#ReViEWAL 2016 / Remembering Virgil

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C O N TA M I N A T I O N S INSERTO DI LAB2.0 Magazine

ISSN 2385-0884

#ReViEWAL / Remembering Virgil

Exhibition Wellness Accommodation Landscape @ Forte di Pietole

Politecnico di Milano / Polo Territoriale di Mantova Advanced School of Architecture


LAB2.0 Learning Architecture & Building

Coordinamento editoriale / Deputy editor Luca Bonci Lorenzo Carrino A cura di / Edited by Luca Bonci Lorenzo Carrino Valerio Tolve Testi e traduzioni / Texts and translations Laura Pierantoni Davide Rapp Peter Wilson Markus Scherer Diego Cisi Paolo Citterio Matteo Moscatelli Valerio Tolve Grafica / Graphic & Editing Luca Bonci Contatti redazionelab2.0@gmail.com www.lab2dot0.com

CONTAMINATIONS - #ReViEWAL 2016 / Remembering Virgil: Exhibition Wellness Accommodation Landscape. International Design Workshop Numero monografico dedicato a ReViEWAL 2016 / Workshop internazionale di progettazione @ ASA, Polo Territoriale di Mantova Politecnico di Milano

In prima di copertina / Cover Modello di studio a cura di Carlo Masgoutiere CONTAMINATIONS è un supplemento di LAB2.0

Magazine (ISSN 2385-0884). appartenente al gruppo editoriale dailySTORM (testata giornalistica iscritta al Registro della Stampa del Tribunale di Roma, autorizzazione n. 12 del 15 Gennaio 2013).

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LAB2.0 è un’associazione culturale no-profit fondata a Roma da un gruppo di giovani, e si occupa di Architettura con l’obiettivo di stimolare il dibattito e il confronto sul territorio e sul web. Ha fondato e gestisce, per conto della testata giornalistica DailySTORM (www.dailystorm.it), la rivista LAB2.0 Magazine e si occupa della sua distribuzione sul web.

LAB2.0 is a non-profit cultural association, founded in Rome by a group of young people interested in Architecture. The aim of the association is to encourage the debate and intellectual confrontation on the territory and on the web. It has founded and manages, on behalf of DailySTORM (www.dailystorm.it), the magazine LAB2.0 Magazine and is in charge for its online distribution.

Oltre all’attività editoriale, LAB2.0 si propone di: - Organizzare mostre, eventi e conferenze, con l’obiettivo di promuovere e stimolare l’interdisciplinarietà tra architettura e altre forme di espressione visiva quali arte, fotografia, grafica, design; - Organizzare workshop e promuovere concorsi rivolti a studenti universitari e neolaureati, così da fornire uno strumento di crescita e visibilità ai giovani progettisti e creare una piattaforma a servizio della società, volta all’individuazione e all’approfondimento di tematiche di carattere architettonico e di sviluppo socio-culturale.

LAB2.0, simultaneously with its editorial activity, offers: - To organize exhibits, events, and conferences, with the objective to promote and encourage an interdisciplinary approach between architecture and other forms of visual expression like art, photography, graphics, design, cinema - To organize workshops and promote contests aimed at university students and graduates, as to supply a tool to enhance visibility and growth for young designers, and to create a platform about architectural contents for society

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Indice 06

Introduzione Introduction

Diego Cisi, Paolo Citterio, Matteo Moscatelli, Laura Pierantoni, Valerio Tolve

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Paolo Citterio Immagini parlanti Talking pictures

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Laura Pierantoni Il patrimonio culturale del Forte, tra conservazione e sostenibilità The Forth’s heritage in between preservation and sustainability

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Davide Rapp In pausa Pause

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Peter Wilson L’autorità dello schizzo. Una breve visita a Mantova The Authority of the Sketch. A Mantua Airing


Index Markus Scherer Taccuino di viaggio Travelbook

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Diego Cisi Wellness. Quando sentire diventa capire Wellnes. When feeling becomes understanding

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Paolo Citterio Caleido-scoppi, le forme del caso Creative explosions. The shapes of chance

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Matteo Moscatelli Abitare nel paesaggio. Il progetto degli spazi di accoglienza nella riqualificazione del Forte di Pietole Living in landscape. The project for the hospitality spaces in the requalification of the Fort of Pietole

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Valerio Tolve Learning from Pietole. This must be the place

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#ReViEWAL 2016 / Remembering Virgil: Exhibition Wellness Accommodation Landscape di Diego Cisi, Paolo Citterio, Matteo Moscatelli, Laura Pierantoni, Valerio Tolve

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Exhibition-Exponere, Wellness-Sanare, Accommodation-Habitare e Landscape-Explorare sono i temi del progetto del Workhsop internazionale di progettazione #ReViEWAL 2016, organizzato presso il Politecnico di Milano nella sede Polo Territoriale di Mantova con il patrocinio del Comune di Borgo Virgilio e del Parco del Mincio, nell’ambito del programma proposto da Advanced School of Architecture. ASA è un percorso formativo “additivo”, rivolto ad una selezione di studenti della Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni, della Scuola di Design e delle Scuole di Ingegneria del Politecnico di Milano, ed è intesa come ‘struttura didattica sperimentale’ in rapporto ai programmi e alle specificità dei Poli Territoriali dell’Ateneo. A Mantova l’esperienza si è concentrata sui temi del recupero e della tutela del patrimonio, coerentemente con la specificità che connota i percorsi formativi del Polo, sede della Cattedra Unesco in “Pianificazione e tutela architettonica nelle Città patrimonio mondiale dell’Umanità”. Il caso studio concreto scelto per le applicazioni progettuali degli studenti è il Forte di Pietole, oggetto di un protocollo d’intesa siglato tra il Comune di Borgo Virgilio e il Politecnico di Milano nel dicembre del 2015. Il Forte è un esempio di architettura militare di grande pregio e rilevanza, perché coniuga la spiccata peculiarità delle formulazioni architettoniche austro-ungariche e francesi ad un portato storico ben più antico e distintivo, poiché sorge su una lieve altura - Mons Virgilii, Monte di Virgilio - laddove si ritiene fosse ubicata la casa natale del poeta. Inoltre, la zona del Forte è fortemente connotata da peculiarità ambientali e naturalistiche uniche sul territorio mantovano. Il progetto si propone l’obiettivo di ripensare il Forte come area di collegamento tra il centro storico, i laghi e l’area protetta del Parco del Mincio, potenziandone l’attrattività turistica attraverso l’insediamento di una serie di servizi e strutture. Nello specifico la proposta elaborata ha affrontato diversi ambiti tematici: - il potenziamento dell’attrattività del territorio, inteso da un punto di vista turistico, attraverso una maggiore accessibilità al luogo - via terra e acqua - che possa sempre essere vissuto, grazie alla realizzazione di nuovi spazi, coperti e all’aperto; - la sostenibilità economica e ambientale degli interventi in tutte le sue diverse fasi, sin dalla scelta dei materiali da impiegare e delle più congrue tecnologie costruttive - anche in ragione del futuro utilizzo - della manutenzione nel tempo e del loro riciclo a ridotto impatto ambientale; - il sistema dell’accessibilità e dei percorsi interni di visita - soprattutto in relazione alla grande dimensione e alla complessa morfologia del suolo - anche attraverso il miglioramento del comfort ambientale degli spazi esistenti e delle loro attrezzature; - l’adeguatezza degli interventi in rapporto al luogo, riconoscendone, le sue specificità e il suo patrimonio materiale e immateriale, migliorando la sua identità con un approccio critico che consideri il Forte di Pietole come un palinsesto stratificato di segni, dall’origine virigiliana sino alla contemporaneità. Gli esiti delle proposte sono stati presentati in una mostra allestita presso la galleria di ingresso del complesso di Borgoforte, altro insediamento militare compreso nel programma edilizio difensivo. Lo spazio virtualmente ipogeo della galleria - simile ai corridoi di controscarpa del Forte di Pietole - è stato allestito evocando la suggestione degli ambienti immaginati nel progetto. Il video è stato lo strumento scelto per la presentazione del progetto, supportato da modelli e maquette: lungo il percorso di visita l’esposizione si articolava in sei postazioni multimediali che presentavano cortometraggi monotematici: le interviste dei visiting e le fasi del lavoro con gli studenti; il rilievo e il racconto del Forte attraverso immagini aeree e riprese con droni; i quattro approfondimenti tematici del progetto, Exhibition Wellness Accommodation Landscape.


Exhibition-Exponere, Wellness-Sanare, Accommodation-Habitare and Landscape-Explorare are the themes of the project for the international Design Workhsop #ReViEWAL 2016, held at Politecnico di Milano in the seat of Polo Territoriale di Mantova, under the patronage of the Municipality of Borgo Virgilio and Parco del Mincio, into Advanced School of Architecture program’s. ASA is a training “additive” program, addressed to a selection of students from the School of Architecture Urban Planning Construction Engineering, the School of Design and the School of Engineering of Politecnico di Milano, and it is meant as “experimental teaching facility” in relation to the programs and to the specificities of each Schools. In Mantua, the experience has focused on the issues of recovery and protection of the heritage, consistent with the specificity that characterizes our School, headquarters of UNESCO Chair in Architectural Preservation and Planning in World Heritage Cities. The study case chosen for the project is the Forte of Pietole, subject of an agreement signed between the Municipality of Borgo Virgilio and Politecnico di Milano in December 2015. The Fort is an example of military architecture of great value and importance, because it combines the distinct peculiarities of AustroHungarian and French architectural formulations to a much more ancient tradition, as it is located on a slight hill - Mons Virgilii, Virgil’s Hill - where it is believed to be located the birthplace of the Latin poet. In addition, the Fort area is strongly characterized by environmental and natural features, unique in Mantua territory. The project aims to rethink the Fort area as a connection between the old town, the lakes and the protected area of Parco del Mincio, enhancing the tourist attractiveness through the establishment of a range of services and facilities. Specifically this proposal has faced several thematic areas: - enhancing the appeal of the territory, seen from a tourist point of view, through increased accessibility - by land and by water - which can always be experienced, thanks to the creation of new spaces, indoor and outdoor; - the economic and environmental sustainability of the entire interventions in its different stages, from the choice of materials to be used and the most adequate construction technologies - also in view of its future use - maintenance over time and their recycling with reduced environmental impact; - the system of accessibility to the site and the internal paths - especially in relation to the large size and the complex morphology of the soil - also by improving the environmental comfort of the existing spaces and their equipment; - the adequacy of interventions in relation to the place, recognizing its specificity and its tangible and intangible heritage, improving its identity with a critical approach that allows to consider the Forte of Pietole as a layered palimpsest of signs, from the origin until the contemporaneity. The outcomes of the proposals were presented in an exhibition staged into the entrance gallery of Borgoforte Fortress, another military settlement including into the defensive building program of this area. The virtually underground space of this gallery - similar to the corridors of Forte of Pietole - was set up by evoking the suggestion of the environments envisioned in the project. The video was the instrument chosen for the presentation of the project, supported by models and maquettes: along the exposition route the exhibition was divided into six multimedia stations that presented monothematic short films: interviews of visiting and phases of work with students; the relief and the story of the fort through aerial images and footage with drones; the four thematic parts of the project, Exhibition, Wellness, Accommodation, Landscape.

#ReViEWAL 2016 / Remembering Virgil: Exhibition Wellness Accommodation Landscape

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ReViEWAL / Remembering Virgil Exhibition Wellness Accommodation Landscape Politecnico di Milano, Polo Territoriale di Mantova, 22 febbraio - 4 marzo 2016 ASA - Advanced School of Architecture Mantova www.asamantova.polimi.it

Comitato d’onore Giovanni Azzone, Ilaria Valente, Angelo Torricelli, Emilio Pizzi, Barbara Betti, Arturo Dell’Acqua Bellavitis Comitato scientifico ASA Guya Bertelli, Manuela Grecchi, Federico Bucci Comitato ASA Mantova Alessandro Beduschi, Francesco Aporti, Carlo Togliani, Federico Bucci Enti Promotori Politecnico di Milano / Polo Territoriale di Mantova, Comune di Borgo Virgilio, Parco del Mincio Visiting Professor Peter Wilson, Markus Scherer, Davide Rapp Tutor Senior Diego Cisi, Paolo Citterio, Matteo Moscatelli, Valerio Tolve Tutor Junior Arman Asgharloo, Giorgia Colombo, Paola Parolin, Alexanda Haddad, Enrico Montagnoli Studenti Stephanie Bart-Mensah, Alessandra Peña, Veronica Rigonat, Elena Saccaperni, Luigi Savio, Tamara Akhrameeva, Mariyam Yasmin Baagil, Ana Lordi, Chiara Sala, Sirppika Muthusamy Sellvabarathe, Mattia Inselvini, Antonio La Marca, Enrico Pinto, Laura Zura Puntaroni, Kristina Azaric, Clara Donati, Sahar Doustar, Jiali Hu, Matilde Valagussa Progetto Espositivo Diego Cisi, Paolo Citterio, Matteo Moscatelli, Valerio Tolve Progetto Sonoro Arman Asgharloo Organizzazione Laura Pierantoni, Martina Veneri Si ringrazia per la collaborazione Alberto Pedroni, Francesco Rondelli, Beatrice Galimberti, Valentina De Palo, Mona Tofighi Con il supporto tecnico di Dass Allestimenti Fieristici Marco Nero Formisano (www.immaginialvolo.it) 14


ReViEWAL / Remembering Virgil Exhibition Wellness Accommodation Landscape Politecnico di Milano, Polo Territoriale di Mantova, 22 febbraio - 4 marzo 2016 ASA - Advanced School of Architecture Mantova www.asamantova.polimi.it

Board of honor Giovanni Azzone, Ilaria Valente, Angelo Torricelli, Emilio Pizzi, Barbara Betti, Arturo Dell’Acqua Bellavitis Asa’s scientific board Guya Bertelli, Manuela Grecchi, Federico Bucci Mantua’s ASA board Alessandro Beduschi, Francesco Aporti, Carlo Togliani, Federico Bucci Promoters Politecnico di Milano / Polo Territoriale di Mantova, Comune di Borgo Virgilio, Parco del Mincio Visiting Professors Peter Wilson, Markus Scherer, Davide Rapp Tutor Senior Diego Cisi, Paolo Citterio, Matteo Moscatelli, Valerio Tolve Tutor Junior Arman Asgharloo, Giorgia Colombo, Paola Parolin, Alexanda Haddad, Enrico Montagnoli Students Stephanie Bart-Mensah, Alessandra Peña, Veronica Rigonat, Elena Saccaperni, Luigi Savio, Tamara Akhrameeva, Mariyam Yasmin Baagil, Ana Lordi, Chiara Sala, Sirppika Muthusamy Sellvabarathe, Mattia Inselvini, Antonio La Marca, Enrico Pinto, Laura Zura Puntaroni, Kristina Azaric, Clara Donati, Sahar Doustar, Jiali Hu, Matilde Valagussa Exhibition Project Diego Cisi, Paolo Citterio, Matteo Moscatelli, Valerio Tolve Sound Project Arman Asgharloo Organization Laura Pierantoni Martina Veneri Thanks for the collaboration Alberto Pedroni, Francesco Rondelli, Beatrice Galimberti, Valentina De Palo, Mona Tofighi With the technical support of Dass Allestimenti Fieristici Marco Nero Formisano (www.immaginialvolo.it) 15



Immagini parlanti di Paolo Citterio

Dei tanti paesaggi con i quali oggi ci confrontiamo esplorando il Forte (naturale, militare, agricolo, archeologico) quello dell’anno che segna un preciso salto evolutivo spaventa ed assieme affascina. L’aspetto apocalittico, quasi distopico, che ci rivelano le foto ingiallite del day after l’esplosione del 1917 al Forte di Pietole mostrano non solo la geografia del disastro avvenuto - come in molte scene di guerra - ma anche l’anatomia dei resti, la dissezione di manufatti originariamente pensati per nascondersi e permanere nel terreno. È un incidente rivelatore, un’inceppatura della macchina. Come disse Paul Virilio a proposito del progresso tecnico «l’invenzione della nave coincise con l’invenzione del naufragio». Grazie a queste foto possiamo inventarci le didascalie o i commenti che, per ovvi motivi di segretezza militare, rimasero avvolti nel mistero e nell’oblio. La mestizia dei pochi soldati e dei soccorritori presenti rivela al fotografo di guerra (lo si vede, piccolo piccolo, sulle macerie della casamatta di ingresso arrivando da Mantova, probabilmente ritratto da un altro collega) un disastro tanto incredibile per proporzioni quanto miracolosamente privo di vittime umane. La distruzione totale di una serie di costruzioni come la possente Santabarbara, la casamatta/poterna occidentale, l’intero insediamento del campo di Marte con le cucine, le caserme, le stalle, ecc. e il danneggiamento di molte altre, fu l’esito inevitabile di un fatale incendio esplosivo subito alimentato da migliaia di bossoli di granate di vario calibro, ammassate come non mai all’interno del Forte in attesa di essere indirizzate al fronte. Si trattò quindi di un effetto collaterale scaturito da una casualità sfortunata. Sta di fatto che queste fotografie mostrano un ‘teatro di guerra’ insolito, una landa spazzata da un vento infuocato che fece scappare quasi tutti i soldati di guarnigione e che si placò solo dopo aver ricoperto tutta l’area, come dopo un’eruzione vulcanica, di una spessa coltre di detriti, cenere e ordigni di vario calibro. Ma l’evento mostruoso non produsse immediatamente immagini, evidentemente per motivi di esplicita censura. A lungo furono solo i racconti diretti dei testimoni e gli articoli dei giornali in tempo di guerra a tracciare i primi resoconti. Ora queste immagini - a distanza di un secolo esatto dall’evento - rappresentano la memoria di qualcosa di sconveniente perché non vi fu nulla di eroico da tramandare, se non la capacità di mettersi in salvo e di evitare il peggio contenendo il propagarsi dell’incendio. Ma sono anche la memoria di una svolta, di una piegatura della storia impressa nel suolo di Pietole.

Grazie ad alcune foto vediamo che lo stesso verde e le alberature che sino ad allora accompagnavano i manufatti con un carattere ordinato e coltivato (per esempio i bei filari di gelsi lungo il fronte di gola) si sarebbero via via inselvatichite misurando in un secolo esatto la successione ecologica che ci porta al presente dove molte specie arboree pioniere incominciano a trovare un nuovo equilibrio. Sono immagini che portano alla luce una sorta di anno zero, dove il Forte perde definitivamente ogni ambizione di ‘macchina di guerra’ e comincia una lenta trasformazione in luogo di stoccaggio e poi, nel volgere di pochi decenni, dell’abbandono e della definitiva riconquista del mondo vegetale ed animale a cui ancora oggi assistiamo. Nella loro brutalità queste immagini ci raccontano di una basilare capacità di resistenza del sito alle trasformazioni, e di una sua certa “insularità”, come di un mondo a parte alle porte della città. L’isola di Pietole.

Queste immagini sono state rinvenute per errore, scambiando “Pietole” per “Bietole” durante una ricerca nell’archivio digitale del Central Institute for the Union Catalogue of Italian Libraries che ha raccolto e censito il fondo del Museo Centrale del Risorgimento di Roma e dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. Quasi certamente il medesimo errore compiuto - per distrazione o dolo, magari proprio nel goffo tentativo di censurare l’accaduto - da colui che all’epoca si occupò della catalogazione di questa campagna fotografica compiuta dal Reparto fotocinematografico dell’Esercito Italiano. Credits Museo Centrale del Risorgimento di Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. http://www.europeana1914-1918.eu/it [Valerio Tolve]

Ridotto sul rivellino ovest distrutto verso la poterna di ingresso / “Ridotto” on the west ‘rivellino’ (destroyed) towards the entrance “poterna”

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Talking pictures The many landscapes with which we are now confronting exploring the Forte (natural, military, agricultural, archaeological) that of the year 1917 marks a precise evolutionary leap, together fascinating and scary. The apocalyptic, quasi-dystonic appearance that reveals the yellowed photos of the ‘day after’ explosion of 1917 at the Fort of Pietole shows not only the geography of the disaster, as in many scenes of war, but also the anatomy of the remains, the dissection of artifacts originally conceived to hide and remain in the ground. It’s a detective incident, a bug in the engine. As Paul Virilio said about technical progress, «the invention of the ship coincided with the invention of the shipwreck». Thanks to these photos we can invent the captions or comments that, for obvious reasons of military secrecy, were wrapped in mystery and oblivion. The consternatation of the few soldiers and rescuers present there reveals to the photographer of war (visible in a photo, little one, on the wreckage near to the main entrance, probably portrayed by another colleague) an incredible disaster for proportions as well as miraculously devoid of human victims. The total destruction of a series of constructions like the mighty Santabarbara, the Casematta/Sally-port, the entire camp site with kitchens, barracks, stables, and the damaging of many others was the inevitable outcome of a fatal explosive fire immediately powered by thousands of grenade bullets of various sizes, packed as never before within the Fort waiting to be addressed to the front. It was therefore a side effect of unfortunate casualties. It is a fact that these photographs show an unusual ‘theater of war’, a land washing sweep of a fiery wind that almost all garrison soldiers escaped, and which only subsided after covering the whole area, as after a volcanic eruption , of a thick crust of debris, ash and various guns. But the monstrous event did not immediately produce images, apparently for explicit censorship. To outline the first reports, for a long time, they were just the direct accounts of witnesses and newspaper articles in war time. Now these images, at a distance of an

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exact century from the event, represent the memory of something unprofitable because there was nothing heroic to hand over, except the ability to save and to avoid the worst by containing the propagation of the fire. But they also remember a turning point, a bending of history imprinted in Pietole’s soil. Thanks to some photos we see that the same green and the trees that up to then accompanied the artifacts with an ordered and cultivated character (for example, the good mulberry rows along the defensive walls) would be gradually wildlife measuring in an exact century the Ecological succession that leads us to the present where many pioneering tree species begin to find a new balance. These are images that bring to light a kind of yearzero, where the Fort definitely loses every ambition of a ‘war machine’ and begins to transform itself into a storage place and then, within a few decades of abandonment , arrives the definitive regain of the vegetable and animal world we are still witnessing today. In their brutality, these images tell us about a basic resistance of the site to the transformations, and its own ‘insularity’ as a world apart not far away from the gates of the city. Definitively the island of Pietole. These images were found by mistake, exchanging “Pietole” for “Bietole” during a research in the digital archive of the Central Institute for the Union Catalog of Italian Libraries which collected and cataloged the fund of the Museo Centrale del Risorgimento di Roma and Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. The same error - for distraction or malice, perhaps just in the clumsy attempt to censor the event - from who at the time was engaged in the cataloging of this photographic campaign carried out by the Reparto fotocinematografico dell’Esercito Italiano. Credits Museo Centrale del Risorgimento di Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. http://www.europeana1914-1918.eu/it [Valerio Tolve]

Campo di Marte verso il fronte di gola / “Campo di Marte” towards the “fronte di gola”


Bastione ingresso / Bastion

Bastione ingresso / Bastion

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Campo di Marte verso il cavaliere / ‘Campo di Marte’ towards the ‘cavaliere’

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Fronte di gola all’ingresso da Mantova / “Fronte di gola” on the entrance to Mantua


Ingresso / Entrance

Poterna esplosa, foto censurata / “Poterna� exploded, censored image

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Il patrimonio culturale del forte, tra conservazione e sostenibilità di Laura Pierantoni

La conservazione del patrimonio culturale è un tema molto ampio e sfaccettato che si basa sulla capacità di tramandare alle generazioni future le risorse materiali e immateriali presenti in un territorio. Tramandare significa anche rendere fruibile il patrimonio in momenti storici molto diversi da quelli a cui il patrimonio è inizialmente appartenuto. Per raggiungere tale obbiettivo, i concetti di patrimonio culturale e della sua conservazione sono in continua evoluzione per adeguarsi alle necessità contemporanee. Sebbene non esista ancora una disciplina che articoli le numerose questioni legate al patrimonio culturale in un’unica area di studio, negli ultimi cinquant’anni si è assistito ad una crescente attenzione verso questo tema, sia nella letteratura che nella pratica. Tale sviluppo è rintracciabile attraverso trattati, linee guida e convenzioni promossi da diversi enti e organizzazioni nazionali e internazionali, primo tra tutte dall’UNESCO. Ad esempio, se la proposta iniziale dell’UNESCO di ripartire il patrimonio mondiale in patrimonio culturale e patrimonio naturale, e il patrimonio culturale a sua volta in materiale ed immateriale, è consolidata e ampiamente accettata, l’idea invece di integrare il principio della sostenibilità nella pratica della conservazione è al centro di una vivace discussione nelle discipline che si occupano di conservazione e gestione del patrimonio culturale oggi. Le prime indicazioni ufficiali circa l’importanza di questo nuovo approccio risalgono a più di dieci anni fa, quando, nel 2005, l’UNESCO pubblica la Declaration on the Conservation of Historic Urban Landscape in cui suggerisce che i principi della conservazione si dovrebbero integrare con la possibilità di creare esternalità positive sia di natura economica che sociale, soprattutto quando il patrimonio culturale viene messo al centro dei processi di rivitalizzazione fisica e sociale di porzioni intere del nostro territorio. L’idea alla base dell’approccio “Historic Urban Landscape” è quella di Veduta interna del Bastione 3 (Alberto Pedroni) / Internal view of Bastion n. 3

allineare gli obiettivi della conservazione del patrimonio culturale con quelli dello sviluppo del territorio, e viceversa, attraverso una chiara definizione degli obiettivi comuni e la creazione di nuove politiche in cui il patrimonio culturale diventi il cardine attorno al quale si possa sviluppare la strategia di sviluppo del territorio. In questo quadro, le politiche culturali di oggi sono andate oltre la loro funzione iniziale di fornire strumenti per la conservazione del patrimonio e la tutela della sua identità, per diventare potenti mezzi per raggiungere altri obiettivi di sviluppo territoriale, sociale ed economico, nonché di elevare il profilo competitivo delle aree interessate. Questa riflessione sembra essere particolarmente interessante, e complessa, nel caso del patrimonio architettonico e del paesaggio che spesso rischiano di essere confinati a mera scenografia delle attività socioeconomiche che gli sono complementari, come ad esempio il turismo, le attività commerciali, l’intrattenimento, e così via, tralasciando il valore culturale intrinseco che li ha resi meritevoli di conservazione per essere poi tramandati alle future generazioni. Lo studio del Forte di Pietole si inserisce in questo dibattito in un momento storico particolarmente importante per la definizione del futuro del Forte come patrimonio culturale, architettonico e paesaggistico per il territorio mantovano e non solo. Il Forte di Pietole si trova infatti nel mezzo di un lungo processo di restituzione all’uso pubblico di un’area di circa 300.000 metri quadrati che, nel tempo, ha acquisito lo stato di proprietà protetta per il suo valore storico, architettonico e ambientale diventando patrimonio a tutti gli effetti. Lo studio del Forte di Pietole è stata l’occasione per ripensare il ruolo del patrimonio storico e culturale costruito, e della sua conservazione, all’interno delle strategie di sviluppo del territorio mantovano. Ne è emersa l’idea di un progetto che possa fungere da 23


ponte tra le esigenze ambientali ed economiche e le richieste socio-culturali tanto della città storica quanto dell’area naturale protetta che circonda il Forte, allo stesso tempo rispettando il valore storico e culturale del luogo. Nel proporre una strategia adeguata al raggiungimento degli obiettivi prefissati, si è adottato un approccio culturale alla pianificazione, in cui la cultura, intesa nel senso ampio del termine, è al centro delle strategie per il rinnovamento di spazi urbani, delle aree monumentali e dei paesaggi naturali, e viene chiamata a promuovere dei processi di rigenerazione multi-sfaccettati volti tanto alla rigenerazione fisica dello spazio e al recupero di edifici, quanto ad un profondo ripensamento dell’uso dello spazio e delle interazioni sociali che ivi possono avvenire. Con la sua distintiva struttura monumentale, il Forte di Pietole diventa il simbolo di un sistema di livelli in cui natura, cultura, storia, intrattenimento e sperimentazione possono convivere. Si sono individuati quattro grandi filoni di sviluppo: Explorare (Landscape), Habitare (Accommodation), Exponere (Exhibition), Sanare (Wellness), attraverso i quali si è progettato il Forte e ripensato come area di collegamento tra il centro storico di Mantova, i laghi e l’area protetta del Parco del Mincio. Il ritmo del progetto è stato scandito dal potenziamento dell’attrattività del territorio, la sostenibilità economica e ambientale, il miglioramento del comfort degli spazi e l’adeguatezza degli interventi in rapporto con il luogo. In un’ottica di progettazione strategica di lungo periodo, si è cercato di integrare le

azioni e attività già in corso, individuare le potenzialità di sviluppo e le opportunità presenti a partire dalla valorizzazione delle risorse culturali e ambientali esistenti in questo territorio. In quest’ottica, per continuare a ragionare sul futuro del Forte a partire dalla letteratura, dallo studio condotto e dai progetti proposti, diventa importante l’adozione da parte dell’ente promotore di una progettazione strategica del territorio in chiave culturale, per far emergere una serie di azioni e di attività che ruotino in particolar modo intorno al valore culturale del luogo, coerenti con l’identità e le tradizioni per facilitare la produzione di risultati sostenibili nel lungo periodo. In caso contrario, attraverso l’imposizione di strategie e progetti seriali calati dall’alto e non rispondenti ai bisogni e al carattere del territorio su cui si va a operare, si rischierebbe di privare dell’identità il territorio stesso e pertanto di sottrarlo della motivazione chiave che ne sostiene l’esistenza. Significherebbe avvallare la posizione di Salvatore Settis (2010, Paesaggio Costituzione cemento: la battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, Einaudi Torino) sul rischio in cui il nostro patrimonio e paesaggio stanno incorrendo, di diventare sempre meno il tesoro e il respiro di tutti i cittadini, ma piuttosto la troppo facile riserva di caccia di chi cinicamente lo devasta calpestando il bene comune per il proprio profitto.

Veduta esterna del Bastione 4 (Alberto Pedroni) / External view of Bastion n. 4

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Veduta esterna della casamatta di ingresso da Pietole (Alberto Pedroni) / External view of the entrance blockhouse from Pietole


Porta Pietole (Alberto Pedroni)

Veduta del muro di cortina tra il Bastione 1 e il Bastione 4 (Alberto Pedroni) / View of the curtain wall between Bastion 1 and 4

Ingresso a un casamatta ricavata nel terrapieno (Valerio Tolve) / Entrance to a bunker carved into the embankment

Il “percorso del Generale” (Valerio Tolve) / “General’s path”

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The Fort’s heritage in between preservation and sustainability The preservation of cultural heritage is a very broad and multi-faceted issue based on the power to pass on to future generations the tangible and intangible resources available in a territory. To pass on also means to make available and accessible the heritage in historical times that could be very different from those to which the heritage initially belonged. In order to achieve this objective, the concept of culture and that one of conservation of cultural heritage assets are constantly evolving to adapt to contemporary needs. Although there is still no discipline that deals alone with the many issues related to cultural heritage as one single area of study, over the past fifty years increasing attention has been given to this issue, both in the academic literature and in practice. This intellectual and professional development can be traced through treaties, guidelines and conventions triggered by several institutions, national and international organisations, first of all by UNESCO. For example, if the initial proposal of UNESCO to divide the world heritage into cultural and natural heritage, and the cultural heritage in material and immaterial heritage, is well established and widely accepted, the idea instead of integrating the principle of sustainability in conservation practice is still the focus of a lively discussion in the disciplines that deal with conservation and management of cultural heritage today. The first official statement about the importance of this new approach dates back more than ten years ago when, in 2005, the UNESCO published the Declaration on the Conservation of Historic Urban Landscape which suggests that the principles of conservation should integrate with the creation of both economic and social positive externalities, especially when cultural heritage is put at the centre of physical and social processes of revitalization of large territorial areas. The idea underlying the “Historic Urban Landscape” approach is to align the objectives of conservation of cultural heritage with the development of the territory, and vice versa, through a clear definition of the common objectives and the creation of new policies where cultural heritage becomes the cornerstone around which develops the development strategy for a territory. In this context, today’s cultural policies have gone beyond their original function of providing tools for heritage conservation and protection of the identity of a place, to become instead powerful means to achieve other objectives of territorial development, social and economic, as well as to raise the competitive profile of the affected areas. This reflection seems to be particularly interesting and complex when addressed to the landscape and architectural heritage that too often act as the beautiful stage where socio-economic activities, such as tourism, business, entertainment and so on, happen, leaving behind the intrinsic cultural value that has made those assets worthy of preservation to be passed on to future generations. The study of Forte of Pietole well fits into this debates 26

in a crucial historical time in which the Fort is to define its future as cultural, architectural and landscape heritage for the city of Mantua and beyond. Forte of Pietole sits in the middle of a long process of returning to the public use an area of about 300.000 square meters that, over time, acquired the status of protected property for its historical, architectural and environmental value, achieving the full label of “heritage” asset. The study of Pietole Forte was an opportunity to rethink the role of the built historical and cultural heritage, and its conservation, within the Mantuan territorial development strategies. It has emerged the idea of a plan that could act as a bridge between environmental and economic needs and socio-cultural demands, coming from the historic city as much as from the protected natural area that surrounds the fort, and, at the same time, respecting the historical and cultural value of the place. In order to find an appropriate strategy to achieve the above mentioned objectives, during the workshop it was adopted a cultural approach to planning in which the concept of culture, which has to be understood in the broadest sense, is at the center of strategies for the renewal of urban spaces, the monumental areas and landscapes, and it is called to promote multi-faceted regeneration processes for the physical regeneration of the space and the recovery of buildings, as well as a profound rethinking of the use of space and the social interactions that can take happen there. The Fort, with its distinctive monumental structure, ought to be considered as the summary of a series of different levels in which nature, history, entertainment and experimentation could coexist. For the seek of the project, four development strands have been identifies: Explorare (Landscape), Habitare (Accommodation), Exponere (Exhibition), Sanare (Wellness). The Fort has been redesigned and developed through the lens of those four strands, while keeping in mind its role as connecting land among the historical centre of the city of Mantua, its lakes and the natural area of Parco del Mincio. The pace of the project was marked by the strengthening of the attractiveness of the territory, the economic and environmental sustainability, improvement of the comfort of the spaces and the adequacy of interventions in connection with the place. The use of the strategic planning approach, within a long term perspective, sees the integration of actions and activities already existing in the area together with the search of new paths of development and opportunities streaming from the enhancement of cultural and environmental resources of the territory. From this perspective, in order to continue to think about the future of the Fort, it is crucial that the local administration in charge of the Fort adopts a cultureled strategic planning approach, which should allow the emergence of actions and activities that revolve especially around the cultural value of the site, in line with the identity and traditions, in order to facilitate the


production of sustainable results in the long run. On the contrary, if the local administration would choose to impose top-down and serial projects that do not answer to the needs of the place, the risk would be of depriving the site of its own identity, and therefore to cancel the main reason for its existence. This would mean to endorse Salavatore Stettis (2010, Paesaggio Costituzione cemento: la battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, Einaudi, Torino) idea about the risk that our heritage and landscape are incurring, i.e. to become less and less the treasure and breath of all citizens, but rather too easy hunting of those who, cynically trampling it, devastate the common good for their own profit.

Postazione di artiglieria in un casamatta (Valerio Tolve) / Artillery station in a casemate

Veduta panoramica del Mincio dal Forte (Valerio Tolve) / Panoramic view of the Mincio by the Forte

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Veduta interna di un casamatta (Valerio Tolve) / Internal view of a casemate


Uscita da un casamatta ricavata nel terrapieno (Valerio Tolve) / Exit by a bunker carved into the embankment

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Ridotto circolare di collegamento al muro di controscarpa (Valerio Tolve) / Circular foyer for the connection counterscarp wall

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Il bastione esterno e la galleria di contromina ricoperti dalla vegetazione (Valerio Tolve) / External bastion and the contromine tunnel covered by the vegetation

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Riprese aeree del Forte di Pietole (Marco Nero Formisano/Immaginialvolo) / Aerial view of Forte di Pietole


Scala di accesso al fossato secco (Valerio Tolve) / Stairway to the dry ditch

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Riprese aeree del Forte di Pietole (Marco Nero Formisano/Immaginialvolo) / Aerial view of Forte di Pietole

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Varco aperto per la difesa della controscarpa e della controguardia (Valerio Tolve) / Opened gate for the defense of counterscarp and counterguard

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In pausa di Davide Rapp

I nuovi formati di riproduzione audiovisiva, a risoluzione sempre maggiore, consentono a chiunque e in casa propria, di guardare e riguardare film e serie televisive: dal VHS al Laserdisc, dal DVD al Blu-Ray, la pressione del tasto pause restituisce all’occhio immagini sempre più nitide e fedeli. In un lungometraggio di 90 minuti ci sono circa 129.600 fotogrammi, 1440 al minuto, 24 al secondo: lo sguardo si sofferma su infiniti spazi e dettagli da osservare, studiare ed infine catalogare. Nel cinema lo spazio architettonico assume valori alternativamente scenografici o simbolici: può fare da sfondo all’azione o diventarne protagonista, può dissolversi - sfocato - in background o influenzare e definire la composizione fotografica dell’inquadratura. L’occhio della cinepresa - nel cinema d’autore e in quello commerciale - seleziona e ritaglia la scena in porzioni ad ampiezza diversa, includendo gli elementi utili alla narrazione ed escludendo il resto: ciò che non è ripreso è suggerito dal montaggio e dall’azione. Estrapolati dal contesto narrativo, i singoli frame acquistano nuovo senso e mostrano - a scale diverse le location filmate dal vero o i set fittizi realizzati in studio, dalla scala urbana a quella degli interni: spazi filmici da archiviare - giorno dopo giorno - al termine della visione. La giustapposizione di riprese degli elementi architettonici fondamentali (finestre, muri, porte, pavimenti, scale, e soffitti) o di ambienti domestici (sale da pranzo, camere da letto, cucine e toilette) evoca connessioni e legami altrimenti invisibili, rivelando contrasti e pattern ricorrenti nelle proporzioni geometriche, nei materiali, nei colori e negli arredi in scena. Gli spazi della finzione coesistono simultaneamente in un catalogo in progress1 che apre a nuovi montaggi cinematografici e/o architettonici - tutti da sperimentare.

Last generation home-video formats - from Laserdiscs to VHS tapes, from DVDs to Blu-Ray Discs - enable viewers to watch and rewatch their favourite movies and tv series, showing sharp and detailed highresolution frames whenever the pause button is pressed on the video player. In a 90 minutes movie there are around 129.600 frames, 1440 per minute, 24 per second: a huge collection of images, details and spaces to be isolated, observed and catalogued. In cinema, the architectural space assumes scenographic or symbolic values: it acts as a backdrop for the action or it becomes its protagonist, influencing the camerawork and the mise-en-scéne. The gaze of the camera - both in art films and in commercial ones cuts the space in portion of different sizes. The elements of the scene are included or excluded from the final frame: that which is not filmed by the camera, is suggested by its movements or by the final montage. Each frame, cut out from its narrative context, takes on a new meaning and shows real locations and studio sets at different scales, from urban scale to the interior design: fictitious interiors to be archived at the end of each movie, day by day. The simple act of juxtaposing separate shots of fundamental architectural elements (such as windows, walls, doors, floors, stairs and ceilings) and domestic spaces (such as dining rooms, bedrooms, kitchens and toilettes) evokes connections and ties that would be otherwise invisible, revealing recurring lines, shapes, materials, colours and furnitures. The spaces of fiction coexist simultaneously in a “work in progress” catalogue1 that suggests new montages both cinematic and architectonic - to be experimented

Una selezione di alcuni frame dal blog di Davide Rapp (lazynotes.tumblr.com) / A selection of some frames from Davide Rapp’s blog

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Una selezione di alcuni frame dal blog di Davide Rapp (lazynotes.tumblr.com) / A selection of some frames from Davide Rapp’s blog

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Una selezione di alcuni frame dal blog di Davide Rapp (lazynotes.tumblr.com) / A selection of some frames from Davide Rapp’s blog

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Una selezione di alcuni frame dal blog di Davide Rapp (lazynotes.tumblr.com) / A selection of some frames from Davide Rapp’s blog

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L'autorità dello schizzo una breve visita a Mantova di Peter Wilson

Il tragitto in treno da Malpensa e attraverso “la Città Diffusa” non mi ha preparato per il Teatro all’antica di Scamozzi o per la densità di altre sorprese architettoniche che mi sarebbero state mostrate nelle ore precedenti al mio intervento per gli studenti del Politecnico, intitolato L’autorità dello schizzo. La parola schizzo è infatti inadatta, ciò che essa veramente sottindende è la mano dell’autore. Dalibor Vesely ha scritto «il disegno offre una consapevolezza unica rispetto alle possibilità costruttive o all’esplorazione del confine tra lo spazio reale ed immaginato, in altre parole offre una consapevolezza della capacità rappresentativa della nostra immaginazione, messa alla prova dalla capacità concettuale della nostra immaginazione». La presentazione è iniziata con uno schizzo chiamato Opening Night, che mostra il nostro progetto per il Luxor Theatre, le cui luci si riflettono sulla superficie bagnata di una strada di Rotterdam. È un disegno che anticipa un’atmosfera molto particolare per il teatro, un edificio che ospita eventi e che può accogliere alla sera un pubblico di 1.500 persone. Dopo aver vinto questo concorso, a cui hanno partecipato anche OMA e altri architetti olandesi di primo piano, abbiamo cercato di anticipare l’immagine riguardante la vita dell’edificio, e accompagnato il processo di definizione del dettaglio con questo tipo di schizzo, molto coreografico. Questo è anche avvenuto nel caso di alcuni interventi urbani come il Quartiere Falkenried ad Amburgo o il nuovo Quartiere Monteluce a Perugia. In entrambi i casi lo schizzo è stato lo strumento impiegato per cercare una forma urbana e allo stesso tempo sedurre il pubblico con immagini meno patinate e impenetrabili dei rendering digitali. Il mio racconto agli studenti si è concluso con gli ultimi nostri interventi nella città albanese di Korça. Qui il nostro masterplan, ancora una volta basato su un’urbanistica scenografica fatta di schizzi, ha proposto un intervento di riscrittura del nucleo storico effettuato gradualmente, passo dopo passo. Il progetto è costituito da una Piazza della Cattedrale e da una Promenade pedonale che culminano in nuovo Campanile (chiamato “Red Bar in the Sky”) da un parco Hotel Cologne. Schizzo del contesto / Hotel Cologne. Context sketch

pubblico ridefinito attraverso percorsi ciclabili, da schermi di vetrocemento illuminato internamente e da una promenade centrale che di sera si riempie di centinaia di cittadini a passeggio. Lo schizzo è anticipatore di tali frammenti di vita urbana, persone che ogni giorno fanno cose davanti allo scenario di una architettura che le supporta. Se mi fossi fermato più a lungo a Mantova avrei cambiato il titolo della mia presentazione in L’autorità della Geometria. Questo è stato infatto il tema emerso durante le discussioni sui progetti per il Forte di Pietole dove un tempo, sul confine tra uno spazio reale e immaginario, si sono spinte le linee di guardia militare, le traiettorie e le murature di controscarpa. In uno dei miei libri preferiti in lingua inglese, Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo”, lo zio Shandy esamina le sue eccentricità umoristiche nel cercare di ricostruire la traiettoria del frammento di roccia della Fortificazione, che era stato messo in movimento da una palla di cannone durante l’assedio di Namur e lo aveva ferito all’inguine. Per me la geometria militare, come l’architettura, va sempre corretta con narrazioni dalle dimensioni molto più umane. Come mi è stato raccontato la morfologia di Mantova è stata valorizzata da tali narrazioni, un affresco che anticipa le precise geometrie della Casa del Mantegna o l’inesatto numero di assi nella facciata della casa di Giulio Romano. La mia visita non è durata più di ventiquattro ore, spero che gli studenti abbiano imparato tanto quanto ho potuto io.

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The autority of the sketch - a Mantua airing Ploughing away from Malpensa and through La Città Diffusa did not prepare me for Scamozzi’s Teatro all’antica or the density of other architectural treats I would be shown in the few hours before my lecture to Polytechnico students called - The Authority of the Sketch. The word sketch is in fact too loose-fit - what it implies is the hand of the author. i.e. as Dalibor Vesely has written ‘ the drawing offers a unique insight into the constructive possibilities or the boundary of actual and imagined space, in other words an insight into the representative power of our imagination, challenged by the conceptual power of our imagination’. The lecture began with a sketch called ‘Opening Night’ it showed our Luxor Theatre, its lights reflecting in a wet Rotterdam street. It is a drawing that anticipates a particular atmosphere, particular to the theatre, a building that hosts events, that welcomes nightly an audience of 1,500. After winning this competition against OMA and other leading Dutch architects we anticipated the life of the building and accompanied the process of detailing with such choreographing sketches. This is also the case for urban interventions like the Falkenried Quarter in Hamburg or the new Monteluce Quarter in Perugia. In both cases the sketch was the tool used to research urban form and also to seduce the public with images less slick and inpenetratable than digital renderings. My talk to students concluded with current interventions in the Albanian city of Korça. Here our masterplan again based on a sketched Scenographic Urbanism is now step by step rescripting the historic city centre. A Cathedral

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Square and Pedestrian Promenade culminating in a new Campanile - called the Red Bar in the Sky. Also a public park re-formatted with bicycle paths, internally illuminated glass-brick screens and a central promenade now nightly filled with hundreds of promenading citizens. The sketch is anticipatory of such vignettes of urban life, people doing everyday things against the backdrop of a facilitating architecture. If I had stayed longer in Mantua the title of my lecture would have transformed into ‘The Authority of Geometry’. This was in fact the theme of reviewed studio projects for Il Forte di Pietole where military sight lines, trajectories and counter scarps once pushed at the boundary of actual and imaginary space. In one of my favourite English Language books, Laurence Sterne’s ‘Life and Opinions of Tristram Shandy’ Uncle Shandy peruses his humorous eccentricities by trying to reconstruct the trajectory of the fragment of Fortification rock set in motion by a cannon ball during the siege of Namur and wounding him in the crutch. For me military geometry like architecture is always to be laced with narratives of such very human dimensions. As it was explained to me the morphology of Mantua was enhanced by such narratives, a fresco as down payment for the precise geometries of Casa del Mantegna or the inexact number of axes in the facade of Gulio Romano’s house. My visit lasted not much more than twenty four hours, I hope the students learned as much as I did.

The Red Bar in the Sky. Korca, Albania / The Red Bar in the Sky. Korca, Albania


Una selezione di schizzi e appunti di viaggio a Mantova di Peter Wilson / A selection of sketches and travel notes in Mantua by Peter Wilson

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Una selezione di schizzi e appunti di viaggio a Mantova di Peter Wilson / A selection of sketches and travel notes in Mantua by Peter Wilson


Una selezione di schizzi e appunti di viaggio a Mantova di Peter Wilson / A selection of sketches and travel notes in Mantua by Peter Wilson

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Una selezione di schizzi e appunti di viaggio a Mantova di Peter Wilson / A selection of sketches and travel notes in Mantua by Peter Wilson


Le Corbusier, colori. Berlin / Le Corbusier, colours. Berlin

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Taccuino di viaggio intervista a Markus Scherer a cura di Paolo Citterio

PC: Partiamo subito dal luogo, che abbiamo visitato come in un’incursione, mentre soffiava un gelido vento e tutto sembrava come sospeso. Quali riflessioni ne hai tratto nel viaggio di ritorno? MS: Per molti versi è un luogo fantastico dove molte tracce incredibilmente permangono, non solo nelle vestigia in qualche modo canoniche (le cortine murarie, le casematte, le polveriere, i fossati, ecc.), ma anche in alcuni aspetti costruttivi peculiari come i sistemi di risalita in quota e le coperture, sebbene invase dalla vegetazione spontanea.

Ecco, appunto, cosa pensi della vegetazione che oggi copre gran parte dei 33 ettari del forte? Penso che questo luogo si è formato nell’arco di molto tempo e che le nuove necessità potrebbero in parte farsi spazio, letteralmente, ma d’altro canto bisognerà calibrare bene ogni nuova funzione mantenendo un equilibrio anche con la natura che, come sempre, si riprende le cose. La stratificazione degli eventi che si legge in questo luogo è una ricchezza in ogni suo aspetto, anche se è un equilibrio in divenire, in costante mutamento.

Si, devo dire che il tuo occhio ha visto cose che non tutti possono vedere, per esempio hai subito individuato tra le fronde spoglie degli alberi quelle rampe di servizio fatte sostanzialmente di terra, ma ormai sommerse dagli stessi alberi spuntati in gran numero negli ultimi anni. Nemmeno una guida esperta riesce a far questo facilmente. È una sensibilità maturata nel tempo? Sì, è probabile che una certa mia confidenza con complessi fortificati come quelli di Fortezza a Bolzano consentano poi, seppur cambiando le coordinate geografiche e materiali, di ritrovare simili metriche, simili processi di uso dello spazio. Devo dire che il bellissimo disegno di Franz Von Scholl (il “Rapportsplan” o rilievo del forte del 1859), che è molto di più di un semplice rilievo, ha una forza che si memorizza, che aiuta a prefigurare gli spazi. Averlo visto prima è stato come avere un indizio nel gioco della caccia al tesoro!

Al di là dello specifico, trovi che ci sia un carattere di fondo che accomuna questo forte ad altri? Voglio dire: esiste una sorta di carattere generico, indistinto, ma potente di queste strutture militari? Forse potrebbe essere il modo di costruire secondo un’economia precisa, una divisione dei compiti a partire dalle risorse disponibili. A Fortezza era la pietra locale a fornire la base materiale, qui il mattone e solo per certe finiture la pietra naturale, come nelle cornici delle bocche di fuoco. Ho cercato qualche indizio nei resti che velocemente incrociavamo qua e là, ma non ho trovato per esempio i classici marchi di fabbrica dei mattoni asburgici.

Si, è vero, sarà anche stato per il freddo, ma di fatto correvamo tra gli alberi quasi come se avessimo un disegno ben preciso in testa! E poi quel cratere della grande esplosione del 1917, nemmeno quello è facile da percepire con gli occhi, occorre camminarci intorno… Quello è un altro punto molto affascinante, un paesaggio frutto di una metamorfosi anche violenta. Più correttamente si dovrebbe parlare di “implosione” poiché, da quello che ho capito, la Santa Barbara austriaca resse bene alle detonazioni e finì per scavarsi il terreno intorno piuttosto che deflagrare verso l’alto. Così oggi abbiamo un vulcano spento trafitto da mille alberi. Bastione, veduta interna / Bastion, internal view

In effetti il periodo austriaco aveva regolarizzato persino una cosa banale come la numerazione di tutti i corpi edificati (davvero tanti e spesso piuttosto simili), in modo da non creare rallentamenti o fraintendimenti negli ordini di servizio, suppongo. E poi mi sembra che anche il sistema degli ingressi era stato in parte riadattato, per certi versi rinunciando alla grandiosità napoleonica e apportando modifiche nel senso della praticità, per quanto fosse possibile, ovviamente. Ma torniamo ad un discorso più generale, cosa pensi di un certo modo di riadattare le strutture militari per usi di, chiamiamolo così, intrattenimento o spettacolarizzazione, seppure educativa come al forte di Bard? Sono davvero l’unica alternativa alla sacralizzazione delle vestigia del passato ottenibile per pura preservazione materiale? In generale sono abbastanza contrario ad una spettacolarizzazione eccessiva, anche se capisco 55


bene il problema anche economico della gestione di queste sorta di isole abbandonate nel paesaggio. In certi casi, poi, non è nemmeno difficile trovare scorci spettacolari ed attrattivi, penso ai forti di montagna, ovviamente. Qui il caso però è un po’ diverso. Si tratta di un mondo incantato, silente e nello stesso tempo molto ben conservato in alcuni aspetti importanti. E poi le dimensioni sono notevoli ed anche una certa unitarietà, al di là dei diversi periodi e se vogliamo dei diversi stili di gestione militare. Ogni intervento anche minimo dovrebbe essere sintonizzato sul carattere di fondo, ma qui quale potrebbe essere (ammesso vi sia)? È difficile risponderti, bisognerebbe partire da occasioni concrete, da bisogni contingenti. Mi sembra che il solo fatto che si senta un crescente bisogno di esplorare i manufatti e gli ampi spazi del forte sia già un sintomo di una vocazione. Rendere un po’ più strutturata l’esplorazione innesca già un processo virtuale di riconsegna del forte alla collettività. Quali potrebbero essere i primi atti concreti di questa esplorazione istituzionalizzata? Ancora più difficile! Mi viene in mente che dare accoglienza ai gruppi pone già un tema di progetto. Ma mi rendo conto che è ancora abbastanza poco. Forse immaginando per ogni escursione un tema che sia al contempo di visita al forte e di trattazione, anche fantasiosa, di un grande tema di indagine attinente: gli animali nel tempo (dai cavalli di ieri alle volpi di oggi), la

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polvere da sparo (l’uso nel passato - militare- e quello nel presente - artistico - pensa all’uso della polvere da sparo in senso espressivo di Cai Guo-Quiang o a certi lavori di Ai Weiwei…, così ti voglio provocare!), e via dicendo. Si, una sorta di parco naturale-archeologico multiuso. E’ poi il modo in cui questo viene tradotto materialmente che rappresenta la grande sfida del Workshop, in effetti. Un’ultima nota: che ne pensi del legame con Virgilio, profondo per Mantova e qui a Pietole alias Mons Virgilii in modo particolare? Ti pare solo un pretesto, seppur nobile, o c’è di più? Questa è una ricchezza che altrove difficilmente si ritrova, un caso unico. Non è un certo un pretesto. E’ però una sfida concettuale e, direi, di qualità. Non puoi considerare questa eredità antica senza entrare nel profondo di una tradizione che per altri versi sembra però sfuggire. Essere troppo vicini a questo crea talvolta dei problemi di messa a fuoco. Non ho consigli in merito, ma dico solo che è bene anche qui calibrare gli intenti con grande cautela, evitando celebrazioni troppo intellettualistiche e individuando modalità interpretative innovative.

Bastione, veduta esterna / Bastion, external view


Markus Scherer, Forte di Fortezza. Restauro e percorso museale / Markus Scherer, Forte di Fortezza. Restoration and museualization

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Travelbook PC: Let’s start from the place that we visited as in a raid, while a cold wind was blowing and it seemed as if suspended. What thoughts did you draw on the return journey? MS: In many ways it is a fantastic place where many traces amazingly remain. Not only traces somehow canonical such as the curtain walls, the casemates, the powder magazines, ditches, etc., but also some peculiar construction aspects such as ramps and roofing, although invaded by the natural vegetation. Of course, I must say that your eyes have seen things that not everyone can see. For example you have immediately identified among the branches of the trees remains of the service ramps substantially made of earth, but now overgrown by the trees recently sprung up in large numbers. Not even an experienced guide can easily do this. Is it a mature sensitivity over time? It is likely that a certain confidence with my fortified complexes such as those of Fortezza in Bolzano then allow, albeit changing the geographical coordinates and materials, to find similar metrics, similar processes to the use of space. I must say that the beautiful drawing by Franz von Scholl (the “Rapportsplan” or the survey of 1859), which is much more than just a survey, has a memorable power, which helps to foresee the spaces. Having seen it before it was like having a clue in the treasure hunt game!

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Yes, it’s true, it has been due to the cold, but in fact we were running through the trees almost as if we had a specific pattern in the head! And that crater of the great explosion of 1917, is not even easy to perceive with the eyes, it is necessary to walk around... That’s another very charming spot, a landscape originated from a even violent metamorphosis. More properly you should speak of ‘implosion’ because, from what I understand, the Austrian Santa Barbara resisted well to detonations and ended up digging the soil around rather than explode upwards. So today we have a dormant volcano pierced by a thousand trees. Here, of course, what do you think about the vegetation that now covers most of the 33 hectares of the Forte di Pietole? I think this place has been formed over a long time and that new requirements could partly make room, literally, but on the other hand we have to fine tune every new function also keeping a balance with nature that, like always, re-absorbs all things. The stratification of the events that we read in this place is a treasure in every aspect, even if it is a balance in the making, constantly changing. Beyond the specific, you find that there is a background character that unites this Fortress to others? I mean, is there a kind of generic, impersonal, but powerful feature of these military facilities?

Markus Scherer, Forte di Fortezza. Restauro e percorso museale / Markus Scherer, Forte di Fortezza. Restoration and museualization


Perhaps it could be a way to build according to a precise economy, a division of labor based on available resources. In Fortezza was the local stone to provide the material basis, here is the brick and only for certain finishes the natural stone, as well as for the frames of gun-ports. I looked for clues in the remains here and there, but I have not found the classic Hapsburg’s brick trademarks.

even difficult to find attractive and spectacular views, I think of the mountain Fortresses, of course. But here the case is slightly different. It is an enchanted world, silent and at the same time very well preserved in some important aspects. And then the dimensions are considerable and also a certain unity, beyond the different periods and the various military management styles.

In fact, the Austrian period had regularized even something as mundane as the numbering of all constructions (many and often quite similar), so as not to create misunderstandings or slowdowns in service orders, I suppose. And then it seems to me that even the entrance system had been partially converted, in some ways giving up the Napoleonic grandeur and making changes in the sense of practicality, as much as possible, of course. However, back to a more general discussion, what do you think of a certain way to readjust the military facilities to, let’s call it as well, purposes of entertainment or spectacle, albeit educational as in the case of Forte di Bard? They are really the only alternative to the sacralization of the vestiges of the past obtained by mere material conservation? In general I’m quite opposed to any disproportionate spectacle, even if I understand well economic problem related to the management of these kind of “deserted islands” in the landscape. In some cases, then, it is not

Even the slightest intervention should be tuned to the underlying character, but here what could be (if any)? It’s hard to answer, we should from concrete occasions, from contingent needs. It seems to me that the mere fact that you feel an increasing need to explore the artifacts and the wide spaces of the Fort that is already a symptom of a vocation. Make it a little more structured the exploration triggers already a virtual process of returning the Forte di Pietole to the community. What could be the first concrete actions of this institutionalized exploration? Even more difficult! I am reminded that harboring groups already poses a theme of the project. But I realize that it is still fairly. Perhaps imagining for each excursion a theme that is both a visit to the Fort and a discussion, even fanciful, on a major theme of relevant investigation: the animals over time (from the horses of yesterday to today’s foxes), gunpowder (the military use in the past and, in the present - artistic - think to

Markus Scherer, Forte di Fortezza. Restauro e percorso museale / Markus Scherer, Forte di Fortezza. Restoration and museualization

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the use of gunpowder in a meaningful way by Cai GuoQiang or certain works by Ai Weiwei... so I want to provoke you!), and so on. Yes, a kind of natural and archaeological multi-purpose park. In fact It is the way this is materially translated representing the great challenge of the Workshop. One last note: what do you think about the link with Virgil, deep for Mantua and especially here in Pietole aka Mons Virgilii? Does it seem only a pretext, albeit noble, or is there more? This is a treasure that is hardly to found anywhere else, unique. It is not any pretext. It is yet a conceptual challenge, I would say, quality. You can not consider this ancient heritage without going deep in a tradition that otherwise seems, however, to escape. Being too close to this sometimes creates the trouble focusing. I have no advice on that, but I just say that it is also good here calibrate intent with great caution, avoiding too intellectualized celebrations and identifying innovative and interpretive ways.

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Markus Scherer, Forte di Fortezza. Restauro e percorso museale / Markus Scherer, Forte di Fortezza. Restoration and museualization


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Wellness. Quando sentire diventa capire Tutor Senior prof. Diego Cisi Tutor Junior Enrico Montagnoli Studenti • Students Mattia Inselvini Antonio La Marca Enrico Pinto Laura Zura Puntaroni

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Sanare/Wholeness/Wellness. Masterplan / Sanare/Wholeness/Wellness. Masterplan


Il forte di Pietole si trova in prossimità dalla città di Mantova a poche centinaia di metri in linea d’aria dall’area di espansione residenziale urbana del dopoguerra ma allo stesso tempo è un luogo immerso nella natura ed un sito di interesse comunitario che negli ultimi anni è stato riscoperto anche dai cittadini. Questo luogo si caratterizza innanzitutto per l’impossibilità di coglierne con lo sguardo l’estrema complessità degli spazi che costituiscono la sua struttura che si configura come una sorta di spazio non controllabile, non definibile per il quale non si possiedono nemmeno delle esperienze analoghe a cui far riferimento in grado di fornire una struttura interpretativa adeguata. Non si ha la percezione degli spazi, il forte non si vede, mentre la natura ti estranea ancora di più perché non ti consente di vedere direttamente i luoghi e ti preclude di coglierne la straordinaria complessità rappresentata dai cammini, fossati secchi e gallerie di controscarpa. È una sorta di grande architettura topografica incastrata nel lago. Un’architettura che istituisce una relazione col suolo che ti conduce ad un rapporto fisico e psicologico col territorio e il paesaggio. Questa lettura interpretativa ha condotto ad una declinazione di questo luogo attraverso gli strumenti dell’architettura e attraverso un programma che ne enfatizzasse le questioni di fondo. Recuperare la semplicità delle cose, guardare alla nostra vita attraverso le esperienze che abbiamo vissuto e non alle cose che abbiamo posseduto. L’architettura ti consente di riscoprire le vere questioni del vedere e del sentire. Il wellness inteso come benessere spirituale nel quale i sensi diventano lo strumento con cui istituire un nuovo rapporto con la realtà. I sensi sono la nostra finestra sul mondo. Il progetto si configura come un percorso sensoriale, una sorta di museo delle sensazioni in cui il dispositivo culturale attraverso il quale filtriamo il mondo reale

Veduta prospettica / Perspective views

si disinnesca per lasciare il posto ad uno sguardo aurorale sulle cose. L’operazione concettuale si esplicita attraverso il progetto di spazi e percorsi che vengono fruiti dallo spettatore attraverso un esperienza nella quale di volta in volta vengono esclusi o privilegiati solo alcuni dei nostri sensi che ci forniscono una quotidiana esperienza dell’esistenza. Il progetto è un percorso sensoriale che reinterpreta il concetto di benessere, un benessere spirituale dove sono le sensazioni a stabilire un rapporto con la realtà. Il progetto è suddiviso per temi coì di seguito specificati. Sentire con il corpo Dopo un breve percorso attraverso un frammento di vegetazione fitta e non antropizzata, si giunge al primo padiglione, originariamente destinato a deposito, all’interno del quale lo spazio completamente buio viene rischiarato da un fuoco parzialmente coperto da un filtro attorno al quale è possibile sedersi e avvertire sul corpo il calore sprigionato dalla grande fiamma. L’esperienza della temperatura che si avverte sul proprio corpo all’interno di uno spazio buio è il primo elemento del processo che tenta di istituire delle relazioni con la nostra esperienza del vissuto attraverso i sensi. Udire Il secondo edifico con caratteristiche analoghe al precedente, viene contaminato da grandi strutture auricolari in metallo, orientate in diverse direzioni che intersecano in più punti il fabbricato e captano i suoni provenienti dalla natura circostante. L’edificio assume le connotazioni di un architettura inconsueta e spaesante all’interno del quale i suoni della natura catturati dall’esterno ed amplificati dai collettori metallici forniscono un esperienza di straniamento e di quiete.

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Rito del tè Procedendo nel percorso attraversando una galleria di controscarpa in mattoni si giunge ad un altro padiglione analogo ai precedenti, che viene trasformato in serra, sostituendo la copertura esistente con una copertura in vetro. All’interno di questo nuovo spazio è possibile sperimentare la liturgia del somministrazione del tè, che avviene in questo edificio scabro e immerso nella natura incontaminata. Il rito inteso come momento di sospensione temporale, nel quale il soggetto ricerca un nuovo equilibrio slegato dalla scansione ordinaria del quotidiano. Tatto Il percorso prosegue intercettando un altro padiglione nel quale è possibile provare un’esperienza tattile tra il proprio corpo ed alcuni elementi naturali. Questa esperienza si concretizza attraverso la possibilità camminare oppure sdraiarsi liberamente sul suolo che è disegnato da settori differenti di pavimentazioni costituiti a loro volta da inerti di pezzature diverse. Il venire a contatto direttamente con materiali naturali, quali cortecce, sassi, sabbia, foglie, rappresenta il tentativo di vivere il ricongiungimento con una esperienza primitiva dello stare nel mondo naturale. Poiesis Proseguendo si incontra un altro fabbricato che viene sostanzialmente lasciato nello stato in cui si trova e viene destinato ad ospitare opere d’arte temporanee. In questo caso l’esperienza artistica viene intesa come un approccio poetico al mondo, svincolato dalle logiche razionali e di profitto governate dalla mente raziocinante. La dimensione poetica, nella sua ambiguità e contraddittorietà rappresenta una strada possibile e alternativa di esplorazione del mondo reale. Rito di passaggio L’ultimo padiglione del percorso a terra è allo stesso tempo il primo che si incontra per coloro che accedono dal lato opposto. Il fabbricato interpreta e rappresenta il rito di passaggio, in particolare il passaggio tra un mondo naturale e un mondo artificiale. Questa esperienza viene esplicitata attraverso la destrutturazione di una porzione del fabbricato esistente che viene ibridato della vegetazione spontanea nel processo di colonizzazione casuale delle strutture portanti. Il suolo dell’edificio viene a sua volta pavimentato con griglie metalliche di larghezze variabili che consentono di camminare su un suolo rigido ed allo stesso tempo permettono alla vegetazione spontanea di affiorare da esso. Spoliazione Collocato su sulla sommità del bastione attorno al quale si sviluppa il percorso, si trova un edificio il calcestruzzo. In origine questo fabbricato veniva parzialmente colmato d’acqua e ospitava gli ordigni bellici più potenti tra quelli custoditi nel forte. Il mantenimento in acqua consentiva durante il periodo 70

estivo di limitare il livello di surriscaldamento degli ordigni e pertanto la loro pericolosità. La peculiarità di questo edificio ci ha consentito di ipotizzare il proprio impiego come una sorta di vasca termale, all’interno della quale è possibile terminare il nostro percorso sensoriale. L’esperienza si configura come una sorta di spoliazione e liberazione dei condizionamenti culturali attraverso i quali classifichiamo e ordiniamo il mondo esterno, contrapponendo un sapere del corpo e dei sensi intesi come strumento in grado di ricostituire un equilibrio perduto tra l’uomo occidentale e la natura.


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Wellness. When feelings becomes understanding Pietole’s fort is located in the nearby of Mantua, a few hundred meters from the urban residential area that expanded itself during the postwar, but at the same time it’s surrounded by nature and it was also recently rediscovered by the citizens as a point of common interest. This area is characterized primarily by the impossibility to catch with eyes the complexity of the spaces that constitute its structure, which takes the form of a not controllable and not definable space for which also there aren’t similar references useful to provide an interpretative and appropriate structure. By walking in the area as it is we can’t have a clear perception of the spaces: the fort is not directly visible, while nature alienate us also due to the fact that it doesn’t permit to see directly the elements of the area and precludes the view of the extraordinary complexity of paths, ditches and galleries. It’s a kind of topographical architecture embedded in the lake. An architecture that relates directly with the ground and leads to a physical and psychological relation with both the territory and the landscape. This interpretative reading led to a declination of the place through the tools of architecture and through a program that enlightened the basic issues. To get back the simplicity of things, to look to our life through the experience that we lived and not through things we owned. Architecture lets us rediscover the real issues of seeing and feeling. Wellness is meant as spiritual well-being, where senses become tools through which establish a new relationship with reality. Senses are our window on the world. The project is configured as a sensorial path, a sort of museum of perceptions where the ordinary cultural apparatus through with usually we look at the real world deactivate itself and leave place to a total new look over things. The operation concept explain itself through the design of spaces and paths that are used from the visitor across an experience where only few of our ordinary senses are used or excluded from time to time. The project reinterprets the concept of wellness, particularly the spiritual well-being where perceptions establish a relation with reality. During the design process, the issue was divided in different themes. Perceive through the body After a brief path across a small part of the tree canopy not controlled by man, we arrive to the first pavilion, originally meant as a storage, which inside presents a completely dark space, lit only by a fire partially covered by a filter. We can literally sit around this fire and perceive on the body the heat generated by the flames. The experience of the heat that we can feel on the body inside a dark space is surely the first element of the process that tries to define relations with the experience we lived through our perceptions. 74

Hear The second building has similar characteristic to the previous one. It’s contaminated by massive metal aural structures, oriented in different directions, and these structures intersecate the building in various points, catching the sounds coming from the natural surroundings. The building sets out as an inusual and extraniant architecture in which the sounds of nature are caught from the exterior and amplified with the use of the metal structures, suggesting an experience of peace and estrangement. Tea cerimony Proceeding across the path through a brick retaining gallery we arrive to another pavilion similar to the others. The pavilion is treated as a greenhouse by substituting the existing covering with a glass one. Inside this new space it’s possible to have the experience of the tea ceremony, that happens in a spare building and totally immersed into wild nature. The ceremony is here intended as a timeless moment, where people can research a new balance completely untied by the ordinary and daily schemes. Touch The path continues by intercepting another pavilion where it’s possible to try a tactile experience between the body and natural elements. This experience build up itself through the possibility of walking or laying down directly on the ground, defined by different sections of pavements shaped in different parts. To get in touch with natural elements such as barks, stones, sand and leaves is the attempt to live the reconnection with a primitive relation with the natural world. Poiesis By going on, we can see another building that in the design phase was left exactly at its original appearance and destined to host temporary art exhibitions. In this case the artistic experience is intended as a poetic approach to the world, released from reasonings usually ruled by rational minds. The poetic dimension in its ambiguity and contradictory represent a possible and alternative way to explore the real world. Ritual of passage The last pavilion of the ground path it’s also the first that can be see by those visitors that come in from the opposite part.The building explain and represent the ritual of the passage between a natural world to an artificial one.This experience it’s explained through the deconstruction of part of the existing building that is gradually contamined by the natural vegetation in its structural elements.The soil of the building is paved with metal grids composed by variable widhts that permit to walk on a rigid ground and at the same time to let the natural vegetation grow. Spoliation We can find a concrete building located over the bastion where the path is set. Originally this construction was


partially covered by water and hosted many of the most powerful explosive remnants of the area. Water was used during summer to limit the overheating of the remnants and so their dangerousness. The particularity of this building permitted to suppose its use as a sort of thermal bath where it’s possible to end the sensorial path. The experience is a kind of spoliation and liberation from the cultural bonds through with we usually classify and make order in the exterior world, using the perceptions and senses as instruments to find the lost balance between nature and man.

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Caleido-scoppi. Le forme del caso Tutor Senior prof. Paolo Citterio Tutor Junior Giorgia Colombo Studenti • Students Kristina Azaric Clara Donati Sahar Doustar Jiali Hu Matilde Valagussa

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Tabula Posthuma In architettura dare significato alla forma del possibile utilizzo di una costruzione, ma lo si potrebbe dire in generale per gli oggetti della cultura materiale, fa nascere quasi tutto, poiché si ha sempre a che fare con qualcosa di vivente ed agente entro gli spazi murati. In che modo possiamo utilizzare luoghi creati per usi molto ben definiti e poi del tutto abbandonati, specialmente nel caso di una rovina perfetta, poderosa, posta in un’isola paesaggistica come quella del Forte di Pietole coperta dagli elementi naturali? Un’esperienza del tempo ‘puro’ del paesaggio delle rovine, così come ben lo definì Marc Augé, è per molti versi pedagogica e in principio necessaria. Essa non riproduce integralmente solo un dato passato, ma «allude intellettualmente ad una molteplicità di passati» (Marc Augé, 2003). La risposta è in realtà semplice: bisogna correre qualche rischio e innescare un’inevitabile azione progettuale che dapprima, come nell’archeologia, tende al procedimento indiziario, alla decostruzione e ricostruzione mentale dei resti, e poi, proprio per meglio crederci, si libera della storia per ritrovare un tempo estetico, fenomenologico. Come ebbe a dire in modo lapidario nel Libro di Monelle Marcel Schwob «ogni costruzione è fatta di resti, e nulla è nuovo a questo mondo, tranne le forme». Ecco quindi l’esercizio sulle forme che, nel caso delle rovine, è tutt’altro che formale, ma piuttosto vitale perché riagguanta il senso profondo delle cose andato perduto e, non compiacendosi semplicemente di questo, genera nuovi universi estetici inclusivi. La grande estensione del forte di Pietole è oggi un luogo in attesa, piuttosto che semplicemente abbandonato. Più che un luogo morto, si tratta di un luogo in letargo entro il quale comunque qualcosa, in silenzio, accade. Nel 1979 Christopher Alexander, matematico ed architetto, parlando della qualità di certi spazi disse “quando un luogo appare irreale o insignificante, quasi sempre dietro ad esso c’è un capolavoro. È così saturo della volontà di chi lo ha costruito che non rimane più spazio per la sua natura”. Il forte in effetti si può vedere in un primo tempo come un umile capolavoro costruttivo, un’opera di ingegneria formata da un insieme di edifici dotati di una sostanza costruttiva poderosa la cui utilità, oggi, non ha più nulla a che vedere con quella del passato. Il prevalere della dimensione basamentale ed ipogea lo rendono un gigantesco attacco a terra, un enorme “ground zero” dotato di un dominante ed efficiente carattere distributivo e circolatorio, con i suoi numerosi

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corridoi, passaggi coperti, fossati, trincee, canalizzazioni per i fumi, etc. La stessa semplicità nell’abaco materiale costruttivo ridotto di fatto al mattone e al blocco lapideo, uniti alla terra stessa, mostra appunto una forza insediativa originaria e aurorale. La costruzione rispondeva perfettamente alle esigenze delle guerre convenzionali all’inizio del diciannovesimo secolo, che portava ad utilizzare come teatri di battaglia i grandi spazi aperti esterni alle città, laddove truppe scelte si fronteggiavano tra campi, paludi e foreste ed altri elementi naturali, evitando la complessità delle città. In quanto struttura extra-urbana godeva quindi di quella libertà necessaria a definire un principio insediativo forte, con metriche proprie, geometrie planimetriche speculari a corona, sezioni che tradiscono una complessità interna solo in parte visibile esternamente e caratterizzato da una forte estensione spaziale. Il tutto inserito in un sistema difensivo mantovano che indubbiamente rappresentò una piazzaforte di grande significato nella storia militare italiana ed europea. Tuttavia nel breve volgere di alcuni decenni la rapida evoluzione tecnologica ed anche il mutare della geopolitica hanno inevitabilmente sottratto consistenza funzionale all’insieme, rendendolo un oggetto vasto e misterioso, permanendo invece il carattere inalienabile, ovvero la grande disponibilità di spazio intercluso tra estese cortine murarie. Prima la riduzione a deposito, poi le bombe della seconda guerra mondiale e infine l’abbandono hanno definitivamente cambiato le sorti del sito. Come molte architetture militari il forte deve le sue forme non solo alle armi dell’epoca di costruzione ed alle tecniche di assalto o difesa, ma anche alla capacità di adattare il regime delle acque per creare una solida struttura difensiva del suolo. Questo aspetto ctonio, geologico del complesso ci riporta alla forza originaria del luogo con la quale non possiamo che riconfrontarci, incorporandola nei nuovi destini che si vanno ad immaginare. La forza di un luogo, si sa, è fatta di tante cose e dunque la probabile, straordinaria coincidenza fisica del Mons Virgilii, la casa paterna di Virgilio, con Pietole è apparsa risuonare potentemente nelle corde di una qualsivoglia progettualità. È dunque possibile reinterpretare, evidentemente anche con una certa libertà, i 33 ettari di estensione del forte di Pietole come una collezione di luoghi virgiliani, ispirati dalla poesia di Virgilio, un Virgilianeum? Alcune coincidenze in effetti rafforzano il pensiero di un “piano virgiliano” che adatterebbe il

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complesso fortificato di Pietole ad un rinnovamento generale del suo senso storico e del suo ruolo territoriale. Una Tabula Posthuma, che sappia unire l’opportunismo di una riscoperta, come per un giacimento, e la necessità critica di un’invenzione, come nell’erogazione di una nuova fonte di energia. Innanzi tutto è noto che i terreni di famiglia alle porte della città del I sec. a.C., inducano lo stesso Virgilio ad inserirli nella sua opera letteraria allegorizzandoli attraverso l’idea di una nuova Arcadia. Poi l’esteso sistema difensivo sette – ottocentesco di Pietole, via via depurato dalle sue originarie funzioni militari e belliche, è oggi certo ben conservato, ma in una condizione di inesorabile riassorbimento nel regno naturale. Questa alterazione o sospensione rende tuttavia questi luoghi perfetti per accogliere la reinterpretazione critica di alcuni dei temi della poetica virgiliana. La ricerca di un rifugio dai conflitti perenni della Res Publica; il bisogno di ritrovare nella natura una rinnovata capacità di stare al mondo dell’umanità; il ruolo del poeta, del soggetto disinteressato, nella costruzione della società e soprattutto nell’interazione col potere. Non è difficile scorgere i segni di una facile parentela con l’attualità, o meglio della possibilità di declinare queste tematiche a risposta di alcuni bisogni del tutto attuali, laddove il bisogno di natura, di spazi off-line, di riserve in cui sviluppare liberamente attività ludiche, in una parola di un caposaldo della ‘città dopo la città’ (per parafrasare il titolo di una recente mostra alla Triennale di Milano), ecc. è fortemente e comunemente rivendicato da molti attori delle trasformazioni urbane odierne. La poesia in Virgilio, al di là dei singoli generi poetici e ridotta brutalmente ai suoi elementi costitutivi, nomina e canta la regola profonda dei luoghi in cui l’umanità vive, ed è anche una poesia che riscrive ciò che venne già scritto, dai poeti greci, un po’ come il trattato di Architettura di Vitruvio (quasi coetaneo di Virgilio) descrive soprattutto l’antecedente, l’architettura greca. La “casa di Virgilio” non può che essere un insieme di stanze in viaggio, un insieme di paesaggi da attraversare. Egli è la “guida” per antonomasia di ogni esplorazione, ecco quindi che il progetto di un Virgilianeum contemporaneo potrebbe essere basato sull’idea di un dispositivo narrante in forma di paesaggio, nella forma del giardino di delizie, ma anche del parco d’invenzione, onirico, sorprendente. Le storie si fanno luoghi evocativi, peculiari. I diversi ‘tòpoi’ sono costruzioni di diversi caratteri naturali: acquatici, terricoli, rupestri, arboricoli, tellurici. In definitiva sono paesaggi poetici, che modificano la nostra esperienza e sensibilità. Se la poesia in senso classico è disinteresse per i fini immediati, non per questo è ancor oggi, nelle sue varie forme, meno vitale e necessaria. Essa è insieme ‘inventio’ e ‘religio’, rottura delle convenzioni e cura delle stesse. Il Virgilianeum potrebbe quindi essere un distretto multiforme dove ripensare e rielaborare, in modo anche ludico, le memorie dei conflitti passati e presenti, un paesaggio da contemplare e da agire in una torsione semantica completa: la trasformazione compiuta di un grande Campo di Marte in un luogo per la vita. Un nuovo palinsesto critico A questo punto sorge il tema di cosa questo significhi in termini di architettura o più semplicemente di vero e proprio masterplan. La sfida sta proprio nella possibilità 82

di delineare, almeno da alcune di queste premesse, un’ipotesi progettuale. Il forte è un grande patrimonio di cultura materiale militare ben preservato, una risorsa reale sebbene di difficile mantenimento. Per rimetterla in gioco con un’idea di riuso occorre però immaginare di essere davvero ad un punto di svolta, un momento in cui si possano collegare molti protocolli operativi con visioni più lungimiranti. Possiamo dire che la città di Mantova e i suoi dintorni è in effetti ad un punto di svolta del suo sviluppo. I processi trasformativi tipici di tutte le città europee ed italiane in particolare si confrontano con l’evidente qualità delle vestigia storico-ambientali, ma con l’altrettanto evidente bisogno di superare la perdita di peso specifico della città nelle dinamiche a scala vasta. Le grandi e note iniziative come i festival e le piattaforme in cui una creatività diffusa diventano motori di periodici eventi di grande valenza, sono stati in questa città sviluppati in modo peculiare e dimostrano una capacità altrove difficilmente reperibile. La riattivazione di quelle aree che tipicamente rappresentano i terreni vaghi, gli ambiti irrisolti o abbandonati sono effettivamente entrati in una nuova fase di progettualità, una sorta di convergenza in cui più istituzioni ed una collettività di soggetti potrebbero avere una grande occasione di cambiamento. Una trasformazione che potrebbe coinvolgere anche un mosaico più ampio di quello urbano ed entro la quale Pietole può essere una grande tessera emblematica. L’insieme delle possibili operazioni di rigenerazione hanno seguito quattro filoni di ricerca, aprendo la strada ad una reinterpretazione globale del grande sito alle porte della città di Mantova. Habitare (Hospitality), Exponere (Display), Sanare (Wholeness/Wellness), Explorare (Nature) sono le parole chiave che hanno impostato tutte le elaborazioni. Sono di fatto 4 layers che selezionano le vocazioni di singoli manufatti e micro-ambienti e che individuano anche i punti critici come gli accessi, gli approdi, i percorsi, le addizioni, le radure, i punti di incontro o di osservazione, gli ambiti di modificazione costante, le utilità tecnologiche, ecc. L’intersezione di queste linee-guida ha tracciato e ricomposto nuove e coerenti mappe d’uso e di fruizione, estendibili nel tempo sino al loro climax attuativo. Una trasformazione temperata, rispettosa delle storie sovrapposte in questo sito emblematico, ma di forte impatto semantico. Un atto di curatela e di contestualizzazione di quanto già c’è, posto in una nuova cornice percettiva. Gli studenti progettisti, dapprima archeologi e in parte curatori dei reperti, sono stati poi soprattutto registi o ‘editor’ utilizzando da subito tutti i materiali a disposizione in forma filmica. Infatti le eterogenee tracce video (dalle riprese effettuate nel workshop col drone, ai montaggi in stop motion, alle interviste di soggetti interessati, alle clip cinematografiche, ai fermo immagine sui disegni, ecc.) conducono al tema del montaggio e dei tempi, aspetto cruciale, particolarmente in un contesto storicoambientale di questo tipo, della strategia comunicativa. Questa drammaturgia del discorso progettuale non fa altro che avvalorare il processo creativo del pensiero in senso generale, ma si avvale di una tecnica di rappresentazione estremamente rapida ed efficace sulla quale ovviamente varrebbe la pena di aprire un ampio discorso che qui rimandiamo. La presenza infatti di Davide Rapp (si veda il suo contributo scritto), con le


sue recenti esperienza, ‘Elements’, alla XIV Biennale di Architettura, e con una serie di importanti suggerimenti teorici e pratici è stata in questo senso estremamente utile anche nei tempi ristretti tipici dei workshop. Caleido-scoppi Il layer interpretativo da me seguito in particolare ha riguardato il tema Exponere (Display), ovvero il tema del trattamento di alcuni degli spazi del forte come fosse visto dal punto di vista di un team di ‘curatorial designers’. L’elenco dei contenuti di lavoro è semplice e scontato: strategie tecniche e formali derivate dalla classificazione di interventi e case study coerenti, proiezioni sulle tematiche di governance e gestione, consapevolezza di cosa rappresenti la potenzialità museale non solo degli spazi storici in esame, ma in genere degli spazi espositivi contemporanei e segnatamente di quelli in presenza di tracce archeologiche. Ma è il contributo di Markus Scherer che, con la sua lunga e sedimentata esperienza progettuale di riuso di strutture militari, per altro nel caso di Fortezza a Bolzano con molte parentele con Pietole, ha subito chiarito la complessità delle operazioni in questi contesti, poi ulteriormente evidenziata nell’intervista che l’autore di questo articolo ha curato per la pubblicazione. In generale possiamo dire che i vari approcci sugli spazi militari creati negli ultimi due secoli, siano essi bunker delle recenti guerre o fortezze ottocentesche, hanno il comune problema di interpretare oggetti che spesso ostacolano modificazioni strutturali sensibili, oggetti antiurbani ed artificiali per antonomasia indipendentemente dalla loro collocazione reale. Si tratta spesso di una sorta di ‘macchine celibi’, macchine che hanno perso il loro codice sorgente e che si possono accettare solo così come sono, al massimo ridefinendo il nome da dare allo spazio medesimo che esse contengono. Eppure nel caso di Pietole l’insistenza sulla creazione di un paesaggio (un’isola, appunto) è derivata dalla constatazione di una forza semantica altrove assente. Nella rievocazione degli elementi primari generatori di questo micro-ambiente

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(acqua, fuoco, aria, terra) non vi è nulla di scontato, poiché invece fondata su memorie documentabili e ritrovabili: le inondazioni controllate e le opere di contenimento idraulico, le esplosioni volontarie ed anche quelle involontarie, le dinamiche di esposizione solare e meteorica, gli scavi e i riporti di terreno. Per un’euristica autentica occorre portarsi avanti a mezzo di questi ingenti spunti materiali e concettuali. L’ipotesi di considerare una vera e propria ‘Necklace of Exhibitions’ ospitata in più edifici militari anche distanti tra loro è del tutto coerente con la tendenza contemporanea a vedere il museo del futuro al contempo come un magazzino visitabile e il luogo di una prassi imprevedibile per un’attività espositiva incerta e nomade. Il che consente anche una dovuta libertà interpretativa che mantiene aperto il senso di questa esercitazione per certi versi più scenografica e drammaturgica che museografica di per sé. Il doppio registro di spazi che espongono se stessi e formano una cornice percettiva per altri oggetti è altrettanto tipico di queste fabbriche così fortemente connotate. Il viaggio attraverso la grande ‘macchina terrestre’ del Forte è, forse inevitabilmente, un viaggio nel tempo, una rievocazione. La proposta espositiva tuttavia, come il montaggio filmico, opera su un tempo sincopato e sulla discontinuità, rivisitando i manufatti a partire da eventi eccezionali come la grande esplosione del 1917 o quella avvenuta nel 1944 all’interno del ‘Bastione n.3’. A cavalieri del ‘percorso del generale’, uno dei due assi di simmetria dell’impianto a corona del forte, si ricostituisce il rapporto peculiare tra due casematte contigue (n.2 e n.3), in pratica opposte nei destini sebbene simili all’origine. In questa operazione si riscopre, sotto la fitta vegetazione pioniera, anche tutto il sistema dei terrapieni e delle rampe che affluivano alle coperture dei bastioni per il cosiddetto tiro in ‘barbetta’ cioè in posizione quasi scoperta quando le medesime coperture erano semplici prati. A causa della grande, incredibile esplosione del 1917 la continuità dei percorsi in quota venne definitivamente interrotta. Il recupero di una nuova continuità interpreta criticamente e per i

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nuovi fini l’interezza di quanto ereditato. La dualità dei due bastioni è poi lo spunto per una serendipity classicovirgiliana: la dualità tra Porta Eburnea e Porta Cornea, gli ingressi al mitico mondo sotterraneo. Nel raffronto, quasi un prima e un dopo, si riscoprono le radici comuni e gli esiti divergenti creati da imprevedibili eventi connessi al periodo bellico che cambiano radicalmente i luoghi considerati. Nel Bastione n.3, l’effetto della deflagrazione interna sulle volte meticolosamente erette in laterizi ha prodotto una scultura in levare, un bugnato drammatico degno del più onirico Giulio Romano. Nella distruzione ed erosione della materia costruita sembra rivelarsi perfettamente tutta la forza segreta della stessa, una sorta di dimostrazione involontaria e sublime della potenza dell’edificio. Un po’ come in fisica sperimentale nello scontro tra particelle si indaga la natura profonda della materia, qui l’indagine distruttiva è di fatto già avvenuta, come un lascito. Il recupero, attraverso un’accurata e chirurgica operazione di scavo, del livello del suolo originario del bastione 3 (alzatosi di 50 cm per il deposito dei detriti creati dall’esplosione), consente poi di percepire le reali proporzioni della messa in opera dei cannoni e tutti gli accorgimenti costruttivi per liberarsi da fumi e suoni, caratteri di grande maestria dell’ingegneria militare dell’epoca. Ma lo scavo è anche il pretesto per riconfigurare l’ingresso al bastione, con un nuovo segnale, materico e formale, del mutare del punto di vista e della strumentalità civile del manufatto. L’uso di materiali ignei, del ferro brunito per la grammatica degli innesti riprende una costante tematica nel progetto sull’antico, nella sapiente modulazione di contrasti ed attenuazioni. In definitiva i due bastioni, presi ad epitome dell’intero

Forte, sono degli atlanti rappresentativi di molti dei caratteri fisici e storici del complesso, simili in origine, drasticamente separati da eventi catastrofici, ed ora riuniti dal ritorno di uno specchio d’acqua reintrodotto nel fossato umido, quasi un modello di quanto in passato fosse possibile fare, modificando in breve la natura del luogo, rivelandone la grande artificialità sotto un’apparente naturalezza.

Laura Taffurelli, rilievo digitale della casamatta n. 3 / Laur Taffurelli, digital relief of casemate n. 3

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Creative explosions. The shapes of chanche Tabula Posthuma Talking about a building everything rises when you give sense to the shape of a possible use of it. Obviously you can widen this significance to all objects related to material culture. Anyways you have always to do with something living and mutable within walled spaces. How can we use places created for specific ends and later totally abandoned, particularly if we consider a perfect ruin, mighty and placed in an environmental isle like that of Forte di Pietole? As Marc Augé very well said, an experience of pure time within the ruins landscape is in many ways pedagogic and even necessary. It doesn’t wholly reproduce a singular past, but «intellectually alludes to a multiplicity of pasts» (Marc Augé, 2003). Actually the answer is simple: you need take some risks and triggering an inevitable design action. Initially, as in archeology, you incline to circumstantial evidence, to mental deconstruction/reconstruction of remainders, and then, in order to better believe it, you get rid of history recovering an aesthetic and phenomenological time. As Marcel Schwob said «all construction is made of debris, and nothing is new in this world but forms». Here is the exercise about forms that is, in the case of ruins, anything but formal, rather vital because it regains the profound and nearly lost sense of the built things. Not simply welcoming this, it generates new aesthetical and inclusive universe. The great extension of Forte di Pietole is now a waiting place, rather than simply abandoned. More than a dead place, it is a lethargic place within which something, silently, happens. Christopher Alexander, architect and mathematician, in 1979 wrote about the quality of certain places: «when a place is lifeless or unreal, there is almost always a mastermind behind it. It is so filled with the will of its maker that there is no room for its own nature». We can see the Fort effectively as a humble building masterpiece, a work of engineering shaped by a set of buildings endowed with a powerful constructive substance. Its usefulness today, has nothing to do with that of the past. The prevalence of underground basement dimension make it a huge “ground zero”, providing a dominant and efficient distributive and circulatory character, with its many corridors, covered walkways, ditches, trenches, ducts for fumes, etc. The same simplicity in the abacus of building materials, actually made only of bricks and stone blocks, combined with the earth itself, shows precisely an original settlement strength. The construction responded perfectly to the needs of conventional wars in the early nineteenth century, which led to use as theaters of battle large outdoor open spaces, where elite troops faced each other through fields, marshes and forests and other natural elements, avoiding the complexity of the city. As extra-urban structure it enjoyed a certain level of freedom able to define a strong principle of settlement, with its own metrics, specular planimetric geometry, sections that betray an inner complexity that from the outside is only partially visible and characterized by a strong spatial extension. The whole is contained in a Mantua Defensive System that undoubtedly represents a stronghold of great significance in the Italian and European military history. 86

However, in the short span of a few decades, rapid technological developments and even the geopolitical changing inevitably subtracted functional consistency to the whole. It became a vast and mysterious object, however remaining the inalienable character, or the wide availability of landlocked spaces between very long curtain walls. First the reduction in storage, then the bombs of World War II and finally the abandonment have permanently changed the fate of the site. As many military architectures this Fortress owes its forms not only thanks to the weapons or assault/defense techniques at the time of construction, but mostly thanks to the ability to adapt the water-network creating a solid and defensive structure of the soil. This chthonic, geological aspect of the complex brings us back to the original strength of the place that we can deal once more, incorporating it in the new destinies we are imagining about it. The strength of a place, as well known, is made up of many things and therefore the probable extraordinary physical coincidence of Mons Virgilii, the family home of Virgil, with Pietole appeared powerfully resonating in the ropes of any kind of planning. Is it therefore possible to reinterpret, apparently also with a certain freedom, the 33 hectares of Forte di Pietole as a collection of Virgil places, inspired by the Virgil’s poetry, a Virgilianeum? Some coincidences indeed reinforce the thought of a “Virgilian plan” that fit the fortified complex of Pietole a general renewal of its historical meaning and its territorial role. A Tabula Posthuma, bringing together the opportunism of a rediscovery, like a field, and the critical need for an invention, such as in providing a new source of energy. First, it is known that the family land close to the 1st century BC city gates, induce the same Virgil to include it in his literary work and to allegorize it through the idea of a new Arcadia. Then the extended nineteenth century defensive system of Pietole, gradually purified from its original military functions, is now certainly well preserved, but in a condition of relentless reabsorption in the natural realm. This alteration or suspension, however, makes these places quite perfect to accommodate the critical reinterpretation of some of the themes of Virgil’s poetry. The search for a refuge from the perennial conflicts of the Res Publica; the need to find in nature a renewed ability to keep the world of humanity; the role of the poet, selfless person, in the construction of society and especially in the interaction with the power. It is not hard to see the signs of an easy relationship with the actuality, or rather the possibility of declining these issues to answer at some of the current needs, where the need for natural, off-line spaces, the reserves in which to develop freely leisure activities, in a word a cornerstone of the ‘city after the city’ (to paraphrase the title of a recent exhibition at the Milan Triennale), etc., it is strongly and widely claimed by many actors of today’s urban transformation. Poetry in Virgil, beyond the individual poetic genres and brutally reduced to its constituent elements, nominates and sings the profound rule of the places where humanity lives, and it is also a poem that rewrites what was already written, by Greek poets, just like the architectural treatise


of Vitruvius (almost contemporary of Virgil) mainly describes the antecedent, the Greek Architecture. The ‘House of Virgil’ can be only seen as a set of rooms on the road, a set of landscapes to cross. He is the “guide” par excellence of each exploration, so here’s the project of a contemporary Virgilianeum could be based on the idea of a narrative device in the form of a landscape, in the shape of a garden of delights, but also the invention of a dreamlike, surprising park. The stories are evocative of peculiar places. The different ‘topoi’ are buildings of different natural features: aquatic, terricolous, rupestrian, arboreal, telluric. They are ultimately poetic landscapes, which change our experience and sensibilities. If poetry in the classical sense is disregard for the immediate purposes, not for this it is still in its various forms, less vital and necessary. It is both ‘inventio’ and ‘religio’, both the breaking with convention and the cure of them. The Virgilianeum might be a multiform area where rethink and rework, so even playful, the memories of past and present conflicts, a landscape to contemplate and to act in a complete semantic twist: the accomplished transformation of a large Field of Mars in a place for life. A new critical palimpsest At this point there is the issue of what this means in terms of architecture or simply for a real masterplan. The challenge lies in the ability to outline, at least from some of these assumptions, design hypothesis. The fort represents a great heritage of well-preserved military material culture, a real asset whilst difficult to maintain. To put it back into play with an idea of reuse, however, you must imagine being at a turning point, a moment when you can connect many operational protocols with more far-sighted visions. We can say that the city of Mantua and its surroundings are indeed at a turning point in their development. Typical transformative processes of all the European and Italian cities in particular are confronted with the undeniable quality of the historical and environmental remains, but with the equally obvious need to overcome the loss of specific weight of the city on a large-scale dynamics. Large and well-known initiatives such as festivals and platforms in which a diffuse creativity become a driving force of periodic events provided with great importance, were developed in this city so unique and they demonstrate a capacity difficult to find elsewhere. The reactivation of those areas that typically represent the vacant lots, abandoned or unresolved areas are indeed entered in a new phase of planning, a kind of convergence in which more institutions and individuals may have a great opportunity for change. A transformation that could also involve a broader mosaic than the city itself and within which Pietole should be a great emblematic tile. Set of possible regenerative operations followed four lines of research, opening the way to a global reinterpretation of one of the largest site on the Mantua’s outskirts. Habitare (Hospitality), Exponere (Display), Sanare (Wholeness/Wellness), Explorare (Nature) are the keywords generating all the further elaborations. They are actually four layers that select the vocations of individual artifacts and micro-environments and also

identify the critical points such as entrances, landings, paths, additions, glades, meeting or observation points, areas of constant change, technological utilities, etc. The intersection of these guidelines has traced and reassembled new and consistent maps of uses, extensible over time until they implementing climax. A temperate transformation, respectful of overlapping stories in this emblematic site, but with a strong semantic impact. An act of curatorship and contextualization of what is already there, place in a new perceptual frame. The designers students, first archaeologists and curators of the findings, were then mostly directors or “editors” using immediately all materials available in film form. In fact, heterogeneous video tracks (from shots taken with the drone during the workshop, to stop motion editing, interviews of stakeholders, movie clips, and finally still image on the drawings, etc.) lead to the themes of editing, times, and communication strategy, quite crucial aspects here, particularly in an historical environment of this type. This drama of the design discourse does nothing but confirm the creative process of thought in general, but uses an extremely rapid and effective technique of representation on which of course would be worthwhile to open a broader discussion. Indeed the presence of David Rapp (see his written contribution), with its recent experience, “Elements”, at the XIV Biennale of Architecture, and with a series of important theoretical and practical suggestions in this regard has been extremely useful in typical tight schedule of the workshops. Creative Explosion The interpretative layer followed by me in particular dealt with the issue Exponere (Display), or the issue of the treatment of some of the Pietole’s areas as was seen from the perspective of a “curatorial design team”. The list of job contents is simple and obvious: technical and formal strategies derived from the classification of interventions and consistent case studies, projections on governance issues and management, awareness of what constitutes the museum potential not only of historical areas in question, but typically of the contemporary exhibition spaces and particularly those in the presence of archaeological traces. However it is the contribution of Markus Scherer, with his long and multifaceted design experience of reuse of military structures, moreover in the case of Fortezza in Bolzano with many relationships with Pietole, that immediately clarified the complexity of operations in these contexts, then further he highlighted in the interview that the author of this article has edited for publication. In general we can say that the various approaches on military spaces created in the last two centuries, whether bunkers of the recent world wars or nineteenth-century fortresses, have the common problem of interpreting these objects that often hinder important structural changes. Regardless of their actual location they are anti-urban and artificial objects par excellence. These are often a kind of ‘bachelor machines’, machines that have lost their source code, and you can just accept as they are, at most redefining the name to give to the same space that they contain. 87


Yet in the case of Pietole the insistence on creating a landscape (an island, in fact) is derived from the observation of a semantic power elsewhere absent. In commemoration of the primary elements generators of this micro-environment (water, fire, air, earth) there is nothing for granted, but because based on documented memories: the controlled flooding and the works of hydraulic containment, voluntary explosions and even those involuntary, the dynamics of sun exposure and weathering, the excavations and carryovers of land. For an authentic heuristic you must move forward by means of these material cues and conceptual insights. The hypothesis to be considered a true “Necklace of Exhibitions”, hosted in more military buildings even far from each other, is entirely consistent with the contemporary tendency to see the museum of the future both as a museum-warehouse and as the site of an unpredictable practice for an uncertain and nomadic exhibition activity. This also allows for a due freedom of interpretation that maintains an open sense of this exercise in some ways the most scenic and dramatic than museological in itself. The double register of spaces that expose themselves and form a perceptual frame to other objects is just as typical of these so strongly connoted constructions. The journey through the great “Pietole’s Earth Machine” is, perhaps inevitably, a journey through time, a re-enactment. The exhibition proposal, however, like a film editing, plays on a syncopated tempo and on discontinuity, revisiting the artifacts from the exceptional events as the great explosion of 1917 or the one that occurred in 1944 in the

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“Bastion n.3”. Through the “General Path”, one of the two symmetry Axes of the Fort’s crown planimetry, we reconstitute the special relationship between two contiguous casemates (#2 and #3), characterized by divergent destinies though similar origin. In this operation we rediscover, beneath the dense pioneer vegetation, even the whole system of embankments and ramps that flocked to the ramparts covering the so-called “barbette” that is, in almost the same position when there were simple meadows. Due to the great, amazing explosion of 1917 the continuity of the upper routes was finally interrupted. The recovery of a new continuity plays critically and for new purposes the entirety than inherited. The duality of the two bastions is then the opportunity for a classic-Virgilian serendipity: the duality between Horn and Ivory gates, the mythical entrances to the Underworld. In comparison, almost a before and after, they rediscover the common roots and divergent outcomes created by events related to the wars that radically change the sites. In the Bastion n.3, the effect of an internal explosion on the meticulously erected vaults has produced an upbeat sculpture, a dramatic rusticated worthy of the most dreamy Giulio Romano. In the destruction and erosion of the brickwork it seems to be perfectly revealed the secret force of the matter itself, a kind of involuntary and sublime demonstration of the power of the building. A bit as in experimental physics as in the clash between particles that investigates the profound nature of the matter, the destructive investigation here is in fact already taken place, as a legacy. The recovery, through

Esposizione finale / Final exposition


careful and surgical excavations, of the original ground level of the Bastion n.3 (50 cm stood for the deposit of debris created by the explosion), then it allows you to feel the real proportions of the mass in work of the cannons and any constructive measures to get rid of smoke and sounds, characters of great military engineering skill. But the excavation is also a pretext to set up the entrance to the bastion, with a new signal, material and formal: the changing of the point of view about the building and its civil instrumentality. The use of igneous materials, the burnished iron for the grafts, resounds as a constant theme of designing on old buildings, as the fine tuning of contrasts and attenuations. Ultimately the two bastions, taken as epitome of the whole Fortress, are representative atlases of many of the physical and historical features of the complex. They are similar in origin, sharply separated because the disasters, and now gathered by the return of a body of water reintroduced in the wet ditch, almost as a model of the past features, when it was possible quickly change the nature of the place, revealing a great artificiality under an apparent naturalness.

Vedute prospettiche / Perspective views

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Vedute prospettiche / Perspective views


Vedute prospettiche / Perspective views

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Vedute prospettiche / Perspective views

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Vedute prospettiche / Perspective views

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Abitare nel paesaggio. Il progetto degli spazi d'accoglienza nella riqualificazione del forte di Pietole Tutor Senior prof. Matteo Moscatelli Tutor Junior Arman Asgharloo Studenti • Students Tamara Akhrameeva Mariyam Yasmin Baagil Ana Lordi Chiara Sala Sirppika Muthusamy Sellvabarathe

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Concept


L’ipotesi di elaborare alcune proposte sulla riqualificazione del Forte di Pietole rientra in una questione centrale della cultura progettuale di questi anni, che riguarda l’individuazione delle più opportune modalità di approccio per ridare nuovi significati a porzioni di territorio non utilizzate ma fortemente caratterizzate dal punto di vista storico e culturale. Il tema dell’intervento ha richiesto un’analisi ad ampio spettro, fatta di ricognizioni storiche ed indagini sul campo, fondata fin dal principio sulla consapevolezza che ad essere preso in esame era un brano di paesaggio, inteso nella sua accezione più articolata. Un approccio, questo, che fa tornare alla memoria le riflessioni di Rosario Assunto sul reale significato di questa nozione, che differisce da quella di ‘territorio’ (intesa con un’accezione esclusivamente spaziale ed estensivo-quantitativa) e da quella di ‘ambiente’ (intesa solo come qualificazione storica e culturale), ma si costituisce invece come l’unione di questi aspetti, attraverso la imprescindibile compresenza “della materia e del suo contenuto”. La traduzione fisica di questo aspetto è stata per noi proprio il Forte, un organismo composito realizzato in più fasi a partire dai primi anni dell’Ottocento in cui una serie di sistemi difensivi - la piazza d’armi, un fossato secco e un fossato umido, i rivellini e le controguardie - hanno nel tempo generato un ambito dalla complessa configurazione morfologica, con percorsi a diverse quote che si dilatano e comprimono, e con spazi rinaturalizzati in cui la vegetazione viene a densificarsi e rarefarsi con discontinuità. Già forti sono state le suggestioni derivate dalle fasi di sopralluogo, sia per la complessità topografica dei vari livelli della costruzione che per il lavorìo della vegetazione negli anni dell’abbandono: la rovina è infatti sembrata anche in questo caso un vero e proprio “prodotto di natura” come se, riprendendo una suggestiva immagine di Georg Simmel, le forze esercitatesi sui muri attraverso “disgregazioni, erosioni, crolli e addensamenti di vegetazione” - fossero state “le stesse che disegnano

Habitare/Hospitality. Masterplan

le figure delle montagne”. Accostare a questa analisi quella storica, però, ha permesso di comprendere come questo spazio si configuri oggi come un vero e proprio palinsesto, come lo avrebbe definito André Corboz , costituito da segni complessi e stratificati, da cancellazioni e di riscritture, da riferimenti visibili e non visibili: estendendo infatti l’orizzonte temporale ad un passato lontano, ad un periodo precedente all’abbandono, all’uso bellico e alla costruzione stessa della fortificazione attualmente esistente, la prima immagine che ne ha caratterizzato la storia è una casa, la presunta dimora presso Andes dove Virgilio visse i primi anni della sua vita, primo elemento di distinzione e di unicità rispetto agli altri forti presenti nel territorio mantovano. Le operazioni previste del progetto, ispirate dall’obiettivo comune di riportare vitalità nel Forte, di trasformarlo in uno spazio inteso come “luogo praticato” , non potevano limitarsi alla riapertura degli accessi, alla liberazione dei tracciati, alla pur intrigante ipotesi di riconnessione con l’acqua, ma hanno dovuto fondarsi sulla più coraggiosa identificazione di una famiglia di usi che si ponessero in modo appropriato rispetto al luogo, che fossero coerenti ed interagenti ma allo stesso tempo diversificati per intercettare diverse categorie di utenti. L’ipotesi di intervento si è quindi ramificata in una serie di sottosistemi concepiti secondo i requisiti inizialmente condivisi, con la definizione di uno spazio espositivo, la riqualificazione delle aree all’aperto e la formazione di nuovi servizi per il benessere fisico e mentale ma anche, a integrazione e supporto di queste attività, la creazione di alcuni spazi di accoglienza che, oltre ad un miglioramento qualitativo nel percorso di visita, consentissero ai potenziali visitatori un prolungamento temporale e tematico dell’esperienza nel Forte. Alla luce di questi aspetti il livello dell’accoglienza, che ha riguardato la trasformazione di alcuni edifici utilizzati precedentemente come depositi, non poteva essere monotematico, ma articolato per quanto possibile secondo tre diverse tipologie di strutture ricettive:

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l’albergo, l’ostello, il ristorante. Questi tre ambiti hanno presentato innanzitutto problematiche specifiche. Rispetto all’albergo e all’ostello la presenza di due tipologie di accoglienza ha richiesto una riflessione su quali criteri potessero essere adottati nell’ottica di una differenziazione del rapporto costo-qualità, considerando anche la sua incidenza in ciascuno dei molteplici spazi da cui queste strutture sono costituite, dal front-office agli spazi comuni, dal punto ristoro alle diverse tipologie di camera. Rispetto al ristorante è stato necessario prevedere una organizzazione il più possibile funzionale di spazi diversi per carattere, dotazione impiantistica e fruizione (reception, sala, cucina e dispensa), mirando ad un’idea di flessibilità sia nel breve termine nell’ambito di possibili eventi a tema, sia nel medio termine immaginando l’uso esclusivamente al coperto nei mesi invernali e l’uso anche all’aperto dei mesi estivi. Il progetto dei tre nuclei è però nato anche dalla necessità di risolvere problematiche comuni, dettate da una parte dagli obiettivi generali, dall’altra dalla diversa natura degli usi e dei caratteri dei singoli spazi. La prima operazione ha riguardato la scelta degli edifici da prendere in considerazione per il progetto di riuso, che ha avuto origine da due distinti intenti: per l’albergo e il ristorante il principio di accentrare le funzioni e di consentire la massima facilità di accesso ha determinato la proposta di intervenire su due exdepositi collocati a poca distanza uno dall’altro ed in prossimità di uno dei principali accessi all’area; per l’ostello, l’obiettivo di estendere l’esperienza dell’abitare a situazioni diversificate (in termini di rapporto con la natura e con le differenti parti della fortificazione) ha portato invece alla proposta di intervenire su una serie di ulteriori costruzioni, distribuite in modo diffuso sull’intera superficie del Forte. La seconda operazione è consistita nella scelta degli interventi da effettuare, da una parte sulle superfici, che in relazione al livello di privacy o dell’orientamento verso le migliori visuali sono state trattate come elementi

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opachi, trasparenti o filtranti, e dall’altra sui volumi, che in seguito ad una iniziale verifica sul rapporto tra spazio a disposizione e spazio necessario ha portato ad operazioni di addizione o sottrazione volumetrica, cercando di porsi in coerenza con la costruzione esistente e con i nuovi tracciati. In conclusione, per quanto caratterizzati da continui passaggio di scala, da quello dell’intero insediamento a quello del singolo manufatto, i progetti relativi a questo ambito si sono in ogni caso posti un obiettivo comune: quello della valorizzazione del luogo attraverso una riappropriazione e riprogrammazione di alcune sue parti. In uno scritto recente, Iñaki Abalos ha sostenuto l’importanza di concepire un paesaggio “non più come un bello sfondo”, ma come il soggetto “per stabilire nuove relazioni”: il proposito di trasformare il Forte di Pietole attraverso un programma differenziato di funzioni che coinvolgessero l’abitare, l’esporre ed il tempo libero, e secondo un rapporto col paesaggio che è stato inteso non solo per “contemplazione” ma anche per “riattivazione”, ha rappresentato in questo senso una notevole occasione di sperimentazione.

Hotel, I soluzione. Veduta prospettica / Hotel, I solution. Perspective view


Hotel, I soluzione. Pianta e veduta assonometrica / Hotel, I solution. Plan and axonometrical view

Hotel, II soluzione. Pianta e veduta assonometrica / Hotel, II solution. Plan and axonometrical view

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Living the landscape. The project for the hospitality spaces in the requalification of the Fort of Pietole The hypothesis of elaborating a few proposals about the requalification of the Fort of Pietole can be ascribed to a very important question of the project culture of these years, that regards the identification of the most appropriate approaches to give back new meanings to territories that are not used but at the same time strongly characterized from the historical and cultural point of view. The intervention topic asked a wide analysis, constituted by historical recognitions and site surveys, founded since the beginning on the acknowledgment that the object of our exam was a piece of landscape, intended in its most articulated interpretation. This is an approach that reminds the reflections by Rosario Assunto about the real meaning of this word, that is different from the one of the “territory” (intended excusively in a spatial and extensive-quantitative sense) and the one of the “environment” (intended only with an historical and cultural qualification), but is given instead by the union of these aspects, through the unavoidable coexistence “of the material and its content”. The physical translation of this aspect was for us just the Fort of Pietole, a composite organism built in different phases starting from the first years of the XIX century, when a system of defensive systems – the parade ground, a dry moat, a humid moat and the ravelins - has in time generated a situation with a complex morphologic configuration, with paths at different heights that are expanding and compressing, and with renaturalized spaces where the greenery is densifying and rarefying with discontinuity. The suggestions derived from the survey phases were certainly strong, both for the topographical complexity of the different construction levels and for the

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vegetation work in the years of the abandonment; the ruin actually seemed also in this case a real “nature products” as if, mentioning an evocative image by Georg Simmel , the forces that worked on the walls – through “disgregations, erosions, collapses and greenery densifications” - were “the same that draw the figures of the mountains”. Pairing this analys with the historical one, however, allowed to understand that this space is configured today as a real palimpsest, as André Corboz would have defined it, made up by complex and stratified signs, by cancellations and rewritings, by tangible and intangible references: extending the temporal horizon to a far past, to a period before the abandonment, to the war use and to the construction itself of the existing fortification, the first image that characterizes its history was a house, the supposed birthplace in Andes where Virgilio lived the first years of his life, the real distinction and unicity element that differentiates this one from the other fortresses of the Mantua territory. The project operations, inspired by the common goal of giving a new life to the Fort, of transforming it in a space intended as a “practiced place” , couldn’t stop with the opening of the accesses, the clearing of the pathways, the intriguing hypothesis of reconnection with the water level, but they had to look for a more courageous identification of a family of uses that could have an appropriate relationship with the place, coherent and interacting but at the same time diversified to intercept different users cathegories. The intervention hypothesis was articulated in a series of sub-systems conceived according the initally shared requirements, with a definition of an exhibition space, the requalification of the open areas and the definition of new services for the physical and psychological comfort but also, for

Hotel, II soluzione. Veduta prospettica / Hotel, II solution. Perspective view


integrating and supporting these activities, the creation of the hospitality spaces that, besides a qualitative improvement of the visit path, could allow the potential visitors a temporal and thematic extension of the experience in the Fort. Thanks to these aspects the hospitality level, that regarded the transformation of a few buildings formerly used as deposits, couldn’t be monothematic, but articulated for what was possible according to three different typologies: the hotel, the hostel and the restaurant. These three uses presented first of all specific problems. According to the hotel and to the hostel the presence of two different hospitality typologies asked for a reflection about what criterias could have been adopted for a differentiation of the relationship between the costs and the quality, thinking also about its influence in each one of the different spaces these buildings are made up by, from the front-office to the collective spaces, from the restaurant to the different bedroom configurations. According to the restaurant we started from the necessity of aiming to the most functional organization of spaces that were different for character, equipment and uses (reception, hall, kitchen and deposit), working on an idea of flexibility both in the short-term of a few possible thematic events, and in the mid-term of the exclusively indoor uses during the winter months and of the outdoor uses during the summer ones. The first operation regarded the choice of the buildings to take into consideration for the reuse project, that came from two different wills: for the hotel and the restaurant the principles to centralize the functions and to allow the best accessibility suggested to operate on two

Hostel, reception. Pianta / Hostel, reception. Plan

deposits placed not far one from the other, and near one of the main accesses to the area; for the hostel, the goal to extend the experience of living to diversified situations (in terms of relationship with nature and with the different parts of the fortification) lead to a proposal made on a series of other constructions, scattered on the whole surface of the Fort. The second operation consisted in the choice of the necessary interventions, on the one hand on the surfaces, that according to the privacy and to the orientation towards the best visuals were threated as opaque, transparent or filtering elements, and on the other hand on the volumes, that after an initial check on the relationship between the available space and the needed space determined operations of addition and substraction, looking for a coherency with the existing construction and the new traces. In conclusion, despite the different scales involved, from the one of the whole settlement to the one of the single building, the projects related to this field looked for a common goal: the one of the place valorization through a repossessing and a reprogramming of a few parts. In a recent essay, Iñaki Abalos affirmed the importance of conceiving a landscape “not as a beautiful background” but as the subject “to create new relationships”: the will of transforming the Fort of Pietole through a differentiated program of functions that involved living, displaying and leisure, and according to a relationship with landscape that was intended not only for “contemplation” but also for “reactivation”, represented in this sense a remarkable occasion of experimentation.

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Hostel, reception. Veduta assonometrica / Hostel, reception. Axonometrical view

Hostel, unitĂ . Pianta / Hostel, units. Plan

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Hostel, reception. Veduta prospettica / Hostel reception. Perspective view


Hostel, units. Veduta assonometrica / Hostel, units. Axonometrical view

Ristorante. Pianta / Restaurant. Plan

Hostel, units. Veduta prospettica / Hostel, units. Perspective view

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Ristorante. Veduta assonometrica / Restaurant. Axonometrical view

Ristorante. Veduta prospettica / Restaurant. Perspective view

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Modelli. Particolari / Model. Detail


Modelli. Particolari / Model. Detail

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Modelli. Particolari / Model. Detail

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Learning from Pietole. This must be the place Tutor Senior prof. Valerio Tolve Tutor Junior Paola Parolin Studenti • Students Stephanie Bart-Mensah Alessandra Peùa Veronica Rigonat Elena Saccaperni Luigi Savio

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Explorare/Nature. Masterplan


Il luogo dell’origine In origine era una landa con un principio di urbanità fissata in poche forme, sicure e rigorose, tutte in relazione a questo suolo di pianura. Poi venne il Forte, architettura altrettanto certa e razionale che riformò completamente il profilo oroidrografico del luogo. In ogni caso il complesso inscindibile di questo luogo e delle architetture in esso profondamente radicate - delle quali il Forte di Pietole è certamente presenza notevole, eccezionale ma non unica - rappresenta un esempio paradigmatico dell’azione di trasformazione operata dall’uomo sulla natura. E ancora oggi, allorché siamo chiamati ad interrogarci sulla possibilità (o meglio sulla necessità) di risarcire il Forte a nuova vita, investendolo di un rinnovato senso e ruolo rispetto alla contemporaneità dopo anni di abbandono e di degrado, sono ancora Virgilio e la sua opera a tenderci la mano per una riscrittura plausibile e sostenibile di questo paesaggio, attraverso un progetto che intende proporsi dapprima come una riflessione in relazione alla specificità del singolo contesto - hic et nunc - poi, soprattutto, generalizzabile - dunque eventualmente estendibile, in forma di interpretazione analoga non certo di mera ripetizione - per la ricorrenza e l’attualità del tema della rigenerazione urbana e architettonica di grandi comparti - militari, industriali e produttivi - che rappresentano una reale occasione di sviluppo delle nostre città. Ma al di là del ruolo difensivo di avamposto strategicamente collocato a controllo e protezione del territorio, perfettamente svolto nonostante di fatto non sia mai stato coinvolto in operazioni militari, il Forte di Pietole rappresenta oggi un monumento, per il suo carattere di eccezionale misura oltre che per la pregevole fattura delle sue architetture, compendio della ratio costruttiva austro-ungarica e dell’eleganza formale francese. Il Virgilianeum Il Virgilianeum non è un semplice parco tematico ancora una volta intitolato alla memoria del poeta latino, come

Schizzi di studio / Study sketches

tanti se ne sono pensati. Concepito sulla scorta del Danteum terragnesco, cui evidentemente è legato da un sottile quanto esplicito rapporto di vicendevole rimandi, trascende il più evidente dato funzionale ed è piuttosto un insieme di luoghi che nel complesso compongono uno spazio metafisico - straniante, fuori dal tempo ma fortemente radicato in questo suo paesaggio che vuole essere la sperimentazione concreta e fisica dell’allegoria poetica virgiliana. È di fatto la sublimazione delle Bucoliche, opera dal marcato accento storico ed autobiografico, tutta incentrata su tre differenti temi di fatto comunque direttamente legati tra loro, che ne compongono e ne definiscono anche la struttura narrativa: la dimensione del “paesaggio Arcadico”; il rimpianto per il “mondo perduto”; il “ritorno alle origini”. Virgilio descrive un paesaggio in evidente contrasto con la realtà, quasi fosse un luogo virtuale, idilliaco e ideale, nel quale rifuggire dai turbamenti del quotidiano. Nel racconto emerge con forza anche il rimpianto per i valori di un mondo antico perduto, superato nella dimensione della contemporaneità dall’affermazione del progresso sulla natura. La diretta conseguenza - conclusione ed estensione dell’opera - è così la volontà di ritorno all’origine - sorta di rappel à l’ordre ante-litteram - e alla stabilità sociale, storico-politica e culturale: una ricerca che conduce verso il luogo dell’origine, il momento primo. E il Virgilianeum vuole appunto essere un giardino d’Arcadia e di delizia nel quale cercare ristoro fisico e mentale, dove esercitare la pratica dell’otium: sufficientemente vicino alla città ma abbastanza lontano dalla quotidianità, richiama alla mente l’origine ‘naturale’ di questo luogo senza tradirne la stratificazione di tracce e segni che la presenza e l’azione dell’uomo hanno qui sedimentato nel tempo. L’invenzione del paesaggio Le architetture del Forte di Pietole sono frammenti in un paesaggio intercluso suscettibili di una reinterpretazione per un nuovo uso pubblico, evidentemente del tutto

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alternativo rispetto a precedente. Definitivamente dismesso da ogni uso ed esercizio militare, il solido recinto potrebbe ragionevolmente aprirsi a nuove relazioni con il paesaggio, anche in relazione ad un altrettanto inedito progetto di accessibilità, da Mantova e da Pietole stessa, via terra o acqua. All’interno del perimetro del Forte la modellazione plastica del suolo - artificio connesso agli scopi difensivi e agli usi militari originali - e la vegetazione - natura spontaneamente sovrappostasi nel tempo all’azione di trasformazione del paesaggio operata dall’uomo - sono gli unici elementi che concorrono alla definizione dell’immagine di questo luogo; un’immagine evidentemente molto distante e diversa dall’originale: «Con il passare del tempo, tutte le cose diventano pittoresche, e con maggior tempo tutti gli elementi pittoreschi divengono deformi».1 Pur tuttavia sono anche gli unici elementi ai quali è ancora possibile attribuire un valore compositivo e ordinatore entro un progetto di recupero che deve necessariamente considerare il Forte nella sua interezza, nella sua complessità, così come nei rapporti con le condizioni al contorno. Il progetto vuole essere così un paradigma del processo di riconversione dell’artificio in natura, seppur addomesticata, laddove è affidato proprio all’evidenza dei manufatti - canali, fossati, muri, trincee, bastioni, terrapieni, capannoni, ecc… ma anche la stessa vegetazione - il ruolo di elementi evocativi entro un processo di trasformazione operato per straniamento e decontestualizzazione. Il parco è perciò assunto quale metafora di un luogo in perenne definizione, in continuo divenire, che ricerca il suo equilibrio tra la fissità delle forme dell’architettura e la mutevolezza - stagionale - della natura. Il verde spontaneo - selezionato e opportunamente integrato dall’impianto di nuove essenze - viene messo a regime e piegato agli usi contingenti fissati dal programma. I manufatti esistenti - trasformati in gallerie; giardini

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a cielo aperto; spazi di sosta; punti di osservazione panoramica; spazi espositivi; luoghi di accoglienza o ristoro, fisico e mentale; ecc… - vengono restituiti a un nuovo ed inaspettato destino. I frammenti sparsi sul suolo, ruderi e memoria del precedente impianto militare e difensivo, sono così ricomposti entro un nuovo quadro come sequenza di luoghi e il percorso di visita e scoperta diviene un procedere sintattico tra gli elementi costitutivi del Forte, per disvelarne la natura e il senso ontologico della costruzione di architettura del suolo. La loro trasformazione avviene attraverso demolizioni puntuali - un muro, una copertura, dei serramenti; anche a vantaggio della messa in sicurezza degli stessi edifici - e altrettanto puntuali costruzioni; attente operazioni di sottrazione e addizione che non alterano la figura ma modificano la percezione dello spazio - proiettato verso l’esterno - e le relazioni tra i singoli oggetti e il contesto. Il progetto restituisce a nuovo uso le architetture del Forte pur accentuandone la condizione di rudere: oggetti rinvenuti assurti al ruolo di simboli fortemente evocativi, landmark. Il Virgilianeum ricerca così il suo equilibrio nel diretto confronto tra natura ed artificio, ricomponendo entro il quadro unitario di una ‘infrastruttura leggera’ e invisibile le tracce sedimentate della costruzione, i segni dell’abbandono e dell’azione del tempo sull’architettura, il verde spontaneo. È la natura, nella sua dimensione bucolica, che riscatta il Forte a un nuovo destino. Ne deriva una complessa spazialità plastica - intesa come sequenza di luoghi che alternano natura e artificio interamente percorribile a più quote e in più direzioni, secondo un sistema di itinerari predefiniti - discontinui e non totalizzanti, che lasciano aperta la possibilità di una divagazione rispetto alla strada maestra, aprendo a nuove ed inedite visioni sul paesaggio - che danno senso compiuto all’ordinamento e alla composizione delle singole parti. 1 Uvedale Price, An Essay on the Pictoresque, p. 151; cit. in Ann Bermingham, Landscape and Ideology, Berkley 1986, p. 69

Veduta dell’accesso rinnovato di Porta Pietole / View of the new entrance from Porta Pietole


Vedute prospettiche / Perspective views

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Learning from Pietole. This must be the place The place of origin It was originally a land with a principle of urbanity fixed in a few forms, secure and strict, all in relation to this ground of soil. Then came the Forte, just as certain and rational architecture that completely reformed the orographic and hydrographic profiles of the place. In any case, the indivisible linking between this place and the architecture deeply rooted in it - of which the Fort of Pietole is certainly a remarkable presence, exceptional but not unique - is a paradigmatic example of the action of the transformation wrought by man on nature. And even today, when we are called to thinking on the possibility (or rather on the need) to give a new life for Forte of Pietole, investing it with a renewed meaning and role with respect to the contemporary after years of neglect and decay, are still Virgilio and his work to suggest us a plausible and sustainable rewriting of this landscape, through a project which presents itself first as a reflection in relation to the specificities of each context - hic et nunc - then, above all, generalizable - thus can be extended in the form of interpretation similar certainly not mere repetition - for recurrence and relevance of the theme of urban and architectural regeneration of large sectors - military, industrial and production - which represent a real opportunity for the development of our cities. But beyond the defensive role of strategically outpost placed to control and protection of this land - perfectly done in spite of the fact it has never been involved in military operations - the Forte of Pietole today is a monument, for its exceptional measure as well as for the fine workmanship of its architecture, a compendium of constructive Austro-Hungarian ratio and French formal elegance. The Virgilianeum The Virgilianeum aim is not to be a theme park or a

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Virgil Memorial, how many they are meant. Conceived in continuity with Terragni’s Danteum - which is obviously linked by a thin as an explicit relationship of mutual references - it transcends the more evident functional theme and it is rather a set of places which together make up a metaphysical space - alienating, out of time but strongly rooted in this its landscape - which wants to be a concrete and physical experimentation of Virgil’s allegory poetic. It’s in fact the sublimation of Eclogues, poems with a great historical and autobiographical emphasis, all focused on three different themes directly linked with each other, which also define the narrative structure: the idea of the “Arcadian landscape”; regret for the “lost world”; the “back to origin”. Virgil describes a landscape in stark contrast to reality, a kind of virtual place, idyllic and ideal, in which shying away from the troubles of everyday. In the story also emerges strongly the regret for the values of an ancient lost world, surpassed by the affirmation of progress on nature. So the direct consequence - the conclusion and extension of his work - is the “return to origin” - sort of rappel à l’ordre forerunners of - and social, political, historical and cultural stability: a research that leads to the place of origin, the first time. And so the Virgilianeum wants to be an Arcadian and delight garden, in which we can look for physical and mental refreshment, where we can exercise the practice of otium: close enough to the city but far enough away from everyday life, it brings to mind the ‘natural’ origin of this place without betraying the layering of tracks and signs that the presence and action of man have settled here over time. The invention of landscape The Forte of Pietole’s architectures are part of a landscape that can be reinvented for a public use, evidently entirely alternative to the previous.

Vedute prospettiche / Perspective views


The solid fence, definitively finished by each military use - might reasonably open to new relationships with the landscape, also in relation to an equally innovative accessibility project, from Mantua and Pietole, by land or water. Within the perimeter of the Fort the plastic modeling of the soil - artifice related to original defense and military uses - and vegetation - nature spontaneously grown up over time because of the action of transformation of the landscape made by man - are the only elements that still contribute to the definition of the image of this place; an image obviously very distant and different from the original: «With time, all things become picturesque, and with more time, picturesque things become deformed».1 Nevertheless they are also the only elements to which it is still possible to assign a compositional value within a restoration project that must necessarily consider the Forte as a whole, in all its complexity, as well as in dealing with the boundary conditions. So the project wants to be a paradigm of the conversion process of artifice in nature, though domesticated, where it is assigned its own evidence of the artifacts - canals, ditches, walls, trenches, ramparts, earthworks, buildings, etc... but also the same vegetation - the role of evocative elements within a process of transformation worked to estrangement and de-contextualization. The park is therefore taken as a metaphor for a place in constant definition, constantly evolving, who seeks his balance between the fixity of architectural shapes and mutability - seasonal - of nature. Spontaneous green - selected and properly integrated by new species - is put to regime and bent to contingent uses set by the program. Existing artifacts - turned into galleries; open-air gardens; staging post; panoramic points of view; expositive spaces; places of reception or refreshment, physical and mental; etc... - it is returned to a new and

Vedute prospettiche / Perspective views

unexpected destiny. Fragments spread on soil - ruins and memory of former military and defense installations - are so recomposed within a new framework as a sequence of places and the tour and discovery route becomes a syntactic proceed between the constituent elements of the Fort, to discover the real and ontological sense of this architecture, which is a soil construction. Their transformation takes place through tiny demolitions - a wall, a roof, windows and doors; also for the benefit of safety of buildings themselves - and equally punctual constructions; careful operations of subtraction and addition that do not alter the shape but change the perception of space - projected outward and the relationships between each individual objects and the context. The project provides a new use for the architectures of the Fort while accentuating its ruin condition: objects found are elevated to the role of symbols highly evocative, landmark. So the Virgilianeum researches his balance in the confrontation between nature and artifice, reassembling the sedimented traces of construction, the signs of abandonment, the signs of time on architecture, the spontaneous green, within the framework of a “light and invisible infrastructure”. It is nature, in its bucolic and pastoral dimension, which redeems the Fort to a new destiny. The result is a complex and plastic spatiality as a sequence of places that alternate nature and artifice - entirely accessible to many levels and in different directions, according to a system of pre-defined routes - discontinuous and not all-encompassing, leaving the possibility of a distraction than the high road, opening up new and innovative visions of the landscape - that give full meaning ordering and composition of each individual parts. Uvedale Price, An Essay on the Pictoresque, p. 151; cit. in Ann Bermingham, Landscape and Ideology, Berkley 1986, p. 69

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Vedute prospettiche / Perspective views


Modello. Veduta d’insieme / Model. General view

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Modello. L’acceso via acqua / Model. Access by water

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Modello. L’acceso via terra / Model. Access by land

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