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GIU 2016 – ISSN 11222050 00
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Anno XXXVI, n. 178, giu-set 2016 Juliet è pubblicata a cura dell’Associazione Juliet. Autorizzazione del Tribunale di Trieste, n. 581 del 5/12/1980, n. 212/2016 V.G. registro informatico
Direttore Responsabile: Alessio Curto Illustrazione di Antonio Sofianopulo
Editore Incaricato: Rolan Marino Editore Associato: Eleonora Garavello Direttore Editoriale: Roberto Vidali Direttore Editoriale Online: Giulia Bortoluzzi Direzione Artistica: Stefano Cangiano, Nóra Dzsida Contributi Editoriali: Piero Gilardi, Enzo Minarelli
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Illustrazioni Antonio Sofianopulo
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Sommario
Anno XXXVI, n. 178, giugno-settembre 2016
36 | Pratiche Curatoriali Innovative
pics
Luciano Marucci
73 | Invernomuto - “Calendoola”
44 | Marco Tirelli - Da un qui visibile a un oltre possibile Luciano Marucci
48 | Cinema Sperimentale anni Sessanta-Settanta
75 | Marotta & Russo - Are You Human? 77 | Marko Tadic - Moon removed
Luciano Marucci
79 | Alec Von Bargen - Uomo dimenticato
52 | EcologEAST - Imre Bukta
81 | Jaume Plensa - “Chloe”
Valeria Ceregini
83 | E. & N. R. Kienholz - “The Twilight Home”
54 | Zurigo - Tra Dada e Manifesta Emanuele Magri
56 | English Breakfast [21] - The Case for Diversity Carrie Svinning
58 | The Soul of Money - Una rif lessione Emanuela Zanon
60 | Aimez-vous l’art? - Arte e realtà aziendali Maria Cristina Strati
62 | Peter Schuyff - “S.M.S. Gneisenau” Project for Juliet
64 | Apocalisse - Con figure Lorenzo Taiuti
66 | Jules de Balincourt - I multiversi Giulia Bortoluzzi
68 | Massimo De Carlo - Nel mondo Ch Schloss
70 | Katarina Janeckova - Il fascino dell’istinto Camilla Nacci
71 | Walter Bortolossi - Del comune e del difforme Maria Campitelli
72 | Ricci Curbastro - La modernità della tradizione Maria Villa
74 | Christian Fogarolli - Caratteri fantasma
ritratti 85 | Fil rouge - Daša Grgič Fabio Rinaldi
91 | Marcello Maloberti Luca Carrà
Rubriche 86 | Appuntamento fotografia - Valore unificante Alessio Curto
87 | PP* - Gino De Dominicis Angelo Bianco
88 | Ho della curatela sinestetica Angelo Bianco
89 | Rachel Lachowicz - Feminine Man-Made Leda Cempellin
90 - Arte e... - Marta Cuscunà Serenella Dorigo
agenda 92 | Spray - Eventi d’arte contemporanea AAVV
Giulia Bortoluzzi
76 | Claudia Losi - How do I imagine being there? Paola Bonino
78 | Walking - Arte in cammino Paola Bonino
80 | Nicola Virgilio - Continua evoluzione Liviano Papa
82 | Jan Sedmak - Impadronirsi degli oggetti Sara Bidinost
84 | Fabio Ballario - Digital Painting 01 S.P.Gorney
COPERTINA
Marco Tirelli “Senza titolo” 2014, tempera su muro e ottone, ø 270 x 33 cm (profondità), esposizione personale “Osservatorio”, a cura di Ludovico Pratesi, Fondazione Pescheria, Centro Arti Visive, Pesaro, 2014 (courtesy l’Artista, ph Michele Sereni)
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Marco Tirelli
Da un qui visibile a un oltre possibile a cura di Luciano Marucci
All’inizio degli anni Novanta, per tornare all’arte dopo un periodo di impegno civile, mi recavo nell’ex pastif icio Cerere della capitale a intervistare i componenti della cosiddetta “Nuova scuola romana”. Ricordo che, appena entrai nel loft di Marco Tirelli, mi disse: “Se intendi contestare la pittura, meglio non iniziare…”. Precisate le mie intenzioni, partirono gli incontri che proseguirono nella sua dimora umbra dove si era appartato per lavorare nella quiete di una sperduta collina. Lì ebbi modo di apprezzare anche i numerosi studi graf ici, in sequenze minimali, alla base della sua inventiva e prolif ica produzione. Dai dialoghi doveva scaturire un articolato libro ma, con le sue rielaborazioni, rimase un sostanzioso servizio monograf ico che venne pubblicato nel periodico di poesia e arte “Hortus” (n. 18/1995). Un altro ‘segno’, questo, del suo rigoroso cammino, in continua metamorfosi, verso l’assoluto. La lunga f requenta zione mi servì per capire meglio l’identità di un artista fuori serie, che riusciva a rigenerare la Pittura. Da allora ho seguito lo sviluppo del suo lavoro, f ino all’ultima personale alla Galleria Otto di Bologna, in cui ha dato particolare risalto alla scultura, confermando la consistenza di una perseverante ricerca sorretta da logica ferrea. Così ho voluto rivisitare il complesso percorso creativo di Marco, basato su un metodo capace di visualizzare il suo mondo interiore relazionato a concetti e soggetti che rimandano a memorie e saperi di altri contesti non conf inati nello spazio-tempo. Evidente la tendenza a esaltare i caratteri perenni della classicità, ma senza atteggiamenti mitizzanti, per offrire visioni ulteriori, dense di signif icati e di idealità. Di conseguenza le opere enigmatiche – che derivano da un processo razionale-immaginif ico, dalla de-costruzione di immateriali forme def inite dal colore-luce e da inimitabili procedimenti manuali – sono di g rande intensità espressiva e cariche di senso. Il tutto in funzione di una percezione sensibile, mentale ed emozionale. Siamo di fronte a una originale pratica pittorica e plastica che si differenzia da molte altre esperienze del momento; a realizzazioni lontane dalla realtà contingente, ma che aspirano a contaminare il contemporaneo con un messaggio inquietante e insieme di speranza in un futuro dalle inf inite aperture. In sostanza Tirelli, attraverso la riscoperta di valori storici, la qualità estetica e i contenuti etici, segretamente cerca di indicare un modello alternativo e di attivare negli osservatori una rif lessione sull’odierno sistema culturale ed esistenziale. Lo dimostra anche nel testo della conversazione che segue, con dichiarazioni che legittimano la scelta linguistica e ribadiscono la necessità di promuovere conoscenze più profonde e globalità contro pensiero unico ed esteriorità.
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L. Marucci: L’esposizione alla Galleria Otto di Bologna del gennaio scorso ha evidenziato il tuo maggiore impegno nella scultura, la sua ibridazione con la pittura attraverso una installazione sui generis e, a un tempo, la consequenzialità di un lavoro progressivo. Ora ti appagano di meno la virtualità e l’aspetto sensuoso del quadro da cui emergono certe forme? M. Tirelli: No. Ho sempre praticato la scultura, anche come pittore, nel senso che costruisco dei modelli per realizzare i dipinti su cui fare delle elaborazioni, come degli sketch per la messa in scena dell’oggetto da rappresentare in pittura. Da essi traggo i dipinti sulla luce, le impressioni prospettiche. Ho mediato dall’arte rinascimentale e dal Seicento l’idea di una pittura che fosse anche strumento di analisi della percezione della realtà. Senti la necessità di dare più ‘presenza’ all’opera tridimensionale, senza tradire le ragioni fondanti del tuo lavoro di pittore? L’opera tridimensionale nella mia idea di orizzontalità, di archivio del mondo, non è così lontana dalla rappresentazione pittorica. Mi spiego meglio: la pittura ha le sue regole, una sua logica evidente, bidimensionale, però guardo il problema dal punto di vista della memoria come accumulo d’immagini; allora la fisicità di un oggetto o di una immagine diventa virtuale, mentale, non è più sostanza. Nell’impasto del mio lavoro si amalgamano ingredienti di realtà concreta, tattile, con ingredienti mentali che evocano la memoria di ciascun oggetto. Nella grande mostra del 2003 alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna avevi già concretizzato l’idea di installazione, sia pure solo pittorica, che rimandava alla quadreria seicentesca. Come dicevo, per me non c’è distinzione tra pittura e scultura. Dürer parlava del perspicere, cioè del “vedere attraverso”, riferendosi in particolare alla pittura. Un dipinto su un muro ha la capacità di sfondarlo, rendendo evidente che la realtà è una questione mentale. Ricoprire di immagini le pareti di una stanza significa creare un’infinità di aperture possibili che superano la dimensione fisica. Al Padiglione Italia della Biennale Arti Visive di Venezia del 2013, con l’insolita associazione di disegni, dipinti e opere oggettuali alle pareti, avevi mostrato un ulteriore avanzamento verso la percezione della complessità e della totalità. Lì era tutto un gioco di rimandi continui ad altro da sé. L’occhio non si poggiava mai definitivamente su una superficie; continuava ad aprire mondi altri. L’architettura immaginaria dell’opera ingloba le memorie umane? Riparte dall’archetipo per arrivare dove? La cosa che mi preme maggiormente non è trovare archetipi che abbiano un senso universale, ma muovermi in quel la che Baudelaire chiamava “una foresta di simboli”. Noi siamo parte di un gioco di specchi. Non c’è un ordine, ma un’idea di orizzontalità, anzi, mi correggo, di sfericità.
Non c’è un punto di partenza, è l’osservazione di quel momento… È la vera dimensione poetica del mondo: il non vedere le cose in una pura contingenza, ma sempre aperte al possibile, come anelli di una catena che si protrae all’infinito. Sono i famosi Ossi di seppia di Montale, dove anche un piccolo elemento stimola a confrontarsi con l’universo. Mi interessa molto l’idea dello Studiolo di Federico da Montefeltro a Urbino, visto come ritratto del suo mondo interiore. O ancora il concetto di esploso, quello schema che ti permette di vedere in forma multidimensionale l’interno di un motore, con tutti i suoi meccanismi. Dei tanti disegni derivanti dalla sottrazione alla fine quali scegli? Possono avere una loro autonomia? Con l’idea di autonomia vai a toccare il punto nevralgico del mio lavoro. Nulla è in sé stesso, tutto è relazione. Possiamo dire che percorro la strada dei minimalisti, ma nel senso contrario: loro lavoravano su un’idea di oggettività dell’opera in cui io non mi riconosco, perché l’opera sarà sempre condizionata dall’intenzionalità e dal punto di vista. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, anche Sol LeWitt andava un po’ oltre… Certo, il discorso è complesso. Mi riferivo piuttosto ad artisti come Donald Judd, Carl Andre, R ichard Serra che miravano al la f isicità del l’opera. Nel mio caso più tolgo e più le cose si arricchiscono di mondo. Per me è i mpor tante che le i mmagi ni abbiano una for te capacità d i rimando ad altro, a seconda dello sguardo che usiamo. Nella pagina a fianco: Marco Tirelli, vista della sala personale presso il Padiglione Italia “Vice Versa”, 55. Biennale Arti Visive di Venezia, 2013 (ph Giorgio Benni); in alto a sinistra: Senza titolo 2013, due elementi in bronzo, 50 x 50 x 30 h ca. (ph Giorgio Benni); sotto: Senza titolo 2013, gesso e legno, cm 38,5 h x 23,5 x 22 (courtesy l’Artista e Axel Vervoordt Gallery, Antwerp; ph Giorgio Benni)
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Apocalisse Con figure
di Lorenzo Taiuti
Amos Gitai “Rabin, the last days” ©Amos Gitai, courtesy Maxxi, Roma
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Il REGISTA AMOS GITAI AL MA XXI Uno dei reg i st i più i nteressa nt i d i q uest i a n n i , l’is rae l i a no A mos Git a i , pr esent a u n pr opr io doc umentar io i n for ma d i i nsta l lazione d i ar te v i siva. Come arc h itet to ha g ià u na for mazione nel ca mpo de l lo s pa z io de l le a r t i v i s ive e d a q ues t a r ipa r te per r id i seg nare u na mappa nel tempo e nel lo spazio su l la mor te del leader i srael ia no Yit za k R a bi n. La mor te d i R a bi n (e c ioè i l suo om ic id io compiuto nel 1995 d a u n es t rem i s ta d i des t ra) è i l “ ter r ito r io geog ra f ico” c he Gita i i ntende esplorare, pr i ma at t raverso i l f i l m “Rabi n, t he Last Day ” (presentato a l la Bien na le C i nema del l’a n no scor so), e a l Ma x x i con u n’i nsta l lazione c i nematog ra f ica e og get t ua le c he si i nser i sce i n modo sig n i f icat ivo nel contesto del le most re del Mu seo. I l vasto spazio esposit ivo è così r icoper to da g igantesche v ideoproiezion i del f i l m, come u n mosa ico aud iov i sivo. Si i nser i scono nel le v ideoproiezioni anche una serie d i foto o “sti l l f ra me ”, r iel a borate per i l l avoro come “ Sèr ie s u r l’as s as s i nat d’ Yit h za k R a bi n”. L a t rasfor ma z ione del la for ma compat ta del C i ne -v ideo i n u na for ma “spa r sa” è stata u na prat ica del l’a r te concet t ua le neg l i a n n i Sessa nta-Set ta nta e og g i ent ra come u n es t remo i ncont ro f ra le for me v i sive i n i ncont ro/ scont ro: c i ne -v ideo e for me stat ico/ plast ic he. La st rateg ia d i Gita i è l’acc u mu lo d i dat i: fotog raf ie, f rasi , considerazion i , dat i stor ic i e a na l i si . I n q uesto modo lo spec i f ico c i net ico si sfa lda, si apre ad altre inter pretazioni, mostra la propria sostanza complessa, i l su bst rato d i fat t i , parole e i m mag i n i c he for mano la rea ltà. La d ram mat icità del tema si approfondisce mentre si aggiungono diversi elementi,
come la coscienza di questa morte a v e n t ’a n n i d i d i s t a n z a a b b i a ar restato og n i prog resso d i pace i n Israele, conda n na ndo i l Paese a r uol i e processi i nsosten i bi l i . I n q uesta severa messa i n scena di colpe e di responsabi lità, riempiono lo spazio le sagome di cor pi uccisi e sbrigativamente disegnati su l pav imento con nastri adesiv i, come l a p ol i z i a f a s ol it a me nte. O ppu re g ra nd i foto osc u re, c he poco r ivela no ma molto sug ger iscono. La camera oscura del cinema diventa così la camera oscura dove s i s v i luppa no le mod a l ità d i u n del it to, e del le sue conseg uen ze nel mondo pol it ico. Nel lo stesso tempo l a mos t ra apre u na ser ie d i i nter rogat iv i su l rappor to f ra linguaggi audiovisivi e linguaggi stat ici che tor na a essere u n fecondo pu nto i nter ro gat ivo nel le ar t i plast iche. Mai come ogg i i l ci nema è s t ato i nte r r og ato d a l le a r t i v i s i v e. I l l av or o d i Gita i apre v ie or ig i na l i nel rappor to f ra i m mag i n i bid i mensiona l i e i m mag i n i i br ide g razie a nc he a l calor bianco d i un’i ntensa spi nta emot iva, presente i n t ut to i l suo c i nema. GOLD WATER: APOCALYCTIC BLACK MIRRORS Un’idea i nteressa nte a l Mac ro d i Roma: fa r c i rco l a re del le opere pas s ate a l l a Bien na le d i Venez i a facendo v iag g iare lavor i c he ha n no v i ssuto i l loro momento d’oro, e ricollocarle in un museo ospitando l ’op e r a at t r ave r s o s t r ut t u r e i nte r me d ie , s ot to i l t itolo d i “Inter nat iona l Perspect ives”. “Gold Water: Apoca lyc t ic Blac k M i r ror s” del l’ar t i sta del l’Ec uador Mar ia Véron ica Leòn Vei ntem i l la. I l tema del l’acq ua come i l tema del l’oro e l’eq u iparazione f ra i due, crea u na ser ie d i relazion i a nc he contradd ittor ie: i l trattamento del l’oro esaur isce le font i del l’acq ua. A l lora i due element i ent ra no i n con f l it to, l’elemento e i l tema del l’oro, l’elemento acq ua sono q u i nd i a l cent ro del lavoro. I v ideo rap presenta no i n modo si m bol ico la f u sione del l’oro, rappresentata come u n lavoro ma nua le e t rad i zio na l mente fem m i n i le, come fosse l’i mpastare, i l tessere ecc… R iemerge anche u na componente arcaica e storica, quel la del le maschere del le antiche civi ltà suda mer ica ne d i c u i v iene c itata la loro f u n zione si m bol ica. L’i mpastare oro, acq ua e ter ra d iventa a l lora u na f u nzione arcaica e legata a l le t rad i zion i de l s uo p ae s e , a a nt i c h i r i t i . Ne l l o s te s s o te mp o l’ar t i sta ut i l i zza i l v ideo i n 3D i nserendo element i
d i g ita l i c he ca m bi a no i l sen so del l avoro u nendo a l l’energ ia deg l i element i fonda menta l i l’energ ia d igitale, che produce elementi ci netici, giochi ottici e suoni-canti misteriosi, i n par te vocal ismi i n par te suon i prodot t i d ig ita l mente. I l messag g io è c h iaro: r iu s c i r e a t r a s f or m a r e l a n at u r a de g l i e le me nt i come g l i a nt ic h i a lc h i m i s t i i n serendov i le nuove st rateg ie d ig ita l i , ecolog icamente “ pu l ite” e adat te a r i solvere i l problema: acq ua o oro?. CINDY SHERMAN Ret ros pet t iva d i C i ndy Sher ma n a l l a Ga l ler i a M E d i Berl i no, ga l ler i a d i pu nt a i n pie no ce nt r o c he fa pen sa re a l l a L i a Ru m ma d i M i l a no. A f fer mata come ar t i sta neg l i a n n i Set ta nta con u na ver sione or ig i nale del l’ar te d i tagl io femmi n ista, non basata solo su l l’acc u sa a l mondo masc h i le ma t ut ta dent r o l a pr opr i a cos c ie n z a dom a nd a ndos i non s olo q ua le i m mag i ne la don na proiet ta ver so i l mondo maschi le e come q uesto lo legga o lo formi, ma come la donna costruisca psicologicamente e visivamente q uest ’i m mag i ne. Ident i f ica ndo i l g ioco del le par t i come u n g ioco d i scacc h i f ra i sessi su c u i la don na costruisce moltepl ici immaginari, spesso intercambia bi l i e sempre ag g ior nat i a l la propr ia “ per sona sexualis”. Da “casalinga disperata” la Sherman ricostr u isce u n’od issea del l’autoproiezione femm i n i le, autoproiezione che trasfor ma i l q uot id iano sempre ug ua le del lavoro casa l i ngo e del la v ita mat r i mo n ia le i n u n su sseg u i r si d i fa ntasie a occ h i aper t i . Mentre Martha Roesler divideva il mondo in oppressi ( le don ne) e oppr e s s or i ( g l i uom i n i) l a S he r m a n apr e u n ’a r e a d i a m b i g u i t à i n c u i i d ue i m m a g i nar i si scont ra no, si i n f luen za no e si for ma no v icendevol mente. Ne l cor so deg l i a n n i i l s uo g iud i z io s i sos t it u i sce a q ue l lo a n a l i z z ato e i m m a g i n ato de l lo sg u a r do masc h i le e si fa sempre più severo ver so le don ne. Un a sever it à c he non tocc a le s ue l i ber t à m a c he c e r t a me nte le i nte r r og a c on pr e c i s o s e n s o de l le va len ze del si s tema ef fet to e cont ro - ef fet to del lo sv i luppo dei rappor t i i nter-sessi. Neg l i u lt i m i an n i la sua a na l i si si è appu ntata su l le f i g u re del le “dowagers”, del le don ne r icche e potent i del mondo a mer ica no del l’“ Upper c l ass”, le “ Soc iet y Lad ies” c he i n f luen zano profondamente la v ita cu lt u ra le e soc ia le a mer ica na. I r it rat t i d iventa no sempre più i mpie to s i g r a z ie a u n t r ucco c he non s i r i f à s olo a l l a pa rod i a de l maq u i l l age fem m i n i le ma ent ra ne l l a de for m a z ione v i s iv a de l le c a r ic at u r e ot to ce nte s c he e a r r i v a a l le g r ot te s c he de for m a z ion i de l l ’e s pr e s s ion i s mo te de s c o. Q ue s t a n a r r a z ione s a r c a s t i c a d e b o r d a s p e s s o n e l l ’e s p l o r a z i o n e d i na r rat ive fa ntast ic he d i va r io t ipo, come la f ia ba nei suoi as pet t i or ror i f ic i , e come i l c low n , topos del la f ig u ra espression i sta del l’a m big u ità e del la c ont i g u it à f r a c om me d i a e t r a ge d i a . Q ue s te t r a s for m a z ion i sempr e più sen s a z ion a l i av ven gono con pesant i protesi da t r ucco c i nematog ra f ico, con og get t i d i pl as t ica, o add i r it t u ra con ma r ionet te, ev iden zia ndo i l carat tere del fa l so, del post icc io e del l’i m mag i nar io c he t r ion fa no su l rea le i n u n’aderen za sempre mag g iore con i l i ng uag g i f i l m ic i .
I n og n i c a so s i t rat t a d’i m m a g i n a r i , I m m a g i n a r i che par tono da u na cond i zione cost ret ta a l la recita (c ome q ue l l a f e m m i n i l e p r e c e d e n t e a l l e u l t i me ond ate de l f e m m i n i s mo). A q ue s to pu nto i l pr o b l e m a s i p o ne ne l c o n f r o n t o f r a i m m a g i n a r i o e rea le, nel l a cosc ien za c resc iuta neg l i a n n i c he l a “nar razione” o la let t u ra menta le dei fat t i f i lt rat i at t raver so le nost re st r ut t u re del l’i m mag i nar io c i conducono a r ipor ta re t ut to a u na “na r razione” e non a u na “descr i zione” del le cose. Ci ndy Sher man, m a l g r ado a lc u n i e le me nt i r ip e t it i v i , è c r e s c iut a neg l i a n n i , come non sempre è av venuto ad a lt re ar t iste (Barbara K r uger o Mar t ha Roesler), agg iu ngendo pezzo dopo pezzo capitoli di un’“Enciclopedia del l’i m mag i nar io fem m i n i le” c he a f f ronta i l nodo del le c u lt u re d i genere (c u lt u ra o nat u ra?), da ndo r i solutamente i l pr i mato a l le “Cu lt u re” i nvece c he a l le “ Nat u re”.
Maria Verònica Leòn Veintemilla “Las manos del silencio”, ph courtesy Macro, Roma
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Christian Fogarolli Caratteri fantasma di Giulia Bortoluzzi
Fino al 14 maggio la galleria Alberta Pane di Parigi ha ospitato la prima personale dell’artista trentino Christian Fogarolli (1983): “Le monde du ticqueur”. Incentrata sui temi della perdita e del recupero, la ricerca dell’artista identifica nella memoria un ruolo fondamentale, ne abbiamo parlato direttamente con lui. In merito al titolo Le monde du ticqueur, perché hai scelto il tic come disordine del movimento per definire il tuo progetto espositivo? L’ho scelto per il suo carattere “fantasma” che ben si collega ai lavori esposti. Il termine “ticqueur” infatti è caduto in disuso da tempo e oggi non è più pronunciato nella odierna lingua francese. Anzi la realtà è che per molti è totalmente sconosciuto e indecifrabile. L’esatto significato sarebbe “colui che è affetto da tic”, un sintomo al limite tra la normalità e non, percepito da chi ti sta di fronte ma non da chi lo emette. Perdita e ricostruzione nei diversi organismi sono alcune delle riflessioni che hanno animato i tuoi ultimi lavori, in che modo l’essere umano si differenzia dalle altre specie naturali in questi processi? Ho cercato di soffermarmi su come diverse specie siano in grado di “restaurarsi”, indagandone analogie e differenze. Non ho voluto tenere il processo di lavoro separato ma unito, pensando più a un concetto di “multi specie” anziché di singola entità. Nelle opere in cui l’aspetto umano è più evidente, si nota come i fattori creativo, artistico e ingegneristico siano parte integrante dell’azione di ricostruzione. Secondo alcuni studi, anche le piante avrebbero una memoria ed esistono animali in grado di rigenerare parti mancanti del proprio corpo (come già l’uomo col fegato, per esempio)… si tratta di una memoria diversa? È impossibile rispondere a questa domanda, ma è proprio su questi interrogativi che si basa il lavoro, e li pone attraverso le opere anziché attraverso le parole. In questo caso, ho presentato opere inedite che, vissute personalmente nello spazio, portano l’osservatore a entrare in un’esperienza fisica e mentale. Le situazioni si collegano ai sintomi dei fastidi uditivi, alle amnesie mentali e ai loro rimedi, alla perdita progressiva dell’olfatto nell’evoluzione, ai meccanismi meccanici creati per il sostegno e la sostituzione.
“Griffe” 2016, white marble, iron, 110 x 12 x 12 cm, ph coutersy Galleria Alberta Pane, Parigi
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Hai scoperto teorie o discipline particolarmente curiose nell’evoluzione dell’approccio medico-scientifico alla recisione o mutazione di parti del corpo? In genere mi avvalgo di teorie che sono poi diventate delle non-teorie e che spesso oggi riteniamo assurde e anomale. Quest’aspetto è interessante a livello evoluzionistico, pensando a come da errori o false certezze si siano sviluppate le basi per le discipline della contemporaneità. Sull’evoluzione medico-scientifica sto por tando avanti un progetto par tito lo scorso anno sul modello cerebrale costruito dall’anatomista praghese Chr. Aeby e dall’ottico e ingegnere svizzero F. Büchi, contenente le fibre nervose e le principali aree di divisione del cervello con spina dorsale, diffuso in diversi istituti di anatomia e fisiologia. Il mio progetto è di riportare i vari model li nei luoghi dove furono uti lizzati, i l punto di partenza è stata l’esposizione dell’originale al de Appel arts centre di Amsterdam. Il soggetto della tua ricerca più che l’uomo in sé pare l’uomo come produttore di concetti, norme, discipline… è così? Sì, assolutamente, come creatore di categorie, di gruppi, di elementi. In Le monde du ticqueur i lavori hanno una duplice lettura interpretativa: da un lato la capacità artistica e creativa dell’uomo di ricostruirsi fisicamente e mentalmente tramite oggetti, esperienze e strumenti; dall’altro queste operazioni s’intrecciano con dinamiche e av venimenti attual i: la perdita di monumenti e reperti, il recupero di stati anomali di memoria con l’utilizzo di metalli come il litio, la cura di stati fantasma a livello percettivo. In un mondo votato totalmente al presente, in che modo la storia e il passato possono essere ancora materia di riflessione e significazione per l’uomo? La situazione di oggi mi ricorda il libro di Ian Hacking, Mad travelers. Sembra esistere un bisogno impellente di correre alla scoperta e alla ricerca di qualcosa senza però ricordare nulla il giorno successivo: il passato è passato. È il presente di facebook in cui tutto è registrato, visto per poche ore e poi scordato; è il viaggio continuo di un “determinismo ambulatorio” che spesso non ha significato né traccia.
Marotta & Russo Are You Human?
“La domanda della macchina, piatta e oggettiva, funzionale e asciutta. Vuole sapere se sono umano, se siamo umani. Posta di sorpresa e indispensabile per l’accesso a un servizio: leggi, comprendi e riscrivi... se sei umano, appunto. Domanda capziosa.”
Marotta & Russo “Are You Human?” 2011, neon, 134 x 50 cm, courtesy Marotta & Russo. Installazione per la mostra “Monster ID” a cura di Martina Cavallarin presso Whitelight Art Gallery, Milano, 15 giu - 14 set.
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E. & N. R. Kienholz “The Twilight Home”
Edward & Nancy Reddin Kienholz “The Twilight Home” 1983, assemblage. tecnica mista, 218,4 x 132,1 x 58,4 cm, © Kienholz, courtesy L.A. Louver, Venice, CA, dalla mostra “Kienholz: Five Car Stud”, a cura di Germano Celant, dal 19 maggio al 31 dicembre, alla Fondazione Prada, Milano
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Spray Eventi d’arte contemporanea
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Pierpaolo Rovero “Parigi suona” 2016, 60 x 60 cm, ph courtesy Fondazione Peano, Cuneo
ARONA La rappresentazione del paesaggio, con la sua bellezza di luce e di meraviglia e di metamorfosi continua, ha indotto, da sempre, gli artisti a dipingerlo nella sua più intima naturalezza, come generazioni di pittori e scultori di ieri e del contemporaneo: Morandi, Guttuso, Morlotti, de Pisis, Pollock, l’artista torinese Delfina Camurati che, dopo un percorso di oltre mezzo secolo nell’informale naturalistico, ritorna all’ordine dell’interrogarsi sulla visone del paesaggio e Claude Monet con le “Ninfee” del 1899, hanno raccontato la straordinaria forza e bellezza e la gioia della vitalità del paesaggio, con una visionaria adesione al mondo naturalistico. Ne è un valido esempio Arte&Natura, mostra organizzata da CanoviArte di Cusano Milanino (marchio prestigioso nell’ambito delle arti figurative, presente sulla scena artistica nazionale da alcune stagioni, dal 1999, con il progetto di rendere visibili artisti lombardi e dell’area del lago Maggiore e non solo, inserendoli in mostre a tema, allestite in spazi ricercati: fondazioni, luoghi pubblici e in rinomati hotel, offrendo all’autore tutta l’assistenza che necessita, promuovendo presso un pubblico raffinato di estimatori d’arte la propria tavolozza e il linguaggio creativo, ricordando il prossimo impegno a Cusano Milanino con la mostra “Arte e sapori di Provenza” ed esposizioni in Comuni del bacino della Lombardia), che riunisce un questo tema, autori del bacino del lago Maggiore e del suo vasto territorio, area di intensa adesione alle arti figurative, come gli artisti storici della Valle Vigezzo: Carlo Fornara, Enrico Cavalli, Giovanni Battista Ciolina, che diedero linfa alla rappresentazione della natura con le alte vette che circondano la Valle dei Pittori e, la raccolta di opere di autori significativi come Lorenzo Delleani, Guglielmo Ciardi, Giovanni Segantini, Silvestro Lega, Giacinto Gigante, Giuseppe De Nittis, di fine Ottocento/Novecento del mecenate-collezionista Paolo Giannoni (1862-1944),
Luigi Presicce “Santo Stefano, i coriandoli e le pietre” 2015 e Piero Manai “Omaggio a Joseph Beuys” 1987, installation view, courtesy Galleria de’ Foscherari
raggruppate nella Galleria d’Arte Moderna Paolo e Adele Giannoni nello spazio espositivo museale del Complesso Monumentale del Broletto di Novara. La mostra ospitata da Arte Spazio Moderno, denota ancora una volta che i pittori e gli scultori amano il paesaggio e la natura con la travolgente espressività di luce e colori cangianti che emana. Partecipano a questa rassegna, in un vortice di surrealismo fantastico e con una ricerca rivolta alla nuova figurazione contemporanea internazionale, con una tavolozza dell’arcobaleno tra una pittura di astrazione e dell’informale che abbraccia il vasto ambiente culturale italiano: Mauro Braglia, Maurizio Brambilla, Carla Brandinali, Adele Simona Burta, Graziella Carpanetti, Attilio Colombrita, Anna Maria Fontolan, Luigi Franco, Gabriella Pimpinicchio, Patrizia Pollato, Giorgio Viganò, Nicola Virgilio. Dodici artisti del contemporaneo d’oggi, presenti sullo scenario creativo da molte stagioni, in cui la loro espressività è immagine “forte” del loro “raccontare” in arte un mondo interiore, intenso e freudiano, altamente intimistico e gestuale, tra visione e realtà immaginativa in un proseguo della grande tradizione paesaggistica italiana che, agli albori dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento, vide una intensa produzione del paesaggio con risultati sorprendenti e, un Giorgio de Chirico, sfociare nelle sue metafisiche vedute. (per saperne di più: www.canoviarte.it - canovidonatella@alice.it - +39 347.5509845) -Liviano Papa
BARI Connessione/interferenza, volo alchemico e tangenti epidermiche nella personale “La pelle al Limen” di Monica Casalino presso il Museo Nuova Era, con la enigmatica e funzionale curatela di Bacur Avoires. L’evento si offre più come esperienza e, come tale, sensibile di molteplici e dissonanti versioni. Chi osserva è quasi ossessivamente coinvolto in
un conturbante mix di presenze e assenze, rivelazioni e presagi. Una serie di calchi del volto dell’artista e installazioni, con l’ausilio di materiali tecnologici e video in allusiva relazione col processo di Natura, in cui la percezione plurisensoriale guida una stimolazione analitica quanto visionaria. Sviscerando le quattro fasi alchemiche Albedo Citrinitas Rubedo Nigredo, l’artista ne fa parte attiva di un percorso su sé stessa e sull’intuizione polisemantica della paura. Abisso e fonte da cui riemergere, fino a un ricongiungimento col sé, con l’altro, col mondo. Segnaliamo, inoltre, la doppia personale di Oronzo Liuzzi e Rossana Bucci “Il centro è il sacro”, presso la Masseria Torre di Nebbia (C o n d r a t a To r r e d i N e b b i a , C o r a t o tel. 348.5266348). aaaaaaaaaaaaaaaaaaa -Lucia Anelli
BOLOGNA La Galleria de’ Foscherari presenta un nuovo progetto espositivo che, evocando il capolavoro di James Ensor Ingresso del Cristo a Bruxelles nel 1899, mette a confronto le poetiche di Piero Manai e Luigi Presicce. Accomunati da una ricerca che si serve del corpo come materiale di creazione artistica e teatro di introspezione personale, hanno utilizzato entrambi come riferimento per un loro lavoro il celebre dipinto in cui il maestro belga si ritraeva come Cristo attorniato da un’inquietante corteo di maschere ispirate al carnevale di Ostenda. Nel 1980 Manai riprende quelle fisionomie grottesche isolandole e ingigantendole su frammenti di carta intelata in un’installazione di oltre cinquanta disegni in cui le maschere, veicolo di rivelazione e non più di occultamento, diventano pretesti di autoritratti che esplorano le smorfie prodotte dalle passioni umane per indagare la mimica facciale in modo analogo alle polaroid modific ate in cui l ’ar tista esprimeva il suo esibizionismo solitario. Juliet 178 | 93