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Juliet 187 - apr/mag 2018 APR 2018 – ISSN 11222050

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POSTE ITALIANE SPA SPED. ABB. POST. 70% - DCB TRIESTE

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Anno XXXVII, n. 187, apr - mag 2018 Juliet è pubblicata a cura dell’Associazione Juliet. Autorizzazione del Tribunale di Trieste, n. 581 del 5/12/1980, n. 212/2016 V.G. registro informatico

Illustrazione di Antonio Sofianopulo

Direttore Responsabile: Alessio Curto Editore Incaricato: Rolan Marino Editore Associato: Eleonora Garavello Direttore Editoriale: Roberto Vidali Direzione Artistica: Stefano Cangiano, Nóra Dzsida Contributi Editoriali: Piero Gilardi, Enzo Minarelli

Contatti

Corrispondenti

Fotografi

info@julietartmagazine.com

Ascoli Piceno - Luciano Marucci

Luca Carrà Fabio Rinaldi Stefano Visintin

luciannamaru@virgilio.it

via Battisti 19/a - 34015 Muggia (TS) www.julietartmagazine.com

Berlino - Annibel Cunoldi Attems annibel.ca@gmail.com

Bergamo - Pina Inferrera pina.inferrera@gmail.com

Collaboratori Amina G. Abdelouahab, Lucia Anelli, Elisabetta Bacci, Chiara Baldini, Margherita Barnabà, Angelo Bianco, Sara Bidinost, Giulia Bortoluzzi, Boris Brollo, Elena Carlini, Antonio Cattaruzza, Serenella Dorigo, Ernesto Jannini, Alessia Locatelli, Emanuele Magri, Matilde Martinetti, Loretta Morelli, Ivana Mulatero, Camilla Nacci, Anna Maria Novelli, Liviano Papa, Gabriele Perretta, Valentina Anna Piuma, Paolo Posarelli Laura Rositani, Domenico Russo, Sara Tassan Solet, Alexander Stefani, Giovanni Viceconte Illustrazioni Antonio Sofianopulo 32 | Juliet 187

Bologna - Emanuela Zanon emanuelazanon@yahoo.it

Brookings (USA) - Leda Cempellin leda.cempellin@sdstate.edu

Firenze - Raffaello Becucci raffaellobecucci@yahoo.it

Londra - Laura Boggia lauraboggia@gmail.com

Milano - Maria Villa maria_vil@hotmail.it

Parigi - Anna Battiston 90103annabattiston@gmail.com

Roma - Carmelita Brunetti carmelita.arte@tiscali.it

Torino - Valeria Ceregini valeria.ceregini@gmail.com

Consulente tecnico David Stupar Promoter Gary Lee Dove Giovanni Pettener Maria Rosa Pividori Juliet Cloud Magazine Cristiano Zane Distribuzione Joo Distribution Stampa Sinegraf Abbonamenti 5 fascicoli + extra issue: Italia 45,00 € Europa 65,00 €, others 90,00 € arretrati 20,00 € c/c postale n. 12103347 o Iban IT33V0200802203000005111867 Banca Unicredit, Trieste.


Sommario

Anno XXXVIII, n. 187, aprile - maggio 2018

34 | Urban Art & Non Art- Panel discussion (II)

78 | Stephan Balkenhol - Painted wood

Luciano Marucci

Ch. Schloss

44 | Unicità e Attualità di Aldo Mondino - Pittore di identità plurime

80 | Caterina Arcuri - Divenire Mare

Luciano Marucci

Caterina Pocaterra

48 | Giorgio Marconi - Gallerista intraprendente

82 | Wolf Kahlen - Wolf Kahlen Museum Bernau

Luciano Marucci

Annibel Cunoldi Attems

50 | Pablo Bronstein - La vastità della Cina

84 | Thomas Hauser - Frammenti

Valeria Ceregini

Anna Battiston

52 | Il problema del pubblico - Jeff Koons a Parigi Jacques Heinrich Toussaint

54 | Art in Cyprus - Paradossi Emanuele Magri

56 | Davide Dall’Osso - Dal teatro alla scultura Pina Inferrera

58 | Karla Black - Monumentale vulnerabilità

PICS 73 | Andrea Bianconi - “Drawing 4” 75 | Markus Selg - “Encrypted body” 79 | Ilija Wyller - Folded in an open... 81 | Paulo Nozolino - “Sans titre #02” 83 | Laurina Paperina - Flames of Hell

Emanuela Zanon

85 | Sohei Nishino - Casa rif lessa

60 | Scritture a mano - nell’epoca dei social networks

RITRATTI

Enzo Minarelli

86 | Fil rouge - Giuseppe Culicchia

62 | Janka Vukmir - Autoritratti 1 Giuliana Carbi Jesurun

63 | Galleri Magnus Karlsson - a Stoccolma Chiara Baldini

64 | Jingge Dong - Pechino > Italia Ch. Schloss

65 | La complessità - della biografia - 2 Boris Brollo

66 | Patrizia D’Orazio - La poetica del silenzio Lucia Anelli

67 | Il Centro Pecci - Cristiana Perrella Valentina Piuma

68 | The Flat - Massimo Carasi Sara Tassan Solet

69 | Luisa Rabbia - Le costellazioni Domenico Russo

70 | Sgretolare e ricomporre - Delfina Camurati

Fabio Rinaldi

93 | Francesco Lecci - Fotoritratto Luca Carrà

RUBRICHE 87 | La fantasociologia - che ci aspetta! Gabriele Perretta

88 | Appuntamento museale - Andreina Contessa Alessio Curto

89 | P.P. dedica il suo spazio a... - Ilaria Del Monte Angelo Bianco

90 | (H) o - del post-idea Angelo Bianco

91 | Rhona Hoffman - A movable feast Leda Cempellin

92 | Arte e... cura - Euro Piuca Serenella Dorigo

Liviano Papa

AGENDA

71 | Addio, Getulio Alviani!

94 | Spray - Eventi d’arte contemporanea

Luciano Marucci

72 | Barbara e Giulio Meoni - e il mercato

AAVV

Emanuele Magri

COPERTINA

74 | Topography of Terror (19.12.2016) - E. Caldana e D. Tonus

Pablo Bronstein “Case a strati” 2017, disegno generato

Giulia Bortoluzzi

76 | Giulia Andreani - Mütter

al computer e stampato su carta, dimensioni variabili. Vista parziale dell’installazione alla Galleria Franco Noero (sede di p.za Carignano, Torino, dal 31 ott 2017 al

77 | Gillo Dorf les - Maestro del Novecento

3 feb 2018). Ph Sebastiano Pellion di Persano, courtesy

Luciano Marucci

dell’artista e Galleria Franco Noero

SA Se GG pr (D I O i v o N . . P. R G R d e l 6 6 . AT t r 3 26 UI ian ar / 1 TO g ol t . 2 0/ , l 19 e s. o et 7 2 IV t. ) A d

Anna Battiston

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Unicità e Attualità di Aldo Mondino Pittore di identità plurime di Luciano Marucci

A tredici anni dalla scomparsa di Aldo Mondino (1938-2005) ne rivisito la figura e l’opera, innanzitutto perché è stato un artista che ha rivitalizzato il medium pittorico dal lato visivo e concettuale con strumenti tecnici inediti e ha portato alla ribalta, in tempi non sospetti, culture dell’Oriente, delle quali oggi si discute, riscoprendone aspetti terreni e spirituali. Inoltre le innovazioni e gli esiti qualitativi della sua produzione atipica inducono a riconsiderare più attentamente la prolifica attività nel l’am bito del sistema del l’ar te i nter nazionale i n cu i sono mat u rate sit uazion i che aiutano a capi r ne le pecu l iar ità. A queste motivazioni si aggiunge il mio desiderio di condividere il rapporto di amicizia e di lavoro che ci legava. Mondino è stato un creativo sui generis, tra genialità e sregolatezza. Per lui non aveva senso “lavorare senza meravigliarsi e meravigliare”. Sapeva tenersi lontano dalle convenzioni con individuali scatti in avanti, ma anche con poetica e trascendente leggerezza. Realizzava dipinti, sculture, installazioni e perfino originali format espositivi: opere sorprendenti e sensibili che rif lettevano intriganti suggestioni e accese passioni. La sua avventura artistica è iniziata alla fine degli anni Cinquanta in una Torino in cui le esperienze emergenti diedero un impulso determinante all’evoluzione delle arti visive, grazie a talentuosi operatori visuali che in parte conf luirono nell’Arte Povera. Tra quanti si distaccavano dal movimento teorizzato da Germano Celant c’era lui che, pur essendo stimolato da quell’ambiente r icco d i fer ment i estet ici e pol it ici, i nt roduceva nei q uad r i componenti elementari e ludiche. Parallelamente lanciava una sfida ai canoni consolidati dello specifico pittorico ma, consapevole di dover potenziare la sua vocazione, si recò a Parigi per apprendere altri segreti del mestiere. In quel periodo di transizione, nonostante l’appoggio del gallerista Gian Enzo Sperone, non riscuoteva i consensi sperati. Solo la Transavanguardia, che riabilitava la pittura tout court e il pluralismo degli orientamenti soggettivi, contribuì a far percepire positivamente le sue opere e le ragioni fondanti. A ltro momento decisivo per più ampi riconoscimenti la Biennale di Venezia del 1993 dove, su invito di Achi l le Bonito Oliva, presentò un av vincente evento incentrato sulla danza-preghiera di un gruppo di Dervisci (fatti arrivare dalla Turchia) che vorticavano su sé stessi con le scenograf iche vesti bianche f i no allo stato di trance. Dal lato operativo le realizzazioni di Mondino conobbero sviluppi straordinari allorché sostituì la tela con il linoleum e i soliti colori a olio con quelli che essiccavano presto (prodotti appositamente da una ditta specializzata) evitandogli la sospensione del lavoro. Essi gli permettevano di sfruttare le qualità intrinseche di un supporto seriale, assunto come ready-made generativo, la f luida stesura dei pigmenti o l’applicazione diretta della materia colore che dava forma plastica al segno gestuale. Hanno concorso a rinvigorire la sua pittura dalla luminosità mediterranea altri ingredienti disinvolti, estrosi, interattivi. Penso agli oggetti umili evocativi, alle materie deperibili (zucchero in zollette, cioccolato fuso…), alla parola scritta; alle ideazioni concettuali e all’ibridismo linguistico; all’iconografia

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di identità umane in trasformazione sotto l’azione omologante della civiltà post-industriale. Da qui la scelta pulsionale di temi affascinanti, suffragata da studio e meditazione; l’idea di arte in cui passato e presente convivevano nel contemporaneo. Il tutto in un procedere in-coerente, senza filtri, che rimandava al Dadaismo, dove ordine e disordine, negazione e compiacenza erano però in funzione costruttiva. Mondino effettuava viaggi esotici, reali e virtuali. Associando osservazione, rif lessione, immaginazione e sapienza manuale, riusciva a penetrare l’integralità di un mondo rimasto a lungo trascurato dal la cu ltura del l’Occidente. Stabi l iva, cioè, una Aldo Mondino “Scivolo” 1968, scivolo metallico con piano argentato, pesci veri e sangue, personale presso la Galleria Arco D’Alibert, Roma. Durante la mostra su un rotolo di carta spolvero di 20 metri si compiva un’azione con pesci che venivano fatti scivolare lasciando impronte di sangue. “Ogni giorno si cambiava campo di gara sino all’esaurimento del lavoro e della carta”.


relazione con le comunità investigate per coglierne profondità, certezze e misteri, spettacolarità e religiosità. Ecco allora l’ebraismo e la tauromachia, i riti popolari e i Dervisci, gli Gnawa, i maestosi su ltan i, i messican i d i Joh n Dos Passos, i Sad hus dell’India, i soucks… L’esigenza di esplorare altri territori e di rappresentare ciò che gli procurava piacere lo induceva a passare, con spontaneità e giocosità, da un argomento al l’altro. Però le mutazioni derivanti dai suoi innamoramenti, dalla ricchezza di idee volubili e irriverenti non erano disarticolate e illogiche. Analogamente le citazioni non erano inerti, la tecnica mai autoreferenziale o utilizzata per fini puramente narrativi, mentre la seduzione della visione non indeboliva il messaggio. In fondo la sua arte, sorta da un istintivo bisogno di autenticità che lo portava a rivisitare anche la naturalezza delle fantasie infantili, in altre fasi in cui si espandeva fuori dell’Io esaltava i valori della diversità e della convivenza. Con il sapere teorico-esperienziale e letterario che supportava l’introspezione e l’esecuzione, nell’essenzialità come nell’accurata descrizione, egli dava ai soggetti estranianti il carattere di immagine-documento. Per la sete di realismo speculava perfino sullo stereotipo della civiltà dei consumi, ma nel rappresentarne con ironia le contraddizioni, nell’incontro-scontro tra storia e cronaca, mitologia e quotidianità, metteva in risalto le abitudini radicate. Ne consegue che le opere, sostanziate da memorie e da vita sacralizzata, suscitavano nell’osservatore un incantamento emozionale e una deriva lirico-mistica che resistono all’usura del tempo. Il Mondino della maturità era più mondano... Poteva permettersi agiatezze proibite agli esordi (quando non disponeva “neanche dei soldi per l’acquisto di sigarette”) e la materializzazione di progetti ambiziosi come le sculture in bronzo: altra importante produzione, discontinua ma non secondaria. Finalmente il pittore-dandy, che non amava le mode, aveva raggiunto anche il successo economico, ma per non vivere di rendita e restare nella modernità inventava opere spiazzanti, competitive. Ovviamente in lui permanevano l’impegno professionale, la curiosità intellettuale e la s-mania di andare oltre il già fatto, rafforzati dalla fiducia nelle risorse personali e nelle forze magiche. In altre parole l’insofferente e ostinato Aldo, sommando esperienza a esperienza, in nome di una neoavanguardia privata continuava a scavalcare le tendenze dominanti. Da un artista passionale e ardito qual era ci si poteva aspettare di tutto, meno il tradimento della Pittura, intesa come indispensabile luogo di preghiera che, a prescindere da considerazioni critiche, gli procurava q uel god i mento che coi nvolgeva sensor ial Mente anche i fruitori. Io avevo cominciato a frequentarlo nel 1969 quando, in collaborazione con Gillo Dorfles e Filiberto Menna, progettai l’VIII Biennale d’Arte Contemporanea “Al di là della pittura” di San Benedetto del Tronto (che si sarebbe tenuta in estate) e mi recavo a Roma per individuare gli artisti più innovativi che operavano nella Capitale: Jannis Kounellis, Eliseo Mattiacci, Luca Patella (dei quali avevo visitato le mostre alternative nella galleria-garage di via Beccaria, nuovo spazio de L’Attico diretto da Fabio Sargentini) e Mondino che alla galleria Arco d’Alibert di Mara Coccia aveva proposto il vitalistico, scioccante Ittiodromo, azione pittorica poverista e concettuale con pesci veri su uno scivolo di metallo. Gli chiesi un appuntamento e ci vedemmo nella sua abitazione: un sottotetto prestatogli dai coniugi Rumma di Napoli, dotato di un balconcino con un pezzo di specchio che, rivolto verso il basso, gli permetteva di vivere (anche in compagnia di qualche bella donna) la rumorosa romanità della vicina Fontana di Trevi. Notai che i quadri in lavorazione, pure se recavano elementi eterogenei, anticipavano il ritorno al medium pittorico con un concept

Aldo Mondino con il suo autoritratto-fantoccio, VIII Biennale d’Arte Contemporanea “Al di là della pittura”, San Benedetto del Tronto, luglio-agosto 1969

tutt’altro che anacronistico, giacché puntava alla scoperta delle residue chances che quell’indirizzo poteva offrire come persuasivo mezzo di autoconoscenza e socializzazione. Eppure teneva a partecipare alla mia esposizione riservata alle esperienze avanzate di più discipline e accennò a un paio di azioni effimere alquanto singolari e provocatorie. Compresi che aveva le potenzialità per andare anche “al di là della pittura” e venne incluso tra gli invitati. Nella sede della Biennale fu l’unico a dare alla sua stanza il carattere di ‘personale’, ponendo all’ingresso dello spazio, come per ricevere i visitatori, un autoritratto-fantoccio (modello usato subito dopo per i dodici dipinti del ciclo concettuale-comportamentale The King – ispirato al libro degli oracoli – con la raffigurazione del suo stato psicologico nella stessa ora e nello stesso giorno di ciascun mese dell’anno). A una parete poggiò il quadro L’année de la balance con il cielo blu stellato e l’oroscopo del suo segno zodiacale scritto con lo zucchero; a fianco ne espose uno aniconico con reiterate impronte scure su fondo bianco; appesa su un’altra parete un’opera formata da undici strisce orizzontali di materiale rigido, unite da due nastri verticali, con sopra l’immagine di George Harrison dei Beatles in posizione crocifissa, ottenuta con un frammento fotografico del volto e la veste dipinta. In un angolo riversò sul pavimento un provocatorio, maleodorante Vomito (da lui composto a Roma, a regola d’arte). Infine, per dialettizzare a distanza di sicurezza con le opere extrapittoriche dell’Arte Povera, nel corridoio adiacente fece trasportare con un tir (dal vicino cantiere navale) e sollevare con la gru un pesante tronco di quercia (circa 70 cm di diametro e 100 di lunghezza): materia prima di un tavolo. Poi sulla ruvida corteccia poggiò un centro ovale di merletto a tombolo che alla chiusura della mostra fu trafugato da un ignoto amatore…

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Pablo Bronstein La vastità della Cina di Valeria Ceregini

“The largeness of China seen from a great distance” (“La vastità della Cina vista da una grande distanza”) 2017. Ph Sebastiano Pellion di Persano, courtesy dell’artista e Galleria Franco Noero

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Il progetto corale dell’artista argentino Pablo Bronstein, The largeness of China seen from a great distance, trova spazio nel nobile appartamento di Piazza Carignano a Torino, seconda sede ormai da più di due anni della Galleria Franco Noero. La prestigiosa dimora e l’edificio settecentesco fanno da cornice al più antico e barocco Palazzo Carignano da cui prende il nome la piazza, sede delle vicende storiche cittadine e nazionali più rilevanti. In questo contesto storico e artistico si collocano perfettamente le opere che compongono la mostra personale di Bronstein dove il richiamo al passato e alle sue tradizioni sono una costante del suo operare artistico. Nato a Buenos Aires nel 1977, Bronstein si trasferì a Londra con la sua famiglia dove iniziò, fin dall’infanzia, a disegnare compulsivamente edifici. Si iscrisse al Saint Martins College of Art and Design di Londra, poi allo Slade School of Fine Art e, infine, al Goldsmiths College dove poté finalmente dedicarsi al disegno libero senza fini utilitaristici per dar così sfogo alle sue visioni fantastiche. Il disegno a matita o a penna e inchiostro sono uno degli elementi caratterizzanti e basilari della pratica artistica di Bronstein che ama elaborare, fin dai suoi esordi nel 2004, architetture meravigliose composte da elementi figurativi ripresi dalla tradizione estetica barocca. I suoi disegni sono spesso un assemblaggio di elementi fantasiosi ricchi di ornamenti ma privi di ogni sorta di funzionalità o di legame con il reale. Sospensioni estetiche dove l’osservatore può perdersi nella creatività ingegnosa dell’artista, creatore di mondi altri come già in passato nel lontano Seicento altri artisti si presero il “capriccio” di comporre il reale secondo la propria immaginazione. Questi mondi velleitari, uno fra essi Large Crane (2017), ingannano il visitatore che è portato a confrontarsi con

una gru meccanica dal simbolico colore rosso e decorata secondo il “gusto cinese”. Alla stessa stregua Bronstein con Large building (2017) decora le pareti dell’appartamento con pannelli che riproducono elaborati paesaggi esotici e orientali, tipiche anch’esse di una tradizione risalente al passato, e più precisamente introdotta dalla corte di Francia nel Settecento col termine chinoiserie. Il connubio che si crea fra presente e passato mai fu più adeguato in questa collocazione e allestimento poiché alle pagode elaborate a computer dell’artista si accosta una stanza a cineserie ancora risalente al secolo XVIII quando l’attenzione per l’oriente ebbe inizio. Il gusto per l’esotico, di tutto ciò che è lontano e straniero, si fonde in Bronstein, il quale, come un Marco Polo del terzo mi l lennio, esplora l’i mmensità del la Cina e la presenta a noi occidentali nello spazio di una gal leria attraverso anche del le video instal lazioni, Entertainment at court: 100 European-style ways to greet a casual acquaintance in passing, 2017. La gestualità si fonde con i dettagli decorativi dell’edificio che diventa scenografia di un progetto artistico a tutto tondo. Questo intreccio di storie e immaginazione caratterizza sia lo stile di vita anacronistico di Bronstein sia la sua pratica artistica, perché ancor prima di essere un artista e architetto è un collezionista di antichità. Ed è proprio da questo suo gusto per l’antico, per il barocco, che ne deriva il senso prospettico e dell’estasi. La prospettiva come d ispositivo retorico e si mbol ico è i n grado d i restituire un’illusione onirica, dove la stessa diventa una metamorfosi universale della realtà. Bronstein nelle sue opere, che siano esse disegno, scultura o performance, fa ampio uso della metafora e del simbolo attraverso il principio della meraviglia. Così come nell’arte barocca dove il gusto per la “teatralità” era enfatizzato e spettacolarizzato, ogni elemento concorreva alla rappresentazione spettacolare e talvolta anche enfatica degli eventi. La creazione di Bronstein non si limita alle sole arti di cui si è fatto cenno ma anche alla realizzazione di libri d’artista. Nel 2008 esordisce con A Guide to Postmodern Architecture in London, a cu i seg ue nel 2013 Gilded Keyholes (2013) contenente trenta disegni di decorazioni in stile barocco. Nel 2015 We live in Mannerist times, Bronstein già ospite della Galleria Noero di via Mottalciata 10b, presenta i suoi disegni assieme a una combinazione di macchinari da lavoro monumentali di epoca vittoriana che si fondevano con l’archeologia industriale dell’edificio. Ogni lavoro di Pablo Bronstein è poliedrico ma si contraddistingue sempre per la sua spettacolarità di elementi architettonici che si fondono con la realtà dello scenario. Ogni sua ambientazione acquisisce un valore surreale e fantastico al limite del reale sebbene egli mantenga sempre una forte attenzione ai dettagli della storia dell’arte e


dell’architettura tanto da essersi guadagnato una personale presso il prestigioso RIBA - Royal Institute of British Architects di Londra dove ha potuto esprimere al meglio la tradizione architettonica inglese neo-georgiana. Le tue composi zion i ar t ist iche le si pot rebbero definire dei capricci secondo la definizione e la tradizione artistica seicentesca di questo genere che amava assemblare liberamente elementi architettonici reali e fantastici? A un primo sguardo, si colgono naturalmente delle somiglianze superficiali. Tuttavia, non considero la mia pratica artistica paragonabile alla tradizione dei capricci architettonici nel loro complesso. Nei miei lavori ho ideato capricci, riferiti ovviamente alla tradizione dei capricci, ma i miei interessi sono in definitiva piuttosto analitici. Voglio capire e allo stesso tempo rompere con la tradizione tanto quanto celebrarla. Sebbene questi abbiano anche un aspetto sovversivo, i capricci sono principalmente progettati per dare piacere e intrattenimento ovvero qualcosa di ben diverso dalle criticità inevitabili dell’attuale arte contemporanea. Certamente io compongo spazi architettonici e immagini in modo piacevole ma il mio lavoro è molto meno libero degli esperimenti stilistici e molto più retrospettivo. Come l’arte barocca, sempre del Seicento, anche la tua arte tende a suggestionare lo spettatore con virtuosismi ed esaltazioni spaziali. Perché questa tua scelta di rivolgerti al passato usando espedienti tecnici e illusionistici dell’epoca? L’epoca barocca pone al centro l’esperienza dell’osservatore verso la composizione architettonica. Il neoclassicismo è molto più interessato alla purezza della forma anche quando è invitato a comunicare con il pubblico, come nel caso del progetto di un parlamento o di una casa di corte. Il Barocco è l’opposto, è la plasticità dello spazio con le sue curve, illusioni, giochi

di luci e ombre che creano un’esperienza costantemente diversa nell’astante. In questo modo tutti partecipiamo come autori dell’edificio barocco mentre partecipiamo come semplici cittadini all’interno di un palazzo neoclassico. Io mi interesso a entrambe le tradizioni. Il Barocco si è espresso anche nel gusto dell’enciclopedia e del collezionismo come amore per ogni dettaglio del reale. In te questi elementi si ritrovano sia nella tua vita privata sia nella tua arte, da dove nasce questa affinità e commistione con tale poetica? Sebbene la domanda sia interessante non amo parlare troppo della mia vita personale. R iesco a ipotizzare delle influenze legate ai miei interessi d’infanzia. Ho sempre rivolto la mia ammirazione artistica a coloro che hanno creato il loro mondo e posto loro stessi al centro di esso - Jack Smith, Carlo Mollino, Mike Kelley, John Waters - ma sono troppo compulsivo per diversificare me stesso dalla mia vita. Talvolta mi sorprendo, per esempio, a dipingere una stanza della mia casa con certi colori e sei mesi dopo allestisco una mostra con lo stesso colore alle pareti. Oppure disegno un orologio Impero e dopo dieci anni ne compro uno che ho nella mia stanza. Non posso dire altro. All’epoca ci furono grandi personalità eclettiche nell’architettura come Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini, come ti poni tu oggi rispetto a questi maestri del passato e quali sono stati i tuoi ispiratori? L’Italia del periodo barocco fu al servizio della controriforma. L’arte di Bernini e Borromini aveva uno scopo propagandistico, perciò è stata limitante, e ha generato un antagonismo creativo che ha prodotto opere meravigliose. L’arte contemporanea pretende di esprimere la forza della verità ma in realtà sta dando potere a una bolla di sapone. Il Barocco tutto sommato è stato più onesto in questo senso.

“Entertainment at court: 100 Europeanstyle ways to greet a casual acquaintance in passing” (“Intrattenimento a corte: 100 modi per salutare incidentalmente un conoscente, alla maniera europea”) 2017, video, 25’ 31”. Ph Sebastiano Pellion di Persano, courtesy dell’artista e Galleria Franco Noero

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Spray Eventi d’arte contemporanea

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Sarah Cwynar “Tracy, griglia (dal verde al rosso)” dalla serie “La fabbrica del colore”, 2017 © Sarah Cwynar, ph courtesy MAST

Philip Taaffe “Vasorum” 2011 tecnica mista su tela cm 94 x 119,2 courtesy Studio d’arte Raffaelli, Trento

BERGAMO Dal 7 giugno la GAMeC (via San Tomaso 53, gamec.it) si rinnova. Entra infatti a pieno regime il lavoro avviato a inizio gennaio, con il suo insediamento, dal neo direttore Lorenzo Giusti, che per la Galleria di Bergamo ha immaginato una programmazione aperta alla sperimentazione e alla multidisciplinarietà. Una programmazione costruita partendo dal DNA della GAMeC stessa: valorizzazione delle collezioni, vocazione alla ricerca, attenzione al dialogo tra le discipline, sostegno ai talenti artistici e curatoriali emergenti, internazionalità. Il tutto consolidando l’innata apertura della Galleria alla collaborazione, nel senso più ampio del termine, tra istituzioni pubbliche e private, e su scala cittadina, nazionale e internazionale. Tra le maggiori novità in programma, la realizzazione, nei prossimi tre anni, di una serie di eventi nel cuore della Città Alta: nel periodo estivo la Sala delle C apriate di Palazzo della Ragione diventerà, infatti, una sede esterna della Galleria, strettamente legata al calendario espositivo dell’istituzione. Come sottolinea Nadia Ghisalberti, Assessore alla Cultura del Comune di Bergamo: “L’intesa culturale che il Comune sta costruendo con la GAMeC affinché anche Palazzo della Ragione diventi luogo espositivo di arte contemporanea rientra nel progetto di rilancio ideato dal neo direttore Lorenzo Giusti che, pur nel segno della continuità, intende dare un diverso indirizzo alla politica culturale dell’istituzione”. Il primo progetto pensato per la Sala delle Capriate è la mostra Il diletto del praticante, prima personale in Italia dello scultore americano Gary Kuehn (Plainfield, New Jersey, 1939), a cura di Lorenzo Giusti.

Una selezione di opere di grande formato dialogheranno con l’affascinante architettura dello spazio, per l’occasione svuotato di tutti gli arredi, enfatizzandone la peculiare bellezza e trovando qui la dimensione ideale per la loro collocazione. Parallelamente lo Spazio Zero della Galleria ospiterà la mostra Enchanted Bodies / Fetish for Freedom, a cura di Bernardo Mosqueira, vincitore della nona edizione del Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte, riconoscimento che dal 2003 sostiene la ricerca di un curatore under 30. Il progetto riunirà opere di sedici artisti internazionali ispirate alla forza del corpo migrante e del soggetto straniero che porta con sé una cultura, affinché resista, riviva e si rapporti ad altre culture nello spazio e nel tempo. Tutti gli artisti coinvolti – da Abbas Akhavan a Tania Bruguera, da Danh Vō ad Haegue Yang – sono accomunati dall’esperienza della lontananza dal luogo di nascita, in quanto migranti temporanei, nomadi oppure profughi, deportati o esiliati. Un ruolo centrale nella programmazione del 2018 è affidato al progetto Public Program, una nuova piattaforma di incontri, presentazioni, dibattiti e conferenze aperte al pubblico, nato dalla collaborazione con l’Accademia di BB.AA. G. Carrara di Bergamo. In particolare, per la prima parte del 2018, il programma sperimenterà il format dell’artist talk, aprendosi al contributo di autori di generazioni e provenienze diverse coinvolti nell’attività delle due istituzioni, tra cui Patrick Tuttofuoco, Giuseppe Gabellone, Silvia Calderoni e Ilenia Caleo (Motus), Michel Blazy, Michael Hoepfner, Riccardo Baruzzi e altri, in dialogo con i docenti Claudio Musso, Ettore Favini, Liliana Moro, Fabiola Naldi e Salvatore Falci. Approda in viamoronisedici/spazioarte

(dal 21 aprile al 27 maggio, inaugurazione: sabato 21 aprile, ore 18.00, info: 347 2415297) la mostra itinerante di Pina Inferrera dal titolo “Natura altera”. Le fotografie che qui vengono presentate sono frutto di uno studio attento, di una indagine svolta con circospezione all’interno di una realtà dove la fotografia cerca il silenzio per potersi identificare con la natura che la circonda e coglierne gli aspetti più sorprendenti. In tal modo l’autrice accosta elementi fra di loro opposti come una terra che appare scura, cupa, desolatamente spoglia (come fosse stata ferita da qualche misterioso disastro) e l’acqua che, scorrendo vivace, la attraversa. Ed è qui che la luce trasforma la realtà perché, filtrando fra gli alberi e riflettendosi sulla superficie dell’acqua permette di scoprire l’inaspettata aura dorata che la impreziosisce (Roberto Mutti). Questa può essere vista anche come una grande metafora dell’eterno divenire del mondo, del ciclo e riciclo sapiente della natura: la vegeta zione marciscente, inzuppata nei rivoli, nelle pozze d’acqua stagnanti e nei ruscelli, come da potente alchimia si trasforma in colate d’oro liquido, puro e prezioso. È questo l’aspetto della rinascita dopo la morte, è questo l’aspetto di attesa positiva da scoprire in queste immagini fotografiche. “Natura Altera” ospiterà l’Associazione Phoresta onlus che dibatterà i temi più attuali e urgenti riguardo la Natura. Sabato 26 maggio questo progetto entrerà a far parte dell’evento Art date 2018. Di fronte all’apertura che sta vivendo l’arte della fotografia messicana contemporanea con la sua presenza in vari scenari internazionali e considerando inoltre la ricerca e la sperimentazione che alcuni giovani praticano Juliet 187 | 95


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