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DIREZIONE Alessandro Xenos, Donatello Cirone
REDAZIONE Donatello Cirone, Luca Saracino, Luigi Balice, Alessandro Xenos, Elisa Saracino
CONCEZIONE E REALIZZAZIONE GRAFICA Luigi Balice
DISEGNI E LOGO Giacomo Braccialarghe
WEBMASTER Donatello Cirone
INFORMAZIONI E COLLABORAZIONI info@irrequieto.eu / redazione@irrequieto.eu
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L’Irrequieto Rivista Letteraria
Associazione Culturale L’Irrequieto Firenze - Paris Novembre 2015 www.irrequieto.eu redazione@irrequieto.eu © Giacomo Braccialarghe
Indice Poesie Solo silenzio, niente piĂš pag 6 di Luigi Balice
Se celebri la bellezza pag 33 di Giuseppe Semeraro
Racconti Allegoria / Un domani pag 8 di Luca Saracino
Il passaggio in auto pag 11 di Alessandro Xenos
The badge pag 19
di Donatello Cirone
Il buco pag 25
di Mara Abbafati
Il regista mancato pag 31 di Pietro Pancamo
Disegni - Foto Tintarella di Elisa Saracino pag 5 i cerchi narranti #3 pag 10 di Luca Cini
Sirenetta sott’olio pag 18 di Elisa Saracino
Psychedelic strip pag 24 di Elisa Saracino
i cerchi narranti #1 pag 30 di Luca Cini
i cerchi narranti #2 pag 34 di Luca Cini
Tintarella
Š Elisa Saracino
Elisa Saracino: nasce a Firenze il 20 marzo 1986. Laureata in Economia Aziendale vive e lavora a Firenze e si occupa di Marketing e Comunicazione come consulente e art director. Coltiva da sempre la passione per le arti visive e il disegno. Le sue realizzazioni grafiche sono visibili all’indirizzo https://instagram.com/p/1ivEE5PcU7/
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Solo silenzio, niente più Luigi Balice
Ce ne sono a centinaia di cieli La notte ci indicherà i sotterranei obbligati che nasconderanno le stelle Cerco vie di fuga per non trovarmi a tu per tu con aspettative non mie. Non voglio abbracciarti, non voglio vederti vaffanculo a tutti i gesti banali che mettono il punto e a capo, creano reazioni a catena, escalation da telenovelas sudamericane Lo zuccherino dopo aver domato l’asino, questo fanno gli abbracci dopo il distacco Non sempre, questa mattina almeno Rituali per non credenti, rifanno il gesto per richiamare quello che però è destinato a cambiare forma. Il mio silenzio è il tuo pianto, ma tu non devi saperlo le parole sono buone solo ad indicare la data di scadenza il silenzio non vuol dir nulla, scava rifugi lassù, dove i neonati in fasce corrono a nascondere la cenere
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e i grandi si mettono a raddrizzare chiodi per passare il tempo, non ci pensano mica che potrebbero usarli per attaccare le stelle al cielo. Ma basterebbe evitare di scrivere un diario personale solo per annotare i chili persi giorno per giorno, fare solo in modo che si sia forti abbastanza per non abbandonarsi ad un semplice due.
Luigi Balice è nato a Bari, nel gennaio dell’87, ha studiato Macroeconomia tra Bologna, Torino, Londra e Parigi, città in cui vive ormai da quattro anni. Ha dedicato anni di studio alla sempiterna Questione Meridionale. Oggi accompagna artisti e creatori di contenuto culturale nei loro processi di sviluppo multimediale, è responsabile del progetto editoriale Asinamali. Nel tempo libero litiga con i vicini di condominio.
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Allegoria
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Ho strappato le foglie dagli alberi del parco e i rami secchi, quelli della siepe lungo la via che percorro ogni sera di ritorno da lavoro. Rientrato in casa ho subito messo a bruciare l’incenso, ripiegato i pantaloni seguendo con precisione la riga e ho gettato la camicia e i calzini nella cesta dei panni sporchi. Col nastro adesivo mi sono attaccato le foglie sul petto, la pancia e le spalle. Ho attaccato i rami secchi alle braccia, alle gambe e il più lungo attorno al collo a sovrastare la testa. Davanti alla finestra della cucina con una lacrima a solleticarmi il labbro ho gracchiato: l’autunno.
Luca Saracino è nato a Fiesole nel 1980. Vive e lavora a Firenze. Ha pubblicato le raccolte di racconti Prima del capolinea (2012) e Silenziosamente (2014) con Edizioni della Meridiana. Dal 2008 scrive su Siamelli, blog di cui è cofondatore.
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Luca Saracino
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Un domani
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Una spiga di lavanda, le persiane socchiuse per il sole dell’87. Poi cambiare casa, avere una stanza in più per la sorellina, un domani vedrai, un domani faremo. Stavo seduto in cima al frigo indossando un gilet verde e i capelli di John Lennon. Impugnavo succhi di frutta e girelle e il telecomando come fosse una pistola. All’epoca non potevo conoscere tutte le cose che non sarei riuscito a vivere e non potevo rimpiangere la persona che non avrei saputo essere. Quando la mamma faceva il turno di notte il babbo apriva il divano letto per poter vedere la tv fino a tardi e ci addormentavamo con il Tenente Colombo. Ho da poco scattato foto a mio padre ormai in pensione e neo cowboy del campo di girasoli. L’ho immortalato nell’atto di fare linguacce affiorando fra i grossi fiori arancio, oppure nel gesto di sparare dalle dita. Tornando a casa prima che facesse buio mi ha raccontato alcune storie sul bosco circostante e sul canto delle civette che rende matti. Un domani mi ha detto potremmo trasformare il vecchio mulino in un ristorante. Un domani. 9
i cerchi narranti #3
© Luca Cini
Luca Cini: è nato a Firenze nel 1960. Vive e lavora a Firenze. Ha esposto le proprie opere in mostre personali e collettive, Italia e all’estero. Ha collaborato con la Asl Toscana e Cesvot Toscana alla pubblicazione di tre libri con le proprie foto (“Appunti di viaggio” , “Cerchi narranti” , “Prendersi cura della stomia”. Ha pubblicato la raccolta di fotografie e racconti “Silenziosamente” con Edizioni della Meridiana. www.lucacini.it
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Il passaggio in auto parte quarta
Alessandro Xenos
Nel frattempo in rue de la Merci i passanti si erano fermati a guardare una scena piuttosto insolita. Una ragazza esile con i capelli scuri come il Vantablack stava prendendo a calci un portone talmente mal ridotto che sembrava dover venire giù da un momento all’altro.
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Feuilleton
« Aprite coglioni o vi spacco questo pezzo di legno che chiamate porta! Tu puta madre!! ». Era Estelle, in tutto il suo splendore. Il portone apparteneva alla casa in cui vivevano Sebastian e i suoi cinque coinquilini. Il campanello era sempre stato rotto e il telefono di Estelle non aveva più batteria. Data la sua collera, quello le era sembrato il modo più gentile per comunicare la sua presenza. Dall’altra parte del marciapiede un’anziana signora dal viso avvizzito e la schiena ricurva la fissava con un’espressione di disgusto riflettendo all’ipotesi di chiamare la polizia. La “Rabbina”, come l’avevano amicalmente soprannominata i giovani del quartiere a causa dei suoi ricciolini lunghi ai lati e ormai invisibili al centro, abitava due porte più in giù e nonostante la sua quasi completa sordità vigilava senza sosta alla quiete della rue de la
Feuilleton
Merci. « Le sembra questo il modo di fare signorina? ». Lo sguardo infuocato di Estelle la fece tremare a tal punto che il sacchetto della spesa le cadde in terra. Una dozzina di pomodorini rotolarono giù per la discesa fino all’entrata del negozio dov’erano stati comprati. La Rabbina riparti’ borbottando imprechi d’altri tempi seguita dallo sguardo discreto di alcune coetanee nascoste dietro le persiane. Estelle aveva già ripreso a gridare: - Aprite cazzo! - Piano, oh!! Arrivo, arrivo! Finalmente la porta si aprì. Ne usci’ fuori un viso da sparring partner, gli occhi stretti e le occhiaie da programmatore informatico. La visiera del cappellino del Montpellier Hérault gli copriva la fronte e quel poco di capelli che gli restavano. L’espressione di Estelle si addolcì tutto d’un tratto. - Momo! - Se non sei venuta per dirmi che ho vinto un milione di euro, puoi anche smetterla di tirare calci alla porta. - Scusa Momo, ma non ho più batteria e sono qui fuori da più di dieci minuti. Com’è che non rispondeva nessuno? - Siamo tutti su in balcone. Se cerchi Sebastian sappi che è partito ieri
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e non so quando tornerà. - Non ti ha detto dove andava? - No, non l’ha detto. Dai entra, ti offro una birra. Varcò la soglia a passo di carica convinta di riuscire a fargli confessare qualcosa. Non sarebbe stato facile, ma era necessario insistere perché Momo in quanto unico parrucchiere per uomo del quartiere sapeva sempre tutto di tutti. Era considerato come una sorta di giudice di pace per tutte le questioni « delicate ». Fu lui a nascondere Sebastian quando i gitani gli davano la caccia per via di due motorini rubati. Fu ancora lui a trattare con la Brigata anti criminalità quando volevano portarlo in centrale perché si rifiutava di condividere con loro i ricavi dello spaccio. Aveva salvato il culo a Sebastian e a molti altri giovani del quartiere in diverse occasioni. Se ne fregava delle questioni etniche e territoriali, quello che più gli teneva a cuore era la propria tranquillità e quella dei suoi cari.
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Feuilleton
Momo non era di Montpellier, era cresciuto nella periferia nord di Marsiglia, dove l’uso di armi da fuoco era consueto almeno quanto le strisce di cocaina nelle serate dello show business parigino. Era arrivato a Figuerolles dieci anni prima, quando ne aveva diciotto, sperando di poter uscire per sempre da quel mondo di violenza quotidiana. In un certo senso ci era riuscito, perché a Figuerolles si
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sentiva soltanto l’eco del gran banditismo e a parte qualche episodio sporadico tutti i problemi si risolvevano con un fascio di banconote stretto in mano. In poco tempo aveva raccimolato i soldi per comprare un fondo e diventare parrucchiere. Da allora gli affari gli andavano alla grande. Quando era in forma riusciva a tagliare i capelli a sette clienti in un’ora. Rasava ai lati, tagliava al centro, piccola rasatura sul collo e spennellata finale con la spazzola. Tutti volevano lo stesso taglio, non c’era bisogno di chiedere. Nonostante la praticità della cosa, Momo cominciava a stancarsi di ripetere costantemente gli stessi movimenti e quando un cliente pretendeva un taglio diverso un piccolo sorriso gli spuntava sull’angolo sinistro della bocca. Fu così che prese in simpatia Sebastian. Il vezzo di quel giovane spagnolo squattrinato che chiedeva i capelli corti davanti e lunghi sulla nuca lo faceva divertire, gli sembrava di fare un tuffo negli anni ’90. Diventarono amici e quando ci fu la possibilità lo fece venire a vivere nella casa di rue de la Merci. Estelle era arrivata qualche anno dopo, ma era riuscita a integrarsi rapidamente al gruppo, anche se in un certo senso si sentiva ancora esclusa. - Non ne posso più Momo, non mi dice mai niente. Mi chiama per dirmi che parte, ma non mi dice dove va. Affari, affari e sempre affari, ma sono sicura che ha un’altra. - Ti assicuro che è innamorato perso di te, non ha nessun’altra. Lavora,
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tutto qui. - Eh, lavora… lo chiami lavoro? Spaccia, ecco cosa fa, e tu lo copri. - Stammi bene a sentire, a me non interessa come si guadagna da vivere, sono fatti suoi e non dovresti preoccupartene nemmeno te. - Chi è Miguel Negredo? Momo la guardò intensamente negli occhi. La sua espressione si era imbrunita. - Non lo conosco. - E questo come me lo spieghi? Era nello zaino di Sebastian. Tiro’ fuori un passaporto colombiano con la foto di un uomo calvo sulla cinquantina e un timbro con il visto francese. Momo lo prese tra le mani, lo guardo’ di sfuggita e lo ripose sul tavolo. - Non so chi sia, ma fossi in te lo ridarei a Sebastian. Estelle riprese il passaporto e fece per uscire. - Ok ho capito, non mi vuoi dire niente. Andate a fanculo te e quello stronzo del tuo amico. Momo non ebbe il tempo di replicare, Estelle era già uscita sbattendo la porta. Tiro’ fuori il telefono e cerco’ il numero di Sebastian.
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Feuilleton
- Oh, dove cazzo sei? E’ venuta Estelle a chiedere di te, aveva il
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passaporto del tipo. - Cazzo! La deve smettere di frugare nelle mie cose! Che le hai detto? - Niente, le ho detto di restituirtelo. - Grazie Momo, torno stasera, ci vediamo a casa. - Ok, ciao. - Ciao.
Continua nel prossimo numero
Alessandro Xenos: fondatore de L’Irrequieto, Nato l’8 ottobre 1986. Dopo aver conseguito una laurea triennale in Scienze Politiche alla Facoltà Cesare Alfieri di Firenze, decide di trasferirsi in Francia per continuare gli studi. Iscrittosi all’Università di Montpellier, lavora per alcuni giornali locali e consegue un Master 2 in Giornalismo nel 2012. Dal 2013 vive e lavora a Parigi, dove continua ad amare la poesia in tutte le sue forme.
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Sirenetta sott’olio
Š Elisa Saracino
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The badge Donatello Cirone
Giorno 24 - Badge 25 I piedi si intrecciavano uno dietro l’altro, pestavano tutto quello che incontravano senza pietà, con forza si scontravano contro la suola che si deformava a ogni colpo, non erano colpi d’amore, quelli che fanno restare fermo il cuore, che gonfiano vene e polmoni, ma colpi violenti, senza clemenza. La pianta del piedi di Sergio si arrossava, bolle si gonfiavano come palloncini in bocca a pagliacci muti, i tendini si allungavano con innaturalezza, le cosce invece si indurivano, sudava fra le chiappe, il sudore colava suicida e si incanalava, la fronte luccicava, la barba ispida si ammorbidiva. Una lunga corsa verso quel movimento fulmineo, un richiamo primordiale alla magia della creazione, il badge che striscia fra due lembi d’acciaio che si schiudono, un bip, un orario, un brivido lungo la schiena. La giornata inizia: - Portami il caffè! - Sì, sissignore capo Dottore!
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- Ancora sei qui, che guardi? Cosa guardi? Il caffè, dai! - Sì, sissignore capo Dottore! Fuori dalla finestra gli storni disegnavano nell’aria visi felici e cuori alati. - Cazzo, senza zucchero! - Sì, sissignore capo Dottore! - Ma sì cosa? Neanche un caffè come si deve si può bere in questo maledetto ufficio. - Sì, sissignore capo Dottore! Nel bagno al piano terra Maria si lavava le mani, nell’ufficio accanto Umberto si leccava le dita dopo essersi trapanato il naso. - Sergio? - Sì, sissignore capo Dottore! - Portami un bicchiere d’acqua - Sì, sissignore capo Dottore! La luna era ancora troppo lontana dagli occhi di Luana che guardava fuori dalla finestra mentre si accarezzava i capelli lisciati il giorno prima, nel suo stesso ufficio Yon scarabocchiava senza un perché
alcuni documenti arrivati sulla sua scrivania per caso. - Sergio puoi andare! - Sì, sissignore capo Dottore!
Giorno 25- Badge 26 Il cielo si era aperto lentamente. Sergio era allegro, i suoi piedi correvano sempre veloci, il suo badge era caldo e pronto a penetrare quella macchinetta tanto attraente. Veloce, un bip, lo zaino pesante, ufficio: - Un caffè d’orzo Sergio, chiaro? Senza zucchero, capito? - Sì, sissignore capo Dottore! - Ottimo, bravo! - Sì, sissignore capo Dottore! Nel parcheggio Elena si truccava guardandosi allo specchietto in macchina, Gennaro sistemava i tappetini della sua Jeep e Margherita toglieva, con un fazzolettino che aveva accuratamente inumidito con la sua saliva, una merda di piccione sul lunotto.
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- Per cortesia, caro Sergio, potresti portarmi una risma di carta? - Si, sissignore capo Dottore! - Bene. - Sì, sissignore capo Dottore! Il tramonto lontano aveva svegliato Francesco. I cancelli chiudevano.
Giorno 26- Badge 27 La lunga abituale corsa verso quei due lembi d’acciaio che lo tenevano sveglio la notte, Sergio era pronto anche quella mattina a strisciarlo fra quello stretto passaggio che portava alla felicità, era pronto, voleva salire in ufficio e preparare, organizzare, smistare ma il suo badge si era rotto, spezzato. Come? Quando? Come era possibile? Lo teneva in mano e fissava quella stretta fessura intensamente. Il badge riposava spezzato fra le sue mani sudate, la fronte come al solito luccicava e la maglietta era pregna di sudore. Sergio uscì fuori, vide che il sole stava sorgendo anche quella mattina, si accorse che illuminava tutto indiscriminatamente, lo faceva senza chiedere il permesso, senza chiedere autorizzazione. Rimase lì assorto, nessuna domanda scuoteva il suo animo, nessuna riflessione annebbiava il suo cervello, i piedi quasi si intrecciavano uno dietro l’altro, accarezzavano tutto quello
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che incontravano, si adagiavano sulla suola che li abbracciava come una madre al primo tocco d’un figlio nato prematuro , correva Sergio verso un altrove ancora da cercare: - Ecco il tuo nuovo Badge. - Sì, sissignore capo Dottore! - Dammi i 15 euro per la sostituzione. - Sì, sissignore capo Dottore!
Donatello Cirone: fondatote de L’Irrequieto, nato nella valle del Sauro, in Lucania, il 28 giugno del 1986.
Laureato in Scienze politiche. Ha pubblicato due silloge poetiche: La vita di una morte, LibroItaliano, Ragusa 2005 e Gl’oratori del nulla, Amorsog et Oream, Il filo -Roma 2007.
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Psychedelic strip
Š Elisa Saracino
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Il buco Mara Abbafati
«Il buco s’è mangiato il gatto!» gridai correndo giù per le scale alle sei del mattino. «Luca, hai fatto un brutto sogno» disse mio padre appena rientrato dal lavoro – in estate faceva il portiere di notte nella Pensione Kelly per arrotondare. «No! Il buco s’è mangiato il gatto, papà, per davvero». Mio padre non volle proprio credermi, eppure era vero. Il buco che c’era dentro l’armadio a muro della mia stanza si era mangiato Gnoccofritto. Era successo più o meno intorno a mezzanotte: io ero da solo a casa con la nonna ma non dormivo perché faceva troppo caldo, stavo sotto al lenzuolo a leggere i fumetti con la torcia, Gnoccofritto era sdraiato ai piedi del letto e russava. A un certo punto mi sono alzato per andare al bagno e mentre tornavo nella mia stanza vidi il gatto che entrava nell’armadio, mi avvicinai per riprenderlo e chiudere l’anta ma non c’era più, l’unico posto dove poteva essere andato era il buco, ma nessuno mi voleva credere. Cercarono di convincermi che quello era solo un buco nel muro, era chiuso e non portava da nessuna parte,
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ma io non ci ho mai creduto. Quell’estate la nonna morì, era luglio e non me lo sarei mai aspettato che una cosa simile potesse capitare proprio a luglio. La mattina mi alzai e non c’era il solito odore di caffellatte che saliva su per scale. Io e papà andammo a bussare alla porta della nonna, io ero dietro di lui, aprì, allungò una mano sul mio petto e mi disse di non entrare. Da fuori vedevo la nonna sdraiata sul suo letto, dalla tenda a fiori filtrava la luce del sole e formava una scia di polvere che sfiorava il pavimento di marmittoni chiari. Mi vedevo riflesso sullo specchio attaccato all’anta centrale dell’armadio di legno scuro le cui ante si chiudevano con chiavi di ottone. Papà si era chinato su di lei, emise una specie di rantolo e mi disse di telefonare alla zia perché nonna era morta. Dopo il funerale la zia Gigliola, che era zitella, si trasferì a casa nostra, diceva che papà aveva bisogno del suo aiuto per portare avanti la campagna e occuparsi di me. Papà e io non avevamo proprio bisogno di niente, secondo me, ma lei venne lo stesso. La zia Gigliola era insegnante di latino al liceo Giulio Cesare, ma oltre a quella strana lingua, che tutti dicevano che era morta, lei sapeva anche zappare, ammazzare i polli e guidare il trattore a cingoli. Un giorno la accompagnai a comprare da mangiare per le galline in un negozio che si chiamava Polli e Mangimi e il signore con i baffi biondi che era dietro alla cassa quando la vide issarsi sulle spalle il sacco di mangime di venticinque chili si innamorò di lei e dopo un anno e mezzo si sposarono. Nella sala del municipio,
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oltre ai due sposi, c’eravamo io, papà, le due figlie del signore con i baffi e il sindaco. Dopo le nozze andammo a mangiare nel ristorante della Pensione Kelly: mi faceva schifo quasi tutto, mangiai solo le patate al forno e la torta con la crema. La zia quel giorno si trasferì dal signore con i baffi biondi, sopra il negozio di mangimi, e così a casa restammo di nuovo soltanto papà e io. Con tutto il trambusto che c’era stato durante quell’anno e mezzo non avevo più avuto modo di pensare a indagare sulla scomparsa di Gnoccofritto. Ma mi misi in testa che prima o poi avrei trovato le risposte che cercavo e infatti negli anni che seguirono, oltre a studiare, laurearmi, assistere alla morte di mio padre e lavorare nel Corriere di Rimini, la questione della scomparsa di Gnoccofritto fu una cosa che occupò gran parte della mia vita. Non riuscii mai a capire cosa fosse accaduto quella notte di luglio di cinquant’anni fa, fino a una sera della settimana scorsa. Pioveva, io camminavo lungo il viale delle baracche dove vendevano le specialità gastronomiche del posto: rane e pesci gatto fritti. Passando davanti al chiosco dell’Orietta vidi seduto al bancone Jean-Louis Trintignant che teneva in mano un involto di carta paglia pieno di cosce di rana fritte dorate e se le mangiava con gusto, accompagnandole con un bicchiere di bianco frizzante della casa. Rimasi a fissarlo dalla vetrina, stavo lì con la mano destra sul vetro mentre con l’altra tenevo l’ombrello. Era l’unico cliente, e dietro al bancone Orietta lavava i
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bicchieri. Entrai, appoggiai l’ombrello accanto alla porta e mi sistemai i capelli che mi si erano appiccicati sulla fronte. Mi avviai verso il bancone e mentre mi avvicinavo lo vedevo sempre meglio, era proprio lui, ma era giovane. Era il Jean-Louis Trintignant dei primi anni ‘60 e anche Orietta era giovane, bella, aveva i capelli biondi come il grano che brilla al sole e i suoi occhi erano del colore del miele, grandi, enormi, meravigliosi. Indossava un golf giallo canarino scollato, di angora, e aveva una catenina d’oro con il crocifisso. Sciacquava i bicchieri da vino, poi li appoggiava sul ripiano ad asciugare. Si sentiva un forte odore di fritto e di detersivo per i piatti al limone, come quello che usava mia nonna. «Buonasera, Orietta. Vorrei una porzione di pesce gatto e un bicchiere di spuma bionda, per favore» dissi io. Orietta non alzò nemmeno lo sguardo, entrò in cucina e ne uscì pochi secondi dopo con un cartoccio pieno di pesce gatto fritto, lo posò sul bancone davanti a me e poi dalla spina accanto al lavello riempì un boccale di spuma bionda e me lo porse. Dalla finestra dietro al bancone si vedeva la pioggia aumentare, su quel lato c’era una tettoia, dentro al locale si sentiva il rumore dell’acqua che martellava sempre più forte sulla lamiera. A un certo punto un gatto saltò sul davanzale e picchiò contro il vetro, lo guardai, era identico a Gnoccofritto, aveva le orecchie nere e il resto del corpo completamente bianco, ero certo che fosse lui. Corsi fuori con il cartoccio in mano, girai intorno al locale
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e quando arrivai sul retro vidi il gatto che saltava giù dal davanzale e scappava via lungo l’argine del fiume, cominciai a corrergli dietro, la pioggia era fortissima, il cartoccio mi cadde, corsi più che potevo e mi sforzai di non perdere di vista il gatto anche se era buio pesto, alla fine mi ritrovai davanti alla nostra vecchia casa, in mezzo alla campagna. Era abbandonata, il cancello era completamente arrugginito e la casa era ricoperta di erbacce. La porta era marcia, la spinsi per entrare, perché avevo visto il gatto saltare dentro dalla finestra della cucina. Appena entrato aspettai qualche secondo per abituarmi all’oscurità, ma conoscevo bene la casa e sapevo come muovermi. Sentii dei rumori provenire dal piano di sopra così mi diressi verso le scale e salii cercando di non fare rumore, avevo le scarpe piene di acqua, camminai lungo il corridoio fino alla porta della mia vecchia cameretta, era leggermente aperta: entrai e vidi una macchia bianca muoversi sul pavimento vicino alla rientranza dove una volta si trovava il mio armadio a muro. «Gnoccofritto» dissi. Speravo che riconoscesse la mia voce. Mi parse di vederlo fermo a pochi centimetri dai miei piedi. Feci per abbassarmi chiamandolo di nuovo, ma lui con un balzo schizzò verso il buco che era nell’armadio e sparì. Di nuovo.
Mara Abbafati: Mara Abbafati è nata nel 1980, lavora come traduttrice, redattrice editoriale e dialoghista. Crede nella sintesi.
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i cerchi narranti #1
Š Luca Cini
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Il regista dimenticato Pietro Pancamo
Esitò, quando il meteo tacque. L’occasione era propizia –si rese conto, spegnendo la radio–, ma la forza per attuare il “piano” (peraltro già studiato e preparato da tempo) tardò a presentarsi, lì per lì. L’anima non s’atteggiava all’ardimento, per dirla col poeta. Oh nessun problema, ad ogni modo, perché eccolo il rimedio: scherzare fra di sé. «Lo schiocco secco del cuore che si spezza è proprio come quello di un ciac in campo», pensò, allora. E all’improvviso trovò il coraggio: un coraggio amaro, che l’accompagnò per mano alla rada solitaria. Così adesso, in quell’esterno notte che si era scelto, il regista dimenticato non voleva tornare più alla vita che lo aveva diseredato, né gli riusciva di capire se a gonfiare il genoa e spingere il piccolo cutter malandato fossero le frequenti scosse d’aria o le immagini “ondose” che il vecchio proiettore a bobine – dall’alto del suo treppiede, assicurato con gomene e cime a proravia– drappeggiava sul bianco agitato della vela. Guardandola, continuava a ripetersi: «Senza il minimo dubbio,
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Marosi alla deriva è il mio film migliore!». E mentre una stilla di sorriso iniziava a formarsi sulle sue labbra, gli sembrò di scorgere i flash dei fotografi. Ah, no... erano i lampi. Quelli, per ora lontani, della tempesta in arrivo. Il bollettino dei naviganti, beh non si sbagliava.
Pietro Pancamo: (1972) ha fondato e coordinato il portale «L(’)abile traccia». È stato conduttore e direttore editoriale di «Poesia, l(’)abile traccia dell’universo», podcast culturale della defunta emittente milanese Pulsante Radio Web. Già redattore di «Viadellebelledonne», scrive attualmente per la piattaforma culturale di Hong Kong «Beyond Thirty-Nine». È autore di «Manto di vita» (LietoColle, Como, 2005), compare in «Poetando. L’uomo della notte» (Aliberti editore, Roma-Reggio Emilia, 2009).
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Se celebri la bellezza Giuseppe Semeraro
Se celebri la bellezza trattieni il suo baratro se il bicchiere è colmo di vino ricordati dell’oste al brindisi se brucia qualcosa di luce non dimenticare la scintilla se tu sei partito per non morire onora chi muore partendo se non sei partito cercando rispondi a chi ti cerca partendo se maledici il giorno sbagliato ringrazia il giorno perfetto se la vita ti dona la cima scendi alla radice se è creare la tua conoscenza sappi che distruggere serve a creare e se il tuo occhio non diventa specchio hai perso qualcosa del vedere
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i cerchi narranti #2
© Luca Cini
Giuseppe Semeraro: è nato a Pezze di Greco ( BR) e vive a Lecce. Si occupa di teatro sia come attore che come regista. Per la compagnia Principio attivo teatro ha realizzato diverse regie e performance. Insieme al teatro si occupa di poesia pubblicando Nomi d’angela (1998 ) Cantica del Lupo (2004 ) Convalescenza di un poeta (2014) e Due parole in croce (2015).Nell’ultimo anno è ideatore e interprete dell spettacolo sulla figura di Danilo Dolci dal titolo Digiunando Davanti al Mare.
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L’Irrequieto Rivista Letteraria
Associazione Culturale L’Irrequieto Firenze - Paris
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