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Alla scoperta dei Paesi Baschi fra gusto e bellezza
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Alla scoperta dei Paesi Baschi fra gusto e bellezza
Un paesaggio inaspettato, luoghi iconici, eccellenze gastronomiche, natura, sport e cultura. Archistar e chef stellati a ogni angolo. I Paesi
Baschi sono la destinazione perfetta per un viaggio di gusto e bellezza. Scopriamo insieme i ristoranti da non perdere e i luoghi da scoprire
nelle tre province: Biscaglia, Gipuzkoa e Alava
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La primavera è ormai alle porte e, oltre alla montagna, è tempo di pensare a viaggiare cercando mete per abbinare gusto, cultura e paesaggi. Per l’occasione abbiamo scelto cinque località che rappresentano al meglio la nostra idea del viaggio per cui vale la pena di prenotare e fare Check-In.
Alberto Lupini DirettoreLa prima, a cui dedichiamo la copertina perché per i buongustai è un po’ un mito per l’elevata concentrazione di alta cucina contemporanea, sono i Paesi Baschi con un tour nelle tre province di Biscaglia, Gipuzkoa e Álava. Cibo, storia e ambiente rappresentano un tutt’uno che non si può non provare.
Parliamo di un mix che, con cambio di ambiente e in una dimensione più ridotta, ma non meno tipica e assolutamente unica, è una puntata a Trieste sulle tracce del caffè e di come questa bevanda sia nel dna dell’offerta turistica di una città simbolo della cultura mitteleuropea.
E, sempre per restare in Italia, avviamo un percorso che nel corso dell’anno porterà i lettori di Check-In alla scoperta della capitale della cultura 2023, l’abbinata Bergamo e Brescia. Il primo assaggio è sulla presentazione di alcuni piatti tipici, di locali di alta ristorazione da non perdere e sul mondo del vino descritto nelle sue tipicità.
Ci sono poi due focus ancora esteri: uno sulle offerte primaverili del Canton Ticino, dal trekking al lago, senza dimenticare la cultura del vino che ha nel Merlot il suo simbolo e nei grotti i ristoranti dove degustarlo. E infine una carrellata sul fascino esotico del Marocco e di due sue città da non perdere, Rabat e Casablanca
#PAESI BASCHI
di Roberta Nicosia
«Nei Paesi Baschi si parlano tre lingue: lo spagnolo, il basco e la gastronomia…».
Presenta così la sua regione Daniel Solana, direttore di Basquetour, in occasione del lancio di Euskadi Confidential, e niente è più vero! E se del basco sappiamo principalmente che è una delle poche lingue che
non ha nessuna parentela con altri idiomi, europei e non, con lo spagnolo e soprattutto con la gastronomia ce la caviamo benissimo! Per chi è di passaggio è difficile imparare anche solo poche parole di cortesia - io ho imparato solo "Ongi Etorri", che non significa altro che "Benvenuto" ed è quello che questa terra esprime al meglio, l’accoglienza!
Per chi non li conosce, i Paesi Baschi si identificano magari solamente con Bilbao
Un paesaggio inaspettato, luoghi iconici, eccellenze gastronomiche, natura, sport e cultura. Archistar e chef stellati a ogni angolo. I Paesi Baschi sono la destinazione perfetta per un viaggio di gusto e bellezza.
e il suo celeberrimo museo Guggenheim, oppure con l’inizio del Cammino di Santiago, invece tanti e sorprendenti sono i volti di questa regione che concentra in un territorio di 7.200 km2, piccolo ma intenso, paesaggi verdeggianti, città non grandi ma ricche di spunti, opere di architetti iconici, paesaggi incontaminati, zone rurali e climi diversificati.
E una gastronomia di assoluta eccellenza, appunto. Si spazia dalla cultura alla natura, dai cammini religiosi all’arte contemporanea, dalla brezza del mare al clima più secco della serra. Un mondo in miniatura che non può che sorprendere e affascinare.
Ma sopra ogni cosa incanta la gentilezza e la simpatia della popolazione, che fa tutto con una grandissima passione, che sia nel campo dell’artigianato, in quello dei pro-
dotti gastronomici o in quello dell’arte, ed è fiera e orgogliosa di appartenere ad un territorio che, inutile dirlo, è unico.
La gastronomia basca ha un posto di assoluta preminenza nell’ambito europeo, (e mondiale) con 33 stelle Michelin (guida 2023) in 23 locali: quattro ristoranti - Arzak, Akelarre, Martin Berasategui e Azurmendi) hanno tre stelle, due hanno due stelle, Amelia by Paulo Airaudo, e Mugaritz, e ben 17 hanno una stella. Di questi ultimi abbiamo avuto la fortuna di provarne ben tre: Atelier Etxanobe a Bilbao, Kokotxa a San Sebastian e Arrea! nel cuore della montagna alavesa, che ha appena ottenuto, meritatamente, la sua prima stella.
Iniziamo col dire che gli chef stellati che abbiamo incontrato hanno tutti un modo di fare assolutamente cordiale e alla mano, e chi vive qui ci conferma che non esistono invidie e gare a chi è il più bravo, forse perché la cucina stellata qui è così diffusa che fa parte del vissuto della gente. Anche i locali sono accoglienti e non ti fanno sentire in alcun modo a disagio. Siamo qui per mangiare bene, e questo è tutto; non c’è tutta la ‘messa in scena’ che troviamo spesso da noi. E questo vale già una stella in più!
Cominciamo con l’Atelier Etxanobe, dove un simpatico e coinvolgente Fernando Canales - che ci presenta in italiano la sua cucina “fatta di passione e allegria” - ci propo-
Lasagna di acciughe | Etxanobene il menu degustazione Chef Atelier con i suoi piatti iconici accompagnati dai vini della Rioja Alavesa. Il menu (125€ senza pairing dei vini) condensa in 12 portate tutta la tradizione di eccellenza del suo ristorante che da cinque anni è nel cuore dell’Estanche di Bilbao (affiancato da meno formale La Dispensa di Etxanobe), dopo aver deliziato per 18 anni con la sua cucina i partecipanti ai congressi dell’Euskalduna Palace.
I prodotti del mare sono i protagonisti, a cominciare da quello che i locali chiamano La sposa dei Baschi, che è la guancia del merluzzo, detta kokotxa. Si prosegue con Carpaccio di scampi con caviale, Lasagne di acciughe su zuppa di pomodoro
sportano in un mondo onirico, mentre lo chef ti sussurra all’orecchio le sensazioni che il suo dessert (da gustare in un solo boccone) - Spuma di carote con zenzero, fave Tonka e lime in nitrogeno liquido - trasmette al palato. Un’emozione senza pari!
Ed è proprio la parte nobile del merluzzo a dare il nome al Kokotxa, ristorante gastronomico nascosto nel centro della città vecchia di San Sebastian, vicino alla basilica di Santa Maria, al porto e alla spiaggia de La Concha.
Qui lo chef Dani Lopez - che ha aperto il
Bonito del Norte | Kokotxapoi Trota dei Pirenei su crema di insalata con Codium, Baccalà su hummus di fave e infusione di peperone rosso, Granchio croccante con cocco e crema di ravanello bianco, Controfiletto con french toast di peperone rosso su spinaci alla senape ed emulsione di sesamo nero, e per finire un Bizcocho Pasiego, torta di mandorle con gelato di albicocca su un crumble di cioccolato e crema di nocciola e i classici Petit Four. Delizioso.
Ma non c’è bisogno di locali stellati per mangiare bene perché la gastronomia, nei Paesi Baschi, è un rito che si consuma al meglio in ogni genere di bar o ristorante. È un must fare il giro dei locali la sera per gustare - insieme praticamente a tutta la popolazione della città - i famigerati pintxos, i tipici stuzzichini di cui Gilda, in onore della attrice Rita Hayworth, è la capostipite: un’oliva verde denocciolata, un peperoncino verde sott’aceto, un’acciuga del cantabrico e un goccio di olio. Et volià. Semplicissimo e indimenticabile. Sembra che i pintxos - che sono una versione molto più elaborata e intrigante delle tapas - siano stati inventati proprio a San Sebastian, ma anche se non fosse vero, è certo che la città è quella che si presta meglio per il giro dei pintxos bar, seguendo l’esempio degli abitanti che, in ogni posto, ordinano solo la specialità locale, per passare poi al bar successivo, accompagnando ogni assaggio con un vino bianco frizzante e leggero, il Txakoli, o una piccola birra chiara, lo Zurito.
Da Atari Gastroteka, di fronte alla basilica di Santa Maria, abbiamo provato il Foie alla piastra con crema di mais e cioccolato bianco, il Salmone affumicato con uovo e gambero lesso e una versione destrutturata della Gilda che oltre alle olive, alle acciughe e ai peperoncini, ha anche filetti di tonno alalunga disposti in un piccolo piatto.
Inaspettato trovare nella zona più meridionale dei Paesi Baschi, al confine del Parco Naturale di Izki, un ristorante gastronomico di questo livello. Non ci si passa per caso. Non sorprende invece sapere che proprio in questi giorni il ristorante Arrea! che già aveva avuto il riconoscimento di due soli dalla guida gastronomica spagnola Repsol, abbia appena ricevuto la sua prima stella Michelin
Lo chef proprietario, Edorta Lamo, accompagna i commensali in un affascinante viaggio culturale e gastronomico attraverso la regione della Montaña Alavesa e ricorda anche i tempi in cui la cucina locale si basava sul furtivismo, furti dettati dalla necessità di sopravvivenza. L’ambiente della sala principale, rivestito di legno di quercia, è decisamente rustico, con un’atmosfera familiare e grandi vetrate che si affacciano su un patio interno. Un ambiente in linea con i piatti del menu a base prin-
cipalmente di selvaggina, retaggio ancestrale dei tempi in cui i suoi antenati, che non possedevano la terra, dovevano cacciare in montagna. Anche i cucchiai e le coppette di legno di bosso, i taglieri, i piatti di portata sono gli strumenti per rivalutare una cultura locale che negli ultimi decenni è stata trascurata e sottovalutata. Si tratta quindi di un impegno gastronomico locale che cerca di promuovere, insieme ad altri agenti, produttori, artigiani e abitanti, la cultura della montagna.
L’incredibile proposta culinaria - selvaggina, erbe selvatiche, tartufo, miele, frutti autoctoni quasi estinti - comincia con l’almuerzo, praticamente un vero e proprio pranzo di benvenuto a base di paté, formaggi, salumi e conserve, cui seguono tre portate principali a scelta fra granchio di fiume, pernice, prodotti dell’orto, trota, piccione, cervo e cinghiale, ognuno proposto in tre maniere differenti, ad un prezzo di 95 € inclusi deliziosi dessert. Il tutto accompagnato da vini biologici della regione. Un locale che vale davvero la deviazione.
Altrettanto interessante il menu del Restaurante 1860 Tradicion che si trova all’hotel Marqués de Riscal, iconico albergo progettato da Frank O. Gehry nei pressi di Elciego, nel sud della Rioja Alavesa, (che ha al suo interno anche un locale stellato che porta lo stesso nome sotto l’egida di Francis Paniego).
Il ristorante, che serve anche le prime colazioni, si affaccia con vetrate spettacolari sulle colline e le vigne della tenuta, che, come ricorda il nome, risale al 1860. Il Menu Riscal, composto da alcuni dei piatti più rappresentativi, riassume ancora una volta l’essenza della cucina basca con piatti come le Crocchette cremose di prosciutto iberico, Carpaccio di gamberi su tartare di pomodoro, Peperoni caramellati
Etxanobe
Calle Juan Ajuriaguerra Kalea 8
48009 Bilbao | Bizkaia | Spagna
www.etxanobe.com
Kokotxa
Calle del Campanario 11
20003 Donostia-San Sebastian
Gipuzkoa | Spagna
www.restaurantekokotxa.com
Arrea!
Subida al frontón 46
01110 Santikurutze Kanpezu
Álava | Spagna
www.arrea.eus
Atari Gastroleku
Calle Mayor 18
20003 Donostia-San Sebastian
Gipuzkoa | Spagna
www. tarigastroleku.com
Herederos del Marqués de Riscal
C/ Torrea 1
01340 Elciego | Álava | Spagna
www.marquesderiscal.com
con tuorli cotti a bassa temperatura e patate di Alava, Fave alla Riojana con frittata di pomodoro, Merluzzo su peperoni verdi e zuppa di riso, Guancia glassata con purè di mele e rucola, e per dessert Toast con formaggio fresco, mele renette e gelato di miele.
Discorso a parte merita la cantina Herederos de Marqués de Riscal che, per la seconda volta di seguito, è stata nominata la seconda miglior cantina del mondo nel
World’s Best Vineyards Contest - dopo la cantina Antinori nel Chianti - che premia le migliori destinazioni enoturistiche perché offre, oltre a vini pregiati, un’esperienza che spazia dalla storia antica degli edifici che hanno più di 160 anni, alla visita delle cantine, fnio alla gastronomia stellata del secondo ristorante Marqués de Riscal, con le forme ardite e super contemporanee dell’Hotel Marqués de Riscal, a Luxury Collection Hotel, che porta la firma inconfondibile di Frank O. Gehry, cuore di questo luogo che per la completezza della sua offerta può portare con orgoglio il nome di Città del vino Marqués de Riscal. L’albergo ospita 51 camere spaziose e 10 suite in due edifici collegati fra loro da una passerella vetrata, spazi per riunioni, una libreria, e la Caudalie Spa Vinothérapie dove l’essenza del vino si può sperimentare anche nei trattamenti.
Bilbao San
Biscaglia
Gipuzkoa
Álava
La gastronomia è solo il background di un territorio che offre gioielli dell’architettura contemporanea e chiese antiche, montagne incontaminate e spiagge frequentate da surfisti, vigneti e zone rurali, scogliere
battute dall’oceano e città piccole ma piacevoli e vivaci. Biscaglia
Bilbao, capoluogo della regione di Biscaglia (Bizkaia in basco), è quella che più si
Si chiama proprio Crusoe Treasure il progetto, unico nel suo genere, di Borja Saracho che ha inventato un modo per fare invecchiare il vino sott’acqua. Appassionato di sub, ha scoperto dopo attenti studi con l’enologo Antonio Palacios che le proprietà di alcuni dei vini del territorio (il Txakoli no, a esempio) migliorano se la maturazione avviene sott’acqua, e quindi ha inventato delle gabbie che vengono calate nel mare di fronte a Plentzia dove restano alcuni mesi, creando una sorta di barriera artificiale. I suoi vini si chiamano
Sea Soul, Sea Passion e Sea Legend e sono confezionati in meravigliose scatole illustrate da un artista giapponese. L’idea perfetta è il pacco da due che contiene due vini identici, uno invecchiato in cantina e uno sott’acqua. Intorno al progetto, Saracho ha creato delle esperienze, tra cui la degustazione nel vino a bordo di una barca che fa il giro della baia sopra la cantina sommersa.
è trasformata. Modificando la fisionomia e l’autostima di una città segnata dalle cicatrici di un passato industriale difficile da cancellare, legato all’estrazione del ferro, è passata da luogo di scarso interesse turistico a meta imperdibile, della serie “Io ci sono stato”, quando è stato inaugurato, nel 1997, il Museo Guggenheim di Frank O. Gehry. Motore della crescita e della rivoluzione culturale, urbana e sociologica della città, il museo, all’epoca della sua nascita è stato fonte di critiche e perplessitàcome sempre avviene quando si rompono gli schemi, pur con l’idea vincente di mettere la cultura al centro dello sviluppo del territorio. Troppo di rottura, con quel nastro di titanio così avveniristico per l’epoca che avvolge un edificio squadrato sulle rive della Ria e riflette la luce in modo spettacolare. Adesso è forse l’edificio più amato e più noto di tutta la Spagna…
Il Guggenheim celebra quest’anno 25 anni, e lo ha fatto mettendo in mostra con Sections/Intersections i capolavori della sua collezione permanente in tre aree tematiche. Come dire, il meglio dell’arte del Novecento in versione maxi riunita sotto uno stesso tetto: i tulipani di Jeff Koons, le opere materiche di Anselm Kiefer, e poi Andy Warhol, Sol Lewitt, Jean Michel Basquiat, William de Koonig, Mark Rothko, Rauchenberg, la gigantesca tela Rising Sea di El Anatsui, interamente composta da tappi di bottiglia, e l’opera site-specific di Richard Serra, The Matter of Time, forme sinuose gigantesche che rendono omaggio al territorio con l’utilizzo dell’acciaio corten.
Intorno al museo, le opere iconiche che connotano la zona esterna: Maman di Louise Bourgeois (il ragno), Puppy di Jeff
Koons, Tall Tree and the Eye di Anish Kapoor e le Fire Fountains di Yves Klein che ormai fanno parte del vissuto della città.
Una città che adesso concentra, in circa un chilometro quadrato, opere di altri architetti cui è stato assegnato il premio Pritzker: Rafael Moneo (Biblioteca Deusto), Álvaro Siza (Aula Magna dell'Università) e Norman Foster (entrata delle stazioni della metro, chiamate ormai dai locali fosteritos). Sono anche presenti edifici di altri architetti celebri nel mondo come Santiago Calatrava (ponte Zubizuri), César Pelli (Torre Iberdrola) e Arata Isozaki (complesso residenziale Isozaki Atea).
Un giro in città con Euskadi Confidential non può prescindere dalla visita di alcuni dei negozi più tipici, gallerie d’arte come la Galeria Lumbreras, gioiellerie artigiana-
Louise Boourgeois, Maman e il Guggenheimli come Suart della giovane creatrice Ane Navarro Santisteban o la boutique di moda della stilista Mercedes de Miguel che incorpora un concetto innovativo dello spazio che evolve e si trasforma, secondo le esigenze, in privé per clienti esclusivi, passerella di moda o spazio per eventi.
Per godere della vista del Guggenheim, di un’ospitalità eccellente, di un design senza tempo e di una colazione straordinaria sulla terrazza dell’ultimo piano, c’è il Gran Hotel Domine Bilbao, un cinque stelle con 145 camere a prezzi davvero interessanti. È un edificio moderno, con vetrate nere inclinate che riflettono i dintorni e guardano negli occhi il Puppy di Jeff Koons.
Sulla strada verso San Sebastian, capoluogo della provincia di Gipuzkoa, è d’obbligo una sosta a Getaria, piccolo e piacevole paese di pescatori, anche solo per vedere il bellissimo museo dedicato a Balenciaga, una delle superstar dei Paesi Baschi, che attrae 40mila visitatori l’anno.
Qui, nella casa Aldamar, residenza estiva dei marchesi di Casatorres dove sua madre prestava servizio come sarta, Balenciaga cominciò la sua avventura che lo portò a essere uno degli stilisti più amati e conosciuti del mondo.
Si prosegue lungo la costa con una sosta nello studio di Inigo Manterola, a Zarauz, pittore e scultore basco con la passione del mare; l’artista è figurativo nella pittura che rappresenta la vita dei pescatori e vedute di San Sebastian, e astratto nelle sue sculture di ferro, corten e acciaio inossidabile che rappresentano la sua concezione della continuità della linea nello spazio.
E finalmente si arriva a San Sebastian, Donostia in basco, una cittadina che ha nella posizione - tra una splendida baia a forma di conchiglia, chiamata appunto La Concha, e una corona di montagne verdeggianti - nella vita artistica e culturale, nella gastronomia e nell’affabilità dei suoi abitanti i suoi punti di forza
Abbiamo già citato come sia considerata la capitale gastronomica della regione, e
forse di tutta la Spagna, se si pensa che 3 dei 12 ristoranti tre stelle del Paese si trovano proprio nella zona, che in totale di stelle Michelin ne ha 16, (una delle più alte concentrazioni di stelle Michelin per metro quadro al mondo), ma è bello scoprire anche gli altri aspetti facendo un giro in città.
I quartieri più frequentati dai turisti del capoluogo della provincia di Gipuzkoa sono la città vecchia, con i suoi bar e ristoranti, le chiese più antiche e la piazza porticata della Costituzione - che una volta era un’arena per le corride, e che ancora porta i numeri sulle porte dei balconi; il centro con le sue architetture Belle Epoque e i negozi dello shopping, e infine Gros, il quartiere giovane, vibrante e bohemien, affollato di ristoranti e bar con musica dal vivo dove non è insolito incrociare i surfisti che affollano la spiaggia con la tavola sottobraccio.
Per godere al meglio di tutte le esperienze più autentiche, emozionanti e sofisticate, l’ente di promozione dei Paesi Baschi, Basquetour, ha creato Euskadi Confidential, un prodotto esclusivo che comprende un’accurata selezione di 85 fra alberghi di lusso e boutique hotel, ristoranti, cantine, negozi esclusivi, trasporti, esperienze turistiche e risorse museali come il Guggenheim o il museo dedicato a Balenciaga, che ha portato questa regione sul palcoscenico mondiale della moda. Euskadi Confidential offre servizi totalmente personalizzati e attività esclusive come voli in elicottero, giri in barca, incontri con artigiani, artisti e titolari di negozi storici e trasporti in auto di lusso. Meglio se con una guida fantastica, competente e paziente come Ainhoa Dominguez, praticamente l’unica che parla un ottimo italiano! Il modo migliore per conoscere un posto straordinario dove tornare più e più volte.
Con Euskadi Confidential visitiamo i negozi del centro, tra cui Benegas, una profumeria storica di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, che oltre a distribuire tutti i brand internazionali, ha creato un’essenza, Sirimiri, che in basco non è altro che una pioggerellina finissima. Un altro negozio storico è Box dove tutti gli articoli di pelletteria, rivestiti all’interno con materiali di riciclo e rigorosamente fatti a mano, hanno una storia e un aneddoto da raccontare. Uniche e riconoscibili le forme delle borse di questo negozio, creato dal padre dell’attuale proprietario che unì le sue abilità - maturate in una pelletteria che serviva la famiglia reale, che passava qui
le vacanze estive - con quelle della moglie che ha ereditato dalla madre, figlia di una sarta che lavorava da Balenciaga, l’amore per la moda.
In centro si trova anche Minimil, flagship store del brand emblema del nuovo stile basco, mentre per visitare Casa Munoa, gioiellieri dal 1935, bisogna tornare nella città vecchia. Tutti i gioielli sono disegnati da Claudio Munoa, terza generazione della famiglia, nell’officina alle spalle del negozio. Munoa ha ideato anche un piccolo ciondolo che riproduce la baia della Concha con il suo isolotto centrale, chiamato proprio Donostiabay.
Oltre allo shopping, occupa un posto di primo piano anche lo sport, con la spiaggia di La Zurriola, nel giovane e vibrante quartiere di Gros dominato dall’architettura del Kursaal, il Palazzo dei Congressi ideato da Rafael Moneo, che è meta di surfisti da tutta Europa, mentre La Concha e Ondarreta si prestano al nuoto, al paddle board e alla vela. Poi ci sono le piste ciclabili, il trekking sui monti, le gite in barca (perché non visitare l’isolotto di Santa Clara con il suo faro?), i percorsi di jogging lungo la baia della Concha e la spiaggia di Ondarreta, fino al monte Igeldo, da cui si gode una vista spettacolare della baia, e all’iconica scultura di Eduardo Chillida Il pettine del vento.
Tra gli eventi che ogni anno si svolgono qui, merita menzione speciale il Festival internazionale del Cinema, che si celebra ininterrottamente dal 1953 e si tiene al Palazzo dei Congressi Kursaal e al Teatro Victoria Eugenia, mentre nell’iconico Hotel Maria Cristina alloggiano le star di Hollywood. Il premio alla carriera, assegnato
San Sebastian | Le vie del centroquest’anno a David Cronenberg e a Juliette Binoche, ha visto tra i vincitori del Premio Donostia nel passato Francis Ford Coppola, Woody Allen, Oliver Stone, Agnès Varda, Hirokazu Koreeda e Costa-Gavras.
Altri eventi da seguire sono il Festival di Jazz e le feste tradizionali della Settimana Grande che evoca le antiche tradizioni.
Per soggiornare in città l’indirizzo giusto è l’Hotel Lasala Plaza, che sorge nella citta vecchia all’estremità settentrionale della Concha, tra il porto, la spiaggia e il monte Urgull con la sua statua dedicata al Sacro Cuore di Gesù. Spettacolari le stanze che si affacciano sul mare, ma molto belle sono anche le camere Corner Historical, che pur avendo una vista parziale del mare, sono delle piccole suite con due ambienti separati. Fiore all’occhiello di questo hotel ospitato in un edificio del 1917 è l’esclusivo Roof Top Terrace, riservato ai soli ospiti dell’hotel, con piccola piscina, bar e una vista imperdibile sulla baia.
Ci spostiamo dalla parte opposta delle montagne dove ci si imbatte in un paesaggio del tutto diverso, fatto di campi, zone rurali, boschi di querce. È la Rioja Alavesa.
Qui vale la pena conoscere la filosofia di Izki Golf, il primo campo da golf completamente pubblico della Spagna. Ideato e disegnato da Severiano Ballesteros ai margini del Parco Naturale di Izki, questo campo da golf, 18 buche par 72, con ampi fairway circondati da querce, faggi e agrifogli, è nato per avvicinare a questo sport, solitamente considerato elitario, tutti quelli che vogliono godere della natura straordinaria della Montagna Alavesa, senza l’obbligo di doversi fare soci.
Il golf si trova a metà strada tra Logroño, capoluogo de La Rioja, e Vitoria-Gasteiz, capoluogo dei Paesi Baschi e della provincia di Álava. Il nucleo medievale della città, che risale al 1181, è circondato dalla
Vitoria-Gasteiz | Plaza de la Virgen Blancacittà nuova (ensanche) che si è sviluppata nei secoli XVIII e XIX con grandi viali, giardini ed edifici che ricordano l'importanza e l'eleganza di questa città.
Imperdibile è la Cattedrale di Santa Maria eretta nel punto più alto della collina del Campillo, magnifica chiesa gotica la cui costruzione iniziò nel XIII secolo nel nucleo antico, prolungandosi anche nel corso di quello successivo. All’esterno non si nota l’aspetto gotico, che risale al XIV secolo, ma si vede che è stata costruita come chiesa-fortezza. I problemi strutturali dell’edificio hanno richiesto un’immensa
opera di ristrutturazione dalle fondamenta che si sono svolti dal 2000 in poi con il motto “Aperto per lavori”. Le messe si svolgono solo nei weekend e nei giorni festivi più importanti; negli altri giorni la cattedrale funge da monumento storico culturale con visite guidate per scuole e turisti, conferenze e concerti.
Il centro nevralgico della città è la piazza della Virgen Blanca, presieduta dal monumento della battaglia di Vitoria. Qui si trova la chiesa di San Miguel, che ospita l'immagine della Vergine Bianca, patrona della città.
Vitoria-Gasteiz | Aizkolaris in Plaza de los Fueros (tradizionale competizione di taglialegna durante la festa de la Virgen Blanca)
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di Gianluca PirovanoDa un lato c’è Vitoria, per i baschi Gasteiz, la verde ed elegante capitale dell’Alava, una delle tre province basche, lontana poco più di trenta chilometri. Dall’altro, ancora più vicino, il fiume Ebro, lento e sornione, che segna il confine tra i Paesi Baschi e la Castilla
y Leon. In mezzo, un luogo unico, sia per gli occhi sia per ciò che rappresenta. Uno spazio salvato dall’oblio che è riuscito a trasformare una tradizione millenaria a rischio estinzione in un’eccellenza amata dai grandi cuochi. Stiamo parlando delle Saline di Añana.
pur così vicina, risulta essere un ricordo lontano. Poi, d’improvviso, seguendo il corso della A2622 appare il borgo, leggermente in collina, che affaccia, come un balcone, sulle saline e sulla Valle del Sale di Añana. Un panorama che, già da solo, è capace di rapire: piccole piattaforme di produzione del sale a perdita d’occhio, su cui il sole si specchia e che restituiscono colori ogni volta diversi, al variare dell’ora e della stagione. Un panorama che acquista ancora maggior fascino se si conosce la sua storia.
Ad Añana il sale viene prodotto ininterrottamente da circa 7mila anni. In questa zona dei Paesi Baschi, infatti, sgorgano sorgenti ipersalate che nel tempo l’uomo ha imparato a utilizzare a suo favore. L’attuale ciclo di produzione è, di fatto, identico a quello di 2mila anni fa.
Il sale ad Añana viene prodotto all’interno di piattaforme di evaporazione in legno, su cui agiscono vento e sole. Per questo motivo il periodo di raccolta è solitamente tra maggio e settembre: servono temperature alte e stabili. Il meccanismo di produzione è semplice: si riempiono le piattaforme con tra i 2 e i 4 centimetri di salamoia dei pozzi, che viene lasciata riposare per almeno 16 ore. Il passo successivo è mescolare la salamoia con il “rullo”, per fa sì che il sale non attacchi sul fondo.
Dopo alcune ore, apparirà in superficie un primo strato, è il “fior di sale”, che un tempo veniva rotto e che oggi viene invece com-
mercializzato. Si prosegue a mescolare fino a quando l’acqua non è totalmente evaporata. A quel punto si può procedere con la raccolta del sale. Durante la stagione, si possono fare fino a 60 estrazioni di sale.
Oltre al legno, all’interno delle saline sono presenti soltanto argilla e pietra locale. Tutto è in equilibrio con la natura della Valle del Sale
Un equilibrio rotto soltanto a partire dagli anni ‘60, quando per provare a stare al passo con la produzione industriale venne introdotto il cemento. Una scelta che portò, in realtà, l’effetto contrario: il cemento non resse la salinità di Añana e portò all’abbandono di molte piattaforme.
La crisi e la rinascita, nel segno della tradizione
Basti pensare come delle migliaia di piattaforme attive, nel 1995 ne erano rimaste soltanto 500. Si è arrivati, di fatto, all’estinzione, scongiurata soltanto nel 2009, con la nascita di un progetto appoggiato da diverse istituzioni basche, che ha dato vita alla Fondazione Valle Salado, il cui lavoro ha ridato vita alle saline di Añana, non soltanto dal punto di vista della produzione, ma anche del paesaggio culturale, vittima ormai di abbandono. In questi anni sono state recuperate 2mila piattaforme, anche se al momento soltanto 200 risultano attive a pieno regime
Un ruolo importante nel progetto di rinascita delle Saline di Añana lo sta senza dubbio giocando l’alta cucina. Il sale prodotto in Alava è, infatti, un prodotto artigianale, realizzato manualmente e di altissima qualità. Un’eccellenza che si sposa per-
fettamente con una cucina, quella basca, abile a sperimentare e innovare, ma allo stesso tempo molto legata al suo territorio. Così, molti volti noti dall’alta ristorazione basca e non solo hanno sposato il progetto della Fondazione Valle Salado e ne sono diventati ambasciatori: Andoni Luis Aduriz, Eneko Atxa, Martin Berasategui, Pedro Subijana, Joan Roca, Francis Paniego, solo per citarne alcuni. Ma anche il Basque Culinary Center e Slow Food, che ha inserito il sale di Añana tra i suoi presidi.
Le Saline di Añana sono aperte tutto l’anno. Il biglietto intero costa 8.50 euro (con riduzioni per gruppi, studenti, disoccupati, pensionati, disabili e bambini) ed è obbligatorio prenotare la visita in anticipo sul sito della Fondazione. La visita guidata dura circa un’ora e, nella stagione calda, sono consigliati cappello e crema solare (la Fondazione fornisce degli ombrelli, in caso di necessità). Oltre alla visita tradizionale, vengono offerte diverse esperienze alternative: “salinero” per un giorno, la Spa salina e la degustazione dei diversi prodotti delle Saline.
Si tratta di un bianco (raramente rosso o rosato) popolare, che negli ultimi anni è cresciuto per qualità e diffusione, grazie al lavoro di diverse cantine, tra cui Gaintza Txkakolina, sulle colline di Getaria
Il popolo basco, si sa, è un popolo identitario. E nella tradizione basca l'enogastronomia gioca un ruolo centrale. Impossibile, allora, pensare che i Paesi Baschi non abbiano un vino che sia custode di questa identità: c'è ed è il txakoli.
Sull'origine del nome, come sempre, ce n'è per tutti i gusti. Tra le teorie più accreditate c'è quella che parte da una frase: "etxeko ain", letteralmente "il giusto per la casa". Questa era la risposta che, per tradizione, dava chi produceva vino a chi gli chiedeva quanto ne avesse fatto. Da "etxeko ain" si è passati a "etxekolain" e si è poi arrivati a "txakoli". Al di là delle storie e delle leggende, il txakoli è diventato un simbolo dei Paesi Baschi. Un vino bianco per certi versi semplice, ma con una notevole personalità, che riesce a racchiudere al suo interno due componenti fondamentali della vita basca: l'oceano e l'umidità. Il risultato è un prodotto fresco, facile da bere, acido e minerale, perfetto per qualsiasi momento.
Protagonista è, quasi sempre, l'Hondarrabi Zuri, vitigno autoctono che deve rappresentare almeno l'80% del blend, a cui si aggiungono Gros Manseng, Petit Courbu e Chardonnay
Più rara la versione rossa, con l'Hondarrabi Beltza, e la versione rosé. La vendemmia, in annate normali, si svolge a metà settembre e il vino può essere venduto, secondo la legge, già a gennaio. Solitamente però si aspetta marzo per mettere in commercio la nuova annata.
Sono tre le donominazioni di origine: l'Arabako Txakolina, per l'Alava, la Bizkaiako Txakolina, per la Biscaglia e nello specifico le aree di Baquio e Valmaseda, e la Getariako Txakolina, per la Gipuzcoa, principalmente tra Getaria e Zarautz.
Come detto, il txakoli è (o forse è meglio dire è stato) un vino essenzialmente famigliare, caratterizzato cioè da produzioni ridotte e pensate per il consumo casalingo o, al massimo, il mercato interno. Il tutto insieme alla nomea di vino giovane, senza particolari pretese. Una situazione, per fare un parallelo a livello italiano, simile a quella dell'Oltrepò Pavese. E proprio come
l'Oltrepò, anche i Paesi Baschi da qualche anno sono al lavoro per dare al txakoli una nuova vita, senza chiaramente dimenticare la storia e le radici del bianco basco per eccellenza. L'obiettivo è tanto complesso quanto ambizioso, ma diverse cantine stanno provando ad ottenerlo. Come? Sperimentando: per esempio, cercando di farlo invecchiare o lavorando su parcelle specifiche per avere prodotti di eccellenza.
Un esempio di questo tipo di approccio, a metà tra tradizione e innovazione, è Gaintza Txakolina, una cantina a conduzione famigliare che sorge in uno dei luoghi simbolo della produzione di txakoli, Getaria.
Getaria è, forse, più famosa nel mondo per aver dato i natali allo stilista Cristóbal Balenciaga che per il vino, ma nella realtà è
uno dei luoghi simbolo del txakoli. Sopra il magnifico centro storico, un borgo arroccato sull'oceano, iniziano le colline che ospitano ettari e ettari di vigneti affacciati sull'Atlantico.
Tra queste colline sorge Gaintza Txakolina, la cui storia è quella di tante cantine basche. Si tratta, infatti, di un'attività famigliare che è cresciuta negli anni e che oggi occupa 25 ettari e produce circa 100mila bottiglie. Un luogo unico: un casale immerso tra i vigneti con una vista mozzafiato su Getaria e sull'Oceano. Spazi in cui si percepisce a pieno la natura nella quale prende forma il txakoli: la salinità del mare, il freddo e l'umidità tipici dei Paesi Baschi. Curioso, tra le altre cose, guardare l'evoluzione delle vigne. Nella parte frontale si trovano, infatti, quelle tradizionali, poste in orizzontale per "combattere" l'umidità. Ai lati, invece, si trovano moderne spalliere verticali, che permettono di aumentare la produzione.
Gaintza Txakolina, oltre all'attenzione al prodotto, guarda con interesse anche all'enoturismo, con una proposta tanto semplice quanto interessante. È possibile dormire nel casale posto al centro delle vigne, che può contare su sei stanze immerse nella natura e nella più totale tranquillità. Chi è solo di passaggio può, invece, scegliere una visita guidata tra i vigneti, che si conclude con una degustazione di txakoli (prenotazione obbligatoria, dal martedì al sabato alle 11.30, costo 20 euro).
Il txakoli tradizionale (85% Hondarrabi Zuri 15% Gros Manseng): fresco e intenso, con la marcata acidità tipica del txakoli, dalla beva facile e con un'interessante salinità.
Il txakoli rosato (50% Hondarrabi Zuri 50% Hondarrabi Beltza): frutti rossi e note fresche di ciliegia e fragola, da servire fresco, perfetto per gli aperitivi.
Il txakoli Aitako (85% Hondarrabi Zuri 15% Chardonnay): selezione famigliare da tre ettari con più di cento anni, complesso e intenso al naso, morbido in bocca, con sentori tropicali e un finale secco. Affina 12 mesi in acciaio e 12 mesi in bottiglia.
Interessanti anche i pintxos di accompagnamento, di altissima qualità: acciughe del Cantabrico, bonito (piccolo tonno del cantabrico sott'olio) e cioccolato.
Trieste è una città che ha tanto da offrire e i turisti se ne sono accorti già da tempo. L’incremento dei flussi è in continua crescita, a dimostrarlo i dati di quest’ultima estate dopo lo “stop forzato” causato dalla pandemia. A riscuotere un particolare interesse è l’aspetto esperienziale del patrimonio culturale locale: tra questi immancabile la cultura del caffè.
Tantissime le aziende, le accademie e i professionisti specializzati nel settore. «La città di Trieste ha da secoli un rapporto
strettissimo con questa bevanda - afferma Marco Bazzara, director di Bazzara Academy, scuola di formazione dell'omonima torrefazione triestina a conduzione familiare nata più di 50 anni fa sita nel cuore della città -. Gli italiani, e i triestini in particolare, sono detentori di un patrimonio che va valorizzato come bene collettivo».
Non solo una bevanda energizzante e che scalda il cuore, il caffè è molto di più, significa valore, cultura, condivisione e tradizione. «Trieste è riconosciuta a livello internazionale come storica capitale del caffè espresso. Questo riconoscimento è stato
conquistato con fatica e passione, in tre secoli di tradizione caffeicola portata avanti da un intero comparto di filiera presente in città», prosegue.
Passeggiando per i vicoli e tra gli eleganti caffè storici è molto facile, anche per un turista distratto, imbattersi piacevolmente nella cultura locale del caffè, in discorsi sulla qualità dell’espresso servito nei bar, ma è possibile anche incontrare curiosi personaggi che, tecnici della materia, assaggiano professionalmente, analizzano e realizzano le miscele.
«Trieste vanta una tradizione di oltre tre secoli che attualmente si traduce in una florida attività caffeicola con importatori d’eccellenza e professionalità altamente specializzate nel settore, dall’assicuratore allo spedizioniere - prosegue Bazzara - Molte torrefazioni note anche a livello internazionale, soprattutto per la produzione
di espresso; il principale porto italiano per l’importazione dei chicchi; splendidi caffè storici e centri di ricerca e di formazione di altissimo livello dediti al caffè; l’Associazione di categoria più antica in Italia e fra le più antiche al mondo ancora attiva; uno dei pochi impianti di decaffeinizzazione in Europa e il primo impianto moderno per la lavorazione del caffè (Pacorini Silocaf, ma anche la Demus che si occupa di decaffeinizzazione); eventi di grande rilievo locale, nazionale e internazionale, come il Festival del Caffè, il Trieste Coffee Experts dove vengono invitati una cinquantina tra i massimi esperti a discutere del futuro del caffè e appunto la TriestEspresso Expo. Una simile concentrazione di know how caffeicolo, indotto economico di settore e una compresenza così completa di filiera non si trova in altre città italiane e difficilmente all’estero».
Ma non è solo una questione di numeri e di dati, ma di cultura, di vissuto cittadino: l’aroma di caffè si respira nell’aria, portato dalla Bora. La cultura del caffè ha davvero radici lontane. Basti pensare che qui è nata
Sono molteplici le importanti ricadute sulla città che il caffè - e gli eventi ad esso collegati - produce: per fare un esempio non possiamo non citare la TriestEspresso Expo, fiera internazionale che ad ottobre celebrerà la sua decima edizione e il conseguente positivo avvento di turisti appassionati, esperti, professionisti e non solo che la manifestazione riesce ad attirare. «Durante l’evento la città pullula di vita, i ristoranti sono pieni, così come bar e hotel - continua Marco Bazzara -, ecco perché il mondo del caffè è rilevante per il settore dell’ospitalità e ristorazione italiana. Questa fiera, dedicata ad un prodotto straordinario che il mondo ci invidia, la conoscono tutti ed è uno dei gioielli di Trieste, dove migliaia di persone arrivano da tutta Italia e non contribuendo così alla crescita della città. Il caffè, dunque, non è solo storia, ma anche importante motore economico per tante realtà cittadine e momento di esperienza per il turista».
la prima Borsa del Caffè, a inizio Novecento, e che l’Associazione Caffè Trieste è la stata la prima di settore in Italia e la terza in Europa, dopo Amburgo e Amsterdam. Nei suoi annali annovera grandi nomi - Ernesto Illy, Vincenzo Sandalj, Alberto Hesse, Primo Rovis - e personaggi che tutto il mondo del caffè, e non solo, ci invidia.
«È incredibile la sensazione che si può provare semplicemente camminando nei magazzini portuali, in mezzo a montagne di chicchi provenienti dai posti più esotici e lontani del pianeta, dalla Colombia al Kenya, dall’Etiopia al Costarica. Ogni provenienza di caffè ha un suo 'profumo' unico e i sacchi sono come delle mappe da decifrare, che ti catturano e incuriosiscono per i colori, i nomi, le grafiche, i simboli, uno diverso dall’altro», aggiunge.
Insomma, siamo custodi di una tradizione, ecco perché il servizio deve essere di qualità, dai rinomati caffè storici del centro sino al più remoto piccolo bar di periferia.
«Come dimenticare, quando dai paesi dell’Est venivano tantissimi visitatori creando code lunghissime di automobili e bus? - evidenzia ancora Bazzara - Tutto ciò avveniva non per un grande evento o concerto internazionale, tantissime persone venivano a Trieste per comprare caffè nello storico locale di Piazza Goldoni. Lì si smerciavano chili e chili di caffè destinati a fare lunghi viaggi nei Balcani e non solo. Trieste è un’importante filiera interamente dedicata all’espresso, dalla logistica alla divulgazione. Un risultato maturato non solo attraverso le vicende storiche cittadine ma anche fortemente voluto da alcune realtà locali che ne hanno compreso il valore e il potenziale, continuando a svilupparlo: tante opportunità, dunque, anche per i turisti che dopo una visita ricordano con piacere la città grazie alla lunga tradizione del caffè triestino. Molte le iniziative promosse per i visitatori appassionati, tra questi ad esempio i corsi di formazione della Bazzara Academy dedicati proprio a chi decide di fare un salto in città».
Il turismo alimentare è considerato altamente strumentale allo sviluppo regionale e alla creazione di valore. Se invece si vuole analizzare nello specifico i benefici che il turismo produce sul mercato del caffè, si scopre che questa materia prima è una delle più consumate a livello mondiale e i luoghi a vocazione turistica di coltivazione del caffè che abbiano aperto al pubblico le loro fattorie e piantagioni stanno riscontrando un notevole successo commerciale grazie alla curiosità dei visitatori. L'agriturismo del caffè può contribuire a creare immagini, percezioni ed esperienze basate sulla natura, favorendo la sostenibilità economica, sociale e ambientale, incoraggiando consumi sostenibili e aumentando la consapevolezza sulle questioni sociali, economiche e ambientali locali, favorendo, inoltre, la creazione di un legame con il territorio.
Di conseguenza, il turismo del caffè apporta benefici sia all’economia locale che
al turista, è un settore dal potenziale enorme che potrebbe diventare strategico per formare nuovi modelli di business basati su un ecosistema sostenibile e all’avanguardia.
«Mi ha sempre colpito nel mio quasi mezzo secolo di attività nel mondo del caffè, che quando incontravo clienti e amici, proveniente dai Paesi confinanti, e non solo, tra i quali molti turisti, accennassero al fatto di essere a Trieste anche per bere finalmente un buon caffè. Alla mattina negli hotel, durante il giorno, o nelle pause fra le visite a San Giusto, al castello di Miramare o alla meravigliosa Piazza Unità e, perché no… spesso a fine cena, in uno dei tanti locali triestini. Penso sempre che se turismo uguale relax, o convivialità, o quotidianità, allora il caffè ci sta sempre. Sono certo che i turisti riconoscono l’espresso del cappuccino come uno dei simboli del Bel Paese, e lo cercano quindi, per goderne i benefici, e lo sappiamo che se è fatto a regola d’arte con una miscela di qualità… è un piccolo grande momento di gioia», conclude Bazzara.
Infine, ricordiamo che il turismo caffeicolo nel mondo sta diventando sempre più esperienziale, infatti, vengono organizzate visite guidate che oltre a mostrare la superba bellezza insita nelle piantagioni di caffè permettono al turista caffeicolo di godere di una ospitalità multiforme e divertenti attività come gite a cavallo, bagni termali, mini corsi dove imparare a "coltivare" il caffè e molto altro.
Inizia qui, da parte del turista, una consapevolezza nel corso dei suoi viaggi, per chi ne ha la possibilità, di degustare il caffè in un’infinità di modi diversi: dal caffè turco, all’americano, scoprendo come si beve a Cuba, in Portogallo, a Sarajevo e così via: insomma, un’esperienza da non perdere.
Trieste è la città del caffè e dei Caffè. Molto più che semplici locali, i Caffè sono per Trieste una vera e propria sentitissima tradizione, luoghi per eccellenza deputati al ritrovarsi per discutere e confrontarsi, incontrare gli amici, leggere i giornali, studiare. Alla fine dell’800 e durante i primi decenni del 900 (quando se ne contavano un centinaio, più che in ogni altra città della penisola) vi si davano appuntamento scrittori, artisti, irredentisti e ancor oggi molti di essi - restaurati e riportati al loro antico splendore, impregnati di echi mitteleuropei - sono fra i punti d’incontro più amati dai triestini. Caffè storici, frequentati
da scrittori del calibro di James Joyce, Italo Svevo e Umberto Saba, ma anche Caffè contemporanei, di design: così questa tradizione squisitamente triestina si fa vita, e si perpetua senza soluzione di continuità, da ieri a oggi.
Il Caffè Tommaseo (piazza Tommaseo 4) dove si ritrovavano nell’Ottocento gli irredentisti, è il caffè letterario per eccellenza e - ancor oggi - probabilmente il più noto fra tutti. Affacciato su Riva III Novembre, è stato aperto nel 1830 dal padovano Tommaso Marcato, ed è il più antico della città: inizialmente si chiamava “Da Tommaso” e solo nel 1848 fu dedicato al patriota e scrittore
dalmata. Qui - dove andavano Svevo, Joyce e Saba e, in tempi più recenti, Giorgio Voghera, Fulvio Tomizza, Claudio Magris che ha creato proprio ai tavoli di questo caffè il suo capolavoro Danubio - si ritrovano oggi intellettuali, ma anche giovani, uomini d’affari, studenti, viaggiatori. Affacciato su una piccola piazzetta, di fronte al mare e adiacente a Piazza Unità, è punto di riferimento per la cultura cittadina, dato che le sue sale - decorate con delicati stucchi e specchiospitano incontri ed eventi. Dal 1954 è entrato a far parte dell’associazione dei Locali storici d'Italia.
Poco distante, in piazza Unità d’Italia, si trova un altro famosissimo locale, il Caffè degli Specchi, pure Locale storico d'Italia (piazza Unità d’Italia 7). Ospitato in Palazzo Stratti, un elegante edificio neoclassico di fianco al Palazzo del Governo, è stato aperto nel 1939, ed è ben presto diventato il più chic della città. È l'unico rimasto tra i quattro caffè che un tempo si aprivano sulla principale piazza triestina, allora chiamata
Piazza Grande. Ha fatto da cornice a tutti gli eventi e i fatti storici rilevanti per Trieste ed ancor oggi è il salotto cittadino, uno dei Caffè più frequentati dai triestini e uno dei preferiti dai turisti, che con la bella stagione si possono sedere all’aperto ai tavolini con grandi ombrelloni disposti sulla piazza, di fronte al mare. Il suo nome è dovuto al fatto che si incidevano gli avvenimenti storici più importanti su specchi o lastre di vetro appesi alle pareti: purtroppo oggi se ne conservano solo tre esemplari.
Ma è probabilmente il San Marco (via Battisti 18) il Caffè triestino che più di tutti ha saputo preservare nel corso degli anni il suo inconfondibile stile. Qui - senza che la frase sembri retorica - si respira veramente aria d’altri tempi, nonostante le molte vicissitudini attraversate nel corso degli anni. Seduti ai suoi tavolini col ripiano di marmo e le gambe di ferro battuto si danno appuntamento artisti, intellettuali e tanti studenti che, oggi come un tempo, vi passano ore di studio. Il San Marco (prediletto dallo
scrittore e germanista Claudio Magris) è un locale assolutamente da visitare per chi vuole entrare nell’anima di Trieste: aperto nel 1914, punto d’incontro per i patrioti antiaustriaci, allo scoppio della guerra fu devastato. Riaperto nel 1918, da allora nulla è cambiato nel suo arredamento, giocato con contrasti fra il nero della boiserie e il caldo color ottone delle rifiniture e degli stucchi, un vero e proprio trionfo dell’Art Deco, con raffinate pitture di Vito Timmel alle pareti.
Altri Caffè storici che nulla hanno perso del loro fascino sono il Caffè Stella Polare, vicino alla chiesa serbo-ortodossa di San Spiridione, aperto fin dal 1867 e frequentato dalla comunità tedesca e più tardi da personaggi quali Umberto Saba, la figlia Linuccia, Guido Voghera e James Joyce, insegnante alla vicina Berlitz School (via
Dante 14); il Bar Torinese, che conserva gli arredi Anni Venti, disegnati dall’ebanista Debelli, specializzato nella realizzazione degli interni di navi da crociera: entrato nella lista dei Locali storici d’Italia nel 1999, conserva una targa d'oro che certifica la storicità sia della struttura che del mobilio interno (corso Italia 2); il Caffè Tergesteo, che fu aperto nel 1863 di fronte allo storico Teatro Verdi nella grande galleria dell’omonimo palazzo di piazza della Borsa, cuore della vita economica ottocentesca, dove per alcuni anni lavorò Italo Svevo: Umberto Saba gli dedicò addirittura una lirica del suo Canzoniere.
Le pasticcerie sono, con i Caffè, un must di Trieste. Aperto all’inizio del 1900 da Alberto Pirona, il Caffè Pasticceria Pirona è un angolo della Vecchia Trieste da non perdere. Associata ai Locali storici d’Italia, era la pasticceria più amata da James Joyce, che proprio qui cominciò a elaborare il suo Ulisse. Il locale non è tanto grande, con i vecchi banconi in legno e le vetrine di cristallo. Qui si possono trovare tutti i più tradizionali dol-
ci triestini, dai presnitz (saporiti tortiglioni di pasta sfoglia ripiena di uvetta, noci, canditi e profumati di vaniglia) alla putizza, dalla pinza alle fave.
Elegante ed austera, La Bomboniera è stata aperta nel 1875 dalla famiglia ebrea degli Eppineger, che la gestì fino al 1939, quando passò ai Poth, una famiglia di origine ungherese che ne ha perpetrato la rinomata tradizione. Pavimento in lucido marmo, scuri banconi in legno, scaffalature alla pareti, vi si trovano i dolci della tradizione pasticcera origine austro-ungarica, che Trieste deve al suo passato di porto dell’Impero.
In città, vari Caffè di apertura più o meno recente hanno raccolto il testimone della grande tradizione ottocentesca triestina
ed oggi sono fra i luoghi di ritrovo più frequentati. L’Illy Ponterosso, affacciato con il suo déhors sul centralissimo canale di Ponterosso, è ospitato al piano terra dello storico palazzo Berlam, di cui sono stati valorizzati gli elementi decò sapientemente mixati con gli elementi iconici dell’azienda triestina (via Gioacchino Rossini 2).
Pareti optical che si sposano con un pavimento ottocentesco a mosaico caratterizzano invece l’originale Caffè Urbanis vecchio di circa due secoli, riaperto da qualche anno dopo una radicale trasformazione, frequentato dagli amanti dell'urban chic e perfetto per un aperitivo (piazza Borsa 15).
Per una golosa pausa fra caffè e dolci specialità artigianali, c’è anche l’accogliente e piacevole Pasticceria Viezzoli, che si trova nella zona pedonale, ad un passo dal Canale di Ponterosso.
Una vetrina importante. Bergamo e Brescia per tutto il 2023 potranno fregiarsi, insieme, del titolo di Capitale della Cultura italiana. Un’opportunità imperdibile per le due città lombarde e per le loro province di mettersi in mostra a livello nazionale e internazionale.
Al di là degli aspetti economici, la Capitale della Cultura permetterà alle due città e ai loro territori di raccontarsi e di raccontare le loro eccellenze, anche quelle culinarie. Bergamo e Brescia possono, infatti, fare vanto di 20 Dop, 2 Docg, 10 Doc e 55 Pat (Prodotti agroalimentari tradizionali). A loro si aggiungono poi 17 ristoranti con una stella Michelin, 2 ristoranti con due stelle e un tristellato, Da Vittorio a Brusaporto. Un
quadro che aiuta a comprendere il valore della produzione e della cucina bresciana e bergamasca, ma che è comunque parziale rispetto a un’offerta sterminata e caratterizzata, più che in altri luoghi, da piccole produzioni, vere e proprie chicche da scoprire.
Insomma, la “carne al fuoco” è tanta, ma c’è tutto il tempo per assaggiare ogni morso e ogni sorso della Capitale della Cultura 2023. Noi di Check-In, per tutto l’anno vi racconteremo Bergamo, Brescia e le loro province nel dettaglio. Un viaggio lungo un anno che parte proprio dalle prime eccellenze che vi abbiamo nominato, quelle alimentari: i vini, i salumi, i formaggi, i piatti della tradizione e i ristoranti stellati. Scopriamoli insieme.
BERGAMO E PROVINCIA
BRESCIA E PRONVINCIA
Osteria della Brughiera
Osteria degli Assonica
Impronte
Umberto De Martino
La Tortuga Lido 84
Casual Bolle
LoRo
Da Vittorio
Il Saraceno
San Martino
Due Colombe
Sedicesimo Secolo
Villa Feltrinelli
Miramonti l'altro
Capriccio
La Rucola 2.0
Esplanade
La Speranzina
Casoncelli
Bergamo e Brescia saranno insieme, per tutto il 2023, Capitale della Cultura. Un riconoscimento senza dubbio meritato per un territorio che racchiude nei suoi 7.507,22 chilometri quadrati, tanto occupano le due province, un’offerta turistica eterogenea e sorprendente, che va dalle montagne ai laghi, dai borghi alle città. Un discorso che si sposa anche con l’incredibile offerta gastronomica bergamasca e bresciana. Basti pensare che insieme le due province racchiudono ben 55 Pat, vale a dire Prodotti agroalimentari tradizionali tutelati da Regione Lombardia, 22 Bergamo e 23 Brescia, e 20 Dop, equamente suddivise. Ma la vera forza del territorio scelto come Capitale della Cultura sta nelle produzioni di nicchia, gioielli nascosti che vale la pena di scoprire. Abbiamo provato a unire queste due anime, scegliendo 23 eccellenze assolute. Eccole.
Dici Bergamo, dici Brescia, e subito pensi alla polenta. Difficile, infatti, immaginare un
pranzo della domenica nelle due Capitali della Cultura senza che al centro della tavola ci sia lei. Si tratta di un piatto povero, legato al mondo contadino, diffusosi dopo la peste del 1630, quando nella zona si iniziò a coltivare il mais. Da allora, la polenta è stata di fatto l’alimento base per molti bergamaschi e bresciani e, ancora oggi, è simbolo di famiglia e convivialità, accompagnata da un bicchiere di vino rosso. Oltre a quella “tradizionale”, gialla, è altrettanto diffusa la Taragna, in cui viene utilizzato anche il grano saraceno e in cui il piatto viene arricchito con burro e formaggio.
In un ipotetico podio degli alimenti bergamaschi e bresciani più conosciuti in Italia, subito dietro alla polenta si posizionerebbero i casoncelli. Stiamo parlando di una pasta fresca ripiena, simbolo delle due città, che la interpretano però in maniera diversa. Il casoncello bergamasco è ripieno di carne (pasta di salame, salsiccia, arrosto, pollo, manzo) e formaggio e all’occorrenza vengono aggiunti amaretto, uvetta e scor-
za di limone. Al termine della cottura viene coperto di burro, salvia e pancetta. Il casoncello bresciano, invece, ha la stessa forma a mezzaluna, ma ha una pasta più sottile e il ripieno è “magro”, con pane secco, burro e formaggio. E, in uscita, sparisce la pancetta: solo burro, grana e salvia.
Lo sapevate che la stracciatella, uno dei gusti di gelato più amati, è stata inventata a Bergamo? Il merito è di Enrico Panattoni de La Marianna, storico locale in Città Alta. Nel 1961 Panattoni, dopo una serie di esperimenti, inserì una dose di cioccolato fondente caldo nel fiordilatte, che durante la mantecazione si solidificò in piccoli pezzettini. Era nata la stracciatella, che prese il nome dalla stracciatella alla romana, una minestra in cui l’uovo si “frantuma” nel brodo, proprio come il cioccolato. La stracciatella viene servita ancora oggi da La Marianna, con cioccolato fondente al 58%.
Si è detto della polenta, alimento della domenica. A Brescia c’è, però, un altro simbolo dei pranzi in famiglia: è lo Spiedo bresciano. Piatto legato al mondo della caccia, si tratta di uno spiedo quasi totalmente a base di carne, fatta eccezione per le patate e, in alcuni casi, la salvia. Lungo lo spiedo vengono inseriti solitamente lonza di suino, petto, cosce ed ali di pollo, pezzi di coniglio e uccelli di cacciagione. Le ranfie, come vengono chiamate dai bresciani, ruotano da tradizione su braci a legna per una lunga cottura, che inizia “a secco” e prosegue poi con il burro, per circa sei ore. A quel punto si può servire.
Forma quadrata, cro sta sottile, rosa ta e morbida: è l’inconfondibile aspetto del Taleg
gio Dop. Formag gio di origini antichis sime, probabilmente precedenti il X secolo, veniva prodotto per l’esigenza di conservare il latte in eccedenza delle vacche di ritorno dai pascoli estivi. Vacche che erano stanche, per la strada percorsa, “stracche” in dialetto: da lì il nome originario, ovvero Stracchino quadrato di Milano. Si produce sia in provincia di Bergamo sia di Brescia. Deve stagionare almeno 35 giorni e ha una pasta uniforme, compatta, con un sapore dolce, leggermente aromatico, con, alle volte, un retrogusto tartufato.
Il nome è di origine dialettale: Strachitunt, “stracchino tondo”. Un formaggio erborinato a latte crudo, prodotto con la tecnica
delle due paste: vengono unite a strati la cagliata della sera e quella della mattina. Ne scaturisce un sapore aromatico intenso, che va dal dolce al piccante in base alla stagionatura, che deve es sere minimo di 75 giorni. Si tratta di una vera e propria eccellenza, che può essere prodotta in un territorio molto limitato, vale a dire i comuni di Taleggio, Vedeseta, Gerosa e Blello.
Il Fatulì, che in dialetto significa “piccolo pezzo”, è un formaggio caprino presidio Slow Food. La sua terra d’origine è la Val Saviore e lì, in alcuni casi, lo si produce ancora con il latte crudo proveniente da una razza originaria della valle, la Capra bionda dell’Adamello. La forma è piccola, con un diametro massimo di 14 centimetri e un’altezza che varia tra i 4 e i 6 centimetri. Questo perché, secondo la tradizione, i pastori utilizzavano i piatti fondi come fascera. Il Fatulì viene, dopo la salatura, affumicato con rami e bacche di ginepro e stagionato per un periodo che va da uno a sei mesi.
Ma come, su un’isola di pescatori il protagonista è un salame? Sì, o meglio, non solo. Certo è che il Salame di Montisola è un gioiello da scoprire. Si tratta di un salume per il quale vengono impiegate lonza, coppa, filetto e coscia del maiale, carni scelte tagliate a punta di coltello, non macinate, e senza l’aggiunta di grasso. Vengono poi aggiunte spezie ed aglio e infine viene fatto riposare nel vino. Dopo l’insaccatura, viene affumicato con legno di olivo e infine messo a stagionare per trenta giorni.
Dal latte, come del maiale, non si butta via niente. È così che è nato il Fiurì. Stiamo parlando del fiore di ricotta, il residuo che il casaro rimuove prima che la ricotta si formi. Un elemento di scarto, appunto, a cui è stata data nuova vita. Ha una consistenza cremosa, semiliquida, con un gusto delicato, dolce. È perfetto per la colazione, ma anche per accompagnare la polenta. Commercializzarlo è molto complesso, considerata la sua deperibilità. È quindi, soprattutto, un prodotto da autoconsumo.
Lo si trova soprattutto in Val Chiavenna, ma anche in Valle Camonica. Il Violino è un prosciutto aromatizzato con vino e spezie, ricavato dalla coscia della capra e che prende il suo nome dalla forma, simile al violino, e dalla sua tradizionale tecnica di taglio, che somiglia per posizione a quella di un violinista, con il prosciutto che viene appoggiato sulla spalla e il coltello che diventa un archetto.
Il Silter Dop è un formaggio vaccino a pasta dura che deve essere prodotto in Valle Camonica utilizzando almeno l’80% di lat-
la azienda produttrice. Viene solitamente consumato da solo, ma è adatto anche per accompagnare risotti, polenta e casoncelli. Ha un sapore dolce, con note piccanti in base alla stagionatura, che non deve essere inferiore ai 100 giorni.
Il Tombea è il formaggio della Valvestino. Viene infatti prodotto soltanto con il latte delle vacche degli alpeggi e delle stalle della zona. Questa è la sua forza, che porta tra le altre cose un’altissima qualità al prodotto, ma anche un limite per la sua commercializzazione. Dal gusto sapido e leggermente piccante nel finale, arricchito dal profumo di montagna, il Tombea viene prodotto da maggio a settembre. Perfetto come fine pasto, è adatto al consumo a partire dai 90 giorni.
L’Olio del Garda Dop è ottenuto da olive di diverse varietà (Casaliva, Frantoio, Leccino e Pendolino), che devono essere raccolte entro il 15 gennaio e le cui operazioni di
oleificazione vanno realizzate entro cinque giorni dalla raccolta. Sono 27 i comuni della provincia di Brescia nei quali si può produrre la denominazione e il risultato è un olio con un sapore fruttato e un retrogusto di mandorla, da conservare tra i 15 e i 28 gradi e con un’acidità massima totale di 0,5 grammi per 100 grammi.
Vengono chiamate, in dialetto, àole de mura: sono le alborelle essiccate in salamoia, un’altra eccellenza gardesana. Si tratta, infatti, di pesciolini di lago fatti essiccare al sole e conservati sotto sale. Un procedimento che dona loro un gusto molto intenso e salato. Un tempo molto diffuse, oggi sono un prodotto raro.
A Calvenzano, comune di nemmeno 5mila abitanti nella Bassa Bergamasca, si coltiva da secoli il melone. Un melone particolare, tanto da essere stato studiato e censito nella banca del germoplasma per la tutela della biodiversità dell’Università di Valencia, e che oggi è presidio Slow Food. Il melone di Calvenzano è un melone dalla buccia retata con picciolo piuttosto pronunciato che viene lasciato attaccato al frutto durante la raccolta. Raggiunge anche grandi dimensioni e una forma ovoidale. La polpa è consistente, zuccherina, con un bel colore arancione caldo e molto profumata.
Nell’universo delle paste fresche ripiene non brilla soltanto la stella del casoncello. A Parre, piccolo comune della Val Seriana, si preparano gli Scarpinocc, che prendono il
nome dalla loro forma, simile a quella delle calzature artigianali che venivano realizzate in paese. Si differenziano dai casoncelli bergamaschi perché il loro ripieno non prevede la carne, ma soltanto pan grattato, uova e grana, e il condimento non prevede la pancetta, ma come i cugini bresciani soltanto burro fuso, salvia e grana.
Gli abitanti di Bagolino, piccolo comune bresciano della Val di Caffaro, si chiamano Bagossi e il Bagòss è il loro formaggio: un formaggio a pasta cruda e da latte parzialmente scremato. Il suo segreto? Durante la fase di rottura della cagliata viene aggiunto un cucchiaino di zafferano. Per il disciplinare deve stagionare almeno 12 mesi, ma è più frequente lo faccia per 24 o 36. Il suo sapore è più intenso se realizzato con latte da pascolo, meno se viene utilizzato latte “invernale”. È presidio Slow Food.
Il disciplinare non prevede sconti: per essere un Nostrano della Valtrompia Dop deve essere prodotto utilizzando per almeno il 90% latte di vacche di razza Bruna. In ag-
giunta, deve stagionare almeno un anno. Nasce così un formaggio semigrasso a pasta extra dura, di cui si hanno tracce già dal 1500, con un sapore pieno e intenso in cui emergono pienamente tutte le complessità di una maturazione prolungata. Per questo motivo si sposa a perfezione con il miele.
Tra le zone di produzione del Grana Padano Dop ci sono anche le province di Bergamo e Brescia. L’origine del Grana Padano affonda le radici nell’anno Mille, quando i monaci cistercensi, per rispondere alla necessità di conservare il latte in eccesso che veniva prodotto sul territorio, sperimentarono la produzione di un formaggio a pasta dura che durava nel tempo, il caseus vetus, poi denominato grana. Da allora, di strada ne ha fatta, diventando uno dei simboli del made in Italy nel mondo.
In provincia di Bergamo viene chiamato Cotechino quello che altrove, in Lombardia, è conosciuto con il nome di salamella. Lo si realizza con carni suine fresche di coscia, spalla e coppa e, per la parte grassa, sottogola o pancettone. All'impasto si aggiunge poi sale marino granulare macinato molto fino. L'impasto ottenuto viene lavorato a lungo a mano, nella tradizione, op pure con apposite impastatrici.
Il prodotto viene insaccato nel budello di suino, detto "bazetta"; si forma una lunga salsiccia che viene legata con uno spago sottile così da ottenere cotechini di 10-12 cm.
Sembra polenta, ma non lo è: è Polenta e osei, dolce della tradizione bergamasca. Si tratta di un pan di spagna bagnato con il rum, con l’aggiunta di creme varie. Viene poi ricoperto con marzapane giallo e zucchero, dandogli così la forma della polenta. Nella parte centrale, come decorazione, vengono messi dei piccoli uccelli di cioccolato o di marzapane. È comune vederlo in tutte le vetrine dei panifici cittadini.
La Salsiccia di castrato ovino è un prodotto tradizionale della Valle Camonica, un insaccato fresco a base di castrato ovino (tradizionalmente pecore di razza gigante Bergamasca) sgrassato e macinato molto fine, con l’aggiunta di spezie, aglio e brodo di ossa. Viene solitamene preparata nella stagione estiva, quando la carne è più saporita. A Breno, comune bresciano, dal 2006 può fregiarsi del titolo di DeCo, denominazione comunale. La tradizione vuole che venga servita a fetta, accompagnata da patate bollite e peperonata.
Il Bossolà è il dolce del Natale bresciano, anche se si consuma già a partire da novembre, in occasione della commemorazione dei defunti. Ha la forma di una ciambella e una base di uova, burro e farina. Nonostante il nome somigli, rispetto al Bisulan mantovano o al Bussolano cremonese, il dolce bresciano risulta più soffice e vaporoso. Il procedimento per la sua preparazione è molto lungo. Per intenderci, la ricetta del maestro pasticcere Iginio Massari prevede ben cinque fasi di lavorazione e quasi sette ore di lievitazione.
Il territorio delle province di Bergamo e Brescia vanta una lunga tradizione vitivinicola. Dal Franciacorta al Moscato di Scanzo, produzioni a Denominazione di Origine Controllata e Garantita, si passa alle Doc Valcalepio, Terre del Colleoni, Curtefranca, Lugana, Cellatica, Garda e Riviera del Garda Classico, Capriano del Colle, Botticino e San Martino della Battaglia.
Ma l’offerta enoica dei territori di Bergamo e Brescia comprende anche altre produzioni, fra le quali molte Igt, capaci di rappresentare al meglio ogni singola zona, paese o paesaggio.
Franciacorta
In Bergamasca viene prodotto il Moscato di Scanzo Docg, dall’omonimo vitigno autoctono a bacca rossa. I grappoli vengono ancora oggi raccolti manualmente e riposti in cassette per il successivo appassimento. È un vino da meditazione, estremamente profumato, che si abbina molto bene a formaggi erborinati e stagionati, così come a dolci, pasticceria secca e cioccolato.
Ci spostiamo a Brescia per incontrare la Docg Franciacorta. Metodo Classico conosciuto in tutto il mondo, nasce dalle uve Chardonnay, Pinot Nero, Pinot Bianco ed Erbamat, dopo un affinamento minimo
di 18 mesi sui lieviti. Il Franciacorta, dall’inconfondibile perlage, è un vino a tutto pasto, dall’aperitivo ai secondi piatti, immancabile per il classico brindisi.
La zona vitivinicola Franciacorta si trova nella Lombardia centrale ad ovest di Brescia. I vigneti fanno bella mostra dalle colline che circondano la sponda meridionale del lago d’Iseo e scendono verso la collina rappresentata dal Monte Orfano. La Franciacorta è ricca anche di luoghi da visitare come abbazie, chiese, musei e palazzi, dalle Torbiere del Sebino al parco archeologico Capitolium per concludere con la visita alla città di Brescia.
Ritorniamo a Bergamo per conoscere meglio i vini Doc. In questo caso il prodotto di punta è il Valcalepio Rosso, Bianco e
Riserva, ideale in abbinamento a piatti di carne e formaggi, dopo un percorso di affinamento in legno di almeno tre anni delle uve Cabernet Sauvignon e Merlot. La Bergamasca offre infine la Doc Terre del Colleoni, nella quale rientrano 14 tipologie monovarietali tra rossi, rosati, fermi e frizzanti. Moscato Passito, Incrocio Terzi e Incrocio Manzoni sono le varietà più conosciute.
La visita dei territori vitivinicoli bergamaschi rappresenta l’occasione per visitare il capoluogo Bergamo, da Città Alta al centro piacentiniano. Se ci spostiamo ad ovest troviamo Pontida e i gioielli del Romanico con la chiesa di San Tomé nella località Agro di Almenno San Bartolomeo. Se ci spostiamo verso il confine est della provincia troviamo due città del vino, Grumello del Monte e Castelli Calepio, con il loro patrimonio culturale, che porta al borgo di Lovere all’Accademia Tadini e a Sarnico sul lago d’Iseo.
Vigneti in provincia di Bergamo
A Brescia troviamo anche il Curtefranca Doc Rosso, prodotto con uve Carmenere, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot, si abbina a salumi, formaggi stagionati, primi piatti importanti e secondi di carne; il Curtefranca Doc Bianco, da uve Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Bianco, si presta molto bene per abbinamenti con primi e secondi piatti a base di pesce.
Fra i vini più conosciuti rientra indubbiamente il Lugana Doc. Oggi i produttori tendono ad utilizzare esclusivamente uva Turbiana in purezza, declinandolo in ben cinque diverse tipologie: la versione giovane, il Superiore, la Riserva, la Vendemmia Tardiva e lo Spumante. Il Lugana base si abbina molto bene a primi piatti di pasta e riso con sughi di verdure, ma naturalmente anche a portate di pesce.
Garda e Riviera del Garda Classico rappresentano denominazioni molto ricercate, che comprendono anche la sottozona Valtènesi, nelle tipologie rosso, riserva e chiaretto, soprannominato il vino di una
Al fianco dei consorzi di tutela delle diverse denominazioni ci sono le strade del vino, veri attori primari del marketing territoriale. Grazie agli itinerari proposti visitatori e turisti hanno la possibilità di andare alla scoperta delle peculiarità di un territorio tra prodotti enogastronomici, bellezze culturali e paesaggistiche. A Bergamo è attiva la Strada del Vino Valcalepio e dei Sapori della Bergamasca, che conta decine di soci tra enti, istituzioni, associazioni di categoria, istituti scolastici e aziende private. La provincia di Brescia indica invece la Strada del Vino Franciacorta che arriva fino alle sponde del Lago d’Iseo, la Strada del Vino Colli dei Longobardi, un anello con centro la città di Brescia, la Strada dei Vini e dei Sapori del Garda che si sviluppa nell’entroterra della sponda bresciana del Lago di Garda e “Tra vigne e Vini”, un itinerario ai piedi della maestosa Concarena alla scoperta dei vini del Consorzio Vini Valle Camonica.
notte, proprio perché nasce dal contatto parziale del mosto con le vinacce.
In provincia di Brescia troviamo anche il Botticino Doc (rosso e riserva), il Cellatica Doc (base e superiore) e la denominazione di origine controllata Capriano del Colle, con diverse tipologie fino al rosso riserva, alle quale si aggiungerà presto anche il Montenetto. In provincia di Brescia è infine presente la produzione di un vino liquoroso con la Doc San Martino della Battaglia
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di Gianluca Pirovano
La più famosa vigna urbana d’Europa è quella di Montmartre a Parigi, ma sono diverse le città del Vecchio Continente che possono vantarsi di averne una. C’è, per esempio, Milano con la Vigna di Leonardo, ma anche Torino,
con la Vigna della Regina. Ci sono Lione, con il Clos del Canuts, e Avignone, con il Clos del Palazzo dei Papi. La più grande di tutte si trova, però, in Lombardia e precisamente a Brescia, sul lato nord dei bastioni del Castello. Nella Leonessa d’Italia sorge infatti il Vigneto Pusterla, quasi quattro ettari. Dal 2020 è della Cantina Monte Rossa, ma la sua storia è lunga quasi mille anni.
15 luglio 1037. Questa è la data in cui compare per la prima volta la testimonianza della presenza di un vigneto posto alle pendici del Castello di Brescia, all’interno del Diploma dell’Imperatore Corrado II a Odorico, vescovo della città. Nelle descrizioni che compaiono qua e là nei secoli successivi, si parla spesso della vegetazione tra il monte Denno e il colle Cidneo. Il quadro che emerge racconta della presenza di filari a viti basse soprattutto sui versanti orientali e meridionali.
A partire dal 1800 diventa più facile ricostruire lo sviluppo e i cambiamenti del vigneto urbano bresciano. La sua gestione passa dai fratelli Ricciardi alla famiglia Capretti, che deposita il marchio Pusterla e ottiene, con i suoi vini, diversi riconoscimenti, ma non la Doc, il sogno di Mario, costretto per motivi di salute negli anni ’70 a chiudere la cantina. Negli anni seguenti la sua morte vengono via via venduti i terreni e le cascine del ronco
Capretti, nel frattempo ancora coltivati a vigneto dai mezzadri lì residenti, e l’immobile ex-cantina. Diversa sorte subisce il vigneto detto “Fondo Montagnelle” alle pendici del Cidneo. Coltivato a mezzadria dai tre fratelli Castrezzati, che, rilevando anche le uve della proprietà, vinificano il loro vino fino alla fine del 1990, il fondo è successivamente preso in gestione dall’ITAS Pastori che lo terrà fino a S.Martino del 1995. È in questo periodo che, col consenso degli eredi Capretti all’uso del nome e dello stemma di famiglia, torna il vino “Pusterla”. È anche la prima volta che viene tentata la produzione del Passito d’Invernenga.
Quando la scuola agraria rinuncia a proseguire nella coltivazione del vigneto, una nuova “Azienda agricola Pusterla” (Pierluigi Villa, agronomo e Piero Bonomi, enologo) ne prende il posto agli inizi del 1996 e cambia impropriamente il nome del vigneto in “Ronco Capretti”. Nascono i vini Pusterla bianco IGT Ronchi di Brescia e Pusterla rosso IGT Ronchi
di Brescia. Così si arriva ai giorni nostri: dal 2011 e fino al 2020 la Vigna è stata di nuovo gestita dalla famiglia Capretti, nello specifico da Maria Capretti, che ha poi passato il testimone a Emanuele Rabotti e alla sua Monte Rossa.
L’Invernenga è un vitigno autoctono bresciano a bacca bianca. Deve il suo nome all’usanza bresciana di farla appassire dopo la raccolta per mangiarla durante le feste e nel periodo invernale. Ha origini sconosciute ed è particolarmente raro, ma trova nel Vigneto Pusterla il suo luogo ideale. Lì, sulle pendici del Castello, ci sono tutte le condizioni per farlo crescere al meglio: un terreno calcareo stratificato, con marne e noduli di selce, una penden-
za che assicura il drenaggio, l’aria pulita portata dalle correnti del Monte Guglielmo e la perfetta esposizione solare. In questo contesto nasce, oggi, il “Bastione Pusterla”, da vigneti che hanno tra gli ottanta e i cento anni. Un bianco 100% Invernenga, con note fresche e saline e con una chiusura profonda e ammandorlata.
Dagli autobus ai musei, senza fatica, utilizzando un unico biglietto. È questo l’obiettivo che ha dato vita al progetto di promozione turistica messo a punto da Atb e Brescia Mobilità, le due aziende del trasporto pubblico di Bergamo e Brescia, Capitale della Cultura 2023. Un progetto che vede protagonisti, oltre alle due aziende, i Comuni e i più importanti musei delle due città lombarde.
Il funzionamento è molto semplice. Il biglietto può essere acquistato tramite Atp Mobile o BresciApp!, le due applicazioni dedicate alla mobilità urbana di Bergamo e Brescia (serve la carta di credito). I biglietti, indipendentemente dall’applicazione con la quale sono stati acquistati, sono validi in entrambe le città e si distinguono in base al numero di ore di utilizzo. Sono disponibili biglietti da 24, 48 e 72 ore, a loro volta suddivisi in due tipologie. Da un lato quello per la sola mobilità urbana, valido per l’intera rete di Brescia (zona 1 e zona 2) e Bergamo (tutte le zone), al costo di 8, 11 o 17 euro. Dall’altro quello valido sia per il trasporto pubblico sia per i musei, al costo di 38, 48 e 60 euro.
Una volta acquistato il biglietto, può essere attivato in qualsiasi momento e soltanto dall’attivazione partirà il conteggio delle ore. Verrà generato un codice Qr, che varrà come biglietto a bordo degli autobus e come titolo d’ingresso nei musei, senza ulteriori prenotazioni o limitazioni.
fatti, aggiungere anche Trenord. In questo modo il biglietto integrato garantirebbe anche la possibilità di muoversi tra le due città utilizzando la ferrovia. I prezzi saranno leggermente superiori. Mantenendo sempre la distinzione tra 24, 48 e 72 ore, costeranno 16, 21 e 29 euro per il solo trasporto e 45, 68 e 72 euro per mobilità e musei. Trenord, peraltro, ha potenziato le corse tra Bergamo e Brescia.
I poli museali di Bergamo e Brescia che hanno aderito al progetto di Atb e Brescia
Mobilità sono: il Museo Santa Giulia di Brescia, Parco Archeologico di Brescia
Romana, Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, Museo delle Armi “Luigi Marzoli” di Brescia, Museo del Risorgimento di Brescia, Museo Mille Miglia di Brescia, Museo Diocesano di Brescia, Accademia
Carrara di Bergamo, GAMeC di Bergamo, Museo delle Storie di Bergamo e Musei Civici di Bergamo (Archeologico e Scienze Naturali).
Nel breve periodo, il progetto dovrebbe arricchirsi anche di un ulteriore partner. Ad Atb e Brescia Mobilità si dovrebbe, in-
Il lago, i villaggi, le montagne ed i parchi:
Lugano, in occasione della primavera e delle feste di Pasqua, è pronta ad accogliervi nel sud della Svizzera con eventi imperdibili ed esperienze indimenticabili
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La regione del Luganese, in occasione delle belle stagioni, vi aspetta per regalarvi un soggiorno memorabile: vivete la tranquillità del lago e dei villaggi, conquistate le cime delle montagne con i loro spettacolari punti panoramici o ancora passeggiate nel tripudio di colori dei parchi in fiore. E non è tutto: perché vi aspetta una ricca offerta di festival, eventi sportivi e culturali, il clima mediterraneo e l'ospitalità tipica del Sud della Svizzera.
Oltre 900 km di sentieri escursionistici: un paradiso per tutti gli appassionati di trekking. La grande varietà di sentieri, che si snodano attraverso paesaggi unici e mozzafiato su percorsi facili e impegnativi, farà la gioia di principianti ed
escursionisti esperti. Una "maratona" di 42 km suddivisa in 3 giorni: questo è il vostro biglietto per il Lugano Trekking. Se volete sfuggire al tran-tran quotidiano della vita cittadina, questa è l'offerta che fa per voi. La traversata Monte Tamaro - Monte Lema è una delle più belle delle Prealpi svizzere e si snoda quasi interamente lungo il crinale tra Svizzera e Italia.
La regione dispone di un'ampia rete di sentieri tematici che permettono di scoprire l'intera regione con i suoi splendidi paesaggi naturali e i numerosi villaggi. Chi vuole scoprire i tesori naturali della Capriasca, ma anche i suoi sapori, può raggiungere alpeggi e baite per degustare formaggi, salumi e altri prodotti regionali grazie agli itinerari di "La via dei sapori in Capriasca"
Il Sentiero delle meraviglie è un percorso circolare, adatto a tutti coloro che sono interessati al patrimonio storico della regione. Lungo il percorso, che si snoda nella valle della Magliasina, nel Malcantone, si trovano cappelle, mulini per il grano e le castagne e i lasciti delle attività minerarie.
La regione del Luganese è quella con la più alta densità di percorsi ufficiali per mountain bike di tutta la Svizzera. Su oltre 400 km di percorsi segnalati e accuratamente mantenuti, gli appassionati di mountain bike possono esplorare il territorio in assoluta libertà e a diretto contatto con la natura. Lugano Bike Nr. 66 è uno dei percorsi più belli del Canton Ticino che si snoda come sentiero d'alta quota attorno alla Val Colla sopra Lugano, sull'imponente Monte Tamaro e conduce attraverso i boschi collinari del Malcantone. Il percorso è caratterizzato da prati alpini, pascoli
Le montagne della regione di Lugano sono anche l'affascinante sfondo per l'ambientazione di spettacolari eventi
podistici:
• San Salvatore Vertical Trail 2023
16/04/2023, Lugano-Paradiso
• Raiffeisen Lema Walking
30/04/2023, Miglieglia
• Raiffeisen Lema Trail
30/04/2023, Miglieglia
• K4 Vertical 2023
01/05/2023, Arena Sportiva Capriasca, Tesserete
• Run To The Sun 2023
03/06/2023, Funicolare Monte Brè
• Raiffeisen Tamaro Walking
04/06/2023, Ristorante Alpe Foppa
• Raiffeisen Tamaro Trail
04/06/2023, Monte Tamaro
• Scenic Trail 2023
dal 23 al 25/06/2023, Arena Sportiva Capriasca, Tesserete
e dalle tre capanne Pairolo, San Lucio e Monte Bar. Il Monte Bar Bike Nr. 358 è un classico tour panoramico in quota sopra Lugano, sulle pendici del Monte Bar, che conduce a una baita "bike friendly"; da qui si gode di una magnifica vista a 180° che spazia dal Monte Gazzirola ai Denti della Vecchia e al Golfo di Lugano fino alle colline del Malcantone e del Monte Tamaro.
Anche le montagne sono indubbiamente protagoniste del paesaggio della regione, caratterizzato da quattro cime panoramiche, tutte facilmente raggiungibili con le funicolari, da cui si possono ammirare paesaggi da cartolina su laghi, valli e catene alpine. A rendere speciale il golfo di Lugano sono le due montagne che la incorniciano, il Monte Brè e il Monte San Salvatore, da cui si gode di una vista senza ostacoli sul lago e sui dintorni. Il Monte Tamaro, invece, è una delle mete più amate dalle famiglie e ospita un bellissimo parco avventura nel bosco, una slittovia e una tirolese nei pressi del Ristorante Alpe Foppa. Infine, c’è la vetta più alta della Svizzera italiana, il Monte Lema, un'oasi naturalistica e soprattutto il punto di partenza di una rete di sentieri escursionistici lungo il crinale della montagna, ma anche di numerosi percorsi per mountain bike.
Una visita nella regione del Luganese non sarebbe completa senza una gita in battello sul Lago di Lugano per ammirarne i villaggi lacustri. Gandria, l'antico e ro-
mantico borgo di pescatori alle pendici del Monte Brè, può ora essere raggiunto in modo sostenibile da Lugano con il battello Ceresio 1931. Si tratta della prima imbarcazione a motore completamente elettrica della Svizzera con possibilità di ricarica rapida, attivo solo su questa rotta con la Green Line Cruise. Il centro di Gandria, chiuso al traffico, è un'oasi di tranquillità con le sue pittoresche stradine e scalinate che offrono panorami e spunti di riflessione. Nei dintorni del borgo si possono ammirare vecchi e nuovi oliveti attraversati dal Sentiero dell'olivo, che si snoda tra Castagnola e Gandria.
Situato nei pressi del pittoresco borgo di Carona - tra la vetta del Monte San Salvatores e il Monte Arbostora - il parco offre una grande varietà di azalee, rododendri e conifere, che ogni anno nel periodo della fioritura regalano una vera e propria frenesia di colori e profumi meravigliosi. Tra aprile e maggio l'associazione "Amici del Parco San Grato" organizza visite guidate per accompagnarvi nei segreti e nelle meraviglie di questo magnifico parco. Qui si trova anche l'altalena panoramica Swing the World. Immergetevi nella natura del parco botanico, lasciatevi dondolare dolcemente ammirando il magnifico panorama che si apre davanti a voi. Lasciatevi accarezzare dalla brezza e baciare dai caldi raggi del sole.
Immergetevi nell'offerta culturale della regione. L'offerta culturale dei musei e il ricco calendario di eventi formano un insieme attraente: Lugano, culla di grandi artisti, ospita ancora oggi grandi mostre di ogni genere ed eventi culturali. Tra le istituzioni culturali più importanti vi sono il LAC Lugano Arte e Cul-
• La Collezione
11/09/2022 - 31/12/2023
MASI Lugano, Palazzo Reali
• Arte agli antipodi. La Collezione Brignoni
10/02 - 01/10/2023
MUSEC, Lugano
• Werner Bischof - Unseen Colour
12/02 - 02/07/2023
MASI - sede LAC, Lugano
• Marc Chagall - Una storia d'amore
Dafni e Cloe e altre opere
02/03 - 15/07/2023, Fondazione
Gabriele e Anna Braglia, Lugano
• Rita Ackermann Hidden
12/03 - 13/08/2023
MASI - sede LAC, Lugano
• Hedi Mertens
02/04 - 15/10/2023
MASI - sede Palazzo Reali, Lugano
• Il figlio Heiner Hesse
Ribelle. Artista. Pacifista
22/04 - 22/10/2023 - Museo
Hermann Hesse Montagnola
• Lazarus
18 - 20/05/2023
LAC Lugano Arte e Cultura, Lugano
tura, cuore delle attività culturali della città, il Museo d’arte della Svizzera italiana (MASI) e il Museo delle Culture (MUSEC). L'intera regione offre inoltre molte opportunità agli amanti della cultura grazie ai numerosi musei e spazi culturali.
Swissminiatur vi permette di attraversare tutta la Svizzera in un'ora. Impossibile? Non a Swissminiatur, un parco in cui l'intera Svizzera è ricreata in miniatura. Il parco si estende su una superficie di 14.000 metri quadrati. Sparsi per il parco ci sono oltre 128 modelli in scala 1:25 degli edifici e dei monumenti più famosi della Svizzera. Tra i modelli dettagliati ci sono edifici famosi come i castelli di Rapperswil, Chillon e Bellinzona, il Palazzo federale di Berna e la Piazza Grande di Locarno. E non è tutto. Una ferrovia in miniatura si snoda attraverso il parco, le navi navigano sui laghi, le auto percorrono le strade, le funivie e le funicolari galleggiano e salgono e scendono dalle montagne.
La cucina ticinese, nella sua forma genuina e semplice, la si può gustare nei grotti. Locali rustici, spesso all’ombra di alberi secolari, con tavoli e panche di granito, che permettono di gustare il pranzo al fresco. Tra i tipici grotti della regione del Luganese, troviamo il Grotto del Morchino, immerso nel verde, dove si può gustare la cucina tradizionale in un ambiente dal fascino storico. Questo grotto, infatti, è stato meta del famoso scrittore Herman Hesse, che nel 1919 scrisse “L’ultima estate di Klingsor”. Nel libro, al capitolo “Il giorno di Carena”, il suo personaggio si ferma in un grotto a bere vino e a mangiare pane, questo grotto era il Morchino.
Poco distante, sulla Collina d’Oro, si trova un altro grotto dove lo scrittore era solito andare, il Grotto del Cavicc. Qui tra i tavoli in legno massiccio all’ombra di alberi secolari, Hermann Hesse era solito ispirarsi per le sue creazioni artistiche.
Per chi vuole vivere un'esperienza particolare sul lago di Lugano, il Grotti tour consente di raggiungere in battello per una tradizionale cena in riva al lago uno dei grotti nella zona delle Cantine di Gandria - Grotto San Rocco, Caprino, Grotto dei Pescatori, Cantine di Gandria e il Grotto Elvezia. Il servizio è attivo nel periodo estivo durante il fine settimana, con partenze dall’imbarcadero Lugano Centrale e da Paradiso.
Passione, innovazione e la qualità dei prodotti stagionali della regione sono la ricetta vincente dei ristoranti segnalati dalle guide enogastronomiche.
La regione del Luganese è quella che conta più ristoranti stellati di tutto il Ticino, sono infatti ben quattro i ristoranti della regione con una stella Michelin
Qui le specialità sono sapientemente reinterpretate dalla creatività dei famosi chef:
• Ristorante Principe Leopoldo - Lo Chef Christian Moreschi prepara i suoi piatti utilizzando prodotti locali e stagionali, in una cucina dove trionfano la passione e la meticolosa ricerca della qualità.
• Ristorante I Due Sud - lo Chef Domenico Ruberto accompagna i suoi ospiti in un’avventura gastronomica dove sperimentare i sapori e i profumi delle tradizioni mediterranee, unite creativamente alle materie prime locali.
• Ristorante META - La cucina dello Chef Luca Bellanca mira a creare accostamenti inediti, caratterizzati dall’utilizzo di materie prime d’eccellenza in un armonioso connubio tra la tradizione mediterranea e le note esotiche inconsuete e sensazionali.
• Ristorante THE VIEW Lugano - Il neo-stellato Chef Diego della Schiava, propone invece una cucina italiana moderna su base classica presentata con raffinatezza e senso estetico.
Il Monte Tamaro, a due passi dalla città di Lugano, è il luogo ideale per passare una giornata a contatto con la natura accompagnata dalle squisite specialità del Ristorante Alpe Foppa: piatti della cucina tipica ticinese, tra cui la polenta nostrana ai due formaggi dell’Alpe Foppa, lo stinco di maiale arrosto e la trippa in umido alla ticinese. La domenica è anche possibile ritirare un tradizionale, ma sostenibile, brunch to go da gustare stesi al sole sul prato dell’Alpe Foppa o lungo uno dei tanti sentieri. Il brunch to go è composto esclusivamente da prodotti regionali serviti in contenitori riciclabili e consegnato in un sacchetto di cotone 100% organico che può essere riutilizzato come comodo zainetto. Oltre alle bibite, il brunch to go comprende treccina, gipfel, marmellata e burro, formaggio dell’alpe, mortadella, prosciutto, uovo sodo e dolce della casa.
Il Convento del Bigorio, dal XVI secolo centro di vita eremitica oggi offre ai visitatori la possibilità di alloggiare nelle celle e da anni si contraddistingue per originali ed eccellenti produzioni artigianali - allevamenti di api, prodotti della terra disponibili secondo stagionalità, liquori e distillati realizzati secondo antichissime ricette, nonché preziose essenze coltivate nei loro orti, ne fanno un centro di sicuro riferimento per la vendita di prodotti esclusivi e di primissima qualità.
Da secoli il Convento del Bigorio conserva e tramanda nei suoi archivi un’antica ricetta - retaggio della tradizione conventuale - alla base del loro celeberrimo ratafià. Si tratta di un liquore ottenuto macerando il mallo delle noci in grappa di uva americana, pure questa prodotta all’interno del Bigorio utilizzando un tra-
dizionale alambicco secondo il metodo del fuoco diretto. L'eredità di un passato che conferma il loro amore per la più classica tradizione.
Per coloro che vogliono andare alla scoperta della città dal punto di vista di un locale ed in termini gastronomici, il Taste My Swiss City Lugano permette di immergersi nella città e visitare cinque dei migliori posti per mangiare e bere secondo la gente del posto. Le tappe del tour enogastronomico individuale vanno dalla Via Nassa con la gastronomia Bernasconi, ai tradizionali ristoranti Bottegone del Vino e La Tinera, infine il Grand Cafè al Porto nella celebre Via Pessina per un dolce dessert.
Per chi invece preferisce una visita guidata, il Food & Wine Tour Lugano vi offre
la possibilità di scoprire il centro storico, gli aneddoti più interessanti e gli angoli più nascosti accompagnati da una guida locale, facendo al tempo stesso diverse fermate per gustare le specialità locali. Più che una passeggiata di assaggi, consiste in un vero e proprio menu itinerante.
Le caratteristiche del terroir, insieme al clima mite e soleggiato, fanno del Ticino un luogo ideale per la coltivazione della vite, permettendo la produzione di diverse varietà di Merlot, dal rosso vivace e intenso al bianco delicato. Il Merlot è stato piantato per la prima volta in Ticino nel 1906 e oggi occupa oltre l'80% dei 1.000 ettari vitati. La tradizione enogastronomica offre anche un'esperienza unica grazie alle degustazioni, tanto che una visita alla regione non può essere completa senza visitare le cantine per ammirare le rigogliose colline e assaggiare un ottimo
Lungolago | foto Lugano Region - Milo ZanecchiaMerlot ticinese. Nel Luganese si contano più di 30 cantine, da quelle tradizionali scavate nella roccia della montagna a quelle più eleganti in edifici nuovi e moderni. Eccone alcune:
• La Tenuta Castello di Morcote è un’azienda agricola e vitivinicola di 150 ettari situata sul promontorio del Monte Arbostora, interamente circondato dal lago di Lugano, ricoperto da vigneti terrazzati, uliveti, pascoli e distese di boschi. La geologia unica in Ticino di questo terreno - il suolo è costituito da porfido rosa, una quarzite di origine vulcanica - così come il microclima eccezionale, ventilato e soleggiato sono i segreti di questa vigna, dove i vecchi ceppi hanno più di 30 anni. Gaby Gianini, desiderosa di rispettare e conservare questo ambiente, si dedica con passione alla viticoltura e alla produzione di vino seguendo i principi dell’agricoltura biologica e biodinamica.
• Tra il lago di Lugano e il lago di Muzzano, circondata dalle montagne del Luganese, si trova la cantina Moncucchetto. Nel 1919 gli antenati della famiglia Lucchini acquisi-
rono un podere collinare, l’unico nel cuore di Lugano, con in dote una stalla, una casa colonica e un roccolo. Nel 2009 la svolta, con il progetto della nuova cantina firmata Mario Botta, un gioiello che non incorpora solo le cantine, ma anche il Ristorante Moncucchetto. Nella grande sala con la cucina a vista o sulla terrazza in mezzo ai vigneti, lo chef Andrea Muggiano crea meravigliosi piatti, utilizzando anche i prodotti dell’orto e i frutti della tenuta, nel pieno rispetto delle stagioni.
• Nella regione del Malcantone, a Cassina d’Agno, si trova la Tenuta San Giorgio. Un vigneto con una vista panoramica sul golfo di Agno e sul braccio del lago di Lugano che si estende fino all’Italia. Una cantina che si dedica alla coltivazione attenta e naturale del vigneto: dalla delicatezza con cui vengono trattati i pregiati grappoli, al lavoro legato tanto alla tradizione quanto alla voglia di sperimentare e gli interventi ridotti allo stretto necessario durante la vinificazione che portano a piccole quantità di vini genuini e di straordinaria qualità.
Il cielo azzurro, l'aria limpida e il sole primaverile invitano le persone a sedersi all'aperto sulle terrazze dei caffè. Ciclisti e corridori percorrono con entusiasmo il lungolago, gli appassionati di arte e cultura guardano con interesse i manifesti della stagione primaverile. “Pasqua in Città” - dal 07 al 10 aprile - significa per tutti il risveglio dalla rigidità invernale per tuffarsi spensierati in una delle feste più amate dai bambini, e non solo! Anche quest'anno, Pasqua in Città trasformerà il centro di Lugano in un gioioso palcoscenico con numerose bancarelle dove acquistare oggetti e prodotti tradizionali, mentre la zona pedonale sarà animata da vari intrattenimenti di strada.
Dal 18 al 21 maggio 2023 avrà luogo la sesta edizione di Lugano Bike Emotions. Un vero e proprio festival della bicicletta con un grande Expo in Piazza Manzoni e sul lungolago. Vi sarà la possibilità di vedere atleti di alto livello sfidarsi su un circuito di Cross Country nei boschi di Trevano e su uno urbano tutto in centro città, grazie alla CIC ON Swiss Bike Cup 2023. Si potrà perfino assistere ad una gara di HandBike denominata Trofeo RoundTable e a competizioni giovanili di bici da strada.
L'energia contagiosa del Summer Jamboree, il più grande festival culturale internazionale di musica americana degli anni '40 e '50 in Europa, arriva per la seconda volta
sulle rive del Lago di Lugano, dal 22 al 25 giugno. Un'occasione imperdibile per scoprire e vivere la musica e la cultura americana degli anni '40 e '50 in tutte le sue forme musicali: R'n'R, Swing, Country, Rockabilly, Rhythm'n'Blues, Hillbilly, Doo-Wop, Western Swing. Non mancheranno lezioni gratuite di Swing e Rock'n'Roll per imparare i primi passi e il Summer Jamboree on the Lake Dance Camp: un programma intensivo per imparare i balli swing e rock'n'roll con alcuni dei migliori ballerini della scena internazionale.
Per informazioni: www.luganoregion.com
Summer Jamboree | foto Lugano Region - Matteo Crescentin
Da un lato la capitale Rabat, con la sua atmosfera distesa e rilassata, dall'altro Casablanca, città moderna e popolosa.
Insieme sono perfette per un fine settimana lungo alla scoperta del Marocco
Due città diverse: da un lato la capitale Rabat, con i suoi viali eleganti e la sua anima rilassata, dall'altro la popolosa e moderna Casablanca. Le due città sono perfette da scoprire insieme durante un weekend lungo in Marocco. Rabat è la capitale del Marocco, seconda città Imperiale, dall’aria tranquilla e piacevole, con i suoi viali ricchi di palme, i bei giardini e i quartieri residenziali conserva un’atmosfera distesa e rilassata. Qui hanno sede tutti i principali centri del potere, dal Palazzo Reale alle sedi amministrative, ma è famosa per i monumenti storici, i tappeti di lusso e i ricami: la Me-
dina di Rabat è pittoresca, con vicoli stretti e acciottolati, gallerie d’arte e numerosi negozi; inoltre regala una splendida vista sull’Atlantico.
Tra il mare ed il fiume Bouregreg, la Medina è piccola ma ricca di caffè e negozi di artigianato marocchino tra cui meritano una sosta quelli di tappeti berberi e di tessuti. Affascinante anche il viale Hassan II che separa la città nuova della Medina. Altro simbolo cittadino, la Kasba degli Oudaia è tra le principali cose da vedere. Arroccata su uno sperone roccioso sul Fiume Bouregreg e l’Oceano Atlantico, è un antico quartiere fortificato del periodo almoravide (dinastia musulmana berbera). Inizialmente fu costruita per ospitare i monaci-soldati che dovevano partire per
l’Andalusia e combattere la Guerra Santa contro gli spagnoli. Non si può non visitare la Kasba entrando dall’ingresso monumentale Bab-Al-Bab El Kebir e ammirare la Moschea di Al-Jamaa-Atiq, la più antica della città passeggiando per le stradine con le case in calce bianco e blu, tipiche di questo quartiere.
Altra tappa è la torre di Hassan che faceva parte di una grande moschea costruita intorno al 1195 e distrutta dal terremoto del 1755. È il minareto di una grande moschea, che sarebbe dovuta sorgere nell’immensa piazza in cui si trova. Il progetto fu interrotto dopo la morte del Sultano Hassan e la moschea non venne mai costru-
La Tour Hassan
26, Rue de Chellah BP 14
Tel +212 537239000
www.latourhassan.com
Dinarjat
6 Rue Belgnaoui, Rabat 10030
Tel +212 537704239
www.dinarjat.ma
Al Marsa Avenue Bouregreg
Marina de Bouregreg
Tel +212 537882155
La Tour Hassan Palace
26, Rue Chellah BP 14
Tel + 212 537239000
www.tourhassanpalace.com
Hôtel Farah Rabat Place 16 novembre, Bd Mohamed Lyazidi
Tel +212 537237400
www.farahrabat.com
ita. D’obbligo fare un giro nella grande piazza e ammirare i resti delle 360 colonne che avrebbero dovuto sorreggerne il tetto. Non lontano si trova il Mausoleo di Mohammed V, decorato finemente con pietra lavorata e piastrelle di ceramica.
Una delle principali cose da vedere a Rabat è senza dubbio il Palazzo Reale. È la residenza ufficiale dei sovrani del Marocco. Quando venne proclamata l’indipen-
denza nel 1956, il primo Re del Marocco unificato Mohammed V, decise di tenere questo palazzo. L’edificio non è visitabile, ma si può ammirare la sua architettura esterna, l’immensa piazza d’armi e i suoi splendidi giardini.
Altra chicca da non perdere, il giardino botanico, un vero paradiso con piante rare, un trionfo della natura con una miriade di specie. Non può mancare un giro alla Marina per pranzare prima di riprendere il tour verso Casablanca.
Rispetto ad altre città marocchine Casablanca è una citta moderna che racchiude molti edifici di interesse storico e culturale. Città più popolosa del Marocco ha molte attrazioni, la maggior parte delle quali visitabili in un paio di giorni; gode di un clima mite, gli inverni non sono troppo freddi e le estati sono rinfrescate dalla brezza che soffia dall’Atlantico. Cuore pul-
sante è la Medina Vecchia. In passato protetta da possenti mura, oggi rimane solo l'antica Porta Bab Marrakech, da cui entrare in vicoli e stradine con negozietti tipici che vendono ogni tipo di merce come cibo, spezie, gioielli, ma anche pelletteria e abbigliamento.
A pochi passi dal centro storico di Casablanca, si arriva sulla costa e si resta colpiti dall'edificio che svetta al di sopra di tutti i tetti della città: la Moschea di Hassan II, un monumentale edificio completato nel 1993 dopo sei anni di lavoro da parte di più di 30mila artigiani. Il suo minareto è di 60 piani e con i suoi 210 metri di altezza è il più alto del mondo.
Immensa, è la Moschea più grande del Paese e la terza al mondo: progettata dall’architetto francese Michel Pinseau, può accogliere 25mila fedeli al suo interno e ben 80mila nel cortile. L’architetto si è ispirato al Corano per il progetto, in particolare al versetto che recita “il trono di Dio fu costruito sull’acqua”, e quindi l’edificio si allunga sopra l’Oceano Atlantico che può
Casablanca | Morocco MallCasablanca | Ristorante Dar Dada
essere ammirato dall’interno attraverso un tetto in vetro. L’architettura ha elementi islamici e marocchini, ma molti stucchi e fregi sono di fattura italiana.
La sala della preghiera ha un tetto scorrevole che può essere aperto nelle giornate più calde per rinfrescare l’interno. Aperta a tutti, ma per visitare l’interno bisogna avere una guida.
Dar Dada
31 Imm Rue El Arsa
Tel +212 661-602602
www.dardada.com
Manaos Casablanca
56 Bd de la Corniche
Tel +212 706400848
facebook.com/manaos.casablanca
Best Western Plus
Rue Jenner
Tel +212 5224-74709
www.bwpluscasablanca.com
Hôtel de Noailles
135 Bd du 11 Janvier
Tel +212 522202554
Questa è la zona con la movida notturna più sviluppata, ideale per divertirsi fino a tardi.
La moschea è proprio all'inizio del lungomare di Casablanca: La Corniche, con ristoranti, locali chic, hotel di lusso e splendide spiagge. Su questo grande viale c’è il centro commerciale più grande del Paese, il Morocco Mall, con centinaia di negozi, parco giochi, un cinema e molto altro
Da visitare anche la Ville Nouvelle, zona moderna, il cui centro è Piazza Mohammed V, costruita in stile coloniale francese e circondata da portici sotto i quali ci sono caffetterie e negozi. Tutti gli edifici che si affacciano sulla piazza, in stile coloniale, risalgono agli anni '30 e sono quasi tutti uffici amministrativi. Al centro della piazza, la fontana monumentale è diventata il simbolo di modernità di Casablanca, con i suoi giochi d'acqua luminosi e la musica tipica marocchina. Non lontano dalla piazza c’è il Parc de la Ligue Arabe, un grande giardino con viali costeggiati da alte
palme da dattero, ficus, pergolati e aiuole, dove riposarsi prima di visitare la Villa des Arts, spazio espositivo che fa parte della Fondazione Ona, una delle fondazioni culturali principali del Marocco, che ha l’obiettivo di promuovere la creatività e la cultura del paese; bellissimo esempio di architettura Art Déco ospita al suo interno mostre di arte contemporanea locale e internazionale.
A poche ore di volo dall’Italia e anche con pochi giorni a disposizione, un viaggio in queste Terre riesce a soddisfare la voglia di divertirsi con la storia e l’arte.
Informazioni pratiche: Si arriva a Casablanca con passaporto valido, sia da Milano che da Roma, con volo internazionale di circa 3 ore, 3 ore e mezzo. La moneta è il dihram (1 euro: 10 dihram).
Foto del serivizio Mauro Parmesani
La storica cantina trentina è l'undicesima più bella al mondo secondo “World’s best vineyards”, premio che coinvolge sommelier, esperti di vino e di viaggi. Cinquanta le posizioni scalate in una sola edizione. All'azienda di Trento il premio "Highest climber" aggiudicato da 500 sommelier, esperti di vino e viaggio
Quando dici Ferrari a un appassionato di vino sai già a cosa penserà: a Trento, al Trentino, a quel territorio bellissimo che regala un vino iconico e prestigioso. Del resto, Ferrari Trento viene sempre preceduto dalla propria fama. E ora ancora di più, dopo l’ultima edizione del “World’s best vineyards” che aveva visto la cantina trentina conquistare i vertici della classifica internazionale dedicata all’enoturismo, con un undicesimo posto che ha tanto il sapore del trionfo.
La classifica che seleziona le più belle cantine al mondo ideata da William Reed,
storico editore inglese che organizza anche i prestigiosi “World’s 50 best restaurants” e “World’s 50 best bars”, assolute autorità nel mondo della ristorazione e della "mixology", ha scelto quest'anno di premiare in modo speciale Ferrari Trento. Cinquanta le posizioni scalate in una sola edizione, consentono così alla realtà trentina di aggiudicarsi il premio di "Highest climber" della classifica, che coinvolge una giuria di 500 sommelier, esperti di vino e viaggio, che valutano le cantine in base all’esperienza complessiva offerta. Lo scopo principale dell'iniziativa è, per l’appunto, quello di promuovere il turismo del vino, presentando ogni anno un elenco di 100 cantine con proposte molto differenti tra loro, ma sempre di alto livello e qualità.
Un mito che nasce grazie al genio e alla lungimiranza di un giovane imprenditore della Valsugana, Giulio Ferrari, e al sogno di creare uno spumante italiano al 100% degno di confrontarsi con i migliori Champagne francesi. Giulio Ferrari in questo fu un grande pioniere. Dalla sua cantina negli anni le bottiglie sono passate da poche migliaia agli attuali 6 milioni, e hanno conquistato il mondo. Sono infatti ormai diventati iconici il Ferrari Brut, il Ferrari Maximum Brut Blanc de Blancs, il Ferrari Rosé, il Ferrari Perlé millesimato, le Riserve Lunelli e il mitico Giulio Ferrari Riserva del Fondatore. Spumanti unici, vere e proprie icone che esaltano lo stile di una cantina senza eguali e un territorio - il Trentino - che ha dimostrato di poter com-
petere ad armi pari con le migliori bollicine del mondo, Champagne compreso.
Nato nel 1879 a Calceranica, sulle sponde del lago di Cadonazzo, da una famiglia della borghesia agricola trentina, Giulio Ferrari dopo le scuole primarie frequenta l'Istituto Agrario di San Michele all'Adige. Nel 1897, finito il biennio di studi, parte per la Francia dove si specializza in viticoltura alla prestigiosa Ecole Superieure Agronomique di Montpellier. Nel 1900 si trasferisce in Germania nella regione del Reno e qui, incuriosito dalle metodiche di vinificazione, si iscrive al Botanisches Institut di Geisenheim. Si sposta poi nel territorio della Champagne, precisamente a Épernay, dove l'amico Pierlot, che aveva conosciuto a Geisenheim, gli propone uno "stage" lavorativo. È qui che intuisce le analogie pedoclimatiche delle colline di Reims con le montagne del Trentino. In seguito ritorna a Montpellier dove è assunto dal vivaista Richter. Qui perfeziona la conoscenza della moltiplicazione delle talee e dell'innesto della vite. Grazie alla ditta Richter ha anche l'opportunità di sperimentare le nuove tecniche di coltura della vite in Tunisia, all'epoca colonia francese.
Ormai la carriera di Ferrari è scritta: il giovane enologo ha intuito la straordinaria vocazione spumantistica del Trentino e comincia a diffondere, per primo in Italia,
Il ritorno in Trentino, la rivoluzione, l’ingresso di Lunelli
le barbatelle di Chardonnay. Dalle barbatelle alla spumantizzazione il passo è breve e così comincia a produrre poche selezionatissime bottiglie con il metodo "champenois". Bottiglie che da subito entrano nel cuore dei cultori più esigenti che mai, in Italia, avevano assaggiato spumanti così eleganti e rivoluzionari.
Il successivo ingresso in società di Bruno Lunelli - scelto da Ferrari in persona per portare avanti il suo sogno - segna una svolta per le bollicine trentine: negli anni Cinquanta l’azienda incrementa la produzione, senza mai scendere a compromessi con la qualità, seguendo quella stessa linea tracciata dal fondatore. La tradizione continua e Bruno Lunelli trasmette la passione ai suoi figli: sotto la guida di Franco, Gino e Mauro, la maison Ferrari diventa leader in Italia e sinonimo del brindisi italiano per eccellenza. In questi anni stanno vedendo la luce alcune delle etichette destinate a entrare nella storia: il Ferrari Brut, il Ferrari Maximum Brut Blanc de Blancs, il Ferrari Rosé, il Ferrari Perlé millesimato, le Riserve Lunelli e il prestigioso Giulio Ferrari Riserva del Fondatore.
Oggi, a distanza di 120 anni, quando dici "Ferrari" parli delle bollicine italiane conosciute in tutto il mondo. Una realtà partita dalle 10mila bottiglie custodite nel 1952 (anno del passaggio di proprietà) nella storica cantina di via Belenzani e arrivata oggi a superare abbondantemente quota 6 milioni. Spumanti che hanno fatto la storia e che la faranno ancora per tanti, tantissimi anni, vini che parlano di una cantina dallo stile unico e di un territorio, quello trentino, che ha ormai vinto la scommessa di poter competere ad armi pari con le migliori bollicine del mondo, Champagne compreso ovviamente.
Al territorio trentino e alle sue montagne è infatti legata l’identità di Ferrari, che si fa ambasciatore di questi luoghi anche valorizzandone e promuovendone il patrimonio artistico. I festeggiamenti per il 120esimo anniversario - avvenuti all’inizio del 2022
- sono stati l’occasione per presentare la rinnovata bellezza di Villa Margon, gioiello cinquecentesco immerso nei vigneti e sede di rappresentanza del Gruppo Lunelli, che, negli ultimi due anni, è stata oggetto di importanti interventi di ristrutturazione, nonché di un attento lavoro di ricerca dal punto di vista storico e artistico.
Centoventi anni non li festeggia tutti i giorni un’azienda. Per questo Ferrari Trento ha voluto celebrare questo traguardo prestigiosissimo con un nuovo step nel percorso verso la sostenibilità: la certificazione di azienda Carbon Neutrality. L’obiettivo, che rende pari a zero l’impatto climatico delle emissioni dirette, è stato raggiunto grazie ad una serie di scelte, avviate da anni, volte alla riduzione delle emissioni, fra cui la realizzazione di un parco fotovoltaico sul tetto della cantina e l’acquisto di energia elettrica unicamente da fonti rinnovabili, unite a un’attività di compensazione con crediti carbonici certificati.
Questo traguardo si aggiunge alla certificazione Biodiversity Friend e Biologica di tutti i vigneti di proprietà, ottenute rispettivamente nel 2015 e nel 2017, e si inserisce nella visione di responsabilità sociale di lungo termine dell’azienda, sancita pochi mesi fa anche dalla pubblicazione del primo Report di Sostenibilità. Le emissioni di Ferrari Trento sono state certificate e compensate da Climate Partner, società internazionale specializzata nella valutazione e soluzione di problemi di impatto climatico, secondo il Greenhouse Gas Protocol Corporate Accounting and Reporting Standard, uno dei più noti metodi internazionali.
120 anni all’insegna della sostenibilità
Cinque ettari coltivati a vite in un anfiteatro naturale che si affaccia sulle colline dell’Alto Monferrato, patrimonio mondiale dell’Umanità Unesco, una casa colonica ottocentesca trasformata in boutique hotel, aperto tutto l’anno. Siamo a Cremolino, un borgo medioevale in provincia di Alessandria dominato dal castello dei Malaspina. Aperto nel luglio dello scorso anno, Nordelaia, un nome di fantasia che nasce dall’unione di Nord (siamo nel Nord Italia) e aia (elemento attiguo alla casa colonica). Una struttura a tre livelli con 12 tra camere e suite, ognuna con un proprio carattere. Benessere ed evasione: il filo conduttore del luogo. Al primo piano e piano terra le camere Garden, alcune delle quali con accesso diretto al giardino all’italiana. Dal piano terra si accede direttamente anche alla Spa, un’area benessere di 450 m2, hamman, sauna, percorso Kneipp ed una stanza delle erbe sensoriali. Non mancano sala yoga e palestra. Ampia piscina esterna a sfioro riscaldata che offre una vista spettacolare sulla valle.
Al secondo piano le quattro stanze Legacy parlano delle stagioni e dispongono di balcone e due di un ulteriore terrazzo di 30 m2. Nella parte più alta le suite mansardate, La Foresta e la Mare. Completano l’offerta altri due appartamenti, White and Black, dall’atmosfera di residenza esclusiva grazie all’arredamento creato su misura da artigiani locali ed accessori di importanti designer italiani. Il legame con il territorio si ritrova anche a tavola con due concetti di ristorazione. La proposta della cucina è curata dallo chef Andrea Ribaldone e dal resident chef Charles Pearce, britannico di nascita, in Italia da anni con numerose esperienze. È una cucina che rivisita la tradizione culinaria regionale utilizzando ingredienti di provenienza locale e si evolve seguendo il ritmo delle stagioni attingendo all’orto di proprietà. Al primo piano il ristorante gastronomico, L’Orto, dove il menu si caratterizza per una notevole assenza di carne con due possibilità di scelta. Centro benessere e ristoranti non sono riservati solo ai clienti dell’hotel ma aperti a tutti.
Il Bocconcino, nel quartiere Celio, in Via Ostilia 23, non offre solo l'autentica cucina romana, ma ogni piatto è frutto di ricerca storica, consapevolezza e cultura. Il titolare è Giancarlo Pragliola, un ex farmacista che vi si è dedicato seguendo la passione del nonno Alfredo, frequentatore di mercati. Dal 2004 ripropone nel menu ricette storiche ormai introvabili ma che in passato erano abituali nelle cucine delle nostre nonne della Roma di una volta, nel nome della parsimonia e del recupero. Erano tempi in cui il sabato era di rigore la Trippa con mentuccia e pecorino (ma gli esperti sceglievano la parte della "cuffia", l'omaso) e quando anche le budelline del pollo diventavano un piatto squisito.
È già interessante la lettura del menu: Bollito alla picchiapò, Coda alla vaccinara con sedano e cacao, Tordo matto, Fettuccine con ragù di rigaglie di pollo, Anatra alla Cesanese, Animelle al Marsala, Focaccia al rosmarino e prosciutto di Guarcino, Polpette di Bollito e mortadella con salsa verde, ‘Ngozzomoddi ebraici con cannella e altre ricette della conservatrice comunità ebraica romana. I dolci sono classici, come la crostata con ricotta romana e visciole, lo zabaione con lingue di gatto e Marsala e i biscotti rustici da inzuppare nel vino, ma ci sono anche con torte e croissant fatte in casa di Giorgia Proia, pastry chef di Casa Manfredi.
La scelta di Giancarlo Pragliola è estrema e coraggiosa, forse più apprezzata dai turisti ma ancora poco conosciuta dai romani che pur sull'onda del nuovo Rinascimento della cucina romana chiedono piatti più noti e rassicuranti come Cacio e Pepe, Gricia, Amatriciana o Abbacchio scottadito.
Pragliola è anche in controtendenza sulle terminologie imperanti: non cibo a Km Zero in una grande area urbana come Roma, ma a Km buono. «Noi - sostieneprivilegiamo sempre il prodotto migliore rispetto a quello più vicino che non necessariamente è un’eccellenza. Quando il ‘Km zero’ e il ‘Km buono’ coincidono, allora abbiamo il ‘Km perfetto’, cioè un piatto dove storia, cultura, eccellenza della materia prima e freschezza coincidono».
Il Pfösl, hotel quattro stelle superior di Nova Ponente (Bz), è il luogo perfetto per chi cerca una vacanza tra le montagne in piena armonia con la natura. La struttura offre, infatti, ai suoi ospiti un approccio consapevole a 360°, dalla gestione del personale alla proposta gastronomica fino all'attenzione costante alla sostenibilità, che è valsa numerosi premi e la certificazione Eu-Eco-Label, riconosciuta a livello europeo.
Il concetto di sostenibilità per il Pfösl non è soltanto un punto di forza, ma un vero e proprio spirito guida, che si declina in tre diverse direzioni: design, gusto e benessere.
Partendo dal design, tutte le camere sono arredate principalmente con legno (pino cembro, abete rosso o larice) proveniente dalle montagne locali e materiali naturali, realizzati da artigiani locali. Un punto di forza sono i sistemi per il sonno d’alta qualità per un sonno rilassante. Da 30 anni la struttura ottiene tutto il calore da un vicino impianto di lavorazione del legno, che fornisce acqua calda e la naturale energia necessaria per riscaldare l'intero albergo e il centro benessere. L'elettricità è ottenuta da fonti di energia rinnovabile. Nella NaturaSpa del Pfösl si fa affidamento alla soluzione salina, la cui aggiunta garantisce disinfezione ulteriore dell'acqua del bagno e quindi impedisce la formazione d’alghe. L'acqua morbida, cristallina e leggermente salata previene l'irritazione degli occhi e l'essiccazione della pelle.
La proposta "green" del Pfösl, dicevamo, riguarda anche la proposta gourmet. In cucina si lavorano, infatti, piatti che nascono dall'utilizzo di prodotti di alta qualità, regionali e di stagione. La carne proviene da allevamenti regionali e il pesce è pescato soltanto in acque altoatesine. I partner sono, di conseguenza, agricoltori e produttori locali. Non solo: nei giardini rialzati di Brigitte, nei dintorni dell'hotel, prosperano più di 50 diverse erbe medicinali e da giardino. Oltre a numerose erbe selvatiche e da cucina, ha preso il via un progetto di un orto di permacultura, con verdure naturali e gustose, con vecchie piante in parte dimenticate e rarità molto speciali.
The Wood Hotel, che con i suoi 20 piani domina il paesaggio di Skellefteå, è una struttura climate positive. Banditi il cemento e l’acciaio l’edificio, interamente costruito in legno, mescola elementi tradizionali con le nuove “scoperte” ingegneristiche. Le camere, anch’esse realizzate in legno massello, godono di una splendida vista sul paesaggio “illuminato”, poco prima che scenda l’oscurità, da una particolare luce blu, un fenomeno naturale che appare solo nell’Artico. Soggiornare nel The Wood Hotel è di per sé un’esperienza indimenticabile. Qui il forest bathing con i suoi molteplici benefici - rallenta la frequenza cardiaca, stabilizza la pressione sanguigna e assicura sonni tranquilli - può essere fatto comodamente indoor. Infatti il legno con cui è costruito l’edificio, ricavato da silvicoltura sostenibile, “ossigena” gli ambienti. Situata al 20° piano dell’edificio la Vana Spa offre piscina riscaldata esterna con splendida vista sulle foreste circostanti, saune a diverse temperature, spazi dove rilassarsi su comodi lettini, un bar per sorseggiare piacevoli drink e ammirare il cielo stellato. I trattamenti, eseguiti da esperti terapisti, ammaliano il corpo e lo spirito.
Anche la prima colazione a buffet è climate smart. No agli sprechi e agli avanzi: i piatti di piccole dimensioni invitano a servirsi solo del necessario, alcuni ortaggi sono conservati sottaceto, i succhi sono preparati con i frutti e le bacche raccolti nei boschi vicini, e i prodotti sono “confezionati” con materie prime del territorio coltivate da agricoltori locali. Al ristorante dell’hotel si possono gustare i piatti della tradizione che utilizzano, dove possibile, ingredienti del territorio. Squisite le Friterad Pölsa, una delle delikatessen della Svezia settentrionale, preparate con carne tritata, maionese con aglio nero, barbabietole sott’aceto, cavolo, cipolle caramellate e formaggio della contea di Västerbotten. Da provare la terrina di cavolo con tuorlo d’uovo stagionato e affumicato, cavolfiore, brodo di cavolo nero arrostito e cipolle sottaceto. E, per finire in dolcezza, Mandels Mandelkaka, crumble alle mandorle con gelato alla vaniglia, composta di lamponi e crema all’arancia.
Un veracissimo napoletano che fa una pizza contemporanea mantenendo ben salde le radici nella tradizione, nell’anima partenopea. La farine? Quelle di Mulino Caputo. Una formula di successo che oggi replica a Milano
Ciro Cascella rappresenta Napoli fatta a persona. Trentadue anni, due figli, sa correre e guadagnarsi la vita. «Sono veracissimo - racconta - Un napoletano dei Quartieri Spagnoli, che è entrato in pizzeria all’età di 17 anni e non ne è più uscito. Amore a prima vista, primo e unico mestiere». Tanta gavetta, soprattutto a Napoli, ma anche a Caserta e Roma, per diventare il maestro pizzaiolo che nel 2020 ha inaugurato nel cuore chic della città Pizza 3.0 Ciro Cascella. «Certo, ci si è messa la pandemia di mezzo, ma ci siamo fatti conoscere per il valore del prodotto».
«Faccio una pizza contemporanea, che mantiene però ben salde le radici nella tradizione, nell’anima partenopea», sottolinea. Non a caso utilizza le farine di Mulino Caputo. «La farina di Napoli, che rispecchia l’anima dei pizzaioli»
Il mulino di corso San Giovanni a Teduccio (Na) a livello simbolico rientra anche nella formulazione dell’insegna, quel Pizza 3.0 che incuriosisce e stuzzica. «Sì - spiega
Cascella - il numero 3 qui ha più matrici: tre sono le farine che utilizzo, 3.0 vuole rappresentare la nuova generazione e il futuro della pizza e poi c’è un riferimento a Massimo Troisi con il suo film “Ricomincio da tre”, per me un grande stimolo visto che le mie origini non affondano certo nel benessere».
Le tre farine “galeotte” sono la Oro, la Viola e la Blu di Mulino Caputo. La Manitoba Oro è una farina forte ad elevato valore proteico, la Viola garantisce lunghi processi di lievitazione, mentre la Blu favorisce impasti con idratazione. «Con questi tre gioielli creo il blend 3.0 - annota Ciro Cascella - La mia miscela per un impasto che prevede una fermentazione di 24 ore
Il risultato è una pizza leggera e digeri bile. Farine professionali e affidabili. La gamma che presenta Mulino Caputo ti permette di scegliere la farina esatta per il prodotto che vuoi fare. E vai tranquillo».
La carta di Pizza 3.0 propone un’offerta di oltre 30 ricette a rotazione stagionale. C’è tanta creatività, ma altrettanta tradizione e identità territoriale. Emblematica il Cappello di Pulcinella, una pizza fritta chiusa stile Napoli antica con ricotta di bufala campana Dop, ciccioli di maiale presidio Slow Food, pomodoro San Marzano Dop, provola affumicata dei Monti Lattari, pepe nero macinato, formaggio grana stagionatura 24 mesi, basilico fresco dell’orto.
affezionato alla rivisitazione della Marinara Dop, per cui utilizzo velo di pomodoro di San Marzano Dop, pomodorini del Piennolo del Vesuvio Dop, olive nere taggiasche, scarole saltate in padella, aglio rosso, origano del vallo di Diano, olio extravergine di oliva, basilico fresco dell’orto».
Insomma, Napoli come centro di gravità permanente. Con un’eccezione centri fuga: l’apertura a Milano in feb braio del se condo Piz za 3.0 Ciro Cascella. «Un loca le gemel lo, ma più grande, con una novità di rilievo: la pizza senza glutine».
Ma quali sono le pizze nel cuore del “veracissimo” Ciro Cascella? «La Margherita è Napoli - dichiara - Ma mi sono molto
Fra turismo, enogastronomia e sostenibilità
Vetrina Toscana è il progetto sul turismo
enogastronomico su cui la Regione
Toscana punta per promuovere il comparto agroalimentare e turistico, un binomio imprescindibile
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In Italia, da sempre, l’agricoltura riveste un ruolo importante nella gestione del territorio: se ne prende cura fino a plasmarlo e questo implica, come conseguenza, la creazione di un legame culturale profondo tra la terra e la sua gente. Ci sono luoghi in cui questo rapporto è molto radicato: basti pensare alla Toscana. Non a caso, allora, uno dei pilastri su cui si fonda Vetrina Toscana, il progetto sul turismo enogastronomico su cui la Regione Toscana punta per promuovere il comparto agroalimentare e turistico, è la sostenibilità. Dall'utilizzo dei prodotti locali, al ricorso al biologico e alla filiera corta, dalla stagionalità al rispetto dell'identità del territorio, dalla cucina circolare, fino al plastic free: un approccio moderno che ha
radici antiche in sintonia con il claim “Toscana Rinascimento senza fine”.
La cucina
Una delle battaglie che l’uomo dovrà combattere con sempre maggiore energia in un futuro ormai prossimo è quella contro i cambiamenti climatici. Una battaglia complessa che deve, per forza di cose, passare anche dai piccoli gesti, da azioni singole che portano benefici per tutti. Lavorare sulla cultura dell'enogastronomia come fa Vetrina Toscana da oltre 20 anni, per esempio, è molto importante: le nostre scelte alimentari possono essere determinanti proprio a partire da una dieta più stagionale e dall'utilizzo di prodotti locali.
Il bello è che non c’è nulla da inventare. La cucina Toscana è “circolare” per eccellenza, basti pensare a tutti i piatti della tradizione decisamente di recupero, dalle zuppe, alla panzanella, alla francesina. La cucina toscana è una cucina povera, dove nulla viene buttato, il recupero della tradizione equivale ad un salto avanti nel futuro.
Pensare all’ambiente non significa, però, pensare soltanto alla terra, ma anche al mare. Non esiste sostenibilità senza rispetto per il mare e per ciò che offre. Una delle vie possibili da seguire l’ha tracciata proprio Vetrina Toscana, che dal 2011 promuove campagne a favore del Pesce dimenticato, vale a dire la promozione del pesce azzur-
Pesce dimenticato, aguglie
ro, ormai molto meno utilizzato a scapito di specie più “blasonate”. Un pesce “povero” che è in realtà ricco di Omega 3 e Omega 6, elementi preziosi per la salute.
Ma perché preferirlo ad altri pesci? Perché l’utilizzo di pescato locale, consente una diminuzione della soglia dell’inquinamento relativamente ai trasporti, e la tutela della tradizione culinaria locale, a base di pesci toscani di stagione, sposta l’attenzione da varietà sovrasfruttate ad altre, il Pesce dimenticato appunto, che hanno ancora un potenziale di consumo sia in un’ottica di protezione dell’ecosistema marino che per assicurare la continuità delle specie e delle relative attività di prelievo.
Uno dei pilastri del progetto è il rispetto dei tempi della natura, della stagionalità, che si
ritrova anche nella pesca e non serve solo a gustare il prodotto nel massimo della sua bontà, ma anche a non danneggiare l'ecosistema e consentire alle specie di riprodursi al meglio.
E per meglio far conoscere e comprendere questi meccanismi, negli anni Vetrina Toscana si è rivolta ai professionisti della ristorazione. Sono stati, infatti, portati avanti dei momenti di formazione e sensibilizzazione rivolti ai ristoratori, con lezioni su come cucinare e valorizzare il Pesce dimenticato, ma anche una gara tra gli istituti alberghieri, per preparare i cuochi del futuro, e un focus sulla ristorazione collettiva. Anche dalle mense passa il lavoro per riportare in auge questo prodotto.
A nulla servono per queste iniziative se non si concretizzano all’atto pratico. Fare turismo enogastronomico, allora, significa per Vetrina Toscana promuovere un turismo sostenibile sotto tutti i punti di vista: ambientale, nel rispetto e nella tutela dell’ambiente, sociale, a salvaguardia delle tradizioni e delle comunità, ed economico, che generi cioè occupazione e reddito per il territorio.
Questa “missione” si è tradotta in un manifesto dei valori che rappresenta una condizione obbligatoria per aderire al progetto di promozione. Un manifesto che ruota attorno a due concetti chiave: “La natura si rispetta e non si forza: si cucina secondo la stagionalità” e “L'utilizzo dei prodotti del territorio sostiene l'economia locale e crea un modello circolare virtuoso”.
Il manifesto dei valori tocca, però, diversi temi, tra cui quello dello spreco alimentare, che ricopre ormai un’importanza centrale nel dibattito sulla cucina in generale e sulla sostenibilità nel particolare. Nel documento si legge: “Il cibo ha una valenza anche sociale ed ambientale: si rispetta e non si spreca”. Per questo Vetrina Toscana promuove la cultura degli “avanzi” anche con pubblicazioni di ricette, proprio per mettere in pratica questa filosofia. Non solo: in occasione degli eventi organizzati a livello regionale, Vetrina Toscana, grazie ad un protocollo firmato con l'Unione Regionale Cuochi Toscani, si assicura che eventuali eccedenze non vadano sprecate.
Per informazioni: www.vetrinatoscana.it Castagnaccio
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Tredici ristoranti di alto livello sono stati il palcoscenico perfetto per gli abbinamenti d’eccellenza tra Grana Padano DOP e i vini lombardi di qualità promossi da Ascovilo (Associazione dei Consorzi dei Vini Lombardi).
Questo è stato l’obiettivo del progetto “Eccellenze europee del gusto (www.borntobetogether.eu) Nati per stare insieme: Restaurant Week
Ascovilo-Grana Padano”, che ha previsto un calendario di appuntamenti, dal 21 settembre 2022 al 1° febbraio 2023, per gustare un temporary menu studiato ad hoc dagli chef, il progetto in collaborazione con Italia a Tavola, supportata nell'organizzazione da PG&W.
I menu speciali hanno visto la creatività e l'estro degli chef giocare su 4 portate - antipasto, primo, secondo, dessert - realizzate con tre diverse stagionature di Grana Padano: 12, 18 e oltre 20 mesi. In abbinamento alle portate e alle diverse stagionature di Grana Padano DOP, sono state invece servite varie tipologie di vini lombardi di qualità selezionati direttamente da Ascovilo. Nella pagine seguenti il resoconto degli ultimi appuntamenti in calendario.
Decimo appuntamento delle Restaurant Week, il progetto di Ascovilo, Grana Padano e Italia a Tavola che punta a valorizzare gli abbinamenti tra prodotti d’eccellenza lombardi.
Padrone di casa, Federico Sgorbini
Il Ristorante Lino (fresco di stella Michelin), in pieno centro storico di Pavia, è un accogliente “salotto del gusto” dallo stile déco e contemporaneo. Pregiate carte da parati in tessuto lino e velluto dalle calde tonalità del marrone si fondono con inserti in marmo rosso Levanto alle pareti, il parquet in rovere massello lavorato nero esalta invece le delicate nuance dei cinque tavoli rotondi.
Il camino al centro della sala, i dettagli in ottone, il gioco di luci creato dalle ampie vetrate e dalle lampade di vero modernariato, completano l’atmosfera. Nessun “confine” tra i fornelli e la sala, ma un ambiente “open” pensato per dialogare e interagire con gli ospiti. La cucina è infatti un vero esempio di design all’avanguardia ed è qui, che ogni giorno gli chef Federico Sgorbi-
ni (sostituito lo scorso gennaio da Valerio Tafuri) e Andrea Ribaldone realizzano creazioni culinarie nel rispetto delle tradizioni e delle materie prime dell’Oltrepò Pavese, tra accostamenti curiosi e sapori ben definiti, strizzando l’occhio alla semplicità.
In questo pregevole contesto si è svolto il decimo appuntamento delle “Restaurant Week promosse da Ascovilo-Grana Padano DOP” (https://borntobetogether.eu/) nell’ambito del programma Finanziato dall’Unione Europea “Nati per Stare Insieme”, progetto europeo che comprende la cena di 4 portate realizzate con le tre diverse stagionature di Grana Padano DOP in abbinamento ai vini lombardi di qualità (supportati nell’organizzazione delle attività da PG&W).
Ma prima della cena vera e propria una costruttiva masterclass di approfondimento dedicata ad esperti, addetti ai lavori e appassionati.
Gnocco Milano e Grana Padano DOP 18 mesi
Cultura, approfondimento e convivialità intorno allo chef table di Lino. A moderare Gabriele Ancona (vicedirettore di Italia a Tavola), con l’aiuto di Federico Bovarini (Ais), Beppe Casolo (Onaf), Paolo Fabiani (Tenuta Roveglia), Giovanna Prandini (presidente Ascovilo e titolare Perla del Garda) e Alessandra Bergamini (Consorzio Vini Mantovani).
Il Grana Padano DOP 12 mesi ha spiccate note lattiche, sentori di burro appena sciolto, panna e un gusto delicato in cui ritorna tutto il sapore del latte con leggeri sentori vegetali; il 18 mesi è più saporito ma non ancora piccante, ha un aroma che ricorda la frutta secca, il fieno, l’ananas e si inizia a percepire un leggero umami; infine l’oltre 20 mesi ha un gusto più saporito e pieno, fragrante, note più decise di frutta secca e l’umami si fa più intenso.
Archiviata la masterclass, si inizia con la serata. E per stuzzicare l’appetito Federico Sgorbini ci regala una serie di interessanti amuse-bouche tra cui la “Tartelletta, crema di cavolfiore, Grana Padano DOP e uova di salmone” e “Bon bon di Gorgonzola e rapa rossa”. Ed ecco l’antipasto, “Cipolla di Breme, Grana Padano DOP oltre 20 mesi”, goduriosa tartelletta di pasta brick con crema di cipolla impreziosita da gelato di senape
in grani e un delicato perlage di tartufo nero. In abbinamento il “Vigne di Catullo” Lugana Doc Riserva 2018 di Tenuta Roveglia.
Il primo, “Gnocco Milano e Grana Padano
DOP 18 mesi”. Gnocchi di patate ripieni di ossobuco, nappati con salsa di riso allo zafferano e la gremolada, in forma di salsa al prezzemolo, aioli e confettura salata di limone, in abbinamento “Sole d’Inverno” Lambrusco Bianco Igt Selezione G di Cantine Giubertoni.
Il secondo è un classico della cucina internazionale, ma con un twist inaspettato: “Terrina vegetale d’autunno alla Wellington, Grana Padano DOP oltre 20 mesi”. Wellington si pensa al famoso filetto, ma qui niente carne, verdure, porri, cavolo nero e funghi. Ad accompagnarlo ritorna il “Vigne di Catullo” di Tenuta Roveglia.
Il dessert, “Pere, cioccolato bianco, mandorle e Grana Padano DOP12 mesi”. Reinterpretazione della classica torta della nonna con pere e mandorle, impreziosita da un cremoso al cioccolato bianco e la nota sapida del gelato al Grana. Ad accompagnare il Lugana Vendemmia Tardiva DOP 2018 dell’Azienda Perla del Garda.
Ascovilo e Grana Padano DOP ospiti a Rho dalla famiglia Virgilio per l’undicesimo appuntamento delle Restaurant Week. Una cena di 4 portate con abbinamenti tra il formaggio DOP e i vini lombardi di qualità
Siamo a Rho, cittadina dell’hinterland milanese, dove a presidiare la buona cucina italiana troviamo la famiglia Virgilio che dal 1967 gestisce il ristorante “La Barca”. Elena e Franco Virgilio, una coppia di giovani migranti del sud Italia, decidono di avviare una trattoria che offra specialità di pesce con una cucina fedele alla tradizione pugliese, luogo di origine dei due. Oggi alla guida del ristorante troviamo la seconda generazione della famiglia con i figli Domenico cuoco, pasticcere e sommelier (socio Euro-Toques Italia), Andrea, sommelier in sala e Giuseppe, chef executive. Il vero punto di forza oggi del ristorante è una
cucina mediterranea con l’utilizzo di pesce fresco, direttamente dal mercato ittico di Milano, con arrivi da Mazara del Vallo, Olbia, Porto Santo Spirito, Manfredonia, Gallipoli e Trieste. Nonostante si prediliga la cucina di mare non manca una discreta offerta per chi ama la carne con una proposta dei classici pugliesi, senza dimenticare le specialità del territorio lombardo.
E proprio gli abbinamenti delle eccellenze lombarde sono stati i protagonisti della serata “Restaurant Week promossa da Ascovilo-Grana Padano DOP” (https://borntobetogether.eu/) nell’ambito del programma Finanziato dall’Unione Europea “Nati per Stare Insieme”, progetto europeo che comprende la cena di 4 portate realizzate con le tre di-
verse stagionature di Grana Padano DOP in abbinamento ai vini lombardi di qualità (supportati nell’organizzazione delle attività da PG&W).
Momento importante in cui degustare le diverse stagionature di Grana Padano DOP e giocare con gli abbinamenti dei vini di qualità proposti, moderato da Alberto Lupini, direttore di Italia a Tavola, con Federico Bovarini (Ais), Beppe Casolo (Onaf), Edoardo Peduto (Grana Padano Dop), Giovanna Prandini (presidente Ascovilo e titolare dell’Azienda Perla del Garda), Corrado Cattani (Cantina Cattani e presidente Consorzio Vini Mantovani) e Diego Locatelli (Locatelli Caffi).
Il Grana Padano DOP 12 mesi ha spiccate note lattiche, sentori di burro appena sciolto e panna, in bocca è delicato, ritorna tutto il sapore del latte con leggeri sentori vegetali; il 18 mesi è più saporito ma non piccante, ha
Ravioli, gambero rosso di Mazara pancettato, patata e Grana Padano
DOP 18 mesi e la sua bisque
un aroma che ricorda la frutta secca, il fieno e l’ananas; infine l’oltre 20 mesi ha un gusto più saporito e pieno, fragrante, l’umami si fa sentire ed è accompagnato da note più decise di frutta secca.
Si comincia con il “Bocconcino di pescato d’altura impanato, fonduta di Grana Padano DOP oltre 20 mesi”, un antipasto perfetto nella sua semplicità, gustoso e ideale da abbinare al Garda Dop Cuvée Extra Brut dell’Azienda Perla del Garda. A seguire il primo, “Ravioli, gambero rosso di Mazara pancettato, patata e Grana Padano DOP 18 mesi e la sua bisque”, mare e ancora mare, saporito e intenso, addolcito dalle rotondità del formaggio, in abbinamento il “Rosa Dei Colli” Rosato Garda Colli Mantovani Doc della Cantina Cattani. Il secondo, sempre pesce, il “San Pietro alla parmigiana con Grana Padano DOP oltre 20 mesi”, delicato ma gustoso, in abbinamento a “I Pilendrì” Valcalepio Rosso Doc - Locatelli Caffi.
A chiusura la “Frolla di Grana Padano DOP 12 mesi, crema al caramello salato, mousse di pera e scaglie di fondente”.
Frolla di Grana Padano DOP 12 mesi, crema al caramello salato, mousse di pera e scaglie di fondente
Ascovilo e Grana Padano DOP ospiti di Fabio Silva al Derby Grill, ristorante dell’Hotel monzese per la consueta cena di 4 portate con abbinamenti tra il formaggio DOP e i vini lombardi di qualità
Riso carnaroli “Riserva San Massimo”al Grana Padano DOP 18 mesi, fichi secchi caramellati, zenzero e rognone di coniglio
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Siamo a Monza, di fronte alla Villa Reale, l’Hotel de la Ville è un 4 stelle lusso, una dimora sontuosa e al suo interno il Derby Grill, il ristorante, aperto anche agli ospiti esterni il cui punto di equilibrio è tra le radici enogastronomiche della Lombardia, il calore delle origini campane dell’Executive Chef Fabio Silva (socio Euro-Toques Italia) e l’incessante evoluzione della cucina contemporanea.
Lo chef seleziona, lavora e interpreta i singoli ingredienti per renderli protagonisti delle proposte in menu. La spontaneità nell’approccio all’arte culinaria, la ricerca instancabile di nuove tecniche e prodotti, il lavoro di una squadra professionale, insieme all’imperdibile ambiente del Derby Grill e la sua Veranda, incarnano dal 1958 lo stile inconfondibile del ristorante.
I riconoscimenti che guide e ospiti riservano al Derby Grill sono legati a doppio filo all’armo-
nia che si è venuta a creare tra il luogo, l’atmosfera e le persone che ne sono le fondamenta. E proprio in questo magnifico contesto si è svolto l’appuntamento di "Restaurant Week promossa da Ascovilo-Grana Padano DOP” (https://borntobetogether.eu/) nell’ambito del programma Finanziato dall’Unione Europea “Nati per Stare Insieme”, progetto europeo che comprende la cena di 4 portate realizzate con le tre diverse stagionature di Grana Padano DOP in abbinamento ai vini lombardi di qualità (supportati nell’organizzazione delle attività da PG&W).
Momento fondamentale di approfondimento e studio in cui degustare le diverse stagionature di Grana Padano DOP e giocare con gli abbinamenti dei vini di qualità proposti, moderato da Alberto Lupini, direttore di Italia a Tavola, con Federico Bovarini (Ais), Gabriele Merlo (Onaf), Emmanuel Gozzi (Cantina Gozzi) e Mirco Mortini (Cantina di Viadana).
Federico Bovarini, Fabio Silva, Alberto Lupini e Gabriele Merlo
Tuorlo d’uovo di selva in olio cottura, patata all’extravergine, spuma di Grana Padano DOP 12 mesi e tartufo nero
Il Grana Padano DOP 12 mesi ha al naso note lattiche, di burro e panna, ha un gusto delicato in cui torna predominante il latte, accompagnato da leggere note vegetali; il 18 mesi è leggermente più saporito ma non ancora piccante, ha un aroma che ricorda la frutta secca e il fieno; infine l’oltre 20 mesi, al naso si fa più complesso e lascia presagire un gusto saporito e pieno, fragrante con note più decise e intense di frutta secca e umami.
Dopo un gustoso aperitivo proposto dallo staff del Derby Grill, si inizia con la cena vera e propria in cui Fabio Silva ha potuto giocare con le diverse stagionature di Grana Padano DOP all’interno della quattro portate.
L’antipasto, un bilanciatissimo “Tuorlo d’uovo di selva in olio cottura, patata all’extravergine, spuma di Grana Padano
DOP 12 mesi e tartufo nero”, cremoso e saporito, in abbinamento al “Colombara” Garda Chardonnay 2021 della Cantina Gozzi.
A seguire il primo, “Riso carnaroli “Riserva San Massimo” al Grana Padano DOP 18 mesi, fichi secchi caramellati, zenzero e rognone di coniglio”, delicato nella sua base con spunti notevoli di sapore con oscillazioni di dolce e richiami di terra che ben si sono sposati con il “Campomorino Dei Bastià” Provincia Di Mantova Igp 2022
Azienda Agricola Cobelli.
Spazio al secondo quindi, la “Guancia di vitello alla senape in grani, Grana Padano DOP oltre 20 mesi e purea di zucca Cascina Gallina”, ancora una volta sono forti i richiami alla terra e a chilometro vero che contraddistingue tutta la cucina di Silva, con un occhio molto attento alle materie prime e soprattutto ai produttori. L’abbinamento scelto: il “Nustran” Lambrusco Mantovano Doc 2022 della Cantina Sociale di Viadana.
A degna chiusura di una cena eccellente il dessert, “Pera e Grana Padano DOP 18 mesi”.
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Castello Malvezzi è un’elegante dimora di caccia del sedicesimo secolo situata sul colle di San Giuseppe a
Brescia, la posizione e il raffinato dehors garantiscono un’impagabile vista sulla città. Il tutto racchiuso in un’intrigante cornice composta dagli alberi secolari del giardino esterno. A presidiare questa meravigliosa roccaforte culinaria troviamo l’istrionico Alberto Riboldi (socio Euro-Toques Italia). La sua cu-
cina unisce esperienza ed estro grazie all’utilizzo di prodotti dall’alto profilo identitario e culturale, come il caviale di Calvisano a cui sono dedicati tre percorsi di degustazione da nove portate.
Un’esperienza gourmet curata dalla visione innovativa e dalle mani esperte dello chef in cui troviamo un’interessante proposta di pesce senza togliere spazio alle ricette tradizionali, dove a prevalere sono invece i sapori di terra.
E proprio qui si è svolto il tredicesimo e ultimo appuntamento in calendario di "Restaurant Week promosso da Ascovilo-Grana Padano DOP” (https://borntobetogether.eu/) nell’ambito del programma Finanziato
dall’Unione Europea “Nati per Stare Insieme”, progetto europeo che comprende la cena di 4 portate realizzate con le tre diverse stagionature di Grana Padano DOP in abbinamento ai vini lombardi di qualità (supportati nell’organizzazione delle attività da PG&W).
Cultura, approfondimento, studio e convivialità in cui degustare le diverse stagionature di Grana Padano DOP e giocare con gli abbinamenti dei vini di qualità proposti, moderato da Alberto Lupini, direttore di Italia a Tavola, con Federico Bovarini (Ais), Cornelio Marini (Onaf), Orlando Bonomo (Ascovilo), Achille
Spaghetti
Bergami (Tenuta Travaglino), Michael Ferri (Azienda Agricola Pratello) e Carlo Veronese (Consorzio Oltrepò Pavese).
Il Grana Padano DOP 12 mesi ha spiccate note lattiche, sentori di burro appena sciolto, panna e ha un gusto delicato in cui ritorna tutto il sapore del latte con leggeri sentori vegetali; il 18 mesi è più saporito ma non ancora piccante, ha un aroma che ricorda la frutta secca, il fieno, l’ananas e si inizia a percepire un leggero umami; infine l’oltre 20 mesi ha un gusto più saporito, fragrante, note decise di frutta secca e l’umami diventa più intenso.
Archiviato il training la cena può iniziare, ma non prima di un gustoso stuzzico proposto da Alberto Riboldi, “Uovo pochè, patate e tartufo nero”. Eccoci dunque all’antipasto, “Animelle di vitello panate alla farina di Storo e salsa al Grana Padano DOP 12 mesi”, panatura e frittura perfetta e croccante in perfet-
al rosso peperoncino selezione Felicetti, aglio, olio, aria di prezzemolo, lievito essiccato e crema di Grana Padano DOP 18 mesi
to e bilanciato contrappunto con i funghi e la crema al Grana. In abbinamento il “Costa del Nero” Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese Doc 2021 dell’Azienda Conte Vistarino.
A seguire un primo sorprendente, “Spaghetti al rosso peperoncino selezione Felicetti, aglio, olio, aria di prezzemolo, lievito essiccato e crema di Grana Padano DOP 18 mesi”. La tecnica si vede, ma sono gusto, cremosità e bilanciamento dei sapori che colpiscono. E anche l’abbinamento con il “Donna Caterina” Garda Doc Metodo Classico dell’Azienda Agricola Pratello è perfettamente centrato.
Il secondo è perfetto nella sua apparente semplicità, “Salmerino alpino con erbette e Grana Padano DOP oltre 20 mesi accompagnato da purea di patate”. Un gioco delicato di sapori e acidità arrotondato dalla nota grassa della purea. In abbinamento la “Cuvée 59” Oltrepò Pavese Docg Metodo Classico Brut Azienda Travaglino.
Infine il dessert, “The fruit con crumble di cacao e Grana Padano DOP 12 mesi”. Esteticamente un piccolo capolavoro, ma sono il gusto e l’incredibile bilanciamento che rendono questa portata una perfetta chiusura della serata.
Salmerino alpino con erbette e Grana Padano DOP oltre 20 mesi accompagnato da purea di patate
The fruit con crumble di cacao e Grana Padano DOP 12 mesi
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