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Juliet 181 - feb/mar 2017 feb 2017 – ISSN 11222050

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Anno XXXVII, n. 181, feb - mar 2017 Juliet è pubblicata a cura dell’Associazione Juliet. Autorizzazione del Tribunale di Trieste, n. 581 del 5/12/1980, n. 212/2016 V.G. registro informatico

Direttore Responsabile: Alessio Curto

Illustrazione di Antonio Sofianopulo

Editore Incaricato: Rolan Marino Editore Associato: Eleonora Garavello Direttore Editoriale: Roberto Vidali Direttore Editoriale Online: Giulia Bortoluzzi Direzione Artistica: Stefano Cangiano, Nóra Dzsida Contributi Editoriali: Piero Gilardi, Enzo Minarelli

Contatti di redazione

Corrispondenti

Roberto Vidali, Direttore Editoriale

Ascoli Piceno - Luciano Marucci

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Milano - Maria Villa

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Parigi - Marta Dalla Bernardina marta.db@free.fr

Roma - Carmelita Brunetti carmelita.arte@tiscali.it

Tolosa - Stefania Meazza stefaniameazza@gmail.com

Torino - Valeria Ceregini valeria.ceregini@gmail.com

Promoter Paolo Tutta Gary Lee Dove Giovanni Pettener Maria Rosa Pividori Distribuzione Joo Distribution Stampa Sinegraf Abbonamenti 5 fascicoli + extra issue: Italia 45,00 €, Europa 65,00 € others 90,00 €, arretrati 20,00 € c/c postale n. 12103347 o Iban IT33V0200802203000005111867 Banca Unicredit, Trieste.


Sommario

Anno XXXVII, n. 181, febbraio - marzo 2017 34 | Wael Shawky - Re-visione creativa della Storia

84 | Albertini - Viva è la scultura

Luciano Marucci

Liviano Papa

38 | Pratiche Curatoriali Innovative (VII)

85 | Mehdi Ghadyanloo - A stairway to heaven?

Luciano Marucci

Margherita Ciocci

42 | L’Arte dei Paesi Emergenti - Cuba (II)

86 | Vera Lutter - “Alta e fine”

Luciano Marucci

Ch. Schloss

Luciano Marucci

pics

50 | Ray Smith - “Tell the kids”

71 | Tony Cragg - “Contradiction”

Project for Juliet

73 | Paola Pivi - “Untitled”

52 | Matteo Negri - Dalla superficie alla città Alessandra Piatti

54 | Dobrivoje Krgović - A connective tissue

75 | Gianni Pettena - Monuments & Architecture 77 | Michele Gabriele - The Missing Link

Roberto Vidali

79 | Chiara Dynys - Look Afar

56 | Miralda - Madeinusa

81 | Gregory Bae - Traces

Emanuele Magri

83 | Vico Magistretti - Interni milanesi

58 | Joseph Marioni - Mr. Painter Ilona Barbuti

ritratti

60 | Babak Golkar - Time Capsules (2016-2116)

87 | Fil rouge - Cristina Bonadei

Emanuela Zanon

Fabio Rinaldi

62 | Vittoria Matarrese - Un’italiana a Parigi

93 | Sophie Ko

Maria Cristina Strati

Luca Carrà

64 | MOCAK al MAXXI - Maria Anna Potocka Giulia Bortoluzzi

Rubriche

66 | Piero Livio - Oggetti e immagini

88 | Appuntamento all’incanto - Lotti al castello

Valeria Ceregini

Alessio Curto

68 | Narges Soleimanzadeh - Lynx Prize 2016

89 | P. P. - Eva Frapiccini

Enea Chersicola

Angelo Bianco

69 | Joe Grillo - Acid American

90 | (H)o della Q16

Camilla Nacci

Angelo Bianco

70 | The System of Objects - Stefano Poli

91 | Sonya Clark - Hair As Collective Identity

Magdalini Tiamkaris

Leda Cempellin

72 | Marco Carminati - Collezionista di libri d’artista

92 | Arte e... Sara Stulle

Emanuele Magri

Serenella Dorigo

74 | Lorenzo Mattotti - “Sconfini” Sara Bidinost

agenda

76 | Enzo Bersezio - “Colonne” (1977-2016)

94 | Spray - Eventi d’arte contemporanea

Enrico S. Laterza

AAVV

78 | Fondazione Baruchello - Luogo di rif lessione e sperimentazione

COPERTINA

Luciano Marucci

80 | Rita Vitali Rosati - Energia provocatrice Carmelita Brunetti

82 | Paris Photo - Edizione da ventennale Alessia Locatelli

Wael Shawky, marionetta CC III-M64 2014 da “Cabaret Crusades The Secrets of Karbala”, vetro di Murano, stoffa, smalto, filo, 58,4 x 20,3 x 12,7 cm (© Wael Shawky, courtesy Sfeir-Semler Gallery, Beirut/Amburgo e Lisson Gallery, Londra)

SA S e GG pr (D I O i v o N . . P. R G RAT d e l 66 . t 3 26 UI r ian a r / 1 TO g ol t . 2 0/ , l 19 e s. o et 7 2 IV t. ) A d

46 | Cinema Sperimentale anni Sessanta-Settanta (V)

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Wael Shawky

Re-visione creativa della Storia a cura di Luciano Marucci

Ho conosciuto Wael Shawky ad Art Basel 2015. Al termine di una sua conversazione pubblica aveva accolto volentieri la richiesta di una mia intervista, ma era stato costretto a disdirla perché quel giorno si tenevano gli incontri per concretizzare sue mostre al Museo del Castello di Rivoli e alla Fondazione Merz e doveva attendere la definizione del progetto prima di parlarne. Dopo l’inaugurazione di quegli eventi ho pensato di realizzare questo special per svelare il suo magico e poetico universo, nel quale rievoca storie remote con allusivi riferimenti al presente mediante strumenti narrativi, visivi, letterari (che derivano da culture popolari mediterranee) e contaminazioni di generi. Quindi l’ho ricontattato, via skype, a Doha (in Qatar) dove si trova per una residenza e sta strutturando il prossimo lungometraggio le cui riprese inizieranno nel 2018. Ne è risultato un lungo dialogo. Va focalizzato che le realizzazioni esotiche di Shawky, con le marionette e le loro fiabesche azioni filmiche ispirate alle vicende dei Crociati, non evadono dalla realtà attuale, anzi hanno una estesa valenza ideologica esaltata dalla dimensione spirituale. Scaturiscono dall’idea di re-visionare la Storia nell’odierno sistema sociale e culturale, dominato da finzioni e stereotipi; da un processo di meditazione, analisi e reinvenzione dal punto di vista arabo, senza creare uno scontro di civiltà tra mondo occidentale e islamico. Da qui le modalità controcorrente, capaci di catturare l’attenzione di una vasta platea e di stimolare la riflessione sulle nozioni di identità nazionale, religiosa e artistica che non riguardano soltanto la regione mediorientale. La sua rapida affermazione nell’attuale scenario artistico è dovuta alla naturale abilità di rompere gli schemi linguistici codificati con lavori indipendenti, di straordinaria intensità, qualità estetica ed etica. L’enfasi teatrale di gusto comune che li connota è legittimata dall’intento comunicativo e dall’autentica partecipazione intellettuale ed emozionale ai temi affrontati. La sua attività inventiva e prolifica, praticata con sapienza artigianale, che contrasta con l’automazione industriale e il dinamismo dell’era digitale, spazia dai delicati disegni ai raffinati oggetti scultorei, dagli intriganti film ambientati in suggestive scenografie alle composite installazioni. Una campionatura di questa produzione è stata ‘rappresentata’ nelle articolate esposizioni di Rivoli e Torino. Parallelamente anche la Lisson Gallery di Milano ha proposto una sua personale. Shawky, ancora una volta, attraverso una surreale iconografia estraniante, sdrammatizza certe criticità del nostro tempo e contribuisce, in qualche misura, ad avvicinare l’Oriente all’Occidente e a far guardare al futuro con più speranza, senza tante paure geopolitiche. A lui il compito di spiegare le ragioni del suo fare. Wael Shawky ad Art Basel “Conversations” 2015 nell’incontro con la gallerista Andrée Sfeir-Semler (ph Luciano Marucci)

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Luciano Marucci: Dopo le esposizioni che hai tenuto in ambito internazionale, quale rilievo ha per te la “retrospettiva” allestita al Castello di Rivoli? In particolare, cosa hai voluto evidenziare in rapporto alla mostra presso la Fondazione Merz? Wael Shawky: Tengo a chiarire che non considero la mostra di Rivoli una “retrospettiva”. Si tratta di lavori già esposti; sono solo una parte del Cabaret Project, che era partito proprio da Torino, anche se il primo film, Cabaret Crusades: The Horror Show File del 2010 – in cui mi ero servito degli antichi burattini della Collezione Lupi del Museo della Marionetta – fu realizzato da Cittadellarte a Biella. Pur avendo tenuto nel frattempo esposizioni a Berlino, Londra, New York, Doha e altrove, questa mostra in grande scala è importante per me, dal momento che si attua subito dopo la nomina di Carolyn Christov-Bakargiev a direttrice del Castello di Rivoli e in contemporanea con quella alla Fondazione Merz, che nel 2015 mi ha assegnato il Mario Merz Prize. Ne sono derivati due eventi diversi, anche nel linguaggio. Ho portato a Rivoli la trilogia completa di Cabaret Crusades con l’ultimo film, The Secrets of Karbala. L’intera idea e tutta la scenografia si basano su un dipinto di Giotto e risentono di un forte legame con l’Italia. La mostra di Rivoli si rifà alla storia scritta, a come la gente crede in essa e la analizza; quella alla Fondazione Merz parla di un’esperienza personale che ho vissuto in Egitto, combinata e tradotta in un racconto attraverso un linguaggio surreale e una location particolare. Una mostra è incentrata sulla storia scritta, l’altra sul racconto, la letteratura. Le serie di film, al di là delle peculiarità tecniche del mezzo, cosa aggiungono alla tua opera plastica? Per me soprattutto le sculture aggiungono qualcosa ai film di Cabaret Crusades, in quanto implicano una dimensione temporale – essenziale visto che sto parlando di storia – che altre espressioni non hanno. A ll’inizio quella di mostrare o meno le marionette è stato un dilemma. Temevo che potessero togliere ai film la parte magica, invece mi sono reso conto che non era così. Infatti, avendo allo stesso tempo di fronte le vere puppets, esse contribuivano a dare una dimensione altra. Si capiva che erano figure sorte da una manipolazione come nei film d’animazione grafica dove i personaggi diventano reali. Con questa combinazione il lavoro è risultato più concettuale e i miei dubbi sono spariti. Con le proiezioni scenografiche di Cabaret Crusades nello spazio trasformato del Castello di Rivoli hai voluto dialettizzare con l’ambiente storico di un luogo diverso per ampliare la percezione del significato dei film? Ho voluto aggiungere un’esperienza nuova alla Manica Lunga, lo spazio che avevo a disposizione. Quando mi hanno offerto di fare la mostra e ho visto quel corridoio, ho pensato che sarebbe stato estremamente difficile realizzare la mia idea lì. Mi hanno raccontato che esso ha fatto fallire alcuni progetti espositivi. Quindi ho optato per due direzioni differenti: come usare la struttura architettonica e come definire l’idea di tracciare una linea del tempo, un viaggio nella storia in cui i visitatori potessero comprendere le vicende delle Crociate. Ho diviso spazio e mostra in tre capitoli collegati. È tutto un misto, anche quelli che appaiono come un minareto e un giardino.


Fotogramma dal film “Cabaret Crusades: The Secrets of Karbala” 2015, Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea - CRT in comodato presso Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino (© Wael Shawky; courtesy Sfeir-Semler Gallery, Beirut/Amburgo e Lisson Gallery, Londra)

La ‘distesa’ di sabbia dell’installazione alla Fondazione Merz è solo un paesaggio capace di evocare il tuo mondo mediorientale? Sono convinto che ogni film debba avere un suo linguaggio e raccontare un’esperienza storica. Quell’installazione è legata a un mio vissuto personale nella parte nord dell’Egitto, durante una visita al villaggio di Al Araba Al Madfuna, che ha dato il nome alla serie di film. Lì ho visto la gente scavare nella sabbia per trovare dei reperti, di cui da sempre ha sentito parlare; tesori che delineano la loro storia, ma che possono anche essere venduti per fare soldi; che portano alla luce tracce di civiltà antiche che si possono conoscere solo spostando la sabbia che le nasconde. Le marionette che animano anche i tuoi film e le installazioni nascondono verità esistenziali personali e collettive? Sì, le marionette sono sorprendenti. Chi le guarda sa che non sono loro a recitare, quindi non è coinvolto dall’abilità dell’attore dietro la marionetta, ma dal carattere della figura unitamente al copione e alla tematica. L’attore non proietta sé stesso nella marionetta; c’è un distacco, perciò la visione è meno drammatica. La stessa cosa avviene quando utilizzo i bambini, perché imparano a memoria senza capire bene cosa dicono e il dramma scompare. Solo usando la voce che non è la loro, ma di un adulto, rimuovo il dramma e raggiungo una profondità maggiore. …Impersonano anche i protagonisti della realtà sociale? Beh, sì. Penso che i n ogni f i l m ci sia più d i una d i mensione. Quando vedi le marionette, le associ al concetto della manipolazione della politica, nei media, nella chiesa… Ma le voci dei bambini non sono una manipolazione, hanno a che fare con un corpo ‘impossessato’. Cosa accade ad Al Araba Al Madfuna quando i cercatori scavano? Hanno bisogno di uno sciamano (il shir) che li guidi; di una persona che faccia da medium tra i l mondo fisico dove vivono e i l mondo metafisico che non si vede. Sono convinti che non si possa trovare il tesoro, perché i Faraoni si esprimevano attraverso un linguaggio impossibile

da comprendere o tradurre con i nostri mezzi. Dobbiamo tornare a loro per poter raggiungere il pathos e solo un medium può captare i l messaggio. Nel la cultura islamica chiamiamo questo sciamano Sheikh. Il popolo crede anche nei jinn, esseri del sottomondo sconosciuti in Occidente. Non possiamo vederli, ma non sono lo spirito di persone defunte. Pure i cristiani del mondo arabo ammettono la loro esistenza. In realtà l’oggetto artistico acquista un’identità. Cerco di separare quello che accade in Al Araba al Madfuna da quanto ho inserito in Cabaret Crusades dove si parla di cose attuali, del contemporaneo. Al Araba Al Medfuna implica la metafora. Le persone possono essere ‘possedute’ (accade spesso), come avrai visto nel film L’esorcista. In questo villaggio ho potuto assistere a una scena simile: una ragazza ‘posseduta’ con la voce da uomo e una persona che provava a guarirla usando un’arma, non una croce. Al Araba Al Madfuna mostra come i due sistemi – fisico e metafisico – possano incontrarsi in un certo punto. Nel tuo caso le figure grottesche, la metafora e il mito, oltre ad addolcire il dramma, vogliono esaltare le ragioni del fare? Non si tratta solo di “addolcire”. Come ho detto, utilizzo le marionette per superare il dramma. Quando io giro un film, al posto dell’attore c’è una marionetta e sposto l’attenzione dalla figura recitante alla storia, alla trama, al tema. Un altro aspetto importante nell’uso delle figure grottesche e non, belle o surreali, è che tento di rompere i cliché. Non voglio che una figura sia legata al concetto di buono o cattivo. Per assicurarmi che ciò non accada, lascio che una stessa marionetta interpreti più personaggi, buoni o cattivi. Una volta la marionetta potrà essere un crociato e poco dopo un capo islamico. Pensi che il linguaggio accattivante contribuisca efficacemente alla trasmissione e alla comprensione del messaggio? Lo spero. Il testo delle serie filmiche è particolarmente chiaro nel la terza par te; r ig uarda g l i ant ich i docu ment i scr it t i da

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MOCAK al MAXXI Maria Anna Potocka di Giulia Bortoluzzi

Maria Anna Potocka , curator, critic and art theoretician . She has been , during 1996 –2010 the director of the Museum of Contemporar y Art in Niepołomice, during 2001–2002 the deput y director of the Centre of Contemporary Art in the Ujazdowski Castle in Warsaw; 2002–2010 the director of the Bunkier Sztuki Art Gallery. From 2010, she is the director of MOCAK the Museum of Contemporar y Art in Krakow. On the occa sion of the exhibition “L’arte dif ferente: MOCAK al MA X XI” Maria Anna Potocka presents the Museum’s collection. Giulia Bortoluzzi: The MOCAK (opened in 2011) is the first museum in Poland to be realized precisely to host contemporary art exhibitions - located in the former-warehouse of Oscar Schindler’s factory in the post-industrial neighbourhood of Zablocie in Krakow, with a logo that recalls the roofs of the building. What does the history of this specific place mean for you, and the museum? Maria Anna Potocka: History means a lot for our Museum located in a historic city and historic place. That is why our first exhibition was History in Art. We wanted to show how artists

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interpret and use History. Since we are in Schindler’s Factory and Krakow is not far away from Oświęcim, the “theme” of the Holocaust is part of our programme. The exhibition The Experience of Auschwitz, which featured Polish, Israeli and German artists, excited much controversy. We also publish interviews with former prisoners; we make films with them and publish books. “L’arte differente: MOCAK al MAXXI” is the title of the exhibition of the MOCAK Collection, organized in collaboration with and hosted by the MAXXI museum. More than 50 works by the most representative artists of the collection are shown in Rome, such as: Pawel Althamer, Edward Dwurnik, Katarzyna Górna, Julian Opie, Daniel Spoerri and many more… How and when the collection started, and according to which parameters? I have been collecting contemporary international art for 30 years. The result is a collection comprising over a thousand works, which I bequeathed – together with the archive and library – to MOCAK. An important base of the collection was conceptual art and Fluxus. For the last couple of years the Ministry of Culture has run


Exhibition of works from the MOCAK Collection in Rome, installation view at MAXXI National Museum of 21st Century Arts, Rome, ph. Giovanni Stella, courtesy Fondazione MAXXI

a contemporary art acquisition programme and four Polish museums get several hundred thousand Euro for acquisitions annually. This programme has allowed us to expansively expand our collection. Currently, it comprises nearly five thousand objects. The programmatic principle is open. We look for art that highlights the most current issues and “processes” them in different media. We look for art that is conspicuous and attractive – in the modern sense of the word. The Collection features works by Polish and international artists, proving how both share similar values and intents. The exhibition in Rome has a strong meaning in this regard, what could be the common points and preoccupations that Polish and Italian art have been sharing the most? Yes, it was one of the purposes of this exhibition – to show that Polish art is simultaneously world art. And what connects Polish and Italian art the most is probably admiration for Italy, the fact that our cultures are permeated by Italianness. Of course, the Italians have much advantage over us in this respect. Two main purposes of MOCAK activities are: presenting the art of the last twenty years of the post-war avant-gardes and conceptual art, and explaining the sense of the creative process in its cognitive and ethical daily means. How do you actually follow these objectives? What are the reactions of the public? We try to explain to the audience “what art is for”. We

even have a programme with this title. All the works we exhibit are accompanied by captions explaining the circumstances connected with their origin and possibly some media tricks used. We also try to make the works through which we highlight contemporary issues attractive, intriguing and inspiring. The Polish audience, which was deprived of such access to contemporary art for many years, needs encouragement and a little support. Our attendance and popularity are growing, so it seems we are effective in this field. What are your plans for the future? What are your expectations and focuses for next years? We are goi ng to ex pand t he var iet y of ar ts featured i n t he MOCAK’s programme - we organize concerts of contemporary classical music, and this programme will be expanded. Since the next year has been proclaimed the 100th anniversary of avant-garde, we are going to go in the direction of history and organize the exhibit ion of Leon Chw istek. Next year we are goi ng to instal l three objects in the public space around the Museum: a work by Dorota Nieznalska reconstructing a fragment of the wall that Lech Wałęsa jumped over i n 1980, a bic yc le i n sta l lat ion by Leopold Kess ler a nd a rea l fou nta i n made of a rea l u r i na l by Lec h Lewandowsk i. A nd beside that, as part of our great series confronting art with the key terms, in the next year we are going to present the exhibition Art in Art.

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Gregory Bae Traces

Gregory Bae “Traces” 2015. Acrilico su televisore e muro, cinghia con cricchetto, rumore bianco e statico, 152 x 152 x 51cm, courtesy l’artista e FL Gallery. In mostra alla FL Gallery di Milano fino al 24 Marzo 2017

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Gregory Bae Traces

Gregory Bae “Traces” 2015. Acrilico su televisore e muro, cinghia con cricchetto, rumore bianco e statico, 152 x 152 x 51cm, courtesy l’artista e FL Gallery. In mostra alla FL Gallery di Milano fino al 24 Marzo 2017

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Spray Eventi d’arte contemporanea

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Yuri Ancarani “Il Capo” 2010 single channel video, 15’, MAST Collection, courtesy of the artist and Gallery Zero, Milano

Ugo Ricciardi “Nightscapes” 2016, courtesy Burning Giraffe Art Gallery, Torino

BOLOGNA Gallleriapiù presenta The Lions Teeth And/Or The World Was Once Flat, pers o na l e d e l g i ova n e a r tis t a m e s si c a n o Emilio Rojas che attraverso animazioni in stop motion, video, performance, scultura, fotograf ia, te sti e dis egni inc en trati sullo studio metaforico del dente di leone (tarassaco) indaga le implicazioni storiche del colonialismo. I semi e i fiori di questa pianta considerata infestante sono la materia prima di un viag gio ide a l e c h e c o l l e g a b o t a n i c a , a n ato m i a e g e o g r af ia inte si c o m e c a mp i d ’a zi o n e p e r f o r mati va di un c o r p o c h e di ve nt a strumento critico di rivelazione di traumi rimossi, storie soppre ss e e narra zioni na s coste all ’interno delle at tuali que stioni socio -politiche. Nell ’arco di due anni l’artista ha raccolto 15mila denti di leone e più di mezzo milione di semi che nella p er formance e nell ’installa zione site-specific in galleria sono i catalizzatori di un’ibridazione erotica tra specie vegetali da cui l’uomo, nudo e indifeso, s e m b r a f a r s i f a g o c it a r e e f e c o n d a r e . Obiettivo dell’artista è forzare i confini d e ll e a b it u d in i m e nt a li c o inv o l g e n d o il pubblico nell ’e sp erienza diret ta p er creare legami vitali tra la quotidianità, la pratic a ar tistic a e l’azione collettiva come primaria strategia di sopravvivenza culturale nell’era del post colonialismo. La Galleria Enrico Astuni ripercorre la carriera di Aldo Mondino con una selezione di opere realizzate tra la metà degli anni Sessanta e il 2001. Straordinario pittore e disegnatore, l’artista ha sperimentato un’infinità di materiali e tecniche: dallo z u c c h e r o a l c a r a m e l l o , d a l b r o n zo a l vetro, dalla ceramica al mosaico, ai celebri tappeti e alle installazioni realizzate con il torrone, i semi di caffè e cereali, il

cioccolato, i lampadari fatti con le penne a sfera Bic (Jugen Stilo), solo per citarne alcuni. La mostra si articola seguendo i momenti più importanti della sua ricerca in un’affascinante alternanza di sug ge stioni visive e concettuali con la regia dei curatori Achille Bonito Oliva e Vittoria C o en, autori del c atalogo che corre da l’esposizione. De’ Foscherari rende omaggio a Gilberto Zorio con una personale che ripercorre c in qua nt ’a nni di c o llab o r a zio n e tr a il Maestro dell’Arte Povera e la galleria. La mostra è concepita come un organismo vivente in cui opere realizzate in periodi diversi dialogano tra loro richiamandosi l’un l’altra. Oltrepassando i confini della retrospettiva, i lavori fungono da catalizzatori di riflessioni sulla prassi artistica e sul mistero di un Universo costantemente rimodellato da energie psichiche e organiche. Il percorso espositivo evidenzia la fascinazione di Zorio verso i processi fisici, chimici e alchemici rintracciabile fin dalle prime opere realizzate a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta e verso tutte quelle modificazioni, aggregazioni, te nsioni e c ontra sti de lla mate r ia c h e dischiudono infinite nuove possibilità esistenziali e poetiche. L a F o n da zio n e MA S T nella c ollet tiva “ L avoro in Mov im e nto ” r iunis c e quatto r d i c i a r t is t i d i f a m a inte r n a zi o n a l e ( Yuri Anc arani, Gaëlle B ouc and, Chen Chieh-jen, Willie Doherty, Harun Farocki / Antje Ehmann, Pieter Hugo, Ali Kazma, Ev a L e ito lf, G a b r i e l a L öf f e l , A d N u is , Julika Rudelius e Thomas Vroege) in un proget to interamente de dic ato all ’im magine in movimento che indaga le trasformazioni in atto nel mondo del lavoro e della produzione industriale. L’occhio della videoc amera testimonia la rapida e vo luzio n e di una re a lt à alla p e re nn e

rincorsa dell’innovazione e dell’ottimizzazione produttiva immergendosi nella sua coinvolgente operosità. Ogni video è un resoconto visivo autonomo che trova il suo più profondo signific ato in relazione agli altri, di cui diventa di volta in volta commento, critica o tacita risposta. Portanova 12 prosegue la ricognizione nei meandri della street ar t con la personale di Serena Sacchetti, eclettica creativa bolognese trasversalmente impe gnata in vari ambiti dell’urban style. Dj e produttrice di music a house, minimal ed elettronica, la sua produzione grafica asseconda un’irriverente proliferazione di c ar to o n c h e s atur an o il c amp o p ittor ic o in una b ab elic a ac c umula zion e di tipizza zioni c aratteriali ed emotive. I suoi p e r s ona g gi stiliz z ati ac c olg on o sug gestioni dai manga, dai fumetti e dai c ar toni animati anni ‘80 e ‘90 amalgamandoli a sberleffi da rave illegale in una personalissima cifra espressiva. L a 41esima edizione di Ar te Fiera, q u e s t ’a n n o af f i d at a a l l a d i r e zi o n e d i Angela Vettese, si è presentata in veste completamente rinnovata per poter competere con le grandi fiere internazionali e p er risp e cchiare in mo do più diret to il sistema culturale considerato nel suo complesso. Più rigida quindi la selezione: 133 galle r ie n e lla Main S e c tion e S olo Show (contro le 190 dello scorso anno) e una veste grafic a essenziale ispirata al tema dell ’interdipendenza tra ar te e natura concepita dallo Studio L ancel lotti di Milano. Alle sezioni principali si è aggiunta Nueva Vista, selezione di artisti meritevoli di una rilettura critica curata da Simone Frangi e una nuova sezione curata da Angela Vettese, Agenda independents, che ha presentato gallerie di ricerca italiane e straniere che lavorano sulla fotografia e sulle sue intera zioni Juliet 181 | 97


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