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apr 2016 – ISSN 11222050 00

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Anno XXXVI, n. 177, apr-mag 2016 Juliet è pubblicata a cura dell’Associazione Juliet. Autorizzazione del Tribunale di Trieste, n. 581 del 5/12/1980, n. 212/2016 V.G. registro informatico

Illustrazione di Antonio Sofianopulo

Direttore Responsabile: Alessio Curto Editore Incaricato: Rolan Marino Editore Associato: Eleonora Garavello Direttore Editoriale: Roberto Vidali Direttore Editoriale Online: Giulia Bortoluzzi Direzione Artistica: Stefano Cangiano, Nóra Dzsida Contributi Editoriali: Piero Gilardi, Enzo Minarelli

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Sommario

Anno XXXVI, n. 177, aprile-maggio 2016

38 | Pratiche Curatoriali Innovative Luciano Marucci

46 | Cinema Sperimentale anni Sessanta-Settanta Luciano Marucci

50 | Arcangelo Sassolino - Fisico e reale

Giulia Plebani | 54 El iris de Lucy - Artistas africanas contemporáneas Emanuele Magri | 56 English Breakfast [20] - Anna Masoan Matilde Martinetti 58 | Jorge Mayet - Allegoria e realtà Emanuela Zanon 60 | Aimez-vous l’art? - Arte e realtà aziendali Maria Cristina Strati | 62 Chantal Michel - L’inquiétante étrangeté Giulia Bortoluzzi | 64 Il piccolo miracolo - Truus e Gerrit Enzo Minarelli 66 | Valerio Dehò - Donne in azione Antonella Palladino e Pietro Montone 68 | Mail Art - “glocale” Ruggero Maggi | 68 Massimiliano Gioni - “Innamemorabiliamumbum” Maria Villa | 72 Vincenzo de Bellis - A proposito di miart Maria Villa 73 | BTaste - Nocturnal (original) Roberto Vidali 74 | Marco Basta - Green, Blue and You Giulia Bortoluzzi | 76 Francesco Vezzoli - La Storia a Museion Paola Bonino | 78 Rosemarie Sansonetti - Domestiche sovversioni Lucia Anelli 80 | Memorie cosmiche - Enzo Pituello Sara Bidinost 82 | Materia plasmata - Albertini Liviano Papa | 84 Just a spoonful of sugar - Galleria Trentatré Giulia Bortoluzzi | 86 Gianmarco Pulimeni - Eros e Psiche Carmelita Brunetti

piks

75 | Yinka Shonibare - “MBE” 77 | Elisa Leonini - “Landtrack” 79 | Vera Kox - Reassurring 81 | Carsten Höller - “Y” 83 | Will Ryman - “Icon” 85 | Yuri Ancarani - “Bora” ritratti

87 | Fil Rouge - Lorenzo e Antonello Penso 93

Fabio Rinaldi |Alessandro Mendini Luca Carrà Rubriche

88 | Appuntamento Design - Patrycja Domanska Alessio Curto

89 | PP*

- Giusy Caroppo Angelo Bianco 90 | Ho del 2% Angelo Bianco

91 | William Wegman - The game of discovery 92

Leda Cempellin | Arte e... - Enrico Lena Serenella Dorigo

94 | Spray - Appuntamenti ed Eventi AAVV

COPERTINA

Liu Wei “Purple Air 2014 No.3” (dettaglio) 400 x 400 cm, olio su tela, esposizione “Colors” all’Ullens Centre for Contemporary Art di Pechino, curata nel 2015 da Philip Tinari e da Gou Xi (courtesy l’Artista e UCCA, Pechino)

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Pratiche Curatoriali Innovative Interventi: de Bellis, Pratesi, Scotini, Tinari, Todolí, Verzotti a cura di Luciano Marucci

L’ indagine sulle pratiche curatoriali nell’arte contemporanea, che coinvolge rappresentativi protagonisti del sistema dell’arte non soltanto italiano, vuole mettere in luce il ruolo dei curatori indipendenti o di spazi istituzionali nell’attuazione di progetti espositivi. Nel contempo viene promosso un confronto di opinioni sulla possibile azione di stimolo che la loro attività può generare per favorire la nuova creatività degli operatori visuali e l’evoluzione della cultura artistica generale. Nelle prime due puntate sono state pubblicate le testimonianze di Renato Barilli, Achille Bonito Oliva, Gillo Dorfles, Hans Ulrich Obrist, Fabio Sargentini (“Juliet” n. 175, dicembre 2015) e di Carlos Basualdo, Hou Hanru, Massimiliano Gioni e Angela Vettese (“Juliet” n. 176, febbraio 2016). Agli interlocutori, oltre alle domande riferite alle personali esperienze nel settore, vengono rivolte quelle che seguono, comuni ai più: 1. Dopo le ideazioni curatoriali attuate nell’arte contemporanea fin dagli anni Sessanta in spazi istituzionali e alternativi, è ancora possibile progettare format espositivi originali? 2. Al di là della qualità delle opere presentate dagli artisti, le mostre dovrebbero avere una identità che riflette l’ idea dei curatori? 3. Per realizzare eventi propositivi è indispensabile disporre di una produzione artistica inedita o innovativa? 4. I curatori più impegnati, con le loro esposizioni senza limiti generazionali, linguistici, disciplinari e geografici, possono stimolare la creatività e accelerare il processo evolutivo della cultura artistica? 5. Se inventare il futuro è una prerogativa dei creativi, il critico e il curatore dovrebbero registrare l’esistente con atteggiamento neutrale assumendo un ruolo puramente informativo? 6. La sinergia con gli architetti, specie per l’allestimento delle collettive in grandi spazi o nell’ambiente urbano, offre un valore aggiunto o può rappresentare un rischio di interventi invasivi? 7. In quale occasione espositiva è riuscito ad agire in modo più soddisfacente? Vincenzo de Bellis, critico d’arte e curatore, direttore artistico di MiArt 1. Penso che si possano fare delle belle mostre. Poi, sui formati originali, ci sarebbe molto da dire e da discutere. Anche ripensare quanto fatto in passato, è una forma di originalità. “Gli autori più originali dei nostri tempi non sono tali perché creano qualcosa di nuovo, ma solo perché sono capaci di dire cose del genere come se non fossero mai state dette prima” (Johann Wolfgang Goethe). 2. Le mostre che riescono sono quelle che presentano opere di qualità. La scelta delle opere rappresenta di per sé stessa il tratto 38 | Juliet 177

principale dell’identità di una mostra e del suo curatore. 3. Non so se “innovativa” o “inedita” siano parole che condivido. Penso più che altro che ci sia buona arte e cattiva arte. 4. Credo che la curatela sia una pratica molto stimolante ma che sia sopratutto un mestiere. Un lavoro che, se fatto bene, rende un servizio perché è funzionale a mettere in luce le vere opere d’arte che sono quelle degli artisti. 5. Già associare il critico e il curatore mi sembra azzardato. Sono due ruoli distinti. Uno giudica, l’altro propone. Confondere i due ruoli è stata spesso una chiave per rendere meno chiaro, più fosco e confuso il sistema dell’arte. Il curatore è un esploratore: guarda con gli occhi e presenta opere in uno spazio fisico. Registra il contemporaneo, con tutto quello che ruota intorno. 6. Non si può generalizzare. Io penso che la divisione degli spazi e la definizione degli stessi sia una delle maggiori virtù che deve avere un curatore. Una mostra non è un elenco di artisti e di opere. Non è neanche un libro. Non si legge, si guarda. Questo vuol dire che ha delle coordinate spazio-temporali fondamentali per la sua riuscita, e il rispetto dello spazio architettonico e delle opere è la chiave che innesca il giusto rapporto tra i due elementi. Sono dettagli che il visitatore non sempre coglie e, se ciò avviene, spesso significa che è stato fatto un buon lavoro. Tutto questo per dire che, se la divisione degli spazi viene fatta da un architetto o da un exhibition designer, può essere un valore aggiunto, ma la differenza la fa davvero la conoscenza delle opere e quello di cui esse hanno bisogno. La collaborazione tra curatori è sempre vantaggiosa? Spesso si innescano delle collaborazioni interessanti, altre volte no. Io sono un convinto sostenitore del fatto che l’arte, e ciò che a essa ruota intorno, sia troppo soggettiva per essere analizzata da più persone che, giustamente, hanno idee diverse. Ciò detto, nel mio lavoro mi giovo sempre di collaborazioni. Solo che i ruoli devono essere ben definiti sin dall’inizio, in modo che in una situazione di impasse qualcuno possa prendere una decisione. Anche perché, dal mio punto di vista, un curatore dovrebbe cercare di evitare compromessi, sempre. Pur nell’errore. I corsi di formazione per curatori possono avere una funzione utile? Cosa ha imparato con il master al Centro Studi Curatoriali del Bard College di New York? Non penso che si possa davvero insegnare come si cura una mostra. Ma questi corsi possono dare - e secondo me sono fondamentali - dei codici di conoscenza del ruolo, del compito, della funzione di un curatore. Che è plurima e soggettiva, quindi non può essere imposta. Però la domanda mi dà lo spunto per affrontare un tema a me caro e di certo scomodo per molti. Uno dei grandi problemi del mondo dell’arte è la mancanza di professionalità. La convinzione che l’arte sia una cosa troppo elevata per poterla associare al “lavoro”. Ma perché nella musica, nel teatro, nel cinema non è così? Nessuno si può improvvisare regista teatrale, o attore, mentre nell’arte contemporanea un antropologo o un filosofo viene invitato a curare una mostra, o un regista cinematografico mancato o non all’altezza si può riciclare come artista. Questo apre a tanti, troppi malintesi. L’arte visiva ha dei codici e ha delle regole come le altre


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arti, e vanno conosciute, studiate, approfondite. Per me il master del CCS Bard College è stato fondamentale per questo. Mi ha insegnato il rispetto per il lavoro, per il mestiere; il valore della ricerca, della programmazione, dell’organizzazione. Non basta tutto ciò per curare: devi avere un talento per saper raccontare visivamente qualcosa (non dico di averne, per carità non si fraintenda, è un discorso generico), ma senza questi codici e queste conoscenze il talento non servirebbe a molto. Ennesima, da lei curata per la Triennale di Milano, vuole anche indicare un nuovo format espositivo? Non ambisco a così tanto. Vuole mostrare l’arte italiana sotto una luce diversa, e per farlo ho scelto di presentarla attraverso una meta mostra, ovvero una mostra che innanzitutto racconta che esistono vari modi di affrontare una questione e che quindi tutto è soggettivo, personale. Sette formati diversi hanno sette diversi modi di essere approcciati e spero che la gente percepisca questa diversa attitudine. Poi, se per qualcuno la mostra ha la capacità di indicare una nuova via curatoriale ne sono contento. Per me lo fa, ma io non potrei e non dovrei dirlo. Nella scelta piuttosto eterogenea degli artisti è prevalsa l’idea di ‘comporre’ un’esposizione plurima dal formato insolito più che di esibire un generico panorama artistico? Non credo che sia così. Ennesima presenta sette approfondimenti, specifici e, spero, ricercati. Per qualcuno forse insoliti, ma solo perché c’è una certa consuetudine a pensare in modo spesso univoco. Non vuole essere generica e generalista di certo, ma non vuole nemmeno essere “strana”. È quello che dice di essere: una mostra composta di sette mostre. Gli spazi delle sette mostre in una sono stati strutturati aggregando gli operatori visuali per affinità disciplinari e linguistiche? Come dicevo prima, ogni formato è stato approcciato in modo differente a seconda di quello che richiedeva. La sede della Triennale offre l’opportunità di sperimentare formati adeguati per presentare la nuova produzione artistica?

Trovo gli spazi della Triennale duttili e modellabili. Adatti a molta produzione artistica contemporanea. 7. Ennesima è stato un esperimento che ho trovato stimolante. Davvero mi sono divertito. Ma mi piace lavorare gomito a gomito con gli artisti: in questo trovo la ragione del nostro lavoro. A MiArt potrebbero essere attuati progetti curatoriali legati alle sue sezioni? Oppure una fiera dell’arte per comunicare al grande pubblico deve mantenere i caratteri tradizionali già collaudati? Da quando sono arrivato ho portato delle nuove sezioni e progetti curatoriali legati ad esse. La più significativa è THENnow, ovvero una sezione in cui le due anime di MiArt (presente e passato) si fondono e si relazionano non solo idealmente ma anche fisicamente, creando una selezione di stand in cui sono accoppiati un artista di una generazione precedente e uno più giovane. L’idea è che tra i due ci sia una relazione e un’influenza, sia essa diretta o possibile. Questa sezione, curata ogni volta da una diversa coppia (negli anni sono passati Florence Derieux, Andrea Viliani, Giovanni Carmine, Alexis Vaillant, Dan Byers, Ruba Katrib, mentre quest’anno ci sono Jarrett Gregory e Pavel Pyś), ha dato vita ad accostamenti interessanti come Giorgio Morandi e Paloma Varga Weisz, Goshka Macuga e Miroslav Tichy, Ian Wallace e Sharon Lockart, Mario Schifano e Cory Arcangel o Giuseppe Uncini e Matias Faldbakken. Dall’edizione 2016, invece, ci sarà una nuova sezione intitolata Decades, che sarà curata da Alberto Salvadori, dedicata a tutti i decenni del ‘900 diviso in nove stand, ognuno riservato a un decennio. In questo caso la nostra idea è stata quella di invitare le gallerie a pensare e a presentare progetti che hanno rappresentato dei momenti chiave, sia della loro programmazione sia delle carriere degli artisti esposti. Si tratta di una sezione in cui la collaborazione tra curatore e gallerista è totale e si traduce in un ritratto della galleria come luogo di produzione di grandi significati culturali. Sarà un viaggio nel secolo scorso in nove capitoli distinti, alcuni davvero inaspettati. 21 dicembre 2015 Juliet 177 | 39


Chantal Michel L’inquiétante étrangeté di Giulia Bortoluzzi

Ad aprire il ciclo di mostre “Arte e Perturbante” presso la galleria C|E Contemporary di Milano è la personale dell’artista svizzera Chantal Michel, a cura di Viana Conti. Il progetto intende ricondurre alle modalità in cui l’artista esprime una condizione emozionale non solo ambivalente, ma addirittura antitetica. Il perturbante interviene dunque come categoria estetica, sia essa visuale, musicale, concettuale, oggettuale, letteraria, performativa o filmica, analizzata nel suo dar adito a un paradosso cognitivo. Il titolo della mostra che presenti alla galleria C|E contemporary è “L’inquiétante étrangeté”, facendo riferimento alla nozione freudiana di Unheimliche, una dissonanza cognitiva tra il familiare e l’estraneo nell’esperienza del soggetto. In che modo ti riconosci in questo titolo? Il titolo della mostra descrive molto bene il mio lavoro artistico. Gli universi e le immagini che creo sono spesso étranges, direi addirittura che possono perturbarci e inquietarci anche se il mio intento non è propriamente questo. Ciò che m’interessa è di generare delle domande in coloro i quali osservano le mie opere. Amo le cose che stanno fra le cose, le immagini che non rappresentano né il bene né il male, che non sono né belle né brutte, né bianche né nere. Voglio che le mie immagini diano il via al crearsi di storie, desidero risvegliare la curiosità del pubblico e che questo si fermi a osservare e a porsi delle domande. Purtroppo oggi non si pensa più molto, quando ci si trova davanti a un’opera ci si chiede sempre cosa ha voluto dire l’artista?, e si è >

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abituati a ottenere sempre delle spiegazioni. Questo però non ci permette più di pensare e di cercare noi stessi delle risposte. La tua messa in scena abituale offusca la linea di separazione tra oggetto e soggetto: tu diventi quasi un oggetto controllato dallo spazio, il quale a sua volta diventa soggetto grazie alla tua presenza. Questo avviene sia in spazi aperti e pubblici sia in piccole vetrine, utilizzando il corpo come se fosse parte dell’ambiente. Che differenza c’è tra i due incontri? Per me è molto importante puntualizzare la differenza tra fotografia, performance e video, tutti media che utilizzo nel mio lavoro. In queste tre forme di espressione uso il mio corpo come “materiale”, io divento attrice. Nella fotografia non si tratta di autoritratti, ma della ricerca di un luogo fortemente evocativo che mi permetta di creare una storia attraverso il corpo. Questo avviene nel fondermi con lo spazio oppure nella creazione di un personaggio in forte contrasto con il luogo. I video sono molto semplici, ambientati in uno spazio “svuotato” o neutro, con la camera fissa e la concentrazione solo sul corpo, su un movimento, su un gesto o una minima azione. Nei miei video difficilmente la telecamera si muove, perché ciò che voglio fare è creare un’atmosfera. Nelle performance cerco d’integrarmi con lo spazio, preferisco i luoghi pubblici come un albero, il tetto di una chiesa o una vetrina dove mi posso sentire irraggiungibile ma presente. Una delle opere principali in mostra è l’installazione Jenseits von Zeit und Raum / Al di là del tempo e dello spazio, composta di proiezioni, piante, specchi e altre strutture. Il colore dominante è il verde, rimandando alla presenza dell’elemento vegetale, questo potrebbe essere interpretato come una metafora del femminile? No. Si tratta solo di un mondo di sogno; certe volte ho l’impressione di essere come Alice nel paese delle meraviglie dove tutti gli oggetti prendono vita e gli esseri umani perdono d’importanza. Un mondo di sogno dove tutto è possibile perché tutto esiste. Nelle fotografie della serie Münchner Schaufenster fai parte di una sorta di natura morta, oggetto tra gli oggetti, conservando solo l’aspetto superficiale dell’identità umana… A metà nascosta e a

1. Chantal Michel, Nymphenburgerstrasse 97, stampa fotografica montata su plexiglass 67 x 67 cm, 2001 courtesy C|E Contemporary Milano 2. Chantal Michel, Josefallee 128, stampa fotografica montata su plexiglass 150 x 191 cm, 2001 courtesy C|E Contemporary Milano 3. Chantal Michel, Karlstrasse, stampa fotografica montata su plexiglass 85 x 85 cm, 2001 courtesy C|E Contemporary Milano


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metà esposta, cerco d’integrare il mio corpo nello spazio che mi circonda. Vorrei dominare i luoghi del quotidiano oppure scappare o ancora battermi con loro. Vorrei diventare tutt’uno con il luogo, essere un camaleonte tra gli oggetti. Creo sempre delle situazioni statiche che non mi rendano invisibile ma che mi facciano essere presente senza essere manifesta. Semplicemente voglio esserci in un attimo in cui il mondo si ferma. Si tratta di un gioco d’istinto realizzato con il mio corpo che diventa donna, animale o bambino, una fusione di essenza dell’essere. In queste fotografie i rif lessi sulle vetrate sono sempre visibili, più o meno chiaramente. Il mondo esterno diventa una sorta di presenza fantasma nella composizione scenica di uno spazio intimo. Il vetro è la superficie dove i due s’incontrano. Che cosa può rivelare questo incontro? Il rif lesso ci permette di vedere una dimensione in più, decostruisce l’immagine e ci perturba, non riusciamo più a capire chi e che cosa è in primo piano, se ciò che si rif lette o ciò che è esposto nelle vetrine.

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Vincenzo de Bellis A proposito di miart di Maria Villa

Ritratto di Vincenzo de Bellis, foto Marco De Scalzi

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Alla guida di miart da ormai quattro anni, Vincenzo de Bellis ci racconta l’edizione 2016 della fiera milanese. Iniziamo con il chiederti le novità di quest’anno... Possiamo dire che con la quarta edizione è iniziato un nuovo ciclo, ci sono state diverse cose simili a quanto abbiamo presentato negli anni scorsi, ma anche alcune novità. Le quattro sezioni attraverso cui si è sviluppata la fiera sin dal 2013 sono state confermate e una di queste, Object, dedicata al design, è stata ripensata in termini di progetto ed è arrivata a ospitare ben quattordici gallerie. La novità più grande riguarda però l’aggiunta di Decades, sezione dedicata al racconto per decenni del Ventesimo secolo e curata da Alberto Salvadori, direttore del Museo Marino Marini di Firenze. Com’è nata l’idea di dedicare una sezione al racconto dell’arte più storica? La recente fortuna di mercato che hanno riscosso alcuni autori Italiani del dopoguerra ha in qualche modo influenzato questa scelta? No, la ragione che ci ha spinto a pensare al progetto non ha a che fare con questo. Niente di ciò che è stato esposto è legato alle più recenti esplosioni del mercato italiano, anzi, a ben guardare è successo l’opposto. La sezione è nata con la volontà di sottolineare come e quanto il ‘900 abbia rappresentato un momento di fondamentale passaggio nell’arte e abbia innescato una serie di meccanismi che ci hanno portato a ciò che noi oggi definiamo arte contemporanea. Oltre a questo Decades è stata voluta per sottolineare quanto l’arte che gode in questi giorni di maggior fortuna non sia l’unica proposta valida. L’idea è stata quella di valorizzare autori ancora poco visti e si è scelto di farlo in questo contesto perché siamo consapevoli del forte potere di amplificazione che una fiera possiede. Pensa che siamo arrivati a coprire anni come i Dieci, i Venti, i Trenta e i Quaranta che sul mercato sono pressoché inesistenti, a esclusione di qualche rarissimo caso come per esempio Morandi. Detto ciò, è chiaro che la fortuna dell’arte italiana del dopoguerra è stata per noi fondamentale. Quando siamo partiti il fenomeno non era ancora così forte, però si percepiva nell’aria ed essendo miart una fiera dedicata all’arte moderna e contemporanea per noi questo è stato importante. Devo poi dire che a mio parere in questi anni abbiamo fatto un ottimo lavoro

di valorizzazione con una determinata arte storica, precedente all’esplosione di un certo mercato. Per fare alcuni esempi posso citare il caso Baruchello al quale nel 2013, prima della Biennale e della mostra in Triennale, abbiamo dedicato un affondo, oppure Dadamaino, esposta sempre nello stesso anno, prima del suo successo iniziato nel 2014. Quest’anno il processo di valorizzazione è continuato sia in Decades che nella sezione THENnow, dove tra gli altri sono stati presentati artisti come Giuseppe Chiari e Pietro Consagra, di qualità altissima ma con ancora poco mercato. Il 2016 ha segnato anche l’ingresso in fiera d’importanti gallerie internazionali. A cosa pensi siano dovute le nuove adesioni? Ritengo che siano almeno tre anni che Milano non è più la stessa. Oggi certo siamo in un momento molto propizio per la città e sicuramente l’Expo ha fatto tanto. Mi riferisco soprattutto al fatto di aver generato una corsa verso la realizzazione di alcuni progetti che magari altrimenti si sarebbero compiuti molto più lentamente. Detto ciò, penso che le gallerie internazionali vengano a miart perché la fiera è migliorata. Oggi siamo in grado di offrire agli espositori un parterre di colleghi, di collezionisti e di curatori che è al livello di molte altre fiere internazionali. Bisogna considerare che l’edizione 2016 ha ospitato quaranta gallerie che partecipano anche ad Art Basel, fiera ritenuta l’asticella di qualità attraverso cui misurarsi. Questo dato poi fa ancora più effetto se si pensa che le gallerie partecipanti a Milano sono solo 154, molte meno di quelle accolte nelle altre fiere italiane. C’è un progetto che lascia molta libertà pur mantenendo un grande controllo, niente è curatoriale ma tutto è curato, c’è una regia ma non un’imposizione e di questo le gallerie sono consapevoli. Durante miart si realizza una difficile collaborazione, quella tra istituzioni pubbliche e private. Come si è riusciti a metterla in atto? Rispetto ad altre realtà italiane, Milano è una città dove normalmente si collabora difficilmente e questo all’inizio sembrava rappresentare un problema importante. La fortuna ha però voluto che ci trovassimo in un momento di consolidamento del successo di alcune realtà, ma anche di rinascita delle istituzioni. Per questo è stato possibile interfacciarsi con figure nuove e più aperte rispetto alla possibilità di collaborare. Devo anche dire di aver ricevuto un appoggio fondamentale da parte dell’amministrazione pubblica e dagli assessori alla cultura, Boeri prima e Del Corno poi. Ora che siamo riusciti a costruire questa collaborazione l’obiettivo è diventato quello di mantenere un equilibrio e di non soffocare il momento.


Vera Kox

“Reassurring Inertia”

“What’s there in the corner? What corner? Vertexes pointing imaginative through the capacious space of the room, always from squared planes. If we’re to look upon matter as an imaginative inner space, it is enclosed, corners then being out of relevance. The shape complacently disguised. Unreachable in the sense of having non-form…” (Liv Strand, 2014)

Vera Kox, da “Reassurring Inertia” 2014. Foto: David Brandt, courtesy RIBOT arte contemporanea, Milano (Vera Kox, “Fit frame to content”, 10 marzo 30 aprile)

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Spray Ubaldo Bartolini “A t t e s a s u l r u s ce l l o” 2 015 , o l i o s u t e l a , 2 0 x 25 c m , m o s t r a p e r s o n a l e “ Te m p o r o t o n d o” (co u r t e s y l ’A r t i s t a e G a l l e r i a G i n o m o n t i a r t e co n t e m p o r a n e a , A n co n a )

ANCONA

ARONA

G I N O M O N T I a r te c o n te m p o r a n e a (Pia z za del Plebis cito 3 8 , tel.07 1 20743 5 0, w w w.galleria ginomonti.it) h a i n a u g u r a t o l a p e r s o n a l e Te m p o Rotondo di Ubaldo B ar tolini. Il titolo sug geriva il tema che legava le varie opere pittoriche, ov vero l’idea di of frire dif ferenti versioni dei noti paesag gi seguendo la rotazione della terra intorno al proprio a sse e indagando i diversi ef fetti che la l u c e , n e l c o r s o d e ll a g i o r n at a , p r o duce sui sog getti ritratti. L a serie di ventiquattro olii su tela, realizzati nel 2015, si presentava in un f o r m at o p i u t t o s t o r i d o t t o ( 2 0 x 2 5 c m), m a m a n if e s t av a a n c o r p i ù u n a p o etic a intimità e s altata da quell ’anelito al sublime della natura che d a s e m p r e è a l c e nt r o d e l l a r i c e r c a a r t i s t i c a d e l l ’a u t o r e , t r a i p r i m i a r is c o p r i r e l a p o s t m o d e r n it à , l a P ittura Colta. Le situazioni e gli sce nar i dipinti la s c iavan o r ic on os c e re, a g l i o c c h i p i ù at te n t i , a l c u n e d e l l e c omp osizioni prefe r ite c om e la p ortatrice di acqua, l ’incontro al tram o nto, o l ’at te s a s ul l a g o; s e c o n d o u n ’a l t e r n a n z a e u n a m e s c o l a n z a d i at m o s f e r e b u c o l i c h e e n o s t a l g i c h e di a s s o r t a b e ll e z z a . Il p e r c o r s o m a t u r o d e l l ’a r t i s t a h a m o s t r a t o l a c apacità di liberarsi dalla mimesis d e ll a n at u r a c h e e g l i h a r i c o s t r u ito ex novo con il puro linguag gio e s u l l ’o n d a d e l l e e m o z i o n i , c r e a n d o un silenzioso inc anto percettivo.

D o p o l ’o p e r a “ R if l e s s o ” d e ll ’a r tis t a torinese D elfina C amurati, OperaU nic a pre s e nt a il lavoro del n oto pitt o r e - g i a r d i n i e r e G i a n c a r l o Fa n t i n i ( A r o n a 19 5 4) c h e h a , a l s u o at t i v o , s i g n if i c at i v e p r e s e n ze i n m o s t r e d i r i l i e v o: “A r te I n F o n d a z i o n e ” p r e s s o l ’o m o nim a F o n da zi o n e A n g e l o B ozzo l a d i G a l l i ate ; a H o n k Ko n g n e l l a più impor tante rassegna di ar te contemp orane a dell ’are a a siatic a. Inol tre una sua s cultura è c ollo c ata nel giardino delle Terme di Bognanco per il 150° annivers ario. Ar tista naturalis t a , dip a na sulla te la c h e ac c o g li e l e is t a nze di e s s e re auto re , tut t a la c aric a emotiva e intellettuale e di a d e s i o n e a l m o n d o c o nte m p l at i v o , sognato e fantastico, nel “raccontare” attraverso la tavolozza e i colori vivi, una tot ale ade sion e in c on dizionat a a l l a n a t u r a , v u o i l ’a c q u a , i m o n t i , la pianura, la campagna e la nuda te r r a , p o r t atr i c e e c o ns e r vatr i c e di v it a mill e na r ia , qu e lla f o r z a os c ur a e invisibile del suo rigenerarsi in p e r p e t u o . L’a u t o r e , s i d i v i d e t r a i l Basso Verbano, Arona, e le montagne d e l l a Va l l e F o r m a z z a , n e l l ’ O s s o l a ; elabora una visionaria scena della rappresentazione non in quanto tale, facendo rivivere sulla super ficie che accoglie il pensiero del suo divenire: luce e ombre, vivacità e c alore, gioia e tr is te z z a , c o n un a te c n i c a p e r s o nale ac c ostata a autori statunitensi interna zionalmente noti, e a maestri italiani come Giorgio Morandi, in cui

-Loretta Morelli

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la rappresenta zione del sog getto, ve r a s e ntin e lla at te nt a a un m o n d o che cambia, sprigionando colori vivacissimi a cui la mano sapiente dell’artist a n e c o glie gli a sp et ti più intimi, per immor talare una scena che vivrà c o m e l a n at u r a , p e r e n n e (i nf o: +39 339.8 5024 0 6 - gianc arlo_fantini@ alice.it – w w w.gianc arlofantini.net). -Livano Papa

ASCOLI PICENO L a Galleria Marconi di Cupra Marittima , in c o llab o r a zio n e c o n Marc h e C e nt r o d ’A r te , h a p r o p o s to i l te r zo ap p unt am e nto d e lla r a s s e gna C os a c ’è d i n u ov o o g g i? c o n l a c o l l e t t i v a Gennaio è fatto per dormire. Le opere dei tre ar tisti, Nic ola C are dda , Gio vanni Manunta Pastorello e Giuseppe Restano, hanno reso omag gio alla pittura senza alcun preconcetto, sintetiz z an d o s e c o li di ar te e dialo g a n d o p e r m e z zo d i r i m a n d i e c o n tatti che hanno saputo esaltare ogni lavoro. Le tele di C aredda hanno m e s s o in s c e na una r e a lt à d e ns a di par ticolari riconoscibili, ma sospe si in un’atmosfera onirica e surreale. Tre grandi paesag gi urbani e al contempo naturali hanno raccontato l ’umanità s e n z a la p r e s e n z a um a n a , s o lt a nto infinite tracce quotidiane immerse in un tempo enigmatico e acc attivante. Ma nunt a Pa s to re ll o ha e sib ito s c e nari archetipi misti a forme stilizzate e g e o m etr i c h e c h e si r ip eto n o in un


Giuseppe Restano S e n z a t i t o l o 2 016 , sequenza di dipinti ad olio (co u r t e s y l ’A r t i s t a e G a l l e r i a Fr a n co M a r co n i , Cu p r a M a r i t t i m a )

moto di incroci e tangenze, attraverso s quarc i di c olore lont ani dal m on do figurativo dal quale sembrano, però, trarre energia. Come di consueto l a te c n i c a d i R e s t a n o h a r a g g i u nto r isult ati ot tic i e c on c et tuali in e diti; i suoi colori non si fondono mai, non creano tessiture naturalistiche, bensì materializzano l’immagine in un iperr e a l is m o t r a s f i g u r ato c h e p o r t a g l i og getti a nuova vita. Il curatore Dario Ciferri nel testo critico ha concluso: “Quella che presentiamo è pittura nel senso più alto del termine […] Avanguardia? Sì. A strat tism o? Sì. R e a lis m o? F i g u r at i v is m o? S u r r e a li smo? Sì. Gennaio è fatto per dormire of fre insomma una visione f luida, in continuo divenire, in eterno ritorno”.

u o m o - a m b i e nte e g u a r d a c o n i nte re s s e alle p e r ife r ie d e gr adate e all e situa zi o ni ma r g ina li. L’ insi e m e r a p pre s ent a s c ene di vit a c omune, luo g h i s i l e n zi o s i , q u a s i d e s e r t i c i , l o n tani dai centri concitati, tra resti a r c h e o l o g i c i e s te re otip ate , p ove re abita zioni. Il che contrasta con le te s t i m o n i a n ze d i m e m o r i e i nt i m e e di tradizioni f amiliar i. Gli s c at ti ora occ asionali, ora studiati, gli sono valsi alcuni riconoscimenti. Nel 2008 ha ricevuto il primo premio National G e o g r a p hi c It a lia . E g ià c o lla b o r a a periodici na zionali e a riviste online. -Anna Maria Novelli

-Loretta Morelli

BARI

Lo SpazioNovaDea della Libreria Prosperi prosegue il percorso cultu rale iniziato qualche anno fa, dando l’opportunità di esporre a giovani che operano con linguag gi diversi nel c ampo delle ar ti visive. Ha aper to la stagione espositiva 2016 con la mostra Kurdistan: Gap Away di Matte o A ng e lini, un f oto graf o a s c olan o c h e , n e l c o r s o d i u n v i a g g i o i n Tu rchia, ha colto le trasforma zioni di un territorio, c ausate soprattutto dalla costruzione di una grande diga sul fiume Tigri, e le conseguenze sulla quotidianità degli abitanti della zona. Il reportage fotografico risente d e g li s t u di d e ll ’auto r e . L aur e ato in Ingegneria Edile -Architet tura Ange lini p r i v il e g ia in da g ini sul r a p p o r to

L’o l i o e i l s u o i n v o l u c r o p e r e c c e l lenza, la lattina o la bottiglia in vetro, diventano og getto e sog getto di una rimodulazione artistica che ha il sapore della genuinità, della c amp a g na , d e lla vo g lia di sp e r im e nt a re n e l p r o g et to “ O li o d ’a r tis t a”, a c ur a d e l l ’a r t i s t a b i t o n t i n o F r a n c e s c o S a n n i c a n d r o. D o p o d i v e r s e t a p p e inte r m e di e p u g li e si – B a r i , Te r liz zi , Bitonto, Fog gia - la mostra approda nella autorevole sede del Pala zzo d e ll e Ste llin e di Milan o, n e ll ’amb ito d e ll ’e ve nto “ O li o O f f i c ina F e s ti va l ”. L at tin e o b ot tiglie, an c or pr ima c h e contenitori, si of frono per essere r i - s ig n if i c ati a n u o v a v it a e s teti c a , semantic a, funzionale. Ogni recipiente, annullato nel suo porsi come

s te re otip ato invo lu c r o p e rd e la sua serialità e assume unicità a ogni intervento artistico. E il risultato, in ottemperanza al senso intrinseco della m os tr a , è multif o r m e , tr a c it a zio ni sm o e r i c i c l o m e m o r ia l e , a mb izio n e ludica o ripiegamento trascendentale. L a pratic a della scrittura - declamazione poetica - assemblag gio emozionale prosegue con estremo entusiasmo nel binomio, oramai inscindibile e quasi necessario, O ronzo Liuzzi - Ross ana Bucci, pre s enti su tut to il ter r itor io na zionale c o n m o s t r e e p e r f o r m a n c e . I l c e rchio e il suo fulcro energetico alimentano l ’ultimo lavoro tutto incen tr ato sull ’e s s e r e , la r i c e r c a d e l s é e dell ’altro. Segnaliamo, infine, a cura d e l M us e o N u ov a E r a , la p e r s o n a l e di A lb e r ta Z all o n e “ Q ue lle st anze ”. -Lucia Anelli

BERGAMO L a g a l l e r i a T h o m a s B r a m b i l l a (v i a C asalino 2 5, info@thomasbrambilla. c o m) è o r g o g l i o s a d i p r e s e n t a r e l a seconda mostra personale di Tho m a s H e l b i g , I n a P r e s e nt (c h i u s u r a p r e v is t a p e r i l 6 m a g g i o). L’a r t is t a , imp e g nato da di ve r s o te mp o in una continua ricerca sul mistero dell’arte, e sulla forma assunta da quest ’ultimo nell ’at tuale cultura digitale, pla sma il suo lavoro con una spiritualità p rof on da , e c on una matur it à dis c i p l i n at a . N e ll a n u o v a s e r i e d i l av o r i Juliet 177 | 95


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