LAB2.0 Magazine #20

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ISSN 2385-0884

04/2017

20

bianco

borromini

abitare

mediterraneo

non-colore

restauro

radioarchitettura

e42

cittĂ

neutro

meier bianca

schizzo


LAB2.0 Learning Architecture & Building

Direttore responsabile / Editor in chief Patrizia Licata Coordinamento editoriale / Deputy editor Luca Bonci Piera Bongiorni Lorenzo Carrino Camilla Gironi Staff di redazione / Editor staff Iacopo Benincampi Gabriele Berti Daniele Bigi Simone Censi Alessandra Contessa Maria Teresa Della Fera Einar Kajmaku Fabio Marcelli Lisa Patricelli Valentina Radi Mirco Santi Tommaso Zijno Hanno collaborato / Contributions radioarchitettura.com Marco Biondi Vincenzo Fresta Alessandra Mandozzi

Traduzioni / Translations Agnese Oddi Lucrezia Parboni Arquati Maria Letizia Pazzi Grafica / Graphic & Editing Luca Bonci Editore Triade Edizioni Srl

In prima e quarta di copertina / Cover © Marco Fabri

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LAB2.0 è un’associazione culturale no-profit fondata a Roma da un gruppo di giovani, e si occupa di Architettura con l’obiettivo di stimolare il dibattito e il confronto sul territorio e sul web. Ha fondato e gestisce, per conto della testata giornalistica DailySTORM (www.dailystorm.it), la rivista LAB2.0 Magazine e si occupa della sua distribuzione sul web.

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LAB2.0, simultaneously with its editorial activity, offers: - To organize exhibits, events, and conferences, with the objective to promote and encourage an interdisciplinary approach between architecture and other forms of visual expression like art, photography, graphics, design, cinema - To organize workshops and promote contests aimed at university students and graduates, as to supply a tool to enhance visibility and growth for young designers, and to create a platform about architectural contents for society

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Indice

08

Editoriale Editorial

Camilla Gironi

10

Alessandra Contessa E42 La Città Bianca E42 The White Town

20

Iacopo Benincampi Bianco “Borromini” “Borromini” White

30

Valentina Radi Abitare Bianco Mediterraneo Living White Mediterranean


Index Fabio Marcelli Bianco e restauro: il protagonismo del neutro

36

Alessandra Mandozzi La classe operaia va in paradiso

46

Marco Biondi e Vincenzo Fresta Bianco Architettura White Architecture

60

Gabriele Berti Dalla bozza sul tovagliolo ai fumetti From the napkin sketch to the comics

68


Indice

74

Lisa Patricelli Richard Meier: l’architetto in bianco Richard Meier: the architect of whiteness

80

radioarchitettura.com agenda di aprile/maggio April/May diary


Index


Editoriale di Camilla Gironi

8

Bianco, che vuole dire tutto e vuole dire niente. Bianco come super-colore, come la tela spoglia dell’artista cromofobo. La somma delle sfumature dell’iride, il candore che contrasta la notte, come una luna piena al centro del nero cielo che avvolge ogni cosa con la sua luce opaca. Bianco come dio, dimensione dove non c’è colore, non c’è ferita rossa come il fuoco che possa squarciare tale eburnea assolutezza. Lontano dal peccato del colore, dalla caduta nell’errore di immaginare il mondo come un quadro impressionista, dove pennellate veloci di tempere corpose e vibranti divorano la forma, imponendosi sul chiaroscuro di linee nere su sfondo bianco che voglia esprimere l’essenza piuttosto che la fattezza. Il talento per il disegno si ottiene con l’esercizio. Rappresentare la forma per come è, e non per come appare, tracciandone solo sottili linee di carbone che racchiudano il suo bianco significato. Tradurre la sensazione della vista o dell’immaginazione della forma: un bisogno innato nell’uomo, che nei millenni ha imparato a esprimersi attraverso differenti tipologie di linguaggio, riconoscendo nel disegno il “mezzo immediato” di trasposizione formale tra l’intelletto e la realtà. Affidare al bianco assoluto di una tela il filo di ferro del pensiero, senza ombre, senza luci che offuschino l’essenzialità del tratto. Pura espressione. Al contrario, il talento per il colore, l’impressione, non si può imparare: coloristi si nasce. Come una sorta di corruzione atavica dell’anima, il senso per le sfumature non si apprende, è manifesto dalle origini. Il colorista è portavoce del desiderio di eccesso, di ebbrezza e di superficialità, un messia della sgargiante insolenza del mondo. Cromie che disturbano la percezione dell’uomo, la manipolano, la possiedono con la stessa drammaticità di una droga. Vincent Van Gogh come Adamo, l’uomo che vede le cose per la prima volta, inventando nomi, attribuendo colori che le connotino come un marchio a fuoco, cosicché ognuna sia verde come le foglie, azzurra come il cielo, gialla come il sole: percepire l’aspetto come sostanza della realtà, che colpisce gli occhi dell’uomo bambino con tutta la sua sfrontata apparenza, maschera del significato. Bianca è la verità del mondo. Il senso che si eleva si spoglia del colore, le cose perdono i loro superficiali attributi cromatici, che non sono altro che mera percezione ottica, distorsione della luce, la cui forma più pura, non a caso, è bianca, specchio brillante dell’entità. La “bianca luce della coscienza” contro “le oscure possibilità del colore”, una salita verso la spiritualità del mondo. L’architetto che progetta il bianco è forse il più degno avversario del colorista. Un pioniere chiamato a concepire, a materializzare, a trasmettere la forma, il significato intrinseco degli oggetti, rinunciando alla banalità del colore, che se da un lato le conferisce familiarità, dall’altro ne soffoca la poetica. Quanto è più affascinante il pallido viso del Partenone, spogliato dei suoi antichi sfavillanti attributi, e quanto è bietta la convinzione che ori, blu zaffiri e rossi rubini siano adatti a rappresentare il divino. Nessun colore è vicino alla perfezione come lo è il bianco, semplicemente perché dalla totale assenza di sfumatura deriva la totale assenza di macchie, di quel peccato cromofilo che spesso sporca l’intento dell’opera architettonica; la sua natura è incorruttibile: una superficie bianca riluce di riflessi, non abbraccia luce e colori, ma li restituisce in forma amplificata. Ed è per questo che progettare il bianco è un’azione quasi paranormale, perpetrata solo da rari illustri fautori in grado di interpretarne sapientemente la potenza plastica. Gian Lorenzo Bernini e Alvaro Siza sono un esempio di come il bianco possa essere un simbolo, vera e propria materia vitale che racchiude il momento della creazione. Il colore, d’altronde, è un primo manifesto della caducità: invecchia, si sfalda, marcisce, fino a lasciare le opere desolate, sfregiate. Al bianco appartengono la luce e l’oscurità, e da questo deriva il suo eterno legame con l'Architettura. La trasformazione liquida della luce, la purezza di una trama infinita e abissalmente profonda che, al pari di quella indefinita e impalpabile del nero, descrive spazi ancora più ampi rispetto al confine della forma, ribollendo come un magma denso. Mentre il nero, con la sua gravità, sembra risucchiare la vista al proprio interno, fino al suo centro più recondito, il bianco sembra essere esso stesso il proprio centro, l'esplosione di un nucleo. Il bianco espande la vista, con la stessa forza con cui il nero la condensa. Ed è forse questo il senso dell'elogio al super-colore, che è e appare per come è, senza margine di errore, senza angoli celati alla luce, senza sovrapposizioni di sfumature. Semplicemente, infinitamente, essenzialmente Bianco.


White, meaning everything and meaning nothing . White as a super-colour, as the naked canvas of a chromophobic artist. The sum of the rainbow shades, the candor opposing the night, just like a full moon in the middle of a black sky wrapping everything with its opaque light. White as god, a colourless dimension, where there is no fire red wound ripping such an ivory absoluteness. Far away from the sin of colours, from the fall in making the mistake of imaging the world as an Impressionist painting, in which quick brush strokes of vibrant full-bodied paints devour the shape, imposing themselves on the light-dark of black frames on a white background willing to express the essence rather than the evidence. Talent for drawing comes with practice. Representing a shape as it is, and not as it seems to be, by only designing thin charcoal lines to hold its white meaning. Translating the sensation of seeing or imaging the shape: a native need in humans, that, in the millennia, have managed to express through different kinds of language, regarding drawing as the “immediate means” of formal transposition between mind and matter. Giving the wireframe of thought to the absolute whiteness of a canvas, without any shadow or light able to blur the essentiality of the line. Pure expression. Contrariwise, talent for colouring, the impression, can not be taught: one is born a colourist. As a sort of ancient corruption of the soul, the sense for the shades is not something that one can learn, it is shown since the origins. The colourist is the spokesperson of the desire for excess, elation and superficiality, a messiah of the gaudy insolence of the world. Colours disturbing human perception, manipulating and controlling it with the same drama of a drug. Vincent Van Gogh like Adam, the man who sees everything for the first time, inventing names, assigning colours that mark things with fire, so that each one will be as green as leaves , as blue as the sky , as yellow as the sun: perceiving the aspect as the substance of reality, hitting the eyes of the childman with all its cheeky appearance, the mask of meaning. White as the truth of the world. The elevating mind gets rid of colours, all things lose their superficial chromatic attributes, that are nothing but mere optical perception, distortion of the light, of which the purest form, not by chance, is white, bright mirror of the entity. The “white light of conscience” against the “obscure possibilities of colours”, the ascent to the spirituality of the world. The architect who designs1 white maybe is the worthiest opponent of the colourist. A pioneer supposed to conceive, materialize, transmit the shape, the intrinsic meaning of objects, giving up on the banality of colours, which, while giving it familiarity, smothers its poetics. How fascinating is the Parthenon's pale face, free from its ancient glowing attributes, and how numb the belief that gold, blue sapphires and red rubies are suitable to represent the divine. No colour is as close to perfection as white is, simply because from the total absence of shades derives the total absence of stains, that chromophil sin that often contaminates the architectural intent; its nature is incorruptible: a white surface shines of reflexes, it does not hold light and colours, but it gives them back in an amplified intensity. And this is the reason why designing white is a quite paranormal action, proper of rare distinguished pioneers able to wisely execute its plastic power. Gian Lorenzo Bernini and Alvaro Siza are living examples of how white can be a symbol, real vital matter embracing the moment of creation. Colours, however, is one of the first signals of caducity: they get old, exfoliate, decay, until the architectural works are left desolate, scarred. Light and darkness belong to white, and its eternal bound with Architecture derives from this. The liquid transformation of light, the purity of an infinite and abysmally deep weft that, just like that indefinite and impalpable of black, describes spaces even greater than the boundary of the shape, seething like a dense magma. While black, with its gravity, seems to suck the vision down inside, right to its core, white seems like being itself the core, the explosion of a nucleus. White expands the sight, with the same strength with which black retain it. Maybe that is the sense of the praise to the super-colour, which is and appears as it is, without margin of error, without any corner hidden from the light, without overlapping shades. Simply, endlessly, essentially White.

Editorial

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E42 - La città bianca Testo di Alessandra Contessa Traduzione di Maria Letizia Pazzi Foto di Giuseppe Felici «Così come il nero, anche il bianco contiene un mistero; non ha limiti, non ha ombre, non si sa ove questo colore esista veramente e se, come il nero, esso veramente esista». Queste le parole del pittore Giorgio De Chirico all'amico e collega Ezio Gribaudo in una lettera datata 23 gennaio 1969. Il mito del bianco, ripreso da De Chirico in alcune delle sue opere più rappresentative, quali le Piazze d'Italia, affonda le sue radici nella classicità, nelle antiche architetture greche e romane, così come nella scultura. In questa serie di dipinti, memorie architettoniche di un lontano passato, con i loro contorni netti e regolari e con arcate che si ripetono ritmicamente lungo l'intera facciata degli edifici, si stagliano su un paesaggio silenzioso e desolato, abitato solamente da statue e da piccoli uomini che non riescono a rompere il silenzio dal quale sono circondati. Quest'idea di città, che sembrerebbe rifuggire dai limiti del tempo e dello spazio, non è rimasta soltanto una metafisica rappresentazione pittorica, ma ha trovato reale consistenza in uno dei progetti più valorosi della storia italiana tra le due guerre: il quartiere E42 a Roma. Questo disegno nasce nel 1936 dalla volontà di Mussolini di realizzare nella capitale un'esposizione universale che potesse dare maggiore lustro all'Italia ed al suo regime, per il quale le mostre erano sempre state, a partire da quella della Rivoluzione fascista del 1932, uno strumento di propaganda, espressione di una visione totalitaria della cultura, dell'arte e naturalmente della politica. Il risultato, pur se incompleto, lascia a bocca aperta chiunque, ancora oggi, si accinge a camminare per quei luoghi, che sembrano trascinare lo spettatore all'interno di una rappresentazione teatrale, dove ogni edificio ed ogni scorcio prospettico fungono da quinta scenografica. Non a caso, del resto, Mussolini fece della spettacolarizzazione e del manierismo un'efficace arma di persuasione. La costruzione della nuova zona di espansione di Roma diventa, dunque, il pretesto per la creazione di spazi e volumi che, attingendo dalle forme e dalle tradizioni proprie dell'arte classica, celebrano la rinascita del nuovo grande impero mussoliniano e proprio come le diafane architetture della Roma imperiale, lo celebrano in bianco. Emblematiche le parole che Marcello Piacentini, nominato soprintendente all’architettura, ai parchi ed ai Museo della Civiltà Romana - Ph. Arch. Giuseppe Felici instagram.com/giuseppe_felici/

giardini, rivolge a Vittorio Cini, commissario dell'intera organizzazione: «(...) I più grandi edifici dell'Esposizione, che poi diverranno stabili, penso dovrebbero tutti insieme costituire un immenso foro. Lei immagini di collocarsi nel mezzo del foro Romano, tra piazze, colonnati, passaggi, archi, etc. e di vedere in fondo a sinistra il Colosseo e in fondo a destra il Campidoglio. Un'analoga visione classica ma moderna, modernissima: e qui raccolte tutte le mostre di esaltazione e della Civiltà latina e fascista». Un immenso museo a cielo aperto dove l'architettura, intesa nella sua più alta idea di simmetria, ritmicità e proporzione, dava vita ad uno stile puramente "fascista", che si rifaceva anche alle coeve espressioni stilistiche di numerosi altri edifici, come il Palais de Chaillot di Parigi, le sedi dei Soviet o le opere di Albert Speer. Il candore del marmo e del travertino, oltre ad aumentare la monumentalità e la plasticità dei volumi, accentua il contrasto tra luci ed ombre, tra pieni e vuoti; questa dualità era stata straordinariamente anticipata dalla pittura di De Chirico, dove le architetture illuminate dal sole stagliano sul terreno ombre che sembrano celare enigmi e profondi misteri, primo tra tutti quello dell'esistenza umana. Seppur l'enigma dechirichiano rimane irrisolvibile, la sua opera diventa espressione di un'arte che vuole evadere dalla realtà, per parlare d'altro, in completa autonomia; allo stesso modo la riaffermazione di un classicità nel mondo architettonico degli anni Trenta da parte dei regimi totalitari di Hitler, Stalin e dello stesso Mussolini, segna una radicale inversione di rotta rispetto alle moderne e rivoluzionarie tendenze stilistiche del Movimento Moderno. La città bianca, come venne successivamente denominata, rappresenta, dunque, l'investigazione di una purezza ed una perfezione estetica all'epoca alquanto ricercata, dove ogni elemento è in equilibrio con il tutto, dove l'architettura è sottoposta, come nelle Piazze d'Italia del pictor optimus, al giogo delle proporzioni, della linearità e dell'armonia delle forme, dove proprio il bianco contribuisce all'esaltazione di queste relazioni, assumendo il ruolo di vero protagonista. Lo stesso De Chirico afferma: «Nella parola metafisica non vedo nulla di tenebroso: è la tranquillità stessa e la bellezza priva di senso della materia che mi sembra metafisica, e tanto più metafisici sono gli oggetti, che per il nitore delle tinte e l'esattezza delle proposizioni si trovano agli antipodi d'ogni confusione, d'ogni nebulosità». 11


Quello che vediamo oggi però dell'E42, non è che una parte del valoroso progetto mussoliniano: il Palazzo della Civiltà Italiana di Guerrini, Lapadula e Romano, il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi di Libera, la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Foschini e gli altri edifici realizzati, dovevano rientrare all'interno di un disegno molto più complesso ed elaborato, che sarebbe culminato nel grande arco trionfale di Adalbero Libera alla fine dell'esposizione; ma la guerra e gli orrori che si portò dietro costrinsero il duce a prorogarne l'apertura Il tanto auspicato giorno dell'inaugurazione purtroppo, non avvenne mai, perchè il conflitto si dimostrò più lungo e sanguinoso del previsto, mettendo in ginocchio l'intero paese. Per anni l'EUR rimase una solitaria e silenziosa "città morta", scenario di abbandono e decadenza: «un landscape metafisico apparentemente uscito da un quadro di De Chirico - afferma lo storico Fulvio Irace statue monche, lastre spezzate, monoliti di fabbriche sospese; quasi una piranesiana fantasia di "antichità romane», trasposizione evidente delle emozioni impresse dal pittore nei suoi quadri con un'intuizione quasi visionaria, dove l'architettura ed il paesaggio si mescolano armonicamente, negando la presenza di tracce umane. All'indomani del conflitto, quando si decise di riprendere in mano il progetto dell'E42 nel 1951 per portarlo a compimento, con una visione più contemporanea, ma rispettosa dell'idea originaria, sarà proprio il bianco del marmo e del travertino ad essere completamente negato, rappresentando un riferimento troppo diretto al

Fascismo che bisognava cancellare. I nuovi edifici furono realizzati, oltre che in acciaio e vetro, anche in laterizio, un materiale povero che rispecchiava il carattere ed i bisogni reali di una società che, attanagliata da anni di guerre, rifuggiva qualsiasi ideale di onnipotenza. Un esempio calzante è il Palazzo per la mostra dei LL.PP. all'EUR, che progettato in marmo bianco nel 1938 da Augusto Baccin, Luigi Orestano, Luigi Vagnetti, Augusto Cavalli Murat e Arturo Capo, venne costruito completamente in mattoni nel 1955, stravolgendone l'idea originaria. Pur avendo modificato nel corso degli anni l'immagine che l'aveva contraddistinta inizialmente, la città bianca ha comunque preservato quel fascino e quella bellezza più forti del trascorrere inesorabile del tempo, come quel quadro che non cessa mai di trasmettere le stesse emozioni ogni volta che ci si sofferma a guardarlo.

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Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari - Ph. Arch. Giuseppe Felici - instagram.com/giuseppe_felici/

G. De Chirico, lettera I bianchi di Ezio Gribaudo, 23 gennaio 1969. Lettera di Marcello Piacentini a Vittorio Cini, 23 gennaio 1937 in Mussolini architetto, a cura di P. Nicoloso, Torino 2011, p. 200. 3 G. Ciucci, Dall’E42 all’Eur. Una storia ancora incompleta in “Casabella”, a. 51, n. 539, ottobre 1987, pp. 34-37: p. 36. 4 C. Bertelli, G. Briganti, A. Giuliano, Storia dell’Arte Italiana, Milano 1992, p. 431. 5 F. Irace, L’architettura dell’Eur in Esposizione Universale di Roma. Una città nuova dal fascismo agli anni ‘60 a cura di Vittorio Vidotto, Roma 2015, p. 53. 1 2


E42 - The white town

In 1936 Mussolini decided to hold a world exhibition in the Italian capital, aiming to give more prestige to the country and his regime, because he had considered exhibitions to be a propaganda tool, an expression of a totalitarian culture, art and politics since the 1932 Fascist Revolution. The outcome, though incomplete, impressed everyone and anyone who nowadays walks through such places and is dragged into a theatre play, where each building and perspective serve as a theatrical setting. Moreover, it is no coincidence that

Mussolini made spectacularity and Mannerism an effective persuasion instrument. Therefore, building the new expansion area of Rome acts as an excuse to create spaces and volumes, which celebrate the rebirth of the new great Mussolini empire by emulating the classical shapes and traditions, and employing white in accordance to the Roman Imperial diaphanous architecture. Marcello Piacentini, who was appointed superintendent of architecture for parks and gardens, told Vittorio Cini, commissioner of the entire organisation: «(...) I believe the greater Exposition buildings, which will then become permanent facilities, should be assembled and create a huge forum. Images to be in the middle of the Roman forum, between squares, columns, leaps, arches, etc. and see the Colosseum on the bottom left and the Capitoline Hill on the bottom right. A similar classic yet modern vision, very modern: all the exhibitions that enhance the Latin and Fascist culture». A huge open-air museum where the architecture, interpreted as the ultimate idea of symmetry, rhythm and proportion, gave birth to a purely “Fascist” style, which also drew inspiration from the coeval stylistic expression of many other buildings, such as the Palais de Chaillot in Paris, the headquarters of the Soviets or the works of Albert Speer . The whiteness of the marble and travertine, increases the monumentality and plasticity of the volumes and accentuates the contrast between light and shadow,

Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi - Ph. Arch. Giuseppe Felici instagram.com/giuseppe_felici/

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Painter Giorgio De Chirico wrote to his friend and colleague Ezio Gribaudo in a letter dated 23rd January, 1969: «Similarly to black, white contains mystery; it has no limits, no shadows, where such colour really exists and whether it does exist is not known». The myth of white, which inspired De Chirico in some of his most representative works, such as Piazze d’Italia, is rooted in the classical period, in the ancient Greek and Roman architecture, as well as in sculpture. In such series of paintings, architectural memories of a distant past stand out on a quiet and desolate landscape, which is only inhabited by statues and small men, unable to break the silence around them. Such town project, which would seem to shy away from the limits of time and space, did not result in a mere metaphysical pictorial representation, but rather in one of the most courageous Fascist projects: district E42 in Rome.


between solids and voids; such duality had extraordinarily been anticipated by De Chirico paintings, where the architectures enlightened by the sun create shadows on the ground, which seem to hide profound mysteries and enigmas, especially human existence. Although the De Chirico enigma remains unsolvable, his work becomes expresses of art that aimed at escaping from reality, in order to discuss something else in complete autonomy; it also reaffirms the typical classicism of the Thirties architecture promoted by totalitarian regimes, such as Nazism, Communism and Fascism. De Chirico marks a radical change from the modern and revolutionary stylistic trends of the Modern Movement. The white town, as it was later called, investigates on the purity and the refined aesthetic perfection of that time; each element stands in balance with the entire structure. Similarly to Piazze d’Italia by the pictor optimus (great painter), the architecture is subjected to proportions, linearity and harmony of shapes and white contributes to the enhancement of such relations, by playing the protagonist role. De Chirico himself said: «I believe the term metaphysics is not disturbing: the material seems metaphysics due to its tranquillity and baeauty, and the object are even more metaphysical. Such elements mark the antipodes of any confusion or nebulosity by means of the clarity of the shades and the accuracy of the propositions». The current E42 is actually nothing but one part of Mussolini’s bold project: the Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi della Civiltà Italiana by Guerrini, Lapadula,

and Romano, the Palazzo dei Congressi by Libera, the Chiesa dei Santi Pietro e Paolo by Foschini as well as other buildings, should have been a part of a much more complex and elaborate design, which would culminate at the end of the exposition in the great triumphal arch by Adalbero Libera. However, the war and the horrors that were brought about, forced the dux to postpone the long awaited opening, which unfortunately never took place, since the conflict proved to be longer and bloodier than expected, and affected the entire country. For years, EUR has remained a solitary and silent “dead town”, the symbol of neglect and decay: the historian Fulvio Irace said: «A metaphysical landscape which seems to derive from a De Chirico painting, mutilated statues, broken plates, monoliths of suspended factories. Moreover, it resembles a Piranesi-style fantasy of ‘Roman antiquities», an obvious transposition of emotions from the painter’s mind to the physical work by means of an almost visionary intuition, where the architecture and the landscape blend harmoniously and deny the existence of human traces. In 1951, when the E42 project was planned to be ultimately finished in a more contemporary, yet respectful vision compared the original idea, the whiteness of marbles and travertines was completely denied, since it was considered as a too direct reference to the banned Fascism. New structures were built by using steel, glass and brick, which is a poor material that reflected the character and the real needs of the society. The citizens, who had been oppressed by wars, did indeed flee any ideal of

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Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi - Ph. Arch. Giuseppe Felici instagram.com/giuseppe_felici/


omnipotence. The Palace dedicated to the exhibition of LL.PP. in EUR acts as an example. Augustus Baccin, Luigi Orestano, Luigi Vagnetti, Augusto Cavalli Murat and Arturo Capo designed it in 1938, imagining white marble to be the main material; however the structure was completely built in brick in 1955, distorting the original idea. Although the image that had first distinguished the area has been modified over the years, the white town has still preserved charm and beauty, which proved to be stronger than time, similarly to the picture that has always transmitted the same emotions each time someone stops to watch it. G. De Chirico, I bianchi di Ezio Gribaudo, letter, 23rd January, 1969. Letter by Marcello Piacentini to Vittorio Cini, 23rd January, 1937 in Mussolini architetto, edited by P. Nicoloso, Turin 2011, p. 200. 3 G. Ciucci, Dall’E42 all’Eur. Una storia ancora incompleta in “Casabella”, a. 51, n. 539, October 1987, pp. 34-37: p. 36. 4 C. Bertelli, G. Briganti, A. Giuliano, Storia dell’Arte Italiana, Milan, 1992, p. 431. 5 F. Irace, L’architettura dell’Eur in Esposizione Universale di Roma. Una città nuova dal fascismo agli anni ‘60, edited by Vittorio Vidotto, Rome, 2015, p. 53. 1 2

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Palazzo della CiviltĂ Italiana - Ph. Arch. Giuseppe Felici instagram.com/giuseppe_felici/


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Veduta del Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi da Viale della CiviltĂ del Lavoro - Ph. Arch. Giuseppe Felici - instagram.com/giuseppe_felici/


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Bianco "Borromini" Testo di Iacopo Benincampi Traduzione di Maria Letizia Pazzi

Estremamente originale nella sua produzione artistica, Francesco Castelli (1599-1667) – meglio noto come il Borromini – ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’architettura. Infatti, questo professionista ticinese, negando che l’universalità della regola coincida unicamente con la formulazione codificata dalla tradizione del tardo Cinquecento e del primo Seicento, si è proposto di dimostrare l’esistenza di altre possibilità espressive, latenti nei confini di queste consuetudini: margini malleabili ed ampliabili attraverso l’inclusione di nuovi input capaci di determinare moderne elaborazioni, innovativi ritmi e favorire una lettura unitaria dell’opera. Centralizzare lo spazio: questo è il fine ultimo dell’agire borrominiano, sempre rivolto alla ricerca di un equilibrio di per sé precario, perché carico di tensione, al cui bilanciamento ha collaborato anche il colore. In realtà, l’adozione del bianco non costituisce una singolarità del modus operandi di questo architetto. Ciononostante, la sua presenza nelle realizzazioni di quest’ultimo si può provare ad interpretare come una precisa intentio auctoris. Del resto, se si assume in via assoluta la ricerca di una ferrea coerenza come cardine di ciascuno degli esiti architettonici di Borromini, appare plausibile supporre che l’utilizzo di questa tonalità consentisse l’esaltazione stessa delle membrature, accentuandone la vibrazione, sintomo della presenza di un dinamismo occulto. Così, il chiaroscuro si fa più intenso, la drammaticità emerge e si rende pressante in un continuo richiamo fra gli elementi che non lascia mai riposare l’attenzione dell’osservatore. L’immagine appare unica nel suo insieme e la frammentarietà scompare nel colore, lasciando affiorare la nettezza delle forme, la puntualità del lessico, la precisione della sintassi. Si tratta di un atteggiamento che si potrebbe definire scultoreo, alla maniera di Michelangelo (1475-1564): la profondità e la tridimensionalità assumono forza nell’intaglio e nelle ombre, permeando il risultato finale di un sentimento che è indice di illusorietà, in quanto prodotto della mente. Ma il bianco non è solo questo. Questa nuance – somma dei sette colori dell’iride – può anche intendersi come sinonimo d’identità. Infatti, costituendosi quale “discriminante” dal contesto, il monocromo può assurgere a strumento di gerarchizzazione all’interno di un singolo brano di città, individuando l’edificio sacro all’interno dell’uniforme tessuto abitato. Del resto, la chiesa rappresenta il luogo di raccolta del popolo in

preghiera, la casa del Signore, il centro della vita religiosa e comunitaria delle realtà più piccole. Pertanto, una simile emergenza non può passare inosservata o essere confusa con altro: un’intuizione che anche Borromini ha inteso sviluppando però questa volta non tanto una propria idea quanto piuttosto una riflessione dello zio. Infatti, Carlo Maderno (1556-1629) aveva compreso che per inserire un edificio “nobile” all’interno di un ambiente più popolare era necessario prefigurare una mediazione, ovvero stabilire una dialettica fra l’emergenza e l’intorno che fosse mutuata in maniera graduale perché la separazione non risultasse troppo netta e quindi leggibile come una rottura e non una continuità. Conseguentemente, sull’esempio della chiesa romana di Santa Susanna (dal 1603), in cui il parente aveva apposto due ali di mattoni a compendio della facciata lapidea, anche il ticinese propone un’ipotesi simile nella progettazione del celebre oratorio dei filippini (dal 1637), centrando la chiesa di Santa Maria in Vallicella (dal 1577) all’interno di un trittico: una composizione a tre elementi di cui i due laterali, uguali e differenti dal centrale, avrebbero celebrato il terzo, sublimandone la monumentalità, la severa nobiltà e il pregio della materia. Dunque, il bianco in questo caso di pone come consecutio logica e non come aprioristica condizione, esaltando la distinzione materica mattoni-pietra, in cui necessariamente l’adozione del bianco-giallino del travertino non può non porsi che a sostegno dell’aspetto dell’edificio religioso: un carattere elitario che, variamente diffuso ed esteso a quasi tutte le facciate di chiesa in città, sembra stabilire un preciso segno di riconoscimento per questo genere di manufatti, nonché un termine di categorizzazione generale. In verità, l’impiego di materiali anche diversi a contrasto cromatico all’esterno degli edifici è stato in voga fin dall’antichità, sopravvivendo anche in epoca medievale. Pertanto, non si tratta di una innovazione in sé per sé, quanto piuttosto di un desiderio di continuità rispetto al passato, aspirazione propria dell’ideologia barocca. Certo, non si può e non si deve confondere questo approccio con il “mito del bianco” che successivamente è diventato cardine della poetica neoclassicista: un atto di decoro e incrementazione del prestigio alle abitazioni di una classe aristocratica volenterosa di differenziarsi dagli altri ceti sociali nonché immagine precisa del potere dello Stato nei suoi edifici pubblici. «Poiché il colore bianco è quello che rimanda più raggi di luce, di conseguenza si fa più sensibile; così anche

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un corpo bello lo sarà ancor di più nella misura in cui sarà più bianco». Così, Johann Joachim Winckelmann (11717-68) suppone nel suo celebre scritto Geschichte der kunst de Altertums (1764) proponendo una armonizzazione che, associando all’antichità un’astratta assenza di tonalità, auspica il conseguimento di un ideale artistico lontano dalla realtà e celato in iperuranio indisponibile a qualsiasi dibattito. Eppure, la lezione di Borromini di San Carlino alle Quattro Fontane (dal 1634) – poi sviluppata in S. Ivo alla Sapienza (dal 1642) – nonché della coeva chiesa dei Santi Luca e Martina (dal 1634) di Pietro Berrettini da Cortona (1596-1669) era stata chiara: il bianco non si pone come soluzione ma, altresì, come un quesito aperto, una pre-condizione al colore, un tentativo di agevolare nell’osservatore la comprensione del modello teorico-programmatico dell’architettura. In definitiva, esso diviene espressone di una sospensione di giudizio. E, in tal modo forse, si potrebbe interpretare il bianco in Borromini: una volontà di trasfigurare la materia attraverso la luce secondo un albus diverso dal candidus, perché intriso di un sentimento tanto religioso quanto pratico. Per dirla con le parole dello stesso architetto: «non volli indorare né dipingere, ma gli diedi il colore del travertino, il che ha del grande assai e si fece con poca spesa».

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“Borromini” white Francesco Castelli (1599-1667) - better known as Borromini – has marked the architectural history with his extremely original artistic work. The professional from Ticino denied that the universality of the rule only corresponds to the formulation which has been decoded by the late Sixteenth and early Seventeenth Century tradition. Therefore he aimed to prove the existence of other expressive possibilities that hide within the borders of such traditions: malleable edges that may be expanded by means of new inputs that could bring about modern creations, innovative rhythms and foster a unitary interpretation of the work. Centralising space is the ultimate goal of Borromini’s actions, alongside with seeking a balance, in itself precarious due to its tension, which is partly stabilised by the colour. In fact, the adoption of white is not a singularity of the architect modus operandi, however it may be interpreted as a precise intentio auctoris. Moreover, because Borromini pursued a strict consistency as the absolute principle of each of his architectural results, the implementation of white may enhance the frames, and emphasise the vibration which indicate a hidden dynamism. Thus, the chiaroscuro intensifies, the drama emerges and the viewer’s eye is constantly pointed towards the continuous connection of the elements. The image appears as a whole and its fragmented nature disappears within the colour; the clarity of forms, the punctuality of the lexicon, and the accuracy of the

Roma, F. Borromini, Complesso dei Filippini, esterno (dal 1637) Ph. Iacopo Benincampi


syntax emerge. Such technique may be called “sculptural”, in the manner of Michelangelo (14751564): the depth and three-dimensionality gain strength in the incisions and in the shadows, therefore the final result is rife with a mind-produced illusory feeling. White - the sum of the seven colours of the iris - may also be considered as a synonymous of identity. The monochrome may act as a hierarchy tool within a single element of the city, since it is a “distinctive” feature in the context, and it identifies the sacred building within the uniform urban tissue. Besides, church is the gathering place for praying people, the house of God, the centre of the religious life of the smallest communities. Therefore, even Borromini, developing one of his uncle’s ideas, realised that such emergency cannot remain unnoticed or be confused with something else. Carlo Maderno (1556-1629) had indeed noticed that a mediation was to be created in order to integrate a “noble” building within a more popular atmosphere by establishing a gradual dialectic between the emergency and the surrounding area, provided that the separation did not appear too sharp and was not interpreted as a rupture instead of a continuous. Consequently, Borromini followed the example of the Roman church of Santa Susanna (from 1603), where Maderno had affixed two brick wings as a summary of the stone facade, and designed the famous Oratory of Saint Phillip Neri (from 1637 ), placing the church of Santa Maria in Vallicella (from 1577) in the middle of a triptych. The composition consists of three elements, namely two on the sides which are both equal

and different from the central and celebrate the third by exalting its monumentality, severe nobility and material quality. Therefore, in this case white acts as a logic consecutio and not as an a priori condition, emphasises the brick-stone material distinction; the whiteyellowish travertine is necessarily the support of the religious building image: such elitist feature, which is largely spread and applied to almost all church facades in the city, seems to establish a precise sign of recognition for this kind of artifacts, as well as a general categorisation. The use of different materials with chromatic contrast in the external part of the buildings has actually been in vogue since ancient times, even during the Middle Ages. Therefore, it can’t be defined as an actual innovation, but rather a desire to emulate the past, which was a typical baroque ideology. Such approach shall not be confused with the ‘myth of white’ which has later become the symbol of neoclassicist poetry: aristocratic buildings are therefore given dignity and prestige in order to distinguish high social classes from low ones; similarly such approach became the image of the State’s power in its public buildings. Johann Joachim Winckelmann (1717-1768) wrote in his famous Geschichte der kunst de Altertums (1764): «Because white is the colour that reflects more rays of light and consequently becomes more sensitive, the more white a body contains, the more beauty it will gain». He proposed a harmonisation aimed at achieving a non-realistic artistic ideal hidden in a unquestionable hyperuranium by associating antiquity with an abstract

Roma, F. Borromini, S. Carlino alle Quattro Fontane, interno, dettaglio della trabeazione (dal 1634) - Ph. Iacopo Benincampi

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lack of shade. Yet the lesson of Borromini’s San Carlo alle Quattro Fontane (from 1634), which has later become S. Ivo alla Sapienza (1642), as well as the contemporary Chiesa dei Santi Luca e Martina (from 1634) by Pietro Berrettini from Cortona (1596 -1669) was clear: white does not act as a solution, but rather as an open question, a pre-condition to colour, an attempt to help the observer understand the theoretical and programmatic architecture model. Ultimately, it expresses a “suspension of judgment”. Borromini’s white may be defined as a will to transfigure the matter through light following an albus instead of a candidus, since it embodies a religious as well as practical feeling. The architect himself stated: «I did not aim to gild or paint, I coloured it with the shade of travertine, which was great and inexpensive».

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Roma, F. Borromini, S. Carlino alle Quattro Fontane - Di Chris Nas - Opera propria, CC BY-SA 3.0 https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4313570


Roma, F. Borromini, Sant’Ivo alla Sapienza - Di Fb78 - Opera propria, CC BY-SA 3.0 https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=188097

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Roma, F. Borromini, Sant’Ivo alla Sapienza - Di Jastrow - Opera propria, Pubblico dominio https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1863729


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Roma, F. Borromini, Sant’Ivo alla Sapienza - Ph. Gianfranco Bella


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Abitare Bianco Mediterraneo Testo e traduzione di Valentina Radi Foto di Daniele Domenicali La musicalità delle cromie lattee che dai tetti di abitazioni si rifrangono come spuma d’argento sulle acque all’alzarsi della luna, ci raccontano quei paesaggi che Maupassant cattura nelle sue parole e che in noi sono vivo riferimento di atmosfere mediterranee. Percezione che richiama un’idea unica, singolare e plurale di luce, di colori, di suoni, di odori, una dimensione spaziale caratterizzata dalla centralità dell’uomo e dei suoi bisogni, governata dai principi eterni della tradizione, modulati sulla dimensione umana nei caratteri del paesaggio, alla ricerca di un’ampia armonia, fra natura, uomo e ambiente costruito. Descrizione che ci rivela i caratteri comuni di una mediterraneità in cui «abitare è la qualità essenziale dell’esistenza» e si rivela negli elementi costruiti del recinto, del muro, della corte, dell’acqua e del colore Bianco, componenti atemporali condivise da differenti culture e civiltà che si riflettono sullo stesso mare, avendo in comune un’ampia dimensione territoriale, geografica e climatica. Territori in cui i paesaggi sono generati e disegnati dalla luce, attraverso la chiarezza, il candore e la lucentezza del colore bianco, che come componente costruttiva porta con se un valore culturale, sociale, simbolico, spirituale e materico e che in forma proustiana evoca luoghi del presente definiti da una stratificazione storica spontanea che si amalgama alle ricercate azioni contemporanee, che attingono dalla memoria. Bianco che dal greco antico, λευκός leukòs, riconduce all’acqua e al Sole, ci rivela il profondo legame con le primigenie risorse, che fanno parte e su cui si modella il progetto dell’architettura presso i popoli del Mare Nostrum, come simbolo identitario dell’agire dell’uomo sulla natura. Ingrediente intrinseco delle città e del costruito che fuso nel paesaggio ci proietta nel modello complesso di uno scenario dato da un’ordinata combinazione fra colore e luce. Accordi di relazioni modulati come incontro di frequenze armoniche, che svelano luoghi esistenti e orientano i nuovi intenti progettuali, per raggiungere una particolare percezione visiva, di elementi e spazi, di cui il paesaggio si andrà a comporre siano essi naturali o artificiali. Rivelandoci la genesi di luoghi e architetture, ordinate in gerarchie attraverso Studio RCF & Partners, Hotel “Al Cavallino Bianco”, Riccione (RN), 2013 Ph. Daniele Domenicali ©

contrasti d’ombra, che vanno dal buio, alla luce abbagliante, a infinite gradazioni di luminosità, direzionata o moderata che guidano l’uomo in un percorso equilibrato di pieni e vuoti, masse e volumi dalle geometrie prismatiche regolari, compatte ed articolate, che hanno come archetipo le preesistenze naturali ed urbane. Il bianco delle superfici è in grado di determinare, attraverso queste relazioni, differenti percezioni della materia intrinseca del costruito, in un continuo bilanciamento di effetti di leggerezza e pesantezza. Infatti, le alte e massicce murature con superfici d’intonaco bianco si alleggeriscono nell’incontro con la luce, la profondità del cielo e dell’acqua. Effetto percepibile direttamente all’esterno attraverso la riflessione dei raggi luminosi e interiormente per effetto d’illuminazione indiretta degli ambienti abitati. Luce che sottolinea i caratteri plastici delle forme geometriche solide conferendo morbidezza all’involucro, valorizzando la capacità captante ed illuminante, verso gli interni, dalle piccole aperture, impaginate con armonia sulle facciate dei piccoli e grandi complessi. L’incontro ancora più sfumato ed impalpabile è con i diaframmi forati che in superficie si appoggiano alle murature perimetrali o creano scenari di ambienti interno-esterni climaticamente controllati, in continuità al costruito. Spazi realizzati da quinte permeabili composte da elementi in metallo e legno dal colore bianco, che ricalcano forme della tradizione, e che generano spazi d’ombra con effetti di trasparenza e smaterializzazione del paramento murario e decorativo a cui si relazionano. Luoghi artificiali che invitano l’uomo a vivere in continuità i differenti paesaggi che la natura e il piacevole microclima offrono, attraverso relazioni visive e percettive. Il bianco è quindi il linguaggio identificativo di un fenomeno culturale di tradizioni storiche, di relazioni umane e sociali, religiose e climatiche. Componete essenziale per un progetto che si pone a favore dei fenomeni naturali per garantire il benessere di vita dell’uomo, inteso come benessere emotivo, visivo, percettivo e corporeo. Colore che ha un valore come significante e significato, simbolo della classicità e proprio delle chiare superfici riflettenti dei marmi e dell’opacità della calce bianca e 31


degli intonaci applicati alla muratura, che imprigionano il tempo come elemento di bellezza nel loro modificarsi cromaticamente e superficialmente in relazione alla singola capacità di reagire al sole, al vento, alla pioggia, alla vita della città che li circonda dando prova della loro vitalità. Filo con cui si tesse uno scenario artificiale, nelle cui sfumature si rivela la patina del tempo che descrive la storia e in cui si riscoprono i caratteri dell’architettura contemporanea.

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Living White Mediterranean The musicality of milky tonalities which come from rooftop abodes as silver frothy waves-breaking onto waters at the moonrise, tells us those landscapes that Maupassant captured into his words and are vibrant reference to Mediterranean atmospheres for us. Such perception recalls a unique, singular, and plural idea of light, colours, sounds, scents. Still, a spatial dimension charactherized by the centrality of man and his needs, managed by eternal principles of tradition modulated towards the human dimension within the environment features, in the research of a vast harmony among nature, human, and artificial environment. This description reveals the common properties of Mediterranean way in which «living is the essential quality of the existence» and they are shown through the artificial elements of the fence, the wall, the courtyard, the water, and the white colour. These are timeless elements shared by several cultures and societies which reflect themselves into the very sea, commonly having a huge dimension in terms of territory, geography and climate. In the above-mentioned territories, landscapes are created and designed by the light, thanks to brightness, whiteness, and shininess of the colour white, which entails, in quality of building component, a value about culture, society, symbol, spirit, and matter. Plus, in a Proust way, it evokes current places which configuration is due to a spontaneous historical stratification that blends with refined contemporaneous actions gleaning from memory. Bianco, tracing back to the water and the sun from archaic

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Greek form λευκός leukòs, denotes a deep connection with the premordial resources that are part of and inspire the architecture project of the community of Mare Nostrum as identity symbol of man-acting on nature. The intrinsic factor of the cities and buildings which is blended with landscape makes see the complex model of a scenery due to ordinary combination between colour and light. Such relations accords are considered as a meeting point of harmonious frequencies that both show existing places and guide new project intents in order to reach a precise visual perception of elements and spaces, whether artificial or natural, that will be composing the landscape. It has revealed the genesis of places and architectures put in order through shadow contrasts going from darkness, dazzling lights, up to limitless light gradations, either directional or moderate one, that guide the human through a balanced path composed by full or empty zones, and masses and volumes which regular prismatic structures, both solid and complex, which archetype are natural and urban pre-existences. Thanks to those relations agreements, the white colour on surfaces is capable to determine different perceptions of the intrinsic matter of buildings through a constant balancing of lightness and heaviness effects. In fact, the high and massive stoneworks coated by white plaster seem lighter meeting with light, depth of the sky and water. The effect is directly perceptible outdoor through the reflection of rays of light and indoor thanks to reflected light of inhabited environments. The light underlines the plastic aspects of solid geometric shapes giving softness sense to the building envelope while enhancing the capturing and

lighting capability, towards indoors, thanks to small openings harmoniously embedded in the facades of small and big complexes. The more impalpable and faded combination is due to the perforated surfaces which lay on the external walls or create scenery of inner-outer climate-controlled environments as continuity of building. Spaces made of permeable scenary flat composed by white metal and wooden elements follow the tradition and generate shadow zones with transparence and dematerialization of masonry curtains and ornamentation which they are related to. Such artificial places recommend mankind to constantly feel the several landscapes that nature and pleasant microclimate offer through visual and perception relations. The white colour is therefore the identification code of cultural phenomenon concerning human, social, religious, and climatic relations and historical traditions. It is an essential component for a project respecting natural phenomenon in order to guarantee the life wellbeing of men, meant as emotional, visual, perceptional and corporeal wellness. The colour that has a value as signifier and signified as an emblem of classical style and pertaining to reflecting light surfaces of marbles plus opaqueness of white lime and plaster laid on the walls that keep the time as beauty element whereas they modify themselves in chromatically and superficially in relation to the single possibility of reacting at the sunlight, wind, rain, and city life that sourround them proving their vitality. That’s a string assembling an artificial scenery which fades reveal the time patina describing the history and in which the characters of contemporaneous architecture are rediscovered.

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Bianco e restauro: il protagonismo del neutro Testo di Fabio Marcelli Traduzione di Lucrezia Parboni Arquati

«Il colore bianco è un veleno per un quadro, usatelo solo per i dettagli luminosi» Pieter Paul Rubens Nell’immaginario collettivo il bianco è il non-colore, per la teoria dei colori invece il bianco è il risultato della sintesi additiva di tutti i colori quindi, al contrario, il colore per eccellenza. Non ci soffermeremo sulla diatriba tra Newton e Goethe, tra scienza e sentimento, anche perché la ragione vacillerebbe nel desiderio di condividere che un fenomeno naturale come quello dei colori, apportatore di intense emozioni estetiche ed emotive, non possa essere spiegato attraverso una teoria scientifica meccanicistica e, come il letterato tedesco, vorremmo stupirci quando «guardando un muro bianco attraverso il prisma, esso era rimasto bianco»1. Strano colore il bianco, da un lato sembrerebbe privo di un proprio carattere, manifestazione cromatica stessa del vuoto che la tradizione popolare esprime in quel “come un foglio bianco”; dall’altro suprema sintesi dei colori, elemento primario e primigenio (Yang) sinergico al complementare nero (Yin) non a caso originato per opposta sintesi sottrattiva. Qualunque essa sia la personale idea su di esso, oggi il bianco in architettura rimane spesso la scelta per esprimere i valori classici dell’antico, la purezza e la modernità delle forme, o comunque tutti quegli aspetti della poetica dello spazio connessi alla luce e all’assoluto. Questo rapporto tra colore e concetti mentali si definisce nel tempo attraverso degli snodi storici che, parallelamente, delineano le interfacce concettuali tra bianco e restauro. Bianco e restauro si incontrano la prima volta agli inizi del Cinquecento con la scoperta del Laocoonte, in realtà non ne sono consapevoli, anzi il restauro non è neanche consapevole di se stesso (fino al Settecento il restauro come lo consideriamo oggi praticamente non esiste) ma la scoperta del gruppo scultoreo viene a rappresentare una importante tappa nel percorso di definizione reciproco. Il candido sacerdote abbaglia letteralmente gli artisti dell’epoca sancendo la vittoria della monocromia del bianco nel gusto estetico del tempo e del futuro in virtù di un’errata interpretazione che trasforma in scelta estetica gli effetti della permanenza sottoterra. Contemporaneamente il Laocoonte oltre che dell’equivoco esegetico sulla cromia classica, è anche protagonista paradigmatico di uno dei maggiori errori metodologici del restauro portato ad esempio

ancora oggi e che rappresenta un tassello, anzi uno dei maggiori mattoni fondanti la definizione della disciplina, ma questa è un’altra storia che ci condurrebbe troppo lontano, torniamo invece ai nostri protagonisti che si incontrano nuovamente due secoli più tardi nel Settecento. Poco dopo la metà del secolo Winckelmann coi suoi Pensieri sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura autentica definitivamente il mito del bianco dell’antichità classica come simbolo stesso di quell’ideale estetico, in quegli stessi anni il restauro si trasforma da riuso a conservazione attraverso un processo di storicizzazione del passato che ha anche nel neoclassicismo uno dei principali elementi che sviluppano un nuovo sentire il passato ed una maggiore definizione del concetto di bene culturale in un’ottica di conservazione e trasmissione al futuro. Il secolo successivo è testimone di un ulteriore incontro tra bianco e restauro2, un incontro esemplificativo dei progressi che l’idea di conservazione stava facendo. Nel primo trentennio dell’Ottocento è ancora prassi comune l’utilizzo delle “imbiancature” come forma di restauro manutentivo, si applicavano leggere coperture di bianco di calce la cui purezza avrebbe ridonato splendore alle vetuste fabbriche, al punto che se ne auspica l’utilizzo su edifici come Palazzo Farnese, il Teatro di Marcello, il Colosseo e il Pantheon. Proprio in questi anni inizia un acceso dibattito tra i sostenitori e non di tale metodo, con posizioni che si oppongono alle scialbature riconoscendo il valore non solo alle “proprietà della costruzione”3 che sono “i più bei compartimenti che danno all’edificio una specie di ricchezza” ma anche alla patina che Boito, negli stessi anni, definirà “il colore del tempo”, posizioni che testimoniano una nuova sensibilità nell’analisi del degrado in cui i semplici depositi superficiali sono distinti dalla naturale alterazione dei materiali, nella ricerca di forme di pulitura che preservassero quest’ultima. Passa un altro secolo e il bianco vive un secondo rilancio concettuale con il Movimento Moderno che ne fa un segno linguistico nell’estetica della nuova architettura. Ma se nel Settecento la comune matrice nella riscoperta dell’antico lo aveva avvicinato al restauro, ora le strade divergono nella ricerca che il Movimento fa di forme che l’affranchino dall’uso degli stili e degli ordini del passato e dalla storia stessa in generale, Gropius nella sua Bauhaus escluderà programmaticamente

Sopra: La Loggetta delle Cariatidi (Atene, Eretteo), Jacques-Martin Tétaz, 1847 (visibili le integrazioni di Alexis Paccard 1845-46). Sotto: SCAD Museum (USA, Sottile&Sottile, Lord Aeck Sargent, Dawson Architects).

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l’insegnamento della storia e il risultato sarà la perdita di interesse per gli edifici del passato e di conseguenza per il loro restauro4. Malgrado questo allontanamento disciplinare negli sviluppi attuali il restauro farà propri quei valori espressivi di contemporaneità e purezza dei volumi che troveranno applicazione soprattutto negli aggiornamenti volumetrici di edifici esistenti, atteggiamento che riconferma il bianco come colore degli opposti: espressione cromatica dell’antico ritrovato prima, cifra stilistica del moderno ora. Attraverso questi percorsi storici fatti di esperimenti, scoperte e riflessioni il bianco arriva fino a noi colorato di significati contrapposti e complementari, acquisisce nel tempo quelle valenze espressive che il restauro mutua in una sorta di layers sovrapposti e sinergici ma che comunque sono riferibili a due grandi famiglie d’intervento: il reintegro e l’innesto. In queste due macro aree il restauro trova nel bianco il supporto cromatico ai dettami della disciplina: il bianco antico quando si voglia ricucire uno strappo della storia, il bianco moderno allorché si voglia operare un innesto nella storia. Nel primo caso il restauro attinge ai canoni di neutralità, purezza, riflesso dell’antico; nel secondo a quelli di contemporaneità, definizione stereometrica dei volumi e proiezione del moderno ma in entrambi i casi si esprime il valore critico della distinguibilità, valore fondante del restauro introdotto da Boito nel 1883 e che lo stesso illustra parafrasando un proverbio cinese: vergogna ingannare i contemporanei, vergogna anche maggiore ingannare i posteri5. Distinguibilità e ripristino dell’unità figurativa sono tra

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le principali chiavi di lettura del rapporto tra il bianco ed il restauro, ma se nell’innesto sull’antico la scelta cromatica appare congruente espressione di una giustapposizione di linguaggi diversi all’interno di un auspicabile percorso diacronico attivo nella vita del manufatto, nel caso delle integrazioni lo stesso bianco appare, alle volte, prevaricare la storia diventando il protagonista visivo nel risultato finale. Il bianco spesso diventa la strada più semplice e collaudata nel ripristino ma la ricerca di soluzioni che lavorino su diverse tessiture di materiali simili o sull’euritmia di materiali diversi potrebbe dare in alcuni casi risultati migliori, perché «sebbene sia bianco il signore degli elefanti bianchi … e bianche le pietre che i pagani antichi donavano in segno di gioia … bianche … come i veli di sposa, l’innocenza, la purezza … sebbene sia associato a quanto di più dolce, onorevole e sublime … niente è più terribile di questo colore, una volta separato dal bene»6. J.W.Goethe, Goethes Werke, Weimar, Bd. 4, p. 295 Si veda: O.Muratore, L’uso del “bianco” nel restauro architettonico a Roma nel XIX secolo, in “Bianco. Forme e visioni di architetture senza colori”, Opus Incertum, nuova serie, anno II, 2016, pp. 94-103. 3 F.Milizia, Principi di architettura civile, a cura G.Antolini, Milano, 1847, cap. III, parte terza. 4 Diversa sarà la linea del Razionalismo italiano dove tra gli anni venti e trenta del secolo vi sarà un ritorno ai valori estetici e compositivi del passato soprattutto nelle opere pubbliche, riflesso del regime politico. 5 C.Boito, incipit de I nostri vecchi monumenti. Conservare o restaurare?, in “Nuova Antologia”, vol. LXXXVII, 1886, p.480. 6 V.Capossella, La bianchezza della balena, in “Marinai, profeti e balene”, 2011. 1 2

Atene, Acropoli, restauri contemporanei.


Sopra: Castillo di Matrera, Cadice (Spagna), Carlos Quevedo Rojas. Sotto: Ex Chiesa di S.Antonio e Convento delle Clarisse, Santa Fiora (GR), 2TR Architettura

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White and restoration: the leadership of the neutral «The color white is poison for a painting, use it only for the bright details» Pieter Paul Rubens. In the collective mind white is the non-colour, instead to colour theory white is the result of additive synthesis of all colours then, on the contrary, the colour par excellence. We will not dwell on the controversy between Newton and Goethe, between science and sentiment, also because totter reason the desire to share that a natural phenomenon such as colour, bearer of intense aesthetic and emotional feelings, can not be explained by a scientific theory mechanistic and, as the German scholar, we would like to be surprised when «looking at a blank wall through the prism, it was left blank»1. Strange the colour white, it would appear from a side without its own character, colour manifestation of the void that the popular tradition expressed in that “like a blank sheet of paper”; other supreme colour synthesis, primary element and primitive (Yang) synergistic to the complementary black (Yin) is no coincidence that originates by the opposite subtractive synthesis. Whatever it is your own idea about it, now days the white in architecture is often the choice to express the classic values of the ancient, purity and modernity of the forms, or at least all those aspects of the poetics of space-related, and light the absolute. This relationship between colour and mental concepts is defined in

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time through the historical crossroads that, in parallel, outlining the conceptual interfaces between white and restoration. White and restoration meet the first time at the beginning of the sixteenth century with the discovery of the Laocoon, in reality they are not aware, or rather the restoration is not even aware of himself (until the eighteenth century restoration as we consider it today practically does not exist) but the discovery of the sculptural group comes to represent an important step in the path of mutual definition. The candid priest literally dazzles the artists of enshrining the victory of the white monochrome in the aesthetic taste of the times and of the future on the basis of an erroneous interpretation that turns into aesthetic choice the effects of staying underground. Simultaneously, the Laocoon than to the exegetical equivocation on classical cromia, it is also paradigmatic protagonist of one of the major methodological errors led to the restoration is still an example and that represents a gusset, indeed one of the major founding brick the definition of the discipline, but this is another story that would lead us too far, we return instead to our protagonists who meet again two centuries later in the eighteenth century. Shortly after mid-century Winckelmann with his Thoughts on the imitation of Greek works in painting and sculpture, definitely

Da sx: Chiesa di S.Maria, Vilanova de la Barca (Spagna), AleaOlea arquitectura. Waterford City Library (Irlanda), McCullough Mulvin Architects. Sotto:


authentic myth of the white of classical antiquity as a symbol of ideal beauty, in those same years the restoration is transformed from reuse to conservation through a historical analysis of the past process that also in the neoclassical one of the main elements that build a new feel the past and more definition of the concept of cultural heritage focusing on preservation and transmission to future. The next century is witnessing a further meeting between the white and the restoration2, a meeting of example of the progress that the idea of conservation was doing. In the first three decades of the nineteenth century is still common practice the use of “whitewashing” as a form of maintenance chores, they applied light covers of whose purity whitewash would have given back to the gory of factories that were obsolete, to the point that it hopes to use of buildings like Palazzo Farnese, the Theater of Marcellus, the Colosseum and the Pantheon. Just recently he started a heated debate between supporters and not of this method with positions that oppose the whitewashing recognizing the value not only to the “property of the building”3 which are «the most beautiful compartments that give the building a sort of wealth» but also to the patina that Boito, in the same years, will define «the colour of the time», positions which testify to a new sensitivity in the analysis of degradation in which the simple surface deposits are distinct from the natural alteration of the materials, in the search for forms cleaning that conserve it. After another century and the White lives a second

conceptual raise with the Modern Movement which makes it a linguistic sign in the aesthetics of the new architecture. But if in the eighteenth century the common matrix in the rediscovery of antiquity had approached the restoration, now the roads diverge in finding that the Movement makes forms that depart from use of styles and orders of the past and from history in general Gropius in his Bauhaus programmatically exclude the teaching of history and the result will be the loss of interest in the buildings of the past and consequently for their restoration4. Despite this removal regulate current developments in the restoration will own those expressive values of contemporary and purity of the volumes that will be applied especially in the volumetric updates of existing buildings, attitude that reconfirmation white as the colour of opposites: chromatic expression of the ancient re-found before, signature style of modern time. Through these facts historical paths of experiments, discoveries and reflections white reaches us coloured contrasting and complementary meanings, acquired over time the expressive values that the mutual restoration in a sort of overlapping and synergistic layers but still relate to two great family intervention: restoration and grafting. In these two macro areas restoration is in white, the colour support to the dictates of discipline: antique white when you want to mend a tear of history, the modern white when you want to operate a graft in history. In the first case the restoration draws to neutrality canons, purity, reflection

Neues Museum, Berlino, David Chipperfield Architects, ripristino dello scalone originario.

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ancient; in the second to those of contemporary, definition stereometric volumes and projection of the modern but in both cases it expresses the critical value of distinguishability, fundamental value of the restoration introduced by Boito in 1883 and that the same illustrates paraphrasing a Chinese proverb: shame deceive contemporary, ashamed even more deceiving posterity5. Distinctness and figurative recovery unit are among the main keys of the relationship between the white and the restoration, but if in the graft on the ancient chromatic choice appears congruent expression of a juxtaposition of different languages within a desirable path diachronic active in the life of the building, in the case of additions the same white appears, at times, overpowering visual history by becoming the protagonist in the final result. White often becomes the most simple and proven way into recovery but the search for solutions that work on different textures of similar materials or on eurhythmics of different materials could give better results in some cases, because «although the white is the lord of white elephants... and white stones that ancient pagans were giving a sign of joy... white... like the bridal veils, innocence, purity... although it is associated with the very sweetest, honourable and sublime... nothing is more terrible than this colour, when separated from the good»6.

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Sopra: SCAD Museum – Savannah College of Art and Design, Savannah (USA), Sottile&Sottile con Lord Aeck Sargent e Dawson Architects. Sotto: SMK – Statens Museum for Kunst, Copenhagen (Danimarca), C.F.Møller Architects.


Sopra, da sx: Homage’s Tower, Setenil de Las Bodegas (Spagna), Fernando Visedo Manzanares. S.Michele in Borgo, Pisa, Massimo Carmassi. Sotto: Astley Castle, Warwickshire (Inghilterra), Witherford Watson Mann Architects.

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Kolumba Museum, Kรถln (Germania), Peter Zumthor.


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La classe operaia va in paradiso Alessandra Mandozzi



La Cava è un paesaggio del lavoro in continua trasformazione. I risultati dell’estrazione del travertino sono delle enormi depressioni che nella gran parte dei casi danno vita a vere e proprie sculture. La cava in oggetto è situata ad Acquasanta Terme in provincia di Ascoli Piceno, ove appunto il travertino compare nelle grandi ‘opere pubbliche’, con destinazione civile e utilitaristica al servizio della comunità; quell’architettura che sposava le necessità della vita della città con acquedotti, ponti ed edifici destinati agli spettacoli. Ogni architettura, infatti, è anche l’espressione dell’attività dell’uomo che vive in un determinato ambiente e si alimenta sui suggerimenti della natura. Nota autore: il titolo La classe operaia va in paradiso dall’omonimo film di Elio Petri, è stato scelto in onore delle morti sul lavoro. Cava Tancredi estrazione Travertino Ascolano. Anno 2010.

L a cl asse operai a va in paradiso è una produzione della fotografa Alessandra Mandozzi distribuita in allegato a LAB2.0 Magazine


The Quarry is a work landscape in a constant transformation. The results of the travertine extraction are huge hollows which generate real sculptures. The quarry what we are talking about is situated in Acquasanta Terme, Ascoli Piceno’s province, where the travertine can be found in the public works for communities; that architecture which was made according to the needs of the city with aqueducts, bridges and public buildings for exhibitions. Each architecture, in fact, is an expression of the activity of the people who live in a specific space and is created with the nature’s advices. Tancredi’s Quarry, extraction Travertino Ascolano (2010).

of













"Bianco architettura" Nuova forma di colore o vecchia accezione della forma? Testo di Marco Biondi e Vincenzo Fresta Traduzione di Agnese Oddi «L’architettura, fatto plastico e astratto, è incolore o, se si vuole, acolore. La possiamo “ideare” secondo colore (o colori) e materia (o materie), ma se la dobbiamo considerare o giudicare puramente come architettura: nell’essenza architettonica, nella validità architettonica, la consideriamo acolore. Come la scultura. Come il fenomeno, volumetrico, del cristallo. Quindi è naturalmente bianca» Gio Ponti, Amate l’Architettura, 1957. Ponti ha ragione: l’architettura, in quanto processo creativo, è anzitutto astrazione, come Leonardo da Vinci dice della linea, ossia quell’invenzione che permette di creare un’altra astrazione che è il disegno. Anche l’essenza architettonica si risolve nel disegno e nel modello. La metafora del cristallo vuole poi esprimere ideali di purezza, incanto, rarità, incorruttibilità, ordine, insieme a proprietà di durezza, durevolezza, compiutezza. Esprime una ricerca di essenzialità degli spazi, di cui Mies van der Rohe fu fautore. Architettura significa anche costruire nello spazio e nel tempo: come il cristallo, ha un legame con la terra e incorpora la memoria, che nell’immaginario collettivo appare dai toni neutri. Reminiscenze e retaggi territoriali ci portano a vedere l’architettura come un cristallo di alabastro dall’affascinante aspetto bianco-trasparente, che contraddistingue la varietà presente nella zone di Volterra e Castellina Marittima: la specie più pregiata in Europa, forse non a caso proprio per la qualità cromatica. L’accostamento non è però banalmente cromatico, l’affinità è concettuale: come l’architettura nell’accezione di forma artistica, anche l’alabastro usato dagli Etruschi per sarcofagi e urne cinerarie indicava un riferimento all’assoluto. Ma consideriamo soprattutto l’impossibilità di quel minerale di tradursi in realtà architettonica: analogamente l’identità dell’architettura è di essere altro dalla realtà materica. Associare una caratteristica cromatica a un concetto, alquanto nebuloso come l’architettura, manifesta la comune predisposizione a imprimere un “carattere” alle cose sulla base di un richiamo, di un ricordo o di una sensazione. Questa si lega all’espressività della forma, ossia alla capacità intrinseca di manifestare significati, sentimenti, emozioni: un po’ come quando attribuiamo

una fisionomia agli edifici e li definiamo austeri, forti, allegri, cupi. Dal punto di vista fisico il bianco è un neutro, vale a dire acromatico in quanto non produce il fenomeno di scomposizione della luce. Il bianco è quindi un non colore: se poi ammettiamo che l’architettura sia acolore, secondo un procedimento sillogistico il bianco è architettura. Il viceversa è vero in parte: che l’architettura sia naturalmente bianca è condivisibile ma, a rigor di logica, potrebbe essere anche nera o grigia, e talvolta lo è. Perché non provare a immaginare allora un tipo di bianco che si addice all’architettura? Il tentativo, o meglio la sfida, è indagare che cosa potrebbe essere il “bianco architettura”. È pratica piuttosto comune, che risponde a una necessità prettamente umana, quella di codificare ciò che ci circonda. Basti pensare alla scala di colori RAL, con cui sono normalizzate le gradazioni per associazione del colore principale prevalentemente con elementi o oggetti esistenti in natura. Del bianco questa scala individua una gamma piuttosto varia: perla, crema, grigiastro, segnale, puro, traffico, papiro. In prima istanza si potrebbe, richiamandosi a quanto detto, far coincidere materialmente il bianco architettura con il bianco puro. Ma non è questo l’intento. In pittura, laddove il bianco è considerato un colore, molte sono state le sperimentazioni basate sul rapporto tra figura e sfondo, per astrarre il concetto di bianco svincolandolo dal suo uso prettamente “tonale”: lo spazio quadrato mentale e invisibile di Kazimir Malevic, i sottili rilievi geometrici di Ben Nicholson, le increspature di Piero Manzoni quali segni che rivelano altre cose, le fenditure irrigidite di Lucio Fontana, gli assemblaggi scultorei fuorvianti di Louise Nevelson. L’architettura porta con sé aspirazioni, bisogni, simboli, idee, segni, tecniche, professionalità: tutte suggestioni che, nella loro concreta manifestazione, sono colorate, a differenza della matrice concettuale. Il bianco architettura è un racconto di questa ricchezza, ed è quindi non una tonalità ma la vera essenza del non colore-onnicolore per antonomasia. Come racconto è un divenire in cui possiamo continuamente ricercare tracce, contenuti, errori dell’opera architettonica. Il bianco architettura corregge ma non nasconde gli errori.

Christo, Big Air Package, Oberhausen, Germania (2013) - https://goo. gl/q4zm6w

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È però anche il momento più alto del racconto, del tortuoso processo di fantasia e ragione che accompagna un fatto architettonico: bianco come l’estasi di una visione. Goethe asserisce: il bianco è il mio tentativo di acuire la percezione ottica nell’architettura e di potenziare la forza delle forme visive. Se il colore è percezione visiva della luce, il nostro bianco è il canale percettivo dell’architettura. In essa coesistono forma e funzione: in quanto forma, seguendo il nostro ragionamento il bianco può esistere anche come il colore della forma. Non la forma reale o disegnata, ma la forma percepita: forma-concetto che viene compresa attraverso un processo di astrazione: la percepiamo anche se fisicamente non presente come i margini del triangolo di Kanizsa. Il bianco architettura è sì un non colore, ma probabilmente è sempre esistito anche come quel colore, non esperibile ma percepibile. La sua percezione dura un attimo, ma il suo segno è indelebile, come la vera architettura che è fatta per stare e restare: vuole perpetuità secondo Palladio. Un colore è più puro o saturo se contiene meno bianco. Il bianco architettura, al contrario, è più puro se contiene più bianco ovvero più architettura. Il bianco architettura tende alla chiarezza della forma attraverso una serie graduale di passaggi progettuali. Il colore della forma è bianco perchè essa esprime l’esistenza architettonica, ovvero il cuore pulsante che deve essere “ascoltato”, come insegna Kandinskij, cioè percepito. Il pittore russo sostiene che la forma ha come elementi

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fondamentali il punto, la linea e la superficie: a essi può essere aggiunto il colore? Se pensiamo alla casa bianca bianca del Pascoli nella poesia Il Lampo, la rappresentazione della casa è data esclusivamente dal colore. C’è un che di poetico nel bianco architettura. Questo colore ha in se stesso il proprio complementare, come in architettura allo spazio vuoto si attribuisce una densità complementare al pieno. Immaginiamo il bianco architettura, allora, come il “colore” indefinito con cui rappresentare un’ipotetica costruzione di alabastro, la quale restituisce sprazzi della luce che tenta di attraversarla: in sostanza un’utopia che, proprio nella sua irrealizzabilità, palesa la vera identità ideale. E in ciò esprime al contempo la propria forza e fragilità. Il bianco architettura non è difatti facilmente rintracciabile: è lo specchio invisibile per imparare a vedere l’architettura, che è l’indicatore per monitorare lo stato di una civiltà. Starà alla fantasia e alle capacità degli architetti trovare il proprio bianco architettura: che rifletta le esigenze della società e serva per dar colore alla vita dell’uomo, nutrendone intelletto, anima e sogni.

Ph. Stefano Pasqualetti


“White architecture”

Ponti is right: the architecture, as a creative process, is first of all abstraction, such as Leonardo Da Vinci said the line, or that invention that allows you to create another abstraction that is drawing. Even the architectural essence is resolved in the drawing and in the model.The metaphor of the crystal wants then express ideals of purity, charm, rarity, incorruptibility, order, along with properties of hardness, durability, perfection. It expresses a search for essentiality of spaces, of which Mies van der Rohe was a proponent. Architecture also means building in space and time as crystal, has a connection to the earth and incorporates memory, which in the collective appears neutral tones. Reminiscences and territorial legacies lead us to see the architecture as a fascinating crystal alabaster with white-transparent appearance, which distinguishes the variety present in the areas of Volterra and Castellina Marittima: the most valuable species in Europe, perhaps not coincidentally because of the chromatic quality.The combination, however, is not chromatic trivially, the

affinity is something conceptual: as the architecture in the sense of artistic form, also the alabaster used by the Etruscans for coffins and urns indicated an absolute reference. But we consider above all the impossibility of that mineral to be translated into architectural reality: the same architectural identity is to be anything from material reality. Assign a color characteristic of a concept, somewhat nebulous like architecture, manifests the joint development to give a “character” to things on the basis of a reminder, of a memory or a feeling. This is the expressiveness alloy form, that is the inherent ability to express meanings, feelings, emotions, a little ‘as when we attach a face to the buildings and define them austere, strong, cheerful, dark. From the point of view of the physical white is a neutral, namely achromatic since it does not produce the decomposition of the light phenomenon. The blank is therefore a non-color: then if we admit that the architecture is acolore, according to a sillogistico the white process is architecture. The converse is true in part: that architecture is naturally white is acceptable but, logically, could also be black or gray, and sometimes it is not. Why not try to imagine then, a type of white that befits the architecture? The attempt, or rather the challenge, is to investigate what could be the “white architecture”. It is fairly common practice, which responds to a strictly

Installazione “The wall from static to elastic” di El Equipo Mazzanti, Hangar Bicocca Milano, 2016 - Ph. Carlo Cafferini

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«The architecture, made of plastic and abstract, it is colorless or, if you wish, acolore. The can “devise” second color (or colors) and subject (or subjects), but if we have to consider or judge purely as architecture: architecture in the essence, the architecture in the validity, considering this as colorless. As the sculpture. As the volumetric phenomenon of crystal. So it is naturally white.» Gio Ponti, Amate l’Architettura, 1957.


human need, to encode what surrounds us. Just think of the RAL color scale, which are normalized with the gradations by association of the main color mainly with elements or objects existing in nature. Of White this scale identifies a range quite varied: pearl, cream, gray, sign, pure, traffic, papyrus. In the first instance it could, referring to what has been said, to coincide materially white architecture with the pure white. But that’s not the aim. In painting, where white is considered a color, there have been many experiments based on the relationship between figure and ground, to abstract the concept of white freeing it from its purely “tonal” use: the mental space square invisible Kazimir Malevich, the subtle geometric reliefs of Ben Nicholson, the ripples of Piero Manzoni as signs that reveal other things, stiff fissures by Lucio Fontana, sculptural assemblages misleading from Louise Nevelson. The architecture carries aspirations, needs, symbols, ideas, signs, techniques, professionalism: all suggestions that, in their concrete manifestation, are colored, unlike the conceptual matrix. The white architecture is a story of this wealth, so it is not a shade but the real essence of the colorless or all colours by definition. As the story is a becoming in which we constantly search traces, contents, architectural work errors. The white architecture corrects but does not hide the mistakes. But it is also the highest moment of the story, the tortuous process of imagination and reason

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accompanying an architectural fact: white as the ecstasy of vision. Goethe says: white is my attempt to sharpen visual perception in architecture and to enhance the strength of visual forms.If the color is visual perception of light, our white is the perceptive channel of architecture. In it coexist form and function: as a form, following our reasoning white can also exist as the color of the form. Not the real or drawn shape, but the perceived shape: shape-concept that is understood through a process of abstraction: the perceive even if not physically present as the margins of the Kanizsa triangle. The white architecture is colorless conception, but it’s probably always existed as that color, not attemptable but perceptible. His perception lasts a moment, but his mark is indelible, as the true architecture is meant to be and remain wants perpetuity according Palladio. A color is more pure or saturated if it contains less white. The white architecture, by contrast, is more pure if it contains more white or more architecture. The white architecture tends to clarity of form through a gradual series of design steps. The color is white form because it expresses the architectural existence, that is the beating heart to be “heard”, as taught by Kandinskij, that is perceived. The Russian painter argues that the form has as its fundamental elements: the point, the line and the surface: they can be added to the color? If we think of the white house white Pascoli in the poem The Lightning, the representation of the house is given only by color.

Ph. Carlo Cafferini


There is something poetic in the white architecture. This color has in itself its own complement, as in architecture to the empty space is attributed to a complementary full density. Let’s imagine white architecture, then, as the “color” undefined which represent a hypothetical construction of alabaster, which gives glimpses of light that tries to cross it: an utopia in substance that, in its very impossibility reveals his true identity ideal. And in this it expresses at the same time its strength and fragility.The white architecture is indeed not easy to trace: it is the invisible mirror to learn to see the architecture, which is the indicator to monitor the status of a civilization.It will be up to the imagination and skills of the architects to find their own white architecture that reflects the needs of society and serve to color the life of man, feeding the intellect, soul and dreams.

Ph. Carlo Cafferini, “The creation”, dal progetto Fantasy Motel, 2016

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Ph. Stefano Pasqualetti


https://goo.gl/LIFgrl

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Dalla bozza sul tovagliolo ai fumetti L’approccio creativo alla pagina bianca nell’architettura contemporanea Testo e traduzione di Gabriele Berti Il bianco inteso come pagina, tela o semplicemente come colore, è il punto di partenza e sfondo del gesto creativo in molte delle sue declinazioni. Come il blocco di pietra grezza per lo scultore, diviene lo spazio in cui riversare le emozioni e la propria visione del mondo.

– da ciò che le do o che le sottraggo; se la maltratto, la sequestro o la libero, se la considero piatta o le conferisco volume – su di essa incollo una briciola del mio stato d’animo, un tratto del mio carattere, un morso della mia esistenza, una parte di me».2

«Mentre costringo il disegno a emergere dal foglio bianco e spesso, mi viene in mente cosa si dice di Michelangelo. La scultura perfetta di un cavallo rampante è nascosta all’interno del blocco di marmo che l’artista ha davanti a sé. Solo dopo aver scoperto la creatura e ammirato la sua forma egli può iniziare a estrarla, intatta; liberarla un colpo di scalpello dopo l’altro».1

Per i grandi nomi dell’architettura contemporanea, le scelte adottate nella rappresentazione delle opere sono legate a doppio filo col tipo di immagine e di filosofia compositiva che essi scelgono di trasmettere. Ecco quindi che lo schizzo diviene strumento comunicativo trasversale ed un vero e proprio strumento di marketing. Sicuramente uno dei grandi maestri in questo senso è Renzo Piano. Come si può osservare negli schizzi per alcune delle sue opere come il Centro Culturale Tjibaou in Nuova Caledonia o l’Auditorium per L’Aquila, egli impiega la raffigurazione in sezione come “arma perfetta” per comunicare la sua filosofia architettonica. L’architetto concepisce opere fatte di controllo quasi artigianale, caratterizzate dal dettaglio tecnologico e conoscenze bio-climatiche. Nei suoi disegni non dimentica di rappresentare stratigrafie murarie, dettagli significativi, componenti naturali di rilievo e inserisce in essi figure umane, rendendo viva la sua opera già sulla carta e definendone compiutamente la sua scala dimensionale. Un altro metodo lo possiamo trovare nell’approccio creativo e rappresentativo dello studio Bjarke Ingels Group. Se con Renzo Piano abbiamo una visione dell’architettura come gesto sapiente di controllo estremo dell’opera e del contesto ambientale in cui si inserisce, BIG, attraverso l’uso di schemi sequenziali e fumetti, trasmette un modo di fare architettura quasi giocoso ed incentrato sulla forma dell’oggetto costruito. Come viene rappresentato nelle pagine nel libro-manifesto Yes is More, Bjarke Ingels immagina la figura dell’architetto come colui che accetta tutte le sfide che caratterizzano la concezione di ogni opera, rispondendo con una composizione fatta di gesti semplici ed efficaci. Il processo creativo viene rappresentato passo dopo passo, rendendolo quasi come un gioco plastico in cui dalla forma grezza spesso definita dal sito di progetto, il volume viene mosso, piegato e plasmato dando risposta

Come il marmo di Michelangelo, per l’architetto il foglio bianco è il supporto da cui “estrarre” l’opera, concependola ed articolandola dalla sua forma fino ad ogni suo dettaglio. Se prima dell’avvento dell’era dei computer, la carta era l’unica superficie in cui l’architettura veniva rappresentata e tracciata, attraverso un lungo processo, linea per linea, nell’epoca a noi contemporanea questo processo è stato trapiantato altrove. Le pagine elettroniche che ora lo accolgono, perdono i limiti fisici propri del supporto cartaceo, permettendo un controllo del progetto e dell’opera estremo. Però, spesso, in esse si perdono le tracce del processo creativo, della ricerca e dell’evoluzione che caratterizza l’opera dal suo primo concepimento fino alla sua conclusione. Questo punto segna la differenza tra arte ed architettura al giorno d’oggi; infatti, se l’opera artistica contemporanea lascia spazio all’interpretazione e fa di questa ambiguità una componente di forza, per l’architettura rimane la necessità di comunicare il pensiero che sta dietro l’opera, con l’obiettivo di trasmetterne l’essenza e le scelte che ne connotano la forma compiuta. In risposta a questa necessità, l’approccio figurativo in architettura si divide in diverse correnti di pensiero, tutte accomunate dal ritorno dello spazio bianco come ambientazione per il gesto creativo. «A prescindere da ciò che faccio con la pagina bianca

Renzo Piano, Schizzo http://archimages.tumblr.com/post/29333933339/schizzi-renzo-piano-building-workshop

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progressivamente a tutte le tematiche, ed aggiungendo ogni volta componenti inaspettate che rendono peculiare l’opera finita. Come la sezione per Renzo Piano, per BIG lo schema ed il fumetto divengono il mezzo perfetto per esprimere nella maniera più efficace la sua visione di architettura, rendendola allo stesso tempo amichevole, giocosa e di facile lettura. Questi due approcci sono solo alcuni di quelli che possiamo incontrare nel panorama dell’architettura contemporanea. Essi si presentano però come due esempi diametralmente opposti ma entrambi di grande riferimento, sia per le scelte adottate che per il successo che hanno riscosso. Mostrano l’importanza di recepire in maniera critica le suggestioni e problematiche che connotano il contesto, riuscendo al contempo, attraverso a strumenti rappresentativi di grande efficacia, a riempire di significato il gesto creativo e trasmettendo, in maniera altrettanto efficace, un modo di pensare l’architettura. La pagina bianca diviene perciò il luogo in cui l’architetto riversa l’essenza del proprio processo creativo, impiegando tecniche e strumenti compositivi che diventano potenti mezzi di comunicazione. Philippe Petit, Creatività. Il crimine perfetto, 2014, Ponte alle Grazie, Torino 2014. 2 ibidem 1

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From the napkin sketch to the comics White as a page, as canvas or merely as a colour, is the starting point and the background of the creative gesture in most of its variations. Like the rough stone block for the sculptor, it becomes the space where flowing all the emotions and a vision of the world. “While I force the drawing to emerge from the white and thick paper, it’s always coming to my mind what they say about Michelangelo. The perfect sculpture of a rampant horse is hidden inside the marble block that the artist has in front of him. Only after discovering the creature and admiring its shape he’s able to start extracting it; setting it free every flick of chisel.” – Philippe Petit, Creativity; the perfect crime As the marble for Michelangelo, the white paper is for the architect the support where “pulling out”, expressing and conceiving his idea in each detail. Whereas, before the coming of the “Computers Era” paper was the only surface where architecture was traced and represented through a long process, line by line, in our times this process has been relocated somewhere else. The electronic page is now its house and is making loosing the physical boundaries of the paper support and is allowing an extreme control of the project. However, sometimes are lost inside of them the traces of the creative process, of the research and the evolution that is characterizing the project from its conceiving phase to its conclusion. This is what is

BIG (Bjarke Ingels Group), Diagram


marking the difference between art and architecture nowadays; indeed, if the contemporary works of art are keeping alive interpretation and are using this ambiguity as a strong point, for architecture there is the necessity of communicate the thought behind the project, with the aim of passing down the essence of the choices characterizing the final shape. As a response to this necessity, the figurative approach in architecture is divided in different mind-sets; those could be all associated with the return to the blank space as environment for the creative gesture. “Regardless from what I do with the blank page – from what I give and what I take from her; if I abuse of it, if I kidnap or I set it free, if I consider it flat or I give it volume – on the page I glue a scrap of my frame of mind, a trait of my character, a bite of my existence, a piece of me.” – Philippe Petit, Creativity; the perfect crime. For the contemporary architecture big names, their representation choices are always strongly connected with the type of image and design philosophy they’re choosing to communicate. In this way the sketch becomes a cross-communicative way and a real marketing instrument. Surely Renzo Piano is one of the masters in this practice. As we can see in the sketches for some of his works, like the Tjibaou Cultural Centre in New Caledonia or the Auditorium in L’Aquila, he is using the section as the “perfect weapon” that communicate his architecture philosophy. The architect is conceiving buildings made with handcrafted control, characterize by the technological detail and bio-climatic knowledge.

Renzo Piano, Schizzo https://archiscapes.wordpress.com/2015/04/06/the-art-of-sketches-rpbw/

In his drawings he represents wall stratigraphy, significant details, natural components and integrates human silhouettes, a thing that is making alive his project already in the paper and are exactly defining the scale. We can meet another technique in the representative and creative approach of Bjarke Ingels Group. If in Renzo Piano there is the vision of architecture as a wise gesture of extreme control of the building and the environmental context; BIG, through sequential schemes and comics, is showing a way of making architecture similar to a game, focused on the shape of the built object. As we can see in the bookmanifesto Yes is More, Bjarke Ingels imagines the architect as someone who is accepting all the challenges those are charactering the architecture conceiving, replying with a design made with simple and effective gestures. The creative process is represented step by step, transforming it in a morphing game where the rough shape, often defined by the project site, is moved, warped and shaped giving progressively response to all the topics and adding each time unexpected components those are making peculiar the final work. As the section for Renzo Piano, for BIG the schemes and the comics are the perfect and effective way to express his architectural vision, making it at the same time friendly, playful and easy to read. These two different approaches are only some of those we can see in the contemporary architecture panorama. These are completely different but both really important examples, in term of the adopted solutions and their success. They’re showing the

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importance of understanding with a critical sensibility the suggestions and the problems coming from the context, and are succeeding at the same time, thanks to effective representative tools, in making relevant the creative gesture and passing down a way of conceiving architecture. The blank page becomes the place where the architect pours the essence of his creative process, employing techniques and design instruments those are becoming powerful communications medium.

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Schizzo di Renzo Piano, Auditorium Parco della Musica, Roma http://www.ilridotto.info/en/content/renzo-piano-larchitettura-è-pensiero


BIG (Bjarke Ingels Group), Diagram

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Richard Meier: l'architetto in bianco Testo e traduzione di Lisa Patricelli «Papà, quale è il tuo colore preferito?» «Bianco è il mio colore preferito» «Ma papà, non può essere il bianco. Bianco non è un colore; il bianco non è nell’arcobaleno; devi scegliere un colore che è nell’arcobaleno, come il rosso o il verde, il blu o il giallo» «Il bianco è il più bello tra tutti i colori dell’arcobaleno». (Discorso di Richard Meier, in occasione del ritiro del Premio Pritzker) Durante il discorso nella cerimonia di accettazione del premio Pritzker del 1984, l’architetto Richard Meier definisce il bianco come il colore della luce naturale, capace di riflettere e intensificare la percezione di tutte le sfumature dell’arcobaleno, composto dai colori che costantemente cambiano in natura. «Il candore del bianco non è mai solo bianco. È quasi sempre trasformato dalla luce: il cielo, le nuvole, il sole e la luna» spiega. Ma non è solo un discorso di preferenze personali: per l’architetto Americano il bianco è il colore convenzionalmente riconosciuto come simbolo di purezza. Per questo motivo si ben identifica nella sua estetica: il bianco come colore dell’assolutezza, che può diventare colore stesso. È la chiesa del giubileo a Roma, compiuta nel 2003, il chiaro esempio dell’utilizzo del bianco come poetica architettonica. Infatti in questo caso la luce è diffusa all’ interno del volume mediante i vetri sovrastanti, che regalano una variazione di luce interna in relazione all’orario, al tempo, caratterizzando le relazioni interne. Meier spiega come su una superficie bianca, si legga con più chiarezza il passare delle ore e delle stagioni, di come sia più facile vedere i cambiamenti della natura, il mutare delle condizioni atmosferiche e i passaggi cromatici e i colori del sole.

L’idea del bianco come colore più appropriato per l’architettura, non è unica a Meier, che in questo risulta essere l’estensione contemporanea del movimento moderno. Il bianco come contrasto, per apprezzare meglio il gioco di luci ed ombre, pieni e vuoti: quel gioco di luci ed ombre ampiamente discusso cinquanta anni prima nel centro Europa. L’architetto reinterpreta la poetica di Goethe definendo la bianchezza come memoria e quindi anticipazione di colore, ponendo l’accento sul contrasto che diventa definizione dello spazio. Ce lo dimostra nella realizzazione di un’icona a Los Angeles, l’edificio per la fondazione Getty, in cui lo adotta per definire le funzioni nella composizione: collegamenti interni, rampe e scale, spazi serviti e di servizio, vuoti delle grandi vetrate e volumi pieni. L’architetto newyorkese sembra quasi superare il movimento moderno rendendo il bianco protagonista assoluto: precursore di un astrattismo contemporaneo, nato dalle radici solide di un momento storico di indiscusso interesse artistico.

Il bianco aiuta quindi a rivelare la propria idea di architettura, aiuta a creare contrasto con il mondo che circonda l’edificio, a renderne più leggibili le linee, la sequenza degli spazi e riesce a convivere perfettamente con la trasparenza, che per Meier sono un elemento molto importante. Infatti, in tutte le sue opere si nota chiaramente l’uso del bianco, utile alla comprensione di come l’edificio sia stato concepito.

Richard Meier, Getty Museum, Los Angeles - Ph. I, Sailko, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11813652

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Richard Meier: the architect of whiteness «Daddy, what is your favorite color?» «White is my favorite color.» «You can’t have white. White is not a color; white isn’t in the rainbow; you have to take a color that is in the rainbow, like red or green, or blue or yellow.» «White is the most wonderful color of all the colors of the rainbow.» (Pritzker acceptance speech by Richard Meier). During Pritzker acceptance speech in 1984, the architect Richard Meier defines the color white as the one of natural light, which reflects and intensifies the perception of all of the shades of the rainbow, the colors which are constantly changing in nature. He said: «The whiteness of white is never just white; it is almost always transformed by light and that which is changing; the sky, the clouds, the sun and the moon». That’s not just a matter of own personal preferences: the American architect recognizes white as the color conventionally associated to the symbol of purity. That’s why he identifies it for his aesthetic: white as color of absoluteness, which can become itself color. A clear example in which Meier uses the color white as expression of his muse is the Jubilee Church, completed in Rome on 2003. Here the light is scattered in the inner volume by ceiling curtain wall: this defines the inner light in relation of hours, and internal connections. Meier explain how on a white surface it is possible to clearly see as the hours and

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seasons go by as well as examine the natural changes, meteorological conditions mutaments, color wheel and sun shine colors. White helps to reveal own architectural vision, helping to create contrast with surrounding the building, making lines more readable, sequences of spaces more legible and coexisting well with trasparent surphace, which for Meier are very important. In fact, in all his masterpieces it is clear the use of white as basis of understanding how the building has been designed. The idea of white as the most appropriate color in architecture is not used just by Meier, who in this results to be the contemporary extensions to Modernism. White as contrast, as appresail of light and shadow, lands and grooves: the light and shadow philosophy already discussed early fifty years in Europe. The architect reinterprets Goethian ethic, defining whiteness as memory and foretaste of color to emphasise the contrast, which will become definition of space itself. His icona in Los Angeles, Getty foundation, proves it. Meier’s focus on white defines composition functions: internal connections, ramps and stairs, served and services spaces, large windows and plain volumes. It seems that the New Yorker architect wants to get over Modernism, to draw attention on white as leading featur. It looks like pioneer of contemporanean abstractism, born from strongly rooted historical movement of undisputed artistic interest.

Richard Meier, Getty Museum, Los Angeles - Ph. B Hartford J Strong - CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7199453


Richard Meier, Chiesa di Dio Padre Misericordioso, Roma - Ph. MBM51 - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=35606960

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Richard Meier, Chiesa di Dio Padre Misericordioso, Roma - Ph. Federico Di Iorio - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=35806664


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Architetto, fotografo di Architettura < Nasce a Brescia il 9 Luglio 1987. Dopo gli studi classici lavora come muratore due anni prima di iscriversi alla Facoltà di Architettura dell’Università degli studi di Parma dove si laurea nel 2014. I suoi lavori di Architettura e fotografia di Architettura sono stati esposti nelle ultime due edizioni della Biennale di Architettura di Venezia (2014 Padiglione Italia 2016 Padiglione del Portogallo), al museo MAXXI, alla Triennale di Milano, al Museo di Castelvecchio e pubblicati sulle principali riviste d’Architettura italiana come Casabella, Domus e Abitare oltre che sui principali siti di Architettura internazionali come Archdaily, Divisare, AD, Dezeen, Designboom e altri. > ph. Nicolò Galeazzi, Città Sospese.

a cura di

radioarchitettura


Tre padiglioni intervista a Nicolò Galeazzi a cura di radioarchitettura Expo Milano 2015, insieme a Paolo Mestriner (curatore della sezione) progetti l’allestimento di MicroTrasformazioni 2.0 all’interno della mostra curata da Benno Albrecth Exporting The Urban Core. Da giovanissimo quale sei, come sei arrivato a lavorare ad un un progetto alla Triennale di Milano? In occasione dell’Expo 2015, la Triennale di Milano era occupata dalla mostra “Arts & Food. Rituali dal 1851” a cura di Germano Celant e dallo Studio Italo Rota. La Triennale decise di organizzare eventi collaterali, “Fuori Triennale-Oltre Expo”, tra cui la sezione di Brescia “Exporting The Urban Core”, curata da Benno Albrecth, che affrontava i temi delle grandi trasformazioni urbane. Una sotto-sezione, curata da Paolo Mestriner, trattava invece l’argomento delle piccole trasformazioni urbane. Mi ha chiamato per progettare insieme a lui, Stefano Di Corato, Jacopo Galeazzi (mio fratello) e Mariapia Gervasi, l’allestimento. Abbiamo selezionato cinquanta progetti di piccoli interventi nel centro storico da tutto il mondo, che dovevano rispondere all’idea del “fare tanto con poco”. Decidemmo di creare una grande nuvola sospesa, costituita da fili di nylon ai quali venivano appese le cinquanta cartoline dei progetti selezionati ad altezze differenti in modo da costituire la forma prefissata [...]. Durante la conferenza di presentazione della nostra sezione, ho conosciuto Roberto Cremascoli, che mi ha chiamato a collaborare in Portogallo con lui e con Álvaro Siza. Attualmente vivo a Porto e lavoro presso questi due studi, oltre che gestire a distanza due piccole realtà: un atelier di fotografia e video d’architettura, atelier XYZ, con il film-maker Stefano Di Corato e STUDIO, una pratica di architettura insieme ai colleghi e amici Marco Formenti e Martina Salvaneschi. Tutto è iniziato da qui. Biennale di Venezia 2016 | Reporting From The Front. Sei nel team progettuale di “Neighbourhood - Where Alvaro meets Aldo”, padiglione del Portogallo curato da Nuno Grande e Roberto Cremascoli. Qual era l’obiettivo del padiglione? Cosa vuol dire stare dietro le quinte di un’esposizione così importante a contatto con un grande maestro dell’architettura come Álvaro Siza? Il Padiglione del Portogallo è stata una grande avventura professionale e umana. Ho lavorato a questo progetto sia come progettista nel team costituito da Roberto Cremascoli, sia come fotografo. Aravena chiedeva ad ogni singola rappresentanza nazionale di parlare di quell’Architettura che lavora al limite e che, nonostante la scarsità di mezzi, esalta ciò che è disponibile invece di protestare per ciò che manca. I curatori del Padiglione del Portogallo decisero di dedicare per la prima volta nella storia della biennale di Architettura l’intero padiglione nazionale ad un solo artista: Álvaro Siza. L’idea era quella di tornare nei 4 quartieri di edilizia popolare progettati dal Maestro (Porto, Berlino, L’ Aia e Giudecca) e

far parlare l’architetto con gli abitanti delle sue opere dopo molti anni dalle realizzazioni [...]. Per essere in linea con il progetto presentato, la scelta di Nuno Grande e Roberto Cremascoli è stata di allestire il padiglione al piano terra dell’edificio di edilizia popolare progettato da Álvaro Siza, in Giudecca a Venezia, rimasto incompiuto: in questo modo il “viaggio con il Maestro” si è concluso all’interno di uno degli edifici da lui progettati. Il progetto di allestimento prevedeva che tutto venisse realizzato con quello che si trovava in cantiere [...]. Il piano terra era diviso in cinque sezioni: la prima raccontava dell’incontro tra Álvaro Siza e Aldo Rossi, la seconda del ritorno del Maestro in Giudecca, la terza all’Aia, la quarta a Berlino ed infine la quinta a Porto. L’ esterno del padiglione è stato rivestito da un grande telo che proteggeva l’edificio con scritta la parola “vicinato” in diverse lingue. Poter essere parte di questa edizione è stata una grande emozione e un grande onore, ma soprattutto lo è stato seguire il Maestro in questi viaggi e vedere come un architetto della sua fama sia guidato da una grandissima umiltà in quello che fa. Non è facile tornare dopo così tanto tempo (e all’età di 85 anni) a mettersi in discussione affrontando in prima linea, come richiedeva Aravena, gli abitanti delle sue architetture: è stato straordinario vederlo chiedere consigli su come poter migliorare i propri progetti ancora oggi nonostante la sua esperienza. Rendetevi conto stiamo parlando di Siza! [...] In un grande pranzo d’inaugurazione tutti i cittadini della Giudecca si trovavano allo stesso tavolo insieme ad importanti protagonisti dell’architettura internazionale come Moneo, Dal Co, Carrilho da Graça, Zucchi. È stato un padiglione della gente, l’architettura deve essere della gente e tornare alla gente. Ora, grazie alla mobilitazione fatta da questo progetto, il cantiere è finalmente ripartito e saremo pronti a restituire nei prossimi mesi un edificio concluso alla città. Un’opera di Siza per la Giudecca e per l’Italia, questa forse è stata la più grande vittoria. Piccolo Padiglione 2017, in corso. Sei stato selezionato come architetto under 35 per l’allestimento del Piccolo Padiglione affiancato da Beniamino Servino. Cos’è il Piccolo Padiglione? Come si colloca all’interno delle esposizioni di architettura nel panorama contemporaneo? Qui, per la prima volta [rispetto agli altri due padiglioni, n.d.r.], sto lavorando come progettista. Tutto nasce da un’idea di Roberto che ha deciso di unire due format: la Serpentine Gallery (un’opera costruita da un grande architetto) e il Rolex - Mentor & Protegé (la collaborazione tra un maestro dell’architettura e un giovane). Quest’anno ha scelto come progettisti Beniamino Servino, noto architetto casertano, e me come under 35. Il Piccolo Padiglione vuole innanzitutto riportare gli architetti italiani a considerare il nostro operato e non solamente quello degli architetti esteri. Il secondo messaggio che vuole trasmettere il Piccolo Padiglione è l’importanza dell’apprendimento reciproco: non solo noi giovani possiamo imparare dagli “anziani”, ma viceversa anche loro possono imparare da noi in un continuo gioco di contaminazioni reciproche [...]. Per ora è tutto quanto in divenire... >> l’intervista continua su radioarchitettura.com

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He was born in Brescia the 9th July, 1987. After the Classical studies, he works as mason for two years before enroll himself at the Faculty of Architecture at ‘Università degli studi di Parma’ where he graduates in 2014. His Architecture and architecture photography works have been exposed in the last two editions of the Venice Architectural Biennial Exhibition (2014 Italy Pavillion - 2016 Portugal Pavillion), at MAXXI museum, at Triennale di Milano, at Castelvecchio museum and published on the main italian architecture reviews such as Casabella, Domus e Abitare in addition to the main architecture international websites such as Archdaily, Divisare, AD, Dezeen, Designboom and others.

Expo Milano 2015, together with Paolo Mestriner (section curator) you plan the preparation of “MicroTrasformazioni 2.0” as a subsection of the exhibition curated by Benno Albrecth “Exporting The Urban Core”. Being so young as you are, how did you reach to work on a project for “La Triennale di Milano”? On the occasion of Expo 2015, La Triennale di Milano was occupied by the show “Arts & Food. Rituali dal 1851” curated by Germano Celant and Studio Italo Rota. La Triennale decided to organize Expo collateral events, “Fuori Triennale-Oltre Expo”, including the Brescia section, “Exporting The Urban Core”, curated by Benno Albrecth, addressed to the issue of great urban transformations. A subsection , curated by Paolo Mestriner, focused on the small urban transformations. He called me to collaborate with him, Stefano Di Corato, Jacopo Galeazzi (my brother) and Mariapia Gervasi, to design the exhibition. We handled selection process regarding fifty small interventions in the historical center, from all around the world, which should express the “do more with less” idea. We decided to create a big suspended cloud, consisting in nylon wires, in which hanging the fifty postcards of the selected projects, at different heights to define the predetermined shape. During the inauguration conference, I met the Roberto Cremascoli, who asked me to collaborate with him and Alvaro Siza in Portugal. I actually live in Porto working for those two studios and managing two other small reality: a photography and video studio, “Atelier XYZ”, with the film-maker Stefano Di Corato and STUDIO, a practice of architecture with my colleagues and friends Marco Formenti and Martina Salvaneschi. This is where it all begins. Biennale di Venezia 2016 | Reporting From The Front. You are part of “Neighbourhood ‘s design team - Where Alvaro meets Aldo”, Portugal Pavilion curated by Nuno Grande and Roberto Cremascoli. Which was the pavilion’s aim? What does it mean to be behind the scenes of a such important exhibition close to a great master of architecture like Álvaro Siza? Portugal Pavilion has been a great adventure from the professional and human side. I worked to this project as team designer with Roberto Cremascoli and as photographer. Aravena asked every national representation to talk about the architecture which works to the limit and, despite the lack of resources, emphasises what is available rather than complain for what is missing. Portugal Pavilion’s curators decided to dedicate, for the 82

first time in the Architecture Biennale’s history, the entire national pavilion to a single artist: Álvaro Siza. The idea was to come back to the four social housing’s districts designed by Siza (Porto, Berlin, The Hague and Giudecca) and let talk the architect with the inhabitants about his work after many years after the construction [...]. To be in line with the project presented, the choice of Nuno Grande and Roberto Cremascoli has been to organise the exhibition at the floor plan of the social housing building in Giudecca, left incomplete: in this way, the “trip with the Master” ended within one of his buildings. The exhibition established that everything will be executed with the materials founded on the worksite [...]. The floor plan was divided in five sections: the first one concerning the meeting of Álvaro Siza and Aldo Rossi, the second one was about the return of the Master in Giudecca, the third at The Hague, the fourth in Berlin and finally the fifth in Porto. The exterior of the pavilion has been coated with a big sheet protecting the building with the word “neighbourhood” written in different languages. Be part of this edition has been a great emotion and a great honour, but above all it has been a privilege to follow the Master in these trips and see how an architect with his reputation results so humble in what he does. It’s not easy to come back after a long time (and at the age of 85) questioning himself dealing with the inhabitants, as Aravena required. It has been extraordinary to see him still requesting advices to improve his projects despite all his years of experience. Realize that we are talking about Álvaro Siza! [...] In the inauguration lunch all the Giudecca citizens were seated at the same table with important architects such as Moneo, Dal Co, Carrilho da Graça, Zucchi. It has been the pavilion of the people, architecture must be the architecture of the people and return to them. Now, thanks to the mobilization came out of this project, the worksite finally restarted and we will be ready in the next few months to return a completed building to the city. A Siza work for Giudecca and Italy, that’s the great victory. Piccolo Padiglione 2017, in progress. You have been selected as under-35 architect for the installation of ‘Piccolo Padiglione’ supported by Beniamino Servino. What is ‘Piccolo Padiglione’? What is its position in the architectural exhibitions’ panorama today? Here, for the first time [compared with the other two pavilions, ed.], I’m working as designer. It all arises from an idea of Roberto [Cremascoli, ed.] who decided to combine two formats: the Serpentine Gallery (a work of a great architect) and the Rolex - Mentor & Protegé (a cooperation between an architecture master and a young architect). This year, he chooses as designers Beniamino Servino, a famous architect from Caserta, and me as the under-35. ‘Piccolo Padiglione’ wants to bring the italian architects to consider our work and not just the foreigner one. On the other hand, he wants to communicate the importance of the mutual learning: young people cannot just learn from the old ones, but, at the same time, they can learn from them [...]. For now, everything is still in progress... >> the interview continues on radioarchitettura.com


Pistoia

Torino

Roma

YONA FRIEDMAN EXPERIENCE CASA DELL’ ARCHITETTURA P.zza Manfredo Fanti, 47 Roma lun > ven 10:00 - 19:00

dal web: pinterest.com

INTERIORS Mag 6 – Ott 29 , 2017 > MAXXI

dal web: archivio Giovanni Michelucci

giovanni michelucci: la costruzione della città Mar 25 - Mag 21, 2017 > Sale affrescate del Palazzo Comunale, piazza del Duomo In occasione di Pistoia Capitale Italiana della Cultura 2017, la mostra racconta l’opera di Michelucci attraverso le sue esperienze più significative con particolare riferimento alla sua visione di città aperta e al rapporto tra l’edificio e la città. During the event ‘Pistoia Capitale Italiana della Cultura 2017’ , the exhibit highlights the work of Michelucci through his most remarkable experiences, particularly his vision of ‘open city’ and the relationship between the city and the building itself.

> fino al 05/05 Aldo rossi e milano Ordine degli Architetti PPC di Milano Via Solferino 17, Milano lun > ven 9:00 - 13:00 / 14:00 - 18:00

> fino al 28/04 pier luigi NERVI Il modello come strumento di progetto e costruzione Politecnico di Milano Spazio Guido Nardi Via Ampère, 2 Milano lun > ven 08:30 - 18:30

Copenaghen

Berlino

Londra

La mostra rintraccia i percorsi che hanno guidato la progettazione di interni, dai primi del ‘900 (Enrico Del Debbio e Giulio Gra) fino alle ricerche più recenti, passando per le esperienze più significative di tanti maestri dell’architettura italiana dal secondo dopoguerra in poi ( Carlo Scarpa, Aldo Rossi). The exhibit traces the paths that led interior design from the early years of 20th century (Enrico del Debbio and Giulio Gra) to the latest studies, going through the most meaningful experiences of italian masters of architecture from the second post-war period (Carlo Scarpa, Aldo Rossi).

dal web: fondazionepirelli.org

PIRELLI IN CENTO IMMAGINI: la bellezza, l’innovazione, la produzione. Gen 18- Mag 1, 2017 > Biblioteca Archimede A cura della Fondazione Pirelli , in mostra le immagini delle fabbriche, dal primo stabilimento nella periferia di Milano alle prime esposizioni internazionali. Un racconto del rapporto tra Pirelli e il mondo dell’arte, dalle prime campagne pubblicitarie d’artista alle illustrazioni. Edited by Fondazione Pirelli, the pictures of the factories, from the first plant in the suburbs of Milan to the first international exhibitions. A close relationship between Pirelli and the world of art.

agendaaprile/maggio diaryapril/may

> fino al 28/04

> inaugura il 23/04 dal web: domusweb.it

Berlin Projects: Architectural Drawings 19201990 Feb 25 - Giu 25, 2017 > Tchoban Foundation Museum of Architectural Drawing I disegni di Hans Scharoun, Hans Poelzig, Frei Otto, Gottfried Böhm, Zaha Hadid, Álvaro Siza Vieira e molti altri illustrano l’evoluzione architettonica ed urbana della città di Berlino, evocando una molteplicità di idee e visioni. The evolution of Berlin’s architectural and urban landscapes is highlighted in a series of drawings by Hans Scharoun, Hans Poelzig, Frei Otto, Gottfried Böhm, Zaha Hadid, Álvaro Siza Vieira and many others. The exhibition offers a space where ideas and vision come alive.

dal web: dezeen.com

Mies van der Rohe and James Stirling: Circling the Square Mar 8 - Giu 24, 2017 > RIBA - Royal Institute of British Architects London La mostra mette a confronto i differenti metodi di disegno dei due architetti del XX secolo, immaginando le loro architetture iconiche, sradicate dal loro contesto, attraverso uno sguardo interessante e provocatorio. This exhibition compares the drawing methods used by two of the most accomplished architects of the 20th century, imagining their iconic architectures out of their natural scenario, through an interesting and provocative glance.

dal web: archdaily.com

wang shu : amateur architecture studio Feb 9 - Apr 30, 2017 > Louisiana GL.STRANDVEJ Louisiana presenta la prima di una serie di esposizioni che vede come protagonista il Pritzker Prize 2012 Wang Shu. In mostra i suoi progetti e un’introduzione all’architettura cinese tradizionale. Sarà anche presente un’installazione di Amateur Architecture esposta alla Biennale di Venezia 2016. Louisiana introduces the first of a series of expositions focused on the Pritzker Prize 2012 Wangs Shu. There will be shown his project and an introduction to the traditional Chinese architecture and also an installation of Amateur Architecture exhibited in the Venice Biennal 2016.

la cattedrale vegetale di Giuliano Mauri Riva sinistra del fiume Adda area “Ex Sicc” Lodi ore 16:00

> fino al 27/04 PAESAGGI URBANI disegni e dipinti di architettura Al Blu di Prussia Via Gaetano Filangieri, 42 Napoli mar > ven 10:30 - 13:00 / 16:00 - 20:00 sabato 10:30 - 13:00

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