia di farlo». I risultati che sta ottenendo, per una patologia come la sua, non sono affatto poca cosa. «Partire da un diabete che non si riusciva a tenere sotto controllo – rimarca Lorena – ed arrivare a zero insulina, con anche l'obiettivo di eliminare completamente i farmaci è un traguardo importante per me. Soprattutto io sto bene. Non si tratta di bravura, ma di avere una motivazione forte per iniziare a muoversi. La mia è l'essere libera dai farmaci». (m.b.)

Consigli utili per camminare bene... • • • • •

L'attrezzatura: indossare un buon paio di scarpe da ginnastica adatte ai propri piedi I tempi: essere costanti. L'obiettivo è di camminare almeno tre volte alla settimana L'intensità: camminare a passo sostenuto, tra i 5 e i 6 chilometri all'ora La durata: camminare ad ogni uscita minimo 45 minuti (l'ideale è un ora) Il segreto: inserire del movimento in qualunque momento della giornata. Non basta infatti fare una camminata la sera o andare in palestra

... e per camminare responsabilmente I gruppi di cammino sono eventi non organizzati, aperti a tutti e gratuiti, in cui la responsabilità di quanto succede è in capo ad ogni partecipante. Perciò è importante, quando si cammina, non occupare il centro della strada, mantenere il lato sinistro anziché il destro, avere un catarifrangente e una pila o lampada frontale accesa. Nelle uscite con il gruppo i minorenni devono essere accompagnati e sono sotto la responsabilità dei propri genitori. Se si ha più di 40 anni e non si ha mai fatto sport oppure si ha problemi di salute è sempre meglio consultare prima un medico di fiducia per avere un suo parere.


RUBRICHE

Ricominciare a 52 anni, con un nuovo lavoro e voglia di responsabilità «Grazie alla Panka sto uscendo da un periodo difficile: ora vedo uno spiraglio di luce» di Andrea S. Sto vedendo che un po’ alla volta i miei sacrifici stanno prendendo forma, infatti a breve inizierò a lavorare. Prima di tutto, inizio questo lavoro “pulito” da ogni sostanza. Per me il lavoro è dignità, responsabilità, un dovere che mi impongo di portare avanti con determinazione. Ho contratto l’epatite all’età di 15anni e ora, dopo una lunga cura al fegato, l’ho risolta. Finalmente ora posso ampliare le mie prospettive di vita e avere progetti a lungo termine. Sono stato indirizzato dagli operatori della Panka ad un percorso con l’assistente sociale del Ser.t. e sono riuscito ad ottenere una borsa lavoro, una nuova opportunità Ho iniziato a viaggiare con i mezzi fin da piccola. La prima volta è stata in Albania quando mia nonna mi portò con sé per andare a trovare una zia. Ricordo quel giorno come se fosse ieri. Salimmo su un autobus vecchio e rumoroso, con l’odore di sudore che viaggiava insieme a noi; feci quel viaggio pallida e con la testa appoggiata sulle gambe di mia nonna. Erano altri tempi e purtroppo nel mio paese quelle erano le condizioni; d’estate mancavano alcuni finestrini o si viaggiava con la porta aperta, poco sicuro sì, ma si faceva di tutto per uno spiraglio di vento. Le strade con mille buche rendevano il viaggio rimbalzante e capitava spesso che nelle varie soste entrassero i venditori ambulanti con la speranza di vendere qualcosa: una bottiglia d’acqua, semi di girasole, pannocchie arrostite, caramelle e merendine di vario genere. Ho lasciato il mio paese su una nave gigantesca, che amavo esplorare con i miei occhioni grandi e curiosi, ma che temevo affondasse. Non sapendo nuotare mi stringevo a mio padre, mio salvatore nel caso di un naufragio. Ho preso il primo treno con mia madre che mi stringeva forte la mano per paura che

e, spero, anche l’inizio di una nuova avventura. L’idea di iniziare questo percorso mi dà una carica interiore forte, suscitando in me emozioni che non provavo da tanto tempo: il mettermi in gioco, l’interagire e confrontarmi con persone nuove. Vorrei sfruttare questa opportunità per ampliare i miei orizzonti, trovare delle nuove amicizie sane con cui condividere oltre al tempo lavorativo anche momenti di risate e svago. L’unico mio timore è il non essere costante fino alla fine, la mia vita d'altronde me lo ha insegnato: per colpa della mia impulsività ho commesso diversi errori. Per affrontare una giornata lavorativa efficace dovevo

assumere delle sostanze anche per far fronte al mio mal di schiena costante. Ero molto bravo all’inizio, andavo d’accordo con tutti, costruivo il mio castello ma ero altrettanto bravo a demolirlo con le mie stesse mani. Tutto ruotava attorno alla sostanza. La fiducia che con tanti sacrifici mi ero guadagnato da parte degli altri la perdevo allontanando le persone vicine a me. Non sono stati gli altri ad abbandonarmi, ma io a mettermi in una condizione di solitudine. Oggi la mia realtà è diversa. Grazie alla Panka ho qualcuno su cui appoggiarmi, con cui confrontarmi, parlare o semplicemente chiedere consiglio. Tutto ciò è una ca-

Viaggiando con i mezzi pubblici «Ho rincorso treni e autobus, prendendoli e perdendoli, come le mille opportunità che ogni giorno mi si presentano» di Jenny Naska

io potessi varcare la famosa linea gialla: questa fobia la accompagna ancora oggi tanto che, nonostante i miei

22 anni, ogni volta che prendo il treno si raccomanda che io non lo faccia. La corriera l’ho sperimentata alle medie

rica, una spinta in più. Sono contento di affrontare queste rinnovate responsabilità, poiché il pensiero di alzarmi alla mattina con la voglia di lavorare, collaborare con gli altri, mi fa sentire bene. Con questo articolo, mi rivolgo a voi cari lettori, poiché voglio ricordarvi che bisogna sempre mettersi in gioco. Io sto cercando di farlo anche se ho 52 anni. La giostra girerà per tutti prima o poi, ma bisogna saper cogliere le opportunità. Ho incontrato delle persone che dopo tanto tempo riescono a credere in me e le voglio ringraziare tutte indistintamente. Grazie, vi porto e vi porterò sempre nel mio cuore. e poi alle superiori, dove le matricole stavano davanti e i veterani dietro; solo se eri degno e superavi mille prove e scherzi potevi accede ai posti in fondo, a meno che tu non avessi conoscenze “influenti” che ti permettessero di accedervi. La mia prima volta con l’aereo, invece, è stata alle superiori: mi sentivo libera e grande mentre dal finestrino tutto si rimpiccioliva, un insieme di adrenalina e un pizzico di paura. Nei miei 22 anni ho sempre rincorso treni, autobus, prendendoli e perdendoli, come le mille opportunità che ogni giorno mi si presentano. Gli autobus come i treni mi permettono di conoscere la gente, di osservare e d’intravedere nuovi luoghi seppur dietro ad un finestrino. Spesso mi perdo ad ascoltare parole, vedere gesti, sentire la musica di sottofondo che rimbomba nelle cuffie dei ragazzi. Poi ci sono anche giornate in cui la stanchezza ha il sopravvento e mi addormento rischiando di non scendere alla fermata giusta. Ecco i mezzi funzionano un po' come la vita: ti accompagnano lungo un percorso. Con l'unica differenza che della nostra vita gli autisti siamo noi, che scegliamo chi scende e chi sale e dove andare.


GLI ALBERI DELLA PANKA Sono nato in mezzo a loro, le ho studiate e da una vita le accudisco coltivandole e curandole. Loro sono le piante, la parte verde del nostro tanto bistrattato pianeta. Con gli anni e l’esperienza ho imparato a conoscerle e rispettarle: anche loro vivono, hanno un loro comportamento ben distinto, gioiscono e soffrono, in altre parole hanno un loro carattere. Ad esempio tra i vari tipi di personalità vegetale assimilabile all’emisfero umano abbiamo tra gli altri il cespuglio vanitoso come il calistemo: arbusto originario dell’emisfero australe che vegeta frondoso con eleganza e bontà. Fa pure il delicato in quanto predilige terreno di buona struttura ed esige annaffiature costanti ed abbondanti per poi stupirci con i suoi eleganti, vistosi ed un po’ spacconi fiori rosso porpora con pistilli gialli, ma lo fa solamente se trattato bene e coccolato. Diciamo che un po’ sa di essere bello e se la tira. Poi troviamo il timidone calican-

Ad ogni essenza il suo carattere Dal vanitoso calistemo, all'irrequieta kerria: ogni pianta ha la sua personalità di Antonio Zani to che non si fa notare molto, espone fogliame anonimo e vive in disparte lontano dal clamore, si accontenta di qualsiasi terreno e di ogni misero angolino. Fiorisce presto ed è tra i primi a farlo, a fine inverno, quasi a volere evitare l’esplosione floreale primaverile. Ha fiorellini tanto delicati, quanto anonimi e discreti, poco evidenti. La sensazione è che fiorisca presto e con fiori poco notabili quasi per paura di farsi vedere troppo. Nel panorama vegetale c’è anche

l’irrequieta kerria che sembra sempre voler rigenerarsi e rifiorire anche dopo energiche potature, prendendo possesso con i suoi rizomi di parti sempre più ampie di terreno. Pare quasi voglia girare il giardino di zona in zona senza rimanere mai ferma e fiorisce e rifiorisce spesso e volentieri con i suoi fiorellini a rosetta color giallo intenso: sprizza irrequietezza e voglia di vivere da tutti gli stomi, sembra una ragazza ventenne con tanta energia. Tra gli arbusti c’è l’iperico che

si adatta ad ogni esposizione e sorta di suolo: è un menefreghista, lui vive tranquillo senza crearsi problemi ovunque lo si posizioni, meglio se un po’ al sole in quanto ama abbronzarsi, arrossando un po’ il fogliame. Questo non è per lui un fattore poi così importante. Se ne frega un po’ di tutto anche della sua meravigliosa fioritura color giallo oro che dovrebbe sfociare solitamente a luglio: lui però non è tipo da seguire regole e fiorisce quando gli pare e poi nemmeno si interessa di sfoggiare fioriture abbondanti. Fattore che, anche questo, dipende dalle annate e dalla sua voglia di fare. Ci sono un’ infinità di essenze vegetali a questo mondo, ma ho imparato che dal più minuscolo lichene alla più maestosa sequoia ognuna di loro ha una sua propria dimensione a livello emotivo. In altre parole, le piante nascono, crescono, vivono, muoiono e provano sensazioni ed emozioni come qualsiasi essere vivente.

PANKADOG

Come ti scelgo l'amico fidato La relazione uomo-cane funziona molto bene se a fare il passo giusto è il padrone di Giorgio Achino Bau! Pankadog è una rubrica in cui si vuole condividere alcuni aspetti dell’amico più affidabile, sincero, immancabile, fedele che l’uomo possa avere: il cane. Lavorare con un cane e vivere la relazione con lui è un’opportunità che dev’essere capita, approfondita e che consente di vivere una relazione affettiva libera da ogni pregiudizio, rancore ed emotività umana. La relazione uomo cane funziona, e funziona molto bene, se e solo se è l’uomo che fa il passo giusto nei confronti del suo cane. Infatti nessuno potrà mai mettere in discussione che il cane farà il cane, mentre non è assolutamente certo che l’uomo interpreti bene il suo ruolo nei confronti dell'animale. Partiamo dalla scelta del cane. Non c’è niente da fare, siamo influenzati dalle nostre emozioni, ricordi e purtroppo dalla pubblicità. Ogni decennio ha avuto il suo cane: gli anni Ottanta i pastori tede-

schi, successivamente grazie alla carta igienica i Labrador, grazie ad una compagnia telefonica il border collie. Senza dimenticare l’importanza dei film: “La carica dei 101” per il dalmata, “Un danese e quattro bassotti”, “Torna a casa Lessie” per il collie, “Il commissario Rex” e per citare l’ultimo in ordine cronologico “Akita”. Ahimè da un film si traggono soltanto alcuni aspetti del caneprotagonista - quelli che il regista vuole mettere in risalto per ragioni legate alla storia - ma non di

certo la sua interezza. Nel film, ad esempio, nessuno spiega che una razza come l’akita è una selezione cresciuta per cani da guardia e da caccia all’orso. Non è una razza pericolosa, ma è selezionata per avere una tempra robusta ed un carattere deciso, insomma non proprio un cane per tutti. Il buon border collie, come anche il cugino diretto – il pastore australiano - sono cani, appunto, da pastore che necessitano di una attività fisica intensissima e non di certo di una vita da salotto.

Insomma non lamentiamoci e soprattutto non attribuiamo patologie alla sua energia: iniziamo a lavorare e a farla sfogare prima di influenzarne troppo la sua psicologia. Quando andiamo a comprare un cane, perciò, soprattutto se sull'onda delle emozioni, informiamoci sulle sue caratteristiche e facciamo una scelta consapevole: se sono una persona che preferisce il caminetto alle passeggiate invernali nei boschi, sceglierò una razza con un’energia pacata. Oggi giorno fare una scelta adeguata è possibile con un paio di click. La vita con un cane è una vita di relazione che si costruisce giorno per giorno solamente se la si intende come una relazione uomo – cane, ovvero trattando il cane per la sua natura e non come fosse un umano. Spesso confondiamo il suo comportamento, interpretandolo secondo caratteristiche umane: gelosie, preoccupazioni o paure. Questo ci porta ad avere aspettative non realizzabili da parte di un cane. Non perché non capisca, stia male o addirittura sia malato, ma semplicemente non vive e sente come un uomo. Insomma avere un cane è un affare molto, molto serio. Ma questo lo approfondiremo la prossima volta. Bau!


PANKA AMBIENTE

Il mio viaggio in difesa degli ultimi torrenti alpini Sono minacciati dall'aumento delle centrali idroelettriche. La loro storia nel libro "Radici liquide" di Elisa Cozzarini

Tutto è iniziato con le anguane, lis aganis, misteriose creature legate all'acqua. In alcune leggende le si trova descritte come sirene, in altre con i piedi caprini, lavandaie, donne che appartengono a un mondo parallelo. È stato forse il loro fascino magnetico a portarmi vicino ai torrenti di montagna. E sono state loro, un anno fa, a farmi partire per un viaggio-inchiesta lungo un itinerario apparentemente assurdo, zigzagante, sulle Alpi, dal Friuli Venezia Giulia alla Liguria e alla Valle d'Aosta. Sono andata a cercare gli ultimi tratti naturali dei corsi d'acqua alpini, ancora liberi da prelievi, non canalizzati e intubati. Sembra incredibile, ma ne sono rimasti davvero pochi liberi, sulle montagne italiane, rari angoli di natura selvaggia, ricchi di vita. Sono stati risparmiati dalla costruzione di grandi dighe e centrali idroelettriche perché si trovano per lo più in luoghi impervi, difficili da raggiun-

gere, e hanno portata molto variabile. Non a caso si dice: "regime torrentizio". L'uomo, fino all'inizio degli anni 2000, li ha lasciati scorrere, perché sfruttarli non era conveniente. Da quando sono comparsi gli incentivi statali per le rinnovabili, però, è iniziata una vera e propria corsa per costruire centraline e accaparrarsi anche questi ultimi tratti ancora naturali, sempre più ad alta quota, per farne energia, anche in piccole quantità. Se l'energia è "verde", infatti, viene pagata fino a tre volte il prezzo di mercato e quindi diventa un vero affare, visto che gli incentivi sono assicurati per vent'anni. E, per lo più, a costruire le centraline sono privati. Sono necessari questi impianti? Che contributo danno alla produzione energetica nazionale da rinnovabili? Secondo l'ultimo rapporto del Gestore dei Servizi Energetici (GSE Spa), pubblicato lo scorso dicembre, nel 2016 l'idroelettrico produceva il 39% d e l l ' e n e rg i a rinnovabile in Italia, mentre il fotovoltaico contribuiva per il 20%, le bioenergie per il 18%, l'eolico per il 16% e la geotermia per il 6%. È un contributo importante, dunque, quello dato

dalle centrali idroelettriche. Ma non tutti gli impianti sono uguali. In totale, alla fine del 2016, si contavano 3.920 centrali, la maggior parte al Nord, sulle Alpi. Le più numerose sono piccole, che cioè arrivano fino a 1 MW di potenza: 2.743 centraline che forniscono appena il 6% del totale da fonte idraulica, dunque un contributo irrisorio al fabbisogno energetico nazionale. I 303 grandi impianti con potenza maggiore di 10 MW, invece, concentrano l’82% dell'energia. Siccome non c'è più spazio per nuove dighe sulle Alpi, negli ultimi anni, l'incremento complessivo di potenza idroelettrica installata è dato solo dai piccoli impianti, per appena in media lo 0,7% di potenza in più all'anno. Nonostante questo, la produzione di energia idroelettrica nel 2016 è stata inferiore all'anno precedente e, visti i lunghi mesi di siccità del 2017, il calo verrà sicuramente registrato anche per l'anno scorso. I cambiamenti climatici, infatti, non possono essere affrontati solo dal punto di vista degli interventi di mitigazione, cioè quelli che mirano a ridurre le emissioni di gas serra dovute all'uso di fonti fossili. Va anche considerato che, sulle Alpi, negli ultimi 150 anni, la temperatura è già cresciuta di due gradi centigradi, cioè più della crescita media nel pianeta, e questo non può non avere influenza sul ciclo dell'acqua. A pagare il prezzo sono i torrenti montani, le cui portate sono già diminuite, oltre a essere sottoposte a una pressione crescente per le derivazioni a fini idroelettrici. L'estate scorsa molti impianti in Piemonte non erano

in funzione, proprio perché la quantità d'acqua non era sufficiente per far girare le turbine e allo stesso tempo garantire il deflusso minimo stabilito per legge per consentire la vita nei fiumi. Eppure ci sono moltissime nuove domande per altri piccoli impianti, soprattutto sulle Alpi, ma anche sugli Appennini. Guardandole nel loro insieme, un torrente dopo l'altro, una valle dopo l'altra, le minicentrali hanno l'impatto di una grande opera. Quando sarà terminata, sarà difficile trovare, in Italia, un esempio di com'è fatto un torrente di montagna. Resistono, in Friuli Venezia Giulia, il torrente Resia dalle acque turchine, l'Arzino con le sue pozze smeraldine, il Viellia, che scorre sconosciuto in Val Tramontina, il Leale, popolato da un raro anfibio: l'ululone dal ventre giallo, l'Alberone, nelle selvagge Valli del Natisone. Per raccontare questi piccoli luoghi preziosi e in pericolo, ho deciso di scrivere "Radici liquide. Un viaggio-inchiesta lungo gli ultimi torrenti alpini", uscito per Nuova Dimensione a fine aprile.


L'APPROFONDIMENTO ————————————————————————

Il tessile nel pordenonese Tratto da uno scritto di Gina Morandini, presidente onoraria dell'associazione Le Arti Tessili e studiosa del linguaggio tessile All'inizio del XX secolo Pordenone passa alla storia come la “Piccola Manchester d’Italia”, in virtù dello sviluppo che negli ultimi settantanni (1840-1907) aveva avuto nel pordenonese l’industria tessile, con annessi stabilimenti per la filatura e la tintoria. Una storia che continua a tutt'oggi con la Savio Macchine Tessili, che da oltre 100 anni gioca un ruolo principale nello sviluppo dell’industria meccano-tessile italiana nel mondo. A conservare tradizione e passione di un'arte che ha fortemente inciso sull'identità del nostro territorio oggi è anche un'associazione “Le Arti Tessili” di Maniago: ad essa abbiamo dedicato l'approfondimento che segue. Ricostruiamo, intanto, cronologicamente tale sviluppo industriale legato al tessile, basandoci su ricerche di Teresa Degan e Andrea Benedetti. Le origini vanno ricercate nei telai rudimentali che funzionavano fino ai primi decenni dello scorso secolo in varie località ad opera di singoli artigiani. Il nucleo abitato che più di ogni altro si distinse per il numero dei tessitori e per una certa tradizione locale era Tiezzo, nel territorio di Azzano Decimo. Nel 1800 furono impiantate in Italia le prime lavorazioni meccaniche del cotone: Pordenone cominciò ad attrarre imprenditori. C'erano l'abbondanza di mano d’opera a costo minore; l' esperienza tessile dei lanaiuoli e dei setaioli; la disponibilità di energia idraulica e di una favorevole umidità dell’aria; i buoni collegamenti coi porti d’importazione del cotone (Trieste, porto franco dove giungeva il cotone americano prima, quello egiziano più tardi, e Venezia) ed infine l’ampia possibilità di assorbimento del mercato venetofriulano. Nel 1840, quindi, la ditta Fratelli Beloz e Blanch di Trieste inaugura il primo cotonificio, che poteva annoverarsi tra quelli di avanguardia e che sarebbe divenuto la fondamentale industria di Pordenone. Nel 1846 la ditta Beloz si trasforma in Società Anonima: viene ingrandito lo stabilimento usufruendo quasi interamente della forza delle acque del Noncello. Nello stesso anno a Torre sorge una filatura, cui viene annessa una tintoria, e a Rorai Grande altri capitalisti promuovono la costruzione di una tessitura di co-

tone capace di utilizzare i filati prodotti dallo stabilimento di Torre. Nel 1860 a Rorai Grande un incendio distrugge la tessitura che nel 1864 fu ricostruita, fusa in una sola ditta con gli stabilimenti di Torre sotto l’unica ragione sociale: “Filatura tessitura e tintoria cotoni Pordenone”. Il ciclo di produzione era così integrale. Nel 1866 gli eredi di Giuseppe Quaglia (proprietario agli inizi del secolo di una Tintoria) fondano una tessitura con 15 telai a navicella volante. La capacità di assorbimento di prodotti tessili pordenonesi da parte del mercato viennese era tale da assicurare il pieno e armonioso impiego di tutti i fattori della produzione. Nello stesso anno, Pordenone diventa italiana e ciò priva l’industria tessile locale dell’apporto di capitali austro-triestini riversatisi nel Friuli Austriaco: l'operosità pordenonese tuttavia non si ferma. Nel 1875 Emilio Wepfer e Alberto Amman dettero vita al Cotonificio A. Amman e Wepfer in Borgo Meduna. Tre anni dopo, il capofila degli industriali tessili Alessandro Rossi di Schio, ormai Senatore del Regno, riuscì a far instaurare il dazio protettivo per i prodotti tessili italiani: l’industria pordenonese ne viene favorita e regge la crisi di quegli anni. Nel 1883 la ditta Quaglia ottiene la Medaglia d’argento all’Esposizione Provinciale di Udine e tra il 1874 e il 1898 furono fondati a Pordenone anche quattro setifici a vapore. Nel 1887 anche Fiume Veneto ha il suo Cotonificio, mentre la ditta Hermann, Barbieri e C. rileva gli stabilimenti pordenonesi “Filatura tessitura e tintoria cotoni” (successivamente lo fece anche la Jenny Barbieri e C.). Nel 1895, dopo il periodo di gestione della ditta Jenny Barbieri e C., gli stabilimenti Beloz e Blanch, poi “Filatura tessitura e tintura cotoni di Pordenone” vengono definitivamente aggregati al Cotonificio Veneziano, di Venezia. Nei successivi due anni, Guglielmo Raetz, imprenditore tedesco, fonda la Filatura Makò SpA. a Cordenons, dove si lavoravano i “titoli fini e finissimi di cotone egiziano a fibra lunga, denominato appunto Makò”. Nel 1907, la Filatura Makò viene ingrandita e Pordenone assurge proprio in quegli anni al titolo di “piccola Manchester d’Italia”.


"Le Arti Tessili”, tra tradizione e arte contemporanea L'associazione di Maniago da più di vent'anni promuove sul territorio questa cultura antica, seguendone le evoluzioni e incentivandone la contemporaneità di Chiara Zorzi Storicamente l'arte tessile può essere vista come una grande metafora di intrecci e legami tra il territorio e la sua economia, ma anche tra persone, popoli, culture e tradizioni diverse. Chi, in provincia di Pordenone, da oltre vent'anni è il principale cu-

stode e promotore della cultura del tessile è l'associazione “Le Arti Tessili” di Maniago, la cui fondatrice e presidente onoraria è l'artista di fiber art Gina Morandini; la presidente è Annamaria Poggioli di Maniago. «L’associazione è nata nel 1987 in provincia di Udine – racconta quest'ultima – per trasferirsi poi, nel 1994, a Montereale Valcellina perché la presidente onoraria, allora insegnante all’Istituto Sello di Udine e artista di fiber art, aveva un grande seguito anche a Maniago e scelse la Pedemontana per la sua antica tradizione di filande (a Maniago ce n'erano due, una a Montereale Valcellina) che la accomuna al resto della provincia. Nel 2011, infine, ci fu il trasferimento a Maniago in una sede prestigiosa messa a disposizione dal Comune, molto ampia e articolata che ben risponde all’esigenza di spazio dell’associazione». “Le Arti Tessili” è l'unica associazione in regione, tra quelle che si occupano del tessile, che si è spinta oltre l'organizzazione di corsi e che, grazie al Premio Val-

cellina Award, intercetta la contemporaneità e incentiva l’aspetto artistico locale e mondiale grazie ai numerosi contatti artistici. Chi fa parte de “Le Arti Tessili? «L’associazione ha preso vita

a partire da un gruppo di appassionate del tessile, per lo più donne: ha quindi una vocazione femminile. Questa, del resto, è un’arte che evoca la centralità della donna nella storia e le sue doti: la pazienza e l’abnegazione, ma anche la tenacia e la determinazione. Il tessuto, fatto di ordito e trama, è tuttavia composto da questi fili che si intrecciano e che hanno metaforicamente tutta una serie di significati. Tra questi c'è il rafforzamento dei rapporti sociali e culturali, anche economici, dal momento che il tessile ha anche un suo risvolto economico importantissimo fin dal 1500. Testimone di questo ne è tutt'oggi, sul nostro territorio, la Savio macchine tessili di Pordenone. Per questo la nostra associazione è aperta a tutta una

serie di relazioni. Ad esempio, la stessa Savio ha realizzato il calendario 2017 e 2018 con le opere del Premio Valcellina, che indiciamo da anni. Il sodalizio è composto da me nel ruolo di presidente, da Barbara Girardi di Udine in quello di segretaria, da un’artista di riferimento, Teresa Bruni di Maniago, dalla vicepresidente Lucia Vedovi, architetto di Pordenone, e da alcuni anni anche dalla scenografa Ilaria Bomben che si occupa di arteterapia e che ha dato una spinta e un apporto specifico e competente rispetto ad un’altra area particolare». Quali sono le principali attività e finalità dell’associazione? «Il nome “Le Arti Tessili” non è a caso, richiama la cultura del tessile in tutti i suoi aspetti. Questi vanno dalla valorizzazione al potenziamento e al recupero della manualità che si va disperdendo fino alla manualità che si sposa alla creatività e che si fa arte. Molte delle nostre iniziative sono rivolte ai giovani attraverso i laboratori del tessile che teniamo nelle scuole. Poi ci sono i laboratori per chi vuole imparare l’arte della tessitura, quelli per artisti che realizzano manufatti di una certa caratura, fino ai giovani artista della fiber art di respiro internazionale che si esprimono attraverso il tessile realizzando un’opera d’arte a tutti gli effetti. I corsi spaziano dal batique, al feltro, dalla tinteggiatura alla tessitura di piccoli tappeti e di arazzi. Le finalità dell’associazione sono quelle di spingersi oltre la p ro d u z i o ne dell’ogg e t t o stesso, di coniugare studio, ricerca storica, contemporaneità e arte. Le attività

spaziano quindi dall’organizzazione di corsi e seminari realizzati anche in collaborazione con istituzioni locali, regionali e nazionali, all’organizzazione del Concorso Internazionale d’Arte Tessile/ Fiber Art Contemporanea Premio Valcellina, di esposizioni temporanee, del Premio la Filanda per tesi di laurea relative alla cultura del tessile in ambito nazionale, a carattere storico, artistico o antropologico, fino alla pubblicazione di ricerche significative nel campo». Importanti, come lei sottolinea, sono le collaborazioni tra l'associazione ed il territorio. «Le collaborazioni sono varie e numerose, in particolare con le scuole e le accademie, tra cui la Koefia di Roma, accademia di alta moda che ci fornisce gli abiti che vengono indossati dalle modelle durante la cornice del Premio Valcellina e che possono essere considerati a tutti gli effetti opere d’arte. Poi ci sono anche la Fondazione Arte della Seta Lisio di Firenze e l’accademia delle Belle arti di Bologna. Da quattro anni collaboriamo con due scuole superiori della provincia, il liceo scientifico e linguistico “E. Torricelli” di Maniago e l' “Isis Zanussi/Iti Moda” di Pordenone. In questo caso l’obbiettivo è dare dei segnali precisi sul tessile, partendo da una lectio magistralis tenuta da me per proseguire con la storica dell’arte Eva Comuzzi che insegna ad interpretare le opere d’arte. Questa formazione permette ai ragazzi di diventare guide per i visitatori all’interno dell’esposizione del Premio Valcellina, nell'ambito di progetti di alternanza scuola lavoro. Il loro percorso continua con un laboratorio in cui apprendono ad utilizzare il telaio. Ogni ragazzo produce un mini arazzo che poi verrà utilizzato per crearne uno più grande da esporre nell'interno della cornice del Premio Valcellina».


Premio Valcellina Award per giovani Fiber Artist Il concorso internazionale, fiore all'occhiello dell'associazione, in dieci edizioni ha visto la partecipazione di oltre seicento artisti da quarantacinque paesi del mondo di Giogio Achino Il Premio Valcellina Award, il concorso internazionale d'arte tessile contemporanea dedicato ai giovani fiber-artisti under 35, rappresenta il fiore all’occhiello dell’associazione “Le Arti Tessili" di Maniago. Ideatrice del premio è stata l'artista Gina Morandini, fondatrice dell'associazione. È nato nel 1997 per favorire l’interesse all’arte tessile contemporanea, incoraggiare i nuovi talenti, stimolare la ricerca e la sperimentazione artistica. La prima edizione ebbe un respiro nazionale, ma già dalla seconda il premio si è proposto ed imposto a livello internazionale. È rivolto ai giovani under 35 perché, come racconta la presidente Annamaria Poggioli, «nell’immaginario collettivo il tessile è visto come qualcosa di legato ad arti antiche e dunque in qualche modo “vecchio” e noi, con questa manifestazione, abbiamo dimostrato il contrario, ovvero che ovunque nel mondo ci sono giovani che esplorano e praticano questa disciplina in modo assolutamente inediti». In vent’anni (dieci le edizioni) il concorso ha visto la partecipazione di oltre seicento artisti, con diverse esperienze e

percorsi di studio, provenienti da quarantacinque nazioni diverse, centinaia le opere premiate, dieci le prestigiose accademie coinvolte. Tutto ciò ha fatto del Premio Valcellina uno spazio di apprendimento, maturazione e confronto. È un premio con radici territoriali solidissime ed intrecci internazionali altrettanto profondi, che passano attraverso il tessuto scolastico per arrivare all’imprenditoria locale. Nulla è lasciato al caso, perché lo scopo è promuovere le arti tessili come movimento culturale e socia-

le. Costanti sono infatti le collaborazioni con l’Accademia di Belle Arti di Bologna, l’Accademia d'Alta Moda e del Costume Koefia di Roma e la Fondazione Arte della Seta Lisio di Firenze. La rete tessuta dall’associazione si estende in un percorso espositivo diffuso in tutta la cittadina di Maniago e coinvolge diverse location quali il Palazzo Attimis, il Coricama - Museo dell’Arte Fabbrile e delle Coltellerie, la Galleria Fabbro e la sede dell’Associazione, in cui vengono esposte le opere e le istallazioni anche delle

accademie fuori concorso. Il tema dell’edizione 2017 del premio, la decina ed ultima in ordine di tempo, è stato “Connection”, Connessioni. È stata inaugurata l'8 aprile dello scorso anno – per concludersi il 28 maggio - con un evento-mostra al parco Galvani di Pordenone dal titolo “Mettere al mondo il mondo”, che è il titolo di un’opera di Alighiero Boetti, metafora di un’arte che ricama il mondo in un atteggiamento collettivo e contemporaneamente solitario. Uno dei temi dominanti è stata la comunicazione, o meglio la non – comunicazione: molti artisti con le loro opere hanno denunciato un senso di solitudine dominate nonostante ci troviamo nell’era dei social. Ad aggiudicarsi il primo premio è stata la canadese Sarah Bertrand- Hamel, con l’opera “Fais comme si (Act as If)/ Fai come se”, meraviglioso patchwork realizzato con la carta colorata, filo, disegni stampe, che esprime l’incomunicabilità nei rapporti diretti tra le persone, assorbite esclusivamente dai contatti virtuali. «Ricorrere ad un materiale come il tessuto e alle sue molteplici modalità d’impiego assume per molti autori contemporanei un senso nuovo. Il filo che si sostituisce alla matita, alla pietra, al pennello o alla fotografia, o che si combina inaspettatamente con modalità a tecnologia avanzata, racconta una storia diversa, altra rispetto alla gerarchia canonica dei generi artistici. Descrive un racconto in cui la sperimentazione va di passo al recupero dell’aspetto antropologico e ipotizza una linea narrativa, un’energia di un ritmo quasi mantrico”. Queste le parole di Andrea Bruciati, critico e curatore della decima edizione del Premio Valcellina Award. Non è un caso che, a proposito di rapporti umani, all’ingresso della mostra relativa al Premio si è potuto ammirare il lavoro fuori concorso “Elo/ la memoria dentro” dei portoghesi Rose Rodrigues e Anton Roca: una grande distesa di tessuto bianco annodato e intrecciato a formare la sagoma del mar Mediterraneo. Si tratta di un progetto promosso dall’accademia delle Belle Arti di Bologna che ha coinvolto gli abitanti di San Romano e alcuni migranti arrivati proprio attraverso il Mar Mediterraneo. A coppie, abitanti del luogo e migranti seduti uno di fronte all’altro, sono stati invitati ad intrecciare fili di tessuto e nel contempo a raccontarsi le proprie esperienze di vita.


Il potere comunicativo e riabilitativo dell'arte tessile Tessuti e filati sono al centro di percorsi terapeutici ed artistici che liberano creatività e producono benessere di Chiara Zorzi I filati di ogni genere, i tessuti e le stoffe innescano viaggi interiori nella materia, sperimentazioni multisensoriali, che provocano emozioni e stimolano pensieri. Tessere, cucire e ricamare sono azioni tradizionalmente ripetitive, quasi meditative, dal ritmo preciso e cadenzato: da sempre queste tecniche sono utilizzate nei laboratori educativi e riabilitativi. Altre tecniche come sculture soffici, arazzi e telai non convenzionali, feltro, sartoria creativa e lavoro a maglia liberano creatività ed espressione personale, in esperienze che promuovono benessere a più livelli. Lo sa bene Ilaria Bomben, che dall'anno scorso fa parte dell’associazione “Le Arti Tessili”, dove ha trovato una grande affinità con il suo percorso professionale, sia dal punto di vista dell’arteterapia, sia della scenografia. «Per chi come me lavora nel sociale attraverso l’arteterapia e il fare creativo – dice le arti tessili rappresentano un repertorio fitto e multiforme, dalle più ancestrali tecniche della tradizione agli esempi più audaci della Fiber Art contemporanea: è affasci-

nante scoprire come diverse dimensioni si connettono e si intrecciano, facendo emergere il potenziale valore trasformativo delle arti tessili» Ilaria, andiamo con ordine: qual è il tuo percorso professionale? Mi sono diplomata all’Accademia di Belle Arti di Venezia in Scenografia. Al teatro di piazza, ai percorsi didattici che utilizzano i linguaggi del teatro e della creatività, animazione ambientale, riciclo creativo con il Laboratorio degli Archetipi - Teatro Scuola Poetica Ambiente di Lodi, ho poi unito il lavoro come scenografa e costumista, collaborando con diverse realtà locali. Nel 2013 mi sono diplomata in arteterapia alla Scuola di Specializzazione ArTeA e conduco percorsi di arteterapia in diversi ambiti: bambini e ragazzi, anziani, disagio psico-fisico e sociale, area del benessere, gruppi di lavoro. Dal 2008 lavoro in una comunità alloggio per disabili psico-fisici adulti, dove sono responsabile dell’Officina Creativa, e nei servizi educativi gestiti dalla Cooperativa Itaca Onlus. Di cosa ti occupi all’interno di “Le Arti Tessili”? L'associazione promuove da sempre una grande quantità di corsi di formazione riguardanti le tecniche tessili, sia della tradizionale, sia con declinazioni più espressive e contemporanee. Personalmente oltre a mettere a disposizione le mie competenze di scenografa, propongo percorsi di arteterapia, workshop di riciclo creativo, laboratori di costruzione collettiva.

Come utilizzi quest'arte nel tuo lavoro? Nell’atelier di arteterapia, attraverso il manufatto artistico si sperimenta la possibilità di esprimersi con qualcosa che non sia la parola, per questo l’arteterapia a Modello Polisegnico si basa sul potere comunicativo delle immagini. Linea, forma, colore, spazio, volume si fanno “parola”; l’immagine (sia essa pittura, disegno, fumetto, fotografia, scultura, fiber art) diventa introspezione e comunicazione in un luogo di relazione. Per l’arteterapia a Modello Polisegnico (De Gregorio A., 1999) esiste il materiale più adatto per ogni dimensione (cognitiva, corporea, immaginale, emotiva) della personalità umana: le arti tessili (insieme alla scultura in senso lato), si offrono quale canale privilegiato per affrontare problematiche che riguardano i vissuti della corporeità e la elaborazione del lutto. Inoltre, il piacere del colore tessuto, infeltrito o cucito, nonché la potenza simbolica e narrativa degli oggetti sartoriali (abiti, ricami, pupazzi) fanno delle arti tessili strumenti preziosi e forniscono un denso bagaglio di immagini e di procedure, a disposizione dell’arteterapeuta. La forza archetipica di queste tecniche sta innanzitutto nelle azioni ad esse correlate come tagliare, cucire, rammendare, ricamare, tessere, annodare e snodare. Come si possono utilizzare le arti tessili in contesti sociali? Il fare creativo è un processo di costruzione dell’identità personale e, in una dimensione collettiva, della propria cittadinanza. Nel tessere, nel fare a maglia, nel cucire, nel ricamare, nel lavorare a uncinetto è insita la funzione socializzante, sono metafore

vive di processi relazionali e culturali: pensiamo ai cerchi di donne nei cortili di un tempo o agli odierni knit café (frequentati non più solo da donne). In quest’epoca storica è necessario più che mai reagire alla disgregazione sociale e alla fuga nel virtuale, ricreando spazi reali di condivisione e di produzione. Per tutti, per creare con gioia (joie de faire, joie de vivre) e col piacere di condividere. Oltre al gruppo, c’è la città, il mondo. I movimenti artistici di interazione con l’ambiente naturale e urbano sono molti. Yarn bombing, guerrilla knitting, graffiti a maglia sono fenomeni planetari, che abbina-

no alla morbida familiarità e alla colorata vivacità delle arti tessili una forza comunicativa che racconta modi alternativi di vivere gli spazi comuni, oltre a sostenere importanti battaglie civili. Le arti tessili quindi non riguardano solo l’estetica ma, come e più di altre forme artistiche, veicolano significati e valori sociali, se l’artista di oggi accetta la sfida “di immergersi con coraggio nel labirinto sociale contemporaneo”, come scrivono Rosa e Balzola ne L’arte fuori da sé, facendosi carico della complessità del mondo e inventano nuovi modi per intrecciare creativamente le azioni di diversi tessuti sociali, dai bambini agli anziani, ma anche famiglie, persone con disabilità fisiche, psichiche o sociali, studenti, lavoratori, migranti e i cittadini tutti.


PANKA NEWS

AL VIA LA SECONDA EDIZIONE DEL CONCORSO “IL CLASSICO SCRITTO DA ME” I più bei racconti saranno pubblicati su Ldp di settembre. In premio anche due accrediti a Pordenonelegge per i migliori due elaborati di Giorgio Achino L'anno scorso la prima edizione è andata al di sopra di ogni aspettativa: buono il numero di racconti giunti in redazione ed eterogeneo il gruppo di aspiranti scrittori. Niente male per chi come “I ragazzi della panchina” non aveva mai battuto prima di allora la strada dell'organizzazione di un concorso letterario. Motivo in più per non fermarsi. Ed eccoci quindi di nuovo a riproporvi anche per quest’anno un’iniziativa di Ldp legata a Pordenonelegge, con delle novità che, speriamo, vi piacciano. Parliamo del secondo concorso letterario “Il classico scritto da me” targato “Ragazzi della panchina”, aperto a tutti, purché maggiorenni. Vi si partecipa con un racconto breve ed inedito in lingua italiana che sia ispirato ad un titolo di un grande classico della letteratura e la cui storia nul-

la abbia a che vedere con la storia originale. I partecipanti dovranno scegliere uno tra i titoli riportati nel bando e lasciarsi ispirare dalla fantasia. Il regolamento del concorso è disponibile nel blog della nostra associazione (www.iragazzidellapanchina. wordpress.com). Per ogni tipo di informazione potete contattarci all'indirizzo mail pan-

ka.pn@gmail.com. I migliori racconti, selezionati da una apposita giuria, saranno pubblicati nel numero di “Ldp-Libertà di Parola” di settembre che uscirà in occasione di Pordenonelegge. Quest'anno la prima novità è rappresentata dai premi messi in palio, in collaborazione con la Fondazione Pordenonelegge, per i due primi classificati: a

Cinque anni di TOP, educativa di strada Il “ Teen Oportunities Project” è rivolto ai ragazzi dai 13 ai 25 anni ed è un percorso portato a van-

loro disposizione ci saranno due accrediti ciascuno per un evento a scelta che si terrà nel corso della manifestazione letteraria. Tutti gli altri elaborati verranno pubblicati nel blog. L'associazione si riserva, inoltre, la possibilità di raccogliere in un'unica pubblicazione cartacea tutti gli elaborati delle varie edizioni del concorso. L'altra novità di questa edizione è la giuria che si arricchisce di due nomi noti della letteratura. Oltre a Milena Bidinost, direttore di Ldp, e Ada Moznich, presidente dell'associazione, in questa edizione a valutare gli elaborati ci saranno anche gli scrittori Andrea Maggi ed Elisa Cozzarini. Maggi insegnante, ha al suo attivo tre romanzi scritti per Garzanti, pubblicati anche in Spagna e in America Latina, oltre ad essere noto in tutta Italia come il professore di italiano e latino de “Il Collegio”, il popolarissimo docu-reality di Rai Due. Elisa Cozzarini, giornalista specializzata in tematiche ambientali e sociali, collabora da anni con Libertà di Parola e ha pubblicato libri per le case editrici Nuova Dimensione e Ediciclo. Detto tutto questo, non ci resta che invitarvi a consultare il regolamento del concorso, lasciarvi ispirare dai titoli, armarvi di una storia tutta vostra ed inviarcela.

top

di Stefano Venuto Il Progetto TOP (Teen Opportunities Project) nasce con la volontà di andare a conoscere i pensieri, le difficoltà, le necessità, le paure, i potenziali dei ragazzi nella fascia d’età 13/25 anni del territorio di Pordenone. È una educativa di strada iniziata negli ultimi mesi del 2012 da un pensiero de “I Ragazzi della Panchina” e della Cooperativa Itaca e finanziata dal Comune di Pordenone. Il tragitto è stato, soprattutto nei primi anni, complicato e tortuoso subendo finanziamenti a singhiozzo, con mesi di operatività intervallati da mesi di sospensione del servizio. La forza che nonostante tutto ci ha stimolati a lottare per mantenere vivo il progetto è stata quella delle

relazioni, dei ritorni da parte dei ragazzi, l’aver sperimentato che nonostante la mancanza di continuità, TOP funzionava. Il lavoro sviluppato agisce in tre aree: la prima rivolta ai ragazzi, incontrandoli nei luoghi di aggregazione informale; la seconda area riguarda l’implementazione e la cura delle reti relazionali con adulti significativi e soprattutto con i Servizi pubblici; la terza sviluppa specifiche azioni per e nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado. Il tutto con la gestione dei social 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. A metà del 2015 la progettualità è stata finanziata dall’Ambito Urbano 6.5 in maniera continuativa ed è da quella data che c’è stata l’accelerazione

che ha portato il Progetto TOP a trasformarsi da azione progettuale a servizio verso il territorio. La mole di contatti che quotidianamente gli educatori hanno implementato con i Servizi, ha fatto nascere l’idea di scrivere l’esistente, di lasciare traccia, di dare una cornice di senso comune a quello che TOP ha stimolato e che i Servizi hanno recepito. Da questo stimolo si è realizzato molto di più, ci si è seduti attorno ad un tavolo e si è costruito un progetto unitario, chiamato Prometeo. L’azione innovativa di Prometeo sta nel suo obiettivo primario, l’intercettazione precoce di disagio. Educatori di strada e Servizi assieme, tesi ad intercettare le difficoltà giovanili prima che queste

possano divenire cronicità, punti di non ritorno. Uno scenario di lavoro nuovo, del quale TOP ha dato stimolo. La cura di questa rete permette agli educatori di poter essere intermediari, traghettatori, facilitatori, traduttori, raccoglitori di emersioni dei ragazzi verso il mondo adulto e viceversa. Stiamo con i ragazzi al centro del mondo che loro abitano e che li contiene e ne teniamo in mano quanti più fili possibili, cerchiamo di non farli annodare. Nel 2018 lo scenario dovrebbe compiere un balzo in avanti grazie ad un bando indetto dall'UTI del Noncello che nell’intento darà ulteriori stimoli a tutte le evoluzioni che questi cinque anni di TOP hanno prodotto.


INVIATI NEL MONDO

Il mio Iran, paese gentile e generoso L'ospitalità è sacra e l'accoglienza è un dovere Cibo, arte e artigianato sono un incanto di Piero Della Putta

È una immersione, anche per chi come me non si immerge per paura di non tornare in superficie, di non poter più respirare. Un viaggio in Iran è di più. Sia che sia il viaggio della tua vita, quello nell'antica Persia, una cosa che prepari da anni, o che lo si affronti come un viaggio casuale, dettato dalle coincidenze, come la maggior parte dei miei viaggi. Eccolo, il mio Iran, bello da togliere il fiato. Eccolo l’Iran, che inizia dalla procedura d'urgenza per il passaporto, dalla gentilezza degli addetti, che me lo fanno arrivare in pochissimo tempo perché chi non ha testa ha gambe. Ed io non ho testa e non ho gambe, ma questo è un altro discorso. Prosegue, il viaggio, attraverso il visto che non ho, che non prenoto, che ottengo solo all'arrivo in un Paese che mi stupirà per l’inattesa gentilezza e generosità dei suoi abitanti. Il visto lo ricevo da un bellissimo ragazzo, giovane come la maggior parte dei poliziotti. E' privo di un braccio, o meglio è privo di parte di un braccio,

residuo di una guerra che qui non finisce mai, e mai è troppo lontana. Visto e soldi nello zaino - l’Iran non fa parte dei circuiti bancari internazionali, scordiamoci Mastercard - e ci si tuffa in una Teheran che mi aspettavo diversa, tanto diversa. Enorme, caotica, Teheran avvolge e stupisce quando il suo vescovo armeno spiega che sì, i cattolici possono praticare la loro fede, ma non fare propaganda. Ti stupisce nuovamente quando, chiedendo informazioni, prima della risposta ti trovi in mano una fetta di torta, oppure, chiedendo dove comperare le sigarette, te ne regalano un pacchetto. L’ospite è sacro, e l’accoglienza è un dovere, un po’ come la propaganda di un regime che presenta tutte le sue crepe, con le quali entrerò in contatto a Esfahan, che raggiungo in aereo. È un incanto, Esfahan: lo sono i suoi bazar, lo è la sua immensa piazza, patrimonio Unesco, circondata da un doppio porticato, da due incantevoli moschee e dal palazzo della musica. Esfahan e il suo cibo,

Esfahan, i suoi ponti e i i suoi giardini. Esfahan e le rivolte, e la consapevolezza di quanto, ahimè, sporchi siano i media. In Italia arrivano infatti solo scene terribili: morti, spari, rivoluzione. I social son bloccati, l’Iran diventa un incubo per chi vorrebbe avere mie notizie che riesco ad inviare, fortunatamente, tramite internet. Tutto in realtà ha dimensioni contenute, anche se, per imperizia e per destino, dalle rivolte non riesco a tenermene lontano: gli studenti che urlano il loro dissenso, l’altoparlante della moschea che fa più paura dei blindati e dei mitra della polizia, e il taxi che mi porta in salvo ad una velocità folle sono due delle tante facce iraniane, a cavallo tra modernità e medioevo. Iran che mi regala Daniele, amico d’infanzia ed ora guida turistica che non vedo da quindici anni, pur abitando a pochi chilometri l’uno dall’altro. Ci troviamo, e ci abbracciamo, proprio a Esfahan: lo facciamo poco prima di finire, stavolta in corriera, a Shiraz. Dove, lontano dalla rivolta, mi godo il cibo e le tante meraviglie di una città che mi resterà nel cuore. Per i suoi bazar, per il suo centro fortificato, ancora una volta per le sue moschee e per l’incantevole mausoleo di Hafez, poeta venerato in un Iran che ormai mi appartiene. Mi appartengono amicizie destinate ad esaurirsi in un paio di giorni, mi appartiene Persepoli, dove le storie di Alessandro Magno, di Dario il Grande e del Beato Odorico si mescolano e si fondono. Non si fonde, miracolosamente, la macchina di Haziz, il mio tassista, che millanta un inglese che non conosce, e che mi urla in farsi parole alle quali rispondo in dialetto. Uno pari. Con Haziz arrivo a destinazione, e mi capisco pure. A Yadz, invece, capisco

meno, pur se l’architettura di una città culla della cultura zoroastriane regala emozioni impareggiabili, come il vento ed il tramonto sulle torri del silenzio, costruzioni nelle quali si svolgevano le cerimonie religiose e funebri, ed il tempio del fuoco, dove arde ininterrottamente una fiamma da oltre 1500 anni. Capisco qualcosa quando, uscito per lo

shopping – oltre ai tappeti ci sono frutta secca, spezie, dolci e tessuti straordinari –, mi trovo in mezzo ad una manifestazione filogovernativa. Uomini, donne, bambini. A migliaia, con i loro cartelli contro gli Stati Uniti ed Israele. Arrivano insieme, ma ad un certo punto prendono vie diverse. Donne e bambini su un lato, uomini nell’altro: in mezzo io, frastornato prima dell’ultima tappa, Kashan, che raggiungo in treno. Kashan, oasi nella quale le residenze private scavate nella roccia sono ora musei, dove dietro ad ogni porta si nasconde l’incanto, è l’ultimo regalo che l’Iran mi fa. La visito brevemente, prima di raggiungere nuovamente l’aeroporto Imam Khomeini, due ore di taxi guidato da una donna, splendido esempio delle mille contraddizioni di un Iran sorprendente.


PANKAROCK

Nuovo album per il gruppo friulano degli Elvenking “Secrets of the Magick Grimoire”, uscito a novembre è impregnato di magia e paganesimo di Marlene Prosdocimo Un'invocazione allo spirito del bosco: questa è la prima spaccatura contenuta nell'album “Secrets of the Magick Grimoire”, uscito il 10 novembre del 2017, sull'universo di "Mostri, poeti tragici e vagabondi" creato dagli Elvenking. Gruppo friulano Power/Folk Metal attivo dal 1997 su scala mondiale, gli Elvenking propongono un disco impregnato di surreale magia e paganesimo grazie ad atmosfere sinfoniche che accolgono con maestosità la narrazione di questo oscuro mondo. A presentarci il nuovo disco sono Aydan, uno dei fondatori e dei due chitarristi del gruppo, e Damna, il cantante, nell’occasione del concerto del 27 gennaio tenutosi al Rock Town di Cordenons, data “casalinga” per il gruppo ormai abituato a concerti meno Underground.

tempo personale. Noi siamo sempre stati affascinati da certe tematiche, dunque il sound doveva anche essere oscuro: le musiche e i testi vanno di pari passo così come andavano nel nostro primo album, in cui c'era un'unione forte tra la parte musicale e la parte lirica. Ora è espressa in maniera ancora più profonda: vi sono argomenti che sentiamo molto nostri, ovvero quelli legati alla magia, al paganesimo, agli incantesimi e ai libri che li contengono. La parte lirica e di conseguenza quella musicale ha una forma più oscura, più complessa, più sinfonica e maestosa. Affrontare un nuovo album dopo “The Pagan Manifesto”, comunque, è stata una sfida: ci

è voluto del tempo per voler affrontare il songwriting per dei nuovi pezzi. Damna: Abbiamo lasciato da parte la paura di comporre pezzi complessi, con cambi di tempo, cambi di mood e atmosfera. Siamo tornati al feeling istintivo dei primi tempi ma con l’aggiunta del nostro bagaglio di esperienza: ne è risultato un disco più difficile da assimilare al primo ascolto, ma non ne abbiamo avuto timore. Com’è avvenuto il cambio di batterista, che ha visto entrare Lancs nel gruppo? Damna: Lancs è entrato nella band per il tour europeo dell'anno scorso. Siamo entrati in studio due giorni dopo:

Qual è la filosofia che regge l’album? Aydan: Con “The pagan manifesto”, il nostro penultimo lavoro, siamo tornati alle origini concettuali del nostro sound, il quale miscela determinate influenze ma è al con-

gli abbiamo mandato i pezzi, li ha imparati, ha subito colto il mood del gruppo. Ci siamo trovati bene fin da subito, il tour ne è stata la prova. Io comunque lo conoscevo da prima, in quanto suona con me negli Hell in the Club, gruppo rock che costituisce una volontà ed un sogno che ho sempre avuto, un’altra parte di me. Come si relazionano il vostro paganesimo e l’Italia? Damna: Per noi il paganesimo non dev’essere necessariamente espressione della mitologia norrena, del vichingo. Una volta il paganesimo veniva considerato come il culto diverso, il culto di minoranza, il culto che doveva essere eliminato perché differente dalla religione principale. Noi lo vediamo dunque come un simbolo, una filosofia: per noi il paganesimo è essere emarginato e diverso, l’esaltazione della personalità di ognuno di noi, il non aver paura di essere se stessi. Ovviamente, comunque, ci serviamo di un immaginario riconducibile alla cultura nordica.

Vent'anni di storia della band pordenonese La data di nascita degli Elvenking, una delle band Metal italiane più apprezzate all'estero, è il 1997 a Sacile. I fondatori furono i chitarristi Aydan (tuttora presente nella band) e Jarpen. L'anno dopo vi si aggiunsero il cantante Damnagoras e il batterista Zender: fu l'anno del loro primo lavoro, il demo "To Oak Woods Bestowed”, registrato al New Sin Studios di Loria, il cui successo li portò a firmare un contratto con l'etichetta

tedesca AFM Records. Stesso anno e al gruppo si unì anche il bassista Gorlan. Nel 2001 uscì il primo full length, “Heathenreel”: fu l'album di debutto della band, registrato e mixato ai Fredman Studios, in Svezia, e accolto da un notevole successo in tutta Europa, tanto che gli Skyclad, band ispiratrice degli Elvenking, li ingaggiarono per una serie di concerti. Da qui, il gruppo fece inoltre da supporto anche ad altre band di successo come Ed-

guy, Blind Guardian e Gamma Ray. Nel 2004 il secondo album “Wyrd” assistette ad un momentaneo cambio di cantante e all'entrata del violinista Elyghen. Per la realizzazione del terzo invece, “The Winter Wake”, fu Jarpen ad abbandonare il gruppo e Damnagoras a rientrarvi. Da “The Winter Wake”, disco contenente moltissime tracce simbolo degli Elvenking, si sono susseguiti altri album più o meno sperimentali (pezzi in acustico, influenze sul versan-

te Death, rafforzamento della componente Power Metal et cetera) e nuovi cambi di formazione che hanno condotto al penultimo lavoro, “The Pagan Manifesto”, forte ritorno alle origini, e all'ultimo album “Secrets of the Magick Grimoire” uscito nel 2017 e realizzato dall'attuale compagine che vede Damna come cantante, Aydan e Rafahel alle chitarre, Lethien come violinista, Jakob al basso e Lancs alla batteria. (m.p.)


NON SOLO SPORT

Il Tennistavolo: concentrazione, tenacia e fair play Tre le società in provincia che lo praticano, tra queste la San Marco di Sacile di Alain Sacilotto e Andrea Lenardon Il “ping pong” è uno sport diventato molto popolare grazie alla sua semplicità che gli ha permesso una rapida e ampia diffusione in tutto il mondo. A quasi tutti, da bambini e non solo, è capitato di giocare una partita con amici, perché questo gioco è ancora oggi un classico intramontabile dell'aggregazione. Eppure, in molti forse non sanno che il nome corretto di questa disciplina, diventata olimpica dal 1988, è Tennistavolo. Il tennis da tavolo è nato in Inghilterra nel secolo scorso, ma si è sviluppato successivamente soprattutto in Asia. In Europa ha avuto successo in particolare nei paesi dell’est, Svezia e Germania. Purtrop-

po in Italia non abbiamo mai avuto campioni a livello europeo o mondiale, probabilmente perché il “ping pong” ha avuto più successo come passatempo, piuttosto che sport agonistico. A parlarcene è Luigi Pittini, allenatoregiocatore dell'Associazione sportiva dilettantistica Tennistavolo San Marco, una delle tre società in provincia di Pordenone praticanti questo splendido sport. Nella nostra regione ci sono in totale una ventina di società e ognuna di esse ha come riferimento la Federazione Italiana Tennistavolo. Luigi esalta la possibilità di confronto agonistico tra diverse età e sessi come caratteristica unica nel mon-

do dello sport. Il “ping pong” sviluppa concentrazione e tenacia e, dal punto di vista educativo, prevede il rispetto dell'avversario e lo scusarsi per i colpi fortunosi. La Asd Tennistavolo San Marco è nata nel 1971: al quarantennale ha ricevuto riconoscimenti da parte del Coni, del Comune e della provincia di Pordenone. Ha sempre partecipato ai vari campionati, anche a livello nazionale, arrivando sino ai massimi livelli della serie A1 per due stagioni negli anni Novanta, con una storica partecipazione alla prestigiosa Coppa Europea Nancy Evans nel 1993. Oggi la San Marco ha sede a Sacile e la sua prima squa-

dra partecipa al campionato regionale di serie C2 insieme a San Giorgio Porcia e Astra San Vito. Le gare interne della San Marco vengono disputate presso l’Olympia’s Center di Sacile. Vi sono altre squadre della società che partecipano ai campionati di serie D1-D2-D3. I tesserati sono una trentina circa, compresi dei giovani dal futuro promettente. Nel Tennistavolo, oltre ai campionati a squadre, c’è l’attività individuale che prevede la disputa di svariati tornei di regionali o nazionali. Tutti i giocatori sono inseriti in una classifica individuale che viene aggiornata mensilmente in base ai punteggi corrispondenti ai loro risultati.

«È uno sport che allena corpo e mente» Indispensabili sono l'agilità e la strategia di gioco, che parte dallo studio dei punti deboli dell'avversario Gaetano Dimino è atleta della Asd Tennistavolo San Marco. A lui abbiamo chiesto di accompagnarci dentro questa specialità sportiva, per conoscerla da vicino. Gaetano al “ping pong” si è appassionato circa dieci anni fa, quando andava con gli amici all'oratorio passando ore intorno al tavolo da gioco. «In oratorio c'era una società che dava la possibilità di cimentarsi nel ping pong più seriamente – racconta - . Decisi perciò di provare e mi innamorai subito. Ricordo che, fin da bambino, avevo abbastanza dimestichezza con la racchetta e probabilmente è stato proprio questo che mi ha spinto a continuare. Sicu-

ramente vedersi portati stimola a continuare e a credere in se stessi, ma con l'allenamento chiunque può raggiungere un buon livello». Gli allenamenti puntano soprattutto a rinforzare le gambe e il fiato in modo da avere più continuità, lucidità e rapidità per muoversi. Si fanno quindi esercizi schematizzando il gioco in tre parti del tavolo per colpire sul dritto, centrale e rovescio. “In vista di una partita – prosegue Gaetano - cerco di allenarmi bene in settimana, facendo esercizi sui colpi dove mi sento più insicuro. Ho sempre avuto l'ambizione di migliorarmi e l'allenamento è necessario per migliorare, tramite la ripetizione, la

padronanza dei vari colpi». Una partita funziona così: le due società sfidanti schierano tre giocatori ciascuna che si scontrano tramite un sorteggio. Ogni giocatore che vince una partita fa un punto. La vittoria va alla squadra che per prima raggiunge cinque punti. La singola partita si gioca al meglio di tre set da 11 punti, con cambio palla ogni due servizi. Per vincere servono bravura e strategia. Quella di Gaetano è osservare come l'avversario gioca e cercare di capire se ha un punto debole: «se lo individuo, cerco di sfruttarlo», dice. Si osserva, per esempio, se utilizza una gomma particolare della racchetta: gomma puntinata, gioco

più lento, gomma liscia, gioco veloce. A chiedere a Gaetano cos'è che ama di questo sport, lui risponde: «L'adrenalina della partita e la soddisfazione che ti appaga dopo un punto molto combattuto». E ancora, perché lo consiglieresti? «Perché è uno sport bellissimo che aiuta la concentrazione e allena sia agilità fisica e mentale - dice-. Quanto a me, consapevole che in Italia non si può vivere solo di ping pong, direi che l'obiettivo rimane quello di divertirmi tanto cercando sempre di migliorare». (a.s. e a.l.)


Hanno collaborato a questo numero

LDP - LIBERTÁ DI PAROLA Giornale di strada de I Ragazzi della Panchina ad uscita trimestrale o quasi Registrazione presso il Tribunale di Pordenone N. R. G. 1719/2008 N. Reg. Stampa 10 del 24.01.2009 Direttore Responsabile Milena Bidinost

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Alain Sacilotto Avete presente l'espressione "Bronsa coverta"? Eccola qua la nostra nuova penna! La sua timidezza nasconde un infuocata sete di sapere! Dietro ogni ostacolo c'è un domani, dentro ogni persona ci può essere una miniera di gemme preziose. Lui ne è l'esempio: forza, coraggio, acume e personalità da vendere. Del resto solo così si può essere amanti del verde evidenziatore e innamorati fedelmente dei colori Giallo-Blu del Parma Calcio. Che dire... Chapeau!

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Chiara Zorzi S: "Chiara, guarda che bella frase che ho scritto!" C: ”bella ma non si scrive così...” S: "ok non è perfetta ma il senso poetico..." C: "...si bello, ma non si scrive così in Italiano!" S: "Quindi?" C: “tienila, ma non è giusta!”. Quando scorri, la consapevolezza del limite, che scorre con te, è vitale. Grazie Chiara

Elisa Cozzarini Liberata dai fardelli del dover fare per gli altri si è messa in proprio, così può scrivere, leggere, scrivere, progettare, scrivere, studiare, scrivere. Non manca di farlo anche per la Panka perché, se è vero che il futuro è, appunto, tutto da scrivere, quello che sei lo ritrovi nei posti che abiti.

Andrea S. Quando la storia della tua vita è un film di Tarantino, quando decidi che la voglia di vivere diventi il finale del film, quando tutto questo è condensato in un unico uomo, all’accendersi delle luci in sala non puoi che applaudire il protagonista. Fa dell’informatica la sua ragione di vita e per ora riesce con grande stile ad accendere il computer! In miglioramento!

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Stefano Venuto Mimica facciale e gestualità ne fanno un perfetto attore! Lui però ha deciso di rinunciare alla fama per concedersi a noi. Magistrale operatore, tanto da confondere le idee e mettere il dubbio che lo sia veramente, penna delicata e poetica del blog, chietegli tutto, ma non appuntamenti dopo le 18.00!

Redazione Ciro Antonio Francescutto, Andrea S., Jenny Naska, Antonio Zani, Giorgio Achino, Elisa Cozzarini, Stefano Venuto, Piero Della Putta, Marlene Prosdocimo, Alain Sacilotto, Andrea Lenardon. Editore Associazione I Ragazzi della Panchina ONLUS Via Selvatico 26, 33170 Pordenone Creazione grafica Maurizio Poletto Impaginazione Ada Moznich Stampa Grafoteca S.r.l. Via Amman 33 33084 Cordenons PN

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Capo Redattore Chiara Zorzi

Piero Della Putta La particolarità di questo uomo è quella di non farti capire immediatamente da che parte sta. Ci parli, ti chiede, tu chiedi, analizza, critica ma poi ti regala il lato che funziona. La cosa straordinaria è che poi, senza particolari, ti accorgi che sta con te.

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Giorgio Achino Teatrante per diletto adesso applica la tecnica in Panka. A tutti dice: "Sarò chi vuoi, nella tua personale rappresentazione della vita"; palco e Panka si confondono. Benarrivato in questo teatro! Sempre in scena Giorgio

Fotografie A cura della redazione. Foto a pag. 1, 2 e 3 dalla pagina FB di "Quelli della notte" Foto a pagina 6 Elisa Cozzarini Foto a pagina 7 dell'archivio del sito: www.storiastoriepn.it Foto a pagina 8, 9 e 10 Associazione "Le Arti tessili" Foto a pagina 12 Piero Della Putta Foto a pagina 13 Andrea Gottardi Foto a pagina 14 A.S.D tennistavolo San Marco Pordenone Questo giornale é stato reso possibile grazie alla collaborazione del Dipartimento delle Dipendenze di Pordenone Associazione i Ragazzi della Panchina ONLUS Via Fiume 8, 33170 Pordenone Tel. 0434 371310 email: info@iragazzidellapanchina.it panka.pn@gmail.com www.iragazzidellapanchina.it FB: La Panka Pordenone Youtube: Pankinari Per le donazioni: Codice IBAN BCC: IT69R0835612500000000019539 Codice IBAN Credit Agricol Friuladria: IT80M0533612501000030666575 Per il 5X1000 codice fiscale: 91045500930 La sede de I Ragazzi della Panchina é aperta dal lunedí al venerdí dalle ore 13:00 alle 18:00

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Marlene Prosdocimo Se fosse nata in Trentino avrebbe vissuto una adolescenza drammatica ma in Friuli no, meno. Alleggerita da questo peso studia filosofia ed ama le arti. LdP esiste proprio perché è questione di arte realizzarlo ed anche perché senza la giusta filosofia sarebbe impossibile leggerlo. Lei l’ha letto ed ora ci scrive sopra. Perfetta... proprio come la mela!

Antonio Zani Quando una persona legge molto, quando poi si accorge che scrivere gli riesce, quando è costretto a fare attività fisica ma non gli riesce e non ne ha voglia, quando in tutto questo conosce la Panka, allora che fa? La risposta è Libertà di Parola! Dopo una gavetta alle rubriche ora esce con l’approfondimento, ma non ti preoccupare Antonio, sempre senza correre!

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Ada Moznich Delle quote rosa lei se ne infischia, non le servono! Essere presidente donna di un’associazione di tossici è da solo un miracolo in termini. Si ama e si teme nello stesso istante, tiene tutti e tutto sotto controllo, anche il conto in banca: - Ada ci servirebbe una penna.. “scrivi con il sangue che le penne costano..!”

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Milena Bidinost Da giornalista arriva quando meno te lo aspetti, si accorge di cose che tu non ti aspetti, le scrive come tu non ti saresti aspettato. Spesso i giornalisti non li aspetti, te li ritrovi. Noi invece l’aspettiamo, ci siamo scelti.


DA SOLI SI CAMMINA VELOCI, MA INSIEME SI VA LONTANO

FILIPPO CLERICI

I RAGAZZI DELLA PANCHINA CAMPAGNA PER LA SENSIBILIZZAZIONE E INTEGRAZIONE SOCIALE DE I RAGAZZI DELLA PANCHINA


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