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uella sul Crocifisso nelle scuole è una battaglia che dura da tempo, forse da molto più di quanto tanti di noi credano.
I detrattori del Crocifisso sostengono che in un Paese laico non abbia alcun senso mettere
un simbolo religioso nelle scuole. Non solo contraddice la laicità dello Stato, ma addirittura risulta offensivo per tutti coloro che sono atei o professano religioni diverse dal cristianesimo. Chi invece è a favore del Crocifisso risponde ai detrattori parlando di simbolo non solo religioso, ma anche culturale: l'Italia affonda le proprie radici culturali nella cultura cristiana (basti pensare, per esempio, alle vacanze per il S. Natale, per la Pasqua, l'Immacolata Concezione, o al riposo domenicale) e negarlo non avrebbe alcun senso. Anzi, sarebbe una pericolosa perdita di identità. Quale che sia la vostra posizione, è utile ricordare che l'esposizione del Crocifisso negli edifici pubblici è stata normata dal regio decreto n. 965 del 1924, (ma già la Legge Casati del 1859 lo prevedeva come arredo scolastico) mai abrogato, passando per la legge 641/1967, la nota del 5 ottobre 1984, ed è stata comunque contrastata da molte sentenze, poi spesso ribaltate, soprattutto negli ultimi anni. E ci sono state voci di autorevoli intellettuali non cattolici che si sono schierati a favore del Crocifisso, come Natalia Ginzburg della quale potete leggere a pagina seguente le parole in merito alla questione (l'articolo apparve su L'Unità, il 22 marzo 1988).
Riferimenti alle controversie sull'esposizione del Crocifisso ci arrivano sempre dal no-
stro Don Camillo, nel dialogo tra la celeberrima maestra Cristina e i rossi, che, vinte le elezioni, hanno bisogno della "scuola serale" per fare "un po' di ripasso". Da un pezzo s'era ritirata dall'insegnamento e viveva sola in quella remota casetta, ma avrebbe potuto lasciare spalancate le porte perché la "signora Cristina" era un monumento nazionale e nessuno avrebbe osato toccarle un dito. «Cosa c'è?» chiese la signora Cristina. «È successo un fatto» spiegò lo Spiccio. «Ci sono state le elezioni comunali e hanno vinto i "rossi"» «Brutta gente i "rossi"», commentò la signora Cristina. «I "rossi" che hanno vinto siamo noi», continuò lo Spiccio. « Brutta gente lo stesso!» insisté la signora Cristina.« Nel 1901 quel cretino di tuo padre voleva che togliessi il Crocifisso dalla scuola». «Altri tempi» disse lo Spiccio. «Adesso è diverso» « Meno male» borbottò la vecchia.«E allora?» «Allora il fatto è che abbiamo vinto noi, ma ci sono anche due della minoranza, due "neri"». « "Neri"?» «Sì, due reazionari: Spilletti e il cavalier Bignini...» La signora Cristina ridacchiò: «Quelli, se siete rossi, vi faranno diventare gialli dall'itterizia! Figurati con tutte le stupidaggini che direte!» «Per questo siamo qui» borbottò lo Spiccio. «Noi non possiamo che venire da lei, perché soltanto di lei possiamo fidarci. Lei, si capisce, pagando, ci deve aiutare». «Aiutare?» «Qui c'è tutto il consiglio comunale. Noi veniamo per i campi la sera tardi, e lei ci fa un po' di ripasso. Ci riguarda le relazioni che dovremo leggereci spiega le parole che non riusciamo a capire [... ].» La signora Cristina scosse gravemente il capo. «Se voi invece di fare i mascalzoni aveste studiato quando era ora, adesso...» «Signora, roba di trent'anni fa...» La signora Cristina inforcò gli occhiali, ed eccola col busto diritto, come ringiovanita di trent'anni. E anche gli altri erano ringiovaniti di trent'anni. (G. Guareschi, Don Camillo, BUR, Milano 2014 30, pp. 49-50).
…...Ma il crocifisso (appeso al muro in luogo pubblico) non genera nessuna discriminazione. Tace. E' l'immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l'idea dell'uguaglianza fra gli uomini fino allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? Sono quasi duemila anni che diciamo "prima di Cristo" e "dopo Cristo". O vogliamo forse smettere di dire così? Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. E' muto e silenzioso. C'è stato sempre. Per i cattolici, è un simbolo religioso. Per altri, può essere niente, una parte dei muro. E infine per qualcuno, per una minoranza minima, o magari per un solo bambino, può essere qualcosa dì particolare, che suscita pensieri contrastanti. I diritti delle minoranze vanno rispettati. Dicono che da un crocifisso appeso al muro, in classe, possono sentirsi offesi gli scolari ebrei. Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato, e non è forse morto nel martirio, come è accaduto a milioni di ebrei nei lager? Il crocifisso è il segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l'immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e dei prossimo. Chi è ateo, cancella l'idea di Dio ma conserva l'idea dei prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c'è immagine. E' vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà fra gli uomini. E di esser venduti, traditi e martoriati e ammazzati per la propria fede, nella vita può succedere a tutti. A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo sappiano fin dai banchi della scuola.
Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto o accade di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l'idea della croce nel nostro pensiero. Tutti, cattolici e laici portiamo o porteremo il peso, di una sventura, versando sangue e lacrime e cercando di non crollare. Questo dice il crocifisso. Lo dice a tutti, mica solo ai cattolici. Alcune parole di Cristo, le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente. Ha detto "ama il prossimo come te stesso". Erano parole già scritte nell'Antico Testamento, ma sono divenute il fondamento della rivoluzione cristiana. Sono la chiave di tutto. Sono il contrario di tutte le guerre. Il contrario degli aerei che gettano le bombe sulla gente indifesa. Il contrario degli stupri e dell'indifferenza che tanto spesso circonda le donne violentate nelle strade. Si parla tanto di pace, ma che cosa dire, a proposito della pace, oltre a queste semplici parole? Sono l'esatto contrario del modo in cui oggi siamo e viviamo. Ci pensiamo sempre, trovando esattamente difficile amare noi stessi e amare il prossimo più difficile ancora, o anzi forse completamente impossibile, e tuttavia sentendo che là è la chiave di tutto. Il crocifisso queste parole non le evoca, perché siamo abituati a veder quel piccolo segno appeso, e tante volte ci sembra non altro che una parte dei muro. Ma se ci viene di pensare che a dirle è stato Cristo, ci dispiace troppo che debba sparire dal muro quel piccolo segno. Cristo ha detto anche: "Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perchè saranno saziati". Quando e dove saranno saziati? In cielo, dicono i credenti. Gli altri invece non sanno né quando né dove, ma queste parole fanno, chissà perché, sentire la fame e la sete di giustizia più severe, più ardenti e più forti. Cristo ha scacciato i mercanti dal Tempio. Se fosse qui oggi non farebbe che scacciare mercanti. ….. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. I modi di guardarlo e non guardarlo sono, come abbiamo detto, molti. Oltre ai credenti e non credenti, ai cattolici falsi e veri, esistono anche quelli che credono qualche volta sì e qualche volta no. Essi sanno bene una cosa sola, che il credere, e il non credere vanno e vengono come le onde del mare. Hanno le idee, in genere, piuttosto confuse e incerte. Soffrono di cose di cui nessuno soffre. Amano magari il crocifisso e non sanno perché. Amano vederlo sulla parete. Certe volte non credono a nulla. E' tolleranza consentire a ognuno di costruire intorno a un crocifisso i più incerti e contrastanti pensieri.”
olti di voi conosceranno Don Camillo, il prete della Bassa che si prende cura dei suoi parrocchiani di Brescello e famoso per le sue lotte e scaramucce con il sindaco comunista Peppone. I suoi film sono fra i più riusciti del cinema italiano, tanto che ancora vengono trasmessi in televisione con notevole regolarità. Questo personaggio nasce però prima di tutto dalla penna di Guareschi, che nel suo Don Camillo delinea la sua idea di un cristianesimo vissuto con umiltà e solidarietà, una figura del sacerdote cattolico basata sui più autentici valori cristiani, che si muove in una realtà (l’Italia del secondo Dopoguerra) di forti contrapposizioni ideologiche, lotte di classe e violenza. Don Camillo è un prete di grande fede e profonda formazione, dal cuore buono e con un carattere impetuoso. È un uomo e un prete del suo tempo, immerso nella politica, ma soprattutto vive la vita e i problemi della sua gente, amandola e agendo per il suo bene; è povero e non se ne lamenta. La sua figura emerge soprattutto in contrapposizione con Don Chichì, un prete presuntuoso e supponente, che predica bene, ma la cui fede non traspare dalla persona e dalle azioni, come invece accade per Don Camillo.
Don Camillo parla con il crocifisso Una delle caratteristiche che più si ricordano di Don Camillo è il suo parlare con il crocifisso… il quale gli risponde. La voce del crocifisso è la coscienza dell’autore, che coincide con la coscienza cristiana: rivela gli errori del parroco, mettendo in evidenza debolezze e pregiudizi, anche con ironia (“E allora sia fatta la volontà di Don Camillo!”), ma risultando categorico nelle sue condanne (“Non mi interessano i fini politici generali”). È interessante notare come esso non dica una parola che non rientri nell’ortodossia cattolica. Al contempo tuttavia, Don Camillo va molto cauto nel parlare di miracoli, in perfetta sintonia con l’autorità ecclesiastica (di allora come di adesso: pensiamo solo alla posizione del Vaticano nei riguardi di Medjugorje): il prete di Guareschi crede ai miracoli, ma non se ne serve, non li strumentalizza per fini politici (quando invece potrebbe). Peppone Il cristianesimo di Guareschi non si concretizza però solo nel prete, ma anche nel suo antagonista, Peppone. Egli è infatti nemico politico di Don Camillo, è sindaco ed è comunista, i due battibeccano in continuazione ma Peppone non si rifiuta di aiutare il parroco se c’è del bene da fare, anche se deve farlo in segreto, perché i suoi alleati non se ne accorgano: anch’egli segue alla fine la voce della coscienza, che è fondamentalmente cristiana, staccandosi se necessario anche dagli ordini del partito. Così il prete e il sindaco, divisi dalla politica, in certi momenti si uniscono perché entrambi si preoccupano del bene del prossimo. Le accuse a Guareschi non sono certo mancate, sia da parte della reazione che dei comunisti: questi lo ritenevano infatti troppo di destra, mentre la reazione lo condannava di aver trattato con troppa leggerezza le accuse del comunismo contro la Chiesa. Ma soprattutto Guareschi fu criticato perché nella sua opera aveva ritratto la possibilità di far coesistere marxismo e religione cattolica: questa coesistenza, che pur era basata sulla tolleranza e la carità cristiane, venne considerata un errore di impostazione.
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79 anni, il dottor Flavio Gaggero ha visto passare, nel suo studio di Pegli, Renzo Piano e Adriano Celentano. Giorgio Albertazzi e Gino Paoli. Era stato anche contattato dal Pd, per tentare l'estrema mediazione tra due suoi affezionati clienti: Pier Luigi Bersani, che allora cercava faticosamente di formare il governo, e Beppe Grillo: senza riuscirci. Ma la definizione di dentista delle celebrità non gli piace, e non gli rende giustizia. Perché oggi Gaggero è soprattutto il dottore degli ultimi: i profughi di Ventimiglia. È a loro, che ha aperto il suo studio di via Martiri della Libertà: per curarli gratis. In una sala ha stipato pile di scatoloni: «Ci sono cento tra spazzolini e dentifrici – racconta – e poi carta igienica, 240 bottiglie d'acqua. Ho riempito i camioncini, mobilitato i rappresentanti farmaceutici, svuotato fondi di magazzino. Perché queste persone hanno bisogno di tutto, non solo di cibo». Tutto è iniziato qualche settimana fa. La Comunità di San Benedetto al Porto accompagna nel suo studio un giovane nigeriano accampato sugli scogli di Ponte San Ludovico, ha un forte mal di denti. È cieco, «per le botte che ha ricevuto in Libia, me lo ha raccontato lui» ricorda Gaggero. Il dottore lo cura, e mette a disposizione il suo studio e la sua professionalità per tutti gli altri migranti. «Queste sono persone che lavorano da una vita – riflette il dottore – siamo in dovere di aiutarli: anche noi siamo emigrati. Don Gallo diceva: noi occidentali abbiamo un grosso debito verso l'Africa. Ecco, allora io guardo Pegli e dico: qui ci sono tante cartiere dismesse, case vuote sulla collina. Perché non metterle a disposizione dei profughi». Intanto, sugli scogli di Ventimiglia, il presidio dei migranti continua: sotto il sole torrido, nel digiuno del Ramadan. «Insieme a Music for Peace abbiamo messo a punto dei kit personali – spiega Domenico Chionetti della Comunità di San Benedetto al Porto – con cibo che può essere consumato senza cottura, come brioche, ma senza cioccolato che può provocare dei mal di pancia. E poi latte a lunga scadenza, scatolette di tonno, fagioli, legumi. E anche sapone di Marsiglia per non inquinare l'acqua del mare, dentifricio, spazzolino, salviettine umidificanti, tutto il necessario per potersi lavare. A Ponte San Ludovico è tutto più difficile: non ci sono le cucine da campo. Così, la vita va avanti grazie all'aiuto delle associazioni. E i migranti portano avanti il loro presidio politico di protesta: restano scomodi, per mostrare le contraddizioni di un'Europa bloccata». Nei primi giorni dell'emergenza alle frontiere, «la tensione era altissima – ricorda Chionetti - persino l'ombra era militarizzata: le forze dell'ordinenon lasciavano aprire nemmeno un ombrellone, una tenda. Adesso la situazione è un po' più tranquilla, ma sempre precaria». Sono rimasti in poche decine ma non demordono. E l'avvocato per i diritti civili esperta di immigrazione Alessandra Ballerini, ha creato per loro degli sportelli legali multipli e collettivi. Quando chiede – in inglese, francese, italiano, chi vuole chiedere asilo in Italia, la risposta è sempre la stessa. Unanime: nessuno.
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omenica 29 settembre, in Piazza San Pietro, Papa Francesco ha scoperto davanti ai fedeli una scultura a dimensioni naturali intitolata Angels Unawares, opera dell’artista canadese Timothy P. Schmalz. “Non possiamo rimanere insensibili, con il cuore anestetizzato, di fronte alla miseria di tanti innocenti”, ha affermato il Papa durante la celebrazione di una Messa speciale per la 105ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato nella basilica vaticana poco prima di inaugurare l’opera di Schmalz. “Non possiamo non piangere. Non possiamo non reagire”. Lo scultore afferma che il “miglior inizio poetico” per la sua opera è rappresentato dalla Bibbia e da Gesù. “Per questa scultura, quando mi hanno detto che era un’opera per la Sezione Migranti e Rifugiati, mi sono rivolto a una delle cose che ritengo più pure: la Bibbia”. Le migliaia di persone che visitano ogni giorno Piazza San Pietro reagiscono davanti alla scultura di bronzo con stupore, soffermandosi sui dettagli: 100 volti di migranti, tra cui un uomo ebreo con le valigie accanto accanto a una donna musulmana con il velo, tra le braccia i suoi pochi averi, un’altra profuga incinta che si tocca il ventre e un bambino rifugiato. “Quando si guardano le sculture o le statue intorno a San Pietro si nota che molte sono deteriorate dal tempo, ma quello che non dobbiamo permettere è che si deteriori la nostra fede. Magari quest’opera fosse un esempio vivo del modo di vivere la nostra fede in Dio e nell’umanità!”, ha affermato l’artista. Il passo della Bibbia che lo ha ispirato è la citazione della Lettera gli Ebrei 13, 2 “Non dimenticate l’ospitalità; perché alcuni praticandola, senza saperlo, hanno ospitato angeli”, in cui trova la bellezza che voleva trasmettere con la sua opera. “È stata scritta 2000 anni fa. Quale altra verità eterna è più evidente? È questo che volevo inserire nella mia scultura, e il resto è stato facile. In realtà mi ci è voluto un anno per terminare il lavoro”. “Credo che le verità più grandi che abbiamo a questo mondo siano la Bibbia e il cristianesimo, e questo è ciò che motiva tutta la mia arte. Credo che come artisti se ci si concentra per essere uno strumento di Dio si possa raggiungere qualcosa che abbia davvero senso”. L’artista ha raccontato ad Aleteia il gesto di ringraziamento del Papa il giorno in cui l’opera è stata scoperta in Piazza San Pietro. Il Pontefice non parlava inglese – e l’artista non parlava spagnolo -, ma con il corpo ha detto tutto, chinandosi quasi di 180 gradi e portandosi le mani incrociate sulle spalle. “Questo mi ha ripagato di tutti gli sforzi”, ha confessato Schmalz. “Devo dire una cosa su Homeless Jesus e Angels Unawares. È interessante che osservando la scultura di Gesù mendicante non si riesca a vedere il volto. Allo stesso modo, non si possono vedere neanche gli angeli, solo ammirarne le ali (al centro dell’opera). Quando ho deciso di nascondere il volto di Gesù l’ho fatto perché rappresentava tutti, in questa nuova opera ci sono molti volti”. La scultura Angels Unawares è stata generosamente donata dalla Rudolph P. Bratty Family Foundation. Il sostegno di questa famiglia canadese all’opera d’arte è una testimonianza del suo impegno e dello spirito di speranza che incarna ogni nuovo inizio. “Penso che quest’opera sia unica, come quella dell’Homeless Jesus. Mi sento più che altro uno strumento, un traduttore visivo della Bibbia. Sto traducendone i testi in bronzo. Credo che Papa Francesco non la veda solo come un’opera d’arte, ma come un modo per condividere una preghiera speciale che pesa 3,5 tonnellate”.
che riempiono il cuore di affetto. Regalatemi un vostro ricordo. Non più di un ricordo per uno. Chi un bacio, chi una carezza, chi uno schiaffo, chi una tirata d'orecchie. Io ho tutto dimenticato il giorno in cui sono nato. Carlo Manzoni, (1909/1975) dedicato alla Madre, morta nel darlo alla luce.
“2 etti e venti, che faccio lascio?”
Regalatemi un ricordo er favore. Parlatemi di vostra madre. Vi ascolto. Di certo la ricordate e di lei ricordate tante cose. Lasciate stare le cose curiose. Parlatemi soltanto delle cose più semplici, quelle che fa ogni madre, come rimboccarvi le lenzuola, per esempio, e darvi l'ultimo bacio della sera. Parlatemi di quando vi rimproverava, severa, per un vostro capriccio. Di quando vi riempiva le orecchie e gli occhi di sapone. Di certo ricordate un mucchio di cose. Ricordate la sua voce dolce, morbida, calda, qualche volta tremante per una paura, magari per un semplice raffreddore. Parlatemi di vostra madre quando vi accompagnava a scuola e vi teneva per mano, o vi insegnava a reggere la penna. Uno scapaccione ogni tanto. Una tirata d'orecchie. E poi: <<Non bere, non correre, non prender freddo, non sudare>>. Di quante cose potete parlare. Io vi ascolto. Cominciate dal principio, frugate in fondo alla vostra memoria, cercate i giorni più lontani, quando i ricordi sono confusi, ma ritrovate nitide e precise, perfette nei loro contorni, le cose più care, quelle che non potete dimenticare. L'immagine di vostra madre, il suo sguardo, il suo sorriso, le sue lacrime, i suoi timori, le sue speranze, le sue gioie. Parlatemi delle cose che tutte le mamme fanno, e
ella mia testa lei si chiama Rosaria. Ha 81 anni e da poco ha imparato a fare la spesa. Perché prima, la spesa la faceva suo marito Carmine. Rosaria gli dettava cosa comprare e Carmine, con la sua calligrafia perfetta per chi possiede solo la quinta elementare ma ne sapeva più di un laureato, provava a stargli dietro. Ed ogni qual volta ritornava a casa, Carmine e Rosaria litigavano. Quelle litigate che viste dagli occhi di un nipote, fanno tenerezza, fanno quasi bene al cuore. Quelle litigate in cui pensi “Ma questi davvero hanno fatto 4 figli e 11 nipoti?” Litigavano per il resto sbagliato, ma soprattutto per i due etti e venti invece che due. Litigavano, ma poi si amavano come ora non siamo più abituare a fare. Si amavano forte senza whatsapp, chiamate, tag sulle foto. Ora Carmine, soffre di alzheimer e a volte Rosaria non se la ricorda più. Anzi più passa il tempo e più dimentica le cose. Allora da un po' di tempo a questa parte, Rosaria va a fare la spesa, torna a casa e lascia la spesa vicino la porta della stanza da letto. Carmine si alza, raccoglie le buste e per pochi istanti anche la memoria: crede di aver fatto la spesa… come sempre. “Ti sei di nuovo fatto fare 2 etti e venti?” lo ammonisce Rosaria, speranzosa. “Perché ti lamenti sempre?” risponde sorridendo Carmine. Rosaria e Carmine così iniziano a litigare e ad amarsi un po'. Ancora un po'.
Cristo Redentore (in portoghese: Cristo Redentor) è una statua rappresentante Gesù Cristo. La statua trova collocazione sulla cima della montagna del Corcovado, che si erge a 710 m s.l.m. a picco sulla città e sulla baia di Rio de Janeiro, è alta circa 38 metri ed è uno dei monumenti più conosciuti al mondo. Ormai la statua è un simbolo della città e del Brasile e rappresenta il calore del popolo brasiliano che accoglie a braccia aperte i visitatori. L’idea di costruire una statua in cima al monte Corcovado nacque intorno al 1850, quando il prete cattolico Pedro Maria Boss chiese alla principessa Isabella dei fondi per la costruzione di un grande monumento religioso. Quest’ultima non era molto d’accordo con questa idea, che fu completamente abbandonata nel 1889 quando il Brasile divenne una repubblica e si ebbe la separazione tra Stato e Chiesa. Una seconda proposta per la costruzione della statua fu fatta dall’arcidiocesi di Rio de Janeiro nel 1921. Si organizzò un evento chiamato Semana do Monumento (settimana del monumento) per la raccolta dei fondi necessari alla sua costruzione, che vennero in larghissima parte da cattolici brasiliani. Il progetto di questa costruzione doveva contenere una rappresentazione del simbolo cristiano della croce e il Cristo doveva avere nelle mani un globo ed essere situato su un basamento rappresentante il mondo. Tuttavia fu scelto il progetto del Cristo con le braccia aperte. Il monumento fu progettato dallo scultore francese Paul Landowski, e come supervisore alla costruzione fu scelto l’ingegnere locale Heitor da Silva Costa. Un gruppo di tecnici studiò il progetto di Landowski e decise di sviluppare la struttura in calcestruzzo anziché in acciaio perché questo materiale è più adatto a strutture a forma di croce. Si decise, inoltre, di fare lo strato esterno di un materiale al tempo stesso malleabile e resistente a condizioni climatiche estreme. Il monumento fu inaugurato il 12 ottobre 1931 dal presidente Getúlio Vargas in una grande e sontuosa cerimonia. Nell’ottobre del 2006, in occasione del 75esimo anniversario della statua, l’arcivescovo di Rio de Janeiro Eusebio Oscar Scheid consacrò una cappella sotto la statua.
ci nelle città del Nord Africa– Tunisi, Tripoli– (è il caso di Giacomo Carpenetti, console a Braila) o in Egitto ad Alessandria, il Cairo, in Turchia a Costantinopoli, il caso di Francesco Mathieu, console a Galati.
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aratterizzati dai consoli italiani come „le principali città commerciali sulle sponde del Danubio”, l’importanza dei due porti rumeni, Galati e Braila, veniva sottolineata dalla maggioranza dei viaggiatori stranieri, stupiti dal loro potenziale economico, dal conglomerato etnico che vi avevano trovato. Qual’era la situazione degli immigrati italiani? È abbastanza difficile stabilire il loro numero reale. I rapporti dei consoli sardi fanno riferimento soltanto ai sudditi sardi, italiani e non solo. L’etnia degli stranieri viene rilevata nelle registrazioni anagrafiche, però anche queste fonti non riescono a inquadrarla con precisione. In base ai rapporti consolari corroborati da altre fonti archivistiche possiamo stabilire almeno fino ad oggi, per Galati nel periodo 1831– 1866 all’incirca 160 immigrati italiani. Per quanto riguarda il luogo di origine, la maggioranza proviene dalla costa ligure, le città di Genova, Novi, Chiavari (circa 40 italiani provenivano da questa regione); altri provenivano dal sud–Napoli, Messina (8 persone con origine certa da queste parti della penisola italiana); altri da Livorno 4; da Roma 5;Torino 1; Venezia1. Una buona parte dei peninsulari venivano dalle grandi città del Mediterraneo orientale: Alessandria, Smirne, Costantinopoli oppure dalle isole greche. Molti di questi arrivavano nelle città portuali danubiane dopo aver perso i loro patrimoni a seguito dei fallimenti. Da notare che una parte dei consoli sardi di Galati e Braila erano stati nominati qui dopo stages diplomati-
Possiamo considerare che l’emigrazione italiana nei porti danubiani era secondaria, una derivazione di quella italiana nel Mediterraneo orientale. Per quanto riguarda le professioni esercitate dagli italiani stabilitisi almeno temporaneamente a GalaĠi, possiamo concludere sulla base degli elenchi allegati, che prevaleva il commercio di cereali. Circa 30 italiani hanno fondato ditte di esportazione di cereali9, e almeno nove tra questi sono stati intermediari tra i proprietari e gli esportatori. Le professioni erano però tra le più diverse: agenti navali, alleva-tori di bachi da seta (4)10, libero professionisti (insegnanti di lingue straniere, medici, attori, tipogra¿, redattori editoriali, architetti11); uf¿ciali italiani che ve-nivano ad istruire i marinai moldavi all’uso delle cannoniere12; artigiani con laboratori propri - gioiellieri, cappellai, osti, cuochi, inservienti presso le ditte italiane13, iniziative per la costruzione di un mulino a vapore o di una fabbrica per la lavorazione del ferro, mentre altri hanno preso terreni in af¿tto14. Alcuni di loro sono riusciti a crearsi un nuovo status: Giovanni Garibaldi arrivato nel 1838 come piccolo allevatore di bachi da seta, diventava nel 1842 commer-ciante; Andrea Nabucco da insigni¿cante rappresentante dei comandanti navali nei rapporti con il servizio di quarantena diventava anch’esso un commerciante rispettato; Morandi Giacomo da umile lavoratore a giornata diventa spedizio-niere ecc. Da notare la mobilità degli italiani, che avevano il coraggio di ini-ziare una nuova vita in uno spazio sconosciuto, a creare ditte commerciali che concorrevano con quelle greche–è il caso della ditta Pedemonte–ad adattarsi ad un ambiente spesso ostile (negli archivi sono conservati i processi delle ditte commerciali con le autorità romene oppure sono menzionati episodi di ten-sione tra gli italiani e i commercianti di altre nazionalità).
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er capire la domanda degli apostoli: “accresci in noi la fede”, dobbiamo riandare alla vertiginosa proposta di Gesù un versetto prima: se tuo fratello commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte al giorno ritornerà a te dicendo: “sono pentito”, tu gli perdonerai.
Sembra una missione impossibile, ma notiamo le parole esatte. Se tuo fratello torna e dice: sono pentito, non semplicemente: “scusa, mi dispiace” (troppo comodo!) ma: “mi converto, cambio modo di fare”, allora tu gli darai fiducia, gli darai credito, un credito immeritato come fa Dio con te; tu crederai nel suo futuro. Questo è il perdono, che non guarda a ieri ma al domani; che non libera il passato, libera il futuro della persona. Gli apostoli tentennano, temono di non farcela, e allora: “Signore, aumenta la nostra fede”. Accresci, aggiungi fede. È così poca! Preghiera che Gesù non esaudisce, perché la fede non è un “dono” che arriva da fuori, è la mia risposta ai doni di Dio, al suo corteggiamento mite e disarmato. «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “sradicati e vai a piantarti nel mare” ed esso vi obbedirebbe». L’arte di Gesù, il perfetto comunicatore, la potenza e la bellezza della sua immaginazione: alberi che obbediscono, il più piccolo tra i semi accostato alla visione grandiosa di gelsi che volano sul mare! Ne basta poca di fede, anzi pochissima, meno di un granello di senape. Efficace il poeta Jan Twardowski: «anche il più gran santo/ è trasportato come un fuscello/ dalla formica della fede». Tutti abbiamo visto alberi volare e gelsi ubbidire, e questo non per miracoli spettacolari – neanche Gesù ha mai sradicato piante o fatto danzare i colli di Galilea – ma per il prodigio di persone capaci di un amore che non si arrende. Ed erano genitori feriti, missionari coraggiosi, giovani volontari felici e inermi. La seconda parte del vangelo immagina una scena tra padrone e servi, chiusa da tre parole spiazzanti: quando avete fatto tutto dite “siamo servi inutili”. Guardo nel vocabolario e vedo che inutile significa che non serve a niente, che non produce, inefficace. Ma non è questo il senso nella lingua di Gesù: non sono né incapaci né improduttivi quei servi che arano, pascolano, preparano da mangiare. E mai è dichiarato inutile il servizio. Significa: siamo servi senza pretese, senza rivendicazioni, senza secondi fini. E ci chiama ad osare la vita, a scegliere, in un mondo che parla il linguaggio del profitto, di parlare la lingua del dono; in un mondo che percorre la strada della guerra, di prendere la mulattiera della pace. Dove il servizio non è inutile, ma è ben più vero dei suoi risultati: è il nostro modo di sradicare alberi e farli volare. Padre Ermes Ronchi
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*Foglietto preparato da Parrocchia Cattolica Italiana Virtuale Iasi
vi inutili, che tu hai chiamato a rivelare le meraviglie del tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli C. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti Dal libro del profeta Abacuc voi. Fino a quando, Signore, implorerò T. E con il tuo spirito. aiuto ATTO PENITENZIALE e non ascolti, a te alzerò il grido: C. Umili e pentiti come il pub«Violenza!» e non salvi? Perché mi blicano al tempio, accostiamoci al fai vedere l’iniquità e resti spettaDio giusto e santo, perché abbia tore dell’ oppressione? Ho davanti pietà anche di noi peccatori. a me rapina e violenza e ci sono liti Breve pausa di riflessione personale e si muovono contese. Il Signore Signore, che ti sei fatto uomo rispose e mi disse: «Scrivi la visioper salvarci, abbi pietà di noi. ne e incidila bene sulle tavolette, Signore, pietà. perché la si legga speditamente. È Cristo, che sei morto in croce una visione che attesta un termine, per tutti gli uomini, abbi pietà di parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché noi. Cristo, pietà. Signore, che ci hai riaperto la certo verrà e non tarderà. Ecco, via del cielo, abbi pietà di noi. soccombe colui che non ha l’animo Signore, pietà. retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede». R.
Ascoltate oggi la voce del Signore. Venite, cantiamo al Signore, acclamiamo la roccia della nostra salvezza. Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia. R/. Entrate: prostràti, adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti. È lui il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce. R/. Se ascoltaste oggi la sua voce! «Non indurite il cuore come a Merìba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere». R/. Dalla seconda lettera di san Paolo a Timoteo O Padre, che ci Figlio mio, ti ricordo di ravvivare il ascolti se abbiamo fede quanto un dono di Dio, che è in te mediante granello di senapa, donaci l'umiltà l’imposizione delle mie mani. Dio del cuore, perché cooperando con infatti non ci ha dato uno spirito di tutte le nostre forze alla crescita timidezza, ma di forza, di carità e del tuo regno, ci riconosciamo ser- di prudenza. Non vergognarti dun-
que di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù. Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato.
La parola del Signore rimane in eterno: e questa è la parola del Vangelo che vi è stato annunciato.
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri deC. Accogli, Signore, il sacrificio biti come noi li rimettiamo ai noche tu stesso ci hai comandato d'of- stri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. frirti e, mentre esercitiamo il nostro ufficio sacerdotale, compi in noi la tua opera di salvezza. Per Cristo nostro Signore.
È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno. Abbiamo riconosciuto il segno della tua immensa gloria quando hai mandato tuo Figlio a prendere su di sé la nostra debolezza; in lui nuovo Adamo hai redento l'umaniC. Dio ci chiede di rimanere sal- tà decaduta e con la sua morte ci di nell’ora della prova e di non ce- hai resi partecipi della vita immordere alla disperazione, sull’esem- tale. Per mezzo di lui si allietano gli pio di Gesù Cristo, morto in croce angeli e nell'eternità adorano la per salvarci. gloria del tuo volto. Al loro canto Preghiamo insieme e diciamo: Si- concedi, o Signore, che si uniscano gnore, donaci una fede salda. le nostre umili voci nell'inno di lode: Santo, Santo, Santo il Signo1. Perché la nostra fede non si ma- re Dio dell'universo. I cieli e la nifesti solo a parole. Preghiamo. terra sono pieni della tua gloria. 2. Perché il nostro servizio nella Osanna nell'alto dei cieli. Benecomunità non venga sbandierato detto colui che viene nel nome come un merito. Preghiamo. del Signore. Osanna nell'alto dei 3. Perché sappiamo che nulla è de- cieli. finitivo tranne il tuo amore. Preghiamo. 4. Perché dove la nostra speranza ci abbandona arrivi a sostenerci la nostra umiltà. Preghiamo. C. O Padre, il cammino lungo cui ci conduci è pieno di distrazioni e di occasioni per perdere la fede: aiutaci a capire che il male non ha l’ultima parola. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore.
Padre nostro, che sei nei cieli,
La comunione a questo sacramento sazi la nostra fame e sete di te, o Padre, e ci trasformi nel Cristo tuo Figlio. Egli vive e regna nei secoli dei secoli.