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Matilde

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Capitolo XII LA CITTÀ

1. Giotto, La cacciata dei diavoli da Arezzo, particolare dell’affresco di fi ne XIII secolo. Basilica superiore di San Francesco, Assisi. 2. Mosaico parietale raffi gurante Ravenna alla fi ne del V secolo. Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna.

LA RINASCITA URBANA Durante i secoli altomedievali la società conobbe una forte ruralizzazione, parallela allo spopolamento delle città, sempre più colpite dall’insicurezza sociale, dalla carenza di poteri forti che potessero approvvigionarne i residenti, dall’infl azione galoppante che metteva in ginocchio i ceti medi. Non dappertutto il processo di ruralizzazione fu ugualmente sentito: in Italia e in parte della Gallia il sistema urbano decadde in misura minore rispetto alle altre regioni occidentali, ma le linee di tendenza furono comuni pressoché dappertutto. Queste città si reggevano prevalentemente sul governo del consiglio di funzionari detti «decurioni» che decideva in merito a una molteplicità di questioni: la riscossione delle imposte, gli atti pubblici, la manutenzione. L’accantonamento di grandi fortune permetteva il formarsi di piccole clientele, costituite da quegli indigenti che da sempre nelle città dell’impero avevano basato il loro sostentamento sull’evergetismo pubblico. I più fortunati fra i membri del livello medio dell’amministrazione, i «curiali», riuscivano a entrare nel senato, che nel V secolo allentò sensibilmente le maglie del reclutamento, basandolo più sul censo che sull’origine socio-geografi ca. Attorno alle vecchie famiglie senatorie si formavano più ampie clientele, costituite non solo di indigenti e di bisognosi, ma anche di chiunque avesse necessità di ricorrere a un senatore per intervenire presso un funzionario o per ottenere qualche privilegio. Una inversione di tendenza si registra decisamente almeno a partire dal X secolo. L’insicurezza di quel periodo – attraversato dalle incursioni vichinghe,

3. Planimetria catastale con montagne, fi ume, sistema viario e costruzioni. Particolare di una miniatura del IX secolo. Biblioteca Apostolica Vaticana.

4. Maestro del Registro, Codex Egberti, 985 circa, Annunciazione. Staadtbibliothek, Treviri. Sullo sfondo, presumibilmente, la città e la Porta Nigra. ungare e saracene – fu uno dei fattori della rinascita dei centri urbani. Le esigenze relative all’organizzazione della sicurezza condussero a ripopolare e a fortifi care i centri urbani, alcuni dei quali erano stati a lungo abbandonati o quasi: e i vescovi, che nelle città tradizionalmente avevano il centro della loro diocesi, furono i primi protagonisti di questa rinascita. Attorno a loro si coagulò un’aristocrazia di boni homines provvisti di proprietà mobiliari e immobiliari, di esperienza, di capacità anche militari e difensive, che collaborando con il prelato cittadino confi gurarono in forme che variano da città a città l’emergere di un’attività comunitaria di governo che certo non coinvolgeva tutti gli abitanti in quanto decisionalmente corresponsabili, ma che li riguardava tutti come oggetto delle scelte dell’oligarchia più potente.

IL COMUNE MEDIEVALE A differenza della città antica, che pure aveva sviluppato forme di autogoverno ma che in generale era anzitutto un centro di consumatori, quella medievale si propose anche come un centro di produttori teso a instaurare con il territorio circostante («contado», «distretto», «territorio») un complesso rapporto d’integrazione e in certi casi di egemonia. Si può in linea generale dire che il «comune medievale» corrisponda a un fenomeno socio-istituzionale diffuso nell’Europa occidentale e centrale fra XI e XIV secolo, che però raggiunse un livello di sviluppo civile e di autocoscienza politica soprattutto nell’Italia centrosettentrionale, più specifi camente nella pianura padana, nel Veneto occidentale e in Toscana: insomma, nell’ambito di quello che dall’VIII-IX secolo era stato il Regnum Italicum che dal X ai primi del XIX secolo sarebbe restato istituzionalmente collegato al regno di Germania e al Sacro Romano Impero, per quanto questo collegamento fosse divenuto largamente, in età moderna, una fi ctio iuris. Ben presto però – in coincidenza con la lotta per le investiture, che nella seconda metà dell’XI secolo pose spesso in dubbio la legittimità dei poteri vescovili – i ceti dirigenti cittadini, fra i quali emergeva sempre più la piccola feudalità che si era inurbata, ma che non per questo aveva abbandonato i suoi possessi extraurbani e le sue attitudini guerriere (e per questo abitava in dimore urbane fortifi cate, le «case-torri»), acquistarono crescente coscienza di sé e del proprio

5. Porta Soprana o di Sant’Andrea a Genova, (1155-1160). Veduta dall’esterno della cinta muraria.

6. Cimabue, particolare dell’affresco di San Marco Evangelista con l’Ytalia rappresentata come una città circondata da mura, fi ne del XIII secolo. Basilica superiore di San Francesco, Assisi.

7. Celebre è il centro monumentale civile e religioso di Cremona, ove, attorno alla piazza del Comune, si concentrano gli edifi ci dell’età comunale: il Torrazzo, alto quasi 111 metri, torre civica e campanile; il battistero; la gotica loggia dei Militi; il palazzo del Comune (1206-1246); il duomo romanico di Santa Maria Assunta. ruolo nelle città: il che accadde talora con l’autorità vescovile, più spesso nonostante essa o contro di essa. Questo sistema di governo cittadino si sviluppò proprio tra XI e XII secolo – in signifi cativa e stretta coincidenza con la maturazione del nuovo sviluppo economico e commerciale delle città occidentali, specie di quelle affacciate sul mare – e colse anche la possibilità di tradursi in termini di diritto pubblico grazie al coinvolgimento, nel nascente movimento appunto defi nito «comunale», di un forte e intraprendente ceto di giurisperiti. Le oligarchie cittadine costituite di possessores fondiari, di milites, che esercitavano però anche il commercio e nelle città marinare l’attività cantieristica e armatoriale, dettero pertanto luogo al sorgere di magistrature collegiali di consules. Essi venivano eletti in numero e per un periodo variabili da città a città ed erano in genere espressione delle famiglie più ricche e potenti. Solo nella penisola la civiltà comunale, sia pure al suo tramonto – quando cioè le autonomie cittadine si stavano aggregando ed evolvendo nella forma dello «Stato regionale», mentre le istituzioni relative si avviavano verso soluzioni di tipo «signoriale» e quindi principesco –, assunse i caratteri di una piena coscienza autonomica. Nel pieno Trecento fi orentino, Coluccio Salutati giungeva a rivendicare al comune di Firenze la dignità dello Stato superiorem non recognoscens, con ciò denuziando la fi no allora praticamente irrilevante ma giuridicamente irrinunziabile dipendenza della città dall’impero.

LA CULTURA «BORGHESE» Le città comunali italiane erano anche centri di cultura: molte di esse ospitavano celebri università, ma vi si andavano facendo strada soprattutto le nuove professioni legate allo sviluppo del mondo cittadino e dei ceti medi: giudici, notai, medici. La cultura comunale non coincideva solo con la conoscenza della lingua latina e della teologia. Naturalmente, tale tipo di sapere non venne mai sconfessato: al contrario, nelle città gli studi teologici erano seguiti, e gli stessi Ordini mendicanti ne aprirono alcuni, dotati di vaste biblioteche, accanto ai loro conventi. Ma è sintomatico che in questi studi si facessero spesso discussioni di etica e di politica: la mentalità comunale, aperta a tutto quel che era pratico e concreto, rifuggiva dalle astrazioni e domandava alla stessa teologia di scendere sul terreno della vita sociale, politica, addirittura economica. Il mondo comunale era profondamente laico, senza che ciò costituisse causa di allontanamento dalla fede. I ceti dirigenti cittadini, in parte legati al contado dalle loro proprietà fondiarie e spesso dai loro rapporti di parentela con famiglie feudali, amavano sfoggiare un genere di vita «nobile», e ciò li conduceva ad apprezzare la cultura cosiddetta «cortese», fatta da poemi epici, da composizioni poetiche a carattere erotico, da romanzi cavallereschi. Il pubblico dei banchieri, dei mercanti, degli imprenditori avrebbe inoltre desiderato possedere anche nozioni scientifi che più precise, ma si vedeva ostacolato soprattutto dal fatto che la lingua dei trattati scientifi ci del tempo restava il latino. Nacquero quindi sunti, versioni o più spesso «volgarizzamenti» di opere a carattere scientifi co, quali il Trésor e il Tesoretto di Brunetto Latini e la Composizione del mondo di Ristoro d’Arezzo. Anche Dante, con il Convivio, compose un trattato di questo tipo. Infi ne, il comune necessitava di una sua «memoria» storica; anche le fazioni politiche e le famiglie avevano crescente bisogno di fi ssare in qualche modo i loro ricordi e i loro diritti. L’antica cronistica medievale, a carattere ecumenico e in lingua latina, non era più suffi ciente; nacque nel XII secolo, e più ampiamente nel successivo, una cronistica cittadina – e più tardi anche familiare – caratte-

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