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Maria Cristina Cantù Il Pio Albergo Trivulzio
from LETTER TO MILAN
by Jaca Book
In La città sale, appare la folla, che è serbatoio di elettricità. Viene qui scomposta in una gamma di gradazioni cromatiche infuocate. Si celebra il trionfo della gassosità. Si disintegra ogni unità. Individui e ambiente si confondono, tra vapori, evanescenze, illuminazioni artificiali, sostanze volatili, costanti modificazioni. Nel ritmo urbano, infatti, il permanente e il mutevole si sovrappongono. Si compie il tripudio dell’ondeggiante, del fuggitivo, dell’infinito. Sullo sfondo, Milano. Che dà senso della vertigine, trasmettendo emozioni, enfasi. Irradiata da baluginii elettrici, da abiti vistosi, da risse improvvise, da insegne enfatiche, offre allo sguardo un ininterrotto gioco di corrispondenze. Vengono evocati i luoghi del rinnovamento. Dinanzi a noi – simultaneamente – tante figure. La piazza, il moto dei tram, la stazione con il conforto sbuffante dei treni, i caffè, i locali notturni. E, poi: la danza di chi va e viene, di chi si ritrova e si smarrisce. E ancora: i nottambuli, gli ubriachi e le prostitute, tra specchi, abiti. Sfioramenti e scontri, risse e incontri. Ardore, agitazione: un’“esagerazione vitalistica” di psicologie e di comportamenti. È il trionfo di un realismo “perfino urtante” (come ha sottolineato Paolo Fossati).
Impegnato a innalzare un altare alla vibrante vita moderna, Boccioni coglie la molteplicità dei movimenti, tra continuità e reiterazioni. Non si limita a tradurre liricamente l’emozione: ne è preso, assorbito, fino a precipitare in un abisso. Sembra guardare verso tutte le direzioni, contemporaneamente: mai di faccia, sempre di profilo, secondo infiniti scorci, che si rincorrono e si elidono a vicenda. Non ha nessun bisogno di esaltare il suo desiderio di fuga – ne è prigioniero e vittima.
Sembra quasi di sentire i palpiti della metropoli. Quei sussulti che Russolo studierà e assemblerà in una partitura intitolata Risveglio di una città (1913), sorretto dal desiderio di recuperare eterogenei flussi sonori, per mimare i ritmi della quotidianità: rombi, tonfi, boati, fischi, brusii, stridori, scricchiolii, fruscii, crepitii, grida, strilli, gemiti, urla, risate, rantoli, singhiozzi.
Influenzato dal rumorismo onomatopeico marinettiano, Russolo scriverà: «Noi vogliamo intonare e regolare armonicamente e ritmicamente questi svariatissimi rumori. Intonare i rumori non vuol dire togliere ad essi tutti i movimenti di vibrazioni irregolari di tempo e d’intensità, ma bensì dare un grado o un tono alla più forte e predominante di queste vibrazioni, il rumore infatti si differenzia dal suono solo in quanto le vibrazioni che lo producono sono confuse ed irregolari […]: Ogni rumore ha un tono, talora anche un accordo che predomina nell’insieme delle sue vibrazioni irregolari». Ero diretta ieri verso via Conservatorio. Attraversato corso di Porta Vittoria, su un tavolino, disposto a ridosso della facciata della chiesa di S. Pietro in Gessate, vedo due uomini di mezza età che giocano a carte. Cupi, concentratissimi, attendono qualche segnale dalla Dea fortuna sul portone di casa di un Santo assente, o forse troppo indaffarato a portare conforto ai milanesi, spaventati davanti a una inimmaginata pandemia.
Ecco la città della Moda e del Terziario, dei Commerci e delle Startup, della magniloquenza verticale e globale, che ridiscende a un più modesto piano terreno. I grattacieli si sono momentaneamente messi a sedere, azzardano un futuro prossimo in cui sarà il caso a governare, o, in momenti più visionari, si ripensano provando a guardarsi con altri occhi.
Oltrepassato il liceo Leonardo da Vinci in via Ottorino Respighi, arrivo in via Conservatorio. Sono giorni silenziosi questi, ma dalle finestre delle aule, scendono ancora giù, nel giardino alle spalle di Palazzo Archinto, e nella piazza di Santa Maria della Passione, musiche di ottavini, flauti, violini e percussioni. Sono studenti, impegnati in esecuzioni ancora incerte, nella quotidiana lotta contro passaggi complessi, alla conquista della precisione, purezza e bellezza del suono.
Qui studiavo la musica e il violino negli anni intorno al Sessantotto.
Negli anni delle bombe, di piazza Fontana, delle manifestazioni, degli attentati incendiari, dei licei e degli atenei in rivolta, varcare la soglia del Conservatorio, voleva dire entrare in un luogo metafisico, austero, iconoclasta. Completamente estraneo all’aria di un tempo, che qui, poteva prendere significato solo se trascritto su pentagramma. A pochi metri di distanza, fra queste strade, c’erano occupazioni, cariche di polizia, fughe di studenti.
In Conservatorio, le fughe erano solo quelle di Bach.
Le prime occupazioni e i primi manifesti politici si vedranno, in questo cortile, solo a partire dal 1971. Figuriamoci la sorpresa, quando nel 1976 circa, in una sezione del Pci di piazza Aquileia, una fra le tante che avevano subito attentati incendiari, incontrai il compositore Davide Anzaghi. Era il mio maestro di Teoria Musicale. Aristocratico, sensibile, un meraviglioso insegnante. Mai avrei potuto immaginarlo militante fra comunisti. Non estremisti, certo, ma pur sempre comunisti.
Ero una ragazzina, andavo in Conservatorio con il mio violino tutti i giorni.
Abitavo vicino a piazza Michelangelo Buonarroti, nel mio paesaggio quotidiano c’era il monumento a Verdi,
Senza troppo rumore
MANUELA BERTOLI
Musicista
posto davanti alla sua Casa di riposo per musicisti, quella che alcuni chiamano “l’opera postuma di Verdi”, che, con la sua facciata medievaleggiante e le sue finestre bifore e trifore, protegge la vecchiaia di musicisti senza piu fortuna.
Di fronte, ricordo la villetta novecentesca dove viveva Maria Callas con Meneghini. Oggi c’e una targa che la ricorda, ma la casa è un’altra, un palazzo moderno, che ne ha preso il posto. Adesso è la casa di Tex Willer. È la sede dell’editore Bonelli, suo creatore.
In Conservatorio, la musica Contemporanea, quella delle Avanguardie Storiche, e dei compositori contemporanei, entra solo nel 1967.
Nel 1969 iniziano i primi corsi di Musica Elettroacustica in collaborazione con lo Studio di fonologia musicale della Rai in corso Sempione, fondato nel 1955 da Luciano Berio e da Bruno Maderna, nato per realizzare i commenti sonori per la radio e la televisione. Angelo Paccagnini era il direttore dello Studio, fu lui a creare una delle prime cattedre di Musica elettronica in Conservatorio. Da quella data, tutto cambierà.
Cara Milano, eri un un po’ sorda e un po’ ostile a queste confuse e potenti innovazioni, ma eri diventata un punto di riferimento importantissimo per nuovi linguaggi espressivi.
Allo Studio di fonologia della Rai, si stava creando una sintesi delle esperienze concrete ed elettroacustiche che si compivano in quel momento fra Parigi e Colonia. Tutta una generazione di compositori, Donatoni, Nono, Manzoni, Clementi, Cage, producevano in quegli studi, nuove sonorità e anche nuove relazioni con le altre arti.
Architetti, poeti, pittori erano parte di questa avventura. Gli oscillatori, le apparecchiature per la generazione di onde sinusoidali, quadre, di rumore bianco, non potevano non affascinare anche gli artisti, che a loro volta producevano installazioni e opere sonore, basate anche su procedimenti algoritmici, aleatori, o sul calcolo delle probabilità. Il discusso Silenzio di John Cage, il profetico “4’33”, nei primi mesi dell’anno ha esteso drammaticamente la sua durata. È stata, ancora una volta, un’esperienza sconvolgente.
Il Silenzio ha invaso le tue strade, Milano, lasciando stupore, timore e imbarazzo. E durante questa esecuzione, nessuno è uscito sbattendo la porta, sconcertato.
Cara Milano, ti abbraccio così, senza troppo rumore. Milano è la città nella quale sono nata nel lontano febbraio 1945, quando ancora cadevano dal cielo le bombe, le macerie riempivano le strade, il cibo non si trovava e mio padre faceva la fila davanti al convento dei frati francescani dell’Angelicum per portare una gavetta di minestra alla mia mamma, che mi doveva allattare.
Ricordo la fila delle villette di via Dezza, i sottotetti delle case scampate alle bombe trasformati in piani supplementari, il traffico praticamente inesistente, le donne che calavano dalle finestre un cestino con i soldi per acquistare quanto offerto dai carretti dei venditori ambulanti.
Allora i cortili, in primavera e in estate, risuonavano dei canti intonati (o stonati) dalle finestre aperte, ai quali facevano eco altri canti da altre finestre, a sottolineare la sorellanza dei vicini, tutti impegnati insieme a ricostruire una città distrutta dalla guerra. Sono poi venuti gli anni del benessere, dei teatri e dei musei, dei negozi che pian piano hanno sostituito le botteghe artigianali, infine i grandi magazzini e i supermercati. Ricordate il primo piccolo supermercato, proprio vicino a via Monte Napoleone?
Si chiamava “La Formica”, e nella prima metà degli anni ’50 fu il primo esperimento in Italia di un negozio dove si potevano mettere in un carrello direttamente dagli scaffali le confezioni di cibi che si volevano acquistare. Peccato che poi troppi milanesi si dimenticassero di passare alla cassa… “La Formica” sopravvisse solo pochi mesi all’assalto dei clienti, ma fu una bella esperienza.
Dopo gli anni bui del terrorismo e della violenza Milano ha saputo reagire alle difficoltà ed è stata in grado di preparare la sua trasformazione, fiorita nel terzo millennio. La creatività dei designer e degli stilisti ha reso famosa la città, che si è fatta conoscere in tutto il mondo per i suoi prodotti di design, la sua moda, i suoi musei e le sue mostre. Milano si è affermata ovunque per una grande varietà di proposte culturali, abitative e di svago, diventando a tutti gli effetti la città dove la vita scorre più intensamente in Europa.
Ormai sorgono ovunque spazi progettati per incontrarsi, parlarsi, condividere esperienze; gli alti, eleganti grattacieli proiettati verso il cielo e verso il futuro, ma resistono le vie strette del centro, fiancheggiate da edifici pluricentenari ricchi di fascino e di ricordi. Vista dall’alto, Milano mostra i suoi molti giardini nascosti oltre i portoni delle abitazioni signorili, i suoi terrazzi fioriti, perfino alcune azzurre piscine.
Poi… il Covid 19 ha spazzato via con una velocità impensabile tutte le conquiste degli ultimi 75
Milano la Magna
MARIA GRAZIA MAZZOCCHI
Fondatrice Domus Academy e MuseoCity
anni: il piacere di incontrarsi, di visitare i luoghi dell’arte, di ritrovarsi nei ristoranti, e nei bar, di passeggiare nei parchi e di camminare nelle sue strade lasciandosi affascinare dalle vetrine dei negozi. Oggi siamo tutti chiusi nei nostri più o meno angusti spazi, le strade sono vuote, gli ospedali sovraccarichi e i posti nei cimiteri non bastano più…
Tornerà Milano a splendere, alla fine di questa emergenza, ahimè mondiale?
Tutti i milanesi sono pronti a rimboccarsi le maniche per ricominciare, per tornare alla brillantezza di poche settimane fa, per riportare vita ed energia nelle strade della città. Speriamo però che non svanisca il ricordo dei giorni difficili, l’insegnamento della necessità di essere solidali l’uno con l’altro, la consapevolezza di costituire un unico organismo vitale di cui ciascuno di noi è solo una piccola cellula.
Speriamo che Milano rinasca bella e generosa come è nella sua natura! Da studente universitario ti avevo eletta città d’adozione, senza sapere che il nostro rapporto avrebbe sfidato i decenni. E così da adolescente mi hai favorito nel cambio di abitudini ma anche nel cambio di mentalità. Ho imparato a razionalizzare i tempi, organizzarmi, programmare, calcolare, preventivare, accorpare, considerare gli imprevisti. Soprattutto ho imparato a vivere le relazioni: ho incontrato gente nuova, ho stretto tante amicizie che proseguono nel tempo e arricchiscono la mia vita, eppure non ho dimenticato i vecchi amici con i quali, nonostante le distanze e ora con l’ausilio della tecnologia, ho sempre mantenuto consuetudine e affetto.
La Stazione Centrale resta impressa nella memoria e nelle emozioni per il primo arrivo: la sua maestosità si fa accoglienza e magari anche incoraggiamento per i sogni, i progetti, le aspettative che chi giunge porta nel cuore.
Nei miei spostamenti, all’inizio un po’ impacciati, ho intuito che la tua metropolitana è metafora di vita, di anonimato e di fretta, ma il tuo centro, piazza Duomo, riconcilia con le antiche usanze, è un punto di aggregazione, dà l’idea di una delle nostre piazze: quando si ha voglia di passeggiare, vedere gente, visitare negozi, si va lì, e nella bella stagione è fin difficile muoversi data la calca di giovanotti e ragazze che ne affollano le strade.
Lo stupore procurato dal tuo maggior monumento identificativo, il Duomo appunto, non fa mai abituare la vista, ma suscita sempre ammirazione per la sua bellezza e maestosità. Del resto Mark Twain scriveva nel 1869 che il Duomo rappresenta «Un inno cantato nella pietra, un poema inciso nel marmo». Le guglie, le statue, i ricami nel marmo e i bagliori di luce fanno sembrare più terrene le bellezze che siedono discinte sui gradini del sagrato. Una tua caratteristica sono i cortili segreti con caratteristici giardini incorporati, tanti, dappertutto, soprattutto nascosti e sconosciuti ai più. Luoghi unici, ricchi di quiete e bellezza. Posti per nascondersi nel cuore della città, angoli di arte che – sullo sfondo delle case di ringhiera – per un attimo offrono riparo e ristoro nella frenetica metropoli che ovatta il tutto: lunghe distanze, volti sempre nuovi, talvolta senso di smarrimento e di solitudine.
Nonostante ciò, è possibile costruire relazioni sociali, coltivare amicizie cementate dalla frequentazione delle tante attività culturali, sociali, sportive, che allietano ogni sera che da te si trascorre, per cui non si rischia proprio di annoiarsi, e se si vuole… C’è sempre tempo e posto per un aperitivo nei tanti locali alla moda dei Navigli, delle Colonne, di Brera. Il tuo salotto buono, la Galleria Vittorio Emanuele, riesce a unire le persone elegantissime che vanno al Teatro alla Scala con gli ambulanti che implorano di acquistare una rosa. Intanto le luci scintillanti delle
Legata al mio cuore
AGOSTINO PICICCO
Giornalista, scrittore