APPROFONDIMENTO
pordenonelegge
Libertá di Parola 3/2016 ——
N°
Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire)
Da mercoledì 14 a domenica 18 settembre pordenonelegge, la festa del libro con gli autori diciasettesima edizione, ritorna ad animare il capoluogo di provincia, con oltre 300 eventi affidati ai maggiori protagonisti della scena letteraria italiana e internazionale. Al centro della festa, come sempre, i libri con i loro autori, ma anche gli editori. Nel nostro servizio vi presentiamo gli editori di “casa nostra”. a pagina 9
INVIATI NEL MONDO
Russia: con gli alpini nei luoghi della seconda guerra mondiale a pagina 13
PANKAROCK
Le note rock e il folk malinconico dei Daughter in concerto a Sexto 'Nplugged a pagina 14
PANKANEWS
Festa in Piassa, presenti da sette anni a pagina 15
IL PERSONAGGIO
“Sentieri di Salute: lo sguardo oltre” A novembre Pordenone ospiterà il convegno nazionale dedicato alla montagnaterapia di Massimo Galiazzo - Referente Montagnaterapia FVG, Responsabile scientifico Convegno Dal 16 al 19 novembre, in città, si terrà il 5 Convegno nazionale di montagnaterapia “Sentieri di Salute: lo sguardo oltre”. Il filone nel quale si inserisce è quello della rete nazionale di montagnaterapia che dal 2005 si è inseguito negli anni fino ad avere una cadenza biennale che ci porta a Pordenone. Riceve un testimone, una storia e una rete che riconsegnerà al termine alla Sardegna che continuerà nel 2018 il discorso. La rete già dal 2005 ha diviso l’Italia in macrozone e Pordenone è il luogo designato dalla macrozona Veneto-Friuli Venezia
Giulia per ospitarlo. Questa macrozona già dal 2013 si è data un nome (Sollevamenti) e un sito (www.sollevamenti. org) e alterna ogni quattro anni un referente. “Sollevamenti” ha contribuito alla costruzione del precedente convegno di Cuneo, partecipando alle riunioni organizzative e contribuendo alla sua struttura. In questo senso “Lo sguardo oltre” è in continuità di senso. Il problema è che il “come fare” montagnaterapia è l’unico elemento valutabile in termine di efficacia scientifica. Un termine generale di montagnaterapia probabil-
Don Rigolo, cappellano del Castello e presidente di Carcere e Comunità
mente vedrebbe il rispecchiamento di tutte le esperienze, ma sarebbe difficilmente falsificabile scientificamente per la sua genericità. Ecco che lo “sguardo oltre” parte da qui: nel riconoscere che rispondere a domande di utenza diversa, genera esperienze di montagnaterapia diverse con dispositivi pedagogici e terapeutici diversi, fino a diventare lontani tra loro. Ecco il perché, sulla scia di Cuneo, delle sessioni parallele di Salute Mentale, Disabilità fisica e psichica, Dipendenze e Minori,
Special Team, quando lo sport abbatte le barriere
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NON SOLO SPORT
IL TEMA
LA MONTAGNA CHE CURA Prevenire o riabilitare patologie o situazioni di disagio grazie alla natura di Angelo Brega - medico psichiatra DSM Treviso «Con il termine “montagnaterapia” si intende definire un originale approccio metodologico a carattere terapeutico-riabilitativo e/o socio-educativo, finalizzato alla prevenzione secondaria, alla cura e alla riabilitazione degli individui portatori di differenti problematiche, patologie o disabilità; esso è progettato per svolgersi, attraverso il lavoro sulle dinamiche di gruppo, nell'ambiente culturale, naturale e artificiale
della montagna. La montagnaterapia, rivolgendosi all'interezza e inscindibilità della persona e del sé, considerato nella fondamentale relazione con il contesto secondo il paradigma biopsicosociale, si pone l'obbiettivo della promozione di quei processi evolutivi legati alle dimensioni potenzialmente trasformative della montagna». È questa la definizione “classica” di montagnaterapia, formulata nel 2007. Ma se
scendiamo sul piano concettuale e operativo, di che cosa si tratta e quali sono i suoi benefici? È evidente che esistono molti modi di fare montagnaterapia. Ogni realtà ha la propria storia e le proprie caratteristiche, legate al contesto, alle risorse, alla formazione degli operatori, alla tipologia dell’utenza. Attività di montagnaterapia sono state sperimentate infatti in diversi ambiti: salute mentale, dipendenze, disabilità fisica e
psichica, malattie internistiche e oncologiche, sia con adulti che con minori. Le attività proposte spaziano fra tutte le possibilità che l’ambiente montano offre: trekking, arrampicata sportiva, alpinismo, speleologia, sport invernali. Si possono tuttavia individuare alcuni punti importanti, emersi nel tempo, attraverso la prassi e le esperienze dei diversi gruppi di montagnaterapia, su cui si è raggiunto un discreto consenso fra gli operatori.
continua dalla prima pagina
già coerenti con le sue modalità, veri epigoni o strade parallele a questa sia in Italia che all’estero (guardare oltre è anche guardarsi di fianco). La domanda è come un'esperienza di montagna o di wilderness può essere utile, di cambiamento, di cura o di riabilitazione ai soggetti a cui ti rivolgi: pazienti con disagio mentale, disabili, con dipendenze patologiche, minori, con malattie internistiche e oncologiche, organizzazioni. Pordenone ospiterà 62 interventi provenienti da circa 30 città diverse di 9 Macrozone (Veneto-Friuli Venezia Giulia, Toscana, Emilia Romagna, Sud, Lazio e Centro Italia, Lombardia, Trentino Alto Adige, Liguria-Piemonte-Valle d’Aosta, Sardegna). Di cui 10 poster ospitati nella sessione mostra, 11 video proiettati sugli schermi del convegno che parteciperanno al festival dei corti della montagnaterapia, premiati in chiusura del convegno. I restanti 41 sono gli
interventi orali che si confronteranno nelle sessioni parallele di giovedì e venerdì mattina. I 62 interventi sono vari anche nelle loro collocazioni: Dipendenze (12), Minori (6), Disabilità fisica e psichica (15), Salute Mentale (18), Organizzazione (9), Riabilitazione medica (2). Alla sessione organizzazione viene dato una funzione molteplice: non solo le esperienze di outdoor training dedicate alle organizzazioni ma anche le buone prassi organizzativeeconomiche-amministrative dei progetti di montagnaterapia stessi. La seconda domanda del convegno è “Quali indicatori di valutazione utilizzi per misurare l’efficacia del tuo intervento di montagnaterapia?”. La speranza di fondo è che la comunità nazionale della montagnaterapia dal confronto selezioni le buone prassi delle montagnaterapie
almeno attorno a due temi che si è scelta e che sono sorti da Cuneo e dal confronto tra le Macrozone. Lo sguardo oltre in tal senso approfondisce la sua visione su come fare montagnaterapia e sul come misurarne l’efficacia. Nella sessione plenaria viene lasciato uno spazio per ogni macrozona e, per quella del Veneto-Friuli Venezia Giulia, per ogni provincia, mantenendo vivo anche il confronto territoriale. Sempre per curiosare oltre, apre inoltre spazi paralleli di riflessioni provenienti dall’econarrazione (Duccio Demetrio), dall’ecopsicologia, green mindfullness e la psicosintesi (Marcella Danon), dall’outdoor management training (Marco Rotondi), dalla psicologia analitica, la spiritualità-filosofia e l’alpinismo (Tavolo dell’associazione Temenos), dalla valutazione
Organizzazioni e Riabilitazioni Medica. In ognuna di queste sessioni ci sarà occasione di confronto sulle prassi del fare montagnaterapia. Coerente con uno dei due punti del convegno: “Non il perché della montagnaterapia ma il come della montagnaterapia?”. Questo rende cittadine di questa grande rete anche delle esperienze antecedenti a questa definizione come
Questi punti sono: la dimensione dei gruppi (il numero di pazienti coinvolti può essere molto variabile, da 3 fino a oltre 15 utenti); la presenza di operatori con professionalità diverse, sia del pubblico (servizio sanitario nazionale) che del privato sociale (psicologi, infermieri, tecnici della riabilitazione, medici, Oss); la collaborazione con tecnici (accompagnatori Cai, guide escursionistiche, guide alpine) e volontari; la strutturazione delle uscite, generalmente
precedute da un incontro di presentazione dell’escursione e da una restituzione in gruppo dopo l’escursione e infine la frequenza delle uscite (da situazioni più favorevoli che permettono un’escursione settimanale, a una frequenza minima di 5-6 uscite l’anno, di una o più giorni). Quanto ai benefici attesi i principali sono: un beneficio legato all’attività fisica (sul cardiocircolo, la capacità respiratoria, il peso corporeo, il controllo glicemico); la promozione di uno stile di
vita sano (riduzione del fumo, regime dietetico adeguato) e una maggiore attenzione alla cura di sé; l’effetto antidepressivo dell’attività fisica; la possibilità di confrontarsi con i propri limiti in un ambiente inusuale, senza che questo comporti un reale pericolo (aumento dell'autostima e dell'autoefficacia). Ma anche il riprendere il contatto con un ambiente naturale, relativamente incontaminato, ha di per sé valenze positive; la relazione con volontari, spes-
so membri di associazioni importanti sul territorio, come il Club Alpino Italiano, permette un valido intervento di interazione sociale e lotta allo stigma e infine il contesto della montagna determina un’esperienza diversa, sia nel gruppo degli utenti, sia dando agli operatori la possibilità di mettersi in gioco in modo diverso, permettendo una ristrutturazione dei ruoli che può avere ricadute molto interessanti.
L'origine della montagnaterapia Il termine “montagnaterapia” e il tentativo di dare una sistematizzazione concettuale a questa attività sono nati nel nostro paese, e non sono, come spesso succede, un’”importazione” dall’estero. Il termine è stato coniato verso la fine degli anni ’90: più difficile è individuare una data di na-
(Bruno Genetti, Paolo Piergentili e Luciano Pasqualotto). Lo sguardo oltre sconfina anche l’Italia con l’esperienza francese di Seuil (Parigi), ampliandosi anche nel contesto italiano e oltr’alpe a proposte dedicate al Ministero di Grazia e Giustizia. Sì perché esistono anche proposte di montagnaterapia dedicate all’Ufficio Esecuzione Penale Esterna. Guardare oltre è anche guardarsi in modo diverso: la rete e le sue esperienze è anche incontro e relazione. Ecco che l’ospitalità di Pordenone fa del convegno un momento conviviale, un momento ludico e di divertimento fatto di musica e voce (I Ragazzi della Panchina e Marco Anzovino), l’occasione di una riunione interna delle macrozone che vedrà la nascita di due nuove (Sud ed Emilia Romagna), vivere insieme un’esperienza di trekking e di grotta con il Cai di Sacile e Pordenone. Nonché una libreria del convegno. Il tutto nella cornice delle montagne di queste regioni (Dolomiti, Alpi Giulie e Carniche) fatte di trekking, arrampicata e alpinismo, speleologia per storia. Per poi sciogliere il comitato di scopo nato per il convegno e lasciare lo sguardo ad altri Sentieri di Salute che lo porteranno in Sardegna. Ovviamente si cercherà di pubblicare gli atti del convegno.
scita di questa pratica, visto che esperienze assimilabili alla montagnaterapia sono nate anche molti anni fa, ma senza essere conosciute e sistematizzate dal punto di vista teorico. I primi passi del movimento si possono far risalire ai primi anni del 2000: tappe importanti sono stati i convegni del rifugio Pernici, presso
Riva del Garda, nel 2004 e 2005, e il convegno di Passo Pordoi nel 2007. In queste occasioni si è cercato di mettere in rete realtà già attive a livello nazionale. Dal 2008, ogni due anni si svolge un convegno nazionale, che ha sempre visto grande partecipazione di operatori, volontari e pubblico. Per esigenze orga-
nizzative, sono state definite delle “macrozone”, ognuna delle quali fa capo a un referente, per facilitare la comunicazione fra i gruppi e l’emersione dal sommerso di tante esperienze che sono tuttora attive pur senza far parlare di sé, e anche per aiutare chi volesse far nascere nuovi gruppi.
Il punto della situazione in Italia I convegni, un libro, un film, un documentario e i siti per approfondire di Angelo Brega Da molti anni in Italia si è strutturato un movimento finalizzato a mettere in rete i diversi gruppi che si occupano di montagnaterapia e ad accumulare evidenze scientifiche su quest’attività. Si è pertanto concordato di suddividere il territorio italiano in “macrozone”, ognuna facente capo a un referente, per facilitare i contatti all’interno delle varie realtà regionali e per creare un embrione di coordinamento a livello nazionale. Sono ormai numerosi, sul territorio nazionale, i gruppi che fanno capo alle diverse macrozone, anche se la diffusione non è tuttora omogenea. La collaborazione con il Club Alpino Italiano è ben consolidata e molte aziende sanitarie hanno stipulato protocolli d’intesa con il Cai. Sono stati realizzati, a partire dal 2008, quattro convegni nazionali, a cadenza biennale, organizzati nell’ordine dalle macrozone: Trentino, Lombardia, Centro Italia, Piemonte. Quest’anno sarà il turno del-
la macrozona Veneto-Friuli Venezia Giulia, di organizzare nel novembre prossimo il convegno di Pordenone. Già negli anni precedenti al 2008 tuttavia vi erano state diverse iniziative di formazione e divulgazione sul tema. Merita una citazione l’importante evento “Sentieri di libertà”, un convegno itinerante, che si è tenuto in Sardegna nel 2014 e che ha visto la partecipazione di centinaia di utenti, operatori e volontari. La seconda edizione del convegno si terrà quest’anno a settembre, sempre nella provincia dell'Ogliastra. L’esperienza dei gruppi sardi ha dato vita a un libro (“Non ci scusiamo per il disturbo”) e a un film (“Semus fortes”) presentati in varie città in Italia e all’estero. Gli stessi autori del film “Semus fortes”, Mirko Giorgi e Alessandro Dardani, hanno anche realizzato il documentario “Vincersi”, storia di un gruppo di atleti non vedenti che praticano l’arrampicata sportiva. Sono inoltre stati organizzati
eventi formativi specifici sulla montagnaterapia: il corso di formazione su montagnaterapia e disabilità di Campocecina, in Toscana, del 2014, e il corso a Valcanale, sulle montagne bergamasche, nel 2015, con il coinvolgimento della Commissione medica del Cai. Anche la produzione scientifica comincia ad avere una buona consistenza: è stato pubblicato un testo, “In su e in sé. Alpinismo e psicologia”, di Giuseppe Saglio e Cinzia Zola, articoli su riviste scientifiche nazionali sulla salute mentale e sulle dipendenze, numerosi interventi pubblicati sugli atti dei congressi nazionali e le tesi di laurea e specializzazione sull’argomento (molti di questi contributi sul sito “sollevamenti.org”). Su internet il principale riferimento è stato inizialmente il sito “sopraimille.it”: attualmente vi sono diversi siti, fra cui “montagnaterapia.it”, “sollevamenti.org” e “amionlus.it”. Infine la pagina facebook “montagnaterapiainrete”.
Prosegue il lavoro della redazione del nostro giornale nata all'interno della Casa circondariale di Pordenone. “Codice a s-barre” è uno spazio interamente gestito dai suoi detenuti.
Il viaggio più bello? La nostra vita «Nasciamo piangendo, mentre gli altri sorridono. Facciamo in modo che, alla fine del viaggio, saremo noi a sorridere e tutti gli altri a piangere» di Ubaldo La parola viaggio ha diversi significati, come diversi possono essere i viaggi che uno compie. Ma quello che personalmente credo sia il viaggio più bello e misterioso, alla portata di tutti, duraturo, che si compie infinite volte, in luoghi e con persone differenti, è il “viaggio” della propria vita. Un viaggio in cui non potrai prevedere cosa ti capiterà, chi incontrerai e quanto durerà. E quando ti sembrerà di aver raggiunto la tua meta, il tuo obiettivo di vita, la stabilità Quando avevo 16 anni, un mio amico, poco più grande di me, mi ha invitato a fare una vacanza con lui ed altri amici con il camper di suo padre. Eravamo in sei: io ero l’unico minorenne del gruppo, il più “anziano” aveva 25 anni. Ci siamo incontrati alcuni giorni prima della partenza per organizzare il viaggio e quel giorno ho saputo che la tappa finale sarebbe stato il Gargano, in Puglia. Inizialmente volevo declinare l’invito perché non me la sentivo di stare da solo lontano da casa per una settimana e di dover rinunciare alle comodità come la televisione e il cibo fatto da mia mamma. Alla fine però mi sono deciso a partecipare a questo viaggio, proprio su pressione di mia madre. Sapevo già che sarebbe stato un’avventura in quanto il camper era un vecchio catorcio con una ventina d’anni sulle spalle. Al momento della partenza ho sentito dentro di me un turbine di emozioni, in quanto quella sarebbe stata la mia prima vacanza senza la famiglia. Dopo un viaggio di circa nove ore tra spifferi, scricchiolii e rumori strani prodotti dal nostro mezzo, arrivammo ad Ascoli
lavorativa, economica, sentimentale, potrà succedere sempre qualcosa che muterà il tuo stato e che, quasi facendoti perdere l’orientamento, come per sfida, ti presenterà un nuovo mondo, fatto di luoghi, situazioni, persone diverse e dovrai così ricominciare un nuovo viaggio. Ognuno di noi con la propria valigia piena di esperienze e di sapere, orienta la bussola e programma il prossimo obiettivo. Inizialmente non si sa se la rotta e la destinazione
decisa siano quelle giuste. Altre volte si possono avere esitazioni perché la strada intrapresa non è come la immaginavamo o forse perché è frutto di scelte affrettate; non conosciamo se è migliore o peggiore, forse non si può più tornare indietro e quindi non resta che andare avanti. La nostra abilità sarà quella di comprendere ogni circostanza, valutare il momento e fare ciò che è necessario, avendo anche la capacità di cambiare direzione, oltre
La mia prima volta «Avevo 16 anni ed ero il più piccolo del gruppo. Una vacanza sul Gargano, la prima lontano dalla mia famiglia e dalle comodità di casa» di Gianluca
Piceno, prima sosta. Lì viveva un amico che ci ha ospitati per cena ed ha messo a disposizione dei letti per tre di noi. Io ed altri due abbiamo passato la notte in camper. Per fortuna avevamo deciso di farci seguire nel nostro per-
corso da un auto per i piccoli spostamenti e così, per raggiungere la seconda tappa, scelsi di viaggiare in auto così da essere più rilassato. La seconda sosta fu sul lago di Scanno, in Abruzzo: ci accampammo sulla riva
che di affrontare le conseguenze che la scelta impone. Senza però lamentarsi se tutto andasse diversamente dal previsto, senza rinunciare a sorridere e ad essere felici. Bisogna solo avere pazienza, perché dopo ogni tramonto c’è sempre un’alba e per ogni viaggio terminato ce ne sarà sempre uno da iniziare. Se restiamo a pensare al viaggio concluso, ci perderemo il mondo che va avanti. È risaputo che la prima sensazione che avvertiamo quando cambiamo strada è quella di perdere qualcosa, forse perché attaccati morbosamente a punti di riferimento che ci danno il senso dell’equilibrio, che ci permettono di avere stabilità, orientamento, quasi apprezzati di più proprio perché persi. Ma è altrettanto vero che non conosciamo quello che ci è mancato prima di incontralo. Perciò si deve vivere la vita come un e ci dedicammo ad alcune escursioni nei dintorni. Feci molte foto, tra cui una che dà l'impressione di una veduta aerea del lago. Il terzo giorno ci rimettemmo in strada, direzione Vieste. Una volta sistemati in un campeggio, trascorremmo il resto delle giornate su una spiaggetta tra nuotate, tuffi e giochi di società. L’ultima sera prima di ripartire verso casa, su suggerimento di alcuni ragazzi del luogo, la passammo in una discoteca all’aperto nel parco nazionale della Foresta Umbra, chiamata così perché è un bosco così fitto che anche in pieno giorno sotto gli alberi passa pochissima luce. Ancora oggi ho buoni ricordi di questa vacanza, forse proprio perché è stata la prima senza i miei genitori ed anche l’unica fatta in camper. Ho tenuto per ancora molti anni i contatti con i miei compagni di viaggio con cui mi sono molto divertito, anche se ora non so più nulla di loro. È stata sicuramente una vacanza indimenticabile, ma posso dire che se dovessi rifarla oggi non riuscirei a staccarmi da tutte le comodità e dalla tecnologia che mi accompagnano e mi semplificano la mia vita.
viaggio in cui bisogna saper affrontare il quotidiano avendo un'unica possibilità di fare bene, proprio perché abbiamo una sola vita che "si può solo scrivere in brutta copia perché non c’è tempo per correggerla e ricopiarla in bella”, una citazione semplice ma ricca di verità. Bisogna quindi, da ogni tappa, trarre il meglio di ciò che ci capita, anche quando ci sembrerà che qualcosa non è andata come volevamo. Infine, condividendo pienamente il pensiero di Coelho, credo che, se quando cominciamo il nostro viaggio di vita lo facciamo strillando e piangendo e tutti intorno a noi sorridono, dobbiamo viverci il resto cercando di lasciare un ricordo, un segno positivo di noi e di quanto abbiamo fatto. In modo che nell’ultimo nostro viaggio saremo gli unici a sorridere e tutti intorno a piangere.
Turista nella mia città Sono nato a Venezia, ma ho molto ancora da vedere di Piero
Sono anch’io un turista, non tanto per i pochi viaggi che ho fatto, ma per il luogo dove sono nato: Venezia. Che dire, nonostante io sia nato e abbia vissuto molti anni in ques-
Viaggiare per ricominciare daccapo «Non l'ho mai fatto, forse per pigrizia, ma quando sogno di mettermi in viaggio questo pensiero mi fa stare bene» di Federico Ho sempre sognato di fare un viaggio: prendere, mollare tutto, partire e ricominciare. Lasciarmi alle spalle tutti i miei casini, tutta la terra bruciata che ho fatto in questi anni. Sinceramente! Non mi interessa molto la destinazione, ma l’arrivo in un posto dove nessuno mi conosce e dove potrei ricominciare e farmi conoscere nuovamente come persona. Forse non sarebbe un viaggio vero, ma uno scappare, una fuga dagli scheletri che ho nell’armadio. C’è sempre stato qualcuno o qualcosa che mi ha impedito di partire o forse ero troppo pigro per prendere e andarmene. Il fatto è che ora nep-
pure io so che cosa voglio. Susanna Tamaro dice che un binario lo si deve percorrere fino in fondo, che il destino ha molta più fantasia di noi, ma io credo che ognuno si crea il proprio destino andando incontro a delle scelte, giuste o sbagliate che siano. In questo momento, però, mi devo solo mettere “il cuore in pace” ed aspettare, aspettare per vedere il destino cosa mi riserva. Il desiderio di viaggiare c’è, ma con chi? Con che cosa? In che modo? Ribadisco, sono una persona pigra, avrei bisogno di qualcuno che mi dia una spinta verso quel treno o verso quell’aereo. Di una cosa sono sicuro, se ri-
ta città, ci sono ancora molti palazzi, musei, strade che non ho mai visto e per questo ho tanti luoghi da esplorare. Venezia, in particolare, mi piace moltissimo perché è una uscissi a salirvi e partire, poi non mi guarderei più indietro e sono certo che non avrei nessun rimpianto, anzi! Penso proprio che mi gusterei tanto il tragitto quanto l’arrivo. Tre anni fa, durante la carcerazione, attraverso la televisione ed i racconti di alcune persone originarie del centro America, è nato in me il desiderio di vedere quei luoghi, di attraversarli, di fermarmi e viverli: Santo Domingo, Messico, Costa Rica. Quello che voglio dire è che per me il viaggio è così: spostarsi di Paese in Paese e vederne le meraviglie, conoscerne la cultura, fare tesoro di tutto questo e poi ripartire per un altro posto, magari più povero, ma nello stesso tempo ricco di valori, ricco di qualcosa che ti meraviglia e che porterai sempre con te. Viaggiare: una parola semplice, una parola che mi accende l’immaginazione e che, nel momento in cui la dico, mi stuzzica, mi fa sentire bene, euforico e sognatore;,
città di mare ed è sempre piena di gente; inoltre, se guardi dalla laguna di notte, vedi la città illuminata: è davvero affascinante. Mi ricordo la festa del Redentore, quando fanno i fuochi d’artificio e ci sono molte gondole ed imbarcazioni che viaggiano a passo d’uomo in laguna e una fila di barche attaccate una all’altra che formano un ponte da cui si arriva alla Giudecca. Un luogo di Venezia che mi ha colpito per la sua storia è il ponte dei Sospiri dove facevano passare i prigionieri che sospiravano prima di entrare in cella. Il ponte di Rialto mi piace perché ci sono tanti negozi da guardare e ai suoi piedi ci sono la pescheria e altri banchetti e locali dove la gente può fermarsi a mangiare. San Marco è bella perché alla domenica c’è la parata e l’alza bandiera. A Venezia non vedo l’ora di ritornarci. ma al contempo mi irrigidisce e mi fa pensare: se, ma, forse. In verità, non so neppure io cosa vuol dire veramente viaggiare, non ne ho mai avuto modo, è triste e al momento percorro questo binario immutabile. Spero un giorno di poter partire, lasciarmi dietro tutti e tutto, cercare la mia felicità che ora ho perso e che tanto vorrei ritrovare.
Un diario all'anno per vent'anni
te in famiglia. Mi riprometto di darci un occhiata, ma non lo faccio mai. Dentro quelle pagine c'è la storia di una vita intera, di come sono cambiata, di come sono cresciuta e probabilmente tra le righe, celato, c'è anche il motivo per cui ho intrapreso un certo stile di vita. Al momento, scrivere per me è
come una “psicoterapia autogestita” in cui butto fuori tutto quello che mi fa male, ma anche le belle prospettive che vedo all'orizzonte. Ho raccontato sogni, fatto disegni, tenuto scontrini, biglietti, foto, cose di una certa importanza nel mio vissuto. Un ricordo nitido che ho è quello di aver dato la colpa ai miei diari se la mia vita è stata così pazzesca, perché se non avevo cose emozionanti da scrivere, non sarebbero neppure esistiti. Ma era una scusa bella e buona, per colpevolizzare qualcuno che non ero io. Adesso mi ritrovo ad avere quasi 20 anni di diari, che non ho mai riletto. Pensare che alla mia morte potrebbero essere presi in mano da qualcun altro mi manda fuori di testa e vorrei bruciarli assieme al mio corpo. Sarebbe un peccato? Non lo so. Ma ho quasi trent’anni e ho tutto il tempo di poterli rivisitare e farne qualcosa di carino. Potrei lasciarli a mia figlia per farle capirebbe tante cose di me, senza che qualcuno gliele dica. Forse è questo lo scopo finale che mi attira di più. 20 anni, 20 diari, tante pagine. Riordinare i miei diari sarà un lavoro lungo, ma credo di volerlo fare, soprattutto per conoscermi. Perché non sono sempre stata quello che sono oggi e vorrei capire alcune cose di me arrivandoci da sola, anche meglio di un qualsiasi psicoterapeuta.
spacciare per farmi». A quel punto mi resi conto della mia situazione e andai in comunità. Quel percorso in comunità non fu una passeggiata, non fu facile per me, con il mio carattere, convivere con altre persone: mi divertivo a giocare con i sentimenti degli altri e facevo il bambino cattivo per attirare l’attenzione. Nonostante questo, dal 1984 al 1989, completai il percorso in comunità e quando finì
per me fu un grande traguardo, la mia prima vera gratificazione. Ero, infatti, riuscito ad arrivare fino in fondo, ascoltando le persone che mi erano vicine. Poco tempo dopo, entrai in una fabbrica del legno dove scoprii nuove soddisfazioni e gratificazioni perché, in quel luogo, imparai bene un lavoro. Lo portavo avanti autonomamente e con bravura. Purtroppo la fabbrica, dopo qualche
«Iniziai per gioco. Oggi scrivere è diventato un modo per conoscermi» di Patty Isola Io scrivo. Premetto che non sono una scrittrice, né tale mi definisco. Ho cominciato quando, per il mio decimo compleanno, mia sorella mi ha regalato un diario “segreto”, di quelli che andavano di moda negli anni '90, con quei lucchetti che servivano più al “colpo d'occhio”, che a sigillare veramente qualcosa. All'inizio non sapevo proprio cosa scrivere, allora mi presentai, descrissi la mia famiglia, i miei animali, la mia scuola e da quel momento presi l'abitudine di annotare ogni sera i miei pensieri. Quando arrivai all'ultima pagina, sopraggiunse una strana sensazione: «E adesso, cosa faccio?», mi chiesi. Ormai, scrivere era diventato per me un rituale quotidiano. Ho cominciato così la mia serie di diari. Crescendo, ho smesso di scrivere ogni giorno, ma se saltavo una settimana, mi sentivo obbligata a riepilogarla. Due anni dopo ero stufa, ho preso i diari e li ho messi in un cassetto. Sono rimasti lì per dei mesi, fino a quando sono successe tante cose nel-
la mia vita e ho ricominciato, ma con un altro scopo. Scrivevo per confessare quello che non avrei mai detto a nessuno. Così adesso ho un diario per ogni anno, dal '96 al 2016. A volte non scrivo per mesi, altre scrivo tutti i giorni. Dipende da un sacco di cose. Cose inconfessabili o cose leggere di belle giorna-
Quando si riapre la cassaforte dei ricordi «Una vita di cadute, la mia, ma anche di gratificazioni conquistate con fatica. Le più belle le ho avute sul lavoro» di Andrea S. Apriamo di nuovo la cassaforte dei ricordi. È un po’ duro compiere questo gesto perché mi porta a ricordare il mio passato e questo mi fa sempre star male, ma voglio raccontarvi di quali sono state per me le vere gratificazioni. Ho cominciato ad usare sostanze quando avevo circa 13 anni e non parliamo poi dei macelli che combinavo a scuola. In quel tempo i miei genitori si sta-
vano separando e purtroppo non si accorgevano di che strada avevo intrapreso. Un giorno toccai davvero il fondo: ero da solo, non sapevo dove dormire e mangiare, e mi trovai ricoverato in ospedale. In quel luogo venne a trovarmi il don che avevo conosciuto in carcere e mi disse «Andrea hai toccato il fondo ormai, se vai avanti cosi cosa ti capiterà?» ed io pensai «O morire o il carcere o in giro a
Quando l’amore non ha limiti «Da 13 anni convivo con la mia gatta Chicca. Adoro il mistero e l'indipendenza di questi felini» di Alessandra Non so se se ciò deriva dal fatto che nella mia vita non ho mai avuto buone opportunità sotto l'aspetto affettivo, ma sento di amare incondizionatamente più gli animali che il genere umano. Non mi considero anaffettiva, semplicemente percepisco gli animali, soprattutto i felini, più in sintonia con me. Nella mia vita sono sempre stata attratta dai felini, più che dai cani, e ne ho avuti diversi. I gatti davvero speciali per me sono stati Momi e Chicca. Momi aveva il pelo lungo, nero e lucidissimo e due occhi che richiamavano le pietre di ambra. La mia adorata ne ha passate tante in vita e ha fatto una fine a dir poco orrenda. Dovevo entrare in comunità e un’infermiera si era offerta di tenerla per il tempo necesanno, fallì e allora fui costretto a guardarmi intorno. Vidi mio fratello che lavorava assieme a mio padre: posatori di pavimenti alla veneziana. Io ne sapevo un po’ di questo mestiere, però non mi sarei mai immaginato di innamorarmi di esso e di arrivare a casa la sera stanco morto ma contento e pieno di gratificazioni e soddisfazioni. Inoltre, con questo lavoro, guadagnavo molto e mi potevo permettere alcuni piccoli lussi, come viaggiare. Dopo circa dieci anni, a causa di un diverbio tra me e mio fratello, fui costretto a lasciare il mio lavoro. Non vedevo niente a cui aggrapparmi per superare quel brutto momento, ma mi diedi subito da fare, mi arrangiai. Però la sera arrivavo a casa e mi mancavano tutte le gratificazioni che avevo avuto nel precedente lavoro. Gli anni intanto passavano e vedevo che i mattoncini che avevo tirato su con il tempo e con fatica si stavano sgretolando uno dopo l’altro. Così nel 2000 ci fu la ricaduta nelle sostanze: tornai ad es-
sario al mio percorso riabilitativo. La gatta, spaesata ed impaurita da un ambiente a lei sconosciuto, si è infilata in un tubo e non è più riuscita ad uscire. Di questo io ancor oggi non so darmi pace e, nonostante siano passati diversi anni, mi chiedo se avrei potuto fare qualcosa per lei, se qualcuno mi avesse avvisata. Da 13 anni convivo con Chicca, è tigrata e, come me, è tutto un programma: molto introversa, non si fa dominare e ama la libertà. È arrivata in un’umida serata di novembre quando era ancora vivo in me il ricordo della precedente gatta e non volevo più saperne di responsabilità. Era piccola, brutta, spaventata e si trovava dentro una gabbia in un negozietto in centro città. Ero su di giri e senza esitare in
sere gigante nei miei sogni e nano nelle mie paure. Questo fu un brutto doppio fallimento, da cui pensavo di non sollevarmi più. Dopo l’ultima carcerazione, però, ho scelto nuovamente di ricostruire la mia vita e di impegnarmi giorno dopo giorno per andare avanti. In questo percorso l’associazione “I Ragazzi
un attimo sono entrata e così com’era, senza scatola, me la sono messa sotto la giacca, ho comperato una lettiera, del cibo e sono uscita. È iniziata così la mia vita con quella che oggi considero a tutti gli effetti la mia inseparabile “bambina”. Anche lei ha avuto le sue vicissitudini. Quella più importante è stata quando è caduta dal sesto piano del palazzo dove abitavo, procurandosi un versamento polmonare e rompendosi il femore sinistro e le zampe. Era una domenica di giugno e faceva caldo, sono andata nel panico più totale perché non sapevo né cosa fare, né dove portarla, non era come oggi che ci sono le ambulanze anche per i nostri pet. Un amico mi ha detto di provare alla clinica veterinaria di Sacile.
della Panchina” mi è stata di grande aiuto. Ragazzi, vi dico grazie per quello che state facendo per me, e per tutti noi, spero che per voi non sia solamente fatica, ma anche frutto di tante gratificazioni. Anche per questa volta richiudo la cassaforte dei ricordi e mi propongo di riaprirla per il prossimo articolo.
Voglia Dio era di servizio e così ho potuto, con l’ausilio di una gentilissima veterinaria, darle un primo soccorso. Questo evento l’ha segnata profondamente. Il suo carattere si è forgiato sulla paura di essere toccata e su un’aggressività a me comprensibile. La mia famiglia dice che è una gatta cattiva e falsa, che appena ti giri è subito pronta a morderti o a graffiarti con quelle, se si possono ancora chiamare, unghie, ma io so che non è così. Forse amo così tanto i gatti perché rappresentano in un certo senso, scusate il gioco di parole, il mio sesto senso. Il gatto è il mistero e la totale indipendenza da tutto e da tutti, non è servile come lo è per alcuni versi il cane. Il gatto o ti ama o ti odia.
Il lavoro che svolgevo, molto duro e fatto completamente a mano, consisteva nel gettare (seminare) su una caldana, preparata dai muratori, una serie di sassi di grossezza diversa, dal fino quasi polvere al sasso di 5 cm di diametro. Il granito che si gettava aveva 15 tinte: Rosso Verona, Bianco Carrara, Bardiglio Azzurro, Giallo Siena, Grigio Venato, Marrone Prugna, ecc… Alcuni clienti chiedevano, per le loro case di design, il seminato moderno con disegni particolari, mentre altri volevano il vero seminato alla veneziana, con calce, cemento e cocciopesto. Tutti gli strumenti che utilizzavamo, dagli stampi in legno, al rullo fatto con una colonna di pietra antica, all’incudine utilizzato per sminuzzare i sassi ricavato da una rotaia della ferrovia, erano appartenuti al padre di mio padre.
SPAZIO AMBIENTE
Anima mundi, il soffio della Madre Terra «C'è un unico respiro per ogni cosa ed è legato al respiro del Cosmo: riconnettiamoci ad esso e troveremo il bene ovunque» di Paola Doretto “Anima mundi”, l'anima del mondo, è questo un concetto antico che appartiene tanto alla tradizione occidentale che a quella orientale ed è un qualcosa che riguarda molto da vicino tutti gli uomini sulla Terra. Per approfondirlo occorrerebbe leggere un sacco di libri, scritti attraverso i secoli da filosofi di ogni corrente, ma è anche un concetto intuitivo di cui possiamo fare esperienza tutti nella nostra quotidianità. Può rimanere sepolto nel fondo dei nostri pensieri, ma basterebbe solo ascoltare,
guardare, cercare di sentire oltre il nostro io, ciò che è vivo fuori di noi, intorno a noi, per farne l'esperienza. La Natura quindi, in tutte le sue manifestazioni, dagli animali, alle piante, ai minerali, e poi ancora il movimento del mare, la magia della notte stellata, la tenerezza di un fiore sul ciglio della strada. Ciascuna di queste piccole o immense cose è attraversata dal soffio della vita, da un'anima che è una per tutti, un unico grande respiro del mondo. Un tempo, quando l'individualismo e la tecnologia non si erano così
impadroniti delle nostre esistenze, questo respiro si poteva avvertire più chiaro, più netto. Ora invece per sentirlo dovremmo allontanarci dalle nostre città convulse e rumorose, raggiungere i deserti, gli oceani, le immense steppe, i luoghi dove ancora il buio e il silenzio sono protagonisti e solo allora ci troveremmo a stretto contatto con la Notte, con il Firmamento, con le distese immense e vuote che ci rimandano un'immagine di noi più piccoli, più indifesi, eppure più in sintonia con il Creato, in armonia con la Madre Terra. Un tempo la Terra era considerata Madre infatti e in quanto tale era sacra ed inviolabile; a lei era dovuto rispetto e timore. Ora il nostro pensiero, nel suo aspetto più tecnico e razionale, crede di poter fare a meno di questi concetti e lo scopo unico che ci muove sembra essere il profitto: ecco che allora la madre può essere violata, divisa, svenduta, così come ogni sua risorsa vitale. Più o meno quello che vediamo accadere ai giorni nostri quando quotidianamente assistiamo alla
Olimpiadi di Rio 2016, il bilancio «I nostri atleti mi hanno coinvolto, fatto tifare, sudare, rimanere deluso e gioire. Grazie azzurri» di Alain Sacilotto Si è conclusa da poco Rio2016, occasione per unirci sotto il tricolore, supportare i nostri ragazzi e restare incollati al televisore a gioire delle imprese o dispiacersi dei fallimenti. L’Italia mantiene il nono posto nella classifica ed il totale di ventotto medaglie, ma ne migliora la qualità grazie ad un maggior numero di argenti. Ci confermiamo combattivi nel tiro, nuoto, pallavolo, ciclismo e lotta; deludono un po' le attese su scherma e ginnastica mentre non pervenuta è l’atletica. Spettacolari i nostri “tiratori” che ci hanno regalato sette medaglie, delle quali quattro dorate con la super doppietta di Campriani. Sono rimasto felicemente sorpreso di vedere l’Italia eccellere in discipline delle quali, normalmente, non si sente parlare perché non fanno notizia sui
giornali con scandali o gossip. Questo a testimoniare che spesso è chi lavora nel silenzio, e non sotto i riflettori, a dare più soddisfazioni. Chi mi ha deluso invece è stata la Federica Pellegrini (nuoto): non giudico la persona, che sicuramente è la prima ad essere mortificata per il fallimento, però non concepisco le sue dichiarazioni. Con tutte le attenuanti del caso non capisco come un atleta possa “mancare” così l’appuntamento più importante. Mi è dispiaciuto invece per Vincenzo Nibali (ciclismo): si è alle-
nato tanto per arrivare pronto all’evento sportivo top e tutto è stato rovinato da una caduta, tutto in fumo in un istante e lacrime amare per la consapevolezza dell’occasione persa. A riscattarci però c'è stato un grande Elia Viviani che nell'Omnium ha portato a casa l'oro dopo 160 giri densi di adrenalina. La storia che mi ha colpito di più arriva dal beach volley, un altro sport del quale non si sente mai parlare. Sicuramente molti italiani hanno impostato la sveglia di notte per assistere e tifare il nostro duo Lupo-Nico-
distruzione del territorio naturale, allo sfruttamento fino all'estinzione degli animali, all'inquinamento dell'aria e dell'acqua, nostre fonti di vita. Ma l'Anima mundi rimane, è quel filo rosso che dalla notte dei tempi arriva fino a noi e non si spezza, che riaffiora, magari anche per un solo attimo, ma inequivocabilmente, mentre siamo con lo sguardo perso alle stelle, o cullati dallo stormire delle foglie nel vento o anche quando inspiegabilmente sentiamo forte nascere un desiderio dentro di noi. E questo perché anche il desiderio (la parola stessa viene dal latino "de-sidera" e cioè "dalle stelle") è un fenomeno che abita la nostra interiorità, ma che è legato alla volta celeste. C'è un unico respiro quindi per ogni cosa, ed è legato al respiro del Cosmo. Cerchiamo di "riconnetterci" allora con quell'armonia antica dalla quale veniamo e nella quale siamo destinati a vivere e a ritornare, rimaniamo legati a ciò che ci appartiene più intimamente, lì troveremo la nostra salvezza e il bene per tutte le cose. lai. L’Italia non era mai arrivata ad una finale olimpica e questi ragazzi ci hanno fatto sognare con una grande storia di sportività e valore umano. Infatti, solo diciassette mesi fa Daniele Lupo si trovava in un letto di ospedale a combattere contro un tumore osseo. Chapeau. La pallavolo maschile ci ha fatto sperare fino alla fine in un oro svanito contro il Brasile: un grazie di cuore alle palpitazioni che ci hanno fatto vivere “lo zar” e compagni. Mi sono esaltato anche con Gregorio Paltrinieri per l’oro nei 1500 metri stile libero ed è stato bello vedere un podio quasi tutto tricolore con Gabriele Detti al suo secondo bronzo. Infine sfido chiunque a non aver gioito per Tania Cagnotto che alla sua ultima Olimpiade, dopo aver vinto un grande argento insieme alla Dallapè sui tuffi sincro, dal trampolino tre metri si è regalata un ultimo bronzo che vale come l’oro, perché guadagnato dietro le aliene cinesi. La spedizione italiana è stata capace di coinvolgermi, farmi tifare, sudare, rimanere deluso o gioire durante queste Olimpiadi. Grazie ragazzi per tutto e, aspettando Tokyo2020, sempre forza azzurri!
L'APPROFONDIMENTO ————————————————————————
EDITORI A PORDENONELEGGE di Milena Bidinost La lunga crisi del mercato librario, iniziata nel 2011, dal 2015 ha cominciato a stemperarsi, ma sta succedendo molto lentamente, tanto che non è ancora tempo di dire che il peggio è passato. Nei primi mesi del 2016 il mercato del libro ha continuato a crescere, secondo i dati Nielsen per l’Associazione Italiana Editori (AIE) presentati a maggio al Salone internazionale del Libro di Torino nell’ambito del convegno Sarà tutta un’altra storia – Il nuovo inizio del XXI secolo. Un momento di analisi e riflessione organizzato dall’Aie. La spinta l'hanno data i romanzi d’amore, i libri sulla cristianità, i testi per la preparazione di esami e concorsi e al tempo libero e lifestyle. Come sottolinea un comunicato ripreso dalla testata on line “Il Libraio”, dopo il forte impulso al mercato complessivo del libro fornito dai libri per bambini e ragazzi, nel 2016 si cambia. Gli italiani, con i loro acquisti, si stanno spostando in altre parole su generi completamente diversi, lasciandosi alla spalle la fiction non di genere, il genere erotico, il food e drink che risultano i sottogeneri più frenanti per il mercato. I canali di vendita segnano un +0,1%, confermando la chiusura del 2015, in cui il dato complessivo annuale risultava del +0,7% e che, comprendendo gli e-book, raggiungeva il +1,6% (Stima Ufficio studi AIE). Il numero delle copie vendute resta a segno meno: 800mila libri di carta in meno (-3,4% rispetto allo stesso periodo del 2015), compensate, quasi certamente, dal maggior numero di italiani che si creano mix personali di carta e digitale, lettura su e-reader e sempre più smartphone. Nel 2016 cresce la non fiction specialistica, stabili i bambini e ragazzi, perde la fiction: una copia su dieci (in crescita) di quelle vendute in Italia in questi primi quattro mesi del 2016 sono testi di non fiction specialistica. Resta stabile il peso dei libri per bambini e ragazzi (più di 2 libri venduti su 10 nel 2016 riguardano questo genere, il 22%), la non fiction generale (la saggistica, 16%) e la non fiction pratica (guide, etc). Perde ancora terreno la fiction: oggi quasi 4 libri venduti su 10 riguardano ancora questo genere, ma in progressivo calo (si passa dal 38,9% del 2015 al 37,5% di quest’anno). I libri si
comprano sempre più in libreria: anche per il 2016 si segnalano andamenti altalenanti per librerie indipendenti, di catena e online. Nel 2015 il mercato ebook è cresciuto del 25,9% attestandosi su un fatturato di 51milioni di euro, pari al 4,2% del mercato trade. I titoli di carta pubblicati sono stati 62.250 (in diminuzione dell’1,8%); quelli digitali (nei diversi formati) raggiungono quota 62.544 (in crescita del 16,3%). Crescono dell’11,7% i titoli di cui si sono venduti all’estero i diritti. Se, secondo il “Rapporto sullo stato dell'editoria in Italia 2015”, l'ultimo disponibile e reso noto a gennaio dall'Aie, per il 2014 e il primo semestre del 2015 era opportuno parlare in termini prudenziali di “grande trasformazione che il settore sta attuando da solo” e di “cambiamento” che riguarda le regole, i processi produttivi e distributivi, i prodotti e i modi di informasi su cosa leggere e dove comprare, secondo i primi dati Nielsen relativi al 2016, sembra che gli editori possano, dopo anni, concedersi di essere vagamente “ottimisti”, ma con prudenza. La crisi non è passata e lo sa bene chi, soprattutto se piccolo editore indipendente come sono le case editrici pordenonesi del nostro approfondimento, che saranno presenti a pordenonelegge, Festa del libro con gli autori, continua ad affrontare ogni giornata lavorativa cercando di incidere nel mercato. Lo fa rispondendo ai bisogni e ai gusti dei propri lettori, selezionando opere, organizzando eventi, ampliando l'offerta e promuovendo la passione per la lettura e il bene che fa leggere. Editori che cercano di fare la differenza in un mercato che produce più di quanto si riesce a leggere. Nel 2015, secondo un'indagine condotta dall'Istat e pubblicata a gennaio di quest'anno, si stimava che in Italia il 42% delle persone di 6 anni e più (circa 24 milioni) avesse letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti l'intervista per motivi non strettamente scolastici o professionali. Il dato era in leggera risalita rispetto al 2014, dopo la diminuzione iniziata nel 2011. Il 9,1% delle famiglie non aveva alcun libro in casa, il 64,4% ne aveva al massimo 100. A leggere di più erano come sempre le donne (48,6%).
Biblioteca dell'Immagine, trent'anni di amore per il territorio Il 18 settembre a pordenonelegge evento dedicato all'anniversario della fondazione di Irene Vendrame In occasione dei trent'anni di fondazione di “Edizione Biblioteca dell'Immagine”, pordenonelegge presenta al pubblico la casa editrice pordenonese che distribuisce in tutta Italia e che ha seguito la manifestazione fin dagli inizi. Presente già al tempo del Salone del Libro in fiera a Pordenone, ha successivamente contribuito alla nascita di pordenonelegge e da allora ha mantenuto con la manifestazione un legame forte, gestendo le bancarelle del libro a chilometro zero in piazza XX Settembre. È questo uno spazio che offre al lettore un'occasione di scambio, oltre che con l'autore, anche con l'editore, una caratteristica unica ed esclusiva del festival pordenonese. Trent'anni dunque. A raccontarceli è Paola Tantulli, una delle anime della casa editrice. Com'è nata la Biblioteca dell'Immagine? È nata nel 1985, fondata da Giovanni Santarossa per pubblicare soprattutto opeL'ultima nata tra le case editrici del Pordenonese si chiama Bottega Errante Edizioni e si è costituita in seno all'omonima associazione culturale che dal 2011 organizza laboratori, eventi e letture sceniche. Ha la sede legale a Pordenone, presso “Quo Vadis. Libreria del viaggiatore”, e quella operativa a Udine. «Ci consideriamo – spiega Mauro Daltin, presidente dell'associazione – una casa editrice friulana, che lavora molto sul Pordenonese». Il marchio indipendente è nato nel giugno del 2015 con la prima pubblicazione, “Guarneriana segreta” di Angelo Floramo, un viaggio prosaico e suggestivo nell'antica biblioteca di San Daniele del Friuli. Entro fine anno il catalogo arriverà a contare sei libri in totale, mentre nel 2017 è prevista la nascita di altre tre collane. Pochi libri all'anno dunque, per scelta. «Crediamo – spiega Daltin – che ci sia la necessità di un'editoria più lenta e in libri di qualità che non restino nelle librerie
re sull'architettura (da qui il nome), oltre ad una collana di psicologia e alla collaborazione con “Le Giornate del Cinema Muto”. Aveva sede in corso Vittorio Emanuele a Pordenone, dove è rimasta fino al 1996. In seguito si è spostata in via Villanova di Sotto, fuori dal centro. Ingran-
dendosi, abbiamo iniziato a lavorare con Giovanni anche io e Massimiliano Santarossa. Il gruppo è rimasto pressoché lo stesso fino ad oggi. Quali sono i ruoli all'interno del gruppo di lavoro? I nostri ruoli si sono definiti con il tempo, anche in base
Bottega Errante e Samuele Editore, libri per passione Con l'Omino Rosso Edizioni sono le altre case editrici pordenonesi presenti alla Festa del libro di Milena Bidinost solamente un anno. Pochi dunque e promossi molto bene». Il debutto quelli della Bottega Errante lo fecero, ad essere precisi, nel 2012 grazie ad una collaborazione con Ediciclo Editore di Portogruaro dalla quale è nata “Gli erranti” una collana di reportage di viaggi «Ad un certo punto – spiega Daltin – ci siamo decisi a diventare indipendenti, fondando una nostra casa editri-
ce, era uno sbocco naturale di ciò che già facciamo da anni, promuovendo la lettura e la cultura». In piena crisi del mercato? «Il nostro – dice - è un settore eternamente in crisi e solo una grande passione e vocazione giustifica la fatica di investire in esso». La Bottega Errante Edizioni sarà presente, per il secondo anno, a pordenonelegge, nello stand del libro di piazza XX Settem-
alle nostre capacità personali. Giovanni Santarossa, che tra noi ha più esperienza, è l'editore: è quindi responsabile legale, si occupa in parte dell'amministrazione, segue lui stesso alcuni libri e supervisiona il lavoro generale. Massimiliano lavora alla grafica, affiancato da un paio di grafici esterni, mentre io mi occupo della parte amministrativa e commerciale, quindi seguo il percorso del libro a partire dall'uscita dalla casa editrice, inoltre porto avanti i libri delle autrici donne. L'ufficio stampa è seguito da tutti noi, perché ognuno ha diversi contatti. Collaboriamo con esterni, come per esempio, oltre ai grafici, il service editoriale e la tipografia Sartor, la quale lavora con noi sin dall'inizio. Qual è la vostra linea editoriale? La nostra più importante collana è “Caos”, inaugurata da Mauro Corona e Gina Marpillero, nata quando ancora non eravamo strutturati in modo definito, e quindi raccoglieva tutte le opere che avessero come filo conduttore il territorio (il Triveneto), ma gli argomenti e i generi rimanevano vari. Con il tempo si sono create varie collane, che dessero sempre attenzione al territorio: alla natura, alla montagna e agli animali, alla storia delle città e delle regioni. Inizialmente il territorio di cui ci occupavamo era il nostro, poi ci siamo resi conto che il nostro stile era molto bre. «La manifestazione – sottolinea Daltin – è l'appuntamento più importante per le case editrici del Nord est, esserci significa incrociare dei lettori attenti con cui confrontarsi e sfruttare un picco nelle vendite. Poi però il lavoro continua faticosamente tutto il resto dell'anno, cercando di seguire un mercato che cambia, nel modo di arrivare al lettore e nel modo di leggere». Sotto il tendone del libro a chilometro zero, altre due pordenonesi: l'Omino Rosso e Samuele Editore. Nata nel 2008, quest'ultima ha sede a Fanna ed è un editore indipendente specializzato in poesia, fatta eccezione per una piccola collana di narrativa molto locale, che tratta di storie di anziani. «La prima collana pubblicata – ricorda il titolare, Alessandro Canzian – ha riguardato i poeti pordenonesi del '900 ed è stata curata da me e dalla poetessa Ludovica Cantarutti. Abbiamo quindi aperto anche alla poesia contemporanea
apprezzato, perciò abbiamo deciso di riproporlo anche in alcune altre regioni d'Italia. Che caratteristiche hanno i vostri autori? Dato che noi non puntiamo a pubblicare libri per un'élite, ma per un pubblico popolare, devono avere le caratteristiche dei narratori, ossia devono essere in grado di coinvolgere il lettore. Sono più numerosi gli autori o le autrici e perché? Sono più numerosi gli autori. Le donne sono poche e spesso devono essere molto incoraggiate a scrivere, a mio avviso per un retaggio culturale, che vede più importanti per la donna il ruolo di moglie e di madre, mentre quello di lavoratrice e di autrice passano in secondo piano. Come vengono scelte le opere? A volte sono gli autori a mandarcele: noi le leggiamo e cerchiamo di capire se il genere e le caratteristiche rispecchiano la nostra linea editoriale. E' stato questo il caso di due dei nostri autori più importanti come Giancarlo Ferron, il guardiacaccia, e Umberto Mattino. In altri casi siamo noi che, in particolari occasioni, commissioniamo un libro agli autori e giornalisti con cui siamo in contatto: “Ne uccise più la fame” di Jori è nato così. Infine ci sono gli autori che già scrivono per noi e quindi hanno già un loro posto. e in generale puntiamo molto sugli eventi». La casa editrice ha anche una filiale a Bologna, diretta da Silvia Secco. A pordenonelegge è oramai presenza fissa, fin dal 2009 nella tensostruttura riservata agli editori e nel programma eventi. Mercoledì 14 settembre, alle 21 sotto la loggia del municipio, condurrà l'evento “Alla sera la poesia... Par liì zornadis di vint e di malstâ. Il gruppo Majaovski”. «Tutte le fiere alle quali partecipiamo – riconosce Canzian - sono un'occasione per incontrare i lettori, molto di meno per conoscere nuovi autori di qualità, che noi ricerchiamo con altri canali. Quanto alla crisi, sì ne abbiamo risentito anche perché il nostro pubblico è particolare, ma stiamo cercando di rispondere ad essa cambiando le regole del gioco: stiamo cioè cercando di dare nuovi motivi al nostro pubblico per acquistare i nostri libri e per questo, ad esempio, riapriremo a breve il corso di scrittura poetica».
Safarà Editore: inediti da Inghilterra, America e a breve anche dall'Europa Fondata nel 2008, ha preso il largo nel mercato nazionale da pochi anni. Dalla saggistica alla narrativa, punta su autori internazionali e di nicchia mai tradotti prima in Italia di Giulia e Rafael Ha un taglio internazionale la produzione editoriale di “Safarà Editore”, casa editrice nata a Pordenone nel 2008: distribuisce a livello nazionale, nelle librerie (meglio se indipendenti) e nelle principiali fiere italiane. Traduce e pubblica autori internazionali, per lo più saggisti, che non sono ancora “sbarcati” nel mercato italiano. Per la quarta edizione consecutiva, sarà presente anche a pordenonelegge. «All'interno della manifestazione - spiega Cristina Pascotto, responsabile editoriale della casa editrice - simboleggiamo una realtà che, pur avendo le radici nel territorio, ha una visione molto ampia e sicuramente la presenza del pensiero sull’animalità e la narrativa più obliqua». Com'è nata Safarà Editore? È nata da un progetto mio e di mio fratello Guido Giuseppe, direttore editoriale, al quale si è aggiunto in qualità di terzo socio anche Giuseppe D’Orsi, direttore artistico. Collaborano con noi inoltre Alice Intelisano in redazione ed Elisa Marini all’ufficio stampa. Meno di tre anni fa il progetto ha cominciato veramente a strutturasi, quindi siamo una realtà giovanissima. Le prime pubblicazioni sono state un fumetto di G. Maconi e la prima traduzione in
italiano, realizzata da me, di “12 anni schiavo”, biografia di Solomon Northhup che ci ha lanciato nel panorama nazionale e di cui Steve McQueen ha curato la prefazione. La nostra edizione è stata ritenuta da Il Manifesto e la Rai la migliore. In parallelo abbiamo fondato la collana “La Mano che Pensa”, dedicata ad Architettura, Filosofia e Scienze Cognitive, quindi “Animalia”, “Narrativa KEL”, “Giovani Adulti” e “Piccoli Saggi”. Ora dall'America e Inghilterra ci stiamo espandendo verso l'Europa. Nel 2015, infatti, abbiamo vinto un bando europeo per la pubblicazione di opere provenienti dai diversi paesi d'Europa, per cui ora abbiamo allargato il nostro team di traduttori ed autori e abbiamo in pubblicazione opere di autori Cechi, Irlandesi, Islandesi, Scozzesi, Bosniaci. Qual è la vostra linea editoriale? Non superiamo le dodici pubblicazioni annuali, perché crediamo che di più non sia gestibile, anche se non è facile perché la distribuzione richiede sempre più impegno. I nostri libri sono trasversali: rispetto alla narrativa, scegliamo romanzi che diano un contributo essenziale alla forma d’arte del
romanzo. Pubblichiamo quel romanzo e nessun altro perché eccelle in un segmento di realtà che ha catturato solo lui. Favoriamo quindi autori che rivelano qualcosa che prima non c’era. La saggistica è distinta da un’urgenza di attualità, che non è quella giornalistica, ma che riguarda un’epoca come ad esempio “Animalia”, che tratta dei diritti e del rapporto tra animali umani e non umani e ambiente in chiave etica globale. Rispetto alla narrativa, scegliamo libri che non scadano. I libri sono pronti all’incirca un anno e mezzo prima dell’uscita in libreria, così da curare ogni dettaglio dalla grafica alla promozione, alla distribuzione. Quello che ci rende unici è che abbiamo voluto tagliare tutti i nostri libri in obliquo, con una nota grafica alla fine che spiega il motivo: è un segno della nostra volontà di pubblicare libri trasversali, imprevedibili. Safarà Editore a pordenonelegge, quali sono state le ricadute? Il rapporto con la manifestazione è iniziato tre anni fa. Presentammo la collana “La Mano che Pensa”, nell’ambito dell’architettura, quindi, i saggi e poi la narrativa. Quest'anno verrà dato spazio ad “Animalia” con “Salvi” a cura di V. Sonzogni e “Mangiare la terra” di L. Kemmerer. Era inevitabile che ci incontrassimo in quanto realtà editoriale di un paese piccolo come Pordenone. Gli effetti non vanno considerati sulle vendite, ma sul rapporto editore-autore-pubblico. Per noi pordenonelegge rappresenta la chiusura di un cerchio: ci permette di capire quali sono i dubbi personali, interessi e ansia di sapere del lettore. Ci fornisce un campione di pensiero del nostro pubblico, così da aiutarci a capire ciò che le persone vogliono sapere per loro stesse e per la loro vita. È uno strumento utile per indirizzare le scelte editoriali.
Quando l'autore diventa il proprio editore L'autrice di “Fulmicotone”, che ha conquistato il web, racconta il suo “viaggio” nell'autoproduzione letteraria di Virginia Bettinelli In questi ultimi tempi, mi chiedono di parlare di Autoproduzione e D.I.Y. (Do It Yourself), ma la realtà è che il mio percorso è tutto casuale, io neanche lo sapevo di far parte di un “movimento rivoluzionario”. Sono concentrata sul mio tormento e la ricerca di un equilibrio. A me interessa il viaggio. Per esempio l’editore che avevo trovato l’ho mollato perché voleva cambiarmi la copertina e perché voleva legarmi con un contratto per cinque anni se avessi scritto ancora. Questo tempo per me era infinito. E quindi per rompere la gabbia, visto che “Fulmicotone” è nato libero e per liberarmi ho deciso di fare qualche stampa per gli amici. Me lo sono impaginato e l’ho spedito ad una tipografia a Vicenza perché me lo stampava con le alette. Ho barattato il libro con tutto. L’ho messo on line in versione eBook. La piattaforma scelta ha un servizio clienti fenomenale. Si tengono una percentuale e ti mandano il Cud per poter inserire i dati fra le Opere dell’ingegno del 730. Ad una presentazione un ragazzo ha Numerose sono le strade che un autore, soprattutto se alla sua prima pubblicazione, può intraprendere per coronare il desiderio di vedere il proprio manoscritto trasformarsi in un vero e proprio libro. La più classica è sottoporlo alla valutazione di una o, preferibilmente, più case editrici. Innanzitutto è importante scegliere accuratamente il destinatario, tra quegli editori che trattano il filone (narrativa, saggistica, poesia e via dicendo) in cui rientra il proprio scritto. E' preferibile inviarlo loro in versione cartacea, con in allegato la sinossi del testo. Fatto questo, bisognerà armarsi di pazienza ed attendere la risposta. La quale non è né scontata, né celere: numerose sono le opere che giungono tra le mani degli editori e mi-
cercato di fregare una copia perché credeva fosse una brochure (ma dai! Trecento pagine!) però ho deciso di darglielo lo stesso. Casualità ha voluto che lui lo portasse ad un attore, che invece si è rivelato il direttore Edoardo Fainello dell’Accademia Lorenzo Da Ponte di Vittorio Veneto (Tv). Il Direttore ha deciso di dargli nuova vita trasformandolo in un’opera teatrale. Noi abbiamo fatto un contratto con stretta di mano, l’unica mia richiesta: mantenere il titolo origina-
le. Quest’uomo ha chiamato le attrici più belle del mondo: Alice Bagna la piccola, Chiara Lotteri l’adolescente, e Nadia Brian la donna. Ed è nata una cosa che mi ha fatto lacrimare gli occhi di gioia per un anno interno, almeno. E non solo a me. Avendo Facebook, ho molti contatti nel mondo e ho deciso che se più di dieci persone mi avessero chiesto il libro in inglese lo avrei tradotto. Me lo hanno chiesto in quattordici. Ho chiesto un preventivo a dei professionisti per la tra-
Dal manoscritto al libro: come ti cerco un editore Scegliete l’editore, inviate l’opera e incrociate le dita. Se scatta la proposta di contratto, valutatene tutti gli aspetti di Cristina Colautti nuziosa la loro valutazione in funzione di un'eventuale pubblicazione. Se alla fine la propria opera avrà fatto breccia, scatterà la proposta contrattuale. Il rapporto autore – editore dovrà essere infatti regolato da un contratto di edizione. L'editore
otterrà la possibilità di sfruttare economicamente l’opera; l'autore cederà i diritti di sfruttamento in cambio di un compenso oppure, in alcuni casi, di un determinato quantitativo di propri libri. Nel contratto sarà stabilito il periodo di tempo durante il quale l’o-
duzione. Volevano un botto di soldi e quindi ho deciso di scegliere la formula del crowdfunding. Con questo mezzo, grazie al contributo che viene dal basso, piccolo ma di tanti, mi sono permessa di tradurre e pagare il traduttore linguamadre, e di stampare le copie da spedire a tutti quelli che avevano contribuito. C’è chi ha voluto delle lettere scritte a mano, chi il portafoglio con la scritta Bad Motherfucker, insomma c’erano varie ricompense in base all’offerta. Se volete andare a vedere: https://www. indiegogo.com/projects/fulmicotone-virginia-bettinelli#/. Utilizzo anche il Pos (Print On sale). Quindi on line si possono trovare l’eBook e la versione cartacea sia in inglese che in italiano. Però il mio viaggio è appena cominciato perché io “Fulmicotone” l’ho fatto riesplodere e gli sto dando una luccicanza tutta nuova grazie al percorso che mi ha portato all’approfondimento della preparazione editoriale di un libro. Mentre il nuovo “Badass Breakfast” sta fermentando.
pera potrà essere stampata e quindi “sfruttata” dall’editore: può essere un contratto a termine, edizione per edizione, oppure a tempo illimitato. Esistono poi anche contratti di cessione gratuita a termine e di cessione parziale dei diritti e contratti con contributo. Questi ultimi prevedono la pubblicazione di un testo a fronte di un contributo economico da parte dell’autore. Questa fase va quindi valutata attentamente: le formule contrattuali sono molteplici ed è importante che l'autore consideri tutte le variabili, come ad esempio gli aspetti della distribuzione e della promozione dell'opera. Prima di firmare, buona norma sarebbe quella di consultarsi con un giurista oppure sul web, dove ci sono siti specializzati in materia.
INVIATI NEL MONDO
La mia Russia, tra maestosità e povertà Viaggio con gli alpini di Pordenone per il ventennale di un asilo a Rossos di Angelo Basegio Rossos, una città di circa 60 mila abitanti della Russia sudoccidentale, sorta sulla riva sinistra del fiume Cërnaja Kalitva, nella seconda guerra mondiale fu sede del Corpo d’Armata Alpino Armir comandata dal generale Italo Gariboldi. Cinquant’anni dopo, nel 1993, gli alpini di mezza Italia costruirono un asilo, che ospita una cinquantina di bambini, nel rudere del palazzo per ricordare chi non è più tornato a casa. Nel 2013 mio padre mi chiese di partecipare, assieme al gruppo Ana di Pordenone, all’anniversario dei primi vent’anni di questo asilo. Fu così che conobbi la “mia Russia”, vi ci andammo dal 18 al 25 settembre di quell'anno. Nella mia vita mi ha sempre affascinato la storia e l'arte e visitare luoghi e città famose è stato bellissimo. Tra queste mi hanno colpito Mosca e San Pietroburgo per il loro sfarzo e benessere, ma ho notato subito la differenza appena fuori. Visitando Rossos, una cittadina in mezzo alla steppa, infatti, mi è sembrato di essere tornato indietro di cinquant'anni, per le case, le auto e l'e-
vidente povertà della gente. La visita più bella per me è stata quella al museo Hermitage. In futuro, inoltre, tornerò a San Pietroburgo città che vorrei visitare meglio e con più calma. Mosca La maestosa Mosca ci accolse per prima, appena scesi dall'aereo. Le dedicammo il primo giorno e per visitarla ci affidammo ad una guida locale. Dalle “Colline dei Passeri”, il panorama abbraccia gran parte della città, fino ad arrivare con lo sguardo anche alle “Sette sorelle”, sette grattacieli altissimi costruiti dal '47 al '57 in stile barocco elisabettiano. Nel cuore di Mosca, l'imponente Piazza Rossa con la Cattedrale di San Basilio, ora un museo, la facciata dei famosi magazzini Gum, edificio novecentesco, le mura del Cremlino, ex fortezza ora sede del Governo della Federazione Russa lambito dal fiume Moscova. Alla fine della piazza si trova il Mausoleo Lenin, padre della Rivoluzione russa, costruito in granito rosso arancione: custodisce in una teca di vetro la mummia del grande statista. L'antica strada Tverskaja è invece piena di negozi, caffè e ristoranti molto lussuosi e conduce alla prima stazione della metropolitana costruita da Lenin nel 1935 e ampliata nei vent’anni seguenti fino ad arrivare alle odierne 11
linee. Trasporta ogni giorno più di 10 milioni di persone. Visitammo tre stazioni, le più belle al mondo, costruite in marmo e granito con grandi lampadari in vetro e grandi statue in bronzo, piena dimostrazione dello stile architettonico del realismo socialista. La steppa. Lasciammo la capitale, per trascorrere la notte e il giorno seguente a Rossos, a 800 chilometri di distanza da Mosca, a dieci ore circa di viaggio in treno. E' un paesino disperso nella steppa russa con case molto modeste in legno, tetti in eternit dipinti di vari colori, mucche al pascolo per le strade, tante oche e piccoli orticelli qua e là. L'indomani riprendemmo il treno per Nikolajewka, oggi Livenka, che dista 136 km circa da Rossos. Al pomeriggio rag-
labaro nazionale con le 209 medaglia al valore militare ricevute dagli alpini negli anni. Davanti alle due bandiere nazionali italiana e russa, con i bambini che animavano la cerimonia, la direttrice dell’asilo ha chiesto agli alpini una mano per ampliare un'altra ala della struttura. San Pietroburgo. Il giorno seguente partenza per Sant Peterburg fondata dallo Zar Pietro Primo il Grande e considerata la metropoli più a nord del mondo, sorta sul delta del Neva davanti al golfo di Finlandia. Il piazzale delle colonne rostrate, il palazzo dell’Ammiragliato lungo il fiume Neva, la piazza Sant’Isacco, la fortezza di Santi Pietro e Paolo edificata nel 1703 su progetto di un italiano Domenico Trezzini poi residenza dei
giungemmo il fiume Don, l'ultima trincea difensiva degli alpini, e lì visitammo i campi di battaglia. In tutti questi posti non c’era un’anima viva, nulla, tranne ogni tanto un gruppo di Isbe, le tipiche abitazioni russe in legno. Le persone vivevano con veramente poco, lontano da frenesia e consumismo. La valle della battaglia. Giunti in cima alla valle della battaglia, di fronte a noi si aprì un grande cimitero ed una fossa comune dov’erano sepolti 800 alpini. Il 21 settembre, alla cerimonia commemorativa all’asilo c’erano circa 450 alpini, autorità locali e italiane, il presidente nazionale Ana tenente Sebastiano Favero con tutto il consiglio, il
Romanov ultimi Zar di Russia: fu una visita affascinante. Infine, l'ultimo giorno prima del nostro rientro in Italia, la visita al museo Hermitage detto anche “Il Palazzo d’Inverno” aperto al pubblico nel 1852 sotto la direzione personale dell’Imperatore: contiene più di 2500 quadri, tra cui le opere maggiori sono di Leonardo da Vinci, Caravaggio, Beato Angelico, Giorgione, Tiziano, Raffaello, Cézanne, Van Gogh e molti altri fiamminghi ed olandesi.
PANKAROCK
Sexto 'Nplugged, musica e suggestioni L'ultimo concerto della rassegna annuale all'abbazia di Sesto al Reghena ha portato la firma dei Daughter, trio britannico al suo secondo album, che reinterpreta note rock e folk in melodie malinconiche di Irene Vendrame Martedì 9 agosto, in Piazza Castello a Sesto al Reghena, si è tenuto l’ultimo appuntamento dell’undicesimaª edizione di “Sexto 'Nplugged”. I “Public Service Broadcasting” sono stati i primi a calcare il palco con la loro originale esibizione e, successivamente, è stata la volta degli attesissimi “Daughter”, i quali hanno raccolto un impaziente pubblico proveniente da molte parti d’Italia. La manifestazione di “Sexto 'Nplugged”, sostenuta da Regione, Provincia e Fondazione Croup, è cresciuta, accogliendo ogni anno, oltre ad artisti emergenti e talentuosi, un pubblico sempre più affiatato. Organizzando i concerti nella pittoresca piazza Castello, sulla quale si affaccia l’abbazia medievale, ha saputo mantenere al meglio il proposito del suo slogan: “Quando il luogo determina la musica”. Il connubio tra nuovo ed antico infatti conferisce al festival un’atmosfera unica, difficile da dimenticare o ritrovare in altri luoghi: la bellezza e la particolarità della location rendono il concerto un’esperienza artistica a 360° e, al contempo, le novità musicali mettono in luce la ricchezza storica ed artistica del borgo. Dopo la fine della prima parte del concerto durante la quale si è esibita la band di apertura, un gruppo dalle sonorità indie miste a musica elettronica proveniente da South London, sono saliti sul palco, tra le luci azzurre e violette, i tre membri dei “Daughter”: Elena Tonra, chitarrista, songrwriter, nonché voce del gruppo, Igor Haefeli, chitarrista, e Remi Aguilella, percussionista di origini francesi. Erano presenti inoltre i tecnici e un musicista di spalla, che si occupava della tastiera e della componente di musica elettronica. I tre artisti compongono il gruppo dal
2010 ed hanno al loro attivo ben due EP (“His Young Heart” e “The Wild Youth”) e due album, entrambi per la casa discografica indipendente britannica 4AD, nota per la produzione di musica alternativa. “If You Leave”, il primo lavoro, è uscito nel 2012, preceduto dal singolo “Smother”, ed è stato accolto benevolmente dalla critica, tanto che ha ricevuto diversi riconoscimenti nell’ambito della musica indipendente inglese. È proprio con il primo album che ho conosciuto questo gruppo, tramite il passaparola tra amiche, come spesso succede, e per me è stato un colpo di fulmine. Ho subito capito che quelle note avevano qualcosa di speciale, che mi avrebbero portato
ad ascoltare quelle canzoni ancora e ancora, soprattutto nei momenti difficili o di solitudine. Comunque è stato il secondo album “Not To Disappear”, uscito a gennaio di quest’anno, a marcare in modo definitivo il talento della band, che è riuscita ad evolversi nei suoni e nello stile. Si tratta di una tipologia musicale piuttosto originale, che reinterpreta note rock e folk in melodie malinconiche. Se dovessimo definire le differenze tra i due album potremmo notare che i brani del primo si trovano in uno stato ancora sperimentale, mentre nel secondo le canzoni sono come sgrezzate, riempite, in una parola: complete. A questo si uniscono i testi poetici composti da Elena
Tonra, ai quali la ventiseienne riesce a dare un’impronta estremamente personale, quasi viscerale, sia per quanto riguarda il contenuto, sia nell’interpretazione. La cantante, in numerose interviste, ha infatti dichiarato di aver sempre utilizzato la musica, studiata tra l’altro da autodidatta, fin da bambina, quando si è trovata ad affrontare problemi di bullismo a scuola. Anche da adulta, Tonra ricorre alla musica come mezzo efficace attraverso il quale esprimere tutto ciò di cui non riesce a parlare. Con queste premesse possiamo immaginare come gli argomenti ed i temi trattati nei suoi brani siano intimi, sentiti: amori tormentati, depressione, senilità. Ne parla con tanta dolcezza da indurci non solo a ripensare a noi stessi, ma a sentirci consolati. Il concerto, iniziato con i brani del nuovo album, si è concluso sulle note di “Smother”, la canzone preferita da Elena Tonra e, a giudicare dalla reazione, molto amata anche dal pubblico. Quest’ultimo si è dimostrato entusiasta dell’esibizione, che si è rivelata all’altezza delle aspettative, nessuno ha smesso di cantare insieme al gruppo, nemmeno quando hanno cominciato a cadere le prime gocce di pioggia. Fortunatamente il tempo è stato clemente e l’acquazzone si è riversato sulla piazza solo a concerto terminato. I fans che si erano raccolti ai cancelli per ottenere foto e autografi sono rimasti purtroppo delusi, ma hanno compreso la stanchezza e riservatezza del gruppo. Per quello che mi riguarda, esserci a questo concerto è stata quasi un’esperienza irreale, che mi ha portato dall’euforia alle lacrime, mentre cercavo di gustarne ogni singolo secondo: non capita tutti i giorni di trovarsi a pochi metri da una band che si ama! Non lo dimenticherò mai e spero di poter riprovare ancora le stesse emozioni, chissà, magari di nuovo a Sesto al Reghena.
RUBRICA LIBRI
«Non chiedete alla polvere, chiedete aiuto» Il libro di John Fante: una storia di alcol, droghe e turbamenti che attraversa le epoche di Antonio Zani Tempo fa, stavo rovistando in mezzo ad un mucchio di miei vecchi libri, alla ricerca di un volume che mi interessava rileggere. Fuori pioveva e come compagnia avevo messo un po’ di musica; un cd dei miei anni migliori, dei miei ricordi più belli ed indelebili di gioventù. Insomma, per farla breve cercavo quel “dannato” libro che non voleva farsi trovare ascoltando delle canzoni di Vasco Rossi. Il caso volle, che mentre lo stereo andava sulle note di una “vita spericolata”, mi capitasse tra le mani un romanzo di John Fante, precisamente “Chiedi alla polvere”. John Fante è uno scrittore della corrente letteraria americana “Beat generation”, uno dei tanti autori “maledetti” al pari di Nabokov, Kerouac, Ginsberg, Miller ed altri ancora, attivi perlopiù nella prima metà del secolo scorso; anzi, John Fante lo definirei il capostipite, il padre di questa corrente letteraria. Per me fu automatico collegare il tutto: il problema dell’alcol, i whisky bevuti in gioventù al “Roxy Bar” di Vasco a Bologna e le bevute abbondanti di Arturo Bandini, il protagonista del libro che
avevo tra le mani e sfogliavo appassionatamente alla ricerca di qualche passaggio dove scorgere la sua “amataodiata” fiamma, tale Camilla Lopez, sua spalla e co-protagonista di quella meravigliosa avventura racchiusa tra le pagine sgualcite di quel vecchio libro. La storia narra le vicende dell’italo-americano Arturo Bandini, scrittore alle prime armi, personaggio giovane, squattrinato e testardo nel voler un giorno divenire uno scrittore di successo, ma insicuro, umorale e dalla personalità a dir poco altalenante che affoga i suoi malesseri esistenziali in un mare di alcol. Ad un certo punto del racconto, il ragazzo bohémien incontra Camilla Lopez, bella e fascinosa afroamericana. Se ne invaghisce e tra loro nasce un rapporto controverso di “amore-odio” infinito, relazione turbata, deviata ed incrinata dai non pochi vizi di entrambi; alcol e droghe varie la fanno da padrone in questa avventurosa, tormentata ed affascinante storia, che poi tra l’altro, null’altro è che la “velata” autobiografia dell’autore stesso. Come si può ben intuire, la storia non avrà un
lieto epilogo. Mi sedetti a riflettere quel giorno, con quel volume tra le ginocchia… Pensai ad Arturo, a Camilla, a me, agli amici del gruppo in alcologia e a tutti coloro che hanno abusato, abusano o abuseranno in futuro di droghe e alcol. Ho pensato a quanto queste sostanze tolgano la facoltà di ragionare o perlomeno, nei casi meno gravi, alterino tale funzione, oltre ai problemi fisici impliciti a tali abusi. Ho pensato a quanti mali creino, a volte, quante vite distruggono, a quante famiglie allontanino, a quanti rapporti incrinino. Lì, tra le pagine incartapecorite testimoni del disfacimento di un potenziale sogno di amore e di gloria dei protagonisti, ho trovato parecchie connessioni con la nostra realtà di tutti i giorni. Già, tutte le droghe portano all’annullamento dell’individuo attraverso il lento ma inesorabile avanzamento dello stravolgimento della personalità, portando chi ne abusa a compiere atti inconsulti, a non ottemperare ai propri doveri personali e civici e a distruggere rapporti di vita anche già molto ben consolidati, fino al punto estremo di portare le persone al totale isolamento con se stesse in una dimensione alterata da dove poi, non a caso, insorgono problemi oltre che somatici anche psicologici di notevole entità. In altre parole ci si trova travolti dagli eventi, coinvolti in situazioni che hanno del paradossale, in mezzo alle quali, non ci si raccapezza più, non si comprende più cosa sia giusto e cosa non lo sia. Non si sa più o non si riesce più a chiedere aiuto; a chi poi? Alla polvere, forse…ma lì è la
fine! Ecco, fatte queste piccole e coincise riflessioni, io personalmente posso ritenermi fortunato, in quanto c’è stato qualcuno che mi ha teso la sua mano prima del “troppo tardi”. Ma penso a chi non ha nessuno, penso anche che qualcosa bisogna e si può fare. Sappiamo tutti che, sotto sotto, ci sono dei business enormi, sia per quanto concerne l’alcol che è legale che per quanto riguarda le altre droghe che sono illegali e sappiamo perfettamente anche chi tira le fila e gestisce tutto ciò. Però, permettetemi, c’è un però. Noi tutti possiamo fare nel nostro piccolo, qualcosa di immensamente grande, tramite una semplice parola: informazione. Facciamo in modo che le persone si rendano consapevoli del rischio che corrono, facciamo sì che abbandonino queste abitudini deleterie, facciamo in modo che la gente non si trovi il deserto davanti a sé e che non debba un giorno dover chiedere alla polvere.
PANKANEWS Si è concluso fruttuosamente il settimo anno consecutivo di collaborazione tra l’Associazione e la Festa in Piassa. Sette le aperture dello stand all’interno dell’area Skate Park quest’anno, con un totale di 120 alcol test effettuati, una cinquantina di alcol test monouso distribuiti, circa 200 preservativi distribuiti gratuitamente e realizzati sette tornei al gioco “…ma quante ne sai?”. Circa 400 le persone che in tutto si sono affacciate allo stand per chiedere informazioni riguardanti alcol e termini legali, prendere i giornali Libertà di Parola e le
Panka in “Piassa” 2016
“cartoline” realizzate dall’Associazione, che offrono informazioni utili sulle principali sostanze psicoattive in termini di prevenzione e safer use. Quattro gli educatori impiegati per gestire lo stand ed una tirocinante, che ha concluso la sua esperienza alla Panka proprio alla Festa. Si conclude quindi l’ennesima azione di prevenzione, sensibilizzazione e riduzione del rischio dei Ragazzi della Panchina. Anche questa è stata un’azione gratuita, rivolta alla cittadinanza per la salvaguardia della salute della persona e della popolazione.
IL PERSONAGGIO
Don Piergiorgio Rigolo, il cappellano amico dei carcerati Dal 2004 opera come guida spirituale all'interno del Castello di Pordenone di Federico Si muove con disinvoltura, ma sempre con rispetto, tatto ed umiltà dentro le regole di sicurezza imposte dal carcere cittadino. Incontra, ascolta, abbraccia chi, detenuto di nome, ma comunque e sempre uomo di fatto, lo incontra nel suo passaggio nella struttura carceraria pordenonese in attesa di processo o nel corso della sua detenzione. Don Piergiorgio Rigolo, passa e lascia il segno, parola di noi detenuti. Dal 2004 è cappellano al Castello di piazza della Motta. Presenza preziosa: guida il club degli alcolisti in trattamento Acat e il corso di canto per i detenuti. La messa che celebra
la domenica è semplice, ma coinvolge noi detenuti con le letture e i salmi. Don Rigolo si prodiga per tenerci uniti anche con il cineforum settimanale. Ai nostri famigliari fuori dal carcere porta la forza della speranza, di ricominciare, di dare un’altra possibilità a noi che li abbiamo delusi e fatti soffrire. Don, com'è diventato cappellano del carcere? Sono nato nel 1942 a Pescincanna di Fiume Veneto e, dopo un'infanzia felice e 13 anni di Seminario, nel 1968 fui ordinato sacerdote e cominciai ad esercitare la vocazione in alcuni paesi di
montagna, occupandomi di famiglie con disagi mentali ed alcolismo. Quando il vescovo mi affidò l'incarico di cappellano, accettai volentieri. Prima di allora, ero sempre stato indifferente quando passavo davanti al Castello. Che cosa ha capito della realtà del carcere e come la vive? In generale penso che il carcere non sia una struttura dove una persona che sbaglia nei confronti della società possa trovare un vero reinserimento: non ha elementi costruttivi, ma obblighi e regole da rispettare. Non ha un’anima e, quindi, non ha niente da offrire per un domani. Va tuttavia detto che il carcere di Pordenone è un ambiente familiare, dove mi permettono di entrare nelle sezioni ed entrare in contatto con i ragazzi e questo aiuta il mio compito di stare loro vicino da amico. Il carcere, quindi, secondo lei isola? Si, ed è per questo che io cerco di portare, con un saluto, una carezza, un po’ di serenità a questi ragazzi e di esaudire, nel possibile, le richieste che mi presentano come una telefonata ai loro cari, un po’ di soldi per chi
Volontari che accolgono Fondata nel 1991, Carcere e Comunità sostiene i carcerati e le loro famiglie di Andrea V. Italo Sist, ha 56 anni, è nonno di due nipotini e di professione fa il commerciante ambulante. Circa 25 anni fa conobbe don Luigi Tesolin, allora cappellano del carcere di Pordenone, grazie al quale entrò in visita al Castello. Per lui era la prima volta. Sist si racconta a noi con il sorriso sulle labbra: è una persona che, grazie alla fede, sa cosa vuole fare della propria vita. Anche per questo Italo all'epoca accolse la proposta di don Tesolin: questi aveva messo insieme volontari con il desiderio di raggiungere e supportare le famiglie dei detenuti. Nel 1991 l’idea di creare un’associazione, nel 1999 la costituzione di Carcere e Comunità (Acc), oggi composta da ventinove soci
attivi. All’interno del Castello, due volte alla settimana, si occupano della distribuzione del vestiario ai detenuti. Ma non solo. Sist, ad esempio, si impegna in colloqui personali di supporto morale. Don Piergiorgio Rigolo, subentrato a Don Tesolin dal
2004 nel ruolo di cappellano e attuale presidente del Acc, con il supporto di Mario Sartor ha inoltre organizzato un club alcolisti in trattamento Acat all’interno del carcere. La “missione” dell’associazione è stata sposata anche dalla Diocesi, che le offre un
non riesce ad acquistarsi i prodotti di igiene personale. Il male c’è quando il bene non esiste: fare del bene a chi ha fatto del male vuol dire trasmettergli dei valori. Il male porta ad arrabbiarsi, uno stato d'animo che non conduce a niente. Dobbiamo cercare, invece, di trovare sempre il bene che sta dentro noi e negli altri. I detenuti sono grati a lei e ai volontari che operano nel carcere, riferiscono che la sua presenza è spesso d'aiuto e di non avere mai visto un cappellano così umano nei loro confronti. Com'è cambiata la sua opinione su di loro? L’umiltà è un valore, credo fortemente nella speranza e che non bisogna fermarsi. Il rispetto va sempre dato e bisogna impegnarsi settanta volte sette prima di mollare. Le storie più tragiche con cui sono venuto in contatto sono quelle di chi porta il peso dell’assassinio, perché è irrimediabile. Togliendo la vita ad un’altra persona ci si porta dentro una condanna peggiore di quella inflitta dal giudice. Il mio compito non è di giudicare, ma di accogliere. Chi mi rattrista sono le persone abbandonate dai loro cari. sostegno economico, dato che l'Acc vive di provvidenza: i benefattori sono molti, compreso il Gruppo Iacopine, che deliziano i detenuti con biscotti e dolci di ottima qualità. Il 14 novembre 2014, a Cordenons nella casa di proprietà della Cooperativa Oasi data in comodato d'uso gratuito all'Acc, è nato anche il progetto Oasi2, coordinato da Sartor. La struttura ospita ex carcerati ed è un ponte tra il carcere e la libertà. L'Acc si occupa anche di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, attraverso convegni ed incontri, per rimuovere i pregiudizi verso chi ha commesso in passato dei reati, e dà supporto ai famigliari dei detenuti. Lo fa attraverso incontri in cui si dà loro la possibilità di condividere il proprio vissuto e le proprie sofferenze, in un ambiente libero da giudizi. Da parte nostra ringraziamo Sist, tutti i soci dell’associazione Carcere e Comunità e tutte le persone che la sostengono. Sanno tendere una “mano amica”, senza giudicare, ma sostenendo chi soffre.
NON SOLO SPORT
Gymnasium, quando il nuoto fa superare le barriere sociali Da dieci anni lo Special Team partecipa agli Special Olympisc. Vi fanno parte persone con disabilità mentali di Claudio Deiuri
Fin dalla sua nascita, esattamente quarant'anni fa, Gymnasium ha promosso diverse attività con lo scopo di sfruttare l’ambiente acquatico per superare limiti e barriere altrimenti invalicabili. Oggi molte persone con disabilità fisiche permanenti o temporanee sono seguite dagli esperti della riabilitazione del Centro di Fisioterapia Gymnasium. Oltre un centinaio sono invece le persone, adulti e bambini, con varie disabilità mentali che frequentano i quattro impianti natatori per svolgere attività in acqua sia individuali che di gruppo. Una decina di anni fa è nato lo Special Team, una squadra formata da atleti con disabilità intellettivo-relazionale che partecipa al programma sportivo Special Olympics ma, soprattutto, svolge attività integrate con gli altri ragazzi appartenenti ai gruppi sportivi della Gymnasium. Il programma sportivo Special Olympics è un programma internazionale di allenamento sportivo e competizioni atletiche per le persone, ragazzi e adulti, con disabilità intellettiva. È stato fondato a metà degli anni Cinquanta da Eunice Kennedy, so-
rella di John F. Kennedy, che ha dedicato la sua vita alla cura della sorella Rosemari, disabile mentale, e alla lotta per il riconoscimento dei diritti delle persone con deficit intellettivo. Nel mondo sono oltre 170 i paesi che adottano questo programma coinvolgendo oltre 4 milioni di atleti e organizzando più di 80.000 eventi ogni anno. La Gymnasium Special Team. Oltre che dagli atleti speciali e da un responsabile del team, Gymnasium Special Team è composta da un rappresentante degli atleti e da referenti per le aree famiglia, medica, psicologica, tecnica e volontari. Quest’ultimo settore è particolarmente importante per il gruppo in quanto un crescente numero di ragazzi, frequentanti la scuola media superiore, si avvicinano alla squadra e contribuiscono alla sua crescita sia sportiva, come atletivolontari, che di autonomia e inclusione. I componenti della squadra si allenano una o
due volta alla settimana nelle piscine di Pordenone, Aviano e Motta di Livenza. Tutti sono passati attraverso un periodo di lavoro individuale insieme a operatori specializzati. Gli obiettivi della prima fase non sono tecnici ma fondamentalmente relazionali e di autonomia rispetto all’ambiente nel quale si svolge l’attività. In seguito, con i tempi necessari e diversi gli uni dagli altri, gli atleti vengono gradualmente inseriti nel gruppo e nelle attività. Questo processo può durare anche anni. I benefici. Le persone con disabilità intellettivo relazionale ottengono benefici fisici dalla pratica dell’attività natatoria come qualsiasi soggetto che fa sport in maniera sana. Dal punto di vista comportamentale e cognitivo, i risultati sono stati altrettanto positivi: comprensione e svolgimento di compiti assegnati: diminuzione delle stereotipie; attenuazione dell’aggressività; migliore disponibilità al contatto fisico; migliore gestione dei tempi di attesa; aumento dei tempi di attenzione; autonomie (igiene personale, vestizione, sonno, distacco dalla famiglia); percezione del rischio; gestione della sessualità; gestione del gruppo; accettazione delle regole e gestione della fatica e dello stress. Le attività sportive. La stagione sportiva appena trascorsa ha coinvolto i componenti della Gymnasium Special Team in molte attività: dagli appuntamenti agonistici (l’ultimo in termini di tempo i “Play the Games” nazionali a Maniago) a quelli
di aggregazione con gli altri componenti dei gruppi sportivi Gymnasium (collegiale di allenamento a Febbraio a Piani di Luzza), dalla formazione (corso di rianimazione cardiopolmonare e uso del defibrillatore, corso di Lingua Italiana dei Segni) alle semplici iniziative di gruppo durante il fine settimana. Dai primi Giochi Nazionali di Monza in cui Gymnasium ha presentato quattro atleti, la squadra in poco più di sei anni è molto cresciuta ed è composta oggi da oltre trenta elementi tra atleti, tecnici e volontari. Atleti ed allenatori Questi gli atleti che compongono la squadra: Silvia Ballardin, Marco Antoniolli, Giuliano Aresu, Antonio Bormani, Martina Fort, Andrea Messina, Lorenzo Pigatto, Simone Romanin, Pierpaolo Santoro, Thomas Tacchelli, Alessandra Tamai, Zoe Toffolo, Nicolas Cadorin, Giosuè Toscano, Andrea Cancian, Barbara Bigatton, Diletta Da Ros, Giancarlo De Bortoli, Katty Cadamuro, Daniela Papes, Ivetta Susana e Riccardo Bazzo. Gli allenatori sono Giuseppe Basso, Debora Gasparetto, Luca Bortolin e Alberto Cenedese. Il futuro. Gli obiettivi per i prossimi anni sono aumentare ancora le opportunità per consolidare e fare crescere questo gruppo rafforzando un processo di integrazione tra lo Special Team e tutti gli altri gruppi sportivi della Gymnasium: la squadra agonistica, i gruppi propaganda, la squadra di nuoto sincronizzato . Fare crescere le opportunità di interazione con la scuola e tutte le realtà educative e di aggregazione esistenti nel nostro territorio. Tutti sono una risorsa per tutti.
LA STORIA
Gli ultimi scatti di Kennedy verso la presidenza degli Stati Uniti Seconda e ultima parte dello speciale inziato nel precedente numero di Ldp dedicato alle elezioni più incerte della storia americana di Emanuele Celotto Nel giugno del ‘60 il primo passo era fatto; anche se con un margine minimo, J.F. Kennedy si era aggiudicato le primarie. Ma adesso veniva il difficile. Vincere le presidenziali. Inizialmente l’opinione pubblica lo dava sfavorito e di parecchio. Per sua fortuna Eisenhower, avendo già fatto due mandati, era fuori gioco e questo era un bene, perché Eisenhower avrebbe seppellito qualsiasi candidato democratico. I Repubblicani non avevano un candidato del suo stesso spessore politico da proporre; sapeva che molto probabilmente sarebbe stata una corsa contro Nixon, già vice presidente durante i mandati di Eisenhower. L’altro poco probabile avversario avrebbe potuto essere N. Rockfeller. In America, è insolito che un vice presidente corra poi per la presidenza; la carica di vice presidente di solito segna l’epilogo di una carriera politica. Nonostante l’altisonanza del titolo, è una carica priva di qualsiasi potere decisionale. Però Nixon era molto conosciuto sia in Parlamento che all’estero. Kennedy sapeva che la prima cosa da fare era trovare un vice presidente che non lo facesse sembrare troppo liberal o un giovanotto inesperto. Aveva in mente vari nomi, ma tra i tanti, il più idoneo gli sembrava Lindon Jonshon. Aveva tuttavia paura di proporgli la vice presidenza; Johnson aveva un gran potere in Parlamento e dubitava che volesse rinunciarvi per una carica senza alcun potere. Inizialmente, tra i dubbi del suo staff, non lo considerò. Saggiò vari candidati. Ne escluse alcuni per motivi diversi, e alla fine, Humphrey e Symington gli parevano i più credibili: il più idoneo dei due gli sembrava Symington, per affinità di pensiero. Ma, dopo una delle sue innumerevoli apparizioni
in pubblico, venne informato da un componente dello staff di Johnson, che era stato consigliato (con successo) ad accettare la vice presidenza. «Insieme non possiamo perdere», fu l’esclamazione entusiasta di JFK appena lo venne a sapere. Gli propose subito la candidatura e Johnson accettò senza esitare. Era quello che serviva a Kennedy: una persona credibile ed affidabile, una persona a cui avrebbe potuto tranquillamente affidare il paese nelle sue mani quando i suoi guai fisici si sarebbero fatti sentire. Doveva però far accettare questa imposizione ad una frangia del partito che non era favorevole. Il discorso formale di accettazione di Johnson vice presidente fu semplice: «Siamo qui oggi, ai confini della Nuova Frontiera, la Frontiera degli anni ’60. Comincia ora un lungo viaggio, ho bisogno di voi, datemi le vostre mani, le vostre voci e il vostro voto». Le ultime parole quasi non si capirono tanto furono fragorosi ed entusiasti gli applausi. Kennedy sapeva che la prossima mossa da fare era ottenere l’appoggio totale di tutti i Democratici, soprattutto dei più influenti. Incontrò per prima Eleanore Rooswelt che non era pienamente convinta su di lui. Dopo quell’incontro cambiò idea. Harry Truman era in disaccordo sulla nomination; lo riteneva un giovane che doveva la sua fortuna politica ai denari del padre. Lo incontrò a Indipendence e dopo una mezz’ora di chiarimento in privato, uscirono assieme e davanti alla stampa dichiarando di essere contenti uno dell’altro (più di quanto lo fossero in realtà). Restava il problema religioso e il voto dei cattolici; se la base (i sacerdoti) era favorevole, le alte cariche lo vedevano troppo liberal e preferivano Nixon. Incontrò anche loro e riuscì (almeno
in parte) a trasformare l’iniziale freddezza dell’incontro in un tiepido calore finale. Bisogna aggiungere che il solido sud degli anni passati, per la sua dichiarazione: «Niente sconti sui diritti civili», era diventato meno sicuro. La campagna elettorale sarebbe iniziata il 2 settembre 1960 nel Maine. Lui ed il fratello Bob avevano maturato una buona esperienza per la campagna elettorale, fatta al tempo della sua corsa alla vice presidenza nel ’56. Una rete di diffusione nazionale con radicamento nel territorio. Inoltre possedeva una vasta conoscenza dell’avversario al punto che la documentazione raccolta prese il nomignolo di “Nixopedia”. Una nuova legge prevedeva l’obbligo di spazi gratuiti nelle maggiori compagnie televisive durante la campagna elettorale. Furono proposti quattro incontri congiunti tra Kennedy e Nixon dove i candidati avrebbero risposto alle domande dei giornalisti e commentato le risposte del rivale. Il primo incontro fu a Chicago (CBS), il secondo a Washington (NBC) e gli ultimi due (ABC) si sarebbero tenuti a New York e Los Angeles. Questi incontri furono chiamati dibattiti. Kennedy arrivò a Chicago il giorno prima del dibattito per prepararsi al meglio. Nixon invece si considerava un campione di dibattiti e contava di far apparire Kennedy come un novellino (alla fine degli anni ‘50, l’80 per cento circa degli americani aveva la televisione). Si presentò con l’abito grigio che gli aveva portato fortuna nel precedente dibattito. Nello schermo in bianco e nero Nixon però risultò sfocato, quasi inesistente, mentre Kennedy col suo abito blu scuro e camicia azzurra sembrava il personaggio autorevole. Agli spettatori parve chiaro che il vincitore era Kennedy, ma chi ascoltò
il dibattito per radio trovò la voce di Nixon più convincente. Gli altri dibattiti televisivi si risolsero più o meno allo stesso modo: Kennedy sembrava giovane e vincente mentre Nixon appariva grigio e cupo. Intanto J.F.K. e il fratello Bob avevano pianificato i piani di viaggio per potersi presentare nel maggior numero di città. Kennedy tenne comizi in 44 stati e 237 città durante la campagna elettorale. Non gli piacevano le banali pose per le foto e i discorsi di maniera. Lui amava la folla quasi volesse parlare con tutti, stringere mani. Verso la fine della campagna elettorale il New York Times decise di appoggiare apertamente Kennedy. Nei suoi innumerevoli viaggi quando era al sud preferiva parlare nelle Università e cercava di non apparire troppo liberale evitando il più possibile l’argomento diritti civili. Quando venne arrestato e condannato a quattro mesi di lavori forzati Martin Luther King, Kennedy telefonò alla moglie Coretta e si prodigò per farlo uscire, incurante del fatto che la cosa potesse danneggiarlo o meno. Kennedy descriveva gli anni '50 come un modello troppo conformista ed ingessato, però non attaccò mai Eisenhower che aveva ancora un alto gradimento. Intanto Nixon era deciso a dimostrare di essere un personaggio politico forte e vincente senza avvalersi dell’appoggio di Eisenhower. Si decise a chiederne l’aiuto quando i sondaggi lo davano un bel po’ sotto Kennedy. L’intervento e i discorsi di Eisenhower in suo favore riequilibrarono la sfida. Arrivò il 6 novembre giorno della votazione; oltre ad essere una scelta tra Democratici e Repubblicani, era la scelta tra il continuare ad essere i placidi azionisti di minoranza di un sistema conformista (Nixon) o il voler guardare oltre, varcare “la nuova frontiera” aprirsi a tutte le nuove idee: artistiche, musicali, ideologiche ecc. I vari exit pool non davano certezze. Alla fine della giornata regnava ancora l’equilibrio. Esausto JFK andò a coricarsi. La mattina fu svegliato dalla cameriera con: «Buongiorno signor Presidente». Ce l’aveva fatta. J.F.Kennedy era il nuovo presidente degli Stati Uniti d'America. Aveva vinto con un margine di 118.000 voti su 68,5 milioni. Resta tuttora l’elezione più incerta avutasi negli Usa.
Hanno collaborato a questo numero
LDP - LIBERTÁ DI PAROLA Giornale di strada dei Ragazzi della Panchina ad uscita trimestrale o quasi
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Cristina Colautti È arrivata in sede in punta di piedi, adesso non le sfugge niente, anzi. Dottoressa in sociologia Bis, porta a casa un 110 e lode a mani basse! Pare che “ansia” sia il suo secondo nome, ed infatti è la nostra donna per Codice a s-barre, così almeno lì, si sente al sicuro!
Andrea Lenardon Tirocinante, educatore, psicologo, operatore psichiatrico, giocatore di calcetto da tavolo, giocatore di Ping Pong, amico. Si arriva alla Panchina per un motivo, si fanno mille altre cose, si vivono mille mondi, diventi mille vite. Il tirocinio finisce ed un po’ non finisce mai, se ne andrà dalla Panka ed un po’ non se ne andrà mai.
Alain Sacilotto Avete presente l'espressione "Bronsa coverta"? Eccola qua la nostra nuova penna! La sua timidezza nasconde un infuocata sete di sapere! Dietro ogni ostacolo c'è un domani, dentro ogni persona ci può essere una miniera di gemme preziose. Lui ne è l'esempio: forza, coraggio, acume e personalità da vendere. Del resto solo così si può essere amanti del verde evidenziatore e innamorati fedelmente dei colori Giallo-Blu del Parma Calcio. Che dire... Chapeau!
Registrazione presso il Tribunale di Pordenone N. R. G. 1719/2008 N. Reg. Stampa 10 del 24.01.2009 Direttore Responsabile Milena Bidinost Capo Redattore Cristina Colautti Redazione Massimo Galiazzo, Angelo Brega, Ubaldo, Gianluca, Piero, Federico, Patty Isola, Andrea S., Alessandra, Paola Doretto, Alain Sacilotto, Andrea Lenardon, Irene Vendrame, Giulia, Rafael, Virginia Bettinelli, Angelo Basegio, Antonio Zani, Andrea V., Claudio Deiuri, Emanuele Celotto, Chiara Zorzi, Stefano Venuto, Marta Quarin, Guerrino Faggiani. Editore Associazione I Ragazzi della Panchina ONLUS Via Selvatico 26, 33170 Pordenone Creazione grafica Maurizio Poletto
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Andrea S. Quando la storia della tua vita è un film di Tarantino, quando decidi che la voglia di vivere diventi il finale del film, quando tutto questo è condensato in un unico uomo, all’accendersi delle luci in sala non puoi che applaudire il protagonista. Fa dell’informatica la sua ragione di vita e per ora riesce con grande stile ad accendere il computer! In miglioramento!
Impaginazione Ada Moznich
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Patty Isola L’immagine che la identifica è quella di un folletto. Eterea, nel bene e nel male mai banale, sfuggente, pungente, che appare dal nulla lasciando segni colorati di pennelli e sensibilità per poi scomparire nel suo mondo. Mondo che un po’ la protegge ed un po’ la mangia.. ma i folletti vivono così, ricercando equilibro dentro la rischiosa magia del buio.
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Milena Bidinost Il direttore non si discute, si ama. Penna libera, riesce ad immergersi nella bolgia dell’Associazione con delicatezza e costanza, impegno ed esperienza. Quando le parli ti chiedi se le tue parole finiranno in un articolo! Ma confidiamo nella sua amicizia
Stampa Grafoteca Group S.r.l. Via Amman 33 33084 Cordenons PN Fotografie A cura della redazione Foto a pagina 5, 6 e 7 dal sito: http://commons.wikimedia.org/wiki/ Main_Page Foto a pagina 6 e 7 di Andrea S. Foto a pagina 10 e 11 a cura delle case editrici Foto a pagina 12 di Virginia Bettinelli Foto a pagina 13 di Angelo Basegio Foto a pagina 14 dal sito della Band Foto a pagina 17 di Claudio Deiuri Chi vuole scrivere, segnalare, chiedere o semplicemente conoscerci, contatti la redazione di LDP: info@iragazzidellapanchina.it
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Irene Vendrame E’ arrivata in redazione una cucciola! Giovanissima, timida e delicata, ma altrettanto determinata e ambiziosa. Sogna di diventare una famosa giornalista come Oriana Fallaci, così è stata arruolata da LDP per farsi le ossa. Benvenuta Irene!
Paola Doretto Lettrice d’altri tempi, si narra che abbia dichiarato che ci sono troppi pochi autori al mondo per fare in modo che lei riesca a leggere sempre libri nuovi! Si spende ogni giorno per cercare di dare il proprio contributo verso un mondo più giusto e quindi, con naturalezza, scrive sul nostro giornale.
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Emanuele Celotto Scrittore, nuotatore, scacchista, attore. Presenza morbida e mai sopra le righe, nonostante questo difficilmente non fa quello che pensa. Con la caricatura l’omaggio dell’affetto per lui nella folta chioma, ormai ricordo di antichi fasti e disavventure inenarrabili
Questo giornale é stato reso possibile grazie alla collaborazione del Dipartimento delle dipendenze di Pordenone Associazione i Ragazzi della Panchina ONLUS Via Selvatico 26, 33170 Pordenone Tel. 0434 082271 email: info@iragazzidellapanchina.it panka.pn@gmail.com www.iragazzidellapanchina.it FB: La Panka Pordenone Youtube: Pankinari Per le donazioni: Codice IBAN: IT 69 R 08356 12500 000000019539 Per il 5X1000 codice fiscale: 91045500930
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Claudio Deiuri Così come l’acqua, che è sostanza della sua esistenza, genera e mantiene la vita, anche lui affronta il genere umano con la volontà di comunicare che la bellezza del vivere è una conquista, da affrontare e mantenere tramite la gioia. Non conosce il “no” e se lo usa è per dire “..no no, si può fare..”. Non si pone limiti, proprio come l’acqua.
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Rafael Proviene da mondi caldi, riempiti da musiche, danze, sorrisi e sole. Arriva a Pordenone.. e capirete bene che una persona, in un modo o nell’altro, qualcosa si deve inventare! Entra in sede con delicatezza, disponibilità e vestiti puliti.. nuovo educatore della sede? chiedono i più.. lui sorride e dice: no, già sofferto abbastanza!
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Giulia Educatrice di professione… ma non alla panka. Conosce il grigio di casa sua e viaggia cercando mondi caldi, riempiti da musiche, danze, sorrisi e sole. Dove credeva potesse esserci solo grigio, incontra Rafael, che diventa il suo sole. Buon viaggio assieme ragazzi, qualsiasi tempo troviate.
La sede de I Ragazzi della Panchina é aperta dal lunedí al venerdí dalle ore 13:00 alle 18:00 Si ringrazia per il sostegno:
SE NON SCALI LA MONTAGNA NON TI POTRAI MAI GODERE IL PAESAGGIO PABLO NERUDA
I RAGAZZI DELLA PANCHINA CAMPAGNA PER LA SENSIBILIZZAZIONE E INTEGRAZIONE SOCIALE DE I RAGAZZI DELLA PANCHINA