ADESTE NR. 49 DOMENICA 08 DICEMBRE 2019

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La prima volta che San Francesco andò a Greccio fu intorno al 1209. In quegli anni la popolazione di Greccio era esposta a gravi flagelli: ogni anno campi e vigneti erano devastati dalla grandine. Egli non abitò nel castello, ma si costruì una povera capanna tra due carpini sul Monte Lacerone, detto appunto di San Francesco, monte alto 1204 mt. Il Santo da lì si recava a predicare alle popolazioni della campagna. Gli abitanti di Greccio presero ad amare Francesco e giunsero a tale punto di riconoscenza, per la sua grande opera di rigenerazione, da implorarlo affinché non abbandonasse i loro luoghi e si trattenesse sempre con loro. Il 29 novembre dello stesso anno ebbe la gioia di avere tra le mani la regola munita di bolla pontificia. Siamo ormai alle porte dell'inverno e un pensiero assillante dominava la mente di Francesco: l' avvicinarsi della ricorrenza della nascita del Redentore. Il Santo durante l'udienza pontificia chiese al Papa la licenza di poter rappresentare la natività. Dopo il viaggio in Palestina, Francesco, rimasto molto impressionato da quella visita, aveva conservato una speciale predilezione per il Natale e per Greccio perchè gli ricordava emotivamente Betlemme. Tormentato dal vivo desiderio di dover celebrare quell’anno, nel miglior modo possibile, la nascita del Redentore, giunto a Fonte Colombo, mandò subito a chiamare Giovanni Velita, signore di Greccio, e così disse: "Voglio celebrare teco la notte di Natale. Scegli una grotta dove farai costruire una mangiatoia ed ivi condurrai un bove ed un asinello, e cercherai di riprodurre, per quanto è possibile la grotta di Betlemme! Questo è il mio desiderio, perché voglio vedere, almeno una volta, con i miei occhi, la nascita del Divino infante". Il cavaliere Velita aveva quindici giorni per preparare quanto Francesco desiderava e tutto ordinò con la massima cura ed "il giorno della letizia si avvicinò e giunse il tempo dell'esultanza!". Da più parti, Francesco aveva convocato i frati e tutti gli abitanti di Greccio. Dai luoghi più vicini e lontani mossero verso il bosco con torce e ceri luminosi. Giunse infine il Santo di Dio, vide tutto preparato e ne gode. Greccio fu così la nuova Betlemme! Narra Tommaso da Celano: "fu talmente commosso nel nominare Gesù Cristo, che le sue labbra tremavano, i suoi occhi piangevano e, per non tradire troppo la sua commozione, ogni volta che doveva nominarlo, lo chiamava il Fanciullo di Betlemme. Con la lingua si lambiva le labbra, gustando anche col palato tutta la dolcezza di quella parola e a guisa di pecora che bela dicendo Betlemme, riempiva la bocca con la voce o meglio con la dolcezza della commozione". Si racconta che Francesco vide il bambino nella mangiatoia scuotersi e venirgli ad accarezzare il viso.

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Le case e i palazzi in rovina «Una parola – osserva il Papa – meritano i paesaggi che fanno parte del presepe e che spesso rappresentano le rovine di case e palazzi antichi, che in alcuni casi sostituiscono la grotta di Betlemme e diventano l’abitazione della Santa Famiglia. Quelle rovine sono soprattutto il segno visibile dell’umanità decaduta, di tutto ciò che va in rovina, che è corrotto e intristito. Questo scenario dice che Gesù è la novità in mezzo a un mondo vecchio, ed è venuto a guarire e ricostruire, a riportare la nostra vita e il mondo al loro splendore originario». •

Pastore, pecore e montagne

«Quanta emozione – aggiunge il Papa – dovrebbe accompagnarci mentre collochiamo nel presepe le montagne, i ruscelli, le pecore e i pastori! In questo modo ricordiamo, come avevano preannunciato i profeti, che tutto il creato partecipa alla festa della venuta del Messia. Gli angeli e la stella cometa sono il segno che noi pure siamo chiamati a metterci in cammino per raggiungere la grotta e adorare il Signore». •

Le statuine dei mendicanti Nei nostri presepi siamo soliti mettere tante statuine simboliche. «Anzitutto – prosegue – quelle di mendicanti e di gente che non conosce altra abbondanza se non quella del cuore. Anche loro stanno vicine a Gesù Bambino a pieno titolo, senza che nessuno possa sfrattarle o allontanarle da una culla talmente improvvisata che i poveri attorno ad essa non stonano affatto. I poveri, anzi, sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi». I poveri e i semplici nel presepe «ricordano che Dio si fa uomo per quelli che più sentono il bisogno del suo amore e chiedono la sua vicinanza. Gesù, «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), è nato povero, ha condotto una vita semplice per insegnarci a cogliere l’essenziale e vivere di esso».

La statua di Maria Poco alla volta, continua il Papa, «il presepe ci conduce alla grotta, dove troviamo le statuine di Maria e di Giuseppe. Maria è una mamma che contempla il suo bambino e lo mostra a quanti vengono a visitarlo. La sua statuetta fa pensare al grande mistero che ha coinvolto questa ragazza quando Dio ha bussato alla porta del suo cuore immacolato. All’annuncio dell’angelo che le chiedeva di diventare la madre di Dio, Maria rispose con obbedienza piena e totale. Le sue parole: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38), sono per tutti noi la testimonianza di 3


come abbandonarsi nella fede alla volontà di Dio». •

La statua di Giuseppe Accanto a Maria, in atteggiamento di proteggere il Bambino e la sua mamma, c’è San Giuseppe. «In genere – evidenzia Papa Francesco – è raffigurato con il bastone in mano, e a volte anche mentre regge una lampada. San Giuseppe svolge un ruolo molto importante nella vita di Gesù e di Maria. Lui è il custode che non si stanca mai di proteggere la sua famiglia. Quando Dio lo avvertirà della minaccia di Erode, non esiterà a mettersi in viaggio ed emigrare in Egitto (cfr Mt 2,13-15). E una volta passato il pericolo, riporterà la famiglia a Nazareth, dove sarà il primo educatore di Gesù fanciullo e adolescente. Giuseppe portava nel cuore il grande mistero che avvolgeva Gesù e Maria sua sposa, e da uomo giusto si è sempre affidato alla volontà di Dio e l’ha messa in pratica».

La statuina del Bambino Gesù Il cuore del presepe, incalza il pontefice, «comincia a palpitare quando, a Natale, vi deponiamo la statuina di Gesù Bambino. Dio si presenta così, in un bambino, per farsi accogliere tra le nostre braccia. Nella debolezza e nella fragilità nasconde la sua potenza che tutto crea e trasforma. Sembra impossibile, eppure è così: in Gesù Dio è stato bambino e in questa condizione ha voluto rivelare la grandezza del suo amore, che si manifesta in un sorriso e nel tendere le sue mani verso chiunque. La nascita di un bambino suscita gioia e stupore, perché pone dinanzi al grande mistero della vita. Vedendo brillare gli occhi dei giovani sposi davanti al loro figlio appena nato, comprendiamo i sentimenti di Maria e Giuseppe che guardando il bambino Gesù percepivano la presenza di Dio nella loro vita».

Le statuine dei Re Magi Quando si avvicina la festa dell’Epifania, conclude il Papa, «si collocano nel presepe le tre statuine dei Re Magi. Osservando la stella, quei saggi e ricchi signori dell’Oriente si erano messi in cammino verso Betlemme per conoscere Gesù, e offrirgli in dono oro, incenso e mirra. Anche questi regali hanno un significato allegorico: l’oro onora la regalità di Gesù; l’incenso la sua divinità; la mirra la sua santa umanità che conoscerà la morte e la sepoltura». «Guardando questa scena nel presepe – chiosa – siamo chiamati a riflettere sulla responsabilità che ogni cristiano ha di essere evangelizzatore. Ognuno di noi si fa portatore della Bella Notizia presso quanti incontra, testimoniando la gioia di aver incontrato Gesù e il suo amore con concrete azioni di misericordia». 4


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momento più atteso dell’anno. Le case si vestono a festa e, tra le luci colorate, le famiglie si riuniscono per trascorrere insieme giornate di spensieratezza. Ma c’è un’attesa ancora più dolce che esplode con la nascita di Gesù. Una festa nella festa per i bambini che, tradizionalmente, ricevono a Natale doni. Ogni paese ha la sua favola da raccontare, da Babbo Natale all’angelo, passando per i re magi e per la Befana. C’è infatti un filo rosso che collega latitudini lontane, che avvicina ed entusiasma. Lo scambio dei regali, la speranza, il dare e ricevere amore. Tradizioni e culture diverse si incontrano nel giorno di Natale.

con la forza.

serebbe le vie dei borghi portando giochi e dolciumi ai piccoli. Lucia visse al tempo delle persecuzioni cristiane a Siracusa e morì da martire. Venerata dalla Chiesa cattolica e ortodossa, viene considerata protettrice degli occhi che secondo la tradizione popolare le furono strappati

Gesù Bambino Il Natale cristiano, senza la sua nascita, non esisterebbe. In molte regioni d’Italia e d’Europa, è proprio lui, Gesù Bambino a portare i doni ai più piccoli. Anche in Calabria questa tradizione si è mantenuta per secoli. E non solo. Pare infatti che il Christkind o semplicemente Bambino Gesù, venga atteso con fede anche in Germania, Svizzera, Slovenia, Ungheria e Austria. Persino in Alto Adige. Lascia i doni sotto l’albero la notte della Vigilia di Natale.

Babbo Natale È sicuramente il personaggio connesso alle festività natalizie più conosciuto al mondo. Unisce Vecchio e Nuovo Continente mantenendo caratteristiche differenti. In particolare, in Svezia troviamo “Jultomte” che in sella ad una slitta trainata da renne, parte dalla Lapponia la notte della vigilia, gettando doni davanti agli usci delle case. Lo accompagnano i “Julenissen”, dei piccoli folletti provenienti dal folklore popolare. Con una sola renna, invece, fa visita ai piccoli in Finlandia, “Joulupukki”. Santa Claus è il nome con cui viene identificato Babbo Natale negli Stati Uniti e nella Gran Bretagna. Nella sua missione di consegna-doni, viene aiutato da un team di folletti vestiti di verde. Singolari, le tradizioni in Cecoslovacchia. Oltre Babbo Natale, giungono ad interrogare i bimbi sulle condotte un diavolo con gli zoccoli e un angelo. Mentre il diavolo lascia carbone ai cattivi, l’angelo provvede a premiare i buoni. In Danimarca, sono gli stessi bambini a vestirsi come folletti, giocando e combinando innocue marachelle. In Russia, infine, regna protagonista Ded Moroz o Nonno gelo (foto dagospia) che passeggia sulla tradizionale slitta “troika”, condotta da tre cavalli e padroneggia le avversità del clima invernale. Il mito di Babbo Natale si collega alla storia di san Nicola, vissuto nel IV secolo, vescovo di Myra (odierna Turchia). Il santo avrebbe donato la dote a tre fanciulle per consentire loro di convolare a nozze e non finire per strada. Versione mantenuta in Polonia.

I re magi Dalla penisola iberica un’altra curiosa novità. Qui sono i re magi ad essere attesi con il loro prezioso carico di regali. Sono i “Los Reyes” e grandi e piccini, in vista dell’Epifania, usano scambiarsi dei pensieri. Sempre il 6 gennaio, in molte località vengono organizzate delle sfilate. Dai carri, i re magi elargiscono dolci e caramelle.

San Basilio I bambini greci attendono con gioia il primo gennaio. La sera del primo dell’anno, infatti, a chi ha mantenuto un buon comportamento, è San Basilio ad offrire regali. Balli e canti per strada, concludono la festa.

La Befana Non viaggia in prima classe come Babbo Natale e non viene aiutata da un esercito di folletti saltellanti. Ma, nel tempo, ha conquistato il cuore dei bambini con le sue “scarpe tutte rotte” e “Il cappello alla romana”. Con la sua scopa sorvola i cieli nella notte tra il 5 e 6 gennaio e lascia dolciumi ai buoni, carbone per i monelli. Secondo la tradizione cristiana, i magi, sopraggiunti a Betlemme bussarono alla porta di una vecchina per avere indicazioni sul luogo della nascita di Gesù. Ma l’anziana, indicato il cammino, si rifiutò di unirsi a loro, per poi pentirsene. Uscita di casa con un cesto di doni, quando si rese conto di non poter più raggiungere i magi, iniziò a distribuire regali ai bambini.

Santa Lucia Nelle zone settentrionali d’ Italia e anche nei paesi del Nord, come in Svezia (foto Meteoweb), a portare i doni è santa Lucia. Appare come una figura vestita di bianco con in testa delle candele sempre accese. In occasione del 13 dicembre, infatti, la giovane attraver5


Il 13 Dicembre ricorre la memoria di Santa Lucia. Santa Lucia e’ la patrona di Greci, paese in Dobrogea nel quale vivono ancora famiglie originarie dall’Italia giunte qui per le immigrazioni del 1800/1900

Un villaggio della Dobrugia romena dove tutt'oggi vivono i discendenti di famiglie friulane e venete emigrate alla fine dell'Ottocento. 02/03/2016 - Eugenio Berra

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obrugia, estremo lembo sud orientale della Romania affacciato sul Mar Nero. Ultima regione romena ad esser stata liberata dall'Impero Ottomano a seguito del congresso di Berlino del 1878. Come ha scritto Giuseppe Cossuto, è questo il luogo dove "i cavalli delle potenti confederazioni nomadi turche si sono fermati per abbeverarsi, pronti per lanciare nuovi attacchi verso i territori bizantini. Dove la «migrazione dei popoli» si ferma e costruisce città, senza perdere la sua essenza nomade. E' la Scithya Minor degli autori classici, la punta pronunciata dell'Asia incognita ed immensa inserita verso il cuore dell'Europa nota, tra le steppe scitiche e le ricche città portuali di raffinata civiltà urbana. E' il rifugio, lungo i secoli, di santi e guerrieri ottomani e anti-ottomani. E', in poche parole, il limes e la koinè".

Verso est In effetti, a guardarlo bene, il profilo dei monti Macin che si staglia attorno al paese di Greci – il nome deriva da un antico insediamento di contadini greci giunti nel tredicesimo secolo e dediti prevalentemente alla coltivazione di legumi – ricorda le pendici del monte Jouf in Val Colvera. E’ forse anche per questo che diverse famiglie provenienti dalle valli attorno a Maniago, Poffabro, Pordenone e alcuni anche dalla veneta Rovigo, dopo una breve sosta in Transilvania decisero di fondare qui le basi di una comunità sopravvissuta ad un secolo e mezzo di storia. Siamo attorno alla metà dell'Ottocento, quando parte del nord-est italiano – sotto la corona austroungarica come molti territori dell’Europa sud-orientale – stroncato da carestie ed epidemie, intraprese la strada dell’emigrazione verso est. Attirati dalla richiesta da parte dei latifondisti romeni di manodopera specializzata, di “mestieri” – tagliapietre, carpentieri, muratori, piastrellisti, fabbri, agricoltori e altri che vennero impiegati nei lavori delle costruzioni ferroviarie di fine e inizio secolo – intere famiglie partirono dal FriuliVenezia Giulia verso la Romania Austro-Ungarica e Ottomana. Tra il 1870 e 1880 erano presenti qualche centinaio di persone, mentre nel decennio successivo la cifra si aggira attorno alle settemila anime; nel primo ventennio del XX secolo vivevano in Romania oltre sessantamila uomini e donne provenienti dal Friuli–Venezia Giulia e, in misura minore, dal Veneto. A Greci, come nella vicina Iacobdeal, si trovavano due importanti cave di un particolare granito proveniente dai monti Ernici. Con questa pietra dura e resistente (la più resistente del mondo, dicono) è stato costruito il famoso ponte di Cernavodă, l’u6


nico ad attraversare il Danubio in territorio romeno. A seguito della nascita del regno di Romania (marzo 1881) sono i consolati a gestire i flussi migratori. Tra il 1880 e 1890, attirati da promesse di ricchezza e prosperità, decine di uomini friulani, con famiglie al seguito, arrivano a Greci per lavorare nella vicina cava. In breve tempo il paese, complice anche la presenza di migliaia di ettari di terreno coltivabile, diviene un importante centro economico della regione. Col passare dei decenni accanto a friulani e veneti si aggiungono famiglie provenienti dalla Campania (in particolare dalla zona di Caserta) e dopo il 1945 diversi italiani fuggiti dalla Dalmazia. Gli anni a cavallo della Seconda guerra mondiale rappresentano il momento di maggior estensione della comunità friulana di Greci giunta ad un numero imprecisato tra le quattrocento e seicento persone, per poi ridursi nel corso dei decenni alle circa settanta donne e i pochissimi uomini che vi abitano oggi. Se i mariti sono morti negli ultimi quindici anni, i figli sono partiti per l'Italia già all'inizio degli anni novanta, quando alla caduta del regime di Ceauceşcu si è aggiunta nel 1992 la chiusura della cava in quanto l'anno prima tutta l'area del Delta è diventata patrimonio dell'umanità Unesco.

Broskari Durante il mio primo viaggio a Greci ho avuto la possibilità di chiacchierare con Otilia Bataiola, presidente dell’associazione dei Friulani di Greci. Seduto in una piccola sala ricolma di libri, tra edizioni romene di Pavese, Proust e Verne, mi sono lasciato guidare dal lento cadenzare della voce di Otilia – un elegante italiano appena tradito da inflessioni venete – nelle affascinanti narrazioni celate dietro a questo piccolo paese: "Mio nonno paterno emigrò assieme ad una trentina di persone a Iaşi, vecchia capitale del Principato di Moldavia, per lavorare nelle risaie della zona. Trovandosi però senza strutture abitative per affrontare il gelido inverno alle porte furono trasferiti in Dobrugia e precisamente nel villaggio di Cataloi, a una quindicina di chilometri da Tulcea, dove il governo romeno assegnò loro diversi ettari di terreno coltivabile. I primi insediamenti di italiani in questo paese risalgono agli anni '40 e '50 dell'Ottocento, e ancor oggi in centro si può camminare lungo «strada italienilor», la strada degli italiani. Qui nacque mio padre". Inizialmente i matrimoni avvenivano solo tra italiani, e in casa si parlava sia friulano che veneto. Col tempo è rimasto solo quest'ultimo dialetto in quanto più vicino all'italiano rispetto ai complessi idiomi friulani: "Quando non ci si voleva far capire dai bambini si passava al friulano. Che dialetto complicato! Io stessa ho finito per imparare solo il veneto". A partire dalla seconda generazione hanno inizio i matrimoni misti con i membri di una comunità romena sempre più numerosa: l'inizio del Novecento è contrassegnato infatti dalle politiche di colonizzazione etnica ed omogeneizzazione culturale della Dobrugia attuate dal governo romeno, tese a stabilire una maggioranza autoctona controbilanciando così la presenza turco-tatara sino a quel momento predominante. “L’integrazione, se così si può definire, è stata lenta ma senza grandi conflitti: già dopo la prima generazione i matrimoni misti so7


no stati la normalità, io stessa mi sono sposata con un romeno… ci chiamavano «broskari», i mangiatori di rane. Così un giorno, per vendicarsi, i nostri preparano un bel pranzo a base di rane impanate e invitano gli amici romeni dicendo loro «venite venite che abbiamo preparato uccelletti per tutti!»”. La chiesa di Santa Lucia è stata costruita tra il 1904 e il 1912. La famiglia Vals dona cinquemila metri quadrati del proprio terreno al fine di costruire la chiesa cattolica di Greci, e così nel 1912 il parroco tedesco Gustav Muller può celebrare la prima messa. “Ogni anno, il tredici dicembre, ci si ritrova davanti alla chiesa insieme a tutti gli italiani di Romania con radici a Greci per celebrare la festa di S. Lucia, patrona della vista – scelta molto probabilmente per proteggere gli occhi degli uomini che lavoravano nelle cave. In passato però i momenti di ritrovo erano molto più frequenti. Di pomeriggio si giocava a bocce nella casa col cortile più ampio, poi la sera mentre gli uomini bevevano vino e chiacchieravano le ragazze danzavano e intonavano vecchi canti friulani come Castel da Udine. Ne ricordo ancora le parole, tramandatemi da mia madre…” Ai tempi del mio primo viaggio in Dobrugia il parroco della chiesa di Santa Lucia era Vicenzo Pal, poi purtroppo venuto a mancare. Di origini magiare, è stato professore di storia delle religioni e direttore del Liceo cattolico di Bucarest. Dopo aver trascorso cinque anni presso il Santuario di Madonna delle Grazie, a Città di Castello, decise di trasferirsi qui a Greci. Per “ricostruire invece che demolire”, come mi disse egli stesso, "ciò che resta della comunità cattolica". Qui a Greci non c’è stata una fede che ha prevaricato sull’altra, tant’è che Vicenzo Pal e il pope locale erano legati da una buona amicizia. Molto più semplicemente, “nella miriade di matrimoni misti, laddove la ‘parte’ cattolica era più forte, quella ortodossa si convertiva; e così il contrario.” In breve tempo don Vicenzo riportò in vita la parrocchia, mise in piedi un doposcuola gratuito durante il quale insegnò a tutti i bambini del paese (non solo italiani, non solo cattolici, pure la figlia del pope era un’assidua frequentatrice) la lingua italiana e inglese; una volta al mese iniziò a celebrare la messa in italiano, “per un ritorno alla lingua italiana slegato dai vari dialetti che pure sono rimasti tra la popolazione anziana” e durante l’estate si mise ad organizzare gite di gruppo ed iniziative di ogni genere. “Sino alla Seconda guerra mondiale qui venivano solo preti italiani. Poi dopo il ’45 furono sostituiti da preti romeni che pero sostavano per periodi brevissimi: fu a partire da questo decennio che si è iniziato a perdere l’uso della lingua italiana, anche a seguito della chiusura da parte del governo romeno dell’unica scuola italiana del paese”. La missione di don Vicenzo era di preservare l’identità linguisticoculturale della comunità italiana, a rischio estinzione: "Nel 2005 volevano persino chiudere la parrocchia. Così ho fatto le valigie e in un mese ero di ritorno dall’Italia. Dopo aver scritto una lettera al vescovo di Bucarest, ho ricevuto il permesso di trasferirmi a Greci e provare a far rimanere in vita la parrocchia. Insomma mi son dovuto nominare da solo parroco di Greci”. 8


La giornata dell’Onu rimarca l’importanza della Dichiarazione universale dei diritti umani celebrando e promuovendo tali diritti. Non importa che tu sia uomo, donna o bambino, che tu parli cinese o tedesco, che la tua pelle sia color dell’ebano o bianca come la neve, hai dei diritti inalienabili e come tutti gli esseri umani “nasci libero ed eguale in dignità e diritti”. O almeno in teoria, visto che tali diritti vengono quotidianamente calpestati in tutto il mondo, sono molti infatti i paesi in conflitto nei quali la popolazione civile viene privata dei più elementari diritti. Tali violazioni non mancano neppure all’interno dei confini nazionali, in Italia troviamo infatti ingiustizie rivolte ad alcune fasce di popolazione e verso gli immigrati. In molte aree del mondo gli schiavi esistono ancora e hanno molte facce, dai bambini costretti a lavorare ai braccianti agricoli sottoposti a condizioni di lavoro massacranti

Perché il 10 dicembre Il 10 dicembre 1948, a Parigi, l’assemblea generale delle Nazioni Unite proclamò la Dichiarazione universale dei diritti umani. Il 10 dicembre è pertanto la data scelta dall’Onu per celebrare la Giornata mondiale dei diritti umani, istituita nel 1950.

Cos’è la Dichiarazione universale dei diritti umani La Dichiarazione universale è composta da trenta articoli che sanciscono diritti ripartiti in civili, politici, economici, sociali e culturali e che vanno dal divieto di tortura e di condizioni degradanti nelle carceri, al diritto ad un equo processo e alla presunzione di non colpevolezza, fino al diritto di cittadinanza e di libera circolazione delle persone.

Un mondo senza diritti L’obiettivo della giornata è quello di diffondere il messaggio di uguaglianza contenuto nella Dichiarazione universale dei diritti umani celebrando tali diritti ed educando governi e persone a rispettarli. Eppure oggi quest’obiettivo sembra davvero lontano, l’instabilità internazionale, e il trattamento che molte nazioni riservano ai migranti danno l’impressione che i diritti umani siano stati derubricati a mero orpello, non più caposaldo intorno cui costruire la società.

Tante specie, un unico desiderio In fondo tutte le persone, anzi più precisamente tutte le creature viventi, a qualsiasi specie appartengano, catapultate volenti o nolenti su questa palla di pietra che ruota nello spazio che chiamiamo Terra, desiderano solo essere libere e felici, assicurando una discendenza alla propria specie.

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Prima esecuzione dell’Inno di Mameli:

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n'azione patriottica nel pieno di una cerimonia religiosa. Così si presentò per la prima volta in pubblico il Canto degli italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli, dal nome di colui che gli diede anima e parole (la musicò il compositore Michele Novaro). L'episodio avvenne un venerdì di dicembre del 1847. Il calendario segnava il giorno 10, che per i Genovesi coincideva con una manifestazione religiosa molto sentita: la cerimonia dello scioglimento del voto in occasione dell'apparizione della Madonna a fra Candido Giusso, di cui ricorreva in quell'anno il centunesimo anniversario. Come da tradizione, si teneva una processione che richiamava tutta la cittadinanza e che aveva termine sulla spianata di Oregina (quartiere sito nella parte alta del capoluogo ligure), all'ingresso del santuario di Nostra Signora di Loreto. L'occasione fu ritenuta propizia dal movimento rivoluzionario ispirato alle idee unitarie di Giuseppe Mazzini, che pensò di sfruttarla per organizzare una dimostrazione di forte impatto patriottico. Ispiratore dell'iniziativa fu il poeta Goffredo Mameli, patriota e fervente mazziniano, che a soli vent'anni aveva scritto un inno patriottico, il Canto degli Italiani, destinato ad entrare nella storia di un popolo. Radunati sulla spianata circa 20mila patrioti, provenienti da diverse regioni, Mameli attese che il folto corteo religioso si avvicinasse e al momento opportuno diede inizio alla manifestazione. Al segnale convenuto tutti i presenti, accompagnati dalla banda municipale "Casimiro Corradi" di Sestri Ponente, iniziarono a cantare le note di Fratelli d’Italia, mentre Mameli e Luigi Paris sventolavano il Tricolore sfidando la repressione della polizia austriaca. Considerato un simbolo rivoluzionario dagli Austriaci (era già stato utilizzato nei moti rivoluzionari degli anni Venti e Trenta), chi osava esporre la bandiera con i colori verde-bianco-rosso andava incontro a pene durissime. Ciò amplificò il valore patriottico dell'iniziativa e da quella data Inno e Tricolore assunsero per la prima volta i significati simbolici che tuttora vengono loro attribuiti. Poche settimane dopo sarebbero scoppiati i Moti del '48 e non più tardi la Prima guerra d'indipendenza, da cui iniziò il lungo e faticoso cammino verso l'Unità d'Italia. Bisogna aspettare un secolo, tuttavia, perché il Canto degli Italiani venga assunto come inno nazionale, seppur in via provvisoria. Nonostante una proposta di modifica all'articolo 12 della Costituzione Italiana, presentata nel 2006, rimane l'inno della Repubblica solo de facto. Dal novembre 2012 una legge ne rende obbligatorio l'insegnamento nelle scuole. Il 15 novembre 2017, finalmente, la commissione Affari Costituzionali del Senato approva in via definitiva il disegno di legge che riconosce il testo del Canto degli italiani di Goffredo Mameli, e lo spartito musicale originale di Michele Novaro, quale inno nazionale della Repubblica Italiana.

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statua dell’Immacolata con una coperta isotermica: l’idea è del parroco di Cercola (comune alle falde del Vesuvio), don Vincenzo Lionetti che, nel giorno dedicato alla titolare della parrocchia “Immacolata Concezione”, vuole lanciare un messaggio alla comunità. «Mi è venuta in mente una mamma salvata dalle acque con in braccio un bambino, entrambi spaventati e tramortiti. Coloro che li hanno soccorsi hanno messo sulle loro spalle una semplice coperta isotermica per ripararli dal freddo», ha spiegato don Vincenzo alla comunità, riunita ieri sera per l’adorazione eucaristica. Ed ha aggiunto: «Quella coperta è sulle spalle di Maria, pronta a vivere il disagio e il pericolo. Nel cuore di Maria troviamo accoglienza. Maria ci insegni la capacità di accogliere. Natale è la festa dell’accoglienza. Impariamo da lei come accogliere chi non vuole nessuno». «Una coperta isotermica costa meno di due euro – ha aggiunto ancora il sacerdote– e noi spesso neghiamo anche questo ai nostri fratelli che arrivano dai paesi più lontani: per loro può significare la vita, noi non riusciamo a rinunciare al superfluo». Don Vincenzo ha sottolineato ai fedeli, che guida come parroco da 14 anni, oltre ad essere responsabile del Servizio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della diocesi di Napoli, che «Maria è colei che per prima è stata vittima dei pregiudizi, che ha rinunciato alle sue sicurezze, che non ha trovato accoglienza, che ha viaggiato, che ha conosciuto il rifiuto di tanti: spero che questo possa servirci a riflettere. Ad aprire cuori e porte». La frase scelta del parroco Perciò, accanto alla statua della Madonna, la frase di Norman Norman Blann Rice, primo sindaco di Seattle, afroamericano, eletto in carica per due mandati (dal 1990 al 1997): «abbiate il coraggio di posare la vostra mano nel buio per portare un’altra mano nella luce». La statua della Madonna sarà l’unico simbolo scelto per questo Natale: sarà esposta fino al 6 gennaio. «In questi tempi le nostre chiese si trasformano in bomboniere, con decorazioni scintillanti, noi abbiamo scelto di riflettere. In sobrietà». 11


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’angelo Gabriele, lo stesso che «stava ritto alla destra dell’altare del profumo» (Lc 1,11), è volato via dall’incredulità di Zaccaria, via dall’immensa spianata del tempio, verso una casetta qualunque, un monolocale di povera gente. Straordinario e sorprendente viaggio: dal sacerdote anziano a una ragazza, dalla Città di Dio a un paesino senza storia della meticcia Galilea, dal sacro al profano. Il cristianesimo non inizia al tempio, ma in una casa. La prima parola dell’angelo, il primo “Vangelo” che apre il vangelo, è: rallegrati, gioisci, sii felice. Apriti alla gioia, come una porta si apre al sole: Dio è qui, ti stringe in un abbraccio, in una promessa di felicità. Le parole che seguono svelano il perché della gioia: sei piena di grazia. Maria non è piena di grazia perché ha risposto “sì” a Dio, ma perché Dio per primo ha detto “sì” a lei, senza condizioni. E dice “sì” a ciascuno di noi, prima di qualsiasi nostra risposta. Che io sia amato dipende da Dio, non dipende da me. Quel suo nome, “Amata-persempre” è anche il nostro nome: buoni e meno buoni, ognuno amato per sempre. Piccoli o grandi, tutti continuamente riempiti di cielo. Il Signore è con te. Quando nella Bibbia Dio dice a qualcuno “io sono con te” gli sta consegnando un futuro bellissimo e arduo (R. Virgili). Lo convoca a diventare partner della storia più grande. Darai alla luce un bimbo, che sarà figlio della terra e figlio del cielo, figlio tuo e figlio dell’Altissimo, e siederà sul trono di David per sempre. La prima parola di Maria non è il “sì” che ci saremmo aspettati, ma la sospensione di una domanda: come avverrà questo? Matura e intelligente, vuole capire per quali vie si colmerà la distanza tra lei e l’affresco che l’angelo dipinge, con parole mai udite… Porre domande a Dio non è mancare di fede, anzi è voler crescere nella consapevolezza. La risposta dell’angelo ha i toni del libro dell’Esodo, di una nube oscura e luminosa insieme, che copre la tenda, la riempie di presenza. Ma vi risuona anche la voce cara del libro della vita e degli affetti: è il sesto mese della cugina Elisabetta. Maria è afferrata da quel turbinio di vita, ne è coinvolta: ecco la serva del Signore. Nella Bibbia la serva non è “la domestica, la donna di servizio”. Serva del re è la regina, la seconda dopo il re: il tuo progetto sarà il mio, la tua storia la mia storia, Tu sei il Dio dell’alleanza, e io tua alleata. Sono la serva, e dice: sono l’alleata del Signore delle alleanze. Come quello di Maria, anche il nostro “eccomi!” può cambiare la storia. Con il loro “sì” o il loro “no” al progetto di Dio, tutti possono incidere nascite e alleanze sul calendario della vita. Padre Ermes Ronchi


Bucarest: Preasfantul Mantuitor (Biserica italiana),

Domenica ore 11:15; Adresa: b-dul. Nicolae Balcescu, nr. 28, sector 1, Bucureşti tel./fax: 021-314.18.57, don Valeriano Giacomelli mail:valeriangiac@gmail.com Tel.: 0787 804666 –0039 3341335596 Sabato, prefestiva alle ore 18,00 a: Centrul "Don Orione", b-dul. Eroilor 124-126 Voluntari.

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Iasi: Cappella dell’Istituto San Luigi Orione, Soș Rediu 22 Iasi: Domenica ore 11,00 Istituto S. Luigi Orione – Iasi, Don Alessandro Lembo Tel 0749469169 Mail: Alelembo73@gmail.com

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Cluj: Chiesa romano-cattolica dei Piaristi. Strada Uni-

versitatii nr. 5, conosciuta anche come Biserica Universitatii” din Cluj-Napoca. Don Veres Stelian, tel 0745 386527 Mail: veresstelian@yahoo.com Domenica alle ore 12,00

Alba Iulia:

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Domenica ore 11:00 nella Chiesa di Sant'Antonio-Piata Maniu Iuliu nr. 15. Don Horvath Istvan , tel 0745 020262

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Timisoara: Chiesa Sfanta Fecioara Maria Regina Timisoara II (Fabric). Str Stefan Cel Mare 19. Domenica ore 18:00. Don Janos Kapor Tel 0788 811266 Mail:parohiafabric@googlemail.com



*Foglietto preparato da Parrocchia Cattolica Italiana Virtuale Iasi

C. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi. T. E con il tuo spirito.

ATTO PENITENZIALE

verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio. La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi. Il lupo dimorerà insieme con l'agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l'orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare. In quel giorno avverrà che la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa.

C. Fratelli e sorelle, per celebrare degnamente i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati. Breve pausa di riflessione personale Signore, che sei il difensore dei poveri, abbi pietà di noi. T. Signore, pietà. Cristo, che sei il rifugio dei deboli, abbi pietà di noi. T. Cristo, pietà. Signore, che sei la speranza dei peccatori, abbi pietà di noi. T. Signore, pietà C. Dio Onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eter- R. Vieni, Signore, re di giustizia e di pace. na. O Dio, affida al re il tuo diritT. Amen. to, al figlio di re la tua giustizia; egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia e i tuoi poveri secondo il diritto. R. Preghiamo: Dio dei viventi, Nei suoi giorni fiorisca il giususcita in noi il desiderio di una vera conversione, perché rinnovati sto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna. E dòmini da mare a dal tuo Santo Spirito sappiamo atmare, dal fiume sino ai confini deltuare in ogni rapporto umano la giustizia, la mitezza e la pace, che la terra. R. Perché egli libererà il misero che l’incarnazione del tuo Verbo ha invoca e il povero che non trova fatto germogliare sulla terra. aiuto. Abbia pietà del debole e del T. misero e salvi la vita dei miseri. R. . Il suo nome duri in eterno, davanti al sole germogli il suo nome. In lui siano benedette tutte le Dal libro del profeta Isaìa In quel giorno, un germoglio spun- stirpi della terra e tutte le genti lo terà dal tronco di Iesse, un virgulto dicano beato. R. germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d'intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la

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preghiamo. R. Per noi qui presenti, perché nell'attesa del Signore ci convertiamo a una scelta di vita in cui l'uomo valga soprattutto per quello che è e non per quanto possiede, preghiamo. R. C. Venga in nostro aiuto il tuo Santo Spirito, o Dio fonte della vita, e il nostro impegno evangelico diventi germe dei nuovi cieli e della nuova terra che il Cristo verrà a instaurare nell'ultimo giorno. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. T

C. Ti siano, gradite, Signore, le nostre umili offerte e preghiere; all'estrema povertà dei nostri meriti supplica l'aiuto della tua misericordia. Per Cristo nostro Signore.

C. Fratelli carissimi, invochiamo Dio, datore di ogni bene, perché ci aiuti ad accogliere nella fede la venuta del Salvatore. Preghiamo Insieme e diciamo: Venga il tuo regno, Signore. Per i popoli che non conoscono il Vangelo, perché la solidarietà delle comunità cristiane li prepari ad accogliere il Salvatore, preghiamo. R. Per la giustizia e la pace nel mondo, perché gli egoismi, le chiusure e gli interessi di parte cedano il posto alla vera fraternità, preghiamo. R. Per i poveri, gli oppressi, gli sfruttati, perché la loro causa trovi un giusto riconoscimento in una società più aperta e sensibile, preghiamo. R. Per i seminaristi che domani vengono ordinati diaconi: perché, sostenuti dalla preghiera della comunità cristiana, si apprestino ad accogliere con fiducia le responsabilità che verranno loro affidate.

E' veramente giusto renderti grazie a innalzare a te l'inno di benedizione e di lode, Padre onnipotente, principio e fine di tutte le cose. Tu ci hai nascosto il giorno e l'ora, in cui il Cristo tuo Figlio, Signore e giudice della storia, apparirà sulle nubi del cielo rivestito di potenza e splendore. In quel giorno tremendo e glorioso passerà il mondo presente e sorgeranno cieli nuovi e terra nuova. Ora egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perchè lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell'amore la beata speranza del suo regno. Nell'attesa del suo ultimo avvento, insieme agli angeli e ai santi, cantiamo unanimi l'inno della tua gloria: Santo,Santo,Santo….

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O Dio, che in questo sacramento ci hai nutriti con il pane della vita, insegnaci a valutare con i sapienza i beni della terra, nella continua ricerca dei beni del cielo. Per Cristo nostro Signore. .


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