Lettere
classe
PROGRAMMA SVOLTO DI
Prof.ssa Chiara Borgonovi
2C Educazione Linguistica gli argomenti di analisi logica La Poesia Nozioni base e scrittura creativa Letteratura grandi autori del Medioevo
Generi Letterari Il Comico Il Romanzo d'Avventura L'autobiografia
13
7
30 40
84 10
66
8
16
411
9
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Lettere
PROGRAMMA SVOLTO DI
70
12 H
o voluto raccogliere attraverso questa pubblicazione l'attivitĂ svolta in classe durante quest'anno scolastico, riportando gli approfondimenti che abbiamo percorso insieme. Buona Lettura Chiara Borgonovi 4 Riflessione sulla lingua Argomenti di grammatica 7 Poesia Nozioni base di Poesia, Haiku, Poesia medievale 16 Il significato di Halloween Approfondimento 25 Leggiamo Come si fa la scheda di un libro
86 6
26 Consigli di lettura Libri da scegliere per le vacanze 30 Divina Commedia Notizie sul Poema, le illustrazioni di Dorè, U. Eco, Approfondimento su Ulisse
4
40 Iconografia di Lucifero Approfondimento multidisciplinare 58 Trappola per topi Lettura della commedia di A. Christie
64
76
60 Nessun brutto voto è per sempre I consigli di A. Artini 62 Francesco Petrarca 64 Giovanni Boccaccio 66 Rumori fuori scena percorso sul Comico, Il metateatro 70 Romanzo d'avventura genere, cronologia, un esempio 76 Lettura espressiva Approfondimento 86 Autobiografia Approfondimento
26
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Riflessione sulla lingua
N
ella scuola secondaria di primo grado e nei primi due anni di quella di secondo l'insegnamento della grammatica verte sull'analisi grammaticale, ovvero sul corretto riconoscimento e classificazione delle categorie morfologiche e sull'analisi logica. La richiesta che viene soprattutto dalla scuola secondaria di secondo grado è che gli studenti vengano preparati per affrontare poi con sicurezza la scrittura. Il programma del secondo anno ha toccato:
• Studio sistematico logiche della frase
delle
funzioni
• Struttura logica della frase (diversi tipi di sintagmi, loro funzione, loro legame col verbo) • Struttura comunicativa della frase semplice • Il lessico (famiglie di parole, campi semantici, legami semantici tra parole, impieghi figurati ecc.). • Basi della metrica (divisione in versi, ripresa di gruppi di suoni, rima, assonanza, consonanza, allitterazione ecc.)
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Educazione Linguistica
Durante l'anno sono stati ripresi argomenti pregressi e si è anche accennato agli argomenti che saranno affrontati in Terza. Non ostante l'evidente complessità e lo scarso appeal della materia stessa, la classe ha acquisito una certa sicurezza nella forma scritta.
N
ell'ambito dell'educazione linguistica la classe ha seguito il programma di grammatica come proposto dal libro adottato. In particolar modo si è proceduto ad un ripasso iniziale sulle parti del discorso, sui tempo verbali e sulle forme del verbo (attiva/passiva, riflessiva, impersonale).
Il programma di Analisi Logica ha poi visto affrontati, nello specifico, i seguenti argomenti:
LA FRASE MINIMA L'ESPANSIONE DELLA FRASE I COMPLEMENTI: • COMPL. OGGETTO • COMPL. OGGETTO PARTITIVO • COMPL. PREDICATIVO dell' OGG. • COMPL. PREDICATIVO del SOGG. • COMPL. di TERMINE • COMPL. di SPECIFICAZIONE • COMPL. di MATERIA • COMPLEMENTI DI LUOGO • COMPLEMENTI DI TEMPO • COMPL. di ARGOMENTO • COMPL. di DENOMINAZIONE • COMPL. PARTITIVO • COMPL. di LIMITAZIONE • COMPL. di QUALITA' • COMPL. di ETA'
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NOZIONI BASE DI POESIA Nozioni fondamentali: le sillabe, il ritmo, la rima Il verso non è altro che una riga di una poesia, la sua unità ritmica minima di lunghezza variabile. È formato da sillabe, che nella tradizione della letteratura italiana possono variare da due a sedici. Anche se, raramente, si possono incontrare versi più lunghi. Il ritmo è la cadenza musicale da cui deriva l’armonia poetica che caratterizza il verso. Esso è dato dal numero delle sillabe del verso e dagli accenti ritmici disposti secondo particolari schemi in ogni tipo di verso. Gli accenti ritmici sono gli accenti fondamentali che cadono sulle sillabe toniche, cioè accentate, dove la voce si appoggia. I versi italiani si classificano in base al numero delle sillabe di cui sono composti. Si hanno dieci tipi di versi, di cui cinque parisillabi (2, 4, 6, 8, 10 sillabe) e cinque imparisillabi (3, 5, 7, 9, 11 sillabe). Essi sono: • il bisillabo o binario di due sillabe; • il ternario o trisillabo di tre sillabe; • il quaternario o quadrisillabo di quattro sillabe; • il quinario o pentasillabo di cinque sillabe; • il senario di sei sillabe; • il settenario di sette sillabe; • l’ottonario di otto sillabe; • il novenario o enneasillabo di nove sillabe; • il decasillabo di dieci sillabe; • l’endecasillabo di undici sillabe.
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Nel computo delle sillabe bisogna tener presenti le cosiddette figure metriche: Figure di vocale. Elisione o sinalefe: fusione in una sola sillaba della vocale finale di una parola e della vocale iniziale della parola successiva. Esempi: …e il naufragar m’è dolce in questo mare (G. Leopardi, L’infinito, v 15); …nel muto orto solingo (G. Carducci, Pianto antico, v 5). Episinalefe: si ha quando la vocale dell'ultima sillaba di un verso si fonde con l'iniziale del verso seguente. Esempi: ... pei bimbi che mamma le andava a prendere in cielo. (G. Pascoli, La figlia maggiore, 7-8) ... in mezzo a quel pieno di cose e di silenzio, dove il verbasco (G. Pascoli, La figlia maggiore, 18-19) Iato o dialefe: fenomeno opposto alla elisione, per il quale la vocale finale di una parola e la vocale iniziale della parola successiva formano due sillabe distinte. Esempi: Gemmea l’aria, / il sole così chiaro (G. Pascoli, Novembre, v1); Qui cominciai / a non esser più / io (G. Giusti, Sant’Ambrogio, v 45) Dieresi: separazione di due vocali formanti dittongo, per cui, invece di una sillaba, se ne hanno due.
Educazione Linguistica Nozioni base sulla poesia
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POESIA
L Esempi: …e arriso pur di visï /on leggiadre (G. Carducci, Funere mersit acerbo, v10); …con ozï /ose e tremule risate (G. Pascoli, I puffini dell’Adriatico, v 6) Sineresi o sinizesi: fenomeno opposto alla dieresi, per cui sono considerate come unica sillaba due o tre vocali della medesima parola non formanti dittongo o trittongo. Esempi: …e fuggiano, e pareano un corteo nero (G. Carducci, Davanti San Guido, v 75); …ed erra l’armonia per questa valle (G. Leopardi, Il passero solitario, v 4)
a poesia (dal greco poiesis con il significato di "creazione") serve per trasmettere un messaggio, il significato semantico delle parole insieme al suono e al ritmo che queste imprimono alle frasi; la poesia ha quindi in sé alcune qualità della musica e riesce a trasmettere concetti e stati d'animo in maniera più evocativa e potente di quanto faccia la prosa. Siccome la lingua nella poesia ha una doppia funzione di vettore sia di significato sia di suono, di contenuto sia informativo sia emotivo, la sintassi e l'ortografia possono subire variazioni (le cosiddette licenze poetiche) se questo è utile ai fini della comunicazione sia particolare sia complessiva. A questi due aspetti della poesia si aggiunge un terzo quando una poesia, anziché essere letta direttamente, viene ascoltata: con il proprio linguaggio del corpo e il modo di leggere, il lettore interpreta il testo, aggiungendo la dimensione teatrale della dizione e della recitazione. Nel mondo antico poesia e musica sono spesso unite. Queste strette commistioni fra significato e suono rendono estremamente difficile tradurre una poesia in lingue diverse dall'originale, perché il suono e il ritmo originali vanno irrimediabilmente persi e devono essere sostituiti da un adattamento nella nuova lingua, che in genere è solo un'approssimazione dell'originale.
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Cosa sono gli Haiku L
’Haiku è un componimento poetico nato in Giappone, composto da tre versi per complessive diciassette sillabe. L'haiku è caratterizzato dalla peculiare struttura in 3 versi, rispettivamente di 5, 7 e 5 sillabe. Per la sua immediatezza e apparente semplicità, l'haiku fu per pag. 8
secoli una forma di poesia "popolare" trasversalmente diffusa tra tutte le classi sociali. Nel XVII secolo venne riconosciuto come una vera e propria forma d'arte. L'haiku è una poesia dai toni semplici, senza alcun titolo, che elimina fronzoli lessicali e retori-
ca, traendo la sua forza dalle suggestioni della natura nelle diverse stagionirazie ad alcune opere di famosi scrittori tra cui Matsuo Bashō.
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Scrittura creativa
esercizio di composizione
HAIKU REGOLE DI COMPOSIZIONE DI UN HAIKU
U
no haiku non ha mai titolo;
2 Haiku di B.B. Neve soffice imbianca le foglie freddo inverno.
Consiste di 17 sillabe con metrica 5-7-5.
E' necessario includere il kigo (riferimento stagionale), cioè il riferimento ad una delle quattro stagioni dell’anno. Lo haiku normalmente può essere composto seguendo due stili differenti: • il primo presenta il tema della composizione in un verso, sviluppandolo negli altri due; • il secondo presenta due temi che possono essere in armonia o in contrasto. Per il conteggio delle sillabe è utile ricordare che nella poesia in lingua italiana quando una parola termina con vocale (o dittongo), e la successiva inizia per vocale (o dittongo), le loro sillabe si uniscono in quella che prende il nome di "sinalefe" ovvero una pronuncia monosillabica. Ad esempio, nel verso di Dante Alighieri "E quindi uscimmo a riveder le stelle", la sinalefe viene applicata tra le parole "quindi uscimmo" ed immediatamente dopo ad "uscimmo a". In questo modo un verso altrimenti composto da tredici sillabe può essere considerato endecasillabo.
Mare ghiacciato un pesce sguazza tra il silenzio.
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2 Haiku di T.M.E.
Haiku di M.B. Questo inverno Vogavo a Venezia con felicitĂ
Leso giardino scende la dolce neve fatta di pace
Venne tempesta nero si vede barca affonda
2 Haiku di S.D.M
Le stelle sembrano un mosaico di luci nel cielo.
Haiku di A.J.S. Ampie lenzuola Calde ed ondeggianti L’immenso deserto.
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La luna è tanto brillante come il lucido diamante
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Scrittura creativa
esercizio di composizione con un esempio letterario
un esempio letterario: Giuseppe Ungaretti Molti poeti anche in Occidente si sono cimentati in questo genere: Paul Eluard, Ezra Pound, Jack Kerouac ed in Italia il poeta che più si avvicinò a questa forma poetica è stato Ungaretti. Tuttavia le compoosizioni di Ungaretti non sono dei veri e propri haiku. Sebbene le liriche Soldati e Mattino potrebbero assomigliare ad un haiku, specie la prima, la lunghezza del verso però non rispetta le regole di composizione. Leggiamo i versi di Ungaretti:
I
l poeta “racconta” la condizione dei soldati, paragonandoli alle foglie degli alberi in autunno. Le parole-chiave della lirica sono proprio «autunno» (v. 2) e «foglie» (v.4). L’analogia nasce dalla somiglianza che s’instaura fra la fragilità delle foglie d’autunno, destinate inesorabilmente a cadere e ad essere spazzate via dal vento, e la precarietà della condizione dei soldati al fronte che, in qualsiasi momento, possono cadere a terra per un colpo di arma da fuoco. Il poeta ricorre spesso nelle sue liriche all’artificio retorico dell’analogia per sovrapporre in maniera immediata immagini che sono in apparenza molto distanti fra loro, fondendole senza ricorrere all’utilizzo di passaggi logici espliciti. Ungaretti racconta con pochissime parole, ma in maniera molto esplicita l’incertezza e la precarietà della vita dei soldati al fronte. La brevità dei versi e l’assenza quasi totale di punteggiatura, come in tutte le liriche dell’Allegria, consente al poeta di acquisire piena consapevolezza di ciò
Soldati Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie Bosco di Courton , luglio 1918
che sente e di riportare al lettore i termini che vincono il silenzio e assumono una rilevanza fondamentale, permettendo di far emergere ciò che è nascosto. Il poeta associa, dunque, la vita umana e le foglie, come avevano già fatto in passato autori come Omero (nell’Iliade) e Virgilio e come si era già verificato nella Bibbia. da: fareletteratura.it
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Da "Le Laude" : Contrasto - Quando t'aliegre... Jacopone da Todi è stato uno dei maggiori poeti del Medioevo. Autore dello Stabat Mater e di altri inni e laudi. Nel 1297 scrisse un manifesto ostile a Papa Bonifacio VIII , considerandolo elett oillegalmente. Jacopone fu catturato, scomunicato e imprigionato per cinque anni. In carcere scrisse molte delle sue più famose poesie. In questo contrasto un uomo dialoga con un cadavere che giace nella tomba.
Q
uando t'aliegre, omo d'altura
- Or uv'è la lengua cotanto tagliente?
ma fàime venire a veder meo mercato;
va' puni mente a la seppultura;
Apri la bocca, se ttu n'ài neiente.
che me veia iacere colui ch'è adasciato
e loco puni lo to contemplare,
Fòne truncata oi forsa fo 'l dente,
a comparar terra e far gran clusura.-
e ppensate bene che tu di' tornare
che te nn'à fatta cotal rodetura?
en quella forma che tu vidi stare l'omo che iace en la fossa scura.
-Or me contempla, oi omo mundano; Perdut'ho la lengua, co la qual parlava
mentr'èi 'n esto mondo, non essar pur vano!
e mmolta descordia con essa ordenava:
Pènsate, folle, che a mmano a mmano
- Or me respundi, tu, om seppellito,
no'l me pensava, quann'eo manecava,
tu sirai messo en grann'estrettura.-
che cusì ratto d'esto monno èi 'scito:
el cibo e 'l poto oltra mesura.-
o' so' li be' panni de que eri vestito, cà ornato te veio de molta bruttura?-
- Or cludi le labra pro denti coprire,
- O frate meo, non me rampugnare,
ché par, chi te vede, che 'l vogli schirnire.
cà 'l fatto meo te pòte iovare!
Pagura me mitti pur del vedere; càionte denti sanza trattura.-
Poi che parenti me fero spogliare, de vil celizio me dèr copretura.-
- Co' cliudo le labra, ch'e' unqua no l'aio?
- Or ov'è 'l capo cusì pettenato?
Poco 'l pensava de questo passaio.
Con cui t'aregnasti, che 'l t'à sì pelato?
Oi me dolente, e como faraio,
Fo acqua bullita, che 'l t'à sì calvato?
quann'eo e l'alma starimo enn arsura?-
Non te ci à opporto più spicciatura!-
- Or o' so' le braccia con tanta fortezza
- Questo meo capo, ch'e' abi sì biondo,
menacciando a la gente, mustranno prodezza?
cadut'è la carne e la danza dentorno:
Raspat' el capo, se tt'è ascevelezza,
no'l me pensava, quanno era nel mondo!
scrulla la danza e ffa portadura.-
Cantanno, ad rota facìa saltatura!- La mea portadura si ià' 'n esta fossa; - Or o' so' l'occhi cusì depurati?
cadut'è la carne, remase so' l'ossa
For de lor loco sì se so' iettati;
et onne gloria da me ss'è remossa
credo che vermi li ss'ò manecati,
e d'onne miseria 'n me a rempietura.-
del tuo regoglio non n'àber pagura.- Or lèvat' en pede, ché molto èi iaciuto, - Perduti m'ò l'occhi, con que già peccanno,
acònciate l'arme e tòite lo scuto,
aguardanno a la gente, con issi accennando.
ch'en tanta viltate me par ch'èi venuto,
Oi me dolente, or so' nel malanno,
non po’ comportare plu questa afrantura.-
cà 'l corpo è vorato e l'alma è 'n ardura.- Or co' so' adasciato de levarme en pede? - Or uv'è lo naso, c'avì' pro odorare?
Chi 'l t'ode dicere mo 'l te sse crede!
Quigna enfertate el n'à fatto cascare?
Molto è l'om pazzo, chi non provede
Non t'èi potuto da vermi adiutare,
ne la sua vita 'n la so finitura.-
molt'è abassata esta tua grossura.- Or clama parenti, che tte veng' aiutare, - Questo meo naso, c'abi pro oddore,
che tte guardin da vermi,
caduto m'ène en multo fetore;
che tte sto a ddevorare;
nol el me pensava quann'era enn amore
ma fòr plu vivacce venirte a spogliare,
del mondo falso, plen de vanura.-
partèrse el podere e la tua amantatura.- No i pòzzo clamare, cà sso' encamato,
pag. 12
La intensa meditazione sulla vanità del mondo di Jacopone da Todi lo conduce a disprezzare e a rifiutare senza titubanze i beni terreni, come possiamo leggere in un questo celebre contrasto, Quando t’aliegre, omo d’altura. È un dialogo tra un vivo e un morto: il vivo, nel vedere il morto trasformato e irriconoscibile, gli rivolge domande a metà tra il beffardo e lo stupito. Il morto risponde mettendo in risalto l’inesorabile disfacimento a cui va incontro l’uomo, e invita l’interlocutore a riflettere sull’inconsistenza e sulla fragilità delle ambizioni terrene.
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Poesia
ricerca sulla poesia medievale le Laudi
Jacopo De Benedictis detto Jacopone da Todi (Todi, 1233 circa – Collazzone, 25 dicembre 1306) è stato un religioso e poeta italiano venerato come beato dalla Chiesa cattolica. I critici lo considerano uno dei più importanti poeti italiani del Medioevo, certamente fra i più celebri autori di laudi religiose della letteratura italiana. La sua è una "voce vigorosa e sconvolgente", che si inserisce in modi e forme eccezionali nel contesto della nuova tradizione della lauda. Di Jacopone ci sono giunti, oltre alle Laude (di cui circa 90 di sicura attribuzione e numerose altre incerte), un'epistola latina a Giovanni della Verna, il celebre Pianto della Madonna e lo Stabat mater, mentre vi sono dubbi su alcuni Detti e su un Trattato sull'amore mistico. da: Wikipedia
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Durante il basso medioevo (1100–1350), il trovatore o trovadore era un compositore ed esecutore di poesia lirica occitana (ovvero di testi poetici e melodie) che utilizzava la lingua d'oc, parlata, in differenti varietà regionali, in quasi tutta la Francia a sud della Loira. Trovatori e trobairitz non utilizzarono il latino, lingua degli ecclesiastici, ma portarono nella scrittura l'occitano. Indubbiamente, l'innovazione di scrivere in volgare fu operata per la prima volta proprio dai trovatori, supposizione, questa, da inserire nell'ambiente di fervore indipendentistico locale e nazionalistico.
I
trovatori a noi noti provengono da esperienze diverse, conducendo la loro vita in una molteplicità di modi, vivendo e viaggiando in molti luoghi differenti, e attivi in molti tipi di contesti sociali. I trovatori non erano intrattenitori girovaghi e, in genere, restavano in un posto per un lungo periodo di tempo, sotto la protezione e il mecenatismo di un ricco nobile o una nobildonna. Tuttavia, molti viaggiavano in modo esteso, soggiornando da una corte all'altra. Il loro status sociale era il più disparato, dall'alta nobiltà come lo era il Duca d'Aquitania e Jaufre Rudel, della classe cavalleresca (Cercamon e Marcabru). Dapprincipio, i trovatori erano sempre dei nobili, talvolta di alto e talvolta di basso rango. Molti trovatori vengono descritti nelle loro vidas come cavalieri poveri. I successivi trovatori in special modo potevano appartenere alle classi inferiori, che vanno da quella media di mercanti e "burgers" (borghesi, persone stanziate in città) ai commercianti e ad altri che svolgevano lavori manuali. Molti trovatori possedevano anche un'educazione clericale. Per alcuni questo rappresentava il trampolino di lancio per le loro composizioni, dato che l'istruzione clericale li equipaggiava di una conoscenza delle forme poetiche e musicali così come della formazione vocale. rif. Wikipedia
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Poesia
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ricerca sulla poesia medievale i Trovatori
Can vei la lauzeta mover ricerca di B.B.
N
el Basso Medioevo (1100-1350) il trovatore o trobadore era un compositore ed esecutore di poesia lirica occitana che usava la lingua d'oc parlata in quasi tutta la Francia. La canzone trobadorica infatti era una melodia che non utilizzava il latino ma una nuova scrittura l'occitano. Il tema ricorrente era quello dell'amore con aspetti della passione ideale,sublime ed esclusiva verso una donna. La musica era prevalentemente vocale e gli strumenti erano d'accompagnamento alla voce infatti ripetevano le stesse melodie. L'intonazione era simile ad una cantilena che ricordava quella delle preghiere o dei salmi. Gli autori più conosciuti di musica occitana sono: Guglielmo IX d'Aquitania, Bernart de Ventadorn. Adam de la Halle e il Re di Castiglia Alfonso X. Bernart de Ventadorn (1147-1170) fu un trovatore che si spostava da una corte all'altra. Nacque da un servo del castello feudale di Ventadorn e poi si spostò nel mezzogiorno della Francia, prima di venir accolto nelle corti di Normandia e d'Inghilterra. Rimase alla corte di Raimondo V di Tolosa e successivamente diventò monaco e morì nell'abbazia di Dolon. Apparteneva al genere trovadorico dei lirici dolci e leggiadri per la musicalità dei versi del suo Canzoniere costituito da circa quarantacinque componimenti, tra cui diciannove melodie.
“Quando vedo muoversi la lodoletta”. La canzone autentica presenta sette strofe formate da otto ottonari a rima alternata “ABABCDCD” e uno stacco di quattro versi. Nella canzone i riferimenti alla natura e la raffinatezza di alcune immagini (il poeta è come l'allodola che vola verso il sole) contornano il tema dell'amore senza speranza. Il volo dell'allodola verso il sole rappresenta la gioia e mette in relazione il desiderio d'amore con il risveglio della natura. La donna non accetta l'amore dell'autore che sfiduciato si rinchiude in sé stesso. Nel componimento il compositore si riflette negli occhi-specchio della sua amata smarrendosi, così come Narciso s'innamora della sua immagine riflessa nell'acqua. La canzone si conclude con la rinuncia al corteggiamento che porta il trovatore ad esiliarsi e a fuggire verso luoghi misteriosi. Uno degli elementi ricorrenti che si può cogliere in quasi tutte le canzoni trobadoriche è la tendenza degli autori a ricercare sé stessi poiché l'amore è quasi sempre un obiettivo difficile da raggiungere.
Una delle sue canzoni più famose è “Can vei la lauzeta mover” tradotta in italiano pag. 15
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Il significato di Ha La notte delle streghe, vediamo insieme da dove arriva questa tradizione
origine della festa
L
a parola Halloween è attestata la prima volta nel XVI secolo, e rappresenta una variante scozzese del nome completo All-HallowsEve, cioè la notte prima di Ognissanti (in inglese arcaico All Hallows Day, moderno All Saints).
Scopriamo il significato di una ricorrenza tanto amata dai ragazzi
Uniti la notte del 31 ottobre e rimanda a tradizioni antiche della cultura celtica e anglosassone. É diffusa anche in altri Paesi del mondo e le sue caratteristiche sono molto varie: si passa dalle sfilate in costume ai giochi dei bambini, che girano di casa in casa chiedendo “Trick Halloween (o Hallowe'en, pro- or treat ?” nuncia inglese [ˌhæləʊˈiːn]) è una festività che si celebra La storia di Halloween risale principalmente negli Stati a tempi remoti, ovvero in
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quel periodo dove la Francia, l’Inghilterra, l’Irlanda e la Scozia, facevano parte della cultura celtica, successivamente l’Europa cadde sotto il potere di Roma. Alcuni studiosi hanno rintracciato le origini della festa di Halloween nella festa romana dedicata a Pomona - dea dei frutti e dei semi - o nella festa dei morti chiamata Parentalia.
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alloween Patrona pomorum “signora dei frutti”
P
omona è la dea romana dei frutti, non solo di quelli che crescono sugli alberi, ma anche dell'olivo e della vite. Il nome della dea deriva chiaramente da pomum, "frutto". Non si conoscono feste (Pomonalia) in suo onore, né dai calendari antichi giunti fino a noi, né dalle fonti letterarie classiche. Il filologo classico tedesco Georg Wissowa ha ipotizzato che la festività di Pomona fosse mobile e determinata dal momento della fruttificazione delle colture. Secondo il poeta Ausonio, Pomona ha in tutela il mese di settembre perché è quello in cui matura la frutta.
Parentalia
P
arentalia (o Parentali) erano delle festività romane, a carattere prevalentemente privato, che si celebravano ogni anno in onore dei defunti della famiglia (Parentes). Le celebrazioni si svolgevano nel mese di febbraio dalle idi
Nicolas Fouché - la Dea Pomona
(13 febbraio) al 21 febbraio, giorno riservato alla celebrazione delle feralia, la vera e propria festa dei morti. Si credeva in tal giorno che le anime dei defunti potessero girare liberamente tra i vivi.
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la festività celtica di Shamain
H
alloween viene più tipicamente collegata alla festa celtica di Samhain. Il nome della festività, mantenuto storicamente dai Gaeli e dai Celti nell'arcipelago britannico, deriva dall'antico irlandese e significa approssimativamente "fine dell'estate". L'idea che Halloween derivi dal Samhain fu diffusa da due studiosi di fine Ottocento, Rhŷs e Frazer: in questa teoria, secondo il calendario celtico in uso 2000 anni fa tra i popoli dell’Inghilterra, dell’Irlanda e della Francia settentrionale, l’anno nuovo iniziava il 1º novembre. Questo giorno coincideva con la fine della stagione calda, celebrata la notte del 31 ottobre con la festa di Samhain. Per un popolo essenzialmente agricolo come i Celti, l’arrivo dell’inverno era associato all’idea della morte e si credeva che gli spiriti esercitassero il loro potere sui raccolti dell’anno nuovo.
La ruota dell'anno
I
Celti, come la maggior parte delle popolazioni nordeuropee, seguivano un calendario luni-solare. Riconoscevano due stagioni, estate ed inverno, e quattro festività principali legate al ciclo agricolo-pastorale. Consistenti tracce di queste antiche celebrazioni si ritrovano nella cultura popolare e contadina di tutta Europa, e si celebrano in varie forme ancora oggi. Essi celebravano quattro grandi festività annuali legate ai cicli della Natura e alle sue stagioni: Samhain, Imbolc, Beltane e Lughnasadh. L’anno celtico era diviso in due metà, il buio e la luce.
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Samhain era l’inizio della metà oscura, con il suo opposto, Beltane, che dava inizio alla metà luminosa dell’anno. Fra queste due “porte” cadevano Imbolc, il 1 febbraio, e Lughnasadh, festeggiato il 1° agosto. L’anno dunque iniziava a SAMHAIN, ai primi di novembre, per questo ora lo si conosce come Capodanno Celtico. Questa data segna l’inizio dell’inverno, la metà oscura e fredda dell’anno, la stagione della Dea Keredwen, la vecchia saggia.
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Ognissanti
T
uttavia lo storico Hutton ha messa in discussione la derivazione da Samhain, osservando che non ci sono prove che le tradizioni che caratterizzavano Halloween risalgano a prima del Medioevo. Osservando, poi, come Ognissanti venisse celebrato da vari secoli (prima di essere festa di precetto), in date discordanti nei vari paesi: la più diffusa era il 13 maggio, in Irlanda (paese di cultura celtica) era il 20 aprile, mentre il 1º novembre era una data diffusa in Inghilterra e Germania (paesi di cultura germanica). I miti irlandesi che menzionano Samhain furono trascritti dai monaci cristiani tra il X e l'XI secolo, cioè circa 200 anni dopo che la Chiesa Cattolica aveva Giovanni da Milano - Polittico di Ognissanti, 1360 circa, Galleria degli Uffizi a Firenze.
OMNIUM SANCTORUM
L
e commemorazioni dei martiri, comuni a diverse Chiese, cominciarono ad esser celebrate nel IV secolo. Le prime tracce di una celebrazione generale sono attestate ad Antiochia, e fanno riferimento alla Domenica successiva alla Pentecoste. La ricorrenza della chiesa occidentale potrebbe derivare dalla festa romana della dedicatio Sanctae Mariae ad Martyres,
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ovvero l'anniversario della trasformazione del Pantheon in chiesa dedicata alla Beata Vergine e a tutti i martiri, avvenuta il 13 maggio del 609 o 610 da parte di Papa Bonifacio IV la data del 13 maggio coincide con quella citata da Efrem. In seguito Papa Gregorio III (731-741) scelse il 1º novembre come data dell'anniversario della consacrazione di una cap-
pella a San Pietro alle reliquie "dei santi apostoli e di tutti i santi, martiri e confessori, e di tutti i giusti resi perfetti che riposano in pace in tutto il mondo". Arrivati ai tempi di Carlo Magno, la festività di Ognissanti era diffusamente celebrata in novembre
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Simboli di Halloween: La zucca intagliata
L
o sviluppo di oggetti e simboli associati ad Halloween si è andato formando col passare del tempo. Ad esempio l'intaglio di jacko'-lantern (tipiche zucche nelle quali si intagliano volti spaventosi) risale alla tradizione di intagliare delle rape e farne delle lanterne per ricordare le anime bloccate nel Purgatorio. La rapa è stata usata tradizionalmente ad Halloween in Irlanda e Scozia, ma gli immigrati in Nord America usavano la zucca originaria del posto, che era disponibile in quantità molto elevate ed era molto più grande facilitando il lavoro di intaglio.
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a tradizione americana di intagliare zucche risale al 1837 ed era originariamente associata con il tempo del raccolto in generale, venendo associata specificatamente ad Halloween verso la seconda metà del Novecento.
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La leggenda di Jack O' Lanter
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'usanza di Halloween è legata alla famosa leggenda dell'irlandese Jack, un fabbro astuto, avaro e ubriacone, che un giorno al bar incontrò il diavolo. A causa del suo stato d'ebbrezza, la sua anima era quasi nelle mani del diavolo, ma, astutamente, riuscì a far trasformare il diavolo in una moneta promettendogli la sua
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anima in cambio di un'ultima bevuta. Jack mise il diavolo nel suo borsello, accanto ad una croce d'argento, cosicché egli non potesse ritrasformarsi. Allora il diavolo gli promise che non si sarebbe preso la sua anima nei successivi dieci anni e Jack lo lasciò libero. Dieci anni dopo, il diavolo si
presentò nuovamente e Jack gli chiese di raccogliere una mela da un albero prima di prendersi la sua anima. Al fine di impedire che il diavolo discendesse, il furbo Jack incise una croce sul tronco. Soltanto dopo un lungo battibecco i due giunsero ad un compromesso: in cambio della libertà, il diavolo avrebbe
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rn dovuto risparmiare la dannazione eterna a Jack. Durante la propria vita commise tanti peccati che, quando morì, rifiutato dal paradiso e presentatosi all'Inferno, venne "cordialmente" scacciato dal demonio che gli ricordò il patto ed era ben felice di lasciarlo errare come anima tormentata.
All'osservazione che era freddo e buio, il demonio gli tirò un tizzone ardente (eterno in quanto proveniente dall'Inferno), che Jack posizionò all'interno di una rapa che aveva con sé. Cominciò da quel momento a girare senza tregua alla ricerca di un luogo di riposo sulla terra. Halloween sarebbe dunque il
giorno nel quale Jack va a caccia di un rifugio. Gli abitanti di ogni paese sono tenuti ad appendere una lanterna fuori dalla porta per indicare all'infelice anima che la loro casa non è posto per lui ma non si dette tregua a cercare un posto di riposo eterno. pag. 23
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Lettura
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lettura ed analisi di un libro
Leggiamo!
Come si fa la scheda di un libro • Autore, titolo, casa editrice, luogo e anno di edizione • INFORMAZIONI SULL'AUTORE
• GENERE DEL LIBRO: - narrativo (prosa), poetico (lirica) e teatrale - epico-cavalleresco (genere sviluppatosi prima in versi, poi dalla metà del ‘200 anche in prosa); - di formazione (genere del ‘700-’800: storia dell’educazione e della maturazione di una persona); - romanzo storico (genere tipico dell’800, misto di storia e invenzione); - romanzo sociale (dalla seconda metà dell’800: analisi sociale della contemporaneità borghese); - romanzo psicologico (del ‘900: prevale l’autoanalisi di stati d’animo, caratteri, rapporti affettivi...); - d’avventura, o comico; o invece, fantastico o «gotico» (ambientato in un castello) o di fantascienza; - realistico (sia per le vicende che per l’ambiente sociale) oppure simbolico; - giallo (poliziesco), o rosa, o romanzo d’evasione (a diffusione popolare). • BREVE TRAMA • DIVISIONE IN MACROSEQUENZE: Equilibrio iniziale, Rottura dell'Equilibrio, Svolgimento, Equilibrio finale. • PERSONAGGI PRINCIPALI: a) caratterizzazione (descrizione fisica o psico-sociale): età, stato sociale, valori morali, onestà, coraggio, generosità...; b) ruolo: protagonista o antagonista, aiutante o avversario (personaggi secondari), oggetto; c) attributi: tratti fisici, oggetti o atteggiamenti che accompagnano un personaggio, rispecchiandone particolari caratteristiche; d) sistema dei personaggi: si può anche tentare di costruire un grafico delle relazioni fra i personaggi. • LUOGHI: lo spazio della narrazione: a) nel romanzo prevalgono gli ambienti interni o esterni; quali? • TEMPO della STORIA raccontata (della fabula) e TEMPO del RACCONTO (dell’intreccio): - lo spazio dedicato alla narrazione dei singoli fenomeni è, o non, proporzionale alla loro durata: sono riconoscibili pause descrittive o ellissi narrative, oppure sommari o narrazioni rallentate; - possiamo riscontrare nel racconto analessi (anticipazioni) o prolessi (flashback). pag. 25
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Consigli di lettura (per l'estate, ma non solo) La lista che segue cerca di spaziare nei diversi generi e nelle diverse tipologie dei romanzi, per andare in contro al gusto personale del lettore. L'idea di base è che la lettura debba essere soprattutto un piacere, quindi ad ogni titolo è stata abbinata una veloce descrizione ed un rimando alla pagina internet dove poter approfondire e scegliere secondo le proprie inclinazioni.
• L'amico ritrovato
• Un anno sull'Altipiano
di F. Uhlman
di E. Lussu
E
' una breve storia ispirata ai ricordi personali dell’autore, e descrive la nascita e il tramonto dell'amicizia che lega il protagonista al compagno di scuola Konradin von Hohenfels. Fuggito negli Stati Uniti per scampare alla Shoah, a distanza di molti anni il protagonista viene a sapere della sua sorte: ne rilegge il passato e le scelte alla luce dell’umana pietà e comprensione. Il titolo, L'amico ritrovato, va inteso proprio in funzione di ricongiunzione "spirituale" postuma e di riconciliazione. Il tema portante nella novella è quindi quello dell'amicizia. L'autore però la inserisce in un contesto e in un'età ben precisi: innanzitutto la Germania dei primi anni '30, in cui man mano salgono alla ribalta le idee rivoluzionarie e infuocate del nazionalsocialismo. In secondo luogo l'età dei protagonisti, due adolescenti che dunque si trovano a fronteggiare, oltre ai quesiti normalmente presenti in questo periodo della vita, anche le problematiche esterne. pag. 26
A
mbientato sull'altopiano di Asiago, è una delle maggiori opere della letteratura italiana sulla prima guerra mondiale. Il libro racconta, per la prima volta nella letteratura italiana, l'irrazionalità e il non-senso della guerra, della gerarchia e dell'esasperata disciplina militare in uso al tempo.
• Elianto di S. Benni
E
lianto è il romanzo in cui Benni sfoga la sua fantasia. Crea come ambientazione una serie di mondi immaginari, nei quali può inserire un'infinità di storie e racconti, senza mettere in crisi l'unità del romanzo. La Terra invece è raccontata con l'altra classica arma dell'autore, la satira: l'impero malvagio che ne vuole prendere il controllo è fatto di televisione e leccapiedi, "livello di paura" da mantenere e sondaggi per verificarlo. Lo stile è quello classico benniano, con
una comicità apparentemente disordinata ma in realtà creata attraverso schemi fissi: dalle parole inventate alle teorie deliranti, dagli elenchi alle descrizioni caricaturali, dalle parodie alle citazioni colte. Il linguaggio segue l'ambientazione e il tipo di personaggi che descrive, c'è continua mescolanza di stili, ma con un'ironia di fondo che pervade ogni scena.
• Sostiene Pereira di A. Tabucchi
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uò essere considerato un romanzo storico ed è uno dei testi più importanti della letteratura contemporanea. La storia narrata nel libro si svolge nel 1930 a Lisbona ed ha come sfondo l'opprimente dittatura di Salazar, l'infuriare della guerra civile spagnola alle porte e il fascismo italiano. Il protagonista, Pereira, è un ex giornalista di cronaca nera cui è stata affidata la pagina culturale di un mediocre giornale portoghese del pomeriggio, il "Lisboa". Gli capita poi di assumere un giovane e bizzarro collaboratore, Monteiro Rossi, chiaramente un antifascista, rendendosi conto solo dopo dell'impubblicabilità dei suoi articoli. (...) Ma il succo fondamentale del racconto è visibile principalmente alla fine: un giorno infatti Monteiro Rossi arriva in casa di Pereira preoccupatissimo portandosi appresso dei documenti falsi. Il protagonista gli mette subito a disposizione un letto per riposarsi ma proprio mentre Monteiro sta riposando arriva la polizia. I poliziotti dicono a Pereira che devono semplicemente dare una lezione al suo ospite che non si era comportato bene. Non si sa se per errore o se volontariamente, fatto sta che Monteiro Rossi viene colpito così forte da essere ammazzato. Solo in questo momento Pereira si rende conto della situazione del Paese in cui vive e decide di pubblicare questo fatto sul giornale. Dopo aver compiuto questo eroico ma soprattutto ammirevole gesto Pereira è costretto a fare le valigie e partire, abbandonando tutto il suo mondo.
• Io e te di N. Ammaniti
(attenzione: necessaria approvazione dei genitori per la lettura!)
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arricato in cantina per trascorrere di nascosto da tutti la sua settimana bianca, Lorenzo, un quattordicenne introverso e un po' nevrotico, si prepara a vivere il suo sogno solipsistico di felicità: niente conflitti, niente fastidiosi compagni di scuola, niente commedie e finzioni. Il mondo con le sue regole incomprensibili fuori della porta e lui stravaccato su un divano, circondato di Coca-Cola, scatolette di tonno e romanzi horror. Sarà Olivia, la sua sorellastra, che piomba all'improvviso nel bunker con la sua ruvida e cagionevole vitalità, a far varcare a Lorenzo la linea d'ombra, a fargli gettare la maschera di adolescente difficile e accettare il gioco caotico della vita là fuorio libera.
• Gli effetti secondari dei sogni di Delphine de Vigan
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ou Bertignac ha dodici anni: la sua famiglia, chiusa nel ricordo inconfessabile di una tragedia del passato, vive in un silenzio opprimente, mentre a scuola la sua intelligenza fuori dal comune l'ha portata in una classe avanzata, piena di studenti più grandi che non hanno nulla a che spartire con lei. Incapace di creare una relazione con chiunque, Lou passa la maggior parte del suo tempo libero a vivere le emozioni degli altri: guarda il calcio in televisione per osservare la gioia dei giocatori, spia le persone per strada e, soprattutto, frequenta le stazioni ferroviarie parigine perché in quei luoghi si concentra l'emozione di amanti che si salutano, di famiglie rimaste a lungo separate, di amici che si ritrovano. È proprio qui, alla stazione di Austerlitz, che Lou trova, tra la folla, una ragazza appena più grande di lei, Nolwenn, che si è lasciata alle spalle un passato difficile e ora vive da randagia. Tra le due, nel tempo di uno sguardo, si crea un'intesa speciale, che nessuna delle due aveva mai trovato prima. Due ragazze totalmente sole, diverse ma destinate, in qualche modo, a riconoscersi tra la folla della città, finiranno così per stringere un'amicizia che, nata lentamente, arriverà a cambiare la loro vita e il loro mondo. La vicenda, drammatica eppure lieve, di due
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vite chiamate a intrecciarsi e, se non a salvarsi, almeno a trovare nuove speranze.
• Il Cavaliere inesistente di I. Calvino
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critto nel 1959, racconta le vicende di Agilulfo,un nobile e coraggioso paladino che combatte al servizio di Carlo Magno, ma che in realtà non esiste: sotto la sua armatura infatti non c'è assolutamente nulla. Egli vive moltissime avventure, incontra l'amore, viaggia, è immortale e non trasgredisce mai ad alcuna regola. E' un cavaliere perfetto, ma, nello stesso tempo, è piuttosto antipatico, permaloso, pignolo e vive isolato da tutti perché convinto di sapere tutto e non ammette che qualcuno lo contraddica. Agilulfo è inesistente perchè, in fondo, è solo un automa che obbedisce alle regole senza porsi interrogativi, senza un proprio carattere. Calvino voleva rappresentare un personaggio che si adeguasse ad idee e schemi preconcetti, un personaggio che andasse avanti per inerzia, senza carattere, senza idee proprie e, soprattutto, senza la volontà di farle valere. Agilulfo è, per Calvino, la rappresentazione dell'uomo inserito nella società moderna: un individuo fortemente alienato, omologato e partecipe di quella spersonalizzazione che portava all'annullamento dell'identità personale.
• Il sentiero dei nidi di ragno di I. Calvino
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Il libro racconta la storia di Pin, un ragazzino di circa 10 anni orfano e con una pessima reputazione, e delle sue vicissitudini al tempo della lotta partigiana. Il ragazzo ha frequenti scontri con la sorella che intrattiene dubbie relazioni con i soldati tedeschi e viene addirittura messo in prigione per aver rubato una pistola. Riuscito ad evadere dal carcere si rifugia nel suo magico luogo segreto: un sentiero dove i ragni fanno i nidi. E' qui che, dopo averne passate di tutti i colopag. 28
ri, Pin si illude di aver trovato, in un partigiano chiamato Cugino, l’amico sempre cercato e col quale dividere il proprio universo di sogni e di illusioni.
• Qualcuno con cui correre di D. Grossman
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a storia che ha per protagonisti degli adolescenti e riesce, senza essere mai banale, a toccare tematiche universali quali la crescita dei giovani, l’amicizia e l’amore, il rapporto genitori – figli, il flagello della droga nel mondo contemporaneo e, ancora, l’arte, le passioni, i sogni. La protagonista indiscussa della storia è la cagna Dinka, sorta di “filo rosso” che porterà i personaggi a trovarsi, scoprirsi ed unirsi. È accanto a lei che il timido Assaf si lancia in una folle corsa per le vie di una città brulicante e viva. La sua è una ricerca in divenire: non sa esattamente cosa o chi stia cercando, ma Dinka lo porta progressivamente a scoprire, tramite l’incontro con i più vari personaggi, l’esistenza di Tamar, una ragazza dal carattere forte e deciso che sta cercando un modo per salvare il fratello tossicodipendente e per portarlo via dall’inferno della “Casa degli artisti” di Pessah, il quale, in realtà, sfrutta dei giovani artisticamente dotati e lontani da casa. Senza sapere come, Assaf inizia ad indagare la vita di Tamar, a scoprirne i segreti più nascosti, correndo anche dei pericoli ed entrando in contatto con un mondo di malaffare, droga e violenza, senza con questo mai dubitare di voler “continuare a correre”. Travolto da un qualcosa di inizialmente estraneo a lui, il giovane sente di essere sempre più coinvolto in tutto ciò, di avvertirne il bisogno: Tamar lo cattura ancor prima di averla conosciuta. La ricerca e la conoscenza della ragazza diventeranno un modo per trovare e scoprire se stesso.
• Un ragazzo di. N. Hornby
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l libro narra la storia di Will, un trentaseienne londinese, ricco (vive di rendita grazie all'eredità del padre), senza figli e single. Egli frequenta riunioni per genitori single allo scopo
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di rimorchiare giovani mamme; un giorno, però, incontra Marcus, un ragazzino di 12 anni con molti problemi di adattamento sia a scuola che in famiglia, e la madre Fiona, una hippy depressa. L'amicizia tra Marcus e Will porta l'uomo a una crescita interiore, facendogli provare emozioni e sentimenti più profondi, e il ragazzo, che le esperienze familiari hanno reso eccessivamente maturo, ritrova la fanciullezza perduta.
• Non buttiamoci giù di N. Hornby
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a notte di Capodanno, in cima a un palazzo di Londra, si incontrano per caso quattro sconosciuti. Non hanno nulla in comune, tranne l’intenzione di buttarsi giù, ognuno per i suoi buoni motivi. Martin è – o meglio, era – un famoso conduttore televisivo, che si è giocato carriera, famiglia e reputazione andando a letto con una quindicenne. Farla finita, per lui, è una scelta logica e razionale. I suoi metodici preparativi vengono interrotti dall’arrivo di Maureen, una donna che ha dedicato la sua vita a un figlio gravemente disabile, e che ha deciso di farla finita. La terza a salire sul tetto è Jess, un’adolescente sboccata e straordinariamente molesta. Vuole buttarsi perché il ragazzo di cui è invaghita non vuole più saperne di lei. L’ultimo è l’americano JJ, un musicista fallito che vive per il rock e la sua ragazza. Ma la sua band si è sciolta, e lei lo ha piantato. Dopo una discussione accesa e stralunata i quattro aspiranti suicidi finiscono per scendere dal tetto, ma per le scale, e imprevedibilmente tutti insieme, uniti da un’intima complicità impensabile fino a qualche ora prima. Poiché nello scenario incerto che ora si apre loro, il compito non facile di ricominciare a vivere dovrà essere affrontato, inevitabilmente, all’interno di un’improvvisata ed eterogenea comunità.
• Il mago dei numeri di H. M. Enzensberger
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l libro racconta la storia di un bambino di dodici anni di nome Roberto, che, trova noiosa la matematica ma soprattutto perché il suo insegnante è il prof. Mandibola, un individuo enorme, che non fa altro che mangiare ciambelle e assegnare problemi stupidi. Una notte Roberto sogna di incontrare il Mago dei Numeri e, per dodici notti, farà un viaggio e scoprirà le meraviglie della matematica: il Mago richiama la necessità della precisione, ma sottolinea anche che i numeri sono semplici. Si parla dello zero, dell'importanza delle potenze. E si apre un nuovo universo: i conigli di Fibonacci, il triangolo di Tartaglia con le sue magie nascoste, il calcolo combinatorio, l'importanza e la necessità della dimostrazione. Il tutto si conclude con l'invito, come allievo del Mago dei numeri Teplotaxl, al grande ricevimento nell'Inferno/paradiso dei numeri. Durante questa festa, Roberto conosce tutti i più importanti maghi dei numeri e viene ammesso al rango inferiore degli apprendisti dei numeri.
• Il teorema del pappagallo di D. Guedji Una lettera annuncia l’arrivo di un’intera collezione di libri antichi, una sorta di «summa» del sapere matematico dell’umanità. Ma questo preziosissimo e inatteso dono nasconde… una morte misteriosa. Le strade di Parigi assumono allora tutte le sfumature del giallo, di un giallo in cui i testimoni si chiamano Talete, Pitagora, Fermat e parlano per bocca di un coloratissimo, volubile e saccente pappagallo... Scritto con felice estro narrativo Il teorema del pappagallo è una piccola grande epopea dei numeri che non solo unisce humour, suspense e scienza, ma svela la trascinante vitalità dell’«arida» matematica.
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LA DIVINA COMMEDIA
Dante è il poeta più conosciuto, amato e tradotto in tutto il mondo. Affrontare il testo dantesco, tuttavia, può apparire difficile per ragazzi di 12 anni. pag. 30
Perciò l'approccio che si è scelto è stato quello di accompagnare ogni singolo testo proposto con le immagini del Dorè e con approfondimenti iconografici e multimediali.
E' stata utilizzata la lettura recitata di Roberto Benigni per fornire una migliore intrepretazione attorale, per far apprezzare il livello "fonico" del testo.
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I grandi della letteratura DANTE ALIGHIERI
Notizie letterarie
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ante iniziò la composizione della Commedia durante l’esilio, probabilmente intorno al 1307. La cronologia dell’opera è incerta, ma si ritiene che l’Inferno sia stato concluso intorno al 1308, il Purgatorio intorno al 1313, mentre il Paradiso sarebbe stato portato a termine pochi mesi prima della morte, nel 1321. Il titolo originale è Commedia, secondo la definizione dello stesso Dante; l’aggettivo Divina fu aggiunto dal Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante (metà del XIV sec.). È un poema didattico-allegorico, scritto in endecasillabi e in terza rima. Racconta il viaggio di Dante nei tre regni dell’Oltretomba, guidato dapprima dal poeta Virgilio (che lo conduce attraverso Inferno e Purgatorio) e poi da Beatrice (che lo guida nel Paradiso). L’opera si propone anzitutto di descrivere la condizione delle anime dopo la morte, ma è anche allegoria del percorso di purificazione che ogni uomo deve compiere in questa vita per ottenere la salvezza eterna e scampare alla dannazione. È anche un atto di denuncia coraggioso e sentito contro i mali del tempo di Dante, soprattutto contro la corruzione ecclesiastica e gli abusi del potere politico, in nome della giustizia.
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a struttura La Commedia è divisa in 3 Cantiche (Inferno, Purgatorio, Paradiso), ognuna delle quali divisa in canti: il numero è di 34 canti per l’Inferno (il primo è di introduzione generale al poema), 33 per Purgatorio e Paradiso, quindi 100 in totale. Ogni canto è composto di versi endecasillabi raggruppati in terzine a rima concatenata (con schema ABA, BCB, CDC…), di lunghezza variabile (da un minimo di 115 a un massimo di 160 versi). In totale il poema conta 14.233 versi endecasillabi.
I
l viaggio allegorico La Commedia è il racconto di un viaggio, che ha un significato letterale e un altro allegorico. Il significato letterale è quello del viaggio di un uomo, Dante, che la notte del 7 aprile (o 25 marzo) dell’anno 1300 si smarrisce in una selva, dove incontra alcune belve feroci e viene poi soccorso dall’anima del poeta Virgilio, che lo conduce attraverso i tre regni dell’Oltretomba. Questo viaggio ha la funzione di illustrare al lettore la condizione delle anime post mortem e si svolge nella settimana santa dell’anno in cui papa Bonifacio VIII indisse il primo Giubileo della Chiesa cristiana. Il viaggio ha anche un significato allegorico, ovvero quello di un percorso di purificazione morale e religiosa che ogni uomo può e deve compiere in questa vita per ottenere la salvezza eterna.
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o stile e la lingua Il titolo Commedia si rifà alla teoria medievale degli stili e allude al fatto che il poema comincia male, con lo smarrimento angoscioso nella selva, e finisce bene, con l’ascesa all’Empireo e la visione di Dio. La retorica medievale distingueva inoltre tre stili, quello alto e «tragico», quello medio e «comico», quello basso ed «elegiaco» (che corrispondevano alle tre opere di Virgilio, Eneide, Georgiche, Bucoliche). La Commedia presenta una commistione di tutti e tre gli stili, anche se c’è una certa prevalenza per quello «comico», proprio soprattutto dell’Inferno. Quanto alla lingua, Dante si serve del volgare fiorentino già usato nelle precedenti opere, benché ricorra anche a latinismi, francesismi, provenzalismi e prestiti da varie altre lingue Dante ricorre talvolta a linguaggi strani e incomprensibili mentre altrove conia degli arditi neologismi (specialmente nel Paradiso). Questo ha portato gli studiosi a parlare di plurilinguismo e pluristilismo della Commedia, il che differenzia Dante da Petrarca e dai poeti dell’Umanesimo e pag. 31
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e del Rinascimento, che preferiranno alla sua una lingua più «pura» e regolare.
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ante personaggio-poeta Un’ulteriore considerazione va fatta sul duplice ruolo svolto da Dante nel poema, essendo al tempo stesso protagonista del viaggio da lui narrato (e che lui descrive come realmente e fisicamente avvenuto in un tempo storico ben preciso) e poeta chiamato a raccontare in versi l’esperienza affrontata. Dante chiarisce in più di un passo del poema che a lui è toccato un privilegio eccezionale, quello di visitare da vivo i tre regni dell’Oltretomba e di tornare sulla Terra per riferire con esattezza tutto quello che ha visto: è una missione straordinaria, cui lui è chiamato in virtù dei suoi meriti di letterato e poeta, rendendolo simile ad Enea e san Paolo già protagonisti di esperienze analoghe. A questo proposito è importante ciò che lo stesso Dante sottolinea a più riprese nel corso del viaggio, non solo cioè l’assoluta veridicità delle cose viste e narrate, ma anche l’oggettiva difficoltà di spiegare con parole umane quel che di non umano e di ultraterreno ha visto. Per fare questo, Dante avrà bisogno dell’assistenza e dell’aiuto di Dio, perciò la Commedia è un libro «ispirato», scritto materialmente da Dante ma sotto la «dettatura» della grazia divina che lo ha incaricato di questo compito straordinario.
Manoscritto della Divina Commedia. Cortona pag. 32
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I grandi della letteratura DANTE ALIGHIERI le incisioni di Gustav Dorè
Paul Gustave Doré
(Strasburgo, 6 gennaio 1832 – Parigi, 23 gennaio 1883) è stato un pittore e incisore francese. Illustratore di straordinario valore, disegnatore e litografo, è noto soprattutto per le sue illustrazioni della Divina Commedia di Dante (1861 - 1868), ma questa opera è solo una delle molte che ha illustrato. Le sue incisioni rispecchiano un gusto romantico, accostato a una visione epica, drammatica e a un grande virtuosismo tecnico. (da Wikipedia)
Dante soccorso da Virgilio nella Selva Oscura
Paolo e Franscesca pag. 33
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I cosigli di un grande scrittore
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Perchè imparare a memoria di Umberto Eco
(...) Caro Nipote volevo parlarti di una malattia che ha colpito la tua generazione e persino quella dei ragazzi più grandi di te, che magari vanno già all’università: la perdita della memoria. È vero che se ti viene il desiderio di sapere chi fosse Carlo Magno o dove stia Kuala Lumpur non hai che da premere qualche tasto e Internet te lo dice subito. Fallo quando serve, ma dopo che lo hai fatto cerca di ricordare quanto ti è stato detto per non essere obbligato a cercarlo una seconda volta se per caso te ne venisse il bisogno impel-
Quindi ecco la mia dieta. Ogni mattina impara qualche verso, una breve poesia, o come hanno fatto fare a noi, “La Cavallina Storna” o “Il sabato del villaggio”. E magari fai a gara con gli amici per sapere chi ricorda meglio. (...) Fai gare di memoria, magari sui libri che hai letto (chi era a bordo della Hispaniola alla ricerca dell’isola del tesoro? Lord Trelawney, il capitano Smollet, il dottor Livesey, Long John Silver, Jim…) Vedi se i tuoi amici ricorderanno chi erano i domestici dei tre moschettieri e di D’Artagnan (Grimaud,
lente, magari per una ricerca a scuola. Il rischio è che, siccome pensi che il tuo computer te lo possa dire a ogni istante, tu perda il gusto di mettertelo in testa. Sarebbe un poco come se, avendo imparato che per andare da via Tale a via Talaltra, ci sono l’autobus o il metro che ti permettono di spostarti senza fatica (il che è comodissimo e fallo pure ogni volta che hai fretta) tu pensi che così non hai più bisogno di camminare. Ma se non cammini abbastanza diventi poi “diversamente abile”, come si dice oggi per indicare chi è costretto a muoversi
Bazin, Mousqueton e Planchet)… E se non vorrai leggere “I tre moschettieri” (e non sai che cosa avrai perso) fallo, che so, con una delle storie che hai letto. Sembra un gioco (ed è un gioco) ma vedrai come la tua testa si popolerà di personaggi, storie, ricordi di ogni tipo. Ti sarai chiesto perché i computer si chiamavano un tempo cervelli elettronici: è perché sono stati concepiti sul modello del tuo (del nostro) cervello, ma il nostro cervello ha più connessioni di un computer,
in carrozzella. Va bene, lo so che fai dello sport e quindi sai muovere il tuo corpo, ma torniamo al tuo cervello. La memoria è un muscolo come quelli delle gambe, se non lo eserciti si avvizzisce e tu diventi (dal punto di vista mentale) diversamente abile e cioè (parliamoci chiaro) un idiota. E inoltre, siccome per tutti c’è il rischio che quando si diventa vecchi ci venga l’Alzheimer, uno dei modi di evitare questo spiacevole incidente è di esercitare sempre la memoria.
è una specie di computer che ti porti dietro e che cresce e s’irrobustisce con l’esercizio, mentre il computer che hai sul tavolo più lo usi e più perde velocità e dopo qualche anno lo devi cambiare. Invece il tuo cervello può oggi durare sino a novant’anni e a novant’anni (se lo avrai tenuto in esercizio) ricorderà più cose di quelle che ricordi adesso. E gratis. (dal sito de L'Espresso)
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approfondimento sulla figura di Ulisse
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la figura di Ulisse in Omero, Dante, Saba e Joyce ricerca effettuata durante l'anno scolastico, sintesi di N.G.
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ella visione Omerica di Ulisse è di eroe del Nostos (ritorno).
L’Iliade fa di Ulisse un uomo veramente completo, dalle proporzioni armoniche, capace di tutto e pronto ad ogni necessità, che tempera l’energia irruente, realizzatrice dell’azione, con la sagacia della mente che sa consigliare, con l’eloquenza delle parole che persuadono e trascinano. Nell’Odissea troviamo un Ulisse alquanto diverso, di cui vengono accentuate alcune qualità. E’ diverso prima di tutto il rapporto fra l’eroe e la narrazione; nell’Iliade la figura di Ulisse è posta accanto ad altre e nessuna eccelle veramente, neppure quella di Achille; l’Odissea , invece è il poema dell’ “uomo di multiforme ingegno che molto errò” e tutta la narrazione è incentrata su di lui. Omero dunque vede in Ulisse la voglia di vedere e di conoscere oltre i limiti, ma anche la nostalgia verso la sua patria e verso la sua famiglia; inoltre Omero vede in Ulisse la sagacia, la forza e l’astuzia di un vero eroe.
chiesa non erano consentite. L’Ulisse di Saba è un Ulisse non più giovane che ha già viaggiato molto e che ancora viaggerà a lungo. Umberto Saba (1883-1957) racconta di un Ulisse che nella sua giovinezza ha navigato per le coste, tra gli scogli, dove ogni tanto si posava un uccello con l'intenzione di cacciare. Oggi il suo regno è una terra abbandonata. Il porto riflette le luci ad altri non più a lui. Il suo spirito, lo spinge a largo, per il dolore ricevuto nella sua vita. Infine come nell'Ulisse di Omero anche in quello di James Joyce (1882-1941) l'eroe rappresenta l'avventura dell'uomo nel mondo, solamente in quello di Joyce il viaggio è in un modo interiore: in un continuo monologo di pensieri nella propria mente, quella del personaggio di Joyce, Leopold Bloom.
Nell’idea di Dante la figura di Ulisse diventa, da eroe del Nostos, eroe della conoscenza e della sapienza oltre i limiti imposti da Dio. La figura di Ulisse è il simbolo della ricerca del sapere. Dante però condanna Ulisse perché nella battaglia di Troia lui fu consigliere fraudolento e perché, in seguito, desideroso di estreme conoscenze che nel medioevo da parte della pag. 37
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Ulisse di Umberto Saba
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ella mia giovinezza ho navigato lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d’onda emergevano, ove raro un uccello sostava intento a prede, coperti d’alghe, scivolosi, al sole belli come smeraldi. Quando l’alta marea e la notte li annullava, vele sottovento sbandavano più al largo, per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno è quella terra di nessuno. Il porto accende ad altri i suoi lumi; me al largo sospinge ancora il non domato spirito, e della vita il doloroso amore. La lirica, tratta da Mediterranee e pubblicata nel 1948 come conclusione del Canzoniere, quasi a rappresentare un testamento spirituale con cui Saba rievoca la sua giovinezza e la sua maturità, paragonando la sua esistenza a un viaggio. Ma il pericolo e il rischio fanno parte della vita, e anche da vecchio, il poeta non sa rinunciare all'antico spirito di avventura, consapevole che "il porto accende ad altri i suoi lumi" mentre il suo disperato attaccamento alla vita ancora lo spinge al "largo". Di notevole importanza è il titolo della poesia: l'eroe omerico, infatti, ripreso più volte da diversi autori di differenti letterature, diventa il simbolo della brama di conoscenza dell'uomo e della sua voglia di infrangerne i limiti, (vedi Dante o Joyce). I campi semantici del tempo, nella lirica, sono di fondamentale importanza: "nella mia giovinezza" infatti si contrappone a "oggi" creando una divisione temporale netta e marcata.
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Iniziata il suo viaggio-vita iniziano a emergere "isolotti" metafore delle prime difficoltà e dei primi ostacoli. ma subito dopo l'immagine di "vele sottovento" richiamano un idea di libertà che ne sfugge "l'insidia". Il porto diventa simbolo della pace dopo la tempesta, di una quiete finalmente raggiunta, ma c'è anche la consapevolezza che il porto-vita "accende ad altri i suoi lumi": il tempo di Saba è ormai finito, è giusto che si faccia spazio a nuove vite e nuove persone. Ma non riesce a frenare il suo "non domato spirito" che quindi va al largo e continua il suo viaggio, questa volta verso l'ignoto, perchè dopo aver raggiunto l'obiettivo della sua vita, non gli resta che viaggiare alla ricerca di qualcosa. La struttura è quella degli endecasillabi. da: http://www.oilproject.org/lezione/saba-ulisse-canzoniere-analisi-commento-7189.html
Programma di Lettere a.s. 2013/2014 Umberto Saba, pseudonimo di Umberto Poli (Trieste, 9 marzo 1883 – Gorizia, 25 agosto 1957). Umberto Saba nacque a Trieste, all'epoca parte dell'Impero austroungarico, il 9 marzo del 1883, figlio di Ugo Edoardo Poli, un agente di commercio appartenente ad una nobile famiglia veneziana, e di Felicita Rachele Cohen, un'ebrea triestina, che viene presto abbandonata dal marito. Nel 1911 pubblicò, a proprie spese e con lo pseudonimo di Saba, il suo primo libro, Poesie, a cui fece seguito, nel 1912, nelle edizioni della rivista La Voce la raccolta Coi miei occhi (il mio secondo libro di versi), in seguito nota come Trieste e una donna. Risale a questo periodo l'articolo Quello che resta da fare ai poeti dove il poeta propone una poetica sincera, senza fronzoli e «orpelli» contrapponendo il modello degli Inni Sacri manzoniani a quello degli scritti dannunziani. Per superare un periodo di crisi dovuto al tradimento della moglie, nel maggio 1913 il poeta si trasferì con la famiglia dapprima a Bologna e nel febbraio del 1914 a Milano, dove assunse l'incarico di gestire il caffè del Teatro Eden. Il soggiorno milanese ispirerà La serena disperazione. Allo scoppio della grande guerra (1915) venne richiamato alle armi. Terminata la guerra e ritornato a Trieste, dopo aver fatto per parecchi mesi il direttore di un cinematografo e scritto alcuni testi pubblicitari per la Leoni Films, rilevò la libreria antiquaria Mayländer e la ribattezzò Libreria antica e moderna. Prendeva intanto corpo la prima redazione del Canzoniere che vedrà la luce nel 1922, che raccoglieva tutta la sua produzione poetica. Iniziò a frequentare i letterati riuniti intorno alla rivista Solaria che, nel maggio 1928, gli dedicò un intero numero. Fra il 1929 e il 1931, a causa di una crisi nervosa più intensa delle altre, decise di mettersi in analisi a Trieste con il dottor Edoardo Weiss, lo stesso di Italo Svevo. La critica intanto andava scoprendo il poeta e i nuovi giovani scrittori e poeti, come Giovanni Comisso, Pier Antonio Quarantotti Gambini e Sandro Penna, cominciavano a considerarlo un maestro. Nel 1938, poco prima del secondo conflitto mondiale, a causa delle leggi razziali, fu costretto a cedere la libreria e ad emigrare in Francia, a Parigi. Ritornato in Italia alla fine del 1939, si rifugia prima a Roma, dove Ungaretti cerca di aiutarlo, ma senza risultato, e poi nuovamente a Trieste. Fu però costretto a fuggire con Lina e la figlia Linuccia a Firenze. Gli sarà di conforto l'amicizia di Montale che, a rischio della vita, andrà a trovarlo ogni giorno nelle case provvisorie, e quella di Carlo Levi. Uscirà intanto a Lugano la raccolta Ultime cose, aggiunta poi nella definitiva edizione del Canzoniere, che uscirà a Torino, edita da Einaudi, nel 1945. Nel Dopoguerra Saba visse per nove mesi a Roma e poi a Milano dove rimase per circa dieci anni, tornando periodicamente a Trieste. In questo periodo collaborò al Corriere della Sera, pubblicò da Mondadori Scorciatoie, la sua prima raccolta di aforismi e Storia e cronistoria del Canzoniere. Nel 1946 Saba vinse, ex aequo con Silvio Micheli, il primo Premio Viareggio per la poesia del dopoguerra, al quale seguirono nel 1951 il Premio dell'Accademia dei Lincei e il Premio Taormina, mentre l'Università di Roma gli conferì, nel 1953, la laurea honoris causa.
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Iconografia di Lucifero, uno sguardo attraverso i capolavori nei secoli
Gustave Dorè, illustrazione della Divina Commedia
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approfondimento iconografico sulla figura di LUCIFERO Prof. A. Andreoli
Lucifero
da http://divinacommedia.weebly.com/lucifero.html
Secondo una tradizione medievale che interpretava alcuni passi biblici, era uno dei Serafini, l'angelo più bello e luminoso del creato (il nome latino vuol proprio dire "portatore di luce"). Ribellatosi a Dio per superbia e invidia assieme ad altri angeli, fu sconfitto dall'arcangelo Michele e precipitato dal Cielo al centro della Terra, trasformandosi in un orrendo mostro e nel prinicipe dei diavoli. Sempre secondo questa tradizione, ripresa da Dante, al contatto con Lucifero la Terra si sarebbe ritratta dando origine alla voragine infernale nell'emisfero nord, alla montagna del Purgatorio in quello sud. Dante lo descrive direttamente nel Canto XXXIV dell'Inferno, come un'enorme e orrida creatura, pelosa, dotata di tre facce su una sola testa e tre paia d'ali di pipistrello. Lucifero è confitto dalla cintola in giù nel ghiaccio di Cocito, quindi emerge solo il lato superiore del mostro; in ognuna delle tre bocche maciulla coi denti un peccatore (Bruto e Cassio ai lati, Giuda al centro, ovvero i tre principali traditori della tradizione biblico-classica), mentre con gli artigli graffia e scuoia la schiena di Giuda. (...) È stato osservato che il peccato di Lucifero consista proprio nel tradimento, poiché osò ribellarsi contro il suo Creatore, quindi non sorprende che Dante lo collochi al centro di Cocito, ovvero del IX Cerchio dove sono puniti i traditori. È anche una bizzarra parodia e un rovesciamento della Trinità, con le tre facce che ricordano le tre teste di Cerbero, e il vento che spira dalle sue ali che, secondo alcuni commentatori, alluderebbe al concetto dello Spirito Santo che procede dalle altre due Persone divine. Dante e Virgilio si aggrappano al pelo del mostro e scendono lungo le sue costole, oltrepassando la crosta di ghiaccio e ritrovandosi nell'altro emisfero, dove di Lucifero sporgono le zampe. Una volta qui, i due poeti raggiungono una piccola apertura nella roccia, da dove iniziano a percorrere una "natural burella" (uno stretto budello sotterraneo) che mette in comunicazione il centro della Terra con la spiaggia del Purgatorio, posta agli antipodi di Gerusalemme. pag. 41
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Lucifero significa letteralmente "Portatore di luce", in quanto tale denominazione deriva dall'equivalente latino lucifer, composto di lux (luce) e ferre (portare), sul modello del corrispondente greco phosphoros (phos=luce, pherein=portare), e in ambito sia pagano che astrologico esso indica la cosiddetta "stella del mattino", cioè il pianeta Venere che, mostrandosi all'aurora, è anche identificato con questo nome. Nella corrispondenza tra divinità greche e romane l'apparizione mattutina del pianeta Venere era impersonificata dalla figura mitologica del dio greco Phosphoros e del dio latino Lucifer. Analogamente in Egitto Tioumoutiri era la Venere mattutina. Nell'antico vicino oriente, inoltre, la "stella del mattino" coincideva con Ishtar per i Babilonesi, Astarte per i Fenici e Inanna per i Sumeri.
Chaire Cathédrale Liège (Belgio) - Lucifero
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Rilievo paleocristiano: Il serpente sull’albero del bene e del male
Il diavolo e Lucifero nell'arte paleocristiana è rappresentato come un serpente in accordo con Libro della Genesi. Nel Medio Evo, in seguito all'identificazione operata dai Padri della Chiesa è rappresentato come un mostro terrificante a tre teste. A partire dal secolo X si presenta con le ali spezzate, per ricordare la sua caduta dal cielo, e con le corna in testa, simboli del paganesimo sconfitto. Le ali di pipistrello, emblemi di degradazione della virtù angelica, vengono introdotte con le invasioni dei Mongoli che introducono elementi dell'iconografia orientale, come nel Lucifero dantesco nell'Inferno - Canto trentaquattresimo, vv. 16-56. Anche il dio Pan è all'origine di alcune caratteristiche del demonio: corpo peloso, zoccoli e corna di capro. L'iconografia del diavolo fissata dagli artisti tra i secoli XIII e XIV è derivata anche da testi apocalittici ed apocrifi. Tra gli esempi più famosi si ricordano il Lucifero giottesco nella Cappella degli Scrovegni e quello di Coppo di Marcovaldo nel Battistero di Firenze. Gli animali che divorano i dannati accentuano la natura insaziabile di Satana. Il motivo di Satana con la "bocca divorante" riflette un'antica concezione della divinità come
principio nel contempo creatore e distruttore. Le corna di Lucifero richiamano pure quelle del dio celtico Cernumnus e sono simbolo della sconfitta del paganesimo operata dalla Chiesa.
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Affresco paleocristiano: Il serpente e il pavone
Pavone: simbolo della resurrezione e della vita eterna. Si riteneva che sue carni, in particolari condizioni, non sarebbero mai anda te in putrefazione. Per questo era considerato anche come un simbolo di immortalita’. La straordinarieta’ di questo ucpag. 44
cello non finiva qui. Il fatto che nella stagione invernale perdesse le piume e ne acquistasse di nuove ed addirittura piu’ belle a primavera, fece si’ che il mondo cristiano dei primi secoli lo adottasse come simbolo di resurrezione. Questa e’ la ragione per cui le sue raffigurazioni sono
state ritrovate numerose nelle catacombe di Roma. Il Serpente Nell’iconografia cristiana è emblema delle forze demoniache, dell’astuzia e dell’inganno, quindi di Luciifero.
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Duccio da Boninsegna: La tentazione sul monte, appartenente alla predella (verso) della Maestà del Duomo di Siena, realizzato con tecnica a tempera su tavola nel 1308-11, misura 43 x 46 cm. ed è custodito nella Frik Collection di New York.
La scena del dipinto si svolge in un paesaggio, quasi surreale, caratterizzato da alcune montagne con delle città, cinte da mura, simili a modellini, dove compaiono: • Gesù Cristo, in piedi su monte, dal quale domina il paesaggio, è colto, mentre con un braccio allontana da se il diavolo: il gesto e l'espressione si riferiscono
in modo esplicito al termine • due angeli, a destra, si acdell'episodio evangelico ed costano a Gesù per conforalla frase: "Vade retro, Satarlo e servirlo al termine tana"; della terza ed ultima prova contro il demonio. • Lucifero presentato nella sua essenza ultraterrena, ossia l'originaria condizione di angelo ribelle, si sta allontanando sotto la mano ferma e lo sguardo provato ma risoluto di Cristo; pag. 45
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Giotto: Il Giudizio Universale – Padova, Cappella degli Scrovegni
Il Giudizio universale è un affresco (1000x840 cm) di Giotto, databile al 1306 circa e facente parte del ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova. Occupa l'intera parete di fondo e conclude idealmente le Storie. Viene di solito riferito all'ultima fase della decorazione della cappag. 46
pella e vi è stato riscontrato un ampio ricorso di aiuti, sebbene il disegno generale sia riferito concordemente al maestro. In basso, sta Lucifero con artigli bestiali e due bocche ed un serpente che gli esce dagli orecchi
(modello è il Lucifero di Coppo di Marcovaldo nei mosaici del battistero di Firenze). Sta straziando alcune anime e siede sul trono del biblico Leviatan emblema del male di questo mondo.
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Giotto: Il Tradimento di Giuda– Padova, Cappella degli Scrovegni
Il Tradimento di Giuda è un affresco (150x140 cm) di Giotto, databile al 1306 circa e facente parte del ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova. È compresa nelle Storie di Gesù e si trova del registro centrale superiore dell'arcone prima dell'altare.
A lato del Tempio di Gerusalemme, simboleggiato da un protiro retto da colonnine marmoree, i sommi sacerdoti, dopo aver assistito perplessi alla Cacciata dei mercanti dal Tempio da parte di Gesù, prendono accordi con Giuda Iscariota per
essere aiutati a catturare il Cristo. L'apostolo traditore, ormai posseduto dal diavolo -che lo bracca per le spalle, accetta il pagamento, raccogliendo il sacco coi soldi.
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La Tentazione di Adamo ed Eva o Peccato originale è un affresco di Masolino che decora la Cappella Brancacci nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze. L'opera, databile al 14241425 circa (260x88 cm), e ritrae una famosa scena dell'Antico Testamento, ovvero la caduta in tentazione di Adamo ed Eva da parte del serpente demoniaco, dal libro della Genesi. Il ciclo inizia proprio con questa scena, che si trova a destra in un riquadro alto e stretto sullo spessore dell'arcone che delimita la cappella. Questa scena e quella simmetrica sul lato opposto (la Cacciata dall'Eden di Masaccio) sono gli antefatti della storia, che mostrano il momento il cui l'uomo ruppe la sua amicizia con Dio, che verrà poi riconciliata da Cristo con la mediazione di san Pietro. L'affresco mostra Adamo accanto ad Eva in piedi, che si guardano con misurati gesti mentre lei sta per addentare il frutto proibito, che il serpente le ha appena offerto dall'albero dove essa appoggia il braccio. Il serpente è avvolto sull'albero e si sporge in alto per sincerarsi che la donna addenti il frutto. Esso ha una testina dotata di una folta capigliatura bionda, molto idealizzata. pag. 48
Masolino da Panicale: La tentazione di Adamo ed Eva – Firenze, Cappella Brancacci
Paolo Uccello: San Giorgio e il drago
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San Giorgio e il drago è un dipinto a olio su tela (57×73 cm) di Paolo Uccello, conservata alla National Gallery di Londra e databile al 1456 circa. L'opera ritrae il cavaliere san Giorgio mentre dall'alto del suo cavallo sta trafiggendo lo spaventoso drago che tiene legata la
principessa da salvare, anche se sembra che sia lei a tenerlo al guinzaglio. Lo sfondo è composto dalla grotta dove il drago ha il suo antro e di un sereno paesaggio con un turbine di nuvole sopra San Giorgio, a simboleggiare il suo vigore guerriero.
Il suolo è composto da siepi quadrangolari disegnate secondo le regole della prospettiva lineare centrica, della quale Paolo Uccello fu uno dei primi maestri. pag. 49
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Raffaello: San Michele Arcangelo
San Michele e il drago è un dipinto a olio su tavola (31x27 cm) di Raffaello Sanzio, databile al 1505 circa e conservato nel Museo del Louvre a Parigi. Al centro del dipinto l'arcangelo Michele sta in equilibrio sul collo di un mostro satanico e con la spada sollevata sta per decapitarlo. Le ali aperte, la gamba destra sospesa, il drappo gonfiato dal vento sotto la corazza, danno l'idea di un forte movimento in essere, come se l'angelo pag. 50
fosse appena planato per sferrare il colpo mortale al mostro che gli ha avvolto una gamba con le spire della coda. Egli tiene in mano lo scudo crociato e indossa un'armatura all'antica, completa di scudo. Tutt'intorno si dispiega un brullo paesaggio infernale, popolato da bizzarri mostri in primo piano e con varie figure di difficile lettura simbolica sullo sfondo, probabilmente citazioni infernali, non slegate da sugges-
tioni dantesche. La cittĂ in fiamme a sinistra ricorda le mura di Dite, proprio davanti alla quale avviene, nel Canto nono dell'Inferno, l'apparizione di un messo celeste. I sepolcri infuocati ricordano la punizione degli eretici, la mesta processione di incappucciati simboleggia forse gli ipocriti (Canto XXIII) e i putti assaliti dai serpenti a destra i ladri (Canto XXIV).
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L'opera venne commissionata nel 1517 da Lorenzo duca d'Urbino, per omaggiare l'alleato Francesco I di Francia. Fu inviata in Francia, assieme alla Sacra Famiglia, nel giugno 1518. La scelta del santo era legata all'Ordine di San Michele, di cui il re era Gran maestro, e l'atteggiamento battagliero alludeva alla crociata contro i Turchi che il papa tentò vanamente di organizzare. Il maestro dipinse alcune parti soltanto, oltre a ideare la composizione, avvalendosi probabilmente dell'aiuto di Giulio Romano. Dell'opera esistono numerose copie antiche, a testimonianza della sua celebrità.
Raffaello: San Michele e Satana
San Michele sconfigge Satana è un dipinto a olio su tavola trasportato su tela (268x160 cm) di Raffaello e aiuti, datato 1518 e conservato nel Museo del Lou-
vre di Parigi L'opera è firmata e datata sull'orlo della veste di san Michele: "RAPHAEL VRBINAS FACEBAT M.D.XVIII".
San Michele è ritratto a piena figura, mentre incede eroico sopra il demonio schiacciandolo col piede e preparandosi a colpirlo con la lancia appuntita. I drappi svolazzanti amplificano il senso di movimento, che riecheggia esempi michelangioleschi. Satana, che regge il forcone, è rappresentato in un efficace scorcio, tra rocce in cui si vedono fiamme, quali accessi agli Inferi. Ha corna che gli spuntano dai capelli crespi e ali di uccellaccio, ben diverse da quelle col piumaggio iridescente del santo. L'orchestrazione dei colori è magistrale, così come l'uso espressivo ed incidente della luce, che faranno scuola per i classicisti del XVII secolo.
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abilmente lo scopo di descrivere la storia dell'umanità attraverso la dottrina cristiana medievale.
Il Giardino delle delizie (o Il Millennio) è un trittico a olio su tavola (220x389 cm) di Hieronymus Bosch, databile 1480-1490 circa e conservato nel Museo del Prado di Madrid. Di datazione incerta, è ritenuto
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il capolavoro e l'opera più ambiziosa dell'artista. In nessun altro lavoro Bosch raggiunse un tale livello di complessità, sia per i significati simbolici che per la vivida immaginazione espositiva[. L'opera rappresenta numerose scene bibliche e ha prob-
Nella zona centrale la scena è dominata dalla figura dell'Uomo-Albero, il cui corpo incavato si regge su due tronchi marci che finiscono in piccole barche nel lago. Il suo capo sostiene un disco su cui si muovono demoni e vittime, con vicino una zampogna rosa che ricorda le viscere umane, il torso è ricavato da un uovo schiuso, popolato da biscazzieri e trafitto dagli stessi rami che partono dal tronco. Una figura grigia con una freccia incastrata tra le terga sale una scala che porta verso l'uovo, mentre il volto dell'Uomo-Albero scruta profondamente verso l'osservatore, con uno sguardo di malinconia e rassegnazione.
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Pieter Bruegel: La caduta degli angeli ribelli
La Caduta degli angeli ribelli è un dipinto a olio su tavola (117x162 cm) di Pieter Bruegel il Vecchio, datato 1562 e conservato nel Museo reale delle belle arti del Belgio di Bruxelle. È firmato "M.D.LXI BRVEGEL".
scena Michele Arcangelo, con l'armatura, lo scudo crociato e la spada, si scaglia contro il drago dell'Apocalisse, il mostro capovolto che, travolto dalla sferzata dell'arcangelo, precipita arrivando a sfiorare con le sue teste coronate il bordo inferiore della tavola.
Dalla luce divina del Paradiso, che disegna un semicerchio chiarissimo nella metà superiore del dipinto, le schiere celesti si lanciano per sconfiggere il male, rappresentato dagli angeli ribelli che, precipitando verso l'inferno, si trasformano in orribili mostri. Al centro della
La mostruosità morale dei demoni si riflette in tutta la loro deformità fisica, ottenuta fondendo con estrema fantasia pezzi fuori scala di vari esseri: rettili, insetti, molluschi, anfibi, mammiferi, vegetali. Spicca al centro una figura con ali di farfalla, che copre ad-
dirittura il mostro apocalittico: forse, visto anche il suo volo in risalita, si tratta di un'allusione a come anche il peccato possa essere attraente. La distinzione tra paradiso e inferno è qui resa anche coloristicamente, con la contrapposizione luce/ombra. Grande attenzione è riservata alla resa dei dettagli e dei vari materiale, dalle setose vesti degli angeli, alle lucide squame dei demoni.
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Gustave Dorè: Lucifero, 1861-1868
San Michele Arcangelo e Satana è un dipinto su tela di Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, databile tra il 1588 e il 1590, conservato a Dresda.
Gustave Dorè: L’adunanza, 1861-1868
Lorenzo Lotto: San Michele Arcangelo caccia Lucifero, 1545 pag. 54
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William Blake: La tentazione di Adamo ed Eva
Attorno al 1805 fu commissionato a Blake un ciclo di illustrazioni per la Sacra Bibbia, contenente circa un centinaio di disegni. I disegni offrono una prova della grande capacità visionaria di Blake, al limite del simbolismo, nonché una testimonianza dell'inconsueta fede religiosa del poeta, poco convenzionale tra i contemporanei quanto profonda e radicata nel personaggio. L'arte visiva e poetica si mescola con l'immaginazione e la visione, entrambe le forze sono legate alla religione in un'unità indivisibile; Il soggetto principale di questi quattro disegni è il Grande Drago Rosso, ovvero il Drago dell'Apocalisse apparso nel capitolo XII del libro della Rivelazione; vengono inoltre rappresentate le figure della donna vestita di sole e della bestia venuta dal mare.
William Blake: Il Grande Drago Rosso e la donna vestita col sole
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Giorgio Kienerk: Lucifero
Franz Von Lucifero pag. 56
Stuck:
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Video game: Dante’s Inferno
due artisti contemporanei : Lucifero
Saint Seiya: Lucifero
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Trappola per topi Trappola per topi è una commedia di genere poliziesco di Agatha Christie scritta nel 1952 e rappresentata per la prima volta il 25 novembre 1952 al New Ambassadors Theatre di Londra. È l'unico esempio di dramma rappresentato ininterrottamente ogni sera (inizialmente in The Ambassadors Theatre di Londra, dal 1974 nel St Martin's Theatre), a partire dalla "prima".
Il St Martin’s Theatre a Londra
Trama
I
l dramma si svolge nella pensione familiare “Castel del frate”; questo ambiente è una normale casa della campagna Inglese. Mollie e Giles Ralston ricevono i loro primi cinque ospiti, ma è in corso una bruttissima bufera di neve. La sera stessa la Radio trasmette la notizia di un omicidio avvenuto a Paddington, la vittima un'anziana donna e la polizia sembra che sia indifferente. Nel frattempo nell'albergo arrivano degli strani clienti, ognuno sembra avere qualcosa da nasconpag. 58
dere, qualche segreto forse legato ad un fatto di sangue avvenuto molti anni prima. Ad un certo punto la locanda resta isolata a causa della tormenta ed anche il telefono viene isolato, ma prima che ciò avvenga arriva alla pensione il Sergente Trotter della polizia di Scotland Yard, in missione per proteggere ospiti ed albergatori da un oscuro assassino psicopatico intenzionato a colpire nuovamente. Poco dopo viene uccisa una degli ospiti, la Signora Boyle. Trotter indaga sull'assassino e mette Mollie e Giles l'uno contro l'altro facendo sospettare di avere entrambi una relazione extra matrimoniale.
Trotter così fa ricostruire la scena del delitto con l'aiuto di tutti i clienti della pensione e, quando si trova da solo con Mollie, prova a ucciderla perché la ritiene la colpevole della morte prematura del fratello, morto per le privazioni subite dalla anziana donna che era morta a Paddington. Ma con l'intervento della Signorina Casewell, che era la sorella di Trotter, e del Maggiore Metcalf, inviato da Scotland Yard come cliente della pensione per proteggere i signori Ralston, Trotter sara' disarmato ed infine arrestato. da Wikipedia
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Il Teatro approfondimento sul genere giallo
Immaginiamo la scenografia in cui si muovono gli attori La scenografia, come arte, consiste nella ideazione di elementi scenici in uno spettacolo cinematografico, televisivo o teatrale (da Wiki)
N
on si è trattato tanto di un lavoro “artistico”, quanto di visualizzare i luoghi della vicenda narrata nella commedia di Agatha Christie. Dopo un rapido escursus su alcuni esempi visivi di scenografie di opere teatrali e liriche, si è passati ad analizzare quali fossero gli elementi importanti nella scena. C'è chi ha realizzato dei plastici
con materiale di recupero, chi ha disegnato la pianta della stanza (chi addirittura dell'intero edificio). Belle alcune idee che sono uscite dopo un giorno di elaborazione: uno spartito musicale che fa da sfondo, dei topolini meccanici che attraversano il palco all'inizio ed alla fine della commedia, un pianoforte che si intravvede da dietro una porta.
Un paio di idee realizzate con i videogiochi. Chi l'ha detto che non si possano usare anche così?
il salotto borghese della Pensione di Montelupo
Al centro c'è la vita con tutti i suoi beni e le sue apparenze che la Boyle tanto ama, a destra c'è il giardino della morte e a sinistra il Paradiso. Perché la vera domanda che uno si pone quando legge "Trappola per topi "è: chi vivrà e chi soccomberà all'assassino? Per questo ho fatto la tipica stanza borghese in mezzo a questi due "mondi". (T. M. E.)
questa l'elaborazione fatta con Mine Craft da S.P.
G.P. invece ha ricreato il salotto borghese in un plastico fatto con carta e colori. Il divano è costituito da pacchetti di fazzoletti di carta e la base del tavolino un rotolo di scotch. pag. 59
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La difficoltà di screscere
Riporto il decalogo di Artini, autore del libro Nessu brutto voto è per sempre, per aiutare uno studente a sopravvivere a un brutto voto: 1. Impara a riconoscere l’importanza dell’autostima, ovvero la fiducia in te stesso, nelle tue capacità di recupero e di crescita. 2. Cerca di capire che l’autostima non è una condizione naturale per tutti. Per molti, va soprattutto costruita. 3. Conosci te stesso. Per un adolescente, significa soprattutto conosci le tue emozioni. 4. Progetta la tua vita, cerca di individuare i tuoi desideri e gli obiettivi concreti, raggiungibili. Seneca diceva: nessun vento è favorevole al marinaio che non sa dove andare. Se invece tu sai dove andare, anche un insuccesso lungo il percorso può essere utile. 5. Accetta te stesso. E qui c’è il valore educativo degli errori. Si deve imparare a riconoscerli in modo obiettivo, e a guardarli senza drammi, con benevolenza e distacco. La scuola questo purtroppo non lo insegna. C’è una bella preghiera di Tommaso Moro: “Dio mio, aiutami a cambiare le cose che posso cambiare e a sopportare quelle che non posso cambiare. Ma soprattutto aiutami a capire la differenza tra le une e le altre”. Lo stratega più abile è colui che vince senza combattere. 6. Devi dire a te stesso la verità.
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Noi tutti spesso preferiamo l’autoinganno. Invece, confessare a noi stessi la verità significa accettare le critiche altrui e guidare in maniera positiva la trasformazione dei giudizi che non ci piacciono. 7. Dietro ogni sconfitta si nasconde un’opportunità. Non lasciartela sfuggire. Un giorno, Winston Churchill fu invitato a una cerimonia di laurea a Oxford. Tutti aspettavano il suo discorso. Alla fine salì sul podio e disse solennemente: “Mai, mai, mai rinunciare!” 8. Cerca di allearti con i prof. Lo so, questa non è una proposta molto popolare. Ma credo che in ogni Consiglio di classe ci siano almeno 2-3 docenti con cui dialogare. L’alleanza è positiva per tutti, perché stimola gli insegnanti a dare il meglio. 9. Non annullare nel gruppo la tua individualità. A 14-15 anni è più difficile, perché il gruppo dà il senso dell’identità. Ma poi, verso i 16-17, si dovrebbe cominciare a distinguersi. 10. Dai fiducia a te stesso e punta sempre un po’ più in là. E’ un tuo dovere non accontentarti. Altrimenti il rischio è perdere la molla verso il miglioramento.
tratto dal sito di IO DONNA
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A
nche lo studio di Francesco Petrarca come quello di Dante può apparire "difficile" agli studenti della scuola secondaria di primo grado. Tuttavia è uno degli scrittori che maggiormente si presta all'esemplificazione degli strumenti della poesia. Si è scelto comunque di approcciare il Canzoniere solo con vari esempi retorici e un solo sonetto commentato in classe. Gli studenti hanno poi provato a stendere una breve analisi del testo.
Francesco Petrarca
F
rancesco Petrarca (Arezzo, 20 luglio 1304 – Arquà, 18/19 luglio 1374) è stato uno scrittore e poeta italiano. L'opera per cui Petrarca è universalmente noto è il Canzoniere. Di grande importanza è anche il Secretum, in cui Petrarca dialoga con sant'Agostino alla presenza muta della Verità. Nonostante si considerasse soprattutto come tutti gli eruditi del suo tempo, un autore di lingua latina, svolse un ruolo essenziale per lo sviluppo della poesia italiana in volgare. Egli è innanzitutto il poeta da cui scaturisce l'autonomia della poepag. 62
sia, il poeta della modernità. Infatti, essendo caratterizzato dal dissidio interiore e dal dubbio, ed avendo egli incentrato la propria produzione letteraria sull'individuo, è stato definito dalla critica "protoumanista". L'opera lirica di Petrarca somma in sé tutte le esperienze della poesia italiana delle origini, compiendo tuttavia una selezione dal punto di vista della metrica (stabilendo ad esempio precise regole sull'accentazione degli endecasillabi che all'epoca di Dante era ancora meno codificata) e negli argomenti (escludendo dal canone tematico gli elementi goliardici e realistici
che nel Duecento erano stati presenti e che continuavano ad avere successo nel Trecento) con cui si influenzò fortemente tutta la poesia a venire. Il fenomeno del petrarchismo costituisce uno dei capitoli più complessi nella storia delle tradizioni letterarie europee.
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I grandi della letteratura FRANCESCO PETRARCA
Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti ove vestigio human la rena stampi.
Altro schermo non trovo che mi scampi dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi: sì ch’io mi credo omai che monti et piagge et fiumi et selve sappian di che tempre sia la mia vita, ch’è celata altrui.
Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so, ch’Amor non venga sempre ragionando con meco, et io co·llui. Il sonetto "Solo et pensoso" è una delle poesie più famose di Francesco Petrarca, poeta italiano del Trecento, periodo di passaggio tra Medioevo ed età moderna; questo sonetto è tratto dal "Canzoniere", opera in volgare alla cui compilazione Petrarca dedicò tutta la vita (1335-1374). Come tutti i sonetti, questo è suddiviso in quattro parti: due quartine e due terzine. Il tema del testo è la solitudine, dovuta all'amore per una donna, amore che lo porta a fuggire dal resto della società. Il registro stilistico è alto, in quanto l'autore sintetizza insieme un lessico raffinato con un lessico usuale. Vi sono alcune figure retoriche come la metafora, la personificazione, il polisindeto, l’allitterazione, l’enjambement e l’antitesi.
La rima è incrociata nelle prime due quartine e incatenata nelle due terzine e segue lo schema metrico AB-A-B A-B-A-B C-D-E C-D-E. I versi sono endecasillabi. Figure retoriche: Metafora: v.2 “vo mesurando”, v.8 “com’io dentro avampi” Personificazione: vv.13-14 “ch’Amor non venga sempre/ragionando con meco, et io co°llui” Polisindeto: vv. 9-10 “monti et piagge/et fiumi et selve sappian di che tempre” Allitterazione: v.1 “Solo et pensoso” Enjambement: v.1 v.3 v.10 v.13 v.14 Assonanza : v.1 “Solo et pensoso” v.2 “passi tardi” (N.G.) pag. 63
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S
pesso le novelle del Decameron proposte nelle antologie scolastiche vengono "tradotte" in italiano corrente. Trovo che questa sia una scelta limitante per gli studenti. L'approccio che è stato scelto per lo studio di Boccaccio, invece, è stato quello di guidare attraverso la lettura ad alta voce in classe da parte dell'insegnate la comprensione del testo oroginale. Ci si è soffermati molto sull'ironia e sul lato comico del testo, che, grazie al momento di discussione in classe, son stati percepiti appieno degli studenti.
Giovanni Boccaccio
G
iovanni Boccaccio (Firenze, 16 giugno 1313 – Certaldo, 21 dicembre 1375) è stato uno scrittore e poeta italiano. Boccaccio è stato uno fra i maggiori narratori italiani e europei del XIV secolo: con il suo Decameron, che venne subito tradotto in molte lingue, diviene infatti conosciuto ed apprezzato a livello europeo, tanto da influire, per esempio, anche nella letteratura inglese, con Geoffrey Chaucer. L'opera più nota e rappresentativa di Boccaccio è senza dubbio il Decameron. Il Decamerone o Decameron (composta dal greco antico déka, "dieci", ed hēmeròn "giorni", con il pag. 64
significato di "[opera] di dieci giorni") è una raccolta di cento novelle scritta nel XIV secolo, probabilmente tra il 1349 (anno successivo alla peste nera in Europa) e il 1351 o il 1353, da Giovanni Boccaccio. È considerata, nel contesto del Trecento europeo, una delle opere più importanti della letteratura, fondatrice della letteratura in prosa in volgare italiano, ispirando l'ideale di vita edonistica e dedicata al piacere ed al culto del viver sereno tipici della cultura umanista e rinascimentale. La struttura del Decameron è un articolato sistema con il quale Giovanni Boccaccio presentò le cento novelle del suo capolavoro.
La cornice vede dieci giovani che per sfuggire alla peste nera che imperversa su Firenze si riuniscono in una villa di campagna. Per passare il tempo ciascun pomeriggio tranne i giorni di venerdì e sabato dedicati alla penitenza ognuno di loro racconta una novella agli altri secondo un tema stabilito il giorno prima. Ogni giornata ha un Re o una Regina che stabilisce il tema delle novelle. Tutti i personaggi insieme riflettono poi il vero carattere dell'autore.
I grandi della letteratura GIOVANNI BOCCACCIO
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L
e novelle affrontate in classe son state: Ser Ciappelletto, Fra Cipolla e Frederigo degli Alberighi. Ai ragazzi è stato poi richiesto di rileggere a casa i testi e poi di riassumere il testo. Ecco un esempio.
Ser Ciappelletto Il personaggio principale di questa prima novella è ser Ciappelletto: un notaio di piccola statura, imbroglione, pettegolo, falso, bestemmiatore, assassino, miscredente, ladro, goloso, bevitore e giocatore; ovvero forse il peggiore uomo presente sulla faccia della Terra. Gli altri personaggi della novella sono: ser Musciatto Franzesi (mercante con grandi affari soprattutto in Francia), Carlo Senzaterra (fratello del Re di Francia) e i due fratelli che ospitano ser Ciappelletto (usurai avarissimi). Ciappelletto un giorno si reca a Borgogna per conto di ser Musciatto Franzesi perchè gli affida i suoi affari più "complicati" ma, sfortunatamente per i fratelli che lo ospitano si ammala. I fratelli presso i quali risiede, si preoccupano per la sua inevitabile morte perché Ciappelletto era il peggiore cristiano al mondo e temono che i frati non lo seppelliranno e che dovranno pagare loro la sepoltura. Ser Ciappelletto capisce questa preoccupazione e fa chiamare un frate che lui imbroglia durante tutto lo svolgimento della confessione fingendosi un santo. Il frate resta scioccato dalla bontà e della vita di Ciappelletto tanto che gli promette un posto in convento. Quelle sera Ciappelletto muore, i frati lo fanno santo, gli fanno una veglia ed un funerale degno di esso. Gli altri personaggi della novella sono: ser Musciatto Franzesi (mercante con grandi affari soprattutto in Francia), Carlo Senzaterra (fratello del Re di Francia) e i due fratelli che ospitano ser Ciappelletto (usurai avarissimi). (L.V.) pag. 65
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RUMORI FUORI SCENA
Notevole. Con uno script impeccabile, attori in stato di grazia e un timing perfetto, ne viene fuori una miscela irresistibile
Tratta dall'omonima opera di Michael Frayn, si tratta di una commedia scoppiettante, dal ritmo incalzante e con spassosissime gag che si susseguono vorticosamente.
screzi fra attori - sul palcoscenico e fuori accade di tutto: interruzioni, errori, isterie, conflitti, tensioni, rappacificazioni - ma alla prima a Broadway è un trionfo.
La trama del film riguarda le varie fasi della costruzione di uno spettacolo da parte di una bizzarra compagnia: dalle prove, al debutto, alla tournĂŠe, che inizialmente risulta essere positiva, ma poco tempo dopo si rivela un disastro per ripicche e
Regia sardonica e impeccabile, con degli straordinari attori tutti in stato di grazia, parecchie e buone le occasioni di risata.
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(scheda tratta da Mymovie.it)
Cinema
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esercizio di compresione , indagare sui meccanismi della Comicità
Quali sono i meccanismi comici su cui si basa la commedia? I meccanismi su cui si basa la commedia sono.: il modo divertente di improvvisare degli attori, il loro modo di muoversi , parlare e gli equivoci chiassosi che emergono da dietro il sipario. Perchè questa commedia si può anche definire metateatrale? Questa commedia si può definire meta teatrale perchè i personaggi sono degli attori che recitano all'interno di un teatro e nel film emergono i fatti sia che si svolgono sul palcoscenico, sia dietro le quinte. (A.J.S.)
METATEATRO Il teatro nel teatro o metateatro è un artificio teatrale con il quale, all'interno di una rappresentazione, si mette in scena una ulteriore azione teatrale della quale viene dichiarata la natura fittizia. In alcuni casi questa modalità narrativa ha assunto il carattere di svelamento dell'artificio illusorio dell'evento teatrale o dello spazio teatrale da parte di chi agisce la scena nei confronti degli spettatori, rendendo palese l'intero impianto fittizio dell'azione scenica, talvolta allo scopo di mostrare l'illusorietà, non solo della rappresentazione, ma anche della realtà tangibile dagli spettatori. (da Wikipedia) pag. 67
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Un tema che pervade l’intera produzione di Shakespeare è la riflessione sulla natura del teatro e sui suoi mezzi espressivi. Si tratta della cosiddetta dimensione metateatrale, un tipo di teatralità propria della sensibilità dell’epoca che affronta l’inquietante rapporto fra realtà e illusione. Il metateatro si esplica in più modi: nei riferimenti lessicali all’arte scenica («Tutto il mondo è un palcoscenico»), nell’esibizione de-
gli strumenti e dei trucchi del teatro (travestimenti, intrighi, scambi di persona nel Sogno di una notte di mezz’estate; il trucco del fazzoletto nell’Otello, le mille recite di Cleopatra), ma soprattutto nell’esplicita messa in scena di un dramma all’interno del dramma stesso, come nell'Amleto. da:Treccani.it
il Metateatro in Shakespeare
AMLETO, ATTO TERZO, SCENA SECONDA Una sala nel Castello (Entrano AMLETO e tre degli Attori) AMLETO: Dite il discorso, vi prego, come io ve l'ho recitato, quasi vi danzasse sulla lingua; ché se voi lo vociate, come fanno molti dei nostri attori, sarebbe per me tutt'uno che il pubblico banditore dicesse i miei versi. E non fendete troppo l'aria con la vostra mano, così; ma trattate tutto con discrezione; perché nel torrente stesso, nella tempesta e, com'io potrei dire, nel turbine della passione, voi dovete acquistare e generare una temperanza che dia ad essa morbidezza. Oh, m'offende fin nell'anima udire un truculento individuo imparruccato lacerare una passione a brandelli, ridurla in stracci per spaccare gli orecchi della platea, la quale, per la più parte, non comprende null'altro che inesplicabili pantomime e rumore; io farei frustare un tale individuo per aver sopravanzato Termagante; questo è un farla da Erode più di Erode stesso; di grazia, evitatelo. PRIMO ATTORE: Me ne fo garante a Vostro Onore. AMLETO: Non siate troppo blandi nemmeno, ma lasciate che il vostro discernimento vi sia maestro; accordate l'azione alla parola, la parola all'azione, con questo particolare accorgimento, che voi non passiate oltre i limiti della moderazione della natura; perché ogni cosa così strafatta è contraria allo scopo dell'arte drammatica, il cui fine, tanto agli inizi che ora, fu ed è di reggere, per così dire, lo specchio della natura; di mostrare alla virtù le sue proprie fattezze, allo scorno la sua immagine, e alla tempra e alla fisionomia stesse dell'epoca la loro forma ed impronta. Ora questo, esagerato, o stentato, benché faccia ridere l'inesperto, non può che affliggere l'uomo di giudizio; la censura del quale deve, nella vostra opinione, pesar più d'un intero teatro degli altri. Oh, ci sono attori ch'io ho visti recitare, e uditi lodare dagli altri e altamente, per non dir la cosa in maniera profana, i quali non avendo né l'accento di cristiani né il portamento di cristiani, di pagani, né d'uomini, si pavoneggiavano e muggivano così ch'io pensavo che qualcuno dei manovali della natura avesse fatto degli uomini, e non li avesse fatti bene, così abominevolmente essi imitavano l'umanità. PRIMO ATTORE: Io spero che noi abbiamo riformato discretamente codesto tra di noi, signore. AMLETO: Oh, riformatelo del tutto. E procurate che quelli che fan le parti dei buffoni non dicano più di quanto è scritto per loro; perché ce n'è di quelli che ridono essi stessi, per indurre una certa quantità di stupidi spettatori a rider pure, benché frattanto debba prestarsi attenzione a qualche battuta essenziale del dramma; questa è una birbonata e mostra un'assai pietosa ambizione nello sciocco che ne fa uso. Andate, preparatevi.
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Comicità
indagare sui meccanismi del comico c
di Mirella Schino da Treccani. it Far ridere è una cosa seria. (...) In letteratura, il comico è un genere che si collega alla commedia e si distingue dal dramma serio e soprattutto dalla tragedia. Ma al di là della distinzione dei generi, la riflessione sulla comicità, e ancora di più quella sull'umorismo, sono state stimoli essenziali per la pratica artistica. L'aggettivo umoristico viene in genere usato come sinonimo di comico: un giornale umoristico, uno scrittore umoristico indicano semplicemente la volontà di divertire. Il sostantivo umorismo ha invece una sfumatura di significato differente: indica un modo di guardare e di far guardare il mondo. Un modo di guardare differente e imprevedibile che osserva in maniera inconsueta ciò che fino a quel momento appariva consueto. Qualcosa di molto importante, quindi, per la pratica artistica. Il salto rispetto alla quotidianità è reso possibile, a sua volta, dal fatto che la comicità determina, più che il riso, una situazione di vitalità particolarmente intensa, un battito di vita particolarmente forte, e un momento di rottura rispetto al senso comune. Lo ha messo in luce il poeta francese Charles Baudelaire in un saggio del 1855, tradotto in italiano col titolo Il riso, il comico, la caricatura: l'incremento di vitalità coincide con un senso di esplosione e di liberazione. Indica un polo estremo dell'essere umano, proprio come la
Comicità e umorismo tragicità. La serietà, invece, è ciò che sta in mezzo, è normalità. Il comico è quindi, in quanto rottura rispetto alla quotidianità, un momento di capovolgimento di regole, convenzioni e convinzioni, e proprio perciò può essere uno strumento d'arte per eccellenza. Inoltre, come abbiamo appena visto parlando di Bergson, ha la capacità di mettere insieme sentimenti o situazioni opposte, e di determinare veri e propri nodi di opposizioni. O di rivelare come nella realtà gli opposti non si oppongano, ma si intreccino e si fondano. In primo luogo quello tra serietà e allegria.
I meccanismi classici della risata La reiterazione, la ripetizione, cioè di situazioni, frasi, gag. L'inversione, spostamento ad un altro ambito logico. Il doppio senso, suo di frasei, situzioni che si prestano a due interpretazioni, una delle quali generalmente scurrile. Il qui pro quo, cioè "equivoco", "scambio di persona o cosa". L'incomprensione L'interferenza, cioè l'utilizzo in una stessa frase di due sistemi di idee. L'esagerazione o iperbole, ampliare o minimizzare una situazione.una descrizione. pag. 69
il generi del Romanzo Avventura
Romanzo d'avventura
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Il termine AVVENTURA deriva dal Latino ADVENTURA, cioè "che accadrà". E' un avvenimento inaspettato fuori dal comune, un'esperienza entusiasmante o inusuale. Può anche indicare un'impresa audace e rischiosa dall’esito incerto.
I
l romanzo di avventura è un genere letterario che nasce nel XVIII secolo e che narra di viaggi in terre lontane e quindi celebra il coraggio e l'ingegno umano. L'incontro fra diverse culture offre uno spunto per riflettere e criticare la società in cui l'autore vive, ma anche per esaltarne i valori. È possibile ritrovare in molte opere dell'età antica alcune istanze che poi divennero peculiari del genere d'avventura. Già nell'Odissea di Omero il protagonista, Ulisse, mostra le caratteristiche che, diversi secoli dopo, diverranno tipiche del modello dell'avventuriero, come il desid-
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erio di conoscere, l'attrazione verso l'ignoto, la voglia di evadere, il coraggio, l'accortezza e la lucidità. Dal poema omerico, la passione per l'avventura si trasferisce, dapprima, negli storiografi e nei viaggiatori greci, e poi nella particolare espressione narrativa del romanzo ellenistico, che cerca di soddisfare il gusto del meraviglioso, del fantastico e dell'esotico. Uno dei titoli più indicativi è dato dal romanzo di Antonio Diogene, Le meraviglie di là da Tule, scritto nel I secolo d.C. La narrativa medioevale si impregna dell'eco delle leggende classiche pagane, come nel caso del Roman
de Troie, ma contemporaneamente sorgono le favole cristiane del ciclo bretone e quindi di Artù e Ginevra, di Tristano e Isotta, dei cavalieri della Tavola Rotonda. La civiltà feudale, pur nel suo declino, diffonde l'immagine dell'ideale cavalleresco, grazie alla complicità di un linguaggio universale che riecheggia sia nelle corti sia nelle fiere paesane. Tra gli autori più rappresentativi figura sicuramente Chrétien de Troyes (XII secolo). Altri importanti precedenti sono: l'Orlando furioso di Ludovico Ariosto, con la massiccia presenza dei temi dell'esplorazione, dell'ignoto e dell'azione; il Don Chisciotte di
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Cervantes ricco di satira e anticipazioni a tutto tondo; il Morgante di Luigi Pulci, nel quale l'ideale dell'eroe forte e gentile viene sostituito dalla figura dell'accattone alla ricerca dei beni primari per la sussistenza. (...) Le prime opere che possono essere pienamente inserite nel genere del romanzo avventuroso furono scritte nell'Inghilterra settecentesca. Ăˆ da ricordare anzitutto Robinson Crusoe (1719) di Daniel Defoe, in cui l'isolamento forzato fa rinascere nel protagonista un profondo sentimento religioso. Al contrario, nei Viaggi di Gulliver (Gulliver's Travels), scritti dall'irlandese Jonathan Swift nel 1726, prevalgono l'intento satirico e un'amara constatazione dei difetti umani. (...) Il romanzo d'avventura ha un maggiore sviluppo e trova piena espressione nell'Ottocento: il romanticismo fa rifiorire lo spirito d'avventura e consente la nascita di un nuovo genere, il romanzo storico, che grazie a Walter Scott e ad i suoi epigoni, si ispira alle gesta dei cavalieri medievali. Un'ulteriore spinta propulsiva al genere viene data dal movimento del realismo che ridona un'elevatezza e una completezza di espressione al romanzo avventuroso, di esplorazioni, di viaggi e di conquiste. Come se ciò non bastasse, molti scrittori del tempo descrivono, celebrandola, la nuova figura dell'eroe borghese teso all'affermazione sociale di sĂŠ stesso e alla strenua difesa dei valori della sua classe sociale, che vengono trasposti, su un piano letter-
Illustrazione dei Viaggi di Gulliver (J. Swift)
ario, nel gusto della lotta contro il destino. Ecco, quindi la penna fertile e creativa degli autori inglesi, rappresentanti la colonizzazione e il trionfo del commercio su scala mondiale, oltre alla voce degli scrittori U.S.A, narrante la conquista e l'espansione verso l'ignoto, simboleggiati dalla caccia alle balene. (...)
leghe sotto i mari, I figli del capitano Grant e molti altri), l'italiano Emilio Salgari (Il corsaro nero e il ciclo indo-malese), i britannici Robert Louis Stevenson (L'isola del tesoro, Il ragazzo rapito) e H. Rider Haggard (Le miniere di re Salomone), gli statunitensi Mark Twain (Le avventure di Tom Sawyer) e Herman Melville (Moby Dick).
Tra i principali autori dell'OttoNovecento sono da ricordare il francese Jules Verne (Viaggio al centro della Terra, Ventimila
da Wikipedia
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La scheda cronologica dei pi첫 famosi r (by T.M.E.)
Omero
VI sec a.C. (?)
Virgilio
7 0 a . C . - 1 9 Eneide a.C. 1474-1533 Orlando Furioso
Ludovico Ariosto
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Iliade-Odissea
Miguel de Cervantes 1547-1616
Don Chisciotte della Mancia
Daniel Defoe
1660-1731
Robinson Crusoe
Jonathan Swift
1667-1745
I viaggi di Gulliver
James Fenimore
1789-1851
L'ultimo dei Mohicani
Alexandre Dumas
1802-1870
I tre moschettieri Il conte di Monte Cristo
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romanzi d'avventura.
Edgar Allan Poe
1809-1849
Storia di Arthur Gordon Pym
Herman Melville
1819-1891
Moby Dick
Jules Verne
1828-1905
Ventimila leghe sotto i mari Viaggio al centro della terra
Lev Tolstoj
1828-1910
Anna Karenina
Mark Twain
1835-1910
Le avventure di Tom Sawyer
Robert Louis Stevenson
1850-1894
L'isola del tesoro Il ragazzo rapito
Guerra e pace
Henry Rider Haggard 1856-1925
Le miniere di re Salomone
Joseph Conrad
1857-1924
Cuore di tenebra
Emilio Salgari
1862-1911
Sandokan
Rudyard Kipling
1865-1936
Il libro della giungla-Kim
Edgar Rice Burroughs 1875-1950
Tarzan
Jack London
1876-1916
Zanna Bianca-Il richiamo della foresta
Heinrich Harrer
1912-2006
Sfida all'orco
Joe Simpson
1960
La morte sospesa
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il generi del Romanzo Avventura
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Un esempio di romanzo d'avventura, scelto dalla classe MOBY DICK Notizie sull'autore: HERMAN MELVILLE Naque a New York il 1 agosto del 1819. Nel 1830 suo pedre andò in banca rotta e morì per una malattia psichica, in seguito la famiglia si trasferìa Lasingburg dove Hermen cominciò a lavorare. Nel 1839 si imbarcò come mozzo su una nave e quando tornò pubblicò Redburn nel 1849. Melville si arruolò poi sull'Acushnet. In questo viaggio scrisse Moby Dick, che rielabora molti suoi ricordi a bordo dell'acushnet. Nel 1847 sposò Elizabeth Shaw ed ebbe due figli maschi e due femmine. Nel 1850 si trasferirono in una fattoria a Pittsfielde e continuò Moby Dick che terminò e pubblicò nel 1851. Nen 1866 cominciò a lavorare come ispettore doganale e ci lavorerà fino al 1885. Nel 1849 il primogenito morì sparandosi e il secondogenito morì a San Francisco. Solo la quartogenita si sposò ed ebbe quattro figlie. Nel 1890 morì e venne sepolto nel Bronx.
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oby Dick (Moby-Dick or The Whale), conosciuto anche come La balena, è un romanzo pubblicato nel 1851 dallo scrittore statunitense Herman Melville. La trama del libro si può riassumere assai brevemente come il viaggio di una baleniera, il Pequod, comandata dal capitano Achab, a caccia di capodogli e balene, e in particolare della enorme balena bianca (in realtà un capodoglio) che dà il titolo al romanzo. Tuttavia in Moby Dick c'è molto di più: le scene di caccia alla balena sono intervallate dalle rifles-
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sioni scientifiche, religiose, filosofiche e artistiche del protagonista Ismaele, alter ego dello scrittore, rendendo il viaggio un'allegoria e al tempo stesso un'epopea epica. Il romanzo di Melville è enciclopedico e allo stesso tempo fortemente digressivo: la lettura deve essere accompagnata dall'interpretazione, in quanto l'autore utilizza un gran numero di citazioni di storie epiche, shakespeariane, bibliche. Per questo motivo e per le numerose digressioni, Moby Dick può essere considerato un precursore del modernismo, in particolare di James Joyce.
È stato tradotto in italiano per la prima volta dallo scrittore Cesare Pavese nel 1932, che nella prefazione del libro Racconti di mare e di costa di Joseph Conrad definisce il mare descritto da Melville "titanico e biblico". All'epoca della sua prima pubblicazione, il libro non incontrò un'accoglienza favorevole, ma è oggi unanimemente riconosciuto come uno dei capolavori della narrativa statunitense. a tutto tondo. da: Wikipedia
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Questo è l'incipit del romanzo, nella traduzione di Cesare Pavese. Già nel primo capitolo di Moby Dick, viene espresso il desiderio di ricerca di se stessi attraverso i luoghi: nel caso del romanzo, sono luoghi “d’acqua”… Tuttavia ogni luogo se osservato e vissuto intensamente, può dare senso e significato al proprio esserci, persistere in quel posto.
C
hiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. E’ un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m’accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell’anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi
di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto in mare. Non c’è nulla di sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una volta o l’altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi sentimenti che nutro io verso l’oceano.
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U
na persona si scopre lettore quando prova piacere in quello che legge. Il piacere è il presupposto perché si alimenti la motivazione a leggere, cioè quella forte spinta che induce la persona a diventare un lettore “forte”, abituale. La lettura a voce alta dell’adulto-mediatore mette in moto e consolida questa catena virtuosa di rimandi tra “piaceri” della lettura e motivazione al leggere. Questa la motivazione per cui, appena possibile, offro agli studenti dei momenti di lettura espressiva. La scelta cade su racconti che suscitino nell'ascolatatore la meraviglia, o la suspance. Molto spesso si tratta dei racconti di Edgar Allan Poe, che i ragazzi imparano ad amare, o qualche racconto di Herny (Il dono dei magi o Due uomini disperati). Naturalmente vengono letti ad alta voce anche i canti della Commedia, le poesie, le novelle del Decameron. La lettura ad alta voce è un’attività che viene avviata fin dai primi giorni di scuola, ma poi
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prosegue per tutto l’iter scolastico, in modo che i ragazzi possano piano, piano apprendere le tecniche di lettura. A questo punto vengono craeti momenti in cui i lettori saranno gli stessi ragazzi. Anche nell'anno scolastico in corso la classe 2C ha potuto lavorare sulla lettura espressiva dapprima con la commedia gialla "Trappola per topi" poi con vari testi umoristici. Attraverso la lettura ad alta voce si cerca di recuperare il potere evocativo della parola rispetto alla cultura dell'immagine che spesso si impone nel mondo in cui sono immersi i nostri studenti. Come dice Harold Bloom "solo la lettura a voce alta trasforma il leggere da atto inconfutabilmente solitario in atto sociale" La lettura ad alta voce è naturalmente anche un modo per educare all’ascolto.
Leggere approfondimento sulla lettura espressiva
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Progetto lettura animata Sempre all'interno dell'approfondimento sulla lettura espressiva, gli studenti hanno assistito alla mise en space del romanzo epistolare "destinatario sconosciuto" realiazzata per celebrare il giorno della memoria. La lettura è stata realizzata dei docenti della scuola.
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Consigli per leggere in modo espressivo
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uattro sono le caratteristiche della Voce: musicalità che si basa sul timbro; ritmo; melodia; armonia.
Dobbiamo esercitare la nostra capacità di ascolto verso noi stessi e verso gli altri. L’ascolto è infatti il primo passo. Il timbro ci permette di riconoscere una voce da un’altra. La Voce: fenomeno complesso e articolato. La voce è un suono , è uno strumento musicale. Non esiste una bella/brutta voce ma quello che conta è l’espressività. Alcune norme igieniche: respirare col diaframma, inspirare dal naso perché si scalda l’apparato fonatorio, bere acqua per idratare le corde vocali (il caffè o bevande acide asciugano la voce). Importante è preriscaldare la voce: le corde vocali sono muscoli, come per l’atleta vanno sciolti prima di iniziare. Essere rilassati quando si legge, non forzare mai la voce, non raschiare in gola, aver la consapevolezza della laringe abbassata e lasciare fluire la voce liberamente. Articolare bene. Ci vuole confidenza e consapevolezza. Prima di leggere il testo ad alta voce fare sempre una lettura “di prova” a mente, che ci di la comprensione del testo, e individui le parti su cui porre l’accento, i punti in cui fare pausa. Quando si legge da seduti può essere utile stare seduti in punta di sedia, per aiutare una corretta respirazione. Non fare cantilene e non enfatizzare troppo. Leggere bene le doppie. Articolare sempre perfettamente la sillaba finale, specie delle parole lunghe, evitare di mangiarsela, o di abbassare il livello della voce. Immaginare che una parola lunga termini con “t” aiuta a pronunciarla correttamente, evitando che la sillaba finale non si senta. Non aggredire la frase. Non trascinare le vocali, non essere monocorde
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e non cantilenare. Non trascurare l’importanza della “pausa” nella lettura, ma non esagerare (troppe pause rendono la lettura meccanica). Importante è la fluidità’. Non salire o scendere troppo con la voce, ovvero quando si legge visualizzare la frase appoggiata parola dopo parola sopra una mensola dritta. Solo successivamente cominciare a dare “colore” alla lettura utilizzando ad esempio: • un cambio di volume • o una pausa • o un cambio di velocità • o una variazione di tono. Leggere fino al punto (se è possibile) con un unico respiro. Può essere d’aiuto ascoltare come leggono gli speakers dei documentari Le elencazioni non devono risultare monotone, ma si consiglia di cambiare tono. Dopo una elencazione si può fare una pausa un po’ più lunga prima di continuare la lettura Se la frase è troppo lunga possiamo decidere dove fare delle pause per riprendere fiato. Accento sul ritmo. Ritmo: successione di suoni nel tempo. Velocizzare o rallentare una frase, fare pause ci aiuta a variare la lettura cioè l’utilizzo del ritmo. Importante è la consapevolezza di poter utilizzare il ritmo e, prima di tutto, la punteggiatura per movimentare la lettura. Aspetti fondamentali del ritmo sono: • andamento (velocità) che dipende prima di tutto dal tipo di testo che si deve leggere; • accento su una parola piuttosto che un’altra; • pausa. Regola generale: l’ascoltatore non deve mai faticare nel seguire la lettura. Buona norma è variare la velocità non all’interno della frase perché ciò rende la lettura poco fluida ma dall’inizio della frase stessa. Melodia è rappresentata da suoni che si succe-
Leggere approfondimento sulla lettura espressiva
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dono nel tempo con una loro identità: acuti, gravi (hanno altezze ben definite). Pensare che una parola lunga termini con una “t” aiuta a pronunciarla correttamente evitando che la sillaba finale non si senta. La chiusura in basso di una parola rende la lettura più gradevole. Tenere sempre conto del significato di ciò che si legge. Legare non significa accelerare ma si possono unire le parole anche lentamente. Le letture scientifiche sono molto rigorose devono essere lette in modo pulito, c’è meno attenzione sull’espressività ma rimane l’attenzione su tutto il resto. Armonia è la congiunzione di 2 suoni contemporaneamente anche differenti tra loro che danno origine ad un impasto sonoro. Quando i suoni sono particolarmente gradevoli si parla di armonia. L’opposto è disarmonia. Nella voce l’armonia è intesa come possibilità di congiungersi con l’esterno. Ci sono vari aspetti di armonia: • col testo, • con chi ci ascolta, • con noi stessi. Armonia con il testo: noi abbiamo diversi modi di leggere secondo il tipo di testo. Lettura interpretata è una lettura colorita diversa da “interpretazione”. Non recitiamo, ma creiamo un’armonia tra noi e il testo se leggiamo usando tutte le tecniche che conosciamo (pause,volume,toni..) Siamo immaginifici per noi stessi, vediamo ciò che leggiamo. Se il testo lo permette, sorridere mentre si legge. Se è un testo drammatico atteggiarsi con una espressione cupa (tutto ciò aiuta la lettura).
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« Un giorno, avendo bisogno di quattrini, mi presentai allo sportello di una banca e dissi al cassiere: "Per favore, mi potrebbe prestare centomila lire?". Il cassiere mi disse: "Ma sa che lei è un umorista?". Così scoprii di esserlo. » (Achille Campanile)
Achille Campanile Achille Campanile (Roma, 28 settembre 1899 – Lariano, 4 gennaio 1977) è stato uno scrittore, drammaturgo, sceneggiatore e giornalista italiano, celebre per il suo umorismo surreale e i giochi di parole.
L
o stile di Campanile, praticamente oggi riconoscibile ed inconfondibile al primo assaggio, si compone di una prosa curata, precisa, pignola, con costante (ma sottintesa) ricerca di impeccabilità linguistica. Nella grande ed esperta conoscenza della lingua, e nel sapiente uso del lessico (solo apparentemente popolaresco, in realtà rigorosamente studiato e sofisticato), affonda la radice della non comune capacità di allestire spettacoli della logica che, in qualche assonanza (o piuttosto consonanza) con effetti tipici pirandelliani, ridicolizzano la più istintiva delle convenzioni sociali, la parola, ed attraverso questa le convenzioni stesse. pag. 80
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Comicità
indagare sui meccanismi del comico
La quercia del Tasso
Quell'antico tronco d'albero che si vede ancor oggi sul Gianicolo a Roma, secco, morto, corroso e ormai quasi informe, tenuto su da un muricciolo dentro il quale è stato murato acciocché non cada o non possa farsene legna da ardere, si chiama la quercia del Tasso perché, avverte una lapide, Torquato Tasso andava a sedervisi sotto, quand'essa era frondosa. Anche a quei tempi la chiamavano così. Fin qui niente di nuovo. Lo sanno tutti e lo dicono le guide. Meno noto è che, poco lungi da essa, c'era, ai tempi del grande e infelice poeta, un'altra quercia fra le cui radici abitava uno di quegli animaletti del genere dei plantigradi, detti tassi. Un caso. Ma a cagione di esso si parlava della quercia del Tasso con la "t" maiuscola e della quercia del tasso con la "t" minuscola. In verità c'era anche un tasso nella quercia del Tasso e questo animaletto, per distinguerlo dall'altro, lo chiamavano il tasso della quercia del Tasso. Alcuni credevano che appartenesse al poeta, perciò lo chiamavano "il tasso del Tasso"; e l'albero era detto "la quercia del tasso del Tasso" da alcuni, e "la quercia del Tasso del tasso" da altri. Siccome c'era un altro Tasso (Bernardo, padre di Torquato, poeta anch'egli), il quale andava a mettersi sotto un olmo, il popolino diceva: "E' il Tas-
so dell'olmo o il Tasso della quercia?". Così poi, quando si sentiva dire "il Tasso della quercia" qualcuno domandava: "Di quale quercia?". "Della quercia del Tasso." E dell'animaletto di cui sopra, ch'era stato donato al poeta in omaggio al suo nome, si disse: "il tasso del Tasso della quercia del Tasso". Poi c'era la guercia del Tasso: una poverina con un occhio storto, che s'era dedicata al poeta e perciò era detta "la guercia del Tasso della quercia", per distinguerla da un'altra guercia che s'era dedicata al Tasso dell'olmo (perché c'era un grande antagonismo fra i due). Ella andava a sedersi sotto una quercia poco distante da quella del suo principale e perciò detta: "la quercia della guercia del Tasso"; mentre quella del Tasso era detta: "la quercia del Tasso della guercia": qualche volta si vide anche la guercia del Tasso sotto la quercia del Tasso. Qualcuno più brevemente diceva: "la quercia della guercia" o "la guercia della quercia". Poi, sapete com'è la gente, si parlò anche del Tasso della guercia della quercia; e, quando lui si metteva sotto l'albero di lei, si alluse al Tasso della quercia della guercia. Ora voi vorrete sapere se anche nella quercia della guercia vivesse uno di quegli animaletti detti tassi. Viveva.
"la guercia del Tasso della quercia del tasso". Successivamente Torquato cambiò albero: si trasferì (capriccio di poeta) sotto un tasso (albero delle Alpi), che per un certo tempo fu detto: "il tasso del Tasso". Anche il piccolo quadrupede del genere degli orsi lo seguì fedelmente, e durante il tempo in cui essi stettero sotto il nuovo albero, l'animaletto venne indicato come: "il tasso del tasso del Tasso". Quanto a Bernardo, non potendo trasferirsi all'ombra d'un tasso perché non ce n'erano a portata di mano, si spostò accanto a un tasso barbasso (nota pianta, detta pure verbasco), che fu chiamato da allora: "il tasso barbasso del Tasso"; e Bernardo fu chiamato: "il Tasso del tasso barbasso", per distinguerlo dal Tasso del tasso. Quanto al piccolo tasso di Bernardo, questi lo volle con sé, quindi da allora quell'animaletto fu indicato da alcuni come: il tasso del Tasso del tasso barbasso, per distinguerlo dal tasso del Tasso del tasso; da altri come il tasso del tasso barbasso del Tasso, per distinguerlo dal tasso del tasso del Tasso. Il comune di Roma voleva che i due poeti pagassero qualcosa per la sosta delle bestiole sotto gli alberi, ma fu difficile stabilire il tasso da pagare; cioè il tasso del tasso del tasso del Tasso e il tasso del tasso del tasso barbasso del Tasso.
E lo chiamarono: "il tasso della quercia della guercia del Tasso", mentre l'albero era detto: "la quercia del tasso della guercia del Tasso" e lei: pag. 81
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Paganini non ripete Quando Paganini, dopo un ultimo, interminabile, acrobatico geroglifico di suoni rapidissimi, ebbe terminata la sonata, nel salone del regal palazzo di Lucca scoppiò un applauso da far tremare i candelabri gocciolanti di cera e iridescenti di cristalli di rocca, che pendevano dal soffitto. Il prodigioso esecutore aveva entusiasmato, come sempre, l’uditorio. Calmatosi il fragor dei consensi e, mentre cominciavano a circolare i rinfreschi e d’ogni intorno si levava un cicaleccio ammirativo, la marchesa Zanoni, seduta in prima fila e tutta grondante di merletti veneziani intorno alla parrucca giallastra, disse con la voce cavernosa e fissando il concertista con un sorriso che voleva essere seducente tra le mille rughe della sua vecchia pelle: – Bis! Inguainato nella marsina, con le ciocche dei capelli sugli occhi, Paganini s’inchinò galantemente, sorrise alla vecchia gentildonna e mormorò a fior di labbra: – Mi dispiace, marchesa, di non poterla contentare. Ella forse ignora che io, per difendermi dalle richieste di bis che non finirebbero mai, ho una massima dalla quale non ho mai derogato, né mai derogherò: Paganini non ripete. La vecchia signora non lo udì. Con un entusiasmo quasi incomprensibile in lei, ch’era sorda come una campana, continuava a batter le mani e a gridare, con le corde del collo tese come una tartaruga: – Bis! Bis! Paganini sorrise compiaciuto di pag. 82
tanto entusiasmo ma non si lasciò commuovere. Fe’ cenno alla vecchia dama di non insistere e ripeté con cortese fermezza: – Paganini non ripete. – Come? – fece la vecchia che, naturalmente, non aveva sentito. – Paganini – ripeté il grande violinista, a voce più alta, – non ripete. La vecchia sorda non aveva ancora capito. Credé che il musicista avesse consentito e si dispose ad ascoltare nuovamente la sonata. Ma, vedendo che il celebre virtuoso s’accingeva a riporre lo strumento nella custodia, esclamò afflitta: – Come? E il bis? – Le ho già detto, signora, – fece Paganini – Paganini non ripete. – Non ho capito – disse la vecchia. – Paganini non ripete – strillò Paganini. – Scusi, – fece la vecchia – con questo brusio non si arriva ad afferrar le parole. Parli un po’ più forte. Il violinista fece portavoce delle mani attorno alla bocca e le urlò quasi all’orecchio: – Paganini non ripete! La vecchia scosse il capo. – Non ho capito le ultime parole – gridò, come se sordo fosse l’altro. – Non ripete, non ripete, Paganini non ripete! – strillò il virtuoso. La vecchia fece una faccia allarmata. – Si vuol far prete? – domandò. – Ma no – urlò Paganini sgomento. – Paganini non ripete. – Ha sete? – fece la vecchia. E volta ai domestici in livrea,
che circolavano coi vassoi: – Un rinfresco al nostro glorioso violinista. – Ma che sete! – esclamò questi. – Che rinfresco! – Via, via, il bis ora – insisté la vecchia, convinta che il concertista stesse per contentarla. Ma questi di nuovo s’inchinò con perfetta galanteria e: – Le ripeto – disse – che Paganini non ripete. – Quel pezzo ultimo – continuava la sorda. – Paganini non ripete! – urlò il violinista proteso sull’orecchio di lei, facendo svolazzare i merletti veneziani, che le pendevano dalla gialla parrucca. – Quante volte glielo debbo ripetere? – Una volta, – fece la vecchia che era riuscita ad afferrare l’ultima frase e credé che Paganini le domandasse quante volte doveva ripetere la sonata – una sola volta mi basta. – Ma Paganini non ripete – ripeté Paganini. – Va bene, va bene –, replicò la vecchia, che questa volta aveva capito e credé che Paganini non volesse ripetere la frase detta – non occorre che me lo ripeta, ho capito benissimo; mi basta che faccia il bis. – Paganini – strillò Paganini con quanto fiato aveva in gola – non ripete, non ripete, non ripete! La vecchia fe’ cenno di non aver capito. Paganini si vide perduto. Si volse al gruppo degli altri invitati che si erano affollati intorno a loro attratti dalla scena e disse in tono disperato: – Fatemi il favore, diteglielo voi. Non ha ancora capito che non ripeto.
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Morte di un impiegato ANTON. P. Cechov
U
na magnifica sera un non meno magnifico usciere, Ivàn Dmitric' Cerviakòv, era seduto nella seconda fila di poltrone e seguiva col binocolo Le campane di Corneville. Guardava e si sentiva al colmo della beatitudine, ma a un tratto il suo viso fece una smorfia, gli occhi si stralunarono, il respiro gli si fermò... egli scostò dagli occhi il binocolo, si chinò e starnutì. Starnutire non è vietato ad alcuno e in nessun posto. Starnutiscono i contadini, i capi di polizia e a volte perfino i consiglieri. Tutti starnutiscono. Cerviakòv non si confuse per nulla, s'asciugò col fazzolettino e, da persona garbata, guardò intorno a sé per vedere se non aveva disturbato qualcuno col suo starnuto. Ma qui, sì, gli toccò confondersi. Vide che un vecchietto, seduto davanti a lui, nella prima fila di poltrone, stava asciugandosi accuratamente la calvizie e il collo col guanto e borbottava qualcosa. Nel vecchietto Cerviakòv riconobbe il generale civile Brizzalov, in servizio al dicastero delle comunicazioni. «L'ho spruzzato! », pensò Cerviakòv. 'Non è il mio superiore, è un estraneo, ma tuttavia è seccante. Bisogna scusarsi». Cerviakòv tossì, si sporse col busto in avanti e bisbigliò all'orecchio del generale: - Scusate, eccellenza, vi ho spruzzato involontariamente... - Non è nulla, non è nulla... - Per amor di Dio, scusatemi. Io... non lo volevo! - Ah, sedete, vi prego! Lasciatemi ascoltare! Cerviakòv rimase impacciato, sorrise scioccamente e riprese a guardare la scena. Guardava, ma
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ormai la beatitudine era scomparsa. Cominciò a tormentarlo l'inquietudine. Nell'intervallo egli s'avvicinò a Brizzalov, passeggiò un poco accanto a lui e, vinta la timidezza, mormorò: - Vi ho spruzzato, eccellenza... perdonate... io, vedete... non che volessi... - Ah, smettetela... Io ho già dimenticato, e voi ci tornate sempre su! - disse il generale che mosse con impazienza il labbro inferiore. «Ha dimenticato, e intanto ha la malignità negli occhi», pensò Cerviakòv, gettando occhiate sospettose al generale. «Non vuol nemmeno parlare. Bisognerebbe spiegargli che non desideravo affatto... che questa è una legge di natura, se no penserà ch'io volessi sputare. Se non lo penserà adesso, lo penserà poi! ... Giunto a casa, Cerviakòv riferì alla moglie il suo atto incivile. La moglie, come a lui parve, prese l'accaduto con troppa leggerezza; ella si spaventò soltanto, ma poi, quando apprese che Brizzalov era un "estraneo", si tranquillizzò. - Ma tuttavia passaci, scusati. -disse. -Penserà che tu non sappia comportarti in pubblico! - Ecco, è proprio questo! Io mi sono scusato, ma lui si è comportato in un modo strano... una sola parola sensata non l'ha detta. E non c'era neppure tempo di discorrere. Il giorno dopo Cerviakòv indossò la divisa di servizio nuova, si fece tagliare i capelli e andò da Brizzalov a spiegare. Entrato nella sala di ricevimento del generale, vide numerosi postulanti e in mezzo ad essi il generale in persona, che già aveva cominciato l'accettazione delle domande. Interrogati alcuni visitatori, il generale alzò gli occhi anche su Cerviakòv.
- Ieri all'arcadia, se rammentate, eccellenza, - prese a esporre l'usciere, - io starnutii e... involontariamente vi spruzzai... Scus... - Che bazzecole... che desiderate? - domandò il generale rivolgendosi al postulante successivo. «Non vuole parlare! », pensò Cerviakòv, impallidendo. «É arrabbiato dunque... No, non posso permetterlo... gli spiegherò..'. Quando il generale finì di conversare con l'ultimo postulante e stava per dirigersi verso gli appartamenti interni, Cerviakòv gli andò dietro e prese a disse: - Eccellenza! Se oso incomodare vostra eccellenza, è precisamente per un senso, posso dire, di pentimento! ... Non lo feci apposta, voi stesso lo sapete! Il generale fece una faccia piagnucolosa e agitò la mano. - Ma voi vi burlate semplicemente, egregio signore! - disse, scomparendo dietro la porta. «Che burla è mai questa? », pensò Cerviakòv. «Qui non c'è proprio nessuna burla! É generale, ma non può capire! Quand'è così, non starò più a scusarmi con questo fanfarone! Vada al diavolo! Gli scriverò una lettera e non ci andrò più! Com'è vero Dio, non ci andrò più! Così pensava Cerviakòv andando a casa. La lettera al generale non la scrisse. Pensò, pensò, ma in nessuna maniera poté concepire quella lettera. Andò il giorno dopo a spiegare di persona. - Sono venuto ieri a incomodare vostra eccellenza, - si mise a borbottare, quando il generale alzò su di lui due occhi interrogativi, - non già per burlarmi, come vi piacque dire. Io mi scusai perchè, starnutendo, vi avevo spruzzato... ma non pensavo di burlarmi.
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indagare sui meccanismi del comico
Come potrei? Se noi ci burlassimo, vorrebbe dire allora che non c'è più alcun rispetto... per le persone... - Vattene! - urlò il generale, fattosi d'un tratto livido e tremante. - Che cosa? - domandò con un bisbiglio Cerviakòv, venendo meno dallo sgomento. - Vattene! - ripeté il generale, pestando i piedi. Nel ventre di Cerviakòv qualcosa si lacerò. Senza veder nulla, senza udir nulla, egli indietreggiò verso la porta, uscì in strada e si trascinò via. Arrivato macchinalmente a casa, senza togliersi la divisa di servizio, si coricò sul divano e... morì. Čechov ⟨či̯èkħëf⟩, Anton Pavlovič. - Scrittore russo (Taganrog 1860 Badenweiler 1904). Narratore tra i più insigni della letteratura russa di epoca contemporanea, fin dalle sue prime opere di carattere comico e caricaturale mira all'essenziale e aborre, tanto nello stile quanto nella costruzione, da tutto ciò che è intrusione personale, abbandono narrativo. Il suo riso è asciutto, pacato, talvolta triste. E la tristezza si fa sempre più sofferta accettazione del grigiore ineluttabile dell'esistenza, cui è dato solo di sperare in un lontanissimo migliore avvenire. Ma sia nei racconti sia nelle opere teatrali questa visione del mondo è trasfigurata da un tenace amore per la vita sempre trattenuto però da un pudore e da una umiltà che, specie nei drammi, ai toni accesi preferisce gli accenti smorzati, alle parole sonore la espressività del silenzio, all'invenzione di vicende drammatiche il triste fluire degli eventi. da: Treccani.it pag. 85
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la madeleine
Quel dolcetto burroso a forma di conchiglia imbevuto nel tè non è semplicemente un pezzetto di squisita materia ma l’elemento rivelatore. L’olfatto e il gusto hanno un ruolo fondamentale per il recupero dei ricordi. U na sera d’inverno, appena rincasato, mia madre accorgendosi che avevo freddo, mi propose di prendere, contro la mia abitudine, un po’ di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, mutai parere. Mandò a prendere uno do quei dolci corti e paffuti, chiamati madeleines, che sembrano lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo. E dopo poco, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto di medeleines. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicissitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita. Anche l’amore opera così, ci riempie di un’essenza preziosa: o piuttosto quest’essenza non era in me, era me stessa. Non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale. Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentiva che era connessa col gusto del tè e della madeleine. Ma lo superava infinitamente,
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non doveva essere della stessa natura. Da dove veniva? Che senso aveva? Dove fermarla? Bevo una seconda sorsata, non ci trovo nulla più della prima, una terza che mi porta ancor meno della seconda. E’ tempo di smettere, la virtù della bevanda sembra diminuire. E’ chiaro che la verità che cerco non è in esso, ma in me. E’ stato lui a risvegliarla, ma non la conosce, e non può far altro che ripetere indefinitamente,
con forza sempre crescente, quella medesima testimonianza che non so interpretare e che vorrei almeno essere in grado di richiedergli e ritrovare intatta, a mia disposizione (e proprio ora), per uno schiarimento decisivo. Depongo la tazza e mi volgo al mio spirito. Tocca a lui trovare la verità, ma come? Grave incertezza, ogni volta che lo spirito si sente oltrepassato da se stesso; e lui, il cercatore, è nello stesso Autobiografia
conoscere il genere e le sue caratteristiche attraverso lbrani di autori
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il paese oscuro dove deve volgersi la sua ricerca e dove tutto il suo bagaglio non gli servirà a nulla. Ricerca? Non solo: creazione. Egli sta di fronte a qualcosa che non è ancora e che solo lui può realizzare e poi fare entrare nella propria luce. E ricomincio a chiedermi qual sia quello stato sconosciuto, sprovvisto di prove logiche, ma d’una felicità, d’una realtà tanto evidente che davanti ad esse ogni altra prova svaniva. Voglio tentare di farlo ricomparire. Retrocedo mentalmente all’istante in cui ho preso la prima cucchiaiata di tè. Ritrovo il medesimo stato, senza alcuna nuova chiarezza. Chiedo al mio spirito uno sforzo di più, ricondurre ancora una volta la sensazione che sfugge. E perché nulla stronchi lo slancio con cui cercherò di afferrarla , allontano il mio ostacolo, ogni idea estra-
nea, corazzo le mie orecchie e la mia attenzione contro i rumori della camera vicina. Ma mi accorgo della fatica del mio spirito che non riesce; allora lo obbligo a prendersi quella distrazione che gli rifiutavo, a pensare ad altro, a rimettersi in forze prima di un supremo tentativo. Poi, per la seconda volta, fatto il vuoto davanti a lui, gli rimetto innanzi il sapore ancora recente di quella prima sorsata e sento in me il trasalimento di qualcosa che si sposta, che vorrebbe salire, che si è disormeggiato da una gran profondità; non so cosa sia, ma sale, lentamente; avverto la resistenza e odo il rumore degli spazi percorsi. Certo, quello che in tal modo palpita nel mio fondo deve essere l’immagine, il ricordo visivo che, collegato a quel sapore tenta di seguirlo fino a me. Ma si dibatte
troppo lontano, troppo confusamente; è già molto se scorgo il riflesso neutro il quale finisce col confondersi il turbinio inafferrabile dei colori smossi; ma la forma non la posso distinguere, non posso chiederle come all’unico possibile interprete, di tradurmi la testimonianza del suo contemporaneo e inseparabile compagno, il sapore; chiederle di farmi sapere di quale circostanza particolare, di quale epoca del passato si tratti. Potrà arrivare fino alla superficie della mia chiara coscienza questo ricordo, questo istante passato che l’attrazione di un identico istante è venuta da tale lontananza a provocare, smuovere, sollevare dal mio fondo? Non so. Ora non sento più nulla, è fermo, forse è ridisceso; chissà se mai più risalirà dalla sua notte. Per dieci volte debbo ricomincipag. 87
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are, chinarmi su di lui. E ogni volta la viltà che ci distrae da ogni tentativo difficile e da ogni opera importante, mi ha persuaso a lasciar perdere a bere il tè pensando esclusivamente alle tristezze d’oggi, ai desideri di domani, che non costa pena rimuginare. All’improvviso, il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di madeleine che a Combray, la domenica mattina, (perché, quel giorno, non uscivo prima dell’ora della messa), quando andavo a darle il buon giorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio. La vista della madeleine non mi aveva rammentato nulla prima che l’avessi assaggiata: forse perché in seguito le avevo viste spesso senza prenderne, sui vassoi delle pasticcerie e la loro immagine aveva lasciato i giorni di Combray per collegarsi ad altri più recenti; può darsi anche, perché di quei ricordi abbandonati per tanto tempo fuori dalla memoria, nulla sopravviveva, tutto si era disgregato; le forme (e tra loro quella della piccola conchiglia di pasta frolla, così grassamente sensuale sotto la sua increspatura severa e mistica) s’erano abolite, oppure insonnolite, avevano perduto la forza d’espansione che avrebbe permesso loro di raggiungere la coscienza. Ma anche quando non sussiste più nulla di un antico passato, dopo la morte delle persone, dopo la distruzione delle cose, soli, più fragili ma più vivi, più immateriali, più persistenti, più fedeli l’odore e il sapore restano ancora per molto tempo, come delle anime, a ricordare, ad attendere, a
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sperare sulle rovine di tutto il resto, a portare senza piegarsi sulla loro goccia quasi impalpabile, l’immenso edificio della memoria. Riconobbi il sapore del pezzetto di madeleine inzuppato nell’infuso di tiglio che mi dava la zia. Non sapevo ancora, e dovevo rimettere a molto più tardi la scoperta del perché questo ricordo mi rendesse tanto felice. Ma subito, la vecchia casa grigia sulla strada, dove era la sua camera, venne, come una scena di teatro, ad applicarsi alla piccola sul giardino, edificata sul dietro per i miei genitori, la cui facciata tronca era l’unica che fossi riuscito fino allora a rivedere; e con la casa, la città, la piazza dove mi mandavano prima di desinare, le vie che percorrevo a far commissioni dal mattino alla sera, con qualsiasi tempo, i viottoli che prendevo se faceva bel tempo. E come in quel gioco nel quale i Giapponesi si divertono a tuffare, in una tazza di porcellana riempita d’acqua, dei pezzetti di carta fino allora indistinti, che appena immersi si stirano, assu-
Autobiografia
un esempio letterario
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IL LAVORO A CASA: • Come definiresti il testo appena letto? • Dividi il testo in macrosequenze ed identifica la rottura dell'equilibrio. • Quale è, a tuo avviso, il tema del racconto? • Da quali sensazioni è scatenato l'emergere del ricordo? • Cerca nel brano e sottolinea con diversi colori gli ambiti sensoriali (olfatto, vista, udito, gusto, tatto) PRODUZIONE crea un breve racconto che abbia come tema l'emergere di un ricordo. pag. 89
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Marcel Proust (Parigi, 10 luglio 1871 – Parigi, 18 novembre 1922)
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arcel Proust è stato uno scrittore, saggista e critico letterario francese, la cui opera più nota è il monumentale romanzo Alla ricerca del tempo perduto (À la recherche du temps perdu) pubblicato in sette volumi tra il 1913 e il 1927. L'importanza di questo scrittore è legata alla potenza espressiva della sua originale scrittura e alle minuziose descrizioni dei processi interiori legati al ricordo e al sentimento umano; la Recherche infatti è un viaggio nel tempo e nella memoria che si snoda tra vizi e virtù. Oltre a scrivere articoli di cronaca mondana, nati dall'assidua frequentazione dei salotti borghesi e aristocratici, Proust pubblicò dei pastiches di altri scrittori, in un esercizio di imitazione che potrebbe averlo aiutato a mettere a punto lo stile personale. Nel 1908 cominciò a dedicarsi a diversi frammenti che più tardi sarebbero confluiti nel libro Contre Sainte-Beuve. Da questi materiali disparati cominciò a prendere forma un testo narrativo, la cui trama a grandi linee era centrata su un "io narrante", insonne, che di notte ricorda come da bambino aspettava che la madre venisse a chiamarlo la mattina. Il romanzo si sarebbe dovuto concludere con un esame critico di Sainte-Beuve e con la confutazione
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della sua teoria che per comprendere l'opera di un artista lo strumento più importante sia la biografia. Nel manoscritto incompiuto ci sono molti elementi che corrispondono a parti della Ricerca: in particolare, alle sezioni "Combray" e "Un amore di Swann" del volume primo, e alla sezione finale del volume settimo. La difficoltà di trovare un editore, e un graduale cambiamento nell'impostazione del romanzo, indussero Proust a rivolgersi a un progetto diverso che contenesse tuttavia molti temi ed elementi di quello abbandonato. Alla ricerca del tempo perduto (À la recherche du temps perdu) è un romanzo scritto tra il 1908-1909 e il 1922 e pubblicato nell'arco di quattordici anni, tra il 1913 e il 1927, gli ultimi tre volumi postumi. L'opera è suddivisa per meri motivi editoriali in sette volumi: • Dalla parte di Swann (1913) • All'ombra delle fanciulle in fiore (premio Goncourt, 1919) • I Guermantes (1920) • Sodoma e Gomorra (1921-1922) • La prigioniera (1923) • La fuggitiva o anche Albertine scomparsa (1925) • Il tempo ritrovato (1927) In Dalla parte di Swann Proust ha inserito un vero e proprio "romanzo nel romanzo" col titolo Un amore di Swann.
Iniziato nel 1909, il romanzo Alla ricerca del tempo perduto venne elaborato durante anni di volontaria reclusione nella casa di Boulevard Haussmann per motivi di salute. Il primo volume, Du côté de chez Swann (Dalla parte di Swann) fu respinto dall'editore Gallimard su consiglio di André Gide, e venne edito a spese dell'autore da Grasset (1913). Le edizioni Gallimard accettarono il secondo volume, À l'ombre des jeunes filles en fleurs (All'ombra delle fanciulle in fiore), che valse a Proust nel 1919 il premio Goncourt. Nell'agosto del 1920 uscì il terzo volume, la prima parte di Le côté de Guermantes (I Guermantes), e nel 1921 la seconda parte insieme alla prima parte del quarto volume, Sodome et Gomorrhe (Sodoma e Gomorra). La sua salute peggiorava rapidamente, ma Proust non cessò di lavorare ai volumi successivi. Nell'aprile 1922 fu pubblicata la seconda parte di Sodome et Gomorrhe. Il 18 novembre 1922, per una bronchite mal curata, Marcel Proust morì. Venne sepolto nel cimitero parigino del Père Lachaise.
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Gli AUTORI
impariamo a conoscerli
Programma di Lettere a.s. 2013/2014
Marcel Proust, dipinto di Jacques-Emile Blanche. Museo d'Orsay, Parigi.
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Due produzione degli studenti sull'esempio di Proust Ogni volta che vedo dei girasoli o frutta “stampata” o, più semplicemente, copritavola cerati mi ritornano in mente gli odori della pizza e i classici Disney in DVD. Ma perché un copritavola dovrebbe farmi ritornare alla mente “tutte queste cose”? Dovete sapere che mia madre è stata l'unica dei quattro fratelli a spostarsi a Mestre, mentre tutti gli altri tre sono rimasti nei pressi di Treviso: quindi ogni rara volta che da piccolo andavo a trovare mia zia, per l'occasione noleggiava un DVD (che era quasi sempre un classico Disney) e preparava (insieme a mio zio) un piatto speciale che era quasi sempre pizza. La casa dove viveva mia zia, prima che si trasferisse, era abbastanza piccola (anche se carina). La cosa che mi colpiva di più ogni volta che andavo da lei era il copritavolo cerato sopra il tavolo molto grande... per questo il copritavolo cerato mi riporta a questi ricordi. Mi ricordo ancora quando da bambino non riuscivo a mangiare “normal-
mente” la pizza e me la dovevano tagliare a quadrotti; mi ricordo ancora di quella volta che la zia aveva noleggiato il film “King Kong” credendo che fosse il cartone animato (invece era un film un po' splatter) e mi ricordo anche di quella volta che la zia aveva noleggiato “La città incantata” e in una scena i genitori della protagonista si sono girati ed erano maiali. Quella casa conteneva tanti bei ricordi, alcuni di questi non li dimenticherò mai. (T.M.E.)
L'esempio letterario è estremamente stimolante e, proprio per la sua complessità e ricchezza, può essere un ottimo "volano" per indurre gli studenti ad indagare allo stesso modo sui meccanismi legati al ricordo. Questi sono solo 2 delle produzioni della classe, il risultato è stato molto buono.
Io ho solo dodici anni e quindi vista la mia esperienza di vita non ho molti ricordi a disposizione, però ogni volta che sento il profumo del pane appena sfornato mi viene in mente la mia bisnonna. La bisnonna non c’è più da quando avevo cinque anni ma mi ricordo bene del pane che lei metteva a scaldare sopra la stufa, posato sopra un foglio argenta-
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to di carta stagnola. La sua casa era molto vecchia e non aveva i termosifoni e in certi punti era anche molto fredda, ma davanti alla stufa si stava benissimo e al calduccio. Per arrivare davanti a quel calore bisognava fare un corridoio lungo otto metri e per me che ero piccolina e che avevo già fatto tanta strada a piedi (la
bisnonna abitava a Venezia) così da quando era giovane e quina volte quei metri mi sembrava- di il mio “ricordo del pane” è lo stesno chilometri. so della mia mamma e di mia nonna. Quel pane era buonissimo anche se in verità si trattava di Grazie alla bisnonna Vittopane vecchio e in inverno mi ria oggi ogni volta che sento proscaldava le mani e il viso ogni vol- fumo di pane caldo mi si scalda ta che lo mangiavo. il “cuore” e in un attimo mi riLa cosa che più mi stupisce è che vedo piccolina vicino a lei nella mia bisnonna ha sempre fatto la sua cucina. (E.V.) pag. 93
buone vacanze