Il 30 novembre si festeggia Sant'Andrea Sant'Andrea apostolo si festeggia il 30 novembre nelle Chiese d'Oriente e d'Occidente ed è festa nazionale in Scozia. Denominato secondo la tradizione ortodossa Protocletos o il Primo chiamato perché fu il primo tra i discepoli di Giovanni Battista ad essere chiamato dal Signore Gesù presso il Giordano.,Nacque a Betsaida e morì a Patrasso il 30 novembre del 60. È patrono dei pescatori, visto che lui stesso era un pescatore. Il primo incontro con Gesù Nel Vangelo di Giovanni, al primo capitolo, è perfino annotata l’ ora («le quattro del pomeriggio») del suo primo incontro e primo appuntamento con Gesù. Fu poi Andrea a comunicare al fratello Simon Pietro la scoperta del Messia e a condurlo in fretta da Lui. La sua presenza è sottolineata in modo particolare nell’ episodio della moltiplicazione dei pani. Sappiamo inoltre che, proprio ad Andrea, si rivolsero dei greci che volevano conoscere Gesù, ed egli li condusse al Divino Maestro. Su di lui non abbiamo altre notizie certe, anche se, nei secoli successivi, vennero divulgati degli Atti che lo riguardano, ma che hanno scarsa attendibilità. Secondo gli antichi scrittori cristiani, l’ apostolo Andrea avrebbe evangelizzato l’ Asia minore e le regioni lungo il mar Nero, giungendo fino al Volga. È perciò onorato come patrono in Romania, Ucraina e Russia. Commovente è la “passione”– anch’ essa tardiva – che racconta la morte dell’ apostolo, che sarebbe avvenuta a Patrasso, in Acaia: condannato al supplizio della croce, egli stesso avrebbe chiesto d’ essere appeso a una croce particolare fatta ad X (croce che da allora porta il suo nome) e che evoca, nella sua stessa forma, l’ iniziale greca del nome di Cristo. La Legenda aurea riferisce che Andrea andò incontro alla sua croce con questa splendida invocazione sulle labbra: «Salve Croce, santificata dal corpo di Gesù e impreziosita dalle gemme del suo sangue… Vengo a te pieno di sicurezza e di gioia, affinché tu riceva il discepolo di Colui che su di te è morto. Croce buona, a lungo desiderata, che le membra del Signore hanno rivestito di tanta bellezza! Da sempre io ti ho amata e ho desiderato di abbracciarti».
La chiamata sul mare di Galilea Poi viene la chiamata. I due fratelli, Andrea e Pietro, sono tornati al loro lavoro di pescatori sul “mare di Galilea”: ma lasciano tutto di colpo quando arriva Gesù e dice: "Seguitemi, vi farò pesca-
tori di uomini" (Matteo 4,18-20). Troviamo poi Andrea nel gruppetto – con Pietro, Giacomo e Giovanni – che sul monte degli Ulivi, “in disparte”, interroga Gesù sui segni degli ultimi tempi: e la risposta è nota come il “discorso escatologico” del Signore, che insegna come ci si deve preparare alla venuta del Figlio dell’ Uomo "con grande potenza e gloria" (Marco 13). Infine, il nome di Andrea compare nel primo capitolo degli Atti con quelli degli altri apostoli diretti a Gerusalemme dopo l’ Ascensione. E poi la Scrittura non dice altro di lui, mentre ne parlano alcuni testi apocrifi, ossia non canonici. Uno di questi, del II secolo, pubblicato nel 1740 da L.A. Muratori, afferma che Andrea ha incoraggiato Giovanni a scrivere il suo Vangelo. E un testo copto contiene questa benedizione di Gesù ad Andrea: "Tu sarai una colonna di luce nel mio regno, in Gerusalemme, la mia città prediletta. Amen". Lo storico Eusebio di Cesarea (ca. 265-340) scrive che Andrea predica il Vangelo in Asia Minore e nella Russia meridionale. Poi, passato in Grecia, guida i cristiani di Patrasso. E qui subisce il martirio per crocifissione: appeso con funi a testa in giù, secondo una tradizione, a una croce in forma di X; quella detta poi “croce di Sant’ Andrea”. Questo accade intorno all’ anno 60, un 30 novembre.
Il martirio sulla croce decussata La tradizione vuole che Andrea sia stato crocifisso su una croce detta Croce decussata (a forma di X) e comunemente conosciuta con il nome di "Croce di Sant'Andrea"; questa venne adottata per sua personale scelta, dal momento che egli non avrebbe mai osato eguagliare il Maestro nel martirio. Quest'iconografia di sant'Andrea appare ad ogni modo solo attorno al X secolo, ma non divenne comune sino al XVII secolo. Proprio per il suo martirio, sant'Andrea è divenuto anche il patrono di Patrasso.
la storia delle reliquie e i rapporti con la Chiesa ortodossa Dopo il martirio, secondo la tradizione, le reliquie di Sant’ Andrea vennero spostate da Patrasso a Costantinopoli. Leggende locali dicono che le reliquie vennero vendute dai romani. Sofronio Eusebio Girolamo scrisse che le reliquie di Andrea vennero portate da Patrasso a Costantinopoli per ordine dell'imperatore romano Costanzo II nel 357. Qui rimasero sino al 1208 quando le reliquie vennero portate ad Amalfi, in Italia, dal cardinale Pietro Capuano, nativo di Amalfi. Nel XV secolo, la testa di sant'Andrea fu portata a Roma, dove venne posta in una teca in uno dei quattro pilastri principali della basilica di San Pietro. Nel settembre del 1964, come gesto di apertura verso la Chiesa ortodossa greca, papa Paolo VI consegnò un dito e parte della testa alla chiesa di Patrasso. Il Duomo di Amalfi, dedicato appunto a sant'Andrea (come del resto la città stessa), contiene una tomba nella sua cripta che continua a contenere alcune altre reliquie dell'apostolo. Nel sesto secolo la reliquia di una mano e di un braccio di sant'Andrea fu donata a Venanzio vescovo di Luni dal papa Gregorio Magno, suo grande amico. È tradizione che in tale tempo, e con l'occasione del dono, sia stata costruita in Sarzana la chiesa di Sant'Andrea, che divenne la dimora della reliquia. Da quel giorno l'apostolo divenne il patrono della città. Tali reliquie si conservano al presente nella Cattedrale di Sarzana; essa era stata portata da Costantinopoli a Roma da un certo Andrea, maggiordomo dell'imperatore Maurizio Tiberio. La testa del santo venne donata, insieme ad altre reliquie (un mignolo e alcune piccole parti della croce), da Tommaso Paleologo, despota della Morea spodestato dai Turchi, a papa Pio II nel 1461, in cambio dell'impegno per una crociata che avrebbe dovuto riprendere Costantinopoli. Il papa accettò il dono promettendo di restituire le reliquie quando la Grecia fosse stata liberata e ne inviò la mandibola custodita nell'antico reliquiario a Pienza. Per decisione di papa Paolo VI nel 1964 le reliquie conservate a Roma vennero inviate nuovamente a Patrasso all'interno dell'antico reliquiario bizantino, fino ad allora custodito nella cattedrale pientina; in cambio il Papa donò alla cattedrale di Pienza il busto-reliquiario della testa commissionato da Pio II a Simone di Giovanni Ghini per la basilica di San Pietro in Vaticano. Le reliquie rese sono a tutt'oggi custodite nella chiesa di sant'Andrea a Patrasso in una speciale urna e vengono mostrate ai fedeli in occasione della festa del 30 novembre.
spettacolarità sacramentale, la loro moltitudine, ma anche la complessità degli obblighi rituali di questo periodo dell'anno (nel mese di novembre) ci mostrano, senza dubbio, che si tratta di un momento di dura prova, con un tempo di una sacralità estrema, occasione con la quale sono chiamati ad aiutare i "moşi". Nella visione ancestrale, il periodo del fine dell'anno era un periodo difficile. In genere, gli antichi credevano che "il cielo", "l’irreale" immediato sia popolato con un sacco di esseri, alcuni benefici, altri malefici. Tra di loro c’è una battaglia feroce, e gli esseri sacrosanti aiutano le persone, durante l’intero anno, in questo confronto. L'aiuto, tuttavia, è uno reciproco. La gente aiuta i loro "santi" nel loro confronto con il demoniaco, attraverso vari atti rituali, gesti, comportamenti, sacrifici, regali, ecc. Ma, ci sono alcuni periodi dell'anno in cui la bilancia è perfettamente in equilibrio, o pesa a favore dei "cattivi" e allora l'uomo non può che difendersi. Così è la notte di Sant'Andrea, quando la gente non può fare molto, ma solo difendersi dai fantasmi, demoni, attraverso degli atti e gesti apotropaici (a caccia del male). Uno di questi gesti, forse il più popolare, e che molte persone che hanno già superato la seconda età lo conoscono dalla loro infanzia passata in campagna, è di scavare le zucche, intagliando delle forme antropomorfe ed accendere delle candele al loro interno, che saranno messe sul davanzale della finestra, dove gli proteggeranno contro gli spiriti maligni della casa. Quei “duleţi” come vengono chiamati in Banat, sono chiamati in questa zona di folklore con il nome di “moroni” (moroi strigoni, ecc.). Ma noi conosciamo questa festa, potrebbero rispondere i giovani ed i bambini piccoli. E’ il nostro Halloween, occasione in cui ci mascheriamo, andiamo nei club e spendiamo i soldi dei genitori su ogni genere di sciocchezza mostruosa. Niente di più vero. Sono le stesse feste. Solo che quest'ultimo, ovvero quella importata dall’America, è venuta, così come tutte le altre feste sono arrivate da oltre oceano, dal vecchio continente, lì indossando abiti (quasi esclusivamente) commerciali. Ignorato quasi del tutto dai romeni, la tradizione di Sant'Andrea è molto antica. Un altro gesto apotropaico è quello di ungere con aglio i pilastri delle porte e le ante delle finestre, ma anche mangiare grandi quantità di aglio (o alcuni tipi di piatti speziati in abbondanza in questo modo). C'è anche una pietanza che si consuma in questa sera per allontanare gli spiriti maligni. Si chiama “covașă”, ed è prodotto dal grano fermentato.
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19 novembre 2009 Florina vedeva la cartella di sua figlia distrutta dalle ruspe. Quella del fratello maggiore, invece, l’aveva salvata una maestra. Alla sera la famiglia era disperata sotto i piloni della tangenziale est di Milano: qualche coperta veniva distribuita dalla Comunità di Sant’Egidio insieme ad alcuni genitori delle scuole. All’alba era arrivato l’esercito e aveva sgomberato i 400 rom della baraccopoli di via Rubattino. Erano gli anni della ‘caccia al rom’, in cui la giunta Moratti rivendicava il traguardo dei 500 sgomberi. In realtà erano operazioni inutili e costose, colpivano sempre le stesse persone: il nipote di Florina arrivò a subirne venti in un anno. Questa mattina, esattamente dieci anni dopo, Florina si è svegliata in una casa (dove paga regolarmente l’affitto) della periferia sud di Milano, è andata all’albergo a due passi dal Duomo dove lavora come cameriera, mentre suo marito fa il saldatore. In metropolitana ha fatto i quiz: sta preparando l’esame della patente. I due figli, invece, quelli delle cartelle di dieci anni fa, sono in classe (terza superiore) e al quarto mese di lavoro in un ristorante, terminata la scuola professionale. L’altro ieri, come tutte le domeniche, sono stati come volontari in un istituto di anziani del quartiere Corvetto, insieme ai Giovani per la Pace di Sant’Egidio. Quella di Florina è solo una delle 73 famiglie rom (350 persone) passate dalle baracche di Rubattino alla casa. «È finito il tempo dei topi e delle ruspe» dice. In tutti questi nuclei almeno un adulto lavora, la scolarizzazione dei minori è del 100%, dall’infanzia alle superiori. Le ferite del passato rimangono – due ragazzi hanno diagnosi neuropsichiatriche che rilevano i traumi dovuti agli sgomberi – ma la vicenda di Rubattino rappresenta uno dei più significativi percorsi di integrazione di rom in Italia degli ultimi decenni. È stato realizzato interamente da persone che hanno operato a titolo gratuito: la Comunità di Sant’Egidio e i tanti cittadini che si sono uniti in questa catena di solidarietà. Lo sgombero del 2009 fu una svolta per Milano, perché provocò una reazione inaspettata: insegnanti, cittadini e genitori dei compagni di classe (‘Mamme e Maestre di Rubattino’) aprirono le porte di casa per dare ospitalità alle famiglie sgomberate, centinaia di cittadini si mobilitarono per raccogliere coperte e pasti caldi. Infatti, grazie al lavoro culturale che Sant’Egidio aveva svolto nel quartiere, per tanti residenti i rom non erano più ‘gli zingari’, una categoria infida e minacciosa, ma erano diventati ‘il mio alunno’, ‘il compagno di classe di mia figlia’. I rom erano Florina, Adrian, Cristina. «La risposta della città – disse il cardinale Dionigi Tettamanzi – non può essere l’azione di forza, senza alternative e prospettive, senza finalità costruttive». Fece scalpore la reazione, non contro i rom, ma a favore del diritto allo studio dei bambini, ma la vera notizia è quanto successo nei dieci anni successivi. Quei legami, costruiti all’uscita di scuola ma anche distribuendo una coperta sotto il pilone della tangenziale, non sono terminati. La prova sta nel cellulare di Florina: ci sono i numeri degli amici di Sant’Egidio, quello della maestra che salvò la cartella e della mamma di un compagno di scuola della figlia. Spiega la Comunità, che in questi anni ha coordinato le azioni solidali: «In questi dieci anni ci siamo legati in amicizia attorno a persone rom e abbiamo legato altri, mostrando come la solidarietà possa essere contagiosa. La vicenda di via Rubattino sconfigge la rassegnazione e ci insegna che è più bello per tutti – rom e non rom – vivere gli uni insieme agli altri e non gli uni contro gli altri». (Stefano Pasta – Avvenire)
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«So che stasera state facendo una veglia di preghiera, state pregando. E so che altri stanno camminando, che vengono qui. Belle queste due cose! Pregare e camminare! Nella vita bisogna fare queste due cose: avere il cuore aperto a Dio, perché da Lui riceviamo la forza; e camminare, perché non si può stare fermi nella vita». «Un giovane non può andare in pensione a 20 anni!», esclama il Papa nel filmato in spagnolo, «deve camminare. Sempre oltre, sempre in salita. Qualcuno di voi mi può dire: “Sì, Padre, ma a volte io sono debole e cado”. Non importa! C’è una canzone alpina che dice: “Nell'arte di salire, ciò che conta non è non cadere, ma non rimanere a terra”». «Non rimanere mai a terra», è dunque il consiglio di Papa Francesco, «alzati subito, che qualcuno ti aiuti ad alzarti». Seconda cosa: «Non passare la tua vita seduto sul divano! Vivi la vita, costruisci la vita, fai, vai avanti! Vai sempre avanti nel cammino. Impegnati. E avrai una felicità straordinaria».
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Era un maestro del sorriso, della gentilezza, delle serenità, del rispetto amoroso per il prossimo.
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Aiutava le persone bisognose facendo pervenire loro somme di denaro accompagnate sempre da un biglietto in cui era scritto: “Da parte di un ignoto benefattore che chiede di essere ricordato nelle preghiere”.
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Quando, in Turchia, andava nelle parrocchie, o in qualche istituto a celebrare la Messa, poi gli offrivano una busta con dentro una generosa offerta, ma lui, conoscendo le ristrettezze economiche di quei preti, rifiutava sempre e diceva: “Chissà quale trabocchetto c’è lì dentro: non mi fido di prenderla”. *
In Vaticano c’era l’abitudine di dare un santino con l’effige del Papa benedicente, come ricordo e come ringraziamento per un servizio fatto al Santo Padre. Appena arrivato, Papa Giovanni cambiò quella consuetudine. E quando si presentava l’occasione per ringraziare qualche operaio che aveva fatto un lavoretto, diceva al Segretario: “Mi raccomando, gli dia un santino, ma di quelli che servono per comprare un mazzo di fiori per la moglie”. E questo significava che il “Santino del papa” doveva essere un biglietto da cinque o diecimila lire.
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Si raccoglie ciò che si semina!
giovane ingegnere decise di impiegare un piccolo capitale in agricoltura e comprò un piccolo campo in una pianura fertile. Dal momento che non era proprio esperto di coltivazioni, decise di chiedere informazioni a un vecchio contadino che abitava nei pressi. «Hai visto, Battistin, il mio campicello?». «Ma certo. Confina con i miei», rispose il vecchio. «Vorrei chiederti una cosa, Battistin: credi che il mio campicello potrebbe darmi del buon orzo?». «Orzo? No, signore mio, non credo che questo campo possa dare orzo. Da tanti anni vivo qui e non ho mai visto orzo in questo campo». «E mais?», insistette il giovane. «Credi che il mio campicello possa darmi del mais?». «Mais, figliolo? Non credo che possa dare mais. Per quanto ne so, potrebbe fornire radici, cicorie, erba cipollina e meline acerbe. Ma mais no, non credo proprio». Benché sconcertato, il giovane ingegnere replicò: «E soia? Mi potrebbe dare soia il campicello?». «Soia, dice? Non voglio fare il menagramo, ma io non ho mai visto soia in questo campo. Al massimo, erba alta, un po' di rametti da bruciare, ombra per le mucche e qualche cespuglio di bacche, non di più». Il giovane, stanco di ricevere sempre la stessa risposta, scrollò le spalle e disse: «Va bene, Battistin, ti ringrazio per tutto quello che mi hai detto, ma voglio fare una prova. Seminerò del buon orzo e vediamo che cosa succede!». Il vecchio contadino alzò gli occhi e, con un sorriso malizioso, disse: «Ah, beh. Se lo semina... È tutta un'altra cosa, se lo semina!».
Il contadino e il poeta contadino stanco della solita routine quotidiana, tra campi e duro lavoro, decise di vendere la sua tenuta. Dovendo scrivere il cartello per la vendita decise di chiedere aiuto al suo vicino che possedeva delle doti poetiche innate. Il romantico vicino accettò volentieri e scrisse per lui un cartello che diceva: "Vendo un pezzettino di cielo, adornato da bellissimi fiori e verdi alberi, con un fiume, dall'acqua cosi pura e dal colore più cristallino che abbiate mai visto." Fatto ciò, il poeta dovette assentarsi per un po' di tempo, al suo rientro però, decise di andare a conoscere il suo nuovo vicino. La sua sorpresa fu immensa nel vedere il solito contadino, impegnato nei suoi lavori agricoli. Il poeta domandò quindi: "Amico non sei andato via dalla tenuta?" Il contadino rispose sorridendo: "No, mio caro vicino, dopo aver letto il cartello che avevi scritto, ho capito che possedevo il pezzo più bello della terra e che non ne avrei trovato un altro migliore."
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ta morendo, posto in alto, nudo nel vento, e lo deridono tutti: guardatelo, il re! I più scandalizzati sono i devoti osservanti: ma quale Dio è il tuo, un Dio sconfitto che ti lascia finire così? Si scandalizzano i soldati, gli uomini forti: se sei il re, usa la forza! E per bocca di uno dei crocifissi, con una prepotenza aggressiva, ritorna anche la sfida del diavolo nel deserto: se tu sei il figlio di Dio… (Lc 4,3). La tentazione che il malfattore introduce è ancora più potente: se sei il Cristo, salva te stesso e noi. È la sfida, alta e definitiva, su quale Messia essere; ancora più insidiosa, ora che si aggiungono sconfitta, vergogna, strazio. Fino all’ultimo Gesù deve scegliere quale volto di Dio incarnare: quello di un messia di potere secondo le attese di Israele, o quello di un re che sta in mezzo ai suoi come colui che serve (Lc 22,26); se il messia dei miracoli e della onnipotenza, o quello della tenerezza mite e indomita. C’è un secondo crocifisso però, un assassino “misericordioso”, che prova un moto compassione per il compagno di pena, e vorrebbe difenderlo in quella bolgia, pur nella sua impotenza di inchiodato alla morte, e vorrebbe proteggerlo: non vedi che anche lui è nella stessa nostra pena? Una grande definizione di Dio: Dio è dentro il nostro patire, Dio è crocifisso in tutti gli infiniti crocifissi della storia, Dio che nav ig a in questo fiume di lacrime. Che entra nella morte perché là entra ogni suo figlio. Che mostra come il primo dovere di chi ama è di essere insieme con l’amato. Lui non ha fatto nulla di male. Che bella definizione di Gesù, nitida semplice perfetta: niente di male, per nessuno, mai, solo bene, esclusivamente bene. E Gesù lo conferma fino alla fine, perdona i crocifissori, si preoccupa non di sé ma di chi gli muore accanto e che prima si era preoccupato di lui, instaurando tra i patiboli, sull’orlo della morte, un momento sublime di comunione. E il ladro misericordioso capisce e si aggrappa alla misericordia: ricordati di me quando sarai nel tuo regno. Gesù non solo si ricorderà, ma lo porterà v ia con sé, se lo caricherà sulle spalle, come fa il pastore con la pecora perduta e ritrovata, perché sia più leggero l’ultimo tratto di strada verso casa. Oggi sarai con me in paradiso: la salvezza è un reg alo, non un merito. E se il primo che entra in paradiso è quest’uomo dalla v ita sbagliata, che però sa aggrapparsi al crocifisso amore, allora le porte del cielo resteranno spalancate per sempre per tutti quelli che riconoscono Gesù come loro compagno d’amore e di pena, qualunque sia il loro passato: è questa la Buona Notizia di Gesù Cristo. Padre Ermes Ronchi
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*Foglietto preparato da Parrocchia Cattolica Italiana Virtuale Iasi
. Dio onnipotente ed eterno, che hai voluto rinnovare tutte le cose in Cristo tuo Figlio, Re dell'universo, fa' che ogni creatura, libera dalla schiavitù del peccato, C. La grazia del ti serva e ti lodi senza fine. Per il Signore nostro Ge- nostro Signore Gesù Cristo, tuo sù Cristo, l’amore di Dio Padre e la Figlio, che è Dio, e vive e regna comunione dello Spirito Santo sia- con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli no con tutti voi. T. E con il tuo spirito.
ATTO PENITENZIALE
C. Con la sua morte e la sua risurrezione, il Signore Gesù ci ha liberato dal potere delle tenebre e ci ha resi partecipi della sorte dei santi nella luce. Riconoscenti lo invochiamo, chiedendo perdono per tutte le volte che abbiamo rifiutato questo suo dono regale. Breve pausa di riflessione personale Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la beata sempre vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli, di pregare per me il Signore Dio nostro. C. Dio Onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. T. Amen. Signore, pietà. Signore, pietà. Cristo, pietà Cristo, pietà. Signore, pietà. Signore, pietà.
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Dal secondo libro di Samuele In quei giorni, vennero tutte le tribù d’Israele da Davide a Ebron, e gli dissero: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”». Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d’Israele. R.
Andremo con gioia alla ca sa del Signore. Quale gioia, quando mi dissero: «Andremo alla casa del Signore!». Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme! R/. È là che salgono le tribù, le tribù del Signore, secondo la legge d’Israele, per lodare il nome del Signore. Là sono posti i troni del giudizio, i troni della casa di Davide. R/. Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi Fratelli, ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati. Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!
In quel tempo, dopo che ebbero crocifisso Gesù, il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: og-
gi con me sarai nel paradiso».
di questa vita terrena sappiamo sempre riconoscere in te il nostro re e Signore. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore.. T
C. Accetta, o Padre, questo sacrificio di riconciliazione, e per i meriti del Cristo tuo Figlio concedi a tutti i popoli il dono dell'unità e della pace. Per Cristo nostro Signore.
C. La bellezza e la gloria di Dio non si sono manifestate ai potenti di questo mondo. Sono i poveri e i sofferenti, siamo noi nella nostra condizione di peccatori che possiamo riconoscere in Gesù Cristo il Signore dell’universo. Preghiamo insieme e diciamo: Signore, nel tuo regno ricordati di noi. 1. Perché i potenti della terra ricordino sempre che i popoli che guidano non sono loro proprietà, ma sono affidati alla loro responsabilità. Preghiamo. 2. Perché sappiamo riconoscere nella storia il dispiegarsi del tuo progetto di salvezza. Preghiamo. 3. Perché la ricerca del senso della nostra vita parta sempre dalla consapevolezza del tuo amore. Preghiamo. 4. Perché abbiamo sempre la forza di riconoscerti nel nostro fratello sofferente. Preghiamo. C. O Padre, tante cose si impongono per essere al centro del nostro mondo. Fa’ che nell’incertezza
È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno. Tu con olio di esultanza hai consacrato Sacerdote eterno e Re dell'universo il tuo unico Figlio, Gesù Cristo nostro Signore. Egli, sacrificando se stesso immacolata vittima di pace sull'altare della Croce, operò il mistero dell'umana redenzione; assoggettate al suo potere tutte le creature, offrì alla tua maestà infinita il regno eterno e universale: regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace. E noi, uniti agli Angeli e agli Arcangeli, ai Troni e alle Dominazioni e alla moltitudine dei Cori celesti, cantiamo con voce incessante l'inno della tua gloria: Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell'universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna nell'alto dei cieli. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell'alto dei cieli.
C. O Dio, nostro Padre, che ci hai nutriti con il pane della vita immortale, fa' che obbediamo con gioia a Cristo, Re dell'universo, per vivere senza fine con lui nel suo regno glorioso. Egli vive e regna nei secoli dei secoli.