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Il comune medievale

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17. Particolare di una miniatura che riguarda la formazione di Tristano, dal Tristan (1240-1250) di Ulrich von Türheim. Bayerische Staatsbibliothek, Monaco di Baviera.

18. Particolare di una miniatura di un’edizione di inizio XV secolo del Parzival di Wolfram von Eschenbach (1170-1220). Universitätsbibliothek, Heidelberg. …E IN GERMANIA In Germania, l’esito più alto della letteratura cavalleresca si ha ai primi del Duecento con il Parzival di Wolfram von Eschenbach. Pur rifacendosi fedelmente al Perceval di Chrétien de Troyes, Wolfram gli premette due libri nei quali si narra la storia di Gahmuret, padre dell’eroe, e dell’infanzia del piccolo Parzival con la madre nella foresta di Soltane; inoltre nei quattro libri fi nali conclude la storia, che Chrétien aveva lasciato incompiuta. Con quello che molto probabilmente è un espediente letterario, l’alibi del libro del poeta provenzale Kyot che gli sarebbe fonte e guida – un poeta e un libro di cui non abbiamo altrimenti notizia alcuna –, Wolfram intreccia le vicende di Parzival con quelle di Klingsor e di Lohengrin e per un verso immette nell’Abenteuer del romanzo un soffi o di spiritualità profonda e partecipata ben diversa dalla levità di Chrétien, per un altro modifi ca profondamente contesto e immaginario graalici, che nel poeta della Champagne avevano un tono e un colore essenzialmente cortesi e «celtici» (ma, sul supposto celtismo delle immagini e dei simboli di Chrétien, come si dirà, le polemiche infuriano tuttora), mentre nel poeta tedesco si assiste a una forte trasformazione orientale: ancorché d’un Oriente islamico, più propriamente arabo-persiano, largamente fi abesco. Nel Parzival, pur ispirandosi a motivi ancora e sempre tratti da Chrétien –

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sebbene da un altro romanzo, l’Erec et Enide –, Wolfram tesse un alto elogio dell’amore coniugale, mentre la dialettica chrétieniana è riletta in termini di più radicale opposizione tra missione spirituale e carattere mondano della cavalleria, tra una queste il cui oggetto è il senso dell’essere e della vita e un’aventure fi ne a se stessa. L’eroe viene posto sovente dinanzi all’errore e alla perdita del retto cammino: non solo, per pietà, evita di formulare ad Amfortas la domanda liberatrice relativa al suo dolore, ma giunge ad allontanarsi da Dio e a farsene nemico prima della redenzione, quando l’eroe porrà fi nalmente al Re Ferito la domanda liberatrice e redentrice. Il Re Ferito Amfortas guarisce d’incanto, mentre i cavalieri del Graal, in ginocchio, riconoscono in Parzival il loro nuovo, giovane re. La sacra reliquia, qui, non è la coppa che contiene l’ostia e che già contenne il sangue del Cristo, come in Chrétien, né è ancora il calice dell’Ultima Cena e di Giuseppe d’Arimatea: è una pietra preziosa, il lapsit exillis. Attorno alla defi nizione del Graal data da Wolfram si è scatenata una ridda d’ipotesi. L’accostare il lapsit exillis al lapis elixir, interpretabile come «pietra fi losofale», potrebbe consentire un più stretto collegamento con la cultura arabomusulmana a carattere ermetico, che come abbiamo detto percorre l’opera di Wolfram. Segno di come ormai, in quest’epoca, la circolarità della cultura fra Oriente e Occidente sia un dato di fatto imprescindibile.

19. Composizione della pietra fi losofale, da un manoscritto arabo del XIV secolo. Biblioteca Riccardiana, Firenze.

20. Il cavaliere Wolfram von Eschenbach con il suo scudiero in una miniatura del Codex Manesse, inizio del XIV secolo. Universitätsbibliothek, Heidelberg.

Capitolo XXIV LA NUOVA ARTE FIGURATIVA

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LA RIVOLUZIONE DI GIOTTO La grande svolta fi gurativa della seconda metà del Duecento partì dalla scultura, legandosi soprattutto al nome e al magistero di Nicola Pisano (originario della Puglia, nella quale aveva certo assorbito il classicismo federiciano), attivo negli anni Sessanta del Duecento in Italia centrale. Il primo a tradurre in immagini le intuizioni plastiche fu Cimabue; a confronto con i pittori della precedente generazione, quali il fi orentino Coppo da Marcovaldo e Guido da Siena, la sua opera appariva già ampiamente slegata dalle forme bizantine che ancora avevano dominato nei decenni precedenti. I primi decenni del Trecento si aprono all’insegna di una duplice interpretazione dell’eredità di Cimabue.

1. Mosaici della cupola del battistero di Firenze attribuiti a Coppo da Marcovaldo.

2. Cimabue, Crocifi sso. Museo di Santa Croce, Firenze.

3. Pulpito del battistero di Pisa, opera di Nicola Pisano, 1260.

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