APPROFONDIMENTO
Le antiche vie della fede
Libertá di Parola 2/2017 ——
N°
Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire)
Il più noto è il Cammino di Santiago, meta ogni anno di oltre duecento mila pellegrini, ma i Cammini o le Vie tracciate nell'antichità dai pellegrini sulla via della fede rinate in epoca moderna sono molte, in tutta Europa. Non ne mancano nemmeno in Friuli Venezia Giulia, negli ultimi dieci anni ne sono state tracciate quattro. È la rinascita dell'andare a piedi, alla scoperta di se stessi e dell'altro. a pagina 7
CODICE A S-BARRE
Esperienze umane dal carcere: il lavoro dei sogni, la canzone del cuore, gli amici di penna a pagina 4
INVIATI NEL MONDO
Da Muggia a Zadid, scoprendo a piedi l'Istria spopolata e affascinante a pagina 11
PANKAKULTURA
Nuova sede de I Ragazzi della Panchina Per l'Associazione inizia un nuovo capitolo di una storia oramai ventennale di Stefano Venuto L'Associazione “I Ragazzi della Panchina” è difronte ad un nuovo capitolo della sua storia, tutto da scrivere, da decifrare, tutto da colorare. Se si vuole dare una data di inizio a quello che sarà il domani, non possiamo che indicare il 26 maggio 2017, giorno dell’inaugurazione della nuova sede associativa. La giornata è stata intensa. Al mattino si è svolto il convegno “Territorialmente Parlando. Come coltivare il territorio per far crescere buone relazioni“, con il confronto su come servizi pubblici e privati si muovono con e nel territorio. Al termi-
ne, nel pomeriggio, il trasferimento nella nuova sede dell’Associazione in via Fiume a Pordenone, per la sua inaugurazione. Alla cerimonia hanno partecipato più di un'ottantina di persone tra ragazzi che frequentano l’Associazione, amici, simpatizzanti, vicini di casa, professionisti dell’Azienda per l'assistenza sanitaria, Aas5, rappresentanti del privato sociale, dell’associazionismo. Nutrita anche la presenza dei ragazzi, accompagnati dagli educatori, che sono inseriti in comunità terapeutica a Conegliano e di quanti stanno svolgendo
un percorso riabilitativo al Ser.T di Casavatore, Napoli Nord. Questo ha dato ancora più forza e legittimità all’intera giornata ed in special modo all’inaugurazione, perché il fine ultimo del lavoro sociale sono le persone, il miglioramento della loro proiezione di vita, la fiducia da costruire, il rispetto delle loro fragilità. Con la comunità di Conegliano la collaborazione è intensa da alcuni anni, perché molti dei ragazzi che hanno frequentato l’Associazione sono nelle loro comunità. continua a pagina 2
Fondazione Ado Furlan, dal 1992 per la promozione della conoscenza delle arti visive contemporanee a pagina 13
STORIA
Europa: fotografia di una crisi economica che da dieci anni non accenna a finire a pagina 14
IL TEMA
TERRITORIALMENTE PARLANDO
Focus sulla sinergia tra pubblico e privato nella gestione delle dipendenze di Giulia Rigo, educatrice Ser.T. Pordenone Non poteva che essere che “Territorialmente parlando” il titolo del convegno organizzato, all’ex convento di San Francesco, dall’associazione I Ragazzi della Panchina assieme al Dipartimento per le Dipendenze dell’Aas5 di Pordenone, il Comune di Pordenone e la Cooperativa Sociale Itaca. La giornata formativa è servita per mettere in luce le buone prassi della sinergia tra servizi pubblici e del privato sociale che si occupano della gestione del disagio sociale ed in particolare del consumo problematico di sostanze psicoattive. Sono state messe a confronto diverse realtà regionali ed extra regionali e le loro modalità di azione e di cooperazione con il territorio di appartenenza. È stata inoltre l'occasione per riportare pubblicamente i dati elaborati dal gruppo dei ricercatori dell’Università di Padova, guidati dal professore Gian Piero Turchi, docente del Dipartimento di Psicologia, sulla relazione costi/benefici della presenza dell’Associazione “I Ragazzi della Panchi-
na” sul territorio di Pordenone. I relatori hanno mostrato una fotografia dei servizi offerti a chi oggi intraprende un percorso terapeutico. Percorsi che, come ha riferito don Davide Larice del Centro Solidarietà Giovani di Udine, hanno subito delle profonde trasformazioni per adattarsi alle esigenze che nel tempo sono mutate, rendendo necessaria l’apertura dei servizi verso il territorio. Una rete solida tra pubblico e privato può influire positivamente sul recupero della persona, come attestato nel percorso proposto da “La Nostra Casa”, comunità tera-
peutica che accoglie a Udine persone con problematiche connesse all’uso di sostanze e compresenza di problematiche psichiatriche o in forma alternativa al carcere e con gravi patologie sanitarie. Tutti i percorsi comunitari cercano di ristabilire l’equilibrio tra il mondo interno e quello esterno di persone che, come ha spiegato Alessandro Sartori, psicologo e direttore della comunità terapeutica di Gorizia “La Tempesta”, hanno
molte e per nulla istituzionali le parole usate per incorniciare il momento, ma parole prevenienti dal cuore, condite di sentimenti puri, gli stessi che hanno dato vita, nel 1995, al lungo percorso di un gruppo che è stato capace di diventare Associazione e che oggi
continua dalla prima pagina
Confronto, visite, progettualità condivise, stanno caratterizzando l’unione tra noi e Conegliano e la loro presenza ha permesso di poter mantenere aperto il legame umano che abbiamo costruito. Con Napoli c’è un legame “d’amore”, che alimenta costantemente la volontà dell’incontro e della condivisione di metodi e pratiche. Sono arrivati da Napoli in diciassette, ospitati in
famiglie che gravitano volontariamente attorno al mondo della Panka: ci siamo abbracciati, confrontati, ci hanno ringraziato e dato forza, ci hanno augurato buon nuovo viaggio, noi l’abbiamo augurato a loro. Il taglio del nastro è avvenuto per mano della presidente de “I Ragazzi della Panchina” Ada Moznich, della direttrice del Dipartimento per le Dipendenze, Roberta Sabbion, e del medico del Ser.T, Alessandro Zamai. Non
trovato nell’uso delle sostanze lo strumento per allontanarsi dalla realtà. Rendere possibile la loro autonomia significa dunque per Michela Stivanello, psicologa e direttrice della “Piccola Comunità” di Conegliano, operare necessariamente in sinergia con il territorio, che muta costantemente. Il confronto con il mondo esterno è quindi uno strumento per ampliare la mappa di se stessi e per costruire buone relazioni. Il coinvolgimento del territorio nei percorsi di cura e riabilitazione interessa anche i servizi pubblici specialistici per le dipendenze. Pietro Scurti, psicologo che opera nella difficile realtà di Casavatore, comune dell’hinterland napoletano, sa bene quanto il mondo esterno sia il setting terapeutico perfetto per agire il cambiamento: lo stigma, i pregiudizi, la diffidenè servizio integrato al Dipartimento Dipendenze. Ad allietare il pomeriggio la presenza del musicista e compositore Marco Anzovino che, con una performance chitarra e voce, ha fatto cantare molti dei presenti. In via Fiume ora abbiamo spazi nuovi, con appesi i
za, sono elementi che vanno riabilitati rendendo l’istituzione SerD socializzabile, non agendo quindi solo sulla persona direttamente coinvolta nella problematica. Un esempio concreto di questa evoluzione nel pordenonese è l'attività di montagna terapia del Dipartimento delle Dipendenze di Pordenone dell’Aass5, attraverso la quale è possibile promuovere uno stile di vita sano, facilitare il processo di integrazione sociale, rinforzare le abilità sociali, sostenere nel processo di cambiamento le persone con problematiche di dipendenza ed abbattere il pregiudizio nei loro confronti. Il progetto Prometeo, promosso dalla Aas5 in collaborazione con l’Ambito Urbano e presentato al convegno dal medico del SerD Cristina Meneguzzi, si occupa invece dell’identificazione precoce del disagio giovanile e delle prime azioni di intervento, finalizzate a migliorare l’accessibilità ai Servizi, sviluppando aree di intervento in rete fra servizi socio-sanitari e terzo settore. Stefano Venuto, educatore dell’Associazione “I Ragazzi della Panchina”, ha concluso la carrellata di interventi riportando alla memoria l’immagine della panchina da cui è nata l’idea di dare vita ad un luogo che ha fatto della cultura uno strumento d’integrazione sociale tra persone e di recupero di reali autonomie di vita. ricordi di un passato che non si deve e non si può dimenticare. Spazi nuovi con mura libere, pronte a farsi carico di quello che saremo capaci di costruire. Inizia un nuovo capitolo, si diceva, una nuova sfida, un nuovo percorso, alla fine del quale, comunque vada, qualsiasi nome avrà, ci sarà una panchina ad attenderci.
I Ragazzi della Panchina, un valore aggiunto per Pordenone La ricerca dell'Università di Padova: risparmio economico per il territorio ed efficacia delle azioni di Gian Piero Turchi, Professore dell'Università degli Studi di Padova Nella primavera del 2015 abbiamo ricevuto, come Università degli Studi di Padova, la richiesta di svolgere una ricerca sull'operato dell'Associazione "I Ragazzi della Panchina", per valutarne l'efficacia da un lato e per analizzarne il rapporto costi-benefici dall'altro. Per quanto d’indagini scientifiche simili ne siano state svolte ben poche a livello nazionale, abbiamo colto la sfida e messo a disposizione la metodologia M.A.D.I.T. (metodologia di analisi dei dati testuali, formulata e predisposta dal Laboratorio 06 dell'Università di Padova - il nostro). Questa metodologia permette al ricercatore di offrire un dato di misura del grado di cambiamento promosso da determinate scelte e modalità di gestione: nel caso dell'Associazione "I Ragazzi della Panchina", sono state valutate le modalità di cittadini, istituzioni, operatori ed utenti per narrare l'Associazione e in generale il consumo di sostanze psicotrope stupefacenti illegali. In termini di efficacia dell'operatività, abbiamo rilevato che le narrazioni riguardanti l'Associazione sono diventate negli anni sempre più aperte e tese al cambiamento (aumentando il proprio potenziale generativo del 3%, tra l'avvio dei lavori venti anni fa e oggi), denotando una crescita nella precisione con cui cittadini, operatori e consumatori di sostanze illegali fanno riferimento ai servizi offerti dall'Associazione stessa. Inoltre, in termini contenutistici, sono aumentate le attribuzioni positive. Quando l'Associazione ha aperto, era molto diffusa una "visione negativa dei consumatori" e l'Associazione era spesso considerata un "peso per la Comunità"; oggi, invece, essa viene più frequentemente descritta anche per quello che offre: "lavoro con le nuove generazioni ", "integrazione dei consumatori nella comunità" e "apertura a nuove possibilità". In più, se-
lezionando unicamente i testi di risposta dei cittadini, l'aumento della potenzialità di cambiamento e della precisione nel descrivere l'operato dell'Associazione risulta ancora più alto, raggiungendo un incremento del 14% da venti anni fa ad oggi. Per quanto riguarda, invece, le modalità usate dalla Comunità pordenonese per descrivere i "consumatori di sostanze illegali", è stata rilevata una sostanziale differenza nel cambiamento messo in campo dai consumatori e dagli operatori dei servizi socio-sanitari (compresi gli operatori de "I Ragazzi della Panchina") e quello della media dei cittadini. Se, da un lato, operatori e utenti negli anni hanno operato delle scelte che consentivano di affrontare il consumo di sostanze illegali in modo sempre più efficace nell'aprire a nuove possibilità di vita, i cittadini hanno seguito una tendenza opposta. Questi ultimi, infatti, mostrano di essersi ulteriormente "chiusi" nei confronti del consumo di sostanze, usando delle modalità che tendono a cristallizzare la problematica anziché superarla. L'Associazione "I Ragazzi della Panchina" dovrà dunque impegnarsi nelle prossime annualità a costruire nuove e più occasioni di confronto con la cittadinanza rispetto alla tematica del consumo di sostanze illegali, per favorire una maggiore condivisione e coesione sociale nell'affrontarla, trasferendo al resto della comunità le competenze acquisite nei venti anni di duro lavoro svolto sin qui. Tuttavia, la rilevanza di quanto emerso dalla ricerca dell'Università non ha riguardato solo la valutazione dell'efficacia dell'operato dell'associazione, ma anche l'analisi dei costi e dei benefici. Infatti, la ricerca ha risposto alla seguente domanda: in termini economici, quanto guadagno può potenzialmente portare - nell'espressione della sua massima
efficacia - un servizio come quello offerto dall'Associazione "I Ragazzi della Panchina" ad una Comunità come quella di Pordenone? La risposta è stata sorprendente. Ci siamo mai chiesti, infatti, quanto può costare fare fronte a tutte le incombenze che caratterizzano la vita tipica di un consumatore di sostanze illegali? La disoccupazione, le chiamate al 118, l'overdose, la contrazione di virus come HCV e HIV, la detenzione, le procedure giudiziarie o, addirittura, la morte? L'evitamento di questi costi e il reinserimento del consumatore nel circolo economico della comunità, porta ad un beneficio molto elevato. Nel suo insieme il guadagno, nel caso della massima efficacia espressa da parte dell’Associazione, può arrivare fino a 97.041 euro all'anno per ogni consumatore, considerando i costi non sostenuti da un lato, i benefici ottenuti attraverso il reinserimento sociale dell'individuo dall'altro e sottraendo dal totale le spese sostenute dal sistema sanitario pubblico e l'investimento finanziario effettuato nell'Associazione. La presenza de "I Ragazzi della Panchina" entro la Comunità, rappresenta un valore aggiunto sotto i profili sia comunitario che economico/finanziario su cui continuare ad investire affinché si mantenga ed incrementi la sua efficacia. Per avere dati più precisi su quanto qui brevemente introdotto, è possibile richiedere di visionare il report scientifico intero della ricerca svolta, all'indirizzo mail gianpiero. turchi@unipd.it.
Prosegue il lavoro della redazione del nostro giornale nata all'interno della Casa circondariale di Pordenone. “Codice a s-barre” è uno spazio interamente gestito dai suoi detenuti.
Il lavoro dei miei sogni «La passione me l'ha trasmessa mio zio elettricista. Ora studio per diventare come lui» di Mihai Da piccolo ogni bambino ha molti sogni sul lavoro che vorrebbe fare da grande. Questi sogni, però, cambiano di continuo, man mano che il tempo passa si cresce e muta l’idea sul lavoro del futuro. Inizia ad essere sempre più chiara. Anch’io da piccolo avevo molti sogni in merito. Quando avevo sette anni volevo fare il poliziotto, mi piaceva l’idea di poter fermare i cattivi ed essere al servizio delle persone. Poi, a dieci anni, è cambiato tutto: il sogno di fare il poliziotto non c’era più. Fui attratto
da un altro mondo, quello dell’elettricità. In quel periodo mio zio faceva l’elettricista e mi portava quasi sempre con
Il cambiamento «Stando in carcere ho rivisto le mie priorità. Ora so che sono la mia famiglia e il lavoro. Farò di tutto per continuare a migliorarmi» di Andrea Quasi ventitré mesi di carcere mi hanno cambiato parecchio, un po' per scelta personale e un po' per gli eventi vissuti al suo interno. Quando sono entrato non avevo paura di niente, ero un po' egoista e non conoscevo bene le mie priorità. Durante i primi mesi ho sofferto molto la mancanza della libertà e della mia famiglia. Come se non bastasse, quando mi sono costituito, mia moglie era in gravidanza e non poterle stare vicino in un momento così delicato è stato per me motivo di grande sofferenza. In carcere assieme all’educatrice e alla psicologa abbiamo iniziato a lavorare su di me, sul mio
presente e passato, e un po' alla volta ho iniziato a dare un ordine alle mie priorità. Ho realizzato che le principali sono la mia famiglia e il lavoro, valori che da libero non stavano in cima alla mia lista. In carcere - se una persona ha la volontà e si impegna - riesce a migliorarsi, a capire gli errori fatti e il loro perché, per non commet-
lui al lavoro perché gli facessi compagnia. Con l'occasione io gli davo un piccolo aiuto quando aveva bisogno. Vedevo come lavorava mio zio e quanto era interessante il suo lavoro che consisteva nel rompere i muri, utilizzare tanti attrezzi strani per far passare i cavi, usare diversi programmi con il computer per realizzare gli schemi elettrici ed altri per trasformare gli schemi in impianti in 3D per poter osservare se il lavoro era venuto bene, installare diversi impianti come il condizionatore e l’antenna per il televisore. Tutte queste attività mi colpivano e così iniziai ad affezionarmi moltissimo anch’io a quel mestiere. Andavo sempre più spesso con mio zio al lavoro e gli facevo tantissime domande: in questo modo ho iniziato ad informarmi di più rispetto a questo mestiere, scoprendo aspetti sempre nuovi ed interessanti. Dopo un po’ di tempo capii
che in realtà sarebbe stato questo il lavoro che mi sarebbe piaciuto fare. Infatti, ancora oggi il mio sogno rimane quello di diventare elettricista. Adesso ho diciannove anni e frequento il quarto anno di superiori ad indirizzo elettrico/ elettronico. Ho scelto questa scuola proprio per realizzare il mio sogno. Fare l’elettricista per me vuol dire veramente tanto perché adesso è l’obiettivo più importante della mia vita. Ciò che più mi piace è che sei sempre in movimento e le giornate lavorative volano in fretta. Un altro aspetto positivo è che tutto il lavoro lo fai con le tue mani e ogni giorno fai lavori diversi, diversamente da un operaio in fabbrica che sta tutto il giorno davanti ad una macchina a schiacciare dei bottoni ed aspettare che la macchina faccia il lavoro. Spero moltissimo di poter realizzare questo mio sogno e diventare un bravo elettricista.
terli più. Ad oggi posso assicurare che in carcere non ci voglio più tornare: non è la vita che voglio, né l’esempio che voglio dare ai miei figli. Non voglio più veder soffrire mia moglie come sta soffrendo ora. Vorrei raccontarvi un fatto successo mentre ero nel corridoio del Tribunale di Sorveglianza a Trieste. Entrando in Tribunale con la scorta, vidi sul pianerottolo mia moglie con in braccio mia figlia e con loro l’altra mia figlia più grande. Come mi videro entrare, ammanettato, notai sui loro volti un espressione di sconforto. Sia mia moglie che mia figlia più grande iniziarono a piangere. La sensazione che provai fu terrificante. Quando fui chiamato in aula passai davanti alla mia fa-
miglia e rividi sui loro volti la stessa espressione di prima. Ciò che mi fece più male è stato vedere mia figlia più piccola che, al mio passaggio, allungò le braccia verso di me. Voleva venire in braccio a me, ma io non potevo accoglierla. Fu una pugnalata in pieno petto. Entrai in aula con le lacrime agli occhi e con l’immagine fissa di mia figlia con le braccia tese. In quel momento mi sentii la persona più inutile di questo mondo. Io le sorrisi, ma lei voleva abbracciare il suo papà. Avrei voluto il suo abbraccio, quello di mia moglie e di mia figlia più grande. È stata una sensazione bruttissima, che non auguro nemmeno al mio peggior nemico. Ho capito che non voglio più star lontano né trascurare la mia famiglia, che per me è tutto. Quando uscirò da qui non rifarò mai più ciò che ho fatto in passato, starò vicino alla mia famiglia e andrò a lavorare. Non voglio rivedere mai più quella espressione nei loro volti, non voglio riprovare mai più la terribile sensazione di quel giorno, non voglio tornare mai più in carcere. Continuerò a lavorare con impegno per migliorarmi sempre di più.
Quelle lettere che fanno compagnia «In carcere ho cominciato amicizie epistolari importanti, che mi sono rimaste care» di Michele Molti anni fa, dal carcere, iniziai per la prima volta nella mia vita una corrispondenza epistolare con delle ragazze che nemmeno conoscevo. Successe dopo la delusione dovuta alla separazione con la mia ex moglie. Un giorno un compagno di stanza originario di Milano e sposato con una donna cubana mi disse «Michele, vuoi scrivere ad una ragazza cubana?». Risposi di sì, ma anche che non sapevo scrivere e leggere in spagnolo. «Ti insegno io», mi
disse lui. Ci mettemmo insieme a scrivere la prima lettera. Dopo circa un mese ricevetti la risposta da Cuba. La aprii ma non capii nulla di ciò che c’era scritto. Fu il mio compagno di stanza a tradurmela. Piano piano, con la voglia di apprendere e capire lo spagnolo, imparai a scriverlo e a leggerlo e con il tempo anche a parlarlo. Passavano così i mesi, i nostri scambi epistolari continuavano, aiutandomi a superare il dolore della separazione e della solitudine.
Le note di “La cura” nel mio cuore «Una corsa in bicicletta e questa canzone: emozioni che ritornano ogni volta» di Florian Ritengo opportuno premettere che sviluppare temi importanti e profondi inerenti alla canzone “La cura” di Battiato non è semplice, in nessuna circostanza, tanto meno in carcere. Tuttavia, mi voglio prendere qualche minuto per allontanarmi da questa monotona quotidianità perché è vero che fisicamente sono qui, quanto è vero che la mia mente può andare ovunque. “La cura” è un testo sorprendente, sfiora talmente tanti argomenti, che suscita in chi l’ascolta una grande voglia di dedicarla a qualcuno. Così come sta. Senza nessuna tentazione di aggiungere od omettere nemmeno una
virgola. “Avrò cura di te” credo sia una promessa, anzi è senz’altro una promessa nei confronti di qualcuno davvero caro. La prima volta che ascoltai questa canzone attraversavo un periodo della mia vita difficile. Non credo dimenticherò mai quel momento perché è impresso nella mia memoria e, con orgoglio, me lo porto dietro. Una sera di inizio estate uscii di casa in bicicletta per evadere per qualche ora: iniziai a pedalare in una strada di campagna isolata, fumando una sigaretta e ascoltando musica dalle cuffie. Il lettore mp3 che avevo preso non era mio e sapevo che la musica non
Un giorno un altro detenuto mi propose di rispondere ad un annuncio di una ragazza di Gorizia: aveva lasciato l'indirizzo di un fermo posta. All'epoca non sapevo cosa fosse. L'annuncio recitava «no detenuti, no perditempo», ma io scrissi ugualmente sottolineando nella mia prima lettera: «Sono tutto il contrario di ciò che stai cercando». Dopo circa venti giorni, arrivò la risposta di lei: «La tua lettera mi ha colpito e ti voglio conoscere». Iniziammo così a scriverci ogni settimana. Solamente qualche tempo dopo, mi confessò che lavorava come escort. Restai di stucco. Pensai però che non dovevo giudicare una persona, tanto più una persona che nei miei confronti non aveva mai avuto pregiudizi. Lettera dopo lettera diventammo amici e lei mi rimase vicino scrivendomi settimanalmente. Finchè arrivò il Natale del 2012 e dal carcere mi concessero tre giorni di permesso premio, dal 24 al 26 dicembre.
La mia amica di penna mi scrisse che sarebbe venuta a trovarmi il giorno di Natale, per cena. Arrivò da me senza sapere che sarebbero stati presenti cugini, zii ed amici della mia famiglia. Quando entrò, mi abbracciò, mi diede un bacio e all'orecchio mi sussurrò: «Quanti anni di corrispondenza e adesso ci conosciamo di persona». La presentai come una mia carissima amica di penna, che conoscevo di persona per la prima volta. Dopo la cena chiacchierammo da soli fino all’una di notte, prima che se ne andasse e dopo quell’incontro abbiamo continuato a sentirci per altro tempo. Finché lei decise di interrompere il rapporto: il fatto che fossi detenuto aveva cominciato a farla soffrire. Ancora oggi continuo a tenerla sempre presente nel mio cuore. Le sono grato – a lei e a quanti mi hanno aiutato – perché mi è stata vicina per anni, dandomi la forza per superare la sofferenza del mio divorzio.
mi sarebbe piaciuta, ma non aveva importanza. Decisi che avrei lasciato scorrere in ordine casuale le canzoni scegliendo solo la prima. Quando questa finì, dopo qualche secondo di silenzio partì “La cura”. Ascoltai questa canzone, che è una poesia, in lacrime. Non mi vergogno a dirlo, nonostante io sia molto orgoglioso. Mentre piangevo la mia mente non attribuiva il pezzo alla casualità della riproduzione, ma ad un messaggio della persona a cui apparteneva il lettore mp3, perché il caso - a cui non credo affatto - voleva che la persona in questione fosse al centro delle mie attenzioni in quel momento. Le mie lacrime scorrevano e ogni tentativo di ricacciarle indietro era vano. I sensi di colpa mi rendevano impotente e ogni pensiero veniva amplificato dalla musica e dalle parole contenute nel brano. Non riesco a scrivere nient’altro riguardo a questa canzone perché occupa già un posto
importante nel mio cuore. Mi è difficile, ogni volta che l’ascolto, pensare a qualcosa di diverso da quella sera in bicicletta. È stato un momento doloroso e, per quanto possa sembrare bizzarro, lo rivivrei volentieri. Perché mi è piaciuto, mi è piaciuto quello che ho ricavato da quel momento e, quando ci ripenso, lo faccio con un cenno di nostalgia misto a malinconia. Anche se mi sforzo non posso pensare ad altro, quando si tratta di questo testo. È un vagone già carico, dentro non ci sta più niente altro e nemmeno desidero altro. “Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto” è la frase più bella secondo me.
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LA PANKA TRASLOCA Tanto lavoro, ma nessuno screzio: un'esperienza umana che non dimenticherò di Andrea S. Nonostante l’inverno rigido, ci si doveva mettere nell’ottica che da lì si doveva andare via. Abbiamo iniziato ad impacchettare la maggior parte delle cose all’interno della sede vecchia a dicembre. Il trasloco vero e proprio è iniziato però a marzo, dopo che ci hanno dato le chiavi della nuova sede e che ci hanno attivato la linea telefonica. Abbiamo iniziato questa nuova avventura facendo dei viaggi con il Doblò prestato dalla cooperativa Itaca: tutto quello che usciva dalla sede vecchia, qualsiasi cosa, anche un mouse veniva minuziosamente spolverato e lavato. Immaginatevi dover pulire i molti cimeli e ricordi della storia della Panka accumulati in vent’anni. Non so neanche quante volte ho cambiato La meditazione - dal latino meditatio (riflessione) - è, in generale, una pratica che si utilizza per raggiungere una maggiore padronanza delle attività della mente, in modo che essa smetta il suo usuale chiacchiericcio di sottofondo e divenga assolutamente acquietata, pacifica. Lo stato di meditazione viene raggiunto con la totale concentrazione dell'attenzione nel momento presente (qui e ora). È una pratica quindi volta all'autorealizzazione. Lo scopo religioso, spirituale, filosofico o il miglioramento delle condizioni psicofisiche nella meditazione sono una scelta prettamente personale. La filosofia è una corrente di pensiero più collettiva data dalla conoscenza come osservazione, spesso sociologica-umanistica, che porta l'essere umano a seguire e approfondire la vita con una visione d'amore e il riconoscimento dell'amore in ogni essere e situazione traendone il migliore degli insegnamenti possibili. La meditazione, invece, è una riflessione più individualistica di se stessi e della propria interiorità e della propria mente-pensiero. Chi medita impara a staccarsi dall'esterno come fosse all'in-
l’acqua dai secchi che usavamo per pulire, decine e decine credo. Nel frattempo i viaggi continuavano con costanza, ma più di tanta roba nel Doblò non ci stava, quindi per le cose più ingombranti ci ha aiutato la cooperativa Noncello, mettendoci a disposizione un camion che ha fatto un paio di viaggi, facendo tappa anche in discarica perché c’erano tante cose da smaltire; e come per le cose piccole, anche i mobili sono stati puliti da cima a fondo prima di essere spostati. Intanto la sede nuova si stava ingolfando tra pacchi, libri, scrivanie, sedie, lavatrice: un macello! Abbiamo iniziato a sistemare una stanza alla volta e ad andare a fare dei piccoli acquisti di quanto serve in un nuovo stabile. Abbiamo dovuto acquistare, tra
le altre, anche la cucina che consiste in un mobile lavello e altri tre mobili, ma siamo inciampati in un inconveniente, che è stato una vera e propria barzelletta: per ben tre volte ci hanno portato il mobile lavello sbagliato! Pazienza, sbagliare è umano. Una volta sistemata la situazione del lavello, ci siamo rimboccati le maniche e ci siamo dati da fare tutti quanti, in armonia. Di traslochi nella mia vita ne ho fatti tanti, ma questo me lo ricorderò per bene e ora vi spiego perché: prima di tutto ho visto e sentito un grande rispetto tra di noi, nessuno voleva comandare, ognuno con serenità si è preso il suo angolo di stanza e, umilmente, si è rimboccato le maniche. Assieme abbiamo creato un bel gruppo di lavoro e lavo-
Meditare, un atto di benessere verso se stessi Restare nel momento presente e spegnere il chiacchiericcio della mente per conoscersi nel profondo di Antonio Zani terno di una "bolla", solo con se stesso e in confronto con i propri pensieri e le proprie emozioni, in discussione interiore ed in lavoro sulle proprie credenze e convinzioni, che spesso sono limitanti, e sui propri blocchi emotivi. Significa staccarsi dal comune pensiero di "giusto" e "sbagliato" e da un atteggiamento di giudizio spesso accusatorio: quando si medita si è in riflessione, in cerca di verità. Cos'è dunque vero? Tutto ciò in cui
si crede. Meditando si impara a co-creare la realtà che ci appartiene e ci circonda, a gestire e controllare la propria mente da reazioni spesso spinte dalle emozioni positive o negative e a domare gli istinti. Va sempre sottolineato che la mente crea e la mente distrugge. Noi prima di tutto siamo mente, tanto è vera la nota citazione "mens sana in corpore sano". Praticata per primo dalle culture orientali e contemplata dalle filosofie
rando così, almeno per quanto mi riguarda, ho sentito la fatica a metà. La nuova sede è bella, accogliente e calda, tutto è stato rimesso al suo posto nei minimi particolari, tutto in ordine; la sede ha due piani, di stanze e stanzoni ce ne sono parecchi e ci siamo divertiti e sbizzarriti a mettere tutto un po’ di qua e di là, sempre con un senso logico. Io sono soddisfatto di come abbiamo sistemato, abbiamo fatto scacco matto. Non mi resta che ringraziare tutti per le belle giornate che abbiamo passato insieme nonostante la fatica. Dimenticavo, abbiamo anche l’ascensore, che bella invenzione! Peccato solamente che nei giorni del trasloco non andava… Non importa, io guardo il risultato finale. Bello, figo! antiche come il buddismo, induismo, taoismo, nonché dai nativi americani, la meditazione diviene un atto di benessere per se stessi: conoscersi per conoscere e nel silenzio ascoltare se stessi prima di ascoltare il mondo esterno, tutelarsi da influenze e spesso imposizioni esterne. È un modo per restare fedeli a se stessi il più possibile. È importante sottolineare che, nel momento in cui sta meditando, l'individuo vive ed è nel "qui ed ora", concentrato nell'oggi, staccato dal passato vissuto e dai suoi retaggi e lontano da pensieri proiettati nel futuro. È fermo nell'unica verità possibile dell'ora-oggi-adesso e consapevole che è da questo stato che è possibile realizzare le basi del domani. Credo che l'associazione filosofia-meditazione sia l'unione dell'atto del chiedere e domandare per la prima e del chiedersi e domandarsi per la seconda e che possa dare risposta e mettere in equilibrio il "visivo" esterno con il "sentito" interiore, la pratica del vivere la vita unita all'emozione del vivere la vita, con consapevolezza di ciò e di come siamo e in co-relazione con chi e dove viviamo.
L'APPROFONDIMENTO ————————————————————————
Camminando sulle antiche vie della fede di Renato Rossetti Credenti e non, cristiani o di altre fedi, chiunque provi questa esperienza, almeno una volta nella vita, racconta di un sentire universale: ovvero del bisogno di mettersi in cammino alla scoperta di “Dio”, di “sé” oppure semplicemente della natura attorno “sé”. È lo spirito del “pellegrino”, della persona che vive la vita come una continua scoperta e che per farlo “si mette in viaggio” a piedi. Il pellegrinaggio è un itinerario lungo il quale compiere questo viaggio seguendo le vie che fin dall'antichità conducevano i pellegrini ai luoghi sacri della Cristianità: Gerusalemme, da cui tutto iniziò, Roma e Santiago di Compostela sono le più importanti. Accanto a questi tre luoghi di devozione, ma soprattutto lungo le strade che vi portavano, nacquero tantissimi santuari e luoghi di culto dedicati a martiri della fede e a Santi. Oggi in molti stanno riscoprendo queste vie, lontano dalla frenesia del quotidiano: qualunque sia la motivazione che li spinge, ciò che si portano a casa è un “arricchimento”. Camminando s’impara la lentezza, si trova il tempo per riflettere. La ragione nonché il significato e l’obiettivo del pellegrinaggio è quello di essere mossi da qualche cosa di “Altro” e non primariamente da una sfida di carattere sportivo. In questo modo il pellegrinaggio può rappresentare un programma alternativo, un ritorno a concentrarsi su quanto è essenziale. Etimologicamente il termine deriva dal latino peregrinare (ire per agros), andare di villaggio in villaggio attraverso i campi e non lungo strade in genere dotate di strutture per il vitto e l’alloggio. Questo modo di muoversi con qualsiasi condizione meteorologica e senza un pasto e un tetto sicuro evoca l’idea del disagio: nell'antichità portava alla purificazione dai peccati. Sebbene i pellegrinaggi esistano da epoche remote, pre cristiane, fu nel Medioevo che nacquero le peregrinationes majores della Cristianità - Gerusalemme, Roma e Santiago de Compostela – la cui peculiarità era l’antichità del rito e l'opportunità di avere il contatto diretto con le reliquie dei Santi. Fondamentale inoltre era la distanza e quindi il tempo che i pii viatores avrebbe-
ro impiegato per raggiungere quel luogo. I luoghi del pellegrinaggio minore invece hanno avuto uno sviluppo più recente, dovuto al graduale disuso dei più antichi. Essi si trovavano generalmente in ambito regionale, perché l’influenza del pensiero illuminista sconsigliava - e alcune volte impediva - alla devozione sette-ottocentesca la lunga percorrenza. Oggi, con ritrovato fervore spirituale, tantissime persone raggiungono Santiago de Compostela ripercorrendo antiche vie, ricevendo ospitalità negli ospizi e nelle chiese lungo il percorso che nel 1987 il Consiglio d’Europa ha proclamato «Primo Itinerario Culturale d’Europa» e, nell'anno 1993, l'Unesco ha dichiarato «Patrimonio Culturale dell'Umanità». Dopo secoli di abbandono dovuto a guerre di religione, di brigantaggio, di epidemie e di conflitti fra gli Stati nazionali dell’Europa, oggi possiamo parlare di un «fenomeno Santiago». Questo rinascere del pellegrinaggio a piedi fa sì che siano germogliate in tutta Europa ed in Italia confraternite ed associazioni che hanno riscoperto e tracciato le antiche vie che fino a pochi decenni fa erano state quasi dimenticate. Ne abbiamo esempio in Italia, dove, oltre alla Via Francigena, sono sorte la Via Micaelica, i cammini di San Benedetto, di Sant’Agostino, di Francesco, di Santu Jacu in Sardegna, di San Giacomo in Alto Adige o Jakobsweg, il cammino della Luce, da Aquileia a Roma. Anche il Friuli nell'ultimo decennio ha visto il rinascere del pellegrinaggio. Quattro sono i percorsi, oggetto del nostro approfondimento: il Cammino Celeste, che unisce Aquileia, sede dell’antico patriarcato, al Monte Lussari, sulla cui cima è stato edificato un Santuario mariano; il cammino del Tagliamento, che segue il fiume Tagliamento, collega i passi alpini tra Italia e Austria con i porti dell’Alto Adriatico come Venezia e Grado; il Cammino delle Pievi è un percorso a piedi in Carnia, in Friuli Venezia Giulia, e tocca le Pievi storiche, luoghi di silenzio e riflessione spirituale. Nella diocesi di ConcordiaPordenone troviamo infine il «Cammino della Concordia», un percorso attorno alla diocesi di duecento chilometri.
Il cammino del Tagliamento, dall'Europa guardando a Gerusalemme A S. Tomaso di Majano l'ultimo hospitale medioevale salvato dall'oblio del tempo di Milena Bidinost
È una tra le più importanti e antiche vie europee di pellegrinaggio e segue il corso del fiume Tagliamento, da cui prende il nome, in direzione del mare. È il tratto friulano dell'antica Via d'Allemagna, lungo circa 170 chilometri. Nel percorrerlo si incontra il complesso storico-architettonico
dell’Hospitale di San Tomaso di Majano, l'ultimo e il più antico esemplare documentato di ospedale laico di un centinaio di ospedali che in passato sorgevano in Friuli. Fondato dai Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme nel 1199, il complesso si trova nel centro del paesino di
S. Tommaso ed è di proprietà del Comune di Majano che iniziò il suo recupero nel 2006, grazie ad un primo contributo regionale. Il restauro sta procedendo tutt'ora a piccoli lotti. Dopo il terremoto del 1976 il vecchio hospitale era stato abbandonato per trent’anni, fino a diventare un rudere fatiscente. Il recupero dell'antico complesso è stato seguito dall’ ing. Marino Del Piccolo, 53 anni di Udine. Insieme al complesso è stato riscoperto anche il Cammino del Tagliamento. Da allora il professionista si è avvicinato, fino ad innamorarsene, al mondo dei pellegrinaggi ed alla storia delle civiltà che attorno ad essi ruota. La rinascita dei cammini e dell’Hospitale ha coinvolto un gruppo
“Celeste” come il cielo della montagna e del mare Dal Monte Lussari ad Aquileia alla scoperta dei principali santuari mariani «Il suo nome richiama il colore del cielo: è infatti un cammino che collega il “celeste” del mare con quello della montagna, un voluto richiamo alla Madonna, dato che nel percorrerlo si toccano i principali santuari mariani del territorio». Giuseppe Poiana, presidente dell'associazione “Iter Aquileiense”, parte da questa fotografia per raccontare la storia – recente – di un cammino che è stato ufficializzato come itinerario di pellegrinaggio internazionale nell'estate del 2006, sotto forma di tre percorsi che fanno convergere pellegrini originari di tre paesi diversi: Austria, Slovenia e Italia. È il Cammino Celeste, detto anche Cammino Aquileiese, in latino Iter Aquileiense, ed è un percorso di pellegrinaggio che colle-
ga i santuari di Maria Saal in Austria e di Brezje in Slovenia ad Aquileia, in Friuli, da dove un tempo i pellegrini potevano proseguire verso Roma. La parte italiana del cammino, gestita dall'associazione “Iter Aquileienese”, va dal Monte Lussari, nel Tarvisiano, fino ad Aquileia passando per la Valbruna, Dogna, Castelmonte a Cividale del Friuli e Aiello. Da Aquileia si può poi proseguire fino al santuario dell'isola di Barbana, a Grado (Gorizia). A tracciare il percorso, battendolo per primi a piedi e facendolo convergere in una guida ufficiale per il pellegrino - “Il Cammino Celeste. A piedi da Aquileia al Monte Lussari” edizione Ediciclo - è stato un gruppo di volontari, riuniti dal 2007 nell'associazione “Iter Aquileiense”
(www.camminoceleste.eu). I soci fondatori sono sette, tra cui lo stesso Poiana, 72 anni, pensionato. «Nel 2006 avevo il desiderio di andare a San-
crescente di volontari costituitisi poi nell'associazione “Amici dell'Hospitale”. Del Piccolo è anche l'autore della guida “Il Cammino del Tagliamento sull'antica via d'Allemagna”, editore Gaspari, nel quale si trovano anche mappe ed informazioni utili. Altrettante indicazioni, con anche gli eventi culturali promossi nel e sull'hospitale di S. Tomaso si trovano nel sito dell'associazione (www.hospitalesangiovanni. wordpress.com), di cui è presidente Maria Teresa Garzitto. «La storia del Cammino del Tagliamento - spiega Del Piccolo - è antichissima e si interseca con quella dell'Europa e del Medio Oriente: punta verso Gerusalemme, dove si concentrano ancora le speranze dell'Umanità. Percorrerlo significa riscoprire la storia delle civiltà antiche. Non solo. Pellegrinare - aggiunge - è
tiago, per il mio primo pellegrinaggio - dice -. Poi invece sono stato invitato a partecipare ad una prima uscita alla scoperta di questa nuova via in Friuli: accettai e scoprii un mondo nuovo. Da quarantaquattro anni sono iscritto al Cai e fino ad allora praticavo trekking in montagna: ma sono due modi diversi di camminare, il pellegrinaggio è un viaggio interiore che ti cambia». Il Cammino celeste è praticabile per tutto il suo percorso da giugno a settembre. Negli altri mesi, è invece impedito per oltre metà per-
come vedere il film della vita alla velocità giusta, notando particolari che di solito sfuggono. Significa seguire il ritmo del corpo e della natura, non sentirsi stranieri in essa e riscoprire l'accoglienza. Alle nostre uscite partecipano credenti, anche di altre religioni, e non credenti: è una diversità che arricchisce, l’incontro evidenzia i sogni comuni e le vere particolarità rafforzando le identità». La gratuità del servizio e dell'accoglienza è il filo conduttore di questa esperienza e ricorda quella degli antichi ospedali medioevali. «I Cavalieri di S. Giovanni racconta Del Piccolo - in origine erano infermieri dell'ospedale di Gerusalemme, che ospitava poveri appartenenti ad ogni credo. In seguito divennero militari, ma senza perdere l’antica vocazione ospedaliera». Oggi il complesso medioevale di S. Tomaso di Majano, l'ultimo testimone di quella rete di ospedali, è diventato luogo di convegni e ricerche sulla storia del Cammino e dei pellegrinaggi. Aperto al pubblico, è gestito dagli Amici dell'Hospitale. La sua ristrutturazione non è ancora terminata ed è legata alle disponibilità finanziarie. L'obiettivo è di renderlo un luogo che accoglie e rimette in cammino persone, comunità e civiltà. corso dalla neve. Si tratta di dieci giorni di cammino, per un totale di 200 chilometri e di 11 mila metri di dislivello dal punto più basso (Barbeano) a quello più alto (Lussari), con possibilità di pernottamento anche in strutture povere, come ad esempio la casa del Pellegrino a Castelmonte. «In montagna è impegnativo dice Poiana - ma non ci sono punti pericolosi. Il consiglio è di studiare i percorsi nella guida, allenarsi per tempo e caricare il proprio zaino, come per tutti i pellegrinaggi, solamente delle cose essenziali». Proprio l'essenzialità è una delle caratteristiche del pellegrino. «Insegna a fare selezione - dice Poiana - a farsi bastare ciò che conta, non solo rispetto alle cose materiali di tutti i giorni, ma anche dentro noi stessi. A casa si lasciano i punti certi: camminando è il tuo passo che detta il tempo e non viceversa. Si impara così ad ascoltare e ad adattarsi al proprio corpo, a mangiare e dormire in base a dove ci si trova. Si può camminare da soli, o in gruppo - prosegue - e questo sviluppa l'accettazione dell'altro e un'apertura mentale di accoglienza che poi ci si porta a casa». (m.b.)
A piedi alla scoperta della Carnia Il Cammino delle Pievi tocca storici luoghi di silenzio e riflessione spirituale ed è adatto anche alle famiglie di Milena Bidinost Il Cammino delle Pievi è un percorso a piedi attraverso la Carnia, un territorio a forte individualità geografica e storica, e tocca le Pievi storiche, luoghi di silenzio e riflessione spirituale. Fino a sette anni fa non esisteva: l'idea di tracciarlo è nata da alcune persone di Udine che avevano vissuto il Camino di Santiago e che proposero a don Giordano Cracina, parroco di Imponzo (Tolmezzo) e di Zuglio, di creare un percorso anche in Carnia. A don Cracina fa capo anche la Pieve di S. Pietro, chiesa matrice di tutte le chiese della Carnia. Da quella iniziativa nacque un Comitato per la promozione del Cammino, di cui lo stesso sacerdote è presidente. Il Comitato si appoggia alla Confraternita dello Spirito Santo. Ad aiutare il Comitato a tracciare il percorso è stato Bruno Mongiat, pensionato, membro del Cai di Tolmezzo, uno dei quattro della Carnia. «Camminare in montagna – racconta – è sempre stata la mia passione. Il Comitato aveva già abbozzato il percorso e chiese al Cai di aiutarlo e perciò sono intervenuto io. Per un anno ho girato la Carnia per individuare i percorsi, alla ricerca di sentieri che ho recuperato anche grazie alla gente del posto e agli amici delle altre sezioni Cai. Il Cammino è stato tracciato e segnato con tabelle bianche e gialle: nella parte bassa utilizza mulattiere e piste forestali, in quella alta, montagnosa, i sentieri dello stesso Cai». Il Cammino delle Pievi si snoda lungo 18-20 tappe, per 216 chilometri totali e 10 mila metri di dislivello ed è adatto anche alle famiglie. All'Abbazia di Moggio si collega con il Cammino Celeste e al Rifugio Tenente Fabbro (Belluno), verso Sappada, con il Cammino delle Dolomiti. Tocca dieci Pievi e due santuari, oltre alle chiese di interesse particolare. In ciascuna Pieve si possono trovare libri e registri nei quali i pellegrini possono immortalare pensieri e impressioni del loro viaggio: sono aperte sabato e domenica nei mesi estivi. In Carnia le Pievi nacquero e fiorirono tra il V e il XIV secolo, finché l’incremento demografico
non portò alla nascita delle parrocchie e al progressivo decadere della loro funzione. Oggi documentano memorie di storia e archeologia e conservano meravigliose opere d’arte: tutte testimonianze della vitalità religiosa degli abitanti delle montagne. Il Cammino delle Pievi è un percorso a piedi che ogni anno viene inaugurato il primo sabato di giugno: il Comitato organizza poi pellegrinaggi di gruppo, una tappa alla volta, ogni sabato del mese fino alla seconda domenica di ottobre, quando si raggiunge l'ulti-
ma. L'anno scorso il percorso è stato studiato anche per le biciclette: ad inaugurarlo è stato il Gruppo Carnia Bike. Per quanto riguarda l'accoglienza, invece, i gruppi si appoggiano a canoniche o ad ex scuole dismesse, i singoli devono affidarsi alle strutture ricettive del territorio. Per questo un buon punto di riferimento è il sito www.turismofvg.it. Tutte le informazioni utili per chi sta pensando di avventurarsi alla scoperta di questo Cammino si trovano invece nel sito www.camminodellepievi.it. (m.b.)
Il pellegrinaggio diocesano, nel Pordenonese Il “Cammino della Concordia” è l'ultimo nato dei quattro cammini friulani ed è stato voluto dall'Ufficio per la pastorale dei pellegrinaggi e degli itinerari culturali-religiosi della Diocesi di Concordia-Pordenone. Collega Concordia Sagittaria, in provincia di Venezia, sede della cattedrale diocesana, a Pordenone, sede della Curia vescovile. Su di esso è disponile una dettagliata guida per il pellegrino, scaricabile online dal sito della diocesi (www.pellegrinaggipn. org). L’itinerario proposto si presenta come un percorso lungo 115 chilometri suddivisi in otto tappe che possono essere vissute anche
singolarmente. La volontà è di far conoscere la vita dei Testimoni originari della Diocesi di Concordia Pordenone. A ciò si lega l’intento di valorizzare i beni artistici, architettonici ed ambientali del luogo, spesso poco conosciuti anche da coloro che abitano il territorio. Le singole tappe offrono la possibilità di visitare questi luoghi con ogni mezzo: lo spostamento può avvenire in auto, in bicicletta a piedi. All'Ufficio pastorale dei pellegrinaggi, presso il Centro Diocesano pastorale di Pordenone, è possibile richiedere anche il rilascio della Credenziale, il documento di viaggio che solitamente accompagna il pellegrino.
L'hospitalero, il pellegrino che si fa accoglienza dell'altro È il volontario che lavora nelle alberghe, strutture povere dove dormire e mangiare lungo il Cammino di Antonio Zani Renato Rossetti è un professore laico di religione che insegna negli istituti superiori della provincia. Ha da poco passato la cinquantina, sposato, ha due figlie ed è già nonno; uomo di fede, è membro della Confraternita San Jacopo di Compostela che ha sede a Perugia per la quale, durante le ferie estive, fa l’hospitalero in una località toscana lungo la Via Francigena. È questa una figura di volontario che per brevi periodi vive e lavora nelle alberghe della Confraternita, strutture povere che si trovano lungo il Cammino e dove viene offerto vitto e alloggio ai pellegrini di passaggio: «L’essenziale – spiega Rossetti - ovvero da mangiare, una doccia ed un umile giaciglio dove riposare». Il tutto, nello spirito del pellegrinaggio, in cambio di un’offerta libera che i volontari utilizzano per
mantenere l’alberga e comperare il cibo per i pellegrini che vi giungeranno il giorno successivo. I primi hospitaleros furono i monaci benedettini che diffusero la tradizione della lavanda dei piedi dei pellegrini come gesto di accoglienza, pratica che la Confraternita San Jacopo di Compostela mantiene viva tutt'oggi. Il Medioevo fu l'epoca d'oro di questo tipo di accoglienza, che è poi ricomparsa
a partire dagli anni Sessanta del Novecento. Per diventare hospitalero è necessario avere fatto prima il Cammino, così da comprendere l’esigenza del pellegrino e le sue necessità. In generale le alberghe od hospitali possono essere di tre tipi: parrocchiali, comunali e private. Quelle che rispecchiano veramente il senso antico del pellegrinaggio sono le prime, come nel caso di quelle gestite dalla Confraternita, dove si accede esibendo la Credenziale del pellegrino e dove tutto è gratuito e l’esperienza più fraterna e profonda. «La giornata tipo di un hospitalero – racconta Rossetti – inizia nel pomeriggio con l'accoglienza dei pellegrini fino all’esaurimento dei posti disponibili: li fa accomodare offrendo loro una doccia ed un meritato riposo. C'è poi la celebrazione della messa con la lavanda dei piedi, alla quale segue una cena frugale. Alle 22 infine tutti a letto e l’hospitale chiude». Al mattino la sveglia è alle sei: dopo una colazione abbondante e la benedizione dei pellegrini,
La Credenziale del pellegrino Lo distingue dagli altri viaggiatori e attesta le ragioni del suo andare di Milena Bidinost Già nell’antichità, chi partiva per un viaggio della fede portava con sé una lettera del proprio parroco, del vescovo o del rettore della propria confraternita – scritta in latino – per dimostrare che era in viaggio per motivi religiosi e poter chiedere asilo presso conventi, hospitales o altre strutture di accoglienza e di cura gestite da religiosi o pii laici. Oggi il documento di viaggio che accompagna il pellegrino è la Credenziale. È uno stampato rilasciato da un'autorità religiosa, come ad esempio la Confraternita di San Jacopo di Composte-
la, che si assume la responsabilità di ciò che in esso si afferma: pertanto ne deve essere fatto un uso responsabile e corretto. La Credenziale distingue il vero pellegrino da ogni altro viaggiatore ed è necessaria per poter usufruire delle ospitalità “povere”, riser-
vate ai pellegrini, poste lungo la Via. In ogni luogo dove viene ospitato, il pellegrino riceverà un timbro da apporre nella sua Credenziale, fino al completamento del Cammino. In Italia la Confraternita di San Jacopo di Compostela ha realizzato una propria Credenziale: viene rilasciata direttamente dalla Confraternita a coloro che la richiedono e che si impegnano
alle sette gli ospiti riprendono il cammino e l’hospitalero prepara l’occorrente per i nuovi pellegrini che arriveranno nel pomeriggio. Appassionato di parapendio, Rossetti a questo mondo si è affacciato nel 2004, per poi vernine rapito spiritualmente. Su suggerimento di un compagno di parapendio decise di fare il Cammino di Santiago per dimagrire, evitando così il dietologo. Partì con la moglie senza sapere nulla di ciò a cui andava incontro: fece metà percorso e l’anno successivo ultimò il viaggio. Da allora non ha più smesso di camminare lungo le antiche vie della fede. «È un’esperienza umana e religiosa che ti scava dentro - dice - un pellegrinaggio religioso che, ora come un tempo, si fa per chiedere una grazia o per ringraziare per averne ricevuta una. Il Cammino è la condizione per farsi parlare da Dio, durante un pellegrinaggio trovi un silenzio tremendo che ti parla». Hospitalero lo è poi diventato per «dare al Cammino ciò che il Cammino ha dato a me». In questi luoghi di accoglienza nascono relazioni umane di profondo scambio e reciproca crescita: i pellegrini confidano le proprie emozioni agli hospitaleros e questi ultimi danno loro in cambio il racconto intimo delle proprie esperienze di pellegrinaggio. «Fare l'esperienza del pellegrino – conclude Rossetti - è sempre un incontro con sé, ma anche con l’altro e nell'altro ognuno vede se stesso». ad accettarne il senso e lo spirito: la si può richiedere on line o ai referenti locali (priori). È predisposta per raggiungere qualsiasi meta sacra e pertanto può essere utilizzata, come di fatto avviene, per coloro che si dirigono oltre che a Santiago de Compostela anche a Roma, Gerusalemme, Monte Sant'Angelo, Loreto. Ci sono anche altre associazioni che la rilasciano, come ad esempio l'Associazione europea delle Vie Francigene. C'è inoltre la Credenziale de “La Via di Francesco”, il cammino verso Assisi, approvata dalla Conferenza Episcopale Umbra e dalle principali Famiglie francescane. La Credenziale è sempre gratuita, ma per rendere possibile questo servizio è ben accetta qualsiasi offerta. Va chiesta prima della partenza: se ricevuta di persona dà l'occasione per incontrare persone con cui confrontarsi sul modo migliore di intraprendere un pellegrinaggio.
INVIATI NEL MONDO
In Istria a piedi, il sapore dell'avventura Da Muggia a Zadid, in una terra spopolata e affascinante. Perdendo la via per ritrovarla in tempo per il calare del sole di Elisa Cozzarini Infilare calzettoni e scarpe da trekking sotto il sole di luglio è il primo atto di coraggio. Poi bisogna partire, appoggiare i piedi sull'asfalto fumante, infilare lo zaino che taglia le spalle e pesa come se fosse pieno di pietre. Comincia la salita. Partiamo da Muggia, per questo viaggio avventuroso verso l'estrema punta dell'Istria, sudando e sognando le scogliere mozzafiato di Premantura. A piedi tutto sembra più vasto, a tratti dimentichi la fatica, osservando il paesaggio che cambia passo dopo passo. Ascolti il vento, il rumore delle fontane di paese, il silenzio dei borghi abbandonati, respiri il profumo della macchia mediterranea. Cerchi punti di riferimento sulla mappa, per non perderti, e non sempre li trovi. In questa terra abbandonata,
spopolata, affascinante, ogni essere umano che incontri è un evento. Tutto è un'avventura, se lasci a casa l'auto. Entriamo in Slovenia. La salita è appena iniziata e ci sentiamo già sfinite come gli edifici abbandonati della vecchia dogana, con qualche materasso
e finestre rotte dei tempi della ex Jugoslavia. Poi, qualche centinaio di metri più su, lo sguardo si allarga rigenerante sul Golfo di Trieste. Dove la pendenza si fa più dolce, tra nuove villette a schiera, troviamo il passaggio verso il sentiero che attraversa tutta la Slovenia, da Ankarano sul mare a Maribor. Siamo nel verde, appoggiamo i piedi sulla terra. Tra salite e discese, sentieri nel bosco, strade, il cavalcavia dell'autostrada, chiesette e vecchie stazioni, per ore non incontriamo nessuno. Il percorso non coincide con la mappa. Sembra che giriamo attorno. Inizia a salire il panico: è vero che le giornate sono lunghe, ma le ore di sole basteranno a raggiungere Zazid, dove c'è l'unico ostello della zona e una stanza che ci aspetta? Un'insegna, "Gostilna", trattoria, compare all'improvviso come un miraggio dietro una curva. È chiusa, ma si sentono voci. C'è vita, oltre Muggia. Brutte notizie, siamo fuori strada. L'unica soluzione è alzare il pollice e sperare: primo, che passi qualcuno, secondo, che ci dia un passaggio. Succede. Una
coppia di sloveni ci accompagna a Hrastovlje, nel cuore dell'Istria. È un luogo turistico, indicato nelle guide per l'incantevole chiesetta medievale e gli affreschi con la danza macabra. Eppure anche qui è tutto chiuso. Guardiamo il sole calare sulle mura medievali attorno all'edificio. Servivano per difendersi dai turchi. Bisogna fare in fretta, pensiamo. Sul portone c'è un numero di telefono da chiamare per visitare la chiesa. Proviamo e subito dopo un ragazzo arriva in motorino, senza casco, con i capelli al vento. È lui che custodisce le chiavi e, disinvolto nella sua maglietta da metallaro, illustra tranquillo gli affreschi medievali. «Vedete la danza macabra? Significa che, nella morte, siamo
tutti uguali.» Vorrei saper leggere ogni dettaglio di quelle immagini preziose. Cerco di fotografarle con gli occhi, per riguardarle più tardi, quando saremo comode sotto un tetto. L'ostello è proprio dietro quelle rupi. Dovete scendere e risalire, dice il ragazzo. Lì passa la ferrovia, ma trasporta solo merci. E provare in autostop? Impossibile. A piedi si fa prima, non potete sbagliarvi. Un uomo è in giardino, nell'ultima casa del paese. La porta è aperta. Lui ci guarda divertito. Possiamo riempire le bottigliette d'acqua? Parla solo sloveno, ma ha capito. Quando vai a piedi, le persone ti capiscono. Ride e ci fa entrare. Sembra dire che ce la possiamo fare. La strada diventa bianca. Curva sul piano, rimane in quota. Prosegue parallela ai binari dal sapore austroungarico, un po' più in alto. Stiamo allungando troppo, penso, non possiamo perdere tempo. Tento un azzardo. Tagliamo verso dove indicava il ragazzo con il dito. Poi, aveva detto, quando vedrete la torre, lì girate verso il paese abbandonato. Ho una fiducia cieca nelle sue parole. I rovi tagliano la pelle, si infilano nei vestiti. Attraversiamo i binari in un punto a caso e continuiamo in linea retta, verso su. Un vecchio edificio spunta tra gli alberi. Troviamo il sentiero. Acceleriamo prima che si spenga la luce. Al crepuscolo, finalmente, compare la mulattiera. Rallentiamo. Respiriamo. La chiesa di Hrastovlje brilla giù nella valle. Con il pensiero, ringraziamo il provvidenziale custode metallaro. Spunta la luna piena, la strada si illumina. Passiamo accanto alle case abbandonate. Ritroviamo il bosco. Vicino, sentiamo passare un treno merci. Tutta la stanchezza della giornata passata a camminare sta per crollarci addosso. Ma resistiamo ancora pochi passi, fino all'ostello sperduto a Zazid. Dove avete la macchina?, chiedono. Non abbiamo la macchina.
PANKAKULTURA
Voci dell'Inchiesta, festival del cinema reale Da dieci anni Cinemazero approfondisce l'attualità con il meglio dei documentari internazionali per dare un diverso sguardo sul mondo di Irene Vendrame “Le Voci dell’Inchiesta” è il festival pordenonese dedicato al giornalismo d’inchiesta in ambito cinematografico organizzato da Cinemazero. Quest’anno, dal 5 al 9 aprile, si è tenuta la decimaª edizione, dedicata a Joe Marrazzo, giornalista noto per essere stato autore di numerose inchieste su temi sociali, in particolare sulla mafia e sulla camorra. La rassegna ha portato in città incontri, autori e venti anteprime internazionali, su svariati temi di attualità: dall’uso dei social network alla guerra in Siria, dall’immigrazione all’economia cognitiva. Il festival è nato undici anni fa da un’idea di Marco Rossitti, membro del Comitato scientifico di Cinemazero, che vi fosse la necessità di riscoprire il grande patrimonio di inchiesta italiana degli anni Sessanta e Settanta ed al contempo di dare
uno spazio alle produzioni nuove e di qualità, sia letterarie che televisive, affrontando ogni anno una tematica ben precisa. Con il tempo il festival ha preso una direzione diver-
“La corsa de L’Ora” A “Le voci dell'Inchiesta”, anche il film documentario sul quotidiano palermitano che per primo parlò di mafia di Ubaldo “La corsa de L’Ora” è il film documentario, al centro di uno degli incontri de “Le voci dell'Inchiesta” di quest'anno, che documenta le complicate vicende dello storico quotidiano innovatore di Palermo, L’Ora, tra il 1954 e il 1975, sotto la direzione del giornalista siciliano Vittorio Nisticò. L’arrivo di Nisticò, giunto da una breve parentesi alla redazione romana di “Paese Sera”,
segnò una svolta importante nell’evoluzione del giornale palermitano, che si rinnovò facendo così aumentare la sua tiratura. Erano gli anni in cui non si osava pronunciare la parola “mafia” e L'Ora era il quotidiano di una città dove neanche la magistratura osava condannarla. Il quotidiano del pomeriggio iniziò invece - con i suoi titoli grandissimi la sfida alla mafia, riuscendo
sa, abbandonando in parte la vocazione retrospettiva, e concentrandosi soprattutto sul cinema vero e proprio, grazie anche alla grande crescita della produzione documentaristica di qualità proveniente da tutte le parti del mondo, senza focalizzarsi su un unico soggetto, ma affrontando questioni di interesse comune tra loro anche molto diverse. Nell’era delle informazioni in tempo reale, dove le notizie seguono la logica del secondo e soprattutto della quantità a scapito di bontà e veridicità, “Le Voci dell’Inchiesta” si propone di portare sotto gli occhi del pubblico, materiale nuovo e soprattutto di spessore. La sua forza sta proprio in questo, selezionare il meglio del documentario internazionale sia dal punto di vista tecnico, che del contenuto, in modo da
poter valorizzare il più possibile cinematograficamente un genere giornalistico, qual è l’inchiesta, mai così importante come in questo momento storico. I documentari proposti sono difficilmente visibili in altre parti d’Italia. Un problema in questo ambito è appunto la distribuzione inadeguata sul territorio italiano: ecco che la Fondazione Cinemazero amplia il suo operato al di fuori delle giornate festivaliere, grazie alla casa di distribuzione Tucker Film (creata da Cinemazero e C.E.C. di Udine nel 2008), e al di fuori dei confini regionali, con svariate iniziative nelle città di Roma e Milano. «È un festival pop – dice Riccardo Costantini, coordinatore di Cinemazero - il festival del cinema del reale, che può cambiare il mondo. Parla di attualità attraverso autori e titoli spesso sconosciuti, ma che una volta scoperti, oltre ad essere di alto livello, si rivelano capaci di cambiare il nostro modo di vedere le cose, il nostro agire, insomma possono cambiare la società. Questa è la nostra speranza». Al momento è ancora presto per sapere che sorprese ci riserverà la prossima edizione di “Le Voci dell'Inchiesta” 2018. «Il nostro lavoro è strettamente legato all’attualità - dice Costantini - e la scelta delle opere si basa anche sull’urgenza di affrontare determinate tematiche al momento del festival. Di sicuro parleremo ancora di profughi, di Siria e di Medioriente».
ad accrescere la simpatia dei lettori, che divennero sempre più numerosi. L’Ora, infatti, fu il primo giornale a pubblicare una serie di dettagliati articoli di inchiesta sul fenomeno mafioso in Sicilia, che mostravano legami sempre più evidenti tra il potere politico locale e la malavita organizzata, stimolando il nascere di una cultura antimafiosa a livello nazionale. Allo storico direttore si deve inoltre l’uso della fotografia ad effetto sui quotidiani. Nisticò stimolò la redazione, che cominciò a documentare abusi e misfatti della pubblica amministrazione e le imprese sempre più cruenti dei malavitosi, non tralasciando gli avvenimenti internazionali. La sua fama, inoltre, fu dovuta anche al via vai di artisti, intellettuali e scrittori del calibro di Leonardo Sciascia, e di giovani giornalisti tra i quali Francesco La Licata e Marcello Sorgi, attuale conduttore
del programma “L’Agorà” su Rai3, intervenuto alla proiezione arricchendo di aneddoti la figura dello storico direttore. A L’Ora lavorarono anche giornalisti che pagarono con la vita la loro incessante attività contro la mafia: Giovanni Spampinato e Mauro De Mauro, quest’ultimo scomparso misteriosamente mentre stava lavorando ad un’indagine sul caso Mattei. Importante, durante l'incontro della rassegna, è stato l’intervento del moderatore Cristiano Degano, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Friuli Venezia Giulia: ha ricordato la sofferta fatica di fare un giornale “libero” che ha prodotto giornalisti per tutte le testate italiane. L’aver lavorato nella redazione de L’Ora è un segno distintivo di qualità e professionalità. Quel giornale non c’è più, ma in Italia rimangono i segni che in quella bottega della notizia sbocciarono.
Alla Fondazione Ado Furlan le immagini primigenie che attraversano i millenni È il tema della mostra “Archetipi, simbologie, trasformazioni” tenutasi a Pordenone di Marlene Prosdocimo L’uomo subisce un costante processo di mutazione, anch’esso soggetto a diverse interpretazioni: lo si è supposto come ciclico o lineare, e per questo speranza o rassegnazione ardevano nell’umano focolare mentre questi ricordava gli antichi con nostalgia del non vissu-
to, o turbamento verso il futuro. Si sono riscontrati però dei Leitmotiv nella psiche che prescindono dalla presunta variabile essenza della persona attraverso i millenni: sono gli archetipi, residui di una coscienza collettiva (o in-coscienza?), immagini primigenie che influenzano l’innata percezione. Questa costituisce una linea conduttrice della mostra “Archetipi, simbologie, trasformazioni” promossa dalla Fondazione Ado Furlan con il patrocinio del Comune di Pordenone e l’Università degli Studi di Udine. L'esposizione è rimasta aperta nella Casa Furlan di Pordenone fino al 27 maggio. Protagoniste sono cinque opere che racchiudono l’essenza di simboli o paradigmi che hanno contraddistinto l’Occidente. Il lavoro più recente è “Mythologiae” (2017) di Massimo Poldelmengo, rielaborazione di uno
scorcio dello studio spilimberghese di Ado Furlan: prerogative del capolavoro sono la precarietà delle forme e la tensione cromatica contrapposte al senso d’eterno che attraversa l’opera. I palchi di cervo che sormontano la scena paiono alludere a un primitivismo che giace sopito nella mente dell’individuo, pronto a risvegliarsi sollecitato dall’imponenza che la civiltà non può sconfiggere. Con ciò entra in comunicazione “Mammut” (1998), poltrona in poliuretano realizzata da Piero Gilardi alla cui sommità si ergono due zanne ritorte verso il basso. La solidità monolitica dona all’osservatore la sensazione di godere davvero della condizione di uomo “Nano sulle spalle di giganti”; la distribuzione delle parti nello spazio causano però un momentaneo disorientamento, corollario della disgregazione dell’Io. Ogni pezzo esposto suscita suggestioni in chi assiste all’epifania di quest’arte: la scultura “Alchimia” (1982) di Claudio Parmiggiani, testa classicheggiante che dà
origine a una ramificazione lignea, richiama la metafora alchemica dell’albero cosmico. Dallo sguardo severo e statico dei canoni antichi proviene un processo di purificazione della materia contaminata: vicino a quest’opera si colloca “Lamento per la morte di Picasso” (1973) di Renato Guttuso, dipinto lirico in cui si consumano passioni e timori umani in un vortice di movimento e continui richiami che sembrano essere complementari proprio a quelli proposti da “Alchimia”. Ultimo lavoro è “Unicorno” (2012), scultura di Carlo Vidoni , che unisce il teschio di un cavallo a un corno fallico in gesso: il priapismo sovrastante la morte animale conferisce un tocco misterico che consacra un incestuoso patto tra Ulisse e natura.L’intera mostra offre un raffinato percorso di consapevolezza interiore e comunicazione con il resto dell’Essere, nel pieno dell’intento di promozione dell’Arte perseguito dalla Fondazione Ado Furlan.
tello Italo, principale artefice e primo presidente della stessa. Oltre a ciò, è interessata anche alle espressioni più attuali dell’arte contemporanea e alla promozione di giovani artisti. Questo aspetto si concretizza soprattutto tramite la collaborazione con “Palinsesti”, rassegna d’arte contemporanea promossa dal Comune di San Vito al Tagliamento, e
in progetti pluriennali la cui curatela viene affidata di volta in volta a critici emergenti. Altrettanto fondamentale è il rapporto con l’Università di Udine e con l’Ordine degli Architetti di Pordenone. La Fondazione Ado Furlan prevede, tra i numerosi progetti futuri, il restauro dell’ala del castello di Spilimbergo di proprietà della stessa (e sua attuale sede legale). Il 9 settembre, in Palazzo Tadea a Spilimbergo, ha inoltre in programma la presentazione di un quaderno incentrato sull’architetto veneziano Giuseppe Torres, artefice del restauro novecentesco dell’ala in questione, e sui suoi rapporti con il committente, l’avvocato Marco Ciriani, ricostruiti sulla base di inedito materiale documentario conservato nell’Archivio Progetti dell’Università Iuav di Venezia. (m. p.)
Arti visive al centro La fondazione è attiva dal 1992 in memoria dello scultore pordenonese Ado Furlan Attiva dal 1992, in memoria dello scultore Ado Furlan (Pordenone 1905 – Udine 1971), l'omonima Fondazione, apolitica e senza fini di lucro, ha la propria sede espositiva in via Mazzini a Pordenone. La sua missione è la promozione della conoscenza delle arti visive: dedica inoltre spazio all’architettura moderna e contemporanea. La presidente è Caterina Furlan, figlia dello scultore e già preside dell'allora Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Udine. È convinta
che «la creazione artistica sia un atto intenzionale attraverso il quale l’attore, il soggetto agente, cerca di esprimere se stesso e interpretare il mondo». Ma, da storica dell’arte, sostiene anche che «l’arte è comunque espressione del proprio tempio e che per questo è difficile leggere la contemporaneità in prospettiva storica». Legata alla variegata arte povera e a quella aniconica, la Furlan attraverso la Fondazione si impegna a valorizzare il patrimonio ereditato dal fra-
LA STORIA
Uragano crisi: facciamo il punto «A distanza di dieci anni dal suo inizio, ne siamo ancora al centro». Vizi e pregi del sistema Europa di Emanuele Celotto Tra il 2007 e il 2008 iniziò la grande crisi. A distanza di dieci anni, come siamo messi? La parola stessa “crisi” indica una situazione temporanea, eppure si continua a parlarne al presente. Questo la dice lunga. L'Europa ha continuato la politica del rigore e dell'austerità ad ogni costo, provocando contrazioni economiche e del credito, bassa crescita in tutta l'euro zona. Le proiezioni di crescita sono molto basse e riguardano anche il prossimo anno. Pochi e cauti i segnali di ripresa, ma siamo lontani da un vero miglioramento e non sappiamo quando arriverà. I sistemi bancario e finanziario non sono sicuri; le varie banche fallite (o quasi) e poi salvate lo dimostrano. Le politiche dell'Europa e della Banca Centrale Europea (Bce) stanno deludendo le aspettative degli europeisti, mentre le spinte nazionaliste si fanno sempre più forti. Ma l'Europa deve cambiare e puntare a rilanciarsi; dividerci ci rende più deboli e anche la moneta si indebolisce (e per l'Italia sono guai). Tornando alle banche, la Germania adesso ci fa la predica. Rinfaccia all'Italia i 44 miliardi (negli ultimi due anni) che la Bce ci ha destinato per salvare le banche. Ma ne aveva destinati ben 440 miliardi alla Germania solo qualche anno
prima di noi: perché di questo si è parlato poco? Non è che il nostro sistema bancario scoppi di salute, ma neanche gli altri Stati sono messi bene. Deutsche Bank è una delle grandi banche coinvolte nella crisi, è stata vicino al crack, eppure la Bce - che avrebbe dovuto vigilare - che ha fatto? Nulla, anzi, ha dato un giudizio positivo sulla banca. Lo stesso discorso vale per l'Italia e i vari crack: Monte Paschi (che andava avanti dal 2009-10), Credito Vicentino, Banca Etruria e via dicendo. La Banca Centrale e la Consob, che dovevano vigilare, dove erano? Anche le banche svizzere, una volta garanzia di sicurezza, fanno utili minimi con Ubs (coinvolta nella crisi) condannata a risarcire svariati miliardi. È tutto il sistema bancario mondiale ad essere fragile. Le banche truffaldine vengono condannate a multe che poi scaricano sugli azionisti e sui costi di gestione dei conti correnti
ed il gioco continuerà finché questi non verranno considerati reati penali gravi che prevedono il carcere. Le famigerate agenzie di rating, considerate tra i maggiori colpevoli della crisi, sono più vive che mai, lautamente pagate da chi emette titoli, azioni, istituti finanziari e banche. Sono diventate così forti che nemmeno Obama è riuscito a togliere valore legale alla loro valutazione, alla quale sono sottoposti tutti: Stati, banche, il debito pubblico. Se “chi dà i voti è pagato da chi i voti li riceve” non potrà mai esserci una valutazione reale ed attendibile. Se ci aggiungiamo che in via telematica (con tutti i rischi annessi alla rete) si muovono ogni giorno oltre 5000 miliardi di euro, si ha la percezione di un sistema totalmente fuori controllo. Il discorso del sistema bancario mondiale fragile mi richiama alla memoria un ricordo. Dopo la crisi delle borse asiatiche (1995-97) alcuni economisti misero in guardia: «L'abbiamo scampata - dissero - ma si è rischiato grosso; il sistema bancario è fragile ed il rischio che possa ripetersi una crisi è ancora abbastanza alto, solo che se ricapiterà gli effetti finiranno per essere simili a quelli del '29. Stati ed istituzioni devono vigilare di più». Come niente fosse. Dopo lo spavento iniziale l'allarmismo diminuì, la deregulation proseguì, finanza e mercati ebbero sempre meno controlli e di colpo ci risvegliammo nuovamente con un'altra crisi, quella attuale. Anche adesso l'allarmismo iniziale è diminuito; a volte sembra che si stia migliorando, poi guardi bene, e la realtà è la continua moria
di aziende, la crescita all’1% molto diffusa nell'Unione Europea, la bassa inflazione, la difficoltà ad avere crediti (famiglie e imprese), la diminuzione dei consumi. Ti accorgi che nessuno è messo bene. Poco si è fatto per un rilancio economico; si è guardato soprattutto alla politica del rigore, dei conti in ordine. La Bce ha erogato ben tre tranches di aiuti alla Grecia: centinaia di miliardi, con l'obbligo di destinarli al riacquisto dei titoli tossici, che per la maggior parte (oltre il 60%) è detenuto da Germania e Francia. La morale è che meno del 20% degli aiuti ricevuti sono finiti ad Atene. Che speranze di crescita può avere la Grecia? Sotto pressione per il flusso di migranti e con un'economia in decrescita, il Paese viaggia verso la disgregazione sociale, coi rischi che ne derivano. A “far morire il debitore” ci perdono tutti; Grecia più debole equivale a Europa più debole. Anche se la crisi non è passata e la ripresa va a rilento, non possiamo permettere che l'Europa si disunisca, ma dobbiamo ripensarla e rilanciarla. Siamo partiti con una concezione diversa di Europa: la Comunità Economica Europea nacque nel 1957 quando ancora c'era “la cortina di ferro”: la successiva operazione di aggregazione degli Stati ex comunisti ha provocato dei dissesti. Tra qualche anno gli Stati dell'attuale Unione Europea saranno ventotto e tenerli uniti sarà un impegno importante, un progetto ambizioso e molto difficile, ma forse indispensabile. D’altra parte non dimentichiamoci che tra le cause delle guerre ci sono sempre i nazionalismi esasperati, i dazi, veti, barriere commerciali. Una ragione in più per dire “Europa”, proprio nell'anno in cui si festeggiano i 60 anni dalla firma dei trattati.
Hanno collaborato a questo numero
LDP - LIBERTÁ DI PAROLA Giornale di strada de I Ragazzi della Panchina ad uscita trimestrale o quasi Registrazione presso il Tribunale di Pordenone N. R. G. 1719/2008 N. Reg. Stampa 10 del 24.01.2009 Direttore Responsabile Milena Bidinost
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Cristina Colautti È arrivata in sede in punta di piedi, adesso non le sfugge niente, anzi. Dottoressa in sociologia Bis, porta a casa un 110 e lode a mani basse! Pare che “ansia” sia il suo secondo nome, ed infatti è la nostra donna per Codice a s-barre, così almeno lì, si sente al sicuro!
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Stefano Venuto Mimica facciale e gestualità ne fanno un perfetto attore! Lui però ha deciso di rinunciare alla fama per concedersi a noi. Magistrale operatore, tanto da confondere le idee e mettere il dubbio che lo sia veramente, penna delicata e poetica del blog, chietegli tutto, ma non appuntamenti dopo le 18.00!
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Emanuele Celotto Scrittore, nuotatore, scacchista, attore. Presenza morbida e mai sopra le righe, nonostante questo difficilmente non fa quello che pensa. Con la caricatura l’omaggio dell’affetto per lui nella folta chioma, ormai ricordo di antichi fasti e disavventure inenarrabili.
—————————————— Gian Piero Turchi Ha introdotto nel gruppo lo scarto di paradigma, tanto che per un po’ in sede, dove l'unico scarto conosciuto è quello di briscola, ci si salutava chiedendo: come sta il tuo paradigma? Dicono abbia studiato a Palo Alto. Chiedetegli come va, dovrebbe rispondere Cosmico!
Elisa Cozzarini Liberata dai fardelli del dover fare per gli altri si è messa in proprio, così può scrivere, leggere, scrivere, progettare, scrivere, studiare, scrivere. Non manca di farlo anche per la Panka perché, se è vero che il futuro è, appunto, tutto da scrivere, quello che sei lo ritrovi nei posti che abiti.
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Irene Vendrame È arrivata in redazione una cucciola! Giovanissima, timida e delicata, ma altrettanto determinata e ambiziosa. Sogna di diventare una famosa giornalista come Oriana Fallaci, così è stata arruolata da LDP per farsi le ossa. Benvenuta Irene!
Editore Associazione I Ragazzi della Panchina ONLUS Via Selvatico 26, 33170 Pordenone
Impaginazione Ada Moznich
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Milena Bidinost Il direttore non si discute, si ama. Penna libera, riesce ad immergersi nella bolgia dell’Associazione con delicatezza e costanza, impegno ed esperienza. Quando le parli ti chiedi se le tue parole finiranno in un articolo! Ma confidiamo nella sua amicizia.
Stampa Grafoteca S.r.l. Via Amman 33 33084 Cordenons PN Fotografie A cura della redazione. Foto a pagina 4, 5 e 14 dal sito: https://pixabay.com Fot a pagina 7, 8, 9 e 10 a cura degli intervistati Foto apagina11 di Elisa Cozzarini Foto a pagina 12 di Cinemazero Foto a pagina 13 di Massimiliano Poldelimengo Questo giornale é stato reso possibile grazie alla collaborazione del Dipartimento delle Dipendenze di Pordenone
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Ada Moznich Delle quote rosa lei se ne infischia, non le servono! Essere presidente donna di un’associazione di tossici è da solo un miracolo in termini. Si ama e si teme nello stesso istante, tiene tutti e tutto sotto controllo, anche il conto in banca: - Ada ci servirebbe una penna.. “scrivi con il sangue che le penne costano..!”
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Antonio Zani Quando una persona legge molto, quando poi si accorge che scrivere gli riesce, quando è costretto a fare attività fisica ma non gli riesce e non ne ha voglia, quando in tutto questo conosce la Panka, allora che fa? La risposta è Libertà di Parola! Dopo una gavetta alle rubriche ora esce con l’approfondimento, ma non ti preoccupare Antonio, sempre senza correre!
Redazione Stefano Venuto, Giulia Rigo, Gian Piero Turchi, Mihai, Andrea, Michele, Florian, Andrea S., Antonio Zani, Renato Rossetti, Elisa Cozzarini, Irene Vedrame, Ubaldo, Marlene Prosdocimo, Emanuele Celotto, Chiara Zorzi.
Creazione grafica Maurizio Poletto
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Andrea S. Quando la storia della tua vita è un film di Tarantino, quando decidi che la voglia di vivere diventi il finale del film, quando tutto questo è condensato in un unico uomo, all’accendersi delle luci in sala non puoi che applaudire il protagonista. Fa dell’informatica la sua ragione di vita e per ora riesce con grande stile ad accendere il computer! In miglioramento!
Capo Redattore Cristina Colautti
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Chiara Zorzi S: "Chiara, guarda che bella frase che ho scritto!" C: ”bella ma non si scrive così...” S: "ok non è perfetta ma il senso poetico..." C: ”...si bello, ma non si scrive così in Italiano!” S: "Quindi?" C: “tienila, ma non è giusta!”. Quando scorri, la consapevolezza del limite, che scorre con te, è vitale. Grazie Chiara
Associazione i Ragazzi della Panchina ONLUS Via Selvatico 26, 33170 Pordenone Tel. 0434 371310 email: info@iragazzidellapanchina.it panka.pn@gmail.com www.iragazzidellapanchina.it FB: La Panka Pordenone Youtube: Pankinari Per le donazioni: Codice IBAN BCC: IT69R0835612500000000019539 Codice IBAN Friuladria: IT80M0533612501000030666575 Per il 5X1000 codice fiscale: 91045500930 La sede de I Ragazzi della Panchina é aperta dal lunedí al venerdí dalle ore 13:00 alle 18:00 Con il sostegno di:
CAMMINARE È, AD OGNI PASSO, UN INCONTRO CON NOI STESSI RABINDRANATH TAGORE
I RAGAZZI DELLA PANCHINA CAMPAGNA PER LA SENSIBILIZZAZIONE E INTEGRAZIONE SOCIALE DE I RAGAZZI DELLA PANCHINA -16-