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Riflessioni sul Coronavirus
Anna Ceoloni 1
Personalmente in questo periodo sto soffrendo la difficoltà a progettare il futuro. L’incertezza su quando (e se) si tornerà ai tempi pre-crisi sembra rendere inutili gran parte degli obiettivi: quelli che normalmente scandiscono e danno un senso al proprio percorso di vita. In questi giorni in cui quasi tutte le attività sono sospese, anche il tempo sembra essere in pausa. Molti dei piani già in atto sono stati interrotti, altri vanno rivisti e, in più, sappiamo di non poterne fare di nuovi per il futuro. Penso che la sfida sia quella di porsi comunque dei traguardi, anche quotidiani, che siano sufficientemente appaganti per investirvi dell’impegno. Ma non è facile, considerando anche le limitazioni che riguardano la nostra libertà.
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Credo che una delle cause di questa “apatia” sia l’impoverimento delle nostre esperienze. Chiusi in casa non possiamo vivere la varietà di stimoli sensoriali, emotivi, intellettuali che prima caratterizzavano la nostra vita quotidiana. Sono elementi che eravamo liberi di cercare ma che potevano anche di “capitarci” casualmente. Piacevoli o sgradevoli che fossero, credo rappresentassero un’importante risorsa per la vita emotiva. Mi sembra che questo periodo ci privi della possibilità di vivere emozioni e che senza di queste venga meno anche la capacità di reagire. Oggi le nostre giornate si sono schiacciate necessariamente su una routine in cui lo scorrere delle ore sta perdendo di significato. Non abbiamo molte occasioni per porre obiettivi, per impegnarci, per rischiare, per trarre soddisfazione o delusione da qualcosa.
Le nuove tecnologie ci permettono in molti casi di lavorare e di mantenere i contatti con amici e parenti, ma non credo possano sostituire quella varietà di esperienze che la vita “là fuori” è in grado di offrire. Tutte queste considerazioni non valgono per chi vive in prima linea questa emergenza, come gli operatori sanitari. Al contrario di chi è costretto a casa, la loro vita penso sia diventata
estremamente piena: in questo momento sono chiamati a dare forse più di quanto non possano, sia sul piano fisico che su quello emotivo. A emergenza finita credo saranno tra le categorie che avranno più bisogno di supporto per ritornare alla normale quotidianità.
Un altro elemento che mi ha colpito è il valore acquisito dalla comunità.
Mi riferisco in particolare a un aspetto: la motivazione con cui i governi di quasi tutto il mondo hanno deciso di imporre l’isolamento domestico. Alle persone che non rischiano danni seri da Coronavirus (cioè i cittadini in salute e non troppo in là con gli anni) è stato detto di rimanere a casa: non tanto per evitare che contraessero il virus (di per sé un fatto non preoccupante) ma piuttosto per non contagiare gli individui più vulnerabili. Ora, questa pandemia è stata paragonata alle guerre mondiali: spesso i mezzi di comunicazione usano questa metafora. Secondo me c’è però una differenza: ai tempi del conflitto le persone puntavano a salvare loro stesse, ma non erano tenute a proteggersi per aiutare gli altri. Oggi invece ci troviamo nella situazione un po’ paradossale di essere obbligati a tutelare gli altri, come in una sorta di solidarietà imposta. A mio dire potrebbe essere uno spunto di riflessione sul legame, positivo o meno, che lega le nostre esistenze.
Ultimo tema che vorrei citare è il rapporto con la morte.
Tramite un mio parente ho conosciuto la storia di una donna anziana morta a causa del virus. Viveva sola in casa e a parte qualche acciacco conduceva una vita normale, quando a seguito del contagio è stata ricoverata ed è morta nel giro di pochi giorni. Il figlio non si capacitava dell’accaduto: non tanto per la perdita in sé quanto per il fatto di non aver mai potuto vedere sua mamma, né in ospedale né dopo la sua morte. L’ultima volta che l’aveva incontrata era in salute, due settimane dopo ha accompagnato la bara nella breve cerimonia di tumulazione. Credo che questo periodo sia uno dei pochi nella storia dell’uomo in cui non vengano celebrati riti funebri. Da sempre il commiato dai defunti è l’occasione per rielaborare il lutto, condividere il dolore con altre persone, esperire la loro vicinanza anche fisicamente. Non so se le cerimonie che potranno essere celebrate al termine dell’emergenza potranno colmare questi vuoti. Sicuramente per chi ha subìto un lutto sarà importante ritrovare uno scambio e un contatto per esprimere ciò che, al momento, è costretto a tenere dentro di sé.