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Centri di produzione

15. Filippo Brunelleschi, Ospedale degli Innocenti, particolare della facciata. Firenze.

16. Filippo Brunelleschi, basilica di San Lorenzo, interno, 1420-1470. Firenze.

17. Leon Battista Alberti, Tempio Malatestiano, facciata, dal 1147. Rimini.

18. Frontespizio dell’edizione del 1535 del De architectura di Vitruvio. no fi losofi co-scientifi co si abbandonano gradualmente (per quanto mai completamente) le antiche certezze aristotelico-tomistiche, e si impara a guardare la natura con occhio spregiudicato, in ciò sviluppando anche istanze già vive nella cultura due-trecentesca (per esempio nell’investigazione scientifi ca del francescano Ruggero Bacone e dei calculatores di Oxford). Indagine artistica e indagine scientifi ca sono anzi strettamente connesse, come si vede negli studi sulla prospettiva di Paolo Uccello condotti alla luce delle ricerche matematiche; oppure nei lavori architettonici di Leon Battista Alberti e di Filippo Brunelleschi, dove innovazione estetica e calcoli di statica coincidono; o ancora nelle appassionate domande che Leonardo da Vinci pone alla natura nell’ansia di strapparle segreti (sull’anatomia umana e animale, sul volo, sul comportamento dei liquidi e così via), che poi gli serviranno nella sua attività di pittore non meno che in quella d’ingegnere. Tra le varie arti, fu senza dubbio l’architettura a qualifi care il rinnovamento quattrocentesco: essa andò con sempre maggior chiarezza rifl ettendo gli attenti studi che parecchi artisti-costruttori-architetti-ingegneri avevano perseguito al fi ne di ottenere nella rappresentazione e nella gestione degli spazi nuove soluzioni che tenessero presenti come modelli le opere classiche, attraverso le quali si cercava di raggiungere le perfezioni delle forme. L’architettura medievale, pur basandosi su una ricca circolazione di forme e di dati, e quindi su un’attitudine fondamentalmente eclettica rispetto alle soluzioni morfologiche e stilistiche, si fondava sulla larga e solida tradizione empirica delle corporazioni dei costruttori e otteneva soluzioni sovente senza dubbio mirabili attraverso calcoli ed espedienti tecnici che sembrano tuttavia costantemente basati sulla prassi; allo stesso modo l’impiego di simboli e di allegorie appare nei secoli XI-XIV ispirato a un ampio patrimonio interpretabile tuttavia con la massima libertà. Il cardine fondamentale dell’architettura rinascimentale appare al contrario quello di un’elaborazione teorica tesa alla realizzazione di forme ben programmate, studiate per l’uomo e a misura d’uomo: forme che trovavano in se stesse e non altrove – ad esempio in un sistema di riferimenti teologico-simbologici – la propria ragione di esistere. L’architettura rinascimentale tiene pertanto il rapporto tra monumento e contesto ambientale in una ben più profonda considerazione di quanto avvenisse nel medioevo: e in ciò si rivela funzionale ai sistemi oligarchici o signoriali, in prospettiva assolutistici, all’interno dei quali essa poté operare. La misura e le proporzioni architettoniche non sono più suffi cienti a render conto della cifra specifi ca di un monumento, che risulta appunto esclusivamente leggibile all’interno di uno scenario, di un contesto pensato per esso; ne deriva che non esiste un’architettura rinascimentale che non sia legata all’elaborazione urbanistica dello stesso periodo; e che anzi, di più, architettura e urbanistica tendono vieppiù a coincidere. Il nuovo metodo di progettare piazze, chiese e palazzi era basato su un organico insieme di regole matematiche e geometriche le quali permettevano all’architetto di progettare la propria opera senza tuttavia essere obbligato anche a realizzarla: anzi, l’architetto si distingueva proprio in ciò dal suo collega medievale, nel non dover esser costretto a lavorare anche come un capomastro. Per quel che attiene all’altra connotazione tipica rinascimentale, cioè la «riscoperta dell’antico», si deve tener presente che la tradizione classica – mai davvero perduta nel mondo medievale – venne rinvigorita durante il XV secolo attraverso uno studio scrupoloso sul piano di quel che restava degli antichi monumenti, soprattutto romani, e della loro reinterpretazione sulla scorta di fonti letterarie, tra cui ebbe una fondamentale importanza Vitruvio, il cui trattato De architectura, venne rinvenuto in un codice cassinese tra 1414 e 1416 e, da allora vorticosamente circolato e citato, ottenne un’edizione a stampa nel 1486.

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Capitolo XXV LA CRISI DEL TRECENTO

1 LA FAME Il fatto che la crisi demografi ca del Trecento si sia manifestata attraverso la fame assai prima che attraverso la peste ha indotto a ritenere che la sua causa stia prima di tutto in un rapporto sfavorevole fra l’aumento della popolazione e quello della produzione. In assenza di una vera e propria rivoluzione nei metodi agricoli e nelle tecnologie, il massiccio aumento demografi co dei secoli precedenti era stato reso possibile essenzialmente attraverso l’estensione delle superfi ci coltivate; ma verso la fi ne del Duecento ogni superfi cie disponibile era stata ormai dissodata, sicché la produzione cessò di aumentare. La popolazione, per contro, continuava a crescere: era quindi inevitabile che l’alimentazione peggiorasse, almeno per i ceti più sfavoriti. Nei primi due decenni del Trecento, il continente europeo dovette affrontare una fase di raffreddamento e di generale peggioramento climatico. Il freddo e l’umidità portavano malattie e fame, ed entrambe queste cose determinavano una destabilizzazione anche socio-economica particolarmente forte tra i ceti meno abbienti, già in una condizione generale di debolezza. Il primo sintomo delle diffi coltà che minacciavano l’Europa è rappresentato dalla grande carestia del 1315-1317. Che alcune annate consecutive di cattivi raccolti debbano inevitabilmente far lievitare i prezzi e lasciare esposti alla fame i ceti meno protetti della popolazione è, naturalmente, un dato di fatto in qualsiasi economia preindustriale; anche la prospera Europa del XIII secolo non era stata immune da carestie. Queste tuttavia, quando si erano manifestate, avevano avuto generalmente un carattere locale; e lo sviluppo raggiunto dalla rete commerciale aveva permesso alle autorità, soprattutto cittadine, di ridurne gli effetti importando grano da altre regioni non colpite da cattivi raccolti, mantenendo così entro limiti accettabili l’aumento dei prezzi e la conseguente mortalità. La carestia provocata dai disastrosi raccolti degli anni 1315-1317 si caratterizzò invece proprio per la sua ampiezza, dal momento che, salvo singole regioni risparmiate dai capricci del clima, la maggior parte dell’Europa si trovò contemporaneamente in diffi coltà. Un susseguirsi casuale di condizioni climatiche negative danneggiò i raccolti in modo tale da provocare una crisi di cui, per durata, gravità ed estensione, si era perso il ricordo. I prezzi dei cereali aumentarono di molte volte, provocando la morte di molte persone e moltissimo bestiame per gli effetti della denutrizione e delle malattie che essa portava con sé: nella città di Ypres, che contava 2025.000 abitanti, morirono in sei mesi, fra il primo maggio e il primo novembre 1316, 2.794 persone, ossia più di un abitante su dieci.

LA PESTE Tuttavia, fu un evento inatteso e imponderabile quello che determinò il tracollo del continente europeo. Nel corso del 1346, una grave epidemia di peste era scoppiata in Asia; nel 1347 essa venne trasportata in Europa, forse da navi genovesi che facevano la spola tra mar Nero e Mediterraneo cariche di grano

1. Pieter Brueghel il Vecchio, Trionfo della morte, 1562 circa. Museo del Prado, Madrid. Dopo l’epidemia di metà XIV secolo, la peste continuò a imperversare in Europa a diverse ondate nel corso del XV e del XVI secolo, fi no alla pandemia del 1630.

2. La Fame, particolare di una miniatura del Commento all’Apocalisse scritto nel 786 da Beato di Liébana. L’Apocalisse da cui è tratta questa miniatura fu realizzata nel 1047 su commissione di Ferdinando I di Castiglia e della moglie Sancha di León. Biblioteca Nacional de España, Madrid.

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