Film n. 13 gennaio/marzo 2020

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Com’era prevedibile, non parliamo di un documentario che adotta un punto di vista critico, né tantomeno di giornalismo d’indagine. Ma la Ferragni resta un’imprenditrice troppo abile e capace per divulgare un film banale, che si limiti alla mera operazione auto-celebrativa. La struttura del film è più sottile e meno scontata. Nella sua confezione americana alterna un’estetica glamour a una pretesa verità di emozioni e sentimenti. Mentre, ovviamente, illustra una vita e un immaginario attentamente costruiti in ogni dettaglio. Una definizione inquietante, ma in fondo il segreto della sua ascesa potrebbe nascondersi proprio nell’allegria e nella spontaneità che la ragazza sembra non aver mai perduto. La mitologia della “self made woman” partita da blog e dagli albori del web 2.0 e poi esplosa tramite lavoro e determinazione. Chiara incarna il classico “american dream”, quella opportunità che è lì per chiunque, basta avere idee e determinazioni. Ma la macchina dei sogni, dopo

aver visto il film, sembra più una fabbrica mortale, pronta a generare frustrazione e tristezza. Tutto finisce per affogare nel mare di un racconto che sfocia con l’assenza di conflitto nella sua comunicazione. Non c’è conflitto nell’entrata di Ferragni nel mondo esclusivo della moda: Chiara dice di aver fatto fatica ad emergere, ma Amoruso non ci mostra come sia stato possibile che la figlia di un dentista di Cremona finisse a far défilé con Anna Wintour, in un mondo chiuso e conformista come quello della moda. Sembra tutto semplice e non c’è nessun accenno alla lotta necessaria per mantenere di fronte a tutti quella perfezione esteriore. Perché il legame tra questo film e lo storytelling digitale via Instagram di Chiara Ferragni è direttamente consequenziale. In questo film è entrato tutto quello che, per motivi legati al medium, o al tempo non era ancora apparso nei post. Il film è un extra di Instagram nel quale tutto quello che appare, viene detto e raccontato, è costruito e controllato con la stessa maniacale

precisione con la quale la Ferragni comunica la sua immagine su Internet. È la prosecuzione di quel racconto di sé con altri mezzi. Una storia di Instagram dall’estetica più ricercata e patinata, girata con enfasi estetizzante e al servizio della protagonista. Il direttore di Vanity Fair Simone Marchetti coglie di questa trentaduenne milionaria un aspetto fondamentale: sbagliano coloro i quali la criticano per quello che comunica, per i suoi contenuti, dice, perché Chiara Ferragni non è un contenuto, ma è il mezzo di se stessa, una pagina pubblicitaria vivente. Un mezzo che rimane immutabile, indifferente alla piattaforma sulla quale opera: che si tratti di una fotografia, di un sito, di un social o di un documentario. Rimane comunque fermo un punto: riflettere su questo fenomeno, sulla nuova condizione cui i social ci obbligano è fondamentale per comprendere il presente e andare incontro al futuro. Veronica Barteri

di Barbet Schroeder

IL VENERABILE W.

Origine: Francia, Svizzera, 2017

In sovrimpressione su un tempio ripreso in camera car: “L’odio è il piacere più duraturo, gli uomini amano in fretta, ma odiano con calma” Lord Byron. Circondato dai libri un monaco buddista spiega placidamente l’analogia tra i pesci gatto e i musulmani, entrambi si moltiplicano velocemente e si cibano di organismi della loro specie. È Wirathu, “Il venerabile W”. Una carrellata in slow motion ci introduce alla vita monastica buddista: la raccolta del cibo, la preghiera. Una voce off femminile ne elenca i precetti, il mondo del Budda è al di là del bene e del male

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ma le sue parole devono limitare la meccanica del male. Wirathu illustra una sua giornata tipo. Durante un sermone spiega la strategia del sesso adottata dai musulmani per convertire le ragazze buddiste attraverso il denaro e il piacere. La voce off racconta lo stupore per le molte donazioni ricevute per l’occasione e il significato e gli obiettivi del 969, l’associazione fondata da W. Wirathu ricorda la scelta monastica e l’uccisione di una ragazza avvenuta quando era dodicenne. La voce off su immagini riguardanti la vigilia della festa dell’Eid, racconta la contrarietà dei buddisti al sacrificio degli animali. 57

Produzione: Les Films du Losange, Bande à part in coproduzione con Arte France Cinema, RTS-Radio Télévision Suisse, SRG SSR Regia: Barbet Schroeder Soggetto e sceneggiatura: Barbet Schroeder Interpreti: Venerabile Wirathu (se stesso) Distribuzione: Satine Film Durata: 100’ Uscita: 21 marzo 2019

Nel 1991 W cambia monastero e incontra nuove usanze, qui acquista indipendenza e pubblica di contrabbando un libro contro una tecnica di meditazione. Nel 1997 W, dopo la lettura di un pamphlet nazionalista proibito, “In fear of our race disappearing”, inizia la sua battaglia con i


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