Adeste nr 18 domenica 29 aprile 2018c

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erusalemme, il deserto del Neghev, Haifa, Tel Aviv e Be'er Sheva, la città di Abramo. Siamo stati nei luoghi delle prime tre tappe della corsa rosa 2018 che parte il 4 maggio. Nel 2013, “Ginettaccio” è stato riconosciuto “Giusto tra le nazioni” per aver salvato centinaia di ebrei italiani dalla Shoah. È lui il padre nobile di questo giro numero 101 che per la prima volta nella storia parte fuori dall'Europa.

Venire a patti con il deserto. Farlo fiorire, secondo l’utopia biblica fatta propria da Ben Gurion, il fondatore dello Stato di Israele, che con la moglie Paula si ritirò nel kibbutz di Sde-Boker, nel Neghev, dove morì nel 1973. Sarà un colpo d’occhio suggestivo ammirare il serpentone dei corridori del Giro d’Italia che il 6 maggio arriverà nel cuore del deserto israeliano, dove funghi di pietra, archi naturali e colonne a forma di sfinge (come quelle di Timna Park) tratteggiano un paesaggio unico al mondo. Il resto è solo silenzio. Buono per meditare e scoprire come ogni pietra, da queste parti, evoca storie, passioni, lotte che si perdono nella notte dei tempi e in quell’alfabeto colorato della nostra civiltà che è la Bibbia. Il Giro d’Italia, quest’anno, parte proprio da qui. Non sembri una scelta stravagante o contraddittoria, perché non lo è. La corsa rosa è (anche) storia di simboli. E il simbolo più evocativo che ha dato l’idea per questa partenza fuori dall’Europa – la prima nella storia della gara – è quello di Gino Bartali. Il suo nome è scolpito nella pietra, in cima alla seconda colonna dedicata agli italiani, nel Giardino dei Giusti a Gerusalemme. Non c’è più Andrea, il figlio di Ginettaccio, a mostrarlo con orgoglio. Ma ci sarà la nipote Gioia, figlia di Andrea, che qualche mese fa è venuta in visita allo Yad Vashem, il Memoriale dell’Olocausto. Bartali nel 2013 è stato riconosciuto “Giusto tra le nazioni” per aver contribuito a salvare centinaia di ebrei italiani dalla deportazione nei campi di sterminio. È lui il padre nobile di questo Giro numero 101

di Emiliano Morozzi

la canicola arroventa le strade di Francia, teatro del Tour, dai transalpini definita la più importante gara a tappe del mondo. I corridori stanno scalando i duri tornanti del Col du Galibier, in attesa che il padrone del Tour metta in atto la sua promessa: attaccare e lasciare, dopo l’arrivo al Sestriere, gli avversari a una distanza di almeno dieci minuti. Il fotografo lo immortala nell’attimo esatto in cui avviene lo scambio di borraccia con un compagno: davanti la maglia gialla, la faccia e il naso adunco protese in avanti, come a voler fendere l’aria rarefatta di


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montagna, dietro il compagno di squadra, quello dal “naso triste come una salita, la faccia allegra da italiano in gita“, come cantava Paolo Nella foto non si capisce chi è che passa la borraccia all’altro, e se da un lato questo mistero divide i tifosi dei due corridori, dall’altro trasforma subito la foto in un’icona: simbolo di una nazione che è sì divisa, ma che vuole ritrovare un’unità, ma soprattutto simbolo di una grande rivalità sportiva, che in corsa a volte degenera, ma che fuori dalla corsa si trasforma in profonda amicizia e reciproco rispetto. Per descrivere la grandezza delle imprese di Coppi, non si può dimenticare lo sconfitto, ed anche se a volte Bartali non era l’avversario da battere, i due erano attori perfetti per creare la contrapposizione: divisi non solo dalla rivalità sportiva, ma anche dallo stile di vita (sanguigno e amante del bere e del cibo Bartali, schivo e scrupolosissimo nella preparazione alla corsa Coppi) e dalle idee politiche, anche se sul dualismo Coppi comunista – Bartali democristiano ci sarebbe da discutere. La rivalità sportiva tra Coppi e Bartali nasce prima della guerra: siamo nel Maggio 1940, l’Italia si gode la quiete prima di essere travolta dalla tempesta. Si corre il Giro d’Italia, e Bartali, capitano della Legnano, punta a ottenere il tris, ma i sogni di gloria del toscano durano poco: nella seconda tappa, scendendo verso Genova un cane gli taglia la strada, e la rovinosa caduta gli fa perdere minuti preziosi e lo esclude dalla lotta per la rosa. Si arriva alla Firenze – Modena e sull’Abetone un suo gregario si invola da solo in mezzo alla tempesta, semina tutti e arriva al traguardo conquistando il simbolo del primato: il suo nome è Fausto Coppi, quel Coppi che lo stesso Ginettaccio aveva voluto alla sua corte. Tutti sono pronti a osannare il nuovo campione, ma Bartali avverte: “Chi va forte in pianura paga dazio in montagna“. Il toscano, che è corridore d’esperienza ma ha anche un gran fiuto nel valutare gli avversari, ha già capito di che pasta è fatto Coppi: se Ginettaccio è duro come legno di quercia e nei momenti di crisi sa tenere duro, Coppi è cristallo puro, brillante ma anche mentalmente fragile. Sulle Dolomiti la maglia rosa accusa una tremenda crisi, scende di bici e medita il ritiro, ma lì Bartali sveste i panni del capitano e indossa quelli del gregario, facendo di tutto per convincere Coppi, con le buone o con le cattive, a ripartire: gli butta brutalmente della neve fredda in faccia, lo insulta, lo scuote. Tuona Gino: “Sei un acquaiolo Coppi! Sei solo un’acquaiolo“, ovvero un corridore che si arrende alle prime difficoltà, che non sa stringere i denti, che non diventerà mai un campione. Spronato, quasi sospinto di peso dal proprio capitano, Coppi si riprende e vince il suo primo Giro d’Italia, pochi giorni prima dell’entrata dell’Italia in guerra. Le strade dei due si dividono, per tornare ad intrecciarsi nel dopoguerra, dando vita a una straordinaria rivalità sportiva. Sfide che a volte degenerano in atteggiamenti poco edificanti, come al campionato del mondo di Valkenburg nel 1948, quando Coppi e Bartali, invece di fare gioco di squadra, fecero di tutto per ostacolarsi a vicenda, finirono per ritirarsi entrambi e furono addirittura squalificati dalla Federazione per un mese. Se al Giro i due si dividono, al Tour de France l’anomala formula delle squadre nazionali li costringe a correre sotto la stessa bandiera e insieme i due compiono imprese leggendarie: le vittorie di Fausto al Tour del 1949 e del 1952 sono ottenute grazie anche al valido aiuto di Bartali, e i due spesso arrivano insieme al traguardo, quasi a braccetto. Se in corsa Bartali e Coppi si comportano come cane e gatto, fuori dalle competizioni i due mantengono una salda amicizia. A questo proposito, celebre è la puntata del Musichiere del 1950, quando i due ospiti si prestano al gioco e rievocano le loro imprese e soprattutto i loro dispetti ai danni l’uno dell’altro: lo “schiaffo morale” di Coppi al vincitore Bartali sulle Dolomiti al Giro del 1946, la vittoria di Bartali al Giro di Toscana del 1953, e tanti altri episodi che hanno caratterizzato la rivalità sportiva tra i due. Sempre nello stesso 1959, Bartali, ormai ritirato dalle corse, si ricicla come direttore sportivo fondando una squadra per rilanciare l’amico Coppi scegliendolo come capitano. I due tornano uniti in corsa come avevano fatto venti anni prima, ma ancora una volta il destino ci mette lo zampino: durante una corsa esibizione in Alto Volta, Coppi contrae la malaria, i medici sbagliano la diagnosi e all’alba del 2 Gennaio 1960,il Campionissimo muore. Divisi per sempre dalla vita, Bartali e Coppi torneranno insieme alla ribalta qualche decina d’anni dopo: alla morte del toscano, una borraccia contesa tra le mani dei due diventerà il simbolo della loro indissolubile unione nel mito.


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“O Signore, Padre Santo, avremmo necessità urgente di un politico che rispecchiasse le doti di lealtà, onestà, alta moralità, coerenza, spirito di sacrificio e sommo valore, che assommasti nel tuo (nostro) caro Gino Bartali e che lo condussero persino a rischiare la pelle, tra il ’43 e il 1944, pur di sottrarre agli artigli nazifascisti 800 cittadini italiani di fede ebraica, di un rappresentante delle Istituzioni, dunque, che con il suo fulgido esempio trascinasse questa nostra Nazione allo sbando in una magnifica, ideale volata a tagliare il traguardo di una rinascita. Salvaci, infine, dai “bomba” e dai “grilli” in circolazione. Ascoltaci, o Signore!”


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Non puoi fare offerte alla Chiesa sulle spalle dell'ingiustizia che fai con i tuoi dipendenti. È un peccato gravissimo: è usare Dio per coprire l'ingiustizia". Lo afferma Papa Francesco, secondo cui "non è un buon cristiano" chi non tratta bene la sua comunità, le persone che da lui dipendono, siano essi familiari o lavoratori. "Se uno va a messa la domenica e fa la comunione, gli si può chiedere: 'Com'è il rapporto con i tuoi dipendenti? Li paghi in nero? Paghi il salario giusto? Versi i contributi per la pensione?".

Nell'omelia alla Messa mattutina a Casa Santa Marta, Jorge Mario Bergoglio ha invitato i cristiani, specie in Quaresima, a vivere coerentemente l'amore a Dio e l'amore al prossimo. In particolare il Papa ha messo dunque in guardia da chi invia un assegno alla Chiesa e poi si comporta ingiustamente con i suoi dipendenti. Commentando le letture, il Pontefice ha subito sottolineato che bisogna distinguere tra "il formale e il reale": per il Signore, ha osservato, non va bene il digiuno, non mangiare la carne, se ma poi si litiga e si sfruttano gli operai. Ecco perché Gesù ha condannato i farisei perché facevano "tante osservanze esteriori, ma senza la verità del cuore". Secondo Bergoglio, è peccato gravissimo usare Dio per coprire l'ingiustizia. Così, se uno va a Messa tutte le domeniche e fa la comunione, gli si può chiedere: "E com' è il tuo rapporto con i tuoi dipendenti? Li paghi in nero? Paghi loro il salario giusto? Anche versi i contributi per la pensione? Per assicurare la salute?. Quanti, quanti uomini e donne di fede, hanno fede ma dividono le tavole della legge: 'Sì, sì io faccio questo' - 'Ma tu fai elemosina?' - 'Sì, sì, sempre io invio un assegno alla Chiesa' - ''Ah, beh, va bene. Ma alla tua Chiesa, a casa tua, con quelli che dipendono da te - siano i figli, siano i nonni, siano i dipendenti - sei generoso, sei giusto?'. Tu non puoi fare offerte alla Chiesa sulle spalle della ingiustizia che fai con i tuoi dipendenti. Questo è un peccato gravissimo: è usare Dio per coprire l'ingiustizia". Il Papa va oltre e dice che "non è un buon cristiano quello che non fa giustizia con le persone che dipendono da lui". E non è un buon cristiano, ha aggiunto, "quello che non si spoglia di qualcosa necessaria a lui per dare a un altro che abbia bisogno". Il cammino della Quaresima, ha detto ancora, "è questo, è doppio, a Dio e al prossimo: cioè, è reale, non è meramente formale. Non è non mangiare carne solamente il venerdì, fare qualcosina, e poi fare crescere l'egoismo, lo sfruttamento del prossimo, l'ignoranza dei poveri". C'è chi, ha raccontato il Papa, se ha bisogno di curarsi va in ospedale e siccome è socio di una mutua subito viene visitato. "E' una cosa buona - ha commentato il Papa - ringrazia il Signore. Ma, dimmi, hai pensato a quelli che non hanno questo rapporto sociale con l'ospedale e quando arrivano devono aspettare 6, 7, 8 ore?", anche "per una cosa urgente".


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Quando parlavamo con due barattoli legati a un filo... IL FONOBARATTOLO "TELEFONO" DI BRUNO (Un semplice baracchino Ante-litteram) Chissà perchè sono in molti, mi chiedevo cinquant’anni orsono, a chiamarlo “telefono senza fili”, mentre era proprio un semplice filo teso tra due barattoli a farla da protagonista. Nella memoria dei più anziani si confondono ricordi legati ai successi di Marconi ed alle sue trasmissioni di notizie attraverso l'etere. Non dobbiamo però dimenticare che già negli anni Trenta il telefono aveva una sua diffusione, ancorchè limitata alle famiglie più abbienti. Di qui il desiderio di possedere uno strumento così misterioso e affascinante, costruito con quello che c’era a disposizione. L’idea di riproporlo, magari ai più piccoli come un divertente gioco d’altri tempi, mi è ritornata alla mente grazie proprio ad un caro ricordo della mia infanzia, di quando in quel di via Palestro all'11/15, l’amico Bruno, allora studente iscritto alla Facoltà di Fisica dell'Università di Genova, che assieme a mio padre si dilettava con i trasformatori di Tesla, nel suo piccolo laboratorio allestito in uno sgabuzzino della terrazza di fronte alla nostra, ed accendeva con quel sistema alla distanza di circa un metro i tubi catodici (RCT) dell’allora televisione in B/N: tubi forniti dai recuperi del laboratorio di mio padre. Bruno, allora, accortosi che io giocavo, urlando a squarciagola con il mio coetaneo dirimpettaio. Sì, certo, dirimpettaio a vista d’occhio (?), giacchè egli, Luigi, si trovava su di un terrazzo dell’edificio di fronte a quello dove mi trovavo (Bruno era nel mezzo e più in basso), approssimativamente ad una distanza di cinquanta metri. Bruno, allora, ci venne in aiuto e costruì per noi questo telefono a filo: due barattoli di conserva ed un lungo spago. Escogitò anche una particolare fionda per poter lanciare sul terrazzo di Luigi uno dei barattoli con il suo filo. Da quel giorno e per molto tempo ancora, quello fu il mezzo di comunicazione prediletto tra me e Luigi, il nostro telefono personale: un fantastico gioco che la nostra fantasia arricchiva con fantastiche avventure. Grazie Bruno, con due barattoli e un poco di filo hai reso la nostra infanzia più allegra e felice, e hai rinvigorito, almeno per me, che seguivo il lavoro di mio padre, quel lumicino che già ardeva sulla scienza delle comunicazioni. (Ricordo personale di Luciano Bezerédy/ web alice) Metà degli anni cinquanta del secolo scorso


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Istituito il servizio postale nazionale: Garantire le comunicazioni tra i cittadini, preservandone l'inviolabilità, fu una questione prioritaria tra quelle affrontate all'indomani della nascita dello Stato unitario. L'istituzione del servizio postale introdusse per la prima volta nella vita degli italiani il concetto di "servizio pubblico". Mentre il primo parlamento dell'Italia unita iniziava a mettere mano all'assetto amministrativo del Paese, partendo dalla proclamazione di Vittorio Emanuele II a Re d'Italia (atto costitutivo del Regno d'Italia, 17 marzo 1861), Cavour incaricò il direttore delle Poste del Regno sardo, conte Giovanni Battista Barbavara di Gravellona, di riorganizzare la rete nazionale postale. Il primo passo fu di legare il settore della comunicazione a quello dei mezzi di trasporto, inserendo tra le competenze del Ministero dei Lavori Pubblici la gestione dei servizi delle poste, dei procacci e dei telegrafi, unitamente a quella delle ferrovie, indispensabile mezzo di smistamento della corrispondenza in luogo delle vecchie carrozze a cavalli. Nella primavera dell'anno successivo giunse a compimento l'iter legislativo: il 5 maggio 1862 il Parlamento approvò la legge n° 604 che istituiva il servizio nazionale delle Regie Poste. Il provvedimento era costituito dai seguenti punti cardine: l'affermazione del concetto di "servizio pubblico"; la creazione del monopolio statale attraverso l'abolizione di tutte le concessioni private; la tutela della privacy della corrispondenza; l'introduzione di una tariffa unica mediante l'utilizzo del francobollo. Sul piano amministrativo, la legge istituiva una Direzione generale da cui dipendevano 18 direzioni compartimentali e 2.383 direzioni locali. Lo sviluppo della rete ferroviaria aumentò il traffico della corrispondenza, rendendolo più sicuro e rapido. Ciò favorì anche le transazioni economiche a grandi distanze, che in quel periodo trovarono un efficace strumento nel vaglia postale, utilizzato soprattutto dai numerosi emigranti che così potevano offrire un sostegno economico alle rispettive famiglie rimaste in Italia. Nel 1874 iniziarono a circolare le cartoline (inventate nel 1869 dall'austriaco Hermann Emmanuel), al costo di dieci centesimi, impresse con l'effigie di Vittorio Emanuele II e che ritraevano monumenti celebri come il Vittoriano e il Colosseo, accanto a scene di vita quotidiana. Due anni dopo le Poste iniziarono a fare concorrenza agli istituti bancari, dando vita alle casse di risparmio ed emettendo i libretti di risparmio, che garantivano un forma di deposito finanziario più sicura. L'invenzione del telegrafo senza fili di Guglielmo Marconi, nel 1896, rivoluzionò il modo di comunicare sul territorio nazionale e con l'estero, al punto che tre anni dopo si pensò di istituire un ministero ad hoc: il Ministero delle Poste e Telegrafi. Da qui cominciò una storia diversa, che vide le Poste accompagnare gli Italiani nelle trasformazioni tecnologiche e sociali del XX secolo. Ad esempio, per il lancio del segnale televisivo della RAI nel 1954, la cui trasmissione fu possibile grazie ai ponti radio della rete postale. Gli anni Novanta segnarono la trasformazione in ente pubblico economico con il nome di Poste Italiane, diventando poi una Società per Azioni nel 1998.


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Le Siberie dietro casa


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an Giuseppe, ci dispiace ricordarlo, è il santo più bistrattato dai contemporanei. E’ considerato un membro marginale della Sacra Famiglia, posto sempre alle spalle della Vergine Maria e di Gesù. E’ una presenza muta sulla scena e nulla più. Non è il padre di Gesù e non pare avere la stessa visibilità di Maria. È tutto vero? O sono i tipici discorsi un po’ qualunquisti e un po’ anticristiani ? San Giuseppe è per noi moderni la soluzione a tutti i problemi. Di fronte alla latitanza del padre, con figli sbandati e famiglie sfasciate, è il genitore presente nella vita di Gesù. Lo educa, l’accudisce e gli insegna il mestiere del falegname. E’ un padre devoto, buono e laborioso e non ha mai mancato alla sua “speciale missione”. San Giuseppe, che poniamo nel Presepe, non è una comparsa, è “il santo più importante dopo la Vergine Maria”, affermava il Beato Pio IX che lo proclamerà non a caso patrono della Chiesa Cattolica nel 1870. Perché questo tributo papale? Basta leggere i Vangeli per trovare la soluzione a tutte le nostre domande. Dio si Incarna nel seno della Vergine Maria per divenire uomo, il Figlio. Lo può fare tramite la materia e “secondo la natura umana”: il concepimento e il parto all’interno di una famiglia, formata, ricordiamolo, da un padre e una madre. Gesù entra nella storia dirompente, accudito e sostenuto da una famiglia, perché è, nei piani di Dio, il fondamento dell’umanità. San Giuseppe accoglie con fede e devotamente l’annuncio del concepimento e della nascita di Gesù e sempre con ossequio adempie al suo ruolo di padre. Cristo è così Vero Dio, “della stessa sostanza del Padre”, e Vero Uomo, concepito da Maria e allevato dalla Vergine e da San Giuseppe. Pur essendo una figura “silenziosa” è comunque una personalità attiva e fondamentale perché sostenta la Sacra Famiglia ed è un santo educatore, un “padre modello”. Nella società di padri “liquidi” è il Genitore. L’unico vero “papà” (umano). Le virtù mostrate nell’educare Cristo sono le stesse che Pio XII identificava nell’esperienza del “lavoro”. Lavorare significa svolgere con devozione e al meglio il proprio mestiere per il sostentamento della propria famiglia. Come San Giuseppe fece il falegname crescendo il piccolo Gesù, così il lavoratore lavora per portare il “pane in tavola”. Sembra oggi una questione banale, ma rispecchia il messaggio di carità, di dono di sé, del Vangelo. Il 1° maggio si celebra Sa Giuseppe Artigiano, patrono dei mestieri e delle professioni per “santificare” questa preziosa e virtuosa attività umana. Siamo abituati al classico “concertone”, ma è una ricorrenza laica ormai decontestualizzata. Di fronte alle nuove sfide socio – economiche non possiamo non affidarci a San Giuseppe, il padre di Gesù, che ha saputo con devozione dare seguito alla sua “missione”, anche nelle insidie. Con un santo così, non abbiamo più bisogno di Carlo Marx!


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na vite e un vignaiolo: cosa c’è di più semplice e familiare? Una pianta con i tralci carichi di grappoli; un contadino che la cura con le mani che conoscono la terra e la corteccia: mi incanta questo ritratto che Gesù fa di sé, di noi e del Padre. Dice Dio con le semplici parole della vita e del lavoro, parole profumate di sole e di sudore. Non posso avere paura di un Dio così, che mi lavora con tutto il suo impegno, perché io mi gonfi di frutti succosi, frutti di festa e di gioia. Un Dio che mi sta addosso, mi tocca, mi conduce, mi pota. Un Dio che mi vuole lussureggiante. Non puoi avere paura di un Dio così, ma solo sorrisi. Io sono la vite, quella vera. Cristo vite, io tralcio. Io e lui, la stessa cosa, stessa pianta, stessa vita, unica radice, una sola linfa. Novità appassionata. Gesù afferma qualcosa di rivoluzionario: Io la vite, voi i tralci. Siamo prolungamento di quel ceppo, siamo composti della stessa materia, come scintille di un braciere, come gocce dell’oceano, come il respiro nell’aria. Gesù-vite spinge incessantemente la linfa verso l’ultimo mio tralcio, verso l’ultima gemma, che io dorma o vegli, e non dipende da me, dipende da lui. E io succhio da lui vita dolcissima e forte. Dio che mi scorri dentro, che mi vuoi più vivo e più fecondo. Quale tralcio desidererebbe staccarsi dalla pianta? Perché mai vorrebbe desiderare la morte? E il mio padre è il vignaiolo: un Dio contadino, che si dà da fare attorno a me, non impugna lo scettro ma la zappa, non siede sul trono ma sul muretto della mia vigna. A contemplarmi. Con occhi belli di speranza. Ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto. Potare la vite non significa amputare, bensì togliere il superfluo e dare forza; ha lo scopo di eliminare il vecchio e far nascere il nuovo. Qualsiasi contadino lo sa: la potatura è un dono per la pianta. Così il mio Dio contadino mi lavora, con un solo obiettivo: la fioritura di tutto ciò che di più bello e promettente pulsa in me. Tra il ceppo e i tralci della vite, la comunione è data dalla linfa che sale e si diffonde fino all’ultima punta dell’ultima foglia. C’è un amore che sale nel mondo, che circola lungo i ceppi di tutte le vigne, nei filari di tutte le esistenze, un amore che si arrampica e irrora ogni fibra. E l’ho percepito tante volte nelle stagioni del mio inverno, nei giorni del mio scontento; l’ho visto aprire esistenze che sembravano finite, far ripartire famiglie che sembravano distrutte. E perfino le mie spine ha fatto rifiorire. «Siamo immersi in un oceano d’amore e non ce ne rendiamo conto» (G. Vannucci). In una sorgente inesauribile, a cui puoi sempre attingere, e che non verrà mai meno.


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+Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. A. Amen. C. Il Dio della speranza, che ci riempie di ogni gioia e pace nella fede per la potenza dello Spirito Santo, sia con tutti voi. A. E con il tuo spirito. INTRODUZIONE DEL CELEBRANTE ATTO PENITENZIALE CONFESSO a Dio onnipotente e a voi, fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la beata sempre vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli, di pregare per me il Signore Dio nostro. C. Dio Onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. A. Amen. Signore, pietà. Signore, pietà. Cristo, pietà. Cristo, pietà. Signore, pietà. Signore, pietà. GLORIA Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. Signore, figlio unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre, tu che togli i peccati dal mondo abbi pietà di noi; tu che togli i peccati dal mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l'Altissimo, Gesù Cristo, con lo Spirito Santo: nella gloria di Dio Padre. Amen. COLLETTA C. O Dio, che ci hai inseriti in Cristo come tralci nella vera vite, donaci il tuo Spirito, perché, amandoci gli uni gli altri di sincero amore, diventiamo primizie di un'umanità nuova e portiamo frutti di santità e di pace. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. A. Amen

LITURGIA DELLA PAROLA Prima Lettura Dagli Atti degli Apostoli In quei giorni, Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo. Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso. La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero. Parola di Dio. A. Rendiamo grazie a Dio. SALMO RESPONSORIALE R. Alleluia, alleluia, alleluia. Scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli. I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano; il vostro cuore viva per sempre! R/. Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra; davanti a te si prostreranno tutte le famiglie dei popoli. R/. A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere. R/. Ma io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunceranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: «Ecco l’opera del Signore!». R/. Seconda Lettura Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa.

Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato. Parola di Dio. A. Rendiamo grazie a Dio Canto al Vangelo ALLELUIA. ALLELUIA Rimanete in me ed io in voi, dice il Signore; chi rimane in me porta molto frutto. ALLELUIA. ALLELUIA C. Il Signore sia con voi A. E con il tuo spirito. C. Dal Vangelo secondo GIOVANNI A. Gloria a te o Signore VANGELO n quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli». Parola del Signore A. Lode a te, o Cristo. OMELIA ( seduti) CREDO


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Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen. PREGHIERA DEI FEDELI C. Il Signore ci assicura che qualunque cosa chiediamo al Padre, egli ce la concederà; con fiducia rivolgiamo a lui le nostre invocazioni. Preghiamo insieme e diciamo: Padre, sia fatta la tua volontà. 1. Perché la Chiesa, sull'esempio della prima comunità cristiana, sia sempre aperta ad accogliere la novità dello Spirito, superando ogni diffidenza e paura, preghiamo. 2. Perché tutti i cristiani riconoscano di essere testimoni del Vangelo e siano sempre animati dalla forza dello Spirito Santo che ci viene continuamente donato, preghiamo. 3. Per tutti coloro che sono provati da situazioni di dolore, di malattia, di divisioni familiari, perché possano sentire sempre che rimangono uniti a Cristo, come i tralci alla vite, preghiamo. 4. Perché tutti noi in questo tempo pasquale gustiamo la gioia di essere figli di Dio, e la comunichiamo

agli altri attraverso atteggiamenti di serenità e di sguardo positivo sul mondo, preghiamo. C. Padre, nella tua volontà è la nostra pace. Tu, che ci hai fatto la grazia di diventare tuoi discepoli, fa' che, rimanendo uniti a te, possiamo portare molto frutto a lode della tua gloria. Per Cristo nostro Signore. .A. Amen LITURGIA EUCARISTICA C. Pregate, fratelli e sorelle, perché portando all’altare la gioia e la fatica di ogni giorno, ci disponiamo a offrire il sacrificio gradito a Dio Padre onnipotente. A. Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa. (in piedi) SULLE OFFERTE C. O Dio, che in questo scambio di doni ci fai partecipare alla comunione con te, unico e sommo bene, concedi che la luce della tua verità sia testimoniata dalla nostra vita. Per Cristo nostro Signore. A. Amen. PREGHIERA EUCARISTICA C. Il Signore sia con voi. A. E con il tuo spirito. C. In alto i nostri cuori. A. Sono rivolti al Signore. C. RendiamograziealSignorenostroDio. A. E’ cosa buona e giusta È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, proclamare sempre la tua gloria, o Signore, e soprattutto esaltarti in questo tempo nel quale Cristo, nostra Pasqua, si è immolato. Offrendo il suo corpo sulla croce, diede compimento ai sacrifici antichi, e donandosi per la nostra redenzione, divenne altare, vittima e sacerdotale. Per questo mistero, nella pienezza della gioia pasquale, l'umanità esulta su tutta la terra, e con l'assemblea degli angeli e dei santi canta l'inno della tua gloria: Santo, Santo, Santo… C. Mistero della fede A. Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta. DOPOLA PREGHIERA EUCARISTICA C. Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te Dio, Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. A. Amen C. Obbedienti alla parola del Salvatore e formati al suo divino

insegnamento, osiamo dire: PADRE NOSTRO Padre nostro che sei nei cieli, / sia santificato il tuo nome; / venga il tuo regno;/ sia fatta la tua volontà, / come in cielo così in terra. / Dacci oggi il nostro pane quotidiano, / e rimetti a noi i nostri debiti / come noi li rimettiamo ai nostri debitori,/ e non ci indurre in tentazione,/ ma liberaci dal male». C. Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni, e con l'aiuto della tua misericordia vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell'attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo. A. Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli R ITO DELLA PACE C. Signore Gesu’ che hai detto ai tuoi apostoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” non guardare ai nostri peccati ma alla fede della tua Chiesa, e donale unità e pace secondo la tua volontà. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. A. Amen C. La pace del Signore sia sempre con voi. A. E con il tuo spirito. C Come figli del Dio della pace, scambiatevi un gesto di comunione fraterna. A. Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi.(2 VOLTE) Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, dona a noi la pace. C. Beati gli invitati alla cena del Signore Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. A. O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato. DOPO LA COMUNIONE C. Assisti, Signore, il tuo popolo, che hai colmato della grazia di questi santi misteri, e fa' che passiamo dalla decadenza del peccato alla pienezza della vita nuova. Per Cristo nostro Signore. A. Amen. C. Il Signore sia con voi. A. E con il tuo spirito. C. Vi benedica Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo. A. Amen. C. Nel nome del Signore: andate in pace. A. Rendiamo grazie a Dio


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