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Il papa e i vescovi

4. Agrimensori seduti in circolo, particolare di una miniatura del IX secolo. Biblioteca Apostolica Vaticana.

5. I lavori dei mesi, da un manoscritto dell’inizio del IX secolo. Österreichisches Nationalmuseum, Vienna.

6. Mese di giugno, miniatura da Les Très Riches Heures du Duc de Berry, 14131416, Musée Condé, Chantilly.

7. Alcuni particolari di un calendario dei lavori agricoli del 1280. Canterbury. le potevano risultare superiori rispetto al fabbisogno interno e dunque venir commercializzate; inoltre diffi cilmente una villa poteva produrre una varietà tale da soddisfare ogni esigenza: proseguirono dunque almeno i traffi ci di merci pregiate o di articoli d’artigianato.

L’ORGANIZZAZIONE CURTENSE Il bosco e la foresta erano ormai divenuti gli elementi dominanti del paesaggio dell’Europa altomedievale, pur nelle profonde diversità dell’area mediterranea rispetto a quella germano-continentale. Nelle poco urbanizzate regioni del nord e nel cuore del continente il rapporto uomo-ambiente era rimasto prevalentemente inalterato rispetto ai secoli precedenti: la Francia settentrionale, a nord della Loira, e le aree dove maggiore era stato il popolamento germanico, dal grande bacino renano a quello dell’Elba, erano rimaste in larga misura paesaggisticamente indifferenti alla penetrazione romana e al suo sistema antropico. Mentre nel sud marittimo l’insieme culturale espresso dal mondo tardoimperiale era continuato, pur nello spopolamento e nella recessione, anche nell’incontro-scontro con un’altra civiltà a base urbana come quella islamica, le grandi formazioni forestali del nord restarono immutate anche in virtù delle caratteristiche del popolamento germanico e del suo rapporto con l’ambiente silvano, fonte primaria di approvvigionamento grazie alla caccia e all’allevamento brado. Ciò che conosciamo della pratica agricola in queste aree rinvia a un impiego assai ridotto del suolo, destinato per lo più ad uso arativo e a prato, dal quale non discendevano risorse alimentari suffi cienti. Il bassissimo rendimento (rapporto tra seminato e raccolto) determinato dall’impiego di attrezzature da dissodamento inadatte ai pesanti terreni settentrionali – il grande aratro a ruote, munito di versoio e coltro, si diffonderà lentamente solo dopo l’VIII secolo – rese l’incidenza dei prodotti cerealicoli sussidiaria rispetto all’allevamento brado nei boschi, e in particolare a quello dei maiali. Meno esposti ai condizionamenti climatici dai quali dipendevano i raccolti, i popoli settentrionali furono quindi anche meno esposti alle carestie che resero incerta la sussistenza del mondo mediterraneo, dove tuttavia, al di là del riaffermarsi del bosco e dell’incolto, l’agricoltura era favorita dalla qualità più leggera del suolo. Parte integrante dello sfruttamento alimentare dell’ambiente, il bosco e l’incolto divennero riserve fondamentali alla sopravvivenza, assicurando il fabbisogno proteico a una dieta assai variata. Restarono comunque importanti differenze etniche nel costume alimentare, nel quale i germani introdussero la loro abitudine al consumo di carni di animali di grossa taglia, là dove il mondo romano-bizantino continuò a privilegiare, accanto al consumo mediterraneo di farine e cereali, quello degli ovini. La diffusione dell’incolto ebbe alcuni caratteri positivi che spiegano anche l’importanza assunta dalle vaste sodaglie e dalle aree boschive nel sistema curtense. Si è lungamente voluto che il portato economico di questa organizzazione produttiva sia stata la contrazione verso forme autarchiche di autoconsumo còlte nei loro aspetti di immobilità e di chiusura. È in effetti innegabile che la curtis tendesse a produrre al proprio interno tutto ciò che le necessitava, specie a fronte del venir meno dell’offerta artigianale del mondo urbano; tuttavia proprio la razionalizzazione delle risorse determinò una circolazione di eccedenze che consentì spesso, come per alcuni importanti monasteri dell’Italia padana, la creazione di magazzini nelle aree urbane maggiori o lungo le principali vie fl uviali, dove era possibile assicurare uno smercio della sovrapproduzione agri-

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cola. La concentrazione di patrimoni terrieri nelle mani di pochi, come nel caso delle proprietà ecclesiastiche, favorì altresì anche una sia pur relativa circolazione di prodotti agricoli tra corti lontane, incentivando scambi motivati dalle diverse vocazioni produttive, specie là dove si mantennero attività estrattive e una residuale capacità artigianale nel campo della siderurgia. L’organizzazione curtense fu probabilmente l’unica risposta possibile nei quadri ambientali e antropici dell’Europa del tempo. È altresì opportuno ricordare come questo tipo di conduzione non fu il solo modello agricolo dominante nella realtà europea, ma convisse con altre forme di produzione legate alla sopravvivenza della piccola proprietà contadina, né le sue strutture – di per sé, oltretutto, assai poco rigide – si mantennero immutate nel tempo e nello spazio. Accanto alle proprietà del signore, vi erano infatti le terre che a questi non appartenevano e che i contadini detenevano e lavoravano in proprio: nelle aree mediterranee, e dunque anche in Italia, in piena proprietà (allodio); nel centronord d’Europa, invece, la piccola proprietà contadina era molto meno diffusa, e i contadini coltivavano terre che potevano non appartenere né a loro né al signore, ma ad altri membri dell’aristocrazia laica o a enti ecclesiastici, che esercitavano su esse un dominio feudale. Ciò non impediva, però, al signore del castello di esercitare diritti non su queste terre, ma sulle persone fi siche dei contadini, in quanto residenti sui suoi domini.

8. Il lavoro dei contadini nei campi, miniatura di un manoscritto fi ammingo del XIII secolo. Bibliothèque Royale Albert Ier, Bruxelles.

9. San Zeno, Verona, particolare di un battente delle porte bronzee, inizio del XII secolo. In primo piano un aratro munito di ruote. MIGLIORAMENTI: PER CHI? L’idea tradizionale di una improvvisa espansione della società europea intorno all’anno Mille è ormai in declino, in favore di una concezione di lungo periodo in cui l’arco cronologico di crescita dell’economia e del popolamento andrebbe individuato fra i secoli VIII e XIII. In questo processo ebbero un ruolo una molteplicità di fattori, quali il carattere dinamico del sistema curtense e della società signorile: anche questi elementi che nella visione storiografi ca del passato, e ancora oggi nell’immaginario comune, erano individuati come componenti di arretratezza piuttosto che di progresso. Certo, anche sull’idea di progresso bisognerebbe dire qualcosa in più: se lo stato generale dell’economia del X-XI secolo registrava un incremento progressivo, è probabile che questo trend positivo non corrispondesse a un effettivo miglioramento del reddito pro capite e delle condizioni di vita delle popolazioni rurali. Negli anni Sessanta del nostro secolo una parte della storiografi a poneva l’accento sul carattere innovativo e «tecnologico» del medioevo – e in particolare dell’XI secolo –, in contrapposizione con l’idea tradizionale di un’Europa medievale immobile, statica. Oggi l’attenzione su questi temi è un po’ meno accesa, e soprattutto la storiografi a si è andata attestando sull’idea di un medioevo nel quale, più che inventare, si sfruttavano al meglio tecniche già conosciute. Vediamo brevemente quali furono le modifi che apportate alle tecniche di sfruttamento della terra. Per la cerealicoltura, rivestì grande importanza l’introduzione di nuovi sistemi di aratura. Nei primi secoli altomedievali le popolazioni rurali avevano continuato a servirsi dell’aratro tradizionale mediterraneo: leggero, in legno e con la sola punta rinforzata dal metallo; a partire dall’VIII secolo, ma soprattutto dal X, in molte aree dell’Europa centro-settentrionale (inclusa la pianura padana) venne introdotto un aratro molto più pesante, in metallo, dotato di ruote e con un versoio in grado di rivoltare la zolla. Per muoverlo, si adoperavano cavalli e buoi per i quali era stata introdotta la ferratura degli zoccoli e un nuovo giogo; l’insieme conferiva all’aratura una potenza nuova, in grado di preparare meglio i terreni e renderli più fertili. Sempre nell’ambito delle colture, va ricordata l’introduzione della cosiddetta «rotazione triennale», che annualmente lasciava solo un terzo del terreno a riposo – al posto del tradizionale mezzo –, incrementando le rese; inoltre, questo nuovo sistema di rotazione permetteva, durante la primavera, di seminare con graminacee la porzione di campo che in inverno era stata impiegata per i cereali. Un’altra novità del periodo riguarda l’introduzione del mulino ad acqua, anch’esso in teoria conosciuto prima del X-XI secolo, ma introdotto in modo massiccio in quelle regioni d’Europa in cui la crescita della produzione agricola lo rendeva necessario. Insomma, appare chiaro come nessuna fra queste innovazioni tecniche, da sola, possa spiegare in modo convincente la crescita economica. Se non accostiamo questi fattori al mutamento dei sistemi di gestione delle aziende agricole, sulle quali ci siamo soffermati nel capitolo IV di questo volume, siamo destinati a non comprendere le ragioni più profonde del mutamento in atto intorno all’anno Mille. Fra le concause del complessivo incremento della produzione in questo periodo non sono da trascurare neppure i fenomeni climatici. Sembra infatti che alla fi ne del X secolo si sia verifi cato un forte riscaldamento dell’atmosfera terrestre, quindi un miglioramento del clima, almeno nella sua parte boreale, che ha coinciso con alcuni fenomeni: anzitutto, con il ridursi delle piogge e poi, naturalmente, con lo sciogliersi delle calotte polari. Questi fenomeni erano gravidi di conseguenze straordinariamente importanti. Intanto, il ritrarsi delle calotte

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