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La cultura «borghese»

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4. Giotto, Morte e Ascensione di san Francesco, cappella Bardi, Santa Croce, Firenze.

5. Giotto, Crocifi sso. Tempio Malatestiano, Rimini. Quella di Giotto per un verso, quella di Duccio di Buoninsegna per un altro. Giotto aveva lavorato con diverse commissioni tra Firenze, Assisi e Padova. Ma è al Giotto più tardo delle cappelle Bardi e Peruzzi in Santa Croce (1320-1325) che si deve guardare per comprendere l’innovazione «narrativa» della sua pittura. La commissione gli veniva da due delle più infl uenti e ricche famiglie fi orentine, in un periodo in cui la città era nel pieno della fase espansionistica, e la crisi ancora lontana. I soggetti scelti sono signifi cativi: per la cappella Bardi alcune fra le storie di san Francesco, tratte dalla vita uffi ciale scritta da Bonaventura; la scelta degli episodi si appunta su momenti della vita e della morte del santo: dalla scelta iniziale di povertà, con Francesco che si spoglia delle vesti dinanzi al vescovo di Assisi e al padre Bernardone, all’approvazione della Regola; dalla prova del fuoco dinanzi al sultano alla morte, con Francesco disteso nella bara e l’incredulo Girolamo che ricerca le stimmate; non mancano miracoli – l’apparizione di Francesco a sant’Antonio in una chiesa di Arles – e visioni, come quelle del frate e del vescovo di Assisi Guido; l’episodio centrale della vita di Francesco, le stimmate, è all’esterno della cappella, in alto. Collegati alle scene della vita, vi sono quattro riquadri di santi dell’Ordine. Nel complesso, quindi, siamo di fronte a un’interpretazione del signifi cato dell’esperienza francescana – sia del fondatore che dell’Ordine – pienamente trecentesca, in cui gli aspetti carismatici e innovatori del movimento vengono accantonati in favore di una sua ridefi nizione istituzionalizzata. Nella cappella Peruzzi la scelta dei temi si lega meno direttamente all’attualità, presentando affreschi con episodi della vita di Giovanni Evangelista e del Battista, in cui l’ispirazione naturalistica e al tempo stesso classicheggiante di Giotto

6. Giotto, Ascensione di san Giovanni. Cappella Peruzzi, Santa Croce, Firenze.

7. Duccio di Buoninsegna, Tentazione sul monte. The Frick Collection, New York.

8. Simone Martini, Sogno di sant’Ambrogio. Cappella di San Martino, basilica inferiore di San Francesco, Assisi. emerge in tutta la sua forza. Era una lezione che nei decenni successivi avrebbe trovato proprio in Santa Croce diversi seguaci. Con Giotto si può dire iniziato il superamento della visione fi gurativa medievale, passando dalla forma piatta delle fi gure ad essa propria a una realizzazione aperta e trasparente del piano attraverso il quale era possibile osservare uno spazio aperto. A fronte del classicismo naturalistico di Giotto, Duccio di Buoninsegna sviluppava un’ispirazione in grado di unire il retroterra italo-bizantino e neoellenico al gusto della miniatura francese, in questo mostrando un’adesione al gotico d’oltralpe – seppure dai tratti molto personali – certo più accentuata rispetto alle coeve tendenze. Tralasciando i giudizi di valore che in passato hanno voluto leggere nell’esperienza di Firenze una maggior vocazione alla «modernità» rispetto alla presunta arretratezza ideologica di Siena, è indubbio che l’adesione a forme fi gurative così diverse rappresentava una scelta stilistica e al contempo concettuale ben precisa, che andava di pari passo con le inclinazioni politiche e culturali delle due città.

ARTE SACRA, ARTE PROFANA Miglior seguace di Duccio fu il suo concittadino Simone Martini, il quale si rivelò con la commissione di una Maestà eseguita nel 1315 per il Palazzo Pubblico. La sua opera si lega idealmente alla realtà della Siena aristocratica, così lontana dalla Firenze borghese dei giotteschi: a infl uenzarlo erano la miniatura francese, gli ideali del mondo cavalleresco espressi da quella corrente per la quale è stato coniato il nome di gotico internazionale; non casualmente la sua attività di pittore condurrà Simone nelle due sedi che meglio erano in grado di esprimere la cultura cortese: la Napoli angioina e la corte papale di Avignone. I decenni fi nali del Trecento furono un momento di tumulti sociali e di tensioni religiose: da una parte abbiamo il tentativo dei ceti subalterni di guadagnare spazi politici, dall’altro confusi intrecci di esigenze spirituali di matrice differente, che vedevano convivere il misticismo con i primi tentativi di rinnovamento degli Ordini religiosi che sarebbero stati terreno di coltura per il sorgere delle Osservanze. L’insieme di queste tendenze, spesso divergenti, conferì talvolta alle realizzazioni artistiche di fi ne secolo un taglio per così dire popolare e didattico, che tuttavia preludeva all’apertura di una nuova, straordinaria stagione artistica. A partire dal Trecento si diffondono anche rappresentazioni, talvolta allegoriche, di soggetti profani, intesi a illustrare o celebrare momenti della vita politica dei comuni. Agli inizi del secolo nel salone del Palazzo del Podestà di Firenze Giotto aveva dipinto un affresco sul tema «Il comune ch’è rubato da molti» (G. Vasari), poi andato distrutto. Se ne conoscono grosso modo i contenuti: il comune era rappresentato come un sovrano in trono, protetto dalle quattro Virtù cardinali ma assalito da fi gure che ne insidiano il potere. È stato interpretato come un’immagine dell’alta borghesia di governo preoccupata di difendersi dagli altri ceti sociali, ma vista la collocazione nel Palazzo del Podestà potrebbe anche esser letto come una condanna delle parti. Più chiara l’interpretazione per l’affresco nella Sala della Giustizia nel Palazzo dell’Arte della Lana, del 1340 circa, sempre a Firenze. Qui è raffi gurata una sorta di battaglia tra le quattro Virtù cardinali e i Vizi, al centro della quale si trova il console romano Bruto, simbolo della giustizia. È fi orentino anche il celebre manoscritto detto del «Biadaiolo», databile alla fi ne del terzo decennio del secolo, in cui le miniature narrano con grande realismo e gusto per la descrizione della vita quotidiana – impensabile nell’arte monumentale toscana del tempo – le vicende della carestia che negli anni precedenti aveva colpito larga parte della Toscana.

10 9. Simone Martini, Guidoriccio da Fogliano, 1335. Palazzo Pubblico, Siena.

10. Simone Martini, Vergine dell’umiltà, prima del 1343. Cattedrale di Notre-Damedes-Doms, Avignone.

Ma gli esempi più signifi cativi di questo genere di pittura ci vengono da Siena. Sulle pareti del Palazzo Pubblico nel 1314 vennero affrescati episodi della Resa di Giuncarico; nel 1335 è la volta del capolavoro di Simone Martini, dedicato a Guidoriccio da Fogliano, capitano dei senesi all’assedio di Montemassi, raffi gurato a cavallo da solo, sullo sfondo di un paesaggio vuoto, interrotto solo dall’apparizione in lontananza di borghi fortifi cati. Alcuni anni più tardi, fra 1338 e 1340, ancora nel Palazzo Pubblico (Sala della Pace), Ambrogio Lorenzetti dette vita al più vasto ciclo pittorico profano di quei secoli: le composizioni – il Buon Go-

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