Ldp 4:2015

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APPROFONDIMENTO

Fumettomania

Libertá di Parola 4/2015 ——

Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire)

La provincia di Pordenone è un'oasi felice per il fumetto, l'arte di comunicare fondendo insieme in narrazione testi ed immagini. Quì si contano più fumettisti professionisti di qualsiasi città italiana. L'altro dato significativo è che da decenni, grazie ad un dialogo intergenerazionale, sono i giovani a costituire le colonne portanti del fumetto indipendente ed autoprodotto. In entrambi i casi le parole d'ordine sono: immaginazione e sperimentazione. a pagina 9

CODICE A S-BARRE

I nostri hobby, dal cilismo alla musica, all'automobilismo a pagina 4

APPI PAPI

La mia folle vita da padre a pagina 7

BUON COMPLEANNO ... RAGAZZI ! di Stefano Venuto Ogni anno alla Panka ci sono una miriade di cosa da progettare, realizzare, affinare, sperimentare ed anche consolidare. Quando ad inizio anno si fa il punto del pregresso e si programmano le azioni future, si susseguono momenti concitati, dove ognuno di noi pensa a cosa sarebbe meglio fare, cosa modificare, cosa inventare. Non è scontato trovare un accordo immediato, trovare una linea comune d’azione è un processo. Quando però, quest’anno, ci siamo accorti che correvano i 20 anni dalla formazione del gruppo che ha dato vita poi all’Associazione, ci siamo detti: «Dobbiamo festeggiare: si. Dobbiamo realizzare qualcosa che resti nel tempo: si. Facciamo un libro: si». Ecco, da questa unanime volontà è partito il percorso che ci ha portato alla realizzazione del

libro “I nostri primi vent’anni. Storia di un sogno“ e a realizzare, il 22 ottobre scorso all’Ex Convento di San Francesco a Pordenone, la festa di compleanno, con la presentazione del libro stesso e con il concerto dell’Ensemble “La Frontera” Mistral Vento di Passioni. Abbiamo regalato alla città, ai presenti, a noi stessi, un momento, un’occasione, una condivisione per dirsi grazie e per dirsi scusa. Grazie perché senza nessuno in ascolto non c’è nulla da raccontare; scusa perché spesso le risposte ed i racconti sono stati feroci, taglienti. Da questo mondo di emozioni all’estremo siamo arrivati ed in questo mondo di emozioni all’estremo continuiamo ad esistere. L’occasione per stare assieme ha voluto essere però un terreno amico, dove la cultura detta le sue regole e racconta le sue storie senza

pregiudizi e senza diversità, ottenendo risposte che sono proposte di miglioramento. Il sogno è il collante di tutto. Il sogno è stato la forza per iniziare, ha dato alla partenza la dimensione del “nostro”, ci ha accompagnati nei primi agiti, che ci hanno fatto conoscere, capire, apprezzare o anche solo accettare, ha arricchito i 20 anni di quella sana instabilità che ci ha permesso di diventare “storia”. Il sogno è anche la via grazie alla quale sogniamo i nostri prossimi 20 anni, storia di sogni, perché a sognare azioni che diventano realtà si produce storia, che genera la scintillante potenza da cui noi proveniamo e verso la quale tutti noi tendiamo, la cultura. Questa è l’Associazione “I Ragazzi della Panchina”. continua a pagina 2

INVIATI NEL MONDO

La Svezia vista in quattro giorni a pagina 13

PANKAROCK

La Dave Matthews Band in concerto a pagina 14

NON DOLO SPORT

Parkour, cos'è e dove si pratica a pagina 16


IL TEMA

Un rifiuto, che si è и trasformato in amore «Ero contraria alla sede dei Ragazzi: li ho conosciuti e ho cambiato idea» di Graziella Zambon Sono Graziella Zambon, sposata Boccalon. La mia storia con I Ragazzi della Panchina prende il via alla fine degli anni Novanta, quando in città si inizia a parlare dell’idea di aprire una sede per quest’associazione, proprio vicino all’istituto Don Bosco, ma soprattutto adiacente a dove io e mio marito avevamo un negozio di alimentari. Eravamo assolutamente contrari a questa iniziativa, ed il nostro primo pensiero, condiviso da tutti nel quartiere, è stato: «Siete matti ad aprire la sede qui!». Inoltre anche i clienti del nostro negozio ci dicevano: «Vedrete che perderete i clienti, perché non verranno a spendere in un negozio dove vicino ci sono i drogati». E noi, che dovevamo lavorare, ci siamo schierati contro l’apertura della sede. Questa dell’associazione era una cosa nuova per noi ed eravamo ignoranti in materia,

non capivamo cosa sarebbe successo. Ci immaginavamo, però, la presenza costante di drogati che passavano il loro tempo bevendo birra, dalla mattina alla sera. Io e mio marito, pertanto, abbiamo deciso di fare una petizione contro l’apertura di questa sede ed abbiamo raccolto le firme tra i vicini di casa, i clienti del nostro negozio e le persone che frequentavano il Don Bosco, che dovevano portare i bambini in asilo e che, per questo, avrebbero dovuto passare davanti alla sede. Per un anno abbiamo sostenuto con forza questa nostra “battaglia” contro l’apertura della sede: siamo andati agli incontri organizzati dal Vescovo e dal Comune, abbiamo realizzato riunioni nel quartiere e perfino una fiaccolata dietro l’ospedale. Quest’idea era, infatti, un’indecenza! Nonostante la petizione e le discussioni, la sede

de I Ragazzi della Panchina è stata comunque aperta. (…) Un giorno una decina di ragazzi hanno iniziato a ripulire la cancellata della sede, che era in pessime condizioni, e abbiamo avuto modo di osservarli. Era una giornata caldissima, così ho detto a mio marito: «Roberto, senti, fa davvero caldo, quelli sono lì a grattare la ringhiera sotto il sole, a me fanno pena». E mio marito: «Lascia stare, non immischiarti». Gli ho risposto: «Io vado fuori!... quanti sono? dieci? Perfetto, dieci coca-cola fresche e qualche crostino con il prosciutto». Ho preso un vassoio e sono uscita in strada e mi sono avvicinata dicendo: «Ragazzi, ho visto che lavorate come i muli, non vi vedo mai, almeno prendete qualcosa da bere». Andrea, l’operatore del tempo, ha insistito perchè entrassi nella loro sede e così, per la prima volta, mi sono trovata den-

tro a quella casa con questi ragazzi che non conoscevo, come non conoscevo tutti i loro problemi. Da quel giorno è nato un legame, un’amicizia così grande da non riuscire ad immaginare. È così che io e mio marito abbiamo cambiato idea su di loro. (…) Lo ammetto, da contraria che ero, ho cambiato idea, anche grazie ai confronti avuti con il dottore Alessandro Zamai e alle riunioni in cui si spiegavano gli obiettivi del gruppo e della sede de I Ragazzi della Panchina. Negli anni Settanta, nel quartiere, ogni famiglia aveva un ragazzo con problemi di droga. Parliamo di ragazzi di 15-16 anni di buona famiglia, che però venivano visti come disgraziati. Io e mio marito, che non avevamo figli, condannavamo questi giovani. Ma bisogna anche ammettere quando si sbaglia. Dopo averli conosciuti, infatti, ho visto la

continua dalla prima pagina

ressa Roberta Sabbion, direttrice del Dipartimento per le Dipendenze di Pordenone, il direttore generale dell’Aas n°5 Paolo Bordon ed il dottor Alessandro Zamai, medico del Ser.T di Pordenone e referente del Servizio per l’Associazione. Poi ancora sono intervenuti il sindaco di Pordenone, Claudio Pedrotti, e il vice presiden-

te della Regione Friuli Venezia Giulia, Sergio Bolzonello, già sindaco di Pordenone dal 2001 al 2011. Presenti in sala c’erano rappresentanti del Comune di Pordenone, dei Servizi Sociali del Comune di Pordenone, dell’Ambito Urbano 6.5, dell’Aas n°5, del Terzo Settore e dell’associazionismo locale. Importante sottolineare

la presenza di una ventina di ragazzi della Comunità Terapeutica “La Piccola” di Conegliano che si sono organizzati, assieme agli educatori, con furgoni e macchine per partecipare alla serata. Questo straordinario regalo, inaspettato, ha impreziosito ulteriormente una serata dalle emozioni forti. Oltre a tutti loro c’era poi la

La serata del 22 è stata emozionante. Presenti circa 120 persone con i più svariati ruoli, interessi, significati. Partendo dai rappresentanti politici e dei Servizi che sono saliti sul palco per portare la loro voce rispetto al legame con l’Associazione nominiamo la dotto-


disperazione che c’era dentro di loro, nelle loro anime e, da cattolica credente, mi sono pentita, sono andata in chiesa, ho pregato e ho detto: «Signore perdonami. Io cattolica, credente, mi sono permessa di criticare gli ultimi». Questa è la mia esperienza, che è partita da un rifiuto, ma che poi è diventata Amore. È stata una lezione di vita, perché in ogni famiglia ci sono cose che vanno e che non vanno, ma da quella volta ho capito che non bisogna mai giudicare, bensì comprendere, pregare e cercare sempre di far funzionare le cose. Io l’ho fatto dopo questa esperienza, che mi ha dato tanto e che probabilmente mi ha aiutata ad affrontare anche la morte di mio marito. Per la chiusura della sede ho pianto, perché quando aprivo le finestre non vedevo più i ragazzi che mi salutavano, che si fermavano a parlare; mi facevano una grande compagnia. Alla fine, erano come i miei figli. Dopo averli conosciuti agli amici, ai clienti, alla gente del quartiere ho sempre detto: «Tutto quello che abbiamo fatto, anche se per il bene, era sbagliato. Questi sono ragazzi che hanno bisogno di aiuto e di una sede!». Adesso mi manca vederli, mi mancano le chiacchierate che venivano a fare in negozio. Adesso, questi ragazzi che erano diventati la mia seconda famiglia, mi mancano da morire. cittadinanza, la gente, i nostri ragazzi, insomma c’erano tutti quelli che sono il nostro terreno di battaglia e di conquista, senza i quali nulla di questi primi 20 anni sarebbe stato possibile e grazie ai quali la storia è diventata la nostra storia. Una mezz’ora per presentare il libro, per dire de I Ragazzi della Panchina e poi il concerto dei nostri amici, La Frontera, meravigliosi autori di musica che parte e arriva all’anima, da sempre presenti ad ogni nostro evento importante. Degna conclusione di una vera festa di compleanno, la torta. La pasticceria Cossetti ha realizzato una vera e propria opera d’arte, confezionando una torta di quasi due metri di lunghezza per 50 centimetri di larghezza con tanto di loghi e di scritte. I nostri primi 20 annii sono stati scritti e festeggiati, adesso abbiamo la responsabilità di costruirne, scriverne e festeggiarne ancora.

LA NOSTRA STORIA SCRITTA DAI GIORNALI Dalle pagine della cronaca nera, ad essere promotori di un cambiamento culturale di Sara Lenardon Anni ’80: il consumo di sostanze diventa un problema di massa. In questo contesto, anche la città di Pordenone si trova a vivere significativamente il disagio tanto da essere dichiarato “problema di ordine pubblico”. I protagonisti sono loro, quei ragazzi che, iniziando come gruppo spontaneo, oggi a distanza di vent’anni sono conosciuti come “I Ragazzi della Panchina”, messi in primo piano in molte pagine dei giornali. Erano gli anni ’90 quando a Pordenone si parlava di “emergenza morti” legati all’uso di sostanze e alle malattie ad esse correlate; i giornali in quegli anni presentavano il problema in maniera eclatante, la modalità di scrittura per lo più fredda e indifferente nei confronti della situazione pordenonese. Come a specchio dell’opinione cittadina, l’attenzione mirava ad evidenziare le molteplici morti da overdose o gli episodi di disordine pubblico legati allo spaccio e ai reclami per quanto riguardava la scarsa sicurezza dettata dal caos del momento. La cronaca nera della Pordenone di vent’anni fa metteva in risalto una città divisa in due mondi tanto lontani quanto vicini perché conviventi; vigeva un clima di paura della diversità e di giudizio dettato, probabilmente, dalla poca conoscenza dell’argomento “tossicodipendenze”. Tra il ’95 e il ’96 la distanza iniziò ad assottigliarsi grazie a un primo spiraglio di speranza dato dall’incontro, richiesto dai ragazzi, con il poeta Andrea Zanzotto. In tale occasione i giornali non mancarono di mettere in risalto il riscontro positivo che l’iniziativa aveva avuto, toccando nel profondo non solo i ragazzi ma la cittadinanza stessa. Trovandosi a dialogare sui temi della morte, della dignità e della vergogna, Zanzotto catturò infatti l’interesse generale e risvegliò in tutti i presenti degli interro-

gativi e delle riflessioni che crearono una situazione di accomunamento di pensiero senza precedenti fino a quel momento. Da quell'incontro cominciò un percorso ricco di sfide e di mete che permise di creare qualcosa di duraturo tra i ragazzi e le diverse dimensioni della società pordenonese; infatti, a partire dalle collaborazioni con i servizi, con gli enti pubblici, le istituzioni e con la cittadinanza, nel 1999

venne costituita l’Associazione Onlus “I Ragazzi della Panchina” e nel 2000 la Panchina, trovò la sua prima “casa” in viale Grigoletti. Il “sì” dato dal Comune all’epoca portò a diverse polemiche da parte delle forze politiche e a molte titubanze nell’accoglienza da parte degli abitanti circostanti viale Grigoletti, allo stesso tempo c’era chi, come l’Azienda Sanitaria e la comunità ecclesiale, riteneva importante creare delle condizioni il più ottimali possibili affinché la sperimentazione avesse successo. Dall’apertura della sede fino al 2009, il gruppo promosse molte iniziative di informativa, sensibilizzazione e collaborazione; ma in quell’anno si presentò una nuova sfida, ovvero il primo avviso di sfratto dalla sede. I media locali ne parlarono molto mettendo in luce il caso e descrivendone le diverse sfumature: i tentativi di rinvio, la protesta da parte dell’Associazione stessa e an-

che i diversi commenti degli abitanti di viale Grigoletti che negli anni avevano imparato a conoscere e rispettare quel gruppo di ragazzi che inizialmente rifiutavano. Dopo un iter lungo tre anni, nel 2012, la sede venne definitivamente chiusa e l’Associazione si trovò, probabilmente, ad affrontare il suo periodo più difficile. È in questi anni che emerse maggiormente agli occhi dell’opinione pubblica la manifestazione di solidarietà nei confronti del gruppo da parte di tanti che sostenevano quella che il Gazzettino definì la “Battaglia per una sede che risollevi la panchina”. Fu evidenziato infatti l’impegno della città nella restituzione di un luogo d’incontro per il gruppo e come in questa lotta presero parte anche diversi volti famosi della cultura e dello spettacolo che, collaborando con l’Associazione, ne riconoscevano l’importanza nell’essere diventata un punto di riferimento per tante forme di disagio. Finalmente, nel 2013, venne assegnato un nuovo locale comunale in vicolo Selvatico e, ripercorrendo la storia dell’Associazione da quel momento ad oggi, può esserne riconosciuta la crescita e la valenza sottolineata anche dalla stampa locale che non mancò di rendere pubbliche tutte le mete raggiunte e le diverse progettualità attivate. In conclusione a questo excursus è doveroso evidenziare come in questi vent’anni la presenza del gruppo nel territorio pordenonese non sia parsa inosservata e come abbia concorso a dar inizio ad un’evoluzione dell’opinione pubblica. Partiti dalla pura descrizione di morti e disagi, negli anni anche i giornali hanno cambiato modalità di scrittura, maturando la consapevolezza che la speranza è un bene e un diritto comune che va promosso anche mettendolo nero su bianco.


Prosegue il lavoro della redazione del nostro giornale nata all'interno della Casa circondariale di Pordenone. “Codice a s-barre” è uno spazio interamente gestito dai suoi detenuti.

«Il ciclismo, una passione che oggi rimpiango» Gli inizi e la carriera fino alla categoria esordienti. Poi gli amori e il divertimento posero fine al tutto di Adriano Pensando agli hobby che ho avuto nella mia vita, me ne vengono in mente almeno una mezza dozzina. Il primo che ho praticato, quando ero ancora bambino, era correre in bicicletta. Abitavo in un paese dove questo sport era piuttosto diffuso. Inoltre i miei genitori gestivano un ristorante molto frequentato da corridori, dato che era punto di ritrovo per gli allenamenti: così ho potuto conoscere alcuni di loro. Una cosa tira l’altra e sono entrato in una socieLa musica è un amalgama di suoni e, spesso, anche di voci, capace di suscitare diverse emozioni in chi l’ascolta. È capace di dare energia, sollievo, di far commuovere; riesce a trasformare l’umore di ogni essere umano. Ci sono persone che dicono di non ascoltare musica, ma non si rendono conto che anche il semplice canto degli uccelli, il suono delle onde che si infrangono sugli scogli, il vento che soffia tra i rami degli alberi, sono musica. Ci sono, poi, persone come me: quelli che sentono musica in ogni suono, che spaziano in ogni genere, prediligendo proprio i brani o i pezzi che riescono a trasmettere emozioni; quelli che nella musica hanno trovato una preziosa amica, una compagna incapace di tradire; quelli che associano a un momento particolare della propria vita una canzone o una parte di essa; quelli che grazie alla musica hanno voluto provare a far parte della grande famiglia di musicisti o compositori. Mi sono avvicinato alla musica già alle scuole

tà ciclistica locale: mi hanno attrezzato di bicicletta, divise, scarpe, caschetto e ho cominciato ad allenarmi con loro. All’inizio di questa avventura mi sentivo forte e imbattibile, ma dopo le prime gare mi sono ricreduto, i risultati non erano molto soddisfacenti. Quello che invece ho appurato subito è stato che il ciclismo è uno sport molto faticoso. Andando avanti con gli allenamenti, ancora nella categoria Giovanissimi, ho cominciato a realizzare dei

buoni piazzamenti: mi posizionavo sempre tra i primi 5 o 6 posti, ma non ottenevo ancora nessun podio. Questo arrivò poco tempo dopo in una gara per la quale mi ero preparato particolarmente bene. Quella volta infatti arrivai finalmente terzo: medaglia di bronzo e coppa. Proseguendo mi sono preso altre soddisfazioni riuscendo a strappare a fine stagione 2 o 3 vittorie. Ricordo bene il mio diretto avversario: nell’ultimo anno tra i Giovanissimi era sempre battaglia aperta tra noi due. L’anno seguente passai alla categoria Esordienti: gareggiavamo con quelli del secondo anno, quindi più vecchi e più forti, ma nonostante questo anche lì mi sono preso qualche piccola soddisfazione. Il secondo anno fu l’anno delle vittorie, ben 13 in 23 gare. Ad ogni gara salivo sul podio e quando vincevo, oltre alla medaglia d’oro e la coppa, mi davano un bellissimo mazzo di fiori che, con immenso piacere, portavo a mia madre che non mancava di esibirli al bar. L’anno successivo, passato di catego-

Il potere della musica «Ha la capacità di far nascere dentro ognuno di noi una persona nuova e migliore. Io l'ho sperimentato in prima persona di Gianluca elementari, quando una maestra ci ha insegnato a suonare il flauto. In quegli stessi anni, grazie a mia nonna materna, che spesso e volentieri mi regalava dischi e musicassette, ho iniziato ad amare il suono della chitarra, attraverso gruppi come Toto e Van Halen, e ho chiesto a mia zia di insegnarmi a suonare qualche passaggio. Poi, attorno ai 12 anni ho iniziato ad ascoltare musica un po’ più pesante, come i Guns’n’ Roses, Motley Crue, Alice Cooper, anche grazie ai video che passava-

no talvolta su qualche canale televisivo dedicato alla musica. Allora mi sono innamorato della parte ritmica e, dopo aver tentato la strada della batteria, abbandonata dopo poco per problemi logistici, mi sono orientato sul basso, che suono tuttora anche se forse non egregiamente. Da qualche anno ho iniziato anche a suonare in vari gruppi come parte ritmica di supporto e con alcuni amici abbiamo fondato un gruppo con il quale suoniamo sia cover di pezzi famosi, anche pop ma

ria, si faceva veramente sul serio, basti pensare che facevamo 100/120 chilometri a gara ed altrettanti ogni allenamento. In quel periodo ho scoperto però che c’erano altre cose oltre al ciclismo: le ragazze, le moto e la discoteca e quindi il mio interesse per la bicicletta cominciò ad affievolirsi sempre di più. Saltavo allenamenti, gare, finché un giorno ho smesso del tutto per dedicarmi alla bella vita, coe succede a quell’età. Successivamente però ho un po’ rimpianto la mia scelta: forse sarei diventato un corridore importante, ma a quell’età gli ormoni sono troppo in subbuglio. Questa comunque è stata la passione più grande e duratura che ho avuto in tutta la mia vita. Ce ne sono state altre come tennis, chitarra e calcio, ma solo a livello amatoriale, per divertimento. Sono anche un bravo sciatore, mi piace lo sci e lo pratico tuttora, quando ne ho la possibilità. Al giorno d’oggi, però, tra problemi personali, crisi e mancanza di lavoro, non posso fare più nulla. Spero in un futuro migliore. arrangiati con musica metal, sia pezzi nostri. Con il gruppo spaziamo dal gotic metal al power metal, arrivando al symphonic black con due voci maschili e una femminile. Negli ultimi anni, ascoltando prevalentemente musica poco commerciale, ho iniziato ad amare il suono del violino mescolato con i classici dell’hard rock. Chissà, magari ora, alla soglia degli “anta”, potrei iniziare a studiare seriamente questo strumento ed accrescere le mie competenze musicali. Credo fermamente nelle capacità terapeutiche della musica, perché, come nel mio caso, è uno strumento per vincere la timidezza e le difficoltà nelle relazioni sociali, perché aiuta ad incontrare altre persone con gli stessi gusti e magari con la stessa passione. Quindi mi sento di poter consigliare a chiunque di rifugiarsi nella musica, sia come semplice ascoltatore, sia come musicista, perché essa ha il potere di far nascere una persona nuova, e senza dubbio migliore, dentro ognuno di noi.


Il Trofeo Centro Nord di Formula Driver è una serie di gare automobilistiche creato per permettere a piloti, più o meno esperti, di poter gareggiare in economia, con vetture più o meno preparate o di serie. È composto da 18 gare che si svolgono per la maggior parte nella zona di Pordenone, Aviano, Codroipo e Belluno e sono tutte gare regionali, di cui tre fanno parte del Trofeo Italia. In queste gare quattro portano a correre fuori regione e permettono di guadagnare punti che possono essere usati nel trofeo di velocità in salita, comunemente chiamato “cronoscalate”. Il trofeo vede partecipare sempre un gran numero di concorrenti, in diverse categorie, tra le quali la Lady che è formata da sole donne, ma molto agguerrite, in particolare la friulana Emanuela Guarino. Diverse scuderie hanno usato per i giovani piloti questo campionato come rampa di lancio per farsi strada nel mondo delle corse automobilistiche. Io provengo da una famiglia di meccanici e “piloti” e fin da piccolo ho iniziato a seguire questo sport e, proprio mio padre che lo praticava, mi ha trasmesso

La mia passione per la Formula Driver

mio figlio e gli ho detto: «Nicolò, abbiamo fatto centro». Siamo partiti verso la Croazia e subito in mare aperto a manetta. Appena fermati pensavo si scaricassero le moto invece ci siamo fermati solo per i documenti. Siamo ripartiti direzione isola di Palmizana, una bella isola attrezzata e con un ristorantino alla buona in riva al mare gestito da pescatori. Abbiamo ormeggiato, poi un giro, cena e nanna. La mattina dopo sveglia presto e colazione: vedo mio suocero che mette fuori le moto. «Andrea vuoi provare a fare un giro?», mi chiede. «Un giro?», gli dico, e senza pensarci su montai sulla moto. «Ci vediamo questa sera!», e poi via. Che “figata”, mi sembrava di stare in un film. Le giornate erano più o meno così: sveglia, tuffo in mare, colazione, moto, pesca di polipi, tartufi di mare, doccia, cena. Il momento di riunione del-

la famiglia era proprio la cena, si stava seduti assieme a mangiare riso con ricci di mare, insalata di polipo, aragosta, astice, saraghi, tutto quello che offriva il mare perché mio suocero fa pesca subacquea quindi sempre pesce fresco e non poteva mancare lo champagne. Finita la cena, ci riposavamo nel salotto del fly sotto le stelle. Viaggiare in barca è stupendo, nuotare con i delfini, vedere le isole ed i colori del mare, ti da quel senso di libertà e non pensi a niente, ma solo a quello che stai vivendo. È bello girare da un’isola all’altra, da un porto all’altro, è un’esperienza che non dimenticherò mai. Sono state quattro estati intense, me la sono spassata, ma come sempre nella mia vita sono stato capace di buttare via tutto. È successo perché a 34 anni sono stato fermato dalla mia prima carcerazione, durata un anno.

«Ho iniziato a correre a 17 anni: è stata una strada in salita che mi ha dato tanta soddisfazione» di Andrea B. la passione per questa disciplina. Così a 17 anni ho disputato il mio primo campionato di velocità su terra. Devo dire però che la strada per seguire questa passione è stata per la maggior parte in salita. Per prima cosa ho iniziato dalla preparazione dell’auto che ho allestito da solo, seguendo il regolamento e, nel mentre, ho ottenuto la licenza di concorrente conduttore seguendo dei corsi di guida sicura e facendo alcune visite mediche. Quindi ho disputato la mia prima gara a Collalto di Tarcento in un circuito privato, ma omologato, e facente parte di una se-

Quelle estati da sogno «In Croazia con la mia famiglia assaporando la libertà del mare» di Andrea C. Libertà, viaggio, blu: tre parole che mi fanno venire in mente un miliardo di cose, di storie e di cazzate. Ma un ricordo in particolare mi viene in mente più di altri: una sera ero tornato a casa da lavoro, era estate e lei, Daniela, una brava mamma, mi chiese «Non puoi prenderti delle ferie?». Io le risposi di sì perché l’azienda era mia, ma volevo sapere il motivo perché dovevo organizzare cantieri e ragazzi. «Per andare dove e per quanti giorni?»,

rie di percorsi che ospitavano gare di campionato italiano. Da quella gara, andata più o meno bene, ho cercato di perfezionarmi sempre più. Ho continuato a sviluppare l’auto e la mia esperienza al volante attraverso corsi e lezioni e partecipando a diverse gare di campionato triveneto ed amatoriale, ma sempre e comunque su terra, raccogliendo qualche punto pilota e qualche vittoria. Il desiderio di voler migliorare diventava sempre più grande e il passo dalla terra dei really alle gare su asfalto in pista è stato breve. Per prova, mi sono iscritto allo storico Rally delle

Polizie Europee dove mi sono piazzato in quarta posizione assoluta di classe e, subito dopo, ho iniziato il Campionato italiano di Formula Driver. E’ stata una stagione stupenda e piena di soddisfazioni personali e professionali: gare meravigliose, piene di emozioni con le quali mi sono piazzato al sesto posto nel campionato italiano. In seguito ho provato anche la velocità in montagna gareggiando in diverse località ed ho avuto anche l’opportunità di fare l’istruttore in un corso di guida sicura per disabili: una tra le esperienze più belle della mia vita. Questo sport rimane per me una passione che vive nel mio cuore e nella mia testa, anche se ultimamente per diversi motivi la sto trascurando. Credo però che appena mi sarà possibile la riprenderò da dove l’ho lasciata, impegnandomi nuovamente al massimo. Sono infatti convinto che nella vita le passioni vanno coltivate, pur tenendo conto della famiglia e delle proprie possibilità. Inseguite i vostri sogni e le vostre passioni, cercate di realizzarle e di realizzarvi al meglio perché la vita non finisce in carcere, fortunatamente.

le chiesi. Mi rispose che i suoi genitori ci avevano invitato ad andare in Croazia in barca un mese e mezzo. Non potevo crederci, anche questa fortuna avevo avuto dalla vita. Il giorno della partenza, ci siamo diretti verso Aprilia Marittima, dove ho visto una barca enorme con un uomo che caricava moto d’acqua e tender. «Amore non sarà mica quella la barca?», dissi. Era proprio quella. A quel punto mi sono rilassato e ho preso in braccio


LE CRONACHE DI CHANEL

«Buon giorno umani» di qualunque razza che non ami un po’ di bava calda e viscidosa, specialmente sul visino! Che difficili ste donne! A parte questa stranezza, so che a loro io piaccio e tanto, d'altronde con questa pelliccia e questo fisichino (loro se lo sognano, mica hanno un bel pelo come me!) nessuno mi può resistere. Ah ragazzi, devo ancora capire come mai voi simil-primati avete bestiacce parassite in casa (i gatti), mica sono dei real cani! Loro (sempre i gatti) non fanno altro che dormire, poltrire

sui divani e ruffianarsi per elemosinare cibo ed un posto al caldo sul letto del padrone e qualcuno ha il coraggio di dire che sono cacciatori! Hei, sveglia umani: non siete dentro a Superquark a vedete nella savana o nella giungla dei veri felini! Noi cani, si che ci meritiamo la pappa ed i biscottini e ogni altro tipo di leccornia, obbediamo ai comandi che i nostri padroni ordinano sbraitando, sembrano tarantolati a volte e per compassione facciamo quello che vogliono e loro ci ripagano con dolcetti e coccole. Poi facciamo la guardia, li avvisiamo se qualcuno si avvicina a casa: se io non voglio o se il mio boss non vuole, questi non entrano. I so essere molto convincente. Grrr! Noi cani recuperiamo palline e frisbee che i nostri papà ci tirano, ci sono cani poliziotti, da recupero umani, bagnini e molto altro… volete pure che vi prepariamo il caffè? Quindi

è questo il nostro progresso, la nostra “civiltà superiore”? Mi preoccupano molto per esempio i linguaggi esibiti alla televisione: quasi sempre sono banali e carichi di aggressività. Banalità e aggressività che non stanno nei contenuti, ma nel come sono presentati, cioè il “linguaggio” verbale e non verbale. Il linguaggio crea una mentalità, per cui il modo di percepire un fatto è più importante del fatto stesso. Un piccolo esempio: chia-

mare una persona “terrorista” oppure “combattente” crea nell’ascoltatore una percezione del fatto molto diversa; e il giudizio viene di conseguenza. I mass media non solo informano, ma creano negli ascoltatori inevitabilmente un modo di percepire la realtà, anche perché presentano i fatti in modo parziale e privilegiano lo scoop. In questi giorni di metà novembre vi sono stati gli atti terroristici di Parigi e ci siamo tutti indigna-

Cronache di Chanel parte seconda: pronti per raggiungere la sede di Rdp di Chanel Giacomelli

Ciao a tutti!! La diva abbaiosa è ritornata. Riprendiamo il discorso dall’ultimo numero di Ldp. Dunque dicevo che io e il mio padrone siamo arrivati nella sede dei Ragazzi della Panchina. Ebbene zampetto un po’ in avanti e, aldilà dei tavoli, ci sono due ragazze “biondine” ed occhialute: so che una si chiama Cristina e l’altra Chiara, sono educatrici. Non capisco che

cosa voglia dire, ma ho già capito che, essendo umane, dovrò pazientare molto dato che ho già sentito che sanno da gatto. Ed avendo loro gatti in casa, mi sa tanto che dovrò rieducarle un po’. Comunque sia, mi chiamano con voce dolce e scherzosa, in contemporanea! Mica mi sdoppio! Prima vado a slinguazzare la più vicina poi ovviamente quella più lontana, ma che tipe ragazzi! A queste non piace essere slinguazzate allegramente: non ho mai visto un’esemplare femmina

L'ANGOLO DELLA FRANCA

La verità non è mai ovvia, ma va cercata Costruire la pace vuol dire anche saper guardare in profondità ciò che accade di Franca Merlo Ricordo come parlava mia madre, quando io ero bambina: con ragionamenti semplici cercava di dare una spiegazione a tutto, dal nascere della pianticella nell’orto al comportamento da tenere in casa e fuori. Né una conoscenza né un comando rimanevano senza perché. E in tutto lei cercava di cogliere la bellezza, il valore. Non sempre ci azzeccava, a volte le sue spiegazioni erano irreali, ma ha lasciato in eredità a noi figli un metodo: ogni cosa può essere ragionata e motivata e in ogni cosa c’è qualcosa di positivo da poter cogliere, per arricchirci e sentire che la vita è bella, e vale la pena esserci. Si sa che gli esempi avuti in casa sono importanti nel formare il carattere di una persona ed è stato così anche per me, naturalmente. Anche se nel

corso degli anni ho fatto delle cernite e dei distinguo, ho abbandonato certi schemi mentali e certe conoscenze sorpassate, mi ritrovo ancora dentro quel modo di affrontare le cose che i miei vecchi mi hanno lasciato e che trovo ancora valido: oggi come ieri è importante parlare in maniera razionale e dialogante, trasmettere il senso che, pur avendo ciascuno le proprie sicurezze, siamo tutti in ricerca e nessuno ha in tasca la verità. Questo è anche un modo per costruire la pace. Quando invece il proprio punto di vista è dato per assoluto e definitivo, si trasmette rigidità, si arriva inevitabilmente alla contrapposizione e questo succede sia tra persone singole sia nei grandi mezzi di comunicazione. Spesso e volentieri si parla per esclusioni ed insulti e io mi domando:


APPI PAPI dopo aver detto le differenze tra noi e loro (i parassiti, i gatti) è palese, dovreste capirlo anche voi primati, chi deve star con voi a casa! Ma dopotutto la scimmia che è in voi a volte prende il sopravvento e vi rincretinisce per due fusa fatte alla rinfusa. Bhe a parte questo, questo posto qui mi piace ed addirittura appena intravisto un giardinetto che diventerà automaticamente mio! Poi ho sentito odore di cibo e spero che qualcuno mi allunghi un bel boccone dato che sono molto golosa come il mio papi. La Ada mi regala le palline da tennis: che figata tutti me le tiran ed io le riprendo le riporto e me le ritirano poi le rosicchio le spello dalla peluria e alla fine le disfo. Che bella vita! Rompo le palle e nessuno mi dice nulla! Sotterro quello che mi va e faccio mille buche. Che vita da cani. Bene, alla prossima puntata allora. Un bacio. La vostra diva pelosa.

ti per le stragi; la violenza è inaccettabile e nella storia non ha mai prodotto risultati duraturi. Un giornale italiano ha titolato il suo pezzo in prima pagina “Bastardi islamici”, Hollande ha dichiarato che la Francia si sente in guerra. Ma io non ho potuto fare a meno di chiedermi se la Francia non sia in guerra già da mesi con la Siria, dove fa i suoi raid aerei... o le bombe sono “guerra” solo quando cadono in casa propria? Le carni straziate, gli affetti straziati, sono solo quelli occidentali? E da quanto tempo il mondo occidentale “esporta la democrazia” facendo terra bruciata in quei territori che hanno la disgrazia di avere il petrolio? Non entro in merito e non dico di più, dico solo che dovremmo cercare, pensare, mettere insieme più aspetti; e dopo aver fatto questa operazione di “raccolta dati” e aver espresso un giudizio motivato e non solo emotivo, dovremmo essere consapevoli che non abbiamo ancora la certezza della verità perché è possibile che molto ancora ci sfugga. Dietro ad ogni fatto c’è sempre più di quanto possiamo immediatamente conoscere e ogni occasione è buona per cercare altri dati, per approfondire, per confrontarci... e questo ci rende umani, esseri pensanti e capaci di dialogo.

Vita da padri Una mattinata di ordinaria follia con il pupo che piange e i minuti contati di Andrea Appi Il caffè lo berrò dopo adesso non ho tempo dài che andiamo. Strappo la borsa da terra e tiro giù il cappotto dall'attaccapanni. Tiro giù anche un porco perché il cappotto non viene, lo tiro lo strappo ma rimane agganciato al portacomecazzosichiama. Rimane agganciato al gancio insomma. E staccati cazzoooo. Tiro ancora finché si rompe. E vien giù anche tutto l'ambaradan. Ma vaffanculo. Dài! Muoviti che è tardi. Papà dessi! Sì. Andiamo. Dessi dessi dessi. Acchetto papà. No no andiamo dài. Papàààààààààà Non ti impuntare che non ho tempo. Mammmaaaaaaaaa! Eeeee e papà e mamma! E non piangere cazzzooooo! Calma calma: oggi no. Oggi non posso perder tempo. Acchetto dessiiiiii. Non capisco: Parla bene, fatti capireeeee! Calma... Ci provo: amore mio... sono tardi, faccio tardi al lavoro, dobbiamo andare. Acchettodesssssssiiiiii. Chi cazzo èèèèè achettodessi? Pronto? Dài che andiamo. Sì, buongiorno, mi scusi ma adesso non posso, se non è urgente mi richiami più tardi. E' urgente. Vieni, dammi la mano... Papàààààà! Un attimo mi scusi che ho il bimbo che... Vieni per favore. Metto giù la borsa e ti prendo in braccio Mammaaaaaa! La mamma non c'è. Dài, andiamo. Chiudo la porta, Noooo! La chiave! No, non mi ricordo devo controllare ma...

Mammaaaaaaaaaaaa! Noooooo! Merda! Mammaaaa... La mamma non c'è! Mi scusi ma mi deve richiamare; o la richiamo io appena posso. Come vuole... Desssiiiiii!!! La richiamo io! Va bene, arrivederci. Fermo lì, aspetta. Pronto? Senti... sì tutto bene, no è che mi son chiuso fuori e ho la borsa dentro: le chiavi di riserva dove sono?. Mammmaaaaaaaa! No no sta bene è che chiede di te e... dice che non capisco... Non mi ricordo... Cos'è che dicevi prima? Mammaaaaa! Sì ma... baretto? Ah! Acchetto. Sacchetto? Dei pesci! Eeeee buonanotte! Come faccio a capirlo? Ah lo dice ogni giorno. Vabbè, le chiavi? In cantina, ok, ciao. Aspettami qui che scendo a prendere le chiavi di riserva. Ma che cazzoooo! Lo lascio lì? Ma son scemo? Dammi la manina che andiamo giù. Dessi acchetto. Sì sì. Ma vieni giù. Non impuntarti per favore che non è giornata. Merda! Pronto; senti, ritardo dieci minuti; ho problemi col piccolo. Forse venti, non so. Appena risolvo ti chiamo; ah fammi un favore, senti il commercialista vedi cosa vuole. Ciao a dopo. Vieni per favore... AcchettooooooooDessiiiiiiiii! Sì te lo dò ma dopo adesso dobbiamo prendere le chiavi. Capisci? LE CHIAVI! Senza chiavi non possiamo tornare a casa e prendere i pesci, il sacchetto quel cazzo che è! CHIARO? CAPISCI NO? SE VUOI, CAPISCI, VERO? E CHECCAZZO! Andiamo a

prendere 'ste chiavi. Vieni. Dài... Mammaaaaaa! Allora ti prendo io! Desssiiiiiiiiiiiaaarghhhhhhh!!!! Stai fermoooo! Allora? Ho detto... Noooo! No no no! Non pisciare cazzooooooooo! Arghhhhhhhh Ma bastaaaaa! Mammapapaaaaacchettodessiiiiiiiii!!! Pausa, fermo! Calma... Respira... Rischio di ammazzarti. Calma... Pronto, sì sì tutto a posto. Trovate sì... Sto tornando su... Sì, stasera torno alle otto. E no, non ce la faccio prima... Ciao. Vieni dài. Torniamo su. No, non in braccio... Non in braccio ho detto! Ma insomma, comandi tu qua? Ma scherziamo? E va bene... in braccio! Vieni qua... Entro in casa entro in bagno; apro la porta, apro l'acqua. Non viene calda... non viene calda.... quella caldaia di merda! Mi vien da piangereeee. Come a lui. Arghhhhhhh! AcchettoooooDessssssiiiiiii! Prendo il sacchetto, lo cambio velocemente per non fargli prender freddo. Mi cambio lentamente tanto chi cazzo se ne frega del freddo... Saliamo in macchina. Lo porto a scuola. MammaaaaaaaaPapaaaaadesssiiiiii! Ma vaffanculo! Ecco. La maestra. Prendo fiato. Glielo consegno. Come un pacco. E io non lo vedrò più. Fino a questa sera. Oh... E' così, no? Sì o no? Vai, vai... Spero ti vada tutto bene, figlio mio.


CELOX

Buon Natale e buona economia Segnali di ripresa nel terzo trimestre 2015, ma di strada da fare ce n’è ancora. Contribuiamo anche noi. In che modo? Innamorandoci di Emanuele Celotto Siamo al terzo trimestre del 2015 e sembra che i dati siano incoraggianti. Lo spread è vicino o sotto i 100 punti, la Grecia (senza tanto rumore) ottiene la seconda tranche di prestiti, aumentano i contratti a tempo indeterminato….. Siamo già a Natale? Non proprio. Finalmente l’Italia si è data una mossa. Renzi ha preso in mano un paese ingessato, economicamente depresso e intristito dalla crisi. Con qualche gioco di equilibrismo e qualche alleanza un po’ così, però sta portando avanti il suo programma.

L’Expo era una mezza scommessa ed è stato un successo, soprattutto per il senso civico mostrato dalla città. Sono state doppiate le previsioni di crescita economica, è aumentato il credito a famiglie ed imprese, si è alzato l’indice di fiducia dei cittadini con leggero aumento dei consumi. Dati così non si vedevano dal 2007. Certo non ha fatto tutto bene e nemmeno si può accontentare tutti, però i risultati ci sono e le previsioni per il 2016 sono più che ottimiste. Come riconosce il premier c’è ancora tanto da fare. Ci sono

categorie di operai che non rinnovano il contratto da 7-8 anni. Confindustria dice che negli ultimi anni sono stati pagati salari indicizzati ad un’inflazione che non c’era. Vero, ma hanno la memoria corta; c’è stata una perdita media del potere di acquisto (oltre il 20%) per un bel po’ di anni. Nel programma il taglio delle tasse, lento ma progressivo, che dovrebbe partire dal 2016. Meglio darsi una toccatina; ogni volta le tasse finiscono per aumentare. L’abolizione dell’Imu (ma ci ha ripensato) agevola solo

i ceti medo-alti, che producono il 40% del gettito. Hanno trovato giacimenti di petrolio a pochi chilometri dalla costa in Basilicata. Sfruttare o no quel petrolio? Parecchi i favorevoli visto che per fabbisogno energetico dipendiamo dall’estero per 80%. Ambientalisti contrari e a ragione; il nostro petrolio è la ricchezza del paesaggio e del mare. Le trivellazioni sono dannose per l’ecosistema e poi l’Italia è un paese ad elevato rischio sismico; meglio lasciar perdere! La disoccupazione è calata e i consumi sono un po’ saliti. Cosa possiamo fare noi per dare ulteriore slancio all’economia?? Facile: innamorarsi! Iniziano i fiori, i regalini, le scatole di cioccolatini, le cene. Poi diminuiscono le emissioni ed il consumo energetico visto che gli innamorati finiscono prima o poi per utilizzare un unico appartamento. Morale: innamorarsi fa bene all’economia. Buon Natale e contribuite anche voi all’economia.

SPAZIO AMBIENTE

Parliamo di alberi «Ci offrono doni preziosi, sono indispensabili per la vita sulla terra, ma troppo spesso non ce ne curiamo» di Paola Doretto Parliamo di alberi e cominciamo subito col dire una cosa forte: senza di essi la vita sulla terra, intesa nella sua complessità, dall'essere più minuscolo fino all'uomo, non esisterebbe proprio. Noi viviamo insomma perche gli alberi e le piante in genere producono ossigeno. Immagino che ciascuno di noi potrebbe dire che questa non è una notizia e che già lo sapeva, ma la strana cosa che succede è il cortocircuito tra i nostri pensieri e la realtà, tra quello che sappiamo e quello che facciamo. Così che, in genere, guardiamo gli alberi, se li guardiamo, distrattamente, ci passiamo accanto come se fossero una cosa qualunque quando non succede che addirittura li danneggiamo o li abbattiamo (anche se ad abbatterli non siamo più noi singoli cittadi-

ni, ma di solito chi mministra il territorio per noi). Abbiamo bisogno di parcheggi, di case, di strade? Di ingrandire sempre più i terreni coltivati? Non c'è problema, ecco arrivare le motoseghe e poi le ruspe e poi i camion e così

via, con estrema leggerezza condanniamo noi stessi e l'ambiente in cui viviamo a diventare una triste landa desolata di cemento. Dove c'erano ombra, profumo, colori e aria buona ecco apparire un nuovo paesaggio, desolato, polveroso, inquinato. Oltre alla loro essenziale funzione di produrre ossigeno però gli alberi ci fanno altri molteplici doni: c'è addirittura una terapia, chiamata “silvoterapia", che consiste nell'abbracciare i tronchi degli alberi più grandi per farci trasmettere da loro benessere, equilibrio, serenità...(provare per credere!). Anche la loro bellezza è un dono, i colori delle foglie che cambiano con le stagioni, i ricami che intrecciano

i rami spogli d'inverno, la musica che fanno quando il vento li attraversa, sono bellezza che se noi non guardiamo e ascoltiamo viene colpevolmente sprecata. Per non parlare poi dei nidi che ospitano e delle piccole tane, sono la casa di tante meravigliose creature; tutto in loro parla di vita e questa vita risuona anche dentro di noi, se la sappiamo accogliere. Gli alberi quindi sono nostri grandi amici e non dobbiamo scordarlo mai, dobbiamo loro rispetto e protezione e dobbiamo contrastare chi si prende il diritto di farne ciò che vuole, per esempio abbatterli, perché gli alberi sono di tutti. Tra tutte le cose del mondo sono, come l'acqua e l'aria, forse la più democratica, proprio perché non­­­ sono proprietà di nessuno, e se qualcuno invece se ne appropria, e purtroppo questo accade, sta facendo violenza, dovrebbe essere fermato. Ciascuno di noi, nel proprio piccolo, può cominciare ad averne rispetto semplicemente non dimenticandosi della loro esistenza, ricordandoci, per esempio anche quando passiamo accanto ad un alberello stento in città, che esso in quel preciso istante ci sta regalando qualcosa, qualcosa di prezioso, che va salvaguardato e protetto.


L'APPROFONDIMENTO ————————————————————————

FUMETTOMANIA A PORDENONE di Sara Pavan

Pordenone è un'oasi felice per il fumetto. Un giudizio da non fraintendere: il metro non è il successo personale o la capacità di generare profitto, anche se in provincia si contano più fumettisti professionisti di qualsiasi altra città italiana. Il punto è che a Pordenone si continua da decenni a fare cultura in modo attivo, coi fumetti in particolare, grazie a un costante dialogo intergenerazionale, che ha mantenuto vivo un humus fertile incentrato sull’immaginazione. Nello specifico, questo fa sì che qui i giovani non debbano nascere Will Eisner per sentirsi autorizzati a fare fumetti e proprio loro sono le colonne portanti del fumetto indipendente e autoprodotto. Autoproduzione non significa semplicemente pagare da sé la stampa di qualcosa e, soprattutto, il gesto non è accompagnato dall'aura di tristezza, da senza talento all'ultima spiaggia, che qualcuno immagina. Anzi è l'atto più sovversivo e vitalistico che esista: la sfrontatezza di non chiedere il permesso a nessuno e il coraggio di assumersi la responsabilità delle proprie azioni, il tutto senza la debolezza del brutto albo ciclostilato dei, seppur mitici, anni Settanta. Spesso non si tratta nemmeno più di stampare qualcosa, esistono testate la cui vita avviene esclusivamente online. Ma anche quando si arriva all'autoproduzione di un oggetto libro, questo non è inteso come mero prodotto. Il fine di chi fa autoproduzione è un altro: innescare un cambiamento nel mondo. Questo perché è mosso da un interesse, che è un concetto ben distinto e da non confondere con quello di profitto. Chi autoproduce è come se fosse innamorato: fa cultura senza il compromesso del mercato; trova, nonostante tutto, il tempo per fare ricerca (di contenuto, estetica e tecnica) per realizzare qualcosa di caldo, che sia punto di contatto con gli altri. Spesso si unisce in collettivi, gruppi seri di confronto e crescita artistica e umana. E tra simili ci si riconosce, per cui, chi incappa in un'autoproduzione e ha quel tipo di sensibilità nota subito il seme genuino da cui è nata. Gli stessi gruppi hanno una voglia matta di incontrare altri gruppi

mossi dallo stesso sacro fuoco e di condividere con loro ciò che hanno scoperto strada facendo. Si supera così anche il narcisismo, che, se da un lato è un motore necessario per uscire allo scoperto, dall’altro rischia di imprigionare un autore rendendolo sterile e autoreferenziale. Tanti progetti a Pordenone incarnano questo spirito di ricerca, qui se ne citano quattro. Il primo, Cane Marcio, ha il piglio provocatorio e sarcastico di chi usa i tabù per risvegliare chi legge, però con un'estetica precisa, quella di chi sa il fatto suo tecnicamente e non vuole far coincidere un tema scabroso con il brutto o il fatto male, anzi, grazie alla cura della forma, acquisisce un rigore “scientifico” che rende il disturbante mai gratuito. Il secondo, Blanca, apparentemente porta il lettore in un ambiente più conciliante, ma c'è un pregiudizio da sfatare. Le menti dietro Blanca prima producevano oggetti decorativi (illustrazioni, poster, spillette) e i gadget funzionano sempre, come i video di gattini su YouTube. Il tutto tanto carino quanto vacuo. Blanca avrebbe potuto non nascere mai se quello estetico fosse stato l’unico obiettivo. Invece, vedendo altri realizzare antologie collettive, è nata questa rivista che racconta un punto di vista in cui il bello è ingrediente funzionale alla narrazione. Poi, altri due progetti non fumettistici in senso stretto (visto che si occupano anche di musica, arte e cinema) ma che incarnano a pieno lo spirito dell'autoproduzione, con una spiccata multimedialità. Condo, una rivista che in ogni numero scandaglia un tema in prosa, poesia, fotografia, arte, illustrazione, coinvolge autori e artisti da ogni dove, ha una grafica degna di uno studio newyorkese, ed è scaricabile da internet gratuitamente, per di più la redazione è qui in zona, non nella grande mela. Infine, Ghost.City Collective che lavora molto in ambito musicale, ma che persegue in ogni aspetto dell'arte e della cultura la più genuina filosofia d.i.y (Do It Yourself). Per questo, leggere il loro manifesto e farlo proprio è un grande regalo che ognuno di noi può fare a se stesso e alla società.


Nel suo essere artista, la musica ispira i fumetti e i fumetti contaminano la musica, ma non solo. Lui è Davide Toffolo, classe 1965, cantante e chitarrista del gruppo rock Tre allegri ragazzi morti e fumettista di professione. Negli ultimi vent’anni ha portato Pordenone, la sua città, nell'immaginario di un pubblico che non l'ha mai vista coi propri occhi, ma che la sente vicina. «Dal 1992 lavoro in modo sistematico ai fumetti. In quell’anno ho disegnato la mia prima storia, Animali, che inizialmente è apparsa all’interno del supplemento “Fuego”, dentro Comic Art. Si trattava di una sequenza di storie ambientate a Pordenone, nel quartiere in cui sono cresciuto, Villanova, con un personaggio, un barbone, che le teneva insieme. Era un racconto intimo, non una grande avventura». Davide, qual è stata la tua formazione e quali sono i progetti ai quali sei più legato?

Toffolo, alla ricerca di nuovi linguaggi Il chitarrista del gruppo Tre allegri ragazzi morti da vent’anni è tra i fumettisti più famosi in Italia di Giulia e Rafael Mi sono formato a Bologna, frequentando il corso di disegno anatomico all’Università e contemporaneamente la scuola serale Zio Feininger, dove ho conosciuto artisti importanti che mi hanno affascinato. Ho prodotto tanti libri in questi anni, sono affezionato a quasi tutti i miei progetti (quelli degli anni ’90, cioè Pira degli spiriti, Fregoli, Farefumetti, Cristina e Cinque allegri ragazzi morti sono stati ristampati quest’ anno da Panini Comics.) perché ognuno rappresenta una fase, un mio modo diverso di indagare il linguaggio. Sono un viaggio dentro l’idea di un uso diverso del linguaggio nei fumetti. In questo momento, invece,

Tonus e la satira, quel nipotino dispettoso del giornalismo «Non disegno per dire qualcosa, ma se ho qualcosa da dire» di Irene Vendrame «Ho cominciato a disegnare da piccolo, quando avevo 3-4 anni, e ho continuato a coltivare la mia passione durante gli anni di scuola, fin dopo le medie, quando ho scelto di studiare all’Istituto d’Arte di Cordenons». Marco Tonus, classe 1982, inizia così a raccontarci la sua storia di grafico e vignettista e prosegue con le sue prime esperienze, quando, a soli 13 anni, riuscì a pubblicare i suoi disegni nella pagina del Gazzettino di Pordenone “Tribù Urbana”, insieme a disegnatori affermati come Davide Toffolo e Romeo Toffanetti. Ci racconta quindi della sua collaborazione, durante gli anni delle superiori, con i giornali satirici “Cuore” e “Il Vernacoliere”, ed infine del progetto “Auagnamagnagna!”, la fanzine autoprodotta insieme ad altri due amici nei primi anni del 2000, che lo portò a muovere i primi passi anche nell’ambito dell’editoria. Negli anni Tonus

è inoltre riuscito ad avere riscontri positivi anche a livello Europeo, essendo stato selezionato da Press Cartoon Europe entro i 50 migliori autori di vignette che parlano d’Europa. La satira a livello locale invece non sembra essere in gran fermento, tuttavia, ci

sto lavorando ad una biografia di Magnus e alle tre storie nuove dei Cinque allegri ragazzi morti, che usciranno ad inizio 2016. Qual è il processo creativo che fa capo alla nascita di un fumetto? Ogni libro ha una genesi differente. Un fumetto, per me, nasce dal vissuto personale e dalla volontà di ricerca, soprattutto linguistica; cerco sempre delle modalità differenti. La sfida è reinventarsi. I miei fumetti non sono solo avventura, perché penso che sia bella l’idea di un linguaggio che cresce insieme all’autore e ai lettori. Ho sempre pensato che la scrittura servisse per confida: «Nei corsi che tengo a Pordenone, posso dire che ci sono diversi giovani talenti e, se continueranno su quella strada, presto avremmo qualche nuovo nome pordenonese». Attualmente Tonus, oltre all’attività di grafico, porta avanti diverse collaborazioni, tra cui quelle con i siti di informazione Valigia Blu e Fanpage. Per definire le sue vignette utilizza una metafora bizzarra, ma efficace: dice di disegnare «come quando pulisco i carciofi! I carciofi bisogna pulirli tanto per arrivare al cuore, al buono, ci vuole cura e attenzione; questo è ciò che tento di fare io: arrivare al massimo della sintesi, ad un equilibrio tra idea e disegno, al frutto di una selezione rigida, perché la banalità è dietro l’angolo». Si riferisce alla banalità del giornalismo odierno, il quale, sempre a caccia di scoop, rincorrendo l’obbiettivo della tempestività, tralascia la qualità della notizia e si trasforma troppo spesso in chiacchiere inutili. Marco Tonus ha deciso di staccarsi da questa tendenza, per produrre qualcosa che abbia realmente spessore: «Non disegno per dire qualcosa - spiega infatti - ma disegno

cambiare il mondo, non per tenerlo uguale a prima. Le mie graphic novel, Carnera, Pasolini, Il re bianco, Tres! L’ inverno d Italia e Graphic Novel is dead sono tutte diverse nel contenuto e nella forma. Chi sono i tuoi committenti e i tuoi lettori? Non lavoro per committenze in senso stretto; i diversi lavori hanno senso per editori diversi ed è importante mantenere la possibilità di esprimersi liberamente. Comunque i libri sono di mia proprietà e agli editori offro una licenza editoriale. I miei lettori in parte sono i fruitori della musica dei Tre allegri ragazzi morti, in parte sono le persone che ho inquando ho qualcosa da dire. Preferisco ragionare di più e disegnare qualche cosa che, guardata dopo un anno, può comunque essere considerata valida». La satira per lui è in altre parole «è il nipotino dispettoso del giornalismo». Essa viene sempre più spesso estrapolata dal suo contesto, in particolare come è successo dopo la strage di Charlie Hebdo, a Parigi, quando i vignettisti morti sono stati trasformati in martiri moderni, simboli nei quali tutti si identificavano. A quel punto però, quando ormai tutti si erano appiccicati addosso la copertina dello Charlie, è emerso che molte delle vignette del giornale erano effettivamente scorrette e si è acceso un dibattito riguardante i limiti che la satira non avrebbe dovuto oltrepassare. «Ma nella satira la libertà sei tu a dartela, sei tu che scegli dove fermarti, il pubblico poi sceglie se comprare o meno il giornale - spiega Tonus -. Io ho scelto di fare satira perché mi interessa lo scontro, ma lo scontro di idee, che è indispensabile nella nostra società. Charlie Hebdo ha deciso di pubblicare determinate vignette, non per fomentare lo scontro, ma per dimostrare in qualche modo che la libertà di parola, che sta alla base della democrazia, è anche accettare opinioni o affermazioni che sono scomode, che ci urtano, che riteniamo scorrette». L’impatto sul pubblico e sulla società è quindi fondamentale.


un fumetto per piacermi deve essere un punti di vista originale.

contrato in questi venti anni e che si sono affezionate al mio modo di raccontare. Spero ci sia un rapporto tra lo scrittore e il lettore. Perché alla fine gli autori rappresentano una modalità di vedere il mondo in cui i lettori si possono riconoscere e riflettere. La novità vera è la moltiplicazione dei punti di produzione. Per me

Quanto c'è di te, della tua persona, nei tuoi fumetti? L’ultimo che ho fatto Graphic Novel is dead, è proprio un'autobiografia, perciò c’è tanto di me, e anche poco, in 120 pagine non puoi raccontare una vita. Analizzando i miei lavori a posteriori posso dire che la dimensione del vissuto, filtrato dalla capacità di scrivere e disegnare, per me ha sempre avuto una forte importanza. In Pasolini e Il re bianco io sono un personaggio delle storie, ma anche Piera e i Cinque allegri ragazzi morti sono pieni del mio vissuto, nel racconto dei luoghi e delle persone.

Qual è il tuo rapporto con la città di Pordenone? Il rapporto con la città è importantissimo, anche perché la maggior parte della mia scrittura prende spunto dai luoghi e dalle emozioni che sono quelle della provincia italiana. Pordenone è una provincia dolce, dove l'immaginario ha ancora la possibilità di volare e dove mi sono sempre sentito a casa. Sono più critico con la città in questi ultimi anni ma lo faccio perché io amo Pordenone e la vorrei sempre stimolante e meno borghese. Come vedi il futuro del fumetto in provincia di Pordenone: chi sono i nuovi fumettisti del panorama giovanile? Dopo la mia formazione bolognese ho cercato di portare a casa la mia esperienza; ho insegnato un po’ dappertutto, anche perché credevo nell’importanza di incontrarsi e parlare in profondità di ciò che interessa. Da quell’esperienza, ma non solo, sono nati tanti nuovi autori: Paolo Cos-

Cossi: il fumetto che racconta la Storia «Creo nel silenzio della natura e mi faccio guidare dalla curiosità e dall’immedesimazione» di Cristina Colautti Curiosità e ricerca sono i due fili conduttori della produzione fumettistica di Paolo Cossi, 35 anni, nato a Pordenone, con alle spalle una formazione prevalentemente da autodidatta, perfezionata attraverso i corsi dei maestri Davide Toffolo e Giorgio Cavazzano, ed un esordio precoce, a soli 17 anni, nel mondo del fumetto indipendente con la fanzine Pupak. «Il corso di fumetti che ho seguito con Cavazzano racconta - è stato anche l’occasione per conoscere Sara Pavan ed Emanuele Rosso. Insieme abbiamo fondato Pupak: quest’esperienza artistica, a noi, che all’epoca eravamo ragazzini, ci ha dato la possibilità di confrontarci col mondo del fumetto, in tutti i suoi aspetti. E’ stata una bella palestra». A 22 anni, nel 2002, Cossi ha pubblicato la sua prima graphic novel Mauro Corona, l’uomo del bosco di Erto e, da quel momento, per lui si sono aperte le porte verso il grande pubblico. Le sue opere giovanili raccontano storie e personaggi del territorio friulano, come Il terremoto del Friuli e Tina Modotti, perché, a usare le sue parole,

«queste sono atmosfere famigliari, storie vicine a casa, che in qualche modo mi appartengono e di cui voglio farmi portavoce». Il Friuli, ed in particolare le sue montagne, sono anche il luogo dove il fumettista si è fermato a vivere. «Abitavo a Milano, volevo trovare un posto tranquillo e il primo che mi è stato offerto è stato in Valcellina - spiega infatti -. In quella valle ho trascorso un periodo molto bello della mia vita. Ho capito l’importanza di stare vicino ad una natura il più possibile incontaminata, perché in essa ho trovato il modo per staccare la spina ed una fonte d’ispirazione non da poco. La natura - sottolinea - ti dà infatti il silenzio utile per poter pensare, leggere, ragionare». In altre parole la giusta dimensione per realizzare un fumetto. L’ingrediente fondamentale per arrivare ad esso, secondo Cossi, è si-

curamente una viva curiosità che, nel suo caso, gli permette di variare stili ed argomenti. «Sono anche un appassionato di storia - dice - e molti dei miei lavori sono romanzi storici». Tra questi, il più noto è sicuramente Medz Yeghern, il grande male, dedicato al genocidio degli Armeni, con il quale, nel 2009, l’autore ha pubblicato per la prima volta in Francia. E’ stato quello un traguardo importante «al

si, Marco Tonus, Sara Pavan, Sara Colaone per dirne alcuni. C’è stato un movimento orizzontale che ha nutrito lettori e giovani autori. Adesso esistono delle realtà di collettivi, che hanno delle presenze pordenonesi, come Cane Marcio e Blanka e artisti di altre città si spostano a Pordenone come Natascia Raffio e gli artisti pop-surrealisti con cui collabora. Come ci si fa strada nel mondo del fumetto: consigli per i giovani? Col fumetto, se ci sono capacità si notano, è inevitabile. Formazione e allenamento robusto sono necessari: leggete e siate disegnatori indefessi. Poi mantenete una curiosità alta per l'intorno, fate incontri interessanti, che facciano crescere e arricchiscano e mantenete un rapporto morbido con il tempo, un po' fricchettone direi. La formazione richiederà un certo impegno, perciò, se volete tutto e subito, non è quella del fumetto la strada giusta. quale tutti coloro che lavorano nel mondo del fumetto ambiscono, perché la Francia è una realtà editoriale e culturale di livello molto alto». Nel 2010, sempre con l’opera Medz Yeghern, Cossi ha inoltre ricevuto dal Parlamento francese, in Belgio, il premio Condorcet Aron per la democrazia. «Per me è stato un onore grandissimo - confessa - perché il mio fumetto era riuscito a raggiungere il suo obiettivo: informare sul genocidio armeno. E’ stato il libro a vincere, io sono stato semplicemente al servizio di una storia che già c’era». Tra i progetti futuri di Cossi, cantastorie dei nostri tempi, ci sono la realizzazione di un mazzo di tarocchi ed una graphic novel di tre volumi dedicata alla fata dell’assenzio. «E’ quest’ultima - spiega - un personaggio che ha sempre ruotato attorno a grandi nomi della storia e che mi permette di raccontare un periodo storico a cui sono particolarmente legato. Nella fata Cloè - dice infatti - c’è molto di me, molte delle esperienze che vivo e poi c’è anche tutto il mondo della letteratura e dell’arte». Del resto Cossi è un fumettista che cerca sempre di immedesimarsi nei suoi personaggi, nei quali, come nel caso di Tina Modotti, in qualche modo, si riconosce. «Per riuscire ad interiorizzare le cose - dice di sé - devo raccontarle a fumetti. Il fumetto mi serve per capirle, per assimilarle».


Autoproduzione ed editoria indipendente Blanca e Canemarcio sono tra i numerosi collettivi nati come vetrina per i giovani fumettisti. Così inizia la loro carriera di Irene Coletto Blanca è un collettivo nato nel 2014 a Bologna ed è il titolo di una pubblicazione. L'esigenza di creare un'autoproduzione, di impegnarsi in un progetto corale, è molto diffusa da qualche anno a questa parte nell'ambiente bolognese, che vede nascere continuamente nuovi colletti-

vi che gravitano in particolar modo attorno all'accademia di Belle Arti di Bologna. La “redazione” di Blanca è formata da Eliana, Irene, Martina e Noemi. Ci siamo conosciute al corso di Fumetto e Illustrazione, dove è nata la nostra amicizia e in seguito la nostra collaborazione. Essere in quattro ci permette di gestire abbastanza agevolmente i vari impegni legati ai nostri progetti, in particolar modo la partecipazione alle fiere e l'organizzazione di eventi come piccole mostre e workshop. Per i contenuti e l'aspetto delle nostre pubblicazioni ci siamo lasciate ispirare dalle riviste di inizio Novecento, come il Giornalino della Domenica o il Corriere dei Piccoli; l'idea era quella di realizzare un prodotto elegante rivolto in particolar modo ai bambini. Blanca è stata inizialmente distribuita tramite pdf in un

cd, che conteneva anche cinque canzoni di gruppi italiani e stranieri ad accompagnare la lettura; in seguito abbiamo fatto una tiratura limitata di copie cartacee. Per il secondo e terzo numero abbiamo scelto una tipografia online, per ridurre i costi: è stato emozionante ricevere il pacco con cento copie fresche di stampa, anche perché c'è sempre il rischio che qualcosa sia andato storto nella fase di progettazione. Fare autoproduzioni non si limita a realizzare fumetti e illustrazioni, ma impone di essere anche contabili, esperti di social media, pubblicitari, pr, grafici e chi più ne ha più ne metta. Inutile dire che si tratta di un'esperienza stancante, ma per molti versi decisamente formativa, incentivata da mezzi tecnologici alla portata di tutti che consentono di concepire prodotti sempre più professionali. Ciò che dà soddisfazione è vedere il frutto delle proprie fatiche che viene apprezzato da altre persone, ed è incredibile come possa rivelarsi una vera e propria vetrina, una porta d'accesso a molte altre collaborazioni e possibilità. Non siamo l'unica realtà femminile all'interno del mondo dell'autoproduzione, né la scelta è stata in qualche modo decisa a tavolino. Ci piace lavorare con questa formazione perché ci lega un rapporto di amicizia e un'analoga estetica visiva, ma non disdegnamo affatto eventuali scambi futuri con autori maschi. Ci sono molti collettivi formati principalmente o esclusivamente da donne, come Teiera, Amenità, La Trama...possiamo affermare che è più facile trovare un collettivo formato da sole donne che da soli uomini. E’ un dato positivo, considerando che il

mondo del fumetto è da sempre considerato prettamente maschile. Nel mondo delle autoproduzioni, però, non ci è mai capitato di riscontrare episodi di discriminazioni di genere, forse perché è sempre il prodotto ad essere al centro di eventuali discussioni. È indubbio che un'autoproduzione come Blanca risenta di una certa impronta femminile, che porta anche ad avere un pubblico principalmente di ragazze (ancor più che di bambini, che non sono un target facile da incontrare nelle aree fieristiche di editoria autoprodotta). Un'altra etichetta di autoproduzioni bolognese vanta un membro pordenonese: Luca Tonin (Il Kittie) fa parte da tre anni del collettivo Canemarcio e la sua formazione artistica è iniziata all'Istituto Statale d'Arte di Cordenons. Nato nel 2013 e formato da nove autori, Canemarcio è un collettivo che si occupa principalmente di pubblicare fumetti e illustrazioni sia di autori interni al collettivo che esterni allo stesso. Inizialmente le loro storie erano pubblicate online a cadenza mensile, trattando volta per volta temi diversi. Dopo un esordio al Treviso Comic Book festival, dove gli autori hanno presentato il progetto, al Napoli Comicon dello stesso anno sono comparse le prime pubblicazioni in cartaceo. In media il collettivo pubblica all'incirca due o tre libri per anno. Le ultime produzioni sono l'antologico “La Caccia” e i volumi “Pangea” e “Habitat”, realizzati da autori singoli. Il Treviso Comic Book festival è considerato da molti un evento importante e significativo, non solo per l'interesse e il supporto sem-

pre crescente che il festival dimostra ai collettivi di editoria indipendente, ma anche perché spesso è un vero e proprio trampolino di lancio per cominciare a diffondere i propri prodotti. Nell'edizione di quest'anno, infatti, la tradizione non è stata interrotta e il collettivo bolognese Brace (avente fra i suoi componenti anche l'udinese Francesco Saresin), ha presentato il suo primo numero, “Resti”. Per saperne di più sul piccolo universo dell'editoria indipendente, consiglio la lettura de “Il potere sovversivo della carta” di Sara Pavan (curatrice fra l'altro dell'area autoproduzioni del Treviso Comic Book Festival). Il libro esplora il fenomeno con dovizia di esempi, fornendo spunti di riflessione e panoramiche su possibili sviluppi futuri; una lettura utile sia per chi vuole avvicinarsi all'autoproduzione, sia per chi vuole semplicemente capire come funziona e come si sta strutturando nel corso degli anni.


INVIATI NEL MONDO Parlare di viaggi, è parlare dell'essenza di me stesso. Nato per caso a Pordenone, ho scelto scientemente di viverci e di provare ad impegnarmi per cambiarla, in meglio, questa Pordenone. Non sempre riuscendoci, sia chiaro, ma continuando ad adorare questo microcosmo ricco di eccellenze e, ahimè, altrettanto pregno dei difetti di chi è cresciuto troppo in fretta trovandosi all'improvviso ricco, privo di quella curiosità che ti fa vedere l'altro, il diverso, come una risorsa e non un nemico. Intaccato da altri difetti: quelli di chi, a differenza dei nostri genitori e dei nostri nonni, troppo spesso parla senza aver mai mosso il sedere da una sedia, comoda, che altri hanno posizionato. Parlare di viaggi è semplice, ed è difficilissimo al contempo. Perché, crescendo, ho modificato radicalmente il mio modo di viaggiare: ero convinto della necessità di vedere più cose possibile, sono ora se possibile più convinto ancora che, fissati due o tre punti chiave di un viaggio, imperdibili, la cosa più bella sia invece perdersi. Guardare, guardarsi, cambiare, perdersi e guardare ancora. Perdersi. Parlare, conoscere, osservare. Fermarsi. Sono convinto che l'elogio della lentezza sia la cosa più bella che si potesse scrivere. Peccato lo abbiano scritto altri. Ecco: ecco perché, quando Ada mi ha chiesto di scrivere due cose, stavolta ero in difficoltà, e parzialmente lo sono ancora. Quest'anno, dopo un lento ritorno in Asia Laos e Thailandia -, ho speso, lentamente e per caso, alcuni giorni in Svezia. Per caso e non per scelta, anche se i paesi del nord li sognavo sin

Toccata e fuga in Svezia «Quattro giorni sono pochi per conoscerla, ma sufficienti per farsela piacere. Per questo ci tornerò» di Piero Della Putta da bambino. Per caso perché il caso, e nulla di altro, han portato due amici veri, Paolo e Matteo, a lasciare Pordenone per aprire un ristorante in Svezia. L'avessero aperto a Bibione, no, non ci sarei andato, a trovarli. A Lysekil, invece, l'avevano aperto. E Lysekil siamo andati, seguendo le orme di Adriano e Anna, e di Chiara, che ci avevano preceduti: seguendo i loro commenti, entusiasti, che hanno rafforzato la mia e la nostra eravamo in otto, sette persone più di quelle con le quali sia abituato a viaggiare - convinzione sulla bontà di una scelta quasi obbligata. Quattro giorni in Svezia, dunque: pochi per conoscere un Paese, anche se in quattro giorni c'è chi scrive un libro, di quelli che non voglio leggere e non leggerò mai. Quattro giorni, sufficienti per farsela piacere. Perché si, la Svezia non può che piacere. Piacciono i suoi ritmi, compassati, piacciono i suoi abitanti, colti, gentili, puntuali. Piacciono tutte le cose che funzionano, e quelle che ci immaginiamo funzionino. Sanità, scuole, welfare, strade. Funzionano. Piacciono i boschi ed i fiordi, piace un verde accecante, selvaggio. Piace la cura per le proprie cose, che nulla è se non cura per gli altri. Piacciono i giardini, piace un ecologismo che non è di facciata e non è militante. Piace la voglia di aprirsi degli svedesi, la loro voglia di mettere tutti a proprio agio, e la loro cura per le fasce de-

boli della popolazione, bambini ed anziani. Piacciono le architetture semplici e perfettamente integrate con la natura, piace la ricerca e il culto del passato in un paese che è modernissimo. Piace meno, sono orgogliosamente italiano e latino, il rispetto quasi noioso di ogni regola; piace meno questa perfezione, che toglie quasi il gusto dell'imprevisto, scomparso dopo che anche la parola avventura ha perso di significato, soffocata da telefonini, guide, soccorsi alpini, abiti tecnici e quant'altro. Piacciono meno i sacrosanti cinquanta all’ora, i limiti che tutti rispettano, risultano antipatiche la tolleranza zero sugli alcolici e persino sulle sostanze dopanti alla guida. Piace questa dicotomia, sofferta: a casa mi lamento di tutto ciò che non funziona; in Svezia, nella Svezia meravigliosa che voglio rivedere, mi lamento del contrario. E ci tornerò, presto. Ci tornerò perché i paesini di pescatori e i ca-

panni dove riparano le loro barche non hanno prezzo; perché il salmone e il cervo, a tavola, non temono rivali specie se a cucinarli è uno chef italiano che ci infila dei frutti di bosco e dei porcini. Perché trovarsi in Svezia senza saperlo è stato divertente. Perché rocce, vento, oceano e tramonto ed amici sono parole che, mescolate assieme, non le dimentichi mai, non le dimenticherai mai. Perché Goteborg è un esempio come e cosa siano la qualità della vita, di come si possa creare e plasmare una città sui cittadini, a loro misura. Perché in Svezia ci si può muovere, ovunque, in bicicletta o a piedi, perché tutto è semplice. Perché fare il bagno in un fiordo, di notte, nudi, vale da solo il prezzo del biglietto, e perché anche quelli che pensavano - o pensano - fossimo dei deficienti, non ce l’ha mai detto. Perché i colori del cielo, del mare, dei laghi sono

colori che regalano pace e serenità interiori. Perché anche aspettare, se aspetto un traghetto, è un bel momento: non sbuffo, ma mi dipinge un sorriso idiota sul viso. Perché un camping rockabilly non l’avevo mai visto, probabilmente non lo rivedrò più. Perché anche scoprire che le donne svedesi non siano tutte - belle come le italiane, beh, ha il suo perché. E mi consente questa chiusura da italiano medio quale in fondo sono. Tornerò, in Svezia.


PANKAROCK

La Dave Matthews Band, tra genio e sregolatezza Tre ore di concerto al PalaFabris di Padova per la band americana che è tornata in Europa dopo cinque anni. Per la gioia dei suoi fan di Guerrino Faggiani È tornata. Finalmente la Dave Matthews Band è tornata in Europa. Cinque anni hanno dovuto aspettare i fan per riabbracciarla, nonostante le continue richieste anno dopo anno puntualmente andate deluse, finalmente la D’Alessandro e Galli è riuscita a riportare in Italia la Jam Band statunitense in occasione del Summer Tour Europe 2015. C’era riuscita anche con lo storico concerto al Festival di Lucca del 2009 - «Il nostro concerto della vita» l’aveva definito Dave Matthews - nel quale la band sfogò sul palco l’amarezza dell’immatura scomparsa del saxofonista Leroi Moore, cofondatore del gruppo, con il record di tre ore e venti minuti di grande musica. Dimostrando così ai fan e agli osservatori che la Dmb si era rimessa in piedi e aveva superato lo shock. Poi c’era stato il tour europeo del 2010, che fece tappa anche in Italia. Ad ottobre scorso ecco che la band, formatasi nel 1991 a Charlottesville, Virginia, è riapprodata nel vecchio continente. E l’ha fatto in grande stile con venti date di cui ben quattro in Italia: Milano, Firenze, Roma e, il 21 ottobre, al PalaFabris di Padova, un concerto al quale io non potevo mancare. Ho portato con me anche un compagno di vecchie merende e di buona vita, che tra l’altro non

conosceva la Dmb, ma che tempo fa mi aveva confidato, quasi fosse un sogno, che gli sarebbe piaciuto vedere un bel concerto, come capitava ai vecchi tempi da ragazzi, prima che la vita mondana si arenasse davanti alla famiglia e ai doveri degli uomini che si possono definire tali. E allora via al PalaFabris insieme, per una sera la famiglia sopravvivrà anche da sola. E poi come potevemo mancare dopo tanta attesa, sapendo che sul palco sarebbero saliti niente meno che Dave Matthews, chitarra acustica e voce, autore e leader della formazione, Stefan Lessard al basso, Boyd Tinsley al violino, Tym Reynolds alla chitarra, Jeff Coffin al sax e fiati vari (“el barbeta” ha due treccine di barba che gli pendono dal mento) il due piazze Rashawn Ross alla tromba (e dire che ora è anche di-

magrito) e, da ultimo come sempre nelle presentazioni fatte Dave Matthews, l’amatissimo Carter Beauford alle percussioni. Una formazione di grande impatto che non si trova a suo agio solamente nelle arene nelle quali ha costruito il proprio impero e che l’hanno resa una delle band più celebri al mondo. Imponente la sua discografia con vendite in tutto il pianeta, negli Usa la Dmb è stata in vetta alle classifiche con sei album consecutivi, strepitoso record assoluto e probabilmente ineguagliabile. Nel 2004 ha pubblicato delle registrazioni dei suoi concerti disponibili solo su ordinazione e tramite download. Ma l’eccessiva domanda ha messo in difficoltà il sistema ed ha costretto il produttore a commercializzarli anche nei negozi. Una volta uscita la band sul palco del PalaFabris dalla penombra

delle quinte, mentre salutava e prendeva possesso degli strumenti, tra le ovazioni e le grida di un pubblico entusiasta di riaverla finalmente davanti - alcuni come nel mio caso per la prima volta - non sembrava vero che esistesse davvero. Occhi sgranati su ognuno di loro, avidi di ogni cosa che facevano. E poi Dave Matthews e compagni sono partiti, eccome se sono partiti. Hanno eseguito due session complete senza intervalli, ancora con una scaletta nuova, che spazia su tutto il loro imponente repertorio. Pensate che nelle date italiane solo due pezzi sono stati eseguiti in ogni concerto: Death On The High Seas, che ha visto Dave Matthews al pianoforte, e la sempre superba Don’t Drink The Water. «Niente di più seducente c’è di un’orchestra eccitata e ninfomane» canta Paolo Conte, e la Dmb si scalda e cresce fino ad estraniarsi dal mondo e a nutrirsi della propria musica. Musicisti di mestiere che duettano tra di loro e sorridono alle performance, coinvolgendo il pubblico nelle loro estrosità. Al PalaFabris si sono fermati dopo quasi tre ore di genio e sregolatezza, e con il gran finale al terzo bis, davanti ad un pubblico mai sazio, di una prodigiosa Two Step in cui Carter Beauford, caldissimo alla sua batteria, ha lasciato un segno indelebile nella memoria dei presenti, che già non erano male impressionati. Poi i saluti, il silenzio e la fine della serata. Il mio compagno mi ha ringraziato con il cuore di aver pensato a lui per un evento così straordinario. Poi però mi ha spiazzato. Nel silenzio della notte mentre tornavamo a casa, con le luci che passavano e il dondolio della macchina sulla strada mi ha detto: «Prima ho pensato a mio figlio. Chissà se anche lui da lassù ha potuto vedere il concerto».


PANKAKULTURA

Gherardo Colombo: riflessioni su legalità e nuove generazioni Incontro con l’ex magistrato di “Mani Pulite” e scrittore ospite a Pordenonelegge di Diego e Alessandro Quest’anno a Pordenonelegge abbiamo avuto l’occasione di assistere alla presentazione del libro “Lettera ad un figlio su mani pulite” dell’ex magistrato Gherardo Colombo. In esso l’ex magistrato ripercorre gli avvenimenti più eclatanti e significativi che hanno caratterizzato l’inchiesta/scandalo che ha colpito il nostro paese a partire dai primi anni ’90: Tangentopoli. L’autore narra, in particolare, il suo arrivo alla procura di Milano, la costituzione del famoso pool di "Mani pulite", quindi, le fasi dell’inchiesta, l’ambiente, le persone e le sensazioni di quel periodo. Il libro ha una scrittura semplice, scorrevole e risulta essere di facile comprensione, in particolare per chi questi fatti li ha vissuti; questo anche perché “Mani pulite”, che è stata l’inchiesta giudiziaria che ha cambiato il volto dei partiti politici, in quegli anni ha ricevuto un’attenzione e

uno spazio notevoli all’interno dei mezzi di comunicazione. Come, infatti, ha detto lo stesso Colombo «non c’era canale tv, quotidiano o rivista che non mettesse in primo piano qualsiasi notizia che emergesse dall’inchiesta». All’incontro, oltre ad una considerevole presenza di cittadini, vi è stata anche la partecipazione incuriosita di diverse scolaresche. Lo scrittore, pertanto, ha scelto di interloquire con il pubblico, in particolare con gli studenti, scendendo dal palco ed interagendo attraverso una simpatica interrogazione su alcuni dei fatti citati nel libro. Durante il suo intervento, Colombo ha così potuto evidenziare come l’attuale sistema scolastico raramente prepari i giovani in merito al nostro recente passato, e come, invece, sapere la nostra storia recente è più importante di conoscere i sette re di Roma. Al termine dell’incontro, dopo

aver firmato diversi autografi, con estrema disponibilità, l’ex magistrato-scrittore ci ha dedicato alcuni minuti per rispondere alle curiosità che erano scaturite dalla lettura del suo libro, ma anche dalla sua persona, quindi dall’uomo e non solo dal magistrato Gherardo Colombo. Attraverso la nostra prima domanda abbiamo voluto cercare di capire se il tempo dedicato all’inchiesta e, quindi, al lavoro di magistrato lo avesse in qualche modo sottratto alla vita privata. La risposta del nostro interlocutore è stata negativa e lo stesso ha sottolineato che, a parte l’inconveniente della scorta, ogni sera, quando rientrava a casa, riusciva a staccare la vita professionale da quella privata. In secondo luogo abbiamo chiesto se, oltre alla formazione, vi siano altre strade da percorrere al fine di educare i giovani al rispetto delle regole. In questo caso l’ex

magistrato, che da tempo realizza numerosi incontri nelle scuole di tutta Italia, ha affermato che è attraverso il nostro comportamento quotidiano e, quindi, il nostro esempio che possiamo trasmettere alle nuove generazioni il “senso del vivere nella legalità”. Attraverso la terza ed ultima domanda abbiamo voluto “provocatoriamente” chiedere se, dal suo punto di vista, sia possibile in futuro avere una società senza corruzione e compromessi o se questo resterà solo un’infondata chimera. Colombo ha prontamente risposto che nei paesi del nord Europa il sentire sociale è diverso e, pertanto, il vivere nella legalità è realtà, ma in Italia è necessario cambiare una mentalità troppo radicata. Dopo aver soddisfatto le nostre curiosità, Colombo ci ha congedati, lasciandoci piacevolmente colpiti dalla sua spontaneità, disponibilità e simpatia.

PANKA NEWS Sabato 5 dicembre si è svolto in piazza Cavour l’Hiv Day. Anche quest’anno è stata scelta una data diversa dal 1° dicembre, giornata mondiale di lotta all’Hiv-Aids, per testimoniare che di Hiv-Aids non si può e non si deve parlare un solo giorno all’anno. L’associazione I Ragazzi della Panchina e Nps Italia Onlus (Network Persone Sieropositive), in collaborazione con l’Azienda per l’Assistenza sanitaria n.5 e il Dipartimento per le Dipendenze, con il patrocinio del Comune di Pordenone, hanno voluto organizzare un momento di

HIV DAY 2015 IN CITTÀ di Chiara Zorzi informazione e confronto su un tema molto importante, che però tutti pensano riguardare gli altri. In piazza Cavour, sotto lo striscione appeso su palazzo Badini, abbiamo allestito due gazebi con materiale informativo, giornali e libri realizzati dall’associazione nel corso degli anni; a caratterizzare lo stand c’erano le lettere Hiv giganti sulle quali ognu-

no poteva attaccare un fioco rosso firmato come gesto di condivisione della manifestazione. A vivacizzare il pomeriggio il dj set di Barbeat. A chi si è avvicinato allo stand abbiamo parlato di malattie sessualmente trasmissibili e distribuito preservativi come unico strumento di prevenzione dal contagio. Quest’anno, con il sostegno dell’Associazione

Sviluppo e Territorio, abbiamo coinvolto sempre più commercianti del centro cittadino, ai quali rivolgiamo un grande grazie: il risultato è stato la presenza di un fiocco rosso, simbolo della lotta all’HivAids, esposto nelle vetrine di 148 esercizi commerciali. E’ stato un gesto importante che ci auguriamo sia servito a tutti per iniziare a porsi delle domande e per trovare la voglia di cercare risposte. Tutte le foto dell'evento e delle vetrine del centro sulla pagina Fb "Hiv Day"


NON SOLO SPORT

Il Parkour, ovvero l’arte del movimento E’ una disciplina di spostamento del proprio corpo in modo creativo e personale, interpretando l'ambiente circostante di Nicola Ceccato Nato nei sobborghi delle città francesi, il Parkour (dal francese parcous – percorso), prevede un allenamento che trae spunto dalle tecniche di superamento di ostacoli utilizzate dai vigili del fuoco, i quali devono essere pronti a recarsi dal punto A al punto B nel minor tempo possibile per soccorrere o spegnere un incendio. Tale procedimento trae le sue radici dal metodo denominato Hebertismo, che è "un’educazione e una cura della salute e della forza fisica in maniera ragionata alle condizioni naturali di vita", dove il motto è “essere forti per essere utili". Queste tecniche sono state tramandate dal padre pompiere al figlio, David Belle, il quale ha avuto l'intuizione di adattarle, nella metà degli anni '80, in ambiente urbano o in natura. Negli anni successivi ci fu un incremento di praticanti ed è curioso osservare come questa disciplina si sia evoluta

(e si evolverà) con l'apporto e l'accorgimento di altri tipi di sport e conseguenti movimenti, dando il via a uno sport che sarà sempre in progressione. L'arte del Parkour risiede proprio qui, nell'interpretare l'ambiente circostante e spostarsi in esso con movimenti personali e creativi: l'utilizzo del proprio corpo

diventa strumento di espressione. La particolarità di questo sport (ma come in altri di free-style) è che fin da subito si percepisce l'arredo urbano con un altra prospettiva; la barriera architettonica diventa occasione per effettuare un particolare "gesto", le piazze e i luoghi pubblici vengo interpretati a proprio piacimento

trovando un proprio percorso ("traccia") su cui allenarsi: ogni muro, muretto è una sfida da affrontare. L'avvento di internet e di Youtube poi ha fatto sì che questa disciplina si diffondesse rapidamente e spopolasse sopratutto tra i più giovani. Il risultato di questa divulgazione mediatica però ha spostato l'attenzione su un elemento fondamentale del Parkour: la preparazione atletica. Alla base di questo sport, infatti, c'è oggi una rigorosa preparazione fisica che trae spunto sopratutto da varie discipline quali le arti marziali, l'atletica, la ginnastica artistica e l'arrampicata. Si nota comunque nelle nuove generazioni che si avvicinano al Parkour una carenza di abilità motorie di base (correre, saltare, arrampicare ecc). E’ questa una conseguenza della carenza di spazi e soprattutto della sedentarietà. La progressione personale, a differenza di quanto si possa immaginare, è lenta e punta molto sulla coscienza di sé e delle proprie capacità: bisogna porsi degli obbiettivi e lavorare sodo e con tenacia per raggiungerli. Il Parkour insegna ad individuare i propri limiti, insegna a non fermarsi davanti ad un ostacolo, ma a valutarlo ed analizzarlo per trovare un metodo, un "tuo" metodo per superarlo. Questo sport insegna soppratutto a rispettare se stessi e l'ambiente circostante. Per questi motivi questa disciplina porta con sé non solo un lato tecnico e spettacolare ma anche un lato filosofico, personale e sociale.

Da alcuni anni è sbarcato anche a Pordenone Unico neo, manca ancora uno spazio in sicurezza ad esso dedicato Negli ultimi anni anche a Pordenone si vedono questi "fioi che i salta par longo e par largo" negli spazi pubblici urbani. Se dapprima c’era un po’ di sgomento per questi "scavezzacollo" e la gente andava via quasi infastidita, ora c’è chi si sofferma e apprezza sopratutto le doti acrobatiche di questa disciplina. Oggi la comunità di Pordenone (dai cittadini, ai com-

mercianti, alle forze dell’ordine) ha capito il valore del Parkour, grazie al lavoro fatto negli ultimi anni dalla Side Motion Crew, un’aggregazione spontanea di ragazzi che ha deciso di praticare questo sport pensando in primis al rispetto di chi vive gli spazi pubblici. Un risultato ottenuto anche grazie agli eventi e alle esibizioni nel territorio, che sono una calamita

per il pubblico e portano in città praticanti da tutto il Triveneto. Gli appassionati di Parkour, però, non hanno ancora uno spazio dedicato in città, che potrebbe diventare un centro di aggregazione e un nucleo dove avviare un’attività formativa per chi si vuole avvicinare a questa disciplina, adatta sia ai bambini, che agli adulti. Alcune associazioni hanno

fatto partire dei corsi, appoggiandosi alle palestre delle scuole (da anni nella palestra del liceo Grigoletti c'è un corso aperto a tutti tenuto da istruttori qualificati). Il sogno per il futuro è poter avere un luogo dedicato alla pratica del Parkour con tutte le attrezzature necessarie per praticare questo sport in sicurezza, durante tutto l’anno. (n.c.)


Al ritmo del Boogie Woogie Anna e Simone coppia nella vita e nel ballo, con la passione sfrenata per gli anni Cinquanta di Anna e Simone Chuck Berry, Jerry Lee Lewis, Elvis Presley, Little Richard, Eddie Cochran, Johnny Cash, chi non riuscirebbe a muovere il proprio corpo a Rhythm and Blues ascoltando questi fantastici artisti e la loro musica? Solo al sentir vibrare le corde del contrabbasso o il battere della grancassa i piedi iniziano a muoversi e le dita schioccano quasi a cercare di entrare in quei fantastici anni Cinquanta. Ma che cos’è il Boogie Woogie? Oltre ad essere uno stile musicale, è pure un ballo di coppia che risale agli anni Cinquanta e prende piede in Europa dopo la seconda guerra mondiale. Tutto è iniziato quando ci siamo accorti che in qualsiasi momento e luogo ci trovavamo, ascoltando questa musica i nostri corpi iniziavano a muoversi. Dovevamo trovare il modo di manifestare questo nostro desiderio, questa voglia di ballare! Una sera sul bancone di un bar di Sacile, un volantino ha catturato la nostra attenzione: “Corsi di Bolgie Woogie” a Chions organizzati dall’associazione X°group (Decimo group). Quest’associazione cerca di far rivivere i favolosi anni Cinquanta, promuovendo e organizzando eventi a tema, oltre che, tra i mesi di settembre e maggio, corsi di ballo di livello base, intermedio e avanzato, presso la palestra di Chions; questa è l’unica realtà della provincia di Pordenone. Solo guardandoci, avevamo già capito qual’era il pensiero comune: dovevamo fare quel corso. Alla prima lezione i maestri

Matteo e Nadia, dei Doo Wop Boogiedancers, ci dissero: «I pensieri lasciateli fuori, liberate la mente e fatevi trasportare dalla musica». In seguito, con un’esibizione, ci hanno mostrato su cosa si basava il Boogie Woogie. Quelle movenze, quella leggerezza nel muovere i loro corpi e i loro piedi ci hanno affascinato e hanno fatto si che tuttora, dopo quattro anni, siamo ancora alla continua ricerca di migliorare il nostro stile, al fine di riuscire a trasmettere alle persone quello che proviamo nel ballare. Con questo obiettivo, infatti, abbiamo frequentato varie scuole e partecipato a diversi stage, tra i quali uno con gli attuali campioni del mondo di Boogie Woogie 2015, Thorbjørn Urskog e Flora Bouchereau: un’esperienza incredibile. L’anno scorso, inoltre, abbiamo avuto l’occasione di andare ad un festival a Senigallia: il Summer Jam-

boree, dove ad agosto, per ben dieci giorni c’è la possibilità di rivivere i mitici anni Cinquanta. Un’intera città si trasforma tra mercatini, band provenienti da tutto il mondo, ciuffi a volontà, pin-up, cadillac, old mobile, e tanta tanta bella gente che crede in tutto questo. Un’atmosfera magica e travolgente ti rapisce. Un mix di situazioni e persone con un’unica passione in comune: gli anni Cinquanta. Anche nel Pordenonese è possibile rivivere tutto questo in alcune manifestazioni ben organizzate come Sexto Vintage, a Sesto al Reghena, che si tiene a maggio, Azzano vintage, ad Azzano Decimo, a giugno ed il Blues Festival, organizzato proprio a Pordenone a fine agosto. Nonostante siano concentrate in un solo weekend, queste manifestazioni riescono a regalare un’atmosfera ed un’emozione travolgente che attira molte

persone. Ogni anno gli organizzatori cercano di coinvolgere un numero sempre più elevato di persone invitando degli artisti particolarmente conosciuti nel mondo della musica Blues. Da apprezzare, inoltre, il fatto che queste manifestazioni sono ad entrata libera e, in questo modo, permettono a tutti di avvicinarsi a questo mondo affascinante. A distanza di tempo risuona ancora nelle nostre menti la frase che ci dissero i maestri durante la prima lezione ed, infatti, ogni volta che andiamo ad ascoltare e a ballare la musica Blues di gruppi live o Dj, che ci riportano indietro nel tempo, ci rapisce quella magia che ci aiuta a lasciare i pensieri alle spalle e a mettere un sorriso sui nostri volti. Inoltre, anche il nostro rapporto di coppia si è rafforzato. Questa passione condivisa ci ha unito ancora di più, in quanto ballando ci sentiamo in sintonia, quasi a diventare un unico corpo che balla, e questo è fantastico. Abbiamo scoperto poco per volta di non riuscire più a fare a meno di questo mondo, come anche di tutte le persone meravigliose che abbiamo conosciuto in questo percorso e con le quali abbiamo ormai un rapporto di forte amicizia. C’è poco da fare, il ballo unisce le persone e crea un ambiente gioioso e avvolgente, dal quale è difficile tirarsi fuori. Noi, ormai da quattro anni, siamo stati risucchiati da questo vortice che si chiama Boogie Woogie e non abbiamo nessuna intenzione di smettere di ballare.


LA STORIA

Crisi e rilancio dell’economia negli Usa di Roosvelt Primo Dopoguerra: come si arrivò al crack e come lo si affrontò di Emanuele Celotto Usa ottobre 1929: inizia un crollo verticale di Waal Street (giovedì nero) e finisce il martedì nero col crack della borsa. Questa diverrà poi la prima crisi globale. Com’è potuto succedere? Parliamo di un’economia che dal 1924 fino ai primi mesi del 1929 aveva fatto profitti altissimi. Le previsioni future e le dichiarazioni del presidente erano piene di ottimismo; la disoccupazione era al 3% ed i pochi economisti che parlavano di rischio crisi, più o meno imminente, venivano tacciati come antipatriottici. Sicuramente le cause della crisi furono molteplici ma, in primis, era un’economia gonfiata. Andiamo un po’ a ritroso. Dagli anni Venti in poi, i governi repubblicani che si susseguirono, attuarono questa strategia economico-politico-monetaria: taglio delle tasse con aliquota massima 25%, contenimento della spesa pubblica, basso costo del denaro, nessun interven-

to dello Stato nell’economia e nella finanza. L’ossessione del pareggio in bilancio, finiva col dare scarsa assistenza sociale e nessun sostegno ai piccoli-medi agricoltori. Non avendo subito danni di guerra, gli Usa ebbero un forte aumento di produttività interna, che all’inizio portò benessere e slancio economico industriale. Il mercato dell’auto trainava tutto l’indotto (gomma, metallurgia, petrolio) e ne traevano beneficio i consumi in generale. L’economia agricola prosperava grazie all’export; bassi costi e grande produzione, elevato fabbisogno dei paesi in via di ricostruzione. L’Europa, per rilanciarsi dopo la fine della Grande Guerra, poggiava in larga parte sul credito concesso dagli Usa, che a sua volta beneficiavano dell’acquisto da parte dei Paesi europei di grandi quantità di grano. Quando il trattato di Versailles addebitò i danni di guerra alla Germania, incomincia-

rono le difficoltà. Il sistema industriale tedesco era ben sviluppato e gli Usa lo sostenevano con grandi quantità di denaro, permettendo così alla Germania (con grandi sacrifici) di pagare i debiti di guerra; soldi che in gran parte Francia e Inghilterra utilizzavano per il pagamento del debito con gli Usa. Un circolo di denaro che sarebbe durato fin quando l’America l’avesse sostenuto. Intanto in patria i consumi iniziavano a ristagnare o diminuire; all’aumento di produttività e profitti, non corrisposero un aumento dei salari e del potere d’acquisto. Le banche concessero crediti a carattere speculativo, spesso senza adeguate garanzie, che sommate a una finanza priva di controlli fecero il resto. A livello finanziario si compravano azioni (versando il 50% del valore) al solo scopo di rivenderle, senza curarsi della qualità del titolo. Si alzarono il valore delle azioni e dei profitti. Gran parte del ceto medio, che aveva investito in azioni, era destinato a ritrovarsi in mano carta straccia. I vari Stati dell’Europa introdussero una serie di dazi protezionistici che lasciarono l’economia agricola Usa con una forte eccedenza di grano e priva di sbocchi di mercato. Crollò il prezzo del grano, piccoli e medi agricoltori fallirono ed abbandonarono i campi: iniziava la disoccupazione. A tutto questo aggiungiamo che le banche ritirarono gran parte delle aperture di credito. Gli Usa chiesero la restituzione dei prestiti e non immisero soldi nell’economia Europea (soprattutto tedesca). Questo portò al collasso del sistema debiti-crediti che si autoalimentava generando utili. In America il crollo del prezzo del grano, con conseguente perdita del valore azionario di una parte dei risparmiatori, fu l’innesco della crisi. Parecchi risparmiatori, presi dal panico, corsero in banca a ritirare i soldi e questo provocò una forte crisi di liquidità. In soli cinque giorni

si arrivò al nefasto crack ed iniziò la crisi. In breve tempo, consumi e produzione subirono una forte contrazione, parecchie fabbriche fallirono creando oltre 9 milioni di disoccupati. Poche ed inutili le misure prese dall’allora presidente Usa: aumento del tasso d’interesse, aiuti a gruppi finanziari, tentativo di mantenere un approccio ottimistico generale. Nessun intervento a sostegno di famiglie o aumento dei sussidi ai disoccupati. Tra fusioni e fallimenti, alla fine del 1929, 200 imprese controllavano più di metà del sistema industriale americano. A livello mondiale furono cercate soluzioni collettive alla crisi, ma fallirono tutte. La disoccupazione era ormai oltre il 25%. Solo nel 1932 con F.D. Roosvelt e la vittoria dei democratici iniziò una serie di scelte che portarono gli Usa fuori dalla crisi (New Deal). Fu istituito il Social Security Act (con indennità di disoccupazione, la previdenza sociale e le pensioni di anzianità) e un’agenzia per il controllo del mercato azionario; venne riconosciuta l’importanza del sindacato e iniziò l’intervento dello Stato nell’economia e nella finanza. Roosvelt si trovò a dover cambiare radicalmente un sacco di cose, soprattutto l’idea di un capitalismo spensierato e senza controlli. Portò anche un cambiamento nello Stato e del modo di pensare in generale. Si cominciò a mettere mano alla spesa pubblica, dimenticando l’ossessione del pareggio in bilancio. Furono costruite infrastrutture ed un sacco di opere pubbliche che riportarono occupazione, misure agevolate dal fatto che il lavoro non meccanizzato richiedeva grandi quantità di manodopera. Roosvelt utilizzò il primo mandato per rilanciare gli Usa e si guadagnò la stima e la fiducia del popolo americano che lo riconfermò presidente per altri tre mandati. Fu l’unico presidente americano a rimanere in carica per quattro.


Hanno collaborato a questo numero

LDP - LIBERTÁ DI PAROLA Giornale di strada dei Ragazzi della Panchina ad uscita trimestrale o quasi Registrazione presso il Tribunale di Pordenone N. R. G. 1719/2008 N. Reg. Stampa 10 del 24.01.2009 Direttore Responsabile Milena Bidinost

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Guerrino Faggiani Se è vero che della nascita non ci si ricorda nulla, chiedetelo a lui, vi saprà raccontare ogni secondo, è rinato nel 2007! Da cinque anni con la Panka cavalca la vita, non tanto per saltare gli ostacoli, ma proprio per abbatterli

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Irene Vendrame E’ arrivata in redazione una cucciola! Giovanissima, timida e delicata, ma altrettanto determinata e ambiziosa. Sogna di diventare una famosa giornalista come Oriana Fallaci, così è stata arruolata da LDP per farsi le ossa. Benvenuta Irene!

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Paola Doretto Lettrice d’altri tempi, si narra che abbia dichiarato che ci sono troppi pochi autori al mondo per fare in modo che lei riesca a leggere sempre libri nuovi! Si spende ogni giorno per cercare di dare il proprio contributo verso un mondo più giusto e quindi, con naturalezza, scrive sul nostro giornale.

Capo Redattore Guerrino Faggiani Redazione Stefano Venuto, Graziella Zambon, Sara Lenardon, Adriano, Gianluca, Andrea B., Andrea C., Chanel Giacomelli, Franca Merlo, Andrea Appi, Emanuele Celotto, Paola Doretto, Sara Pavan, Giulia e Rafael, Irene Vendrame, Cristina Colautti, Irene Coletto, Piero Della Putta, Diego e Alessandro, Chiara Zorzi, Ada Moznich. Editore Associazione i Ragazzi della Panchina ONLUS Via Selvatico 26, 33170 Pordenone Creazione grafica Maurizio Poletto Impaginazione Ada Moznich

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Cristina Colautti È arrivata in sede in punta di piedi, adesso non le sfugge niente, anzi. Dottoressa in sociologia Bis, porta a casa un 110 e lode a mani besse! Pare che “ansia” sia il suo secondo nome, ed infatti è la nostra donna per Codice a s-barre, così almeno lì, si sente al sicuro!

Chiara Zorzi S: "Chiara, guarda che bella frase che ho scritto!" C: ”bella ma non si scrive così...” S: "ok non è perfetta ma il senso poetico..." C: ”...si bello, ma non si scrive così in Italiano!” S: "Quindi?" C: “tienila, ma non è giusta!”. Quando scorri, la consapevolezza del limite, che scorre con te, è vitale. Grazie Chiara

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Milena Bidinost Il direttore non si discute, si ama. Penna libera, riesce ad immergersi nella bolgia dell’Associazione con delicatezza e costanza, impegno ed esperienza. Quando le parli ti chiedi se le tue parole finiranno in un articolo! Ma confidiamo nella sua amicizia

Stampa Grafoteca Group S.r.l. Via Amman 33 33084 Cordenons PN Fotografie A cura della redazione Foto a pagina 6 e 8 dal sito: http://commons.wikimedia.org/wiki/ Main_Page Foto a pagina 13 di Piero Della Putta Foto a pagina 14 dal sito della Band Foto a pagina 16 di Nicola Ceccato Foto a pagina 17 di Anna e Simone Chi vuole scrivere, segnalare, chiedere o semplicemente conoscerci, contatti la redazione di LDP: info@iragazzidellapanchina.it

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Chanel Giacomelli Chanel, nome che dato ad un cane ricorda un morbido pelo arruffato, occhi dolci, un cane che si muove nei salotti buoni, accarezzato da donne ingioiellate che sorseggiano the... invece si sta parlando di un pitbull di 23,5 kg che passa il suo tempo tra parchi dismessi e la panka! Ormai è la nostra amata mascotte! Peccato per il padrone...

Rafael Proviene da mondi caldi, riempiti da musiche, danze, sorrisi e sole. Arriva a Pordenone.. e capirete bene che una persona, in un modo o nell’altro, qualcosa si deve inventare! Entra in sede con delicatezza, disponibilità e vestiti puliti.. nuovo educatore della sede? chiedono i più.. lui sorride e dice: no, già sofferto abbastanza!

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Emanuele Celotto Scrittore, nuotatore, scacchista, attore. Presenza morbida e mai sopra le righe, nonostante questo difficilmente non fa quello che pensa. Con la caricatura l’omaggio dell’affetto per lui nella folta chioma, ormai ricordo di antichi fasti e disavventure inenarrabili

Questo giornale é stato reso possibile grazie alla collaborazione del Dipartimento delle dipendenze di Pordenone Associazione i Ragazzi della Panchina ONLUS Via Selvatico 26, 33170 Pordenone Tel. 0434 082271 email: info@iragazzidellapanchina.it panka.pn@gmail.com www.iragazzidellapanchina.it FB: La Panka Pordenone Youtube: Pankinari Per le donazioni: Codice IBAN: IT 69 R 08356 12500 000000019539 Per il 5X1000 codice fiscale: 91045500930 La sede de I Ragazzi della Panchina é aperta dal lunedí al venerdí dalle ore 13:00 alle 18:00

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Franca Merlo Presidentessa onoraria dell’Associazione affronta la vita come una eterna sperimentazione. Oggi è a Londra, più avanti.. si vedrà. Non manca mai di commentare il blog, non manca mai di sentirsi Panchinara, ovunque sia.

Sara lenardon Seguendo le orme del fratello decide di fare il tirocinio da noi.. pazza. Per cui perfetta. Ginnasta di professione, studentessa per cultura, panchinara per passione. Scrive il suo primo articolo dall’altra parte del mondo, adesso scrive perché da noi ha scoperto un altro mondo.

Stefano Venuto Mimica facciale e gestualità ne fanno un perfetto attore! Lui però ha deciso di rinunciare alla fama per concedersi a noi. Magistrale operatore, tanto da confondere le idee e mettere il dubbio che lo sia veramente, penna delicata e poetica del blog, chietegli tutto, ma non appuntamenti dopo le 18.00!


ALLA FINE, NON SONO GLI ANNI DELLA TUA VITA CHE CONTANO E' LAVITA CHE C'E' STATA NEI TUOI ANNI ABRAMO LINCOLN

I RAGAZZI DELLA PANCHINA CAMPAGNA PER LA SENSIBILIZZAZIONE E INTEGRAZIONE SOCIALE DE I RAGAZZI DELLA PANCHINA


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