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Diabolik

di Manetti Bros.

CClerville. Anni Sessanta. Un ladro mascherato misterioso e inafferrabile terrorizza la città e compie il suo ultimo colpo. Nessuno conosce la sua identità e il suo viso, il suo soprannome è Diabolik.

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Nello stesso momento a Bellair, una località di montagna, arriva la bella e ricca Lady Eva Kant che ha con sé un preziosissimo gioiello: il diamante rosa. Il commissario Ginko la incontra e la mette in guardia su Diabolik, la donna lo rassicura in merito alle precauzioni che ha preso nell’hotel dove alloggerà a Clerville, il diamante sarà custodito in una cassaforte segreta. Eva incontra Giorgio Caron, viceministro della giustizia, che la corteggia da tempo.

All’insaputa di tutti, Diabolik si cela sotto l’identità di Walter Dorian in una elegante villa in compagnia della sua fidanzata Elizabeth Gay, ignara della sua doppia vita e che lo crede spesso assente per motivi di lavoro.

A Clerville arriva Lady Kant portando con sé il diamante rosa e prende alloggio all’Hotel Excelsior. Diabolik tenta il colpo: si sostituisce a Roberto, il cameriere personale che il direttore aveva messo al servizio della donna e riesce a introdursi nella sua suite. Proprio mentre apre la cassaforte, viene colto sul fatto da Lady Kant. Diabolik le punta un coltello al collo ma la donna, per nulla terrorizzata, lo informa che il diamante è falso. L’originale lo ha venduto da tempo per pagare delle persone che la ricattavano poiché in possesso di informazioni compromettenti su di lei. Diabolik non le crede ma Eva lo sfida a farlo esaminare. Incredulo e irritato, Diabolik prende il gioiello avvertendola: se avesse tentato di ingannarlo sarebbe tornato per ucciderla. Eva gli chiede di riportarle il brillante una volta appurato il falso, perché ne ha bisogno per i suoi eventi mondani (non volendo far nascere indiscrezioni sulla sua reale situazione finanziaria). Rientrato nel suo covo segreto, Diabolik esamina il gioiello e si rende conto che Eva gli ha detto la verità: la pietra è un falso di perfetta fattura.

Il giorno dopo Diabolik ritorna nella suite di Lady Kant con le sembianze del suo cameriere e le restituisce la pietra. La donna capisce che non si tratta del suo cameriere e gli fa capire che vorrebbe incontrarlo di nuovo. Stupito che la ragazza non sia terrorizzata da lui, Diabolik si toglie la maschera. Tra i due scatta subito l’attrazione e si baciano. Subito dopo, Eva si dimostra sua complice quando il direttore dell’hotel entra nella camera: la donna fa nascondere Diabolik dentro un armadio e poi ne agevola la fuga sfruttando la propria conoscenza della comunicazione con l’alfabeto Morse. Intanto Elisabeth, sempre più sospettosa su quello che accade nella sua casa, di notte scopre l’accesso dal suo giardino a un nascondiglio segreto e chiama la polizia. L’ispettore Ginko riesce a stanare Diabolik e ad arrestarlo. In tribunale, durante il processo, Eva comunica con Diabolik tramite alfabeto Morse (lui batte le palpebre e lei picchietta la guancia) e le dà istruzioni per organizzare la fuga. Eva mette in atto il piano e usa il suo ascendente sul viceministro Caron (con il quale è costretta a fidanzarsi) per riuscire a ottenere un colloquio a porte chiuse in carcere con Diabolik la sera prima dell’esecuzione. Durante l’incontro Diabolik, con l’aiuto di Eva, riesce a drogare Caron e a sostituirsi a lui con una maschera. Il giorno dopo l’ispettore Ginko intuisce tutto ma non riesce a fermare l’esecuzione: Caron finisce ghigliottinato. Diabolik e Eva partono insieme per la città di mare di Ghenf dove ha sede la banca in cui Caron depositava i soldi provenienti dai suoi ricatti. Diabolik mette in atto un colpo alla cassetta di sicurezza ma non fa partecipare Eva. La donna pensa che ci potrebbero essere delle complicazioni e decide di raggiungerlo. Diabolik riesce a terminare il colpo ma si trova faccia a faccia con Ginko. La prontezza di Eva salva il criminale.

Pochi giorni dopo Eva e Diabolik sono su una barca. L’uomo offre alla sua donna il vero diamante rosa che aveva ritrovato nella cassetta di sicurezza di Caron. Il viceministro lo aveva comprato dalle persone a cui Eva lo aveva venduto: ma la donna a sorpresa lo getta in mare affermando che quella pietra rappresenta il suo passato mentre ora il suo futuro è accanto a lui.

Origine: Italia, 2020 Produzione: Carlo Macchitella e Manetti Bros. per Mompracen, con Rai Cinema, in associazione con astorina Regia: Manetti Bros. Soggetto: dai fumetti di Angela e Luciana Giussani, Manetti Bros., Mario Gomboli Sceneggiatura: Manetti Bros., Michelangelo La Neve Interpreti: Luca Marinelli (Diabolik), Miriam Leone (Eva Kant), Valerio Mastandrea (Ginko), Alessandro Roia (Caron), Serena Rossi (Elisabeth), Roberto Citran (Direttore Hotel), Claudia Gerini (Signora Morel), Gio James Bertoia (Agente Ghenf), Antonio Scarpa (Agente Dalton), Francesca Nerozzi (Nadia), Guglielmo Favilla (Agente Florian), Lorenzo Pedrotti (Ettore) Durata: 133’ Distribuzione: 01 Distribution Uscita: 16 dicembre 2021

DDiabolik, il criminale mascherato per eccellenza, l’iconico ladro inguainato in una tuta aderente, ritorna finalmente al cinema dopo più di un cinquantennio: l’ultima versione per il grande schermo risale al 1968 per la regia di Mario Bava che ne aveva dato una lettura pop e colorata, quasi d’avanguardia.

Più che una maschera, quella di Diabolik appare una seconda pelle di lattice nero che nasconde il volto del criminale lasciando scoperti solo gli occhi.

Il volto e la maschera, un gioco vecchio quanto il cinema. Un volto e le sue tante maschere: non solo quella nera da criminale ma anche le tante facce indossate da Diabolik (con un evidente richiamo a Face-off) per portare a termine i suoi colpi.

L’eroe dei fumetti dei Manetti declina continuamente il tema del doppio in un continuo gioco di specchi. Maschera e volto, ma anche ombra (Diabolik) e luce (Eva), scuro (la tuta nera del criminale) e chiaro (il biondo dello chignon di Eva che non può non richiamare alla mente quello di Vertigo di Hitchcock), terra e sottosuolo, verità e menzogna, realtà e finzione.

Il vero dualismo su cui i registi scelgono di far ruotare l’intero film è quello tra Diabolik ed Eva: uno non può esistere e vincere senza l’altro. Lui acquista vera identità di criminale solo grazie a lei; lei si trova per la prima volta davanti a lui come in uno specchio. Uno specchio in cui la donna può vedere il proprio lato oscuro con il quale diventare complice. I due sono immediatamente calamita l’una per l’altro: nella stanza d’albergo dove avviene il primo incontro (durante il tentativo di furto), lei viene affascinata dallo sguardo magnetico e dal coraggio di lui, lui viene colpito da una donna che dimostra apertamente di non temerlo. È quel riflesso reciproco che si può definire amore nella sua essenza, inteso come messa a nudo di sé tramite l’altro. Come è stato osservato da un fine filosofo come Umberto Galimberti, la scoperta della nostra follia segreta ci attrae e ci inquieta, ma con le sole forze dell’Io non possiamo inoltrarci in quelle regioni che sono inaccessibili o ci possono travolgere, e allora abbiamo bisogno dell’altro. Amiamo l’altro perché tramite lui scopriamo noi stessi e l’altro tramite noi scopre sé stesso. Per questo non amiamo chiunque ma solo chi riflette fedelmente i nostri abissi. E il legame Diabolik-Eva portato in scena dai Manetti è proprio questo.

Il film dei registi romani è ispirato alla terza avventura del personaggio nato dalla fantasia delle sorelle Giussani uscita nel marzo 1963 (il primo albo risale al novembre 1962) intitolata L’arresto di Diabolik, la prima storia in cui appare Eva. La fedeltà del film all’universo del fumetto originale è garantita anche dalla collaborazione come soggettista di Mario Gomboli, storico soggettista delle storie di Diabolik, divenuto direttore generale della casa editrice Astorina dopo la morte delle sorelle Giussani.

Il Diabolik dei Manetti coincide con la riscoperta di un personaggio iconico. In concomitanza con l’uscita nelle sale, a Torino si è inaugurata la mostra “Diabolik alla mole”. Nel 2022 si festeggiano i sessant’anni dell’eroe mascherato. La mostra ha raccolto materiali del film del 1968 diretto da Mario Bava e dell’altra pellicola del 1965 mai terminata di Seth Holt con protagonista Jean Sorel. E ovviamente materiali e foto del film dei Manetti. L’esposizione ha offerto un viaggio dentro le oscurità dei rifugi sotterranei di Diabolik e Eva con mobili e arredi dei primi anni Sessanta: oggetti iconici come la lampada Taccia dei fratelli Castiglioni o la chaise longue di Le Corbusier e altre opere che rispecchiano la passione per il design e l’arte.

A questo proposito i Manetti hanno compiuto un filologico lavoro di ricostruzione dei luoghi di Diabolik: l’immersione nel clima della fine degli anni Sessanta è totale, la scelta di location come Bologna, Milano, Courmayeur e Trieste è perfetta, gli oggetti e gli arredi sono quelli iconici delle tavole dei fumetti. Sul versante dello stile, i Manetti Bros. abbandonano quello colorato e pop dei loro successi (Song’e Napule, Ammore e malavita per citarne solo due) in favore di un film dal gusto cinefilo e dallo stile volutamente retrò e composto.

Un capitolo a parte meriterebbe il ritmo: il Diabolik dei Manetti è lontano dallo scandire forsennato del cinema di oggi, dei blockbuster hollywoodiani sui supereroi. Scegliendo la strada del ritorno al cinema di ieri, i registi romani optano per un ritmo più lento, da cinema d’altri tempi, un’azione piena di mistero si potrebbe dire: sfumatura perfettamente colta dagli interpreti Luca Marinelli e Miriam Leone in primis. I dialoghi tra i due trasudano quel mistero legato al desiderio, fin dal primo colpo di fulmine tutto giocato sullo sguardo e su un’intesa che si accende in modo fatale. Il desiderio appare uno dei temi cardine del film: desiderio del potere, della vittoria, della ricchezza, dell’amore.

Ed è qui che la magia del cinema si manifesta e che i Manetti vogliono omaggiare, il loro Diabolik è fatto di colpi di scena, riconoscimenti, azione ma soprattutto passione.

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