FEDERICUS Conflitto tra Imperium e Sacerdotium Opera originale Antonio Piccininni Curatore dell’opera Falk Nawroth Impaginazione Gianfranco Traetta Copertina Michele Patruno La foto di Antonio Piccininni proviene dall’archivio della famiglia Piccininni L’immagine in copertina è una rielaborazione grafica del volto di Federico II rappresentato in un affresco di Palazzo Finco (Bassano del Grappa) © Copyright 2012 LAB edizioni Associazione culturale Puglianet Altamura (Bari) www.lab-edizioni.com Contatti: info@lab-edizioni.com – 320.0558862 ISBN 978-88-97796-02-2
INDICE
7 Prefazione del curatore 10 Prefazione dell’autore - Federico ii di Svevia: stupor mundi (Personaggio enigmatico) 24 Note alla prefazione 27 Introduzione 30 Nota all’introduzione 33 capitolo i - La sua infanzia - la sua educazione - il suo rapporto con i papi Innocenzo III e Onorio III 47 Note al capitolo I 58 capitolo ii - Il grande conflitto: i suoi rapporti con Gregorio ix e Innocenzo iv 75 Appendice al capitolo ii 79 Note al capitolo II 92 capitolo iii - Federico Ii riformatore I suoi rapporti con i francescani e con frate Elia 109 Appendice al capitolo iii - Federico Ii e san Francesco 111 Note al Capitolo III 121 capitolo iv - Federico II e gli eretici 138 Note al Capitolo IV 151 capitolo v - Rapporto tra Federico II e il mondo arabo - la crociata – il rapporto tra Federico ii e Al-kamil 165 Appendice al capitolo v - Al-kamil nella leggenda francescana 168 Note al capitolo V 172 capitolo vi - Federico ii e la cultura 193 Note al capitolo VI 200 Epilogo - Dante e Federico Ii 207 Note 208 Cronologia federiciana 212 Bibliografia
PREFAZIONE DEL CURATORE
Qual è l’impegno di uno storico? Raccontare o interpretare? Raccogliere o intendere? È proprio qui che stiamo per affrontare una delle questioni fondamentali della storia come scienza umana: l’obiettività. Tuttavia per evitare l’ennesimo discorso inconcludente sui diversi argomenti del costruttivismo e del dogmatismo storico, i quali si propongono di offrirci due risposte discrepanti ad una domanda ipotetica, potrebbe essere benefico rievocare il verdetto del famoso storico svizzero Jacob Burkhardt, secondo il quale la storia rappresenta nient’altro che la somma di ciò che un’epoca riesce a trovare di interessante in un’altra. Sembra evidente che tutto ciò che può suscitare l’interesse di un’epoca ha stretti rapporti con le necessità, le esigenze, i desideri di essa stessa. Quindi, invece di ponderare la possibile esistenza di una tale compromessa obiettività, conviene quì accontentarsi della domanda se la medesima obiettività è veramente desiderabile. Ma non è da ultimo lo studio della storia che ci possa aiutare a riconoscere i desideri della nostra epoca? Solo se siamo propensi ad accettare queste premesse, saremo anche in grado di comprendere lo stesso Burckhardt che ci conferma che la storia come scienza, nel migliore dei casi, può diventare una passione, anzi, che senza un minimo di passione la storia, come qualsiasi tipo di scienza, ci frutta poco e niente. La presente opera è senza dubbio il lavoro ambizioso e capillare di un vero e proprio appassionato. Un appassionato che, siccome pienamente conscio dell’inestricabile imbroglio tra giudizi dettati dalle passioni ed il sincero intento che ogni libro di storia, per indole, porta in sè, prende una sua posizione.
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È indubitabile che già la scelta di un qualsiasi soggetto storico, cioè la dovuta limitazione ad una determinata epoca o un determinato protagonista della lunga storia dell’umanità, paga tributo alle preferenze personali dell’autore. Principalmente, i motivi per scegliere un personaggio così controverso come quello di Federico II, che ancora divide le opinioni degli storici odierni come divideva le considerazioni dei suoi contemporanei, possono essere due. Questi si trovano esplicati, a sufficienza, nelle tradizioni opposte della letteratura guelfa e della letteratura ghibellina: l’una castigante, apologetica l’altra. Tertium non datur. Quindi, trovandosi davanti ad una tale lotta epocale, vantarsi di essere assolutamente obiettivo sarebbe non solo cosa irrealistica, ma quasi una presunzione. Detto questo non ci deve irritare il fatto che l’autore non tenta di nascondere la sua simpatia nei confronti dell’imperatore svevo. Al contrario, la sua opera prende la propria forza, oltre dal suo approccio abbastanza originale, - del quale parleremo contestualmente -, soprattutto da una certa rettitudine che, parliamoci chiaro, piuttosto non è cosa ovvia nelle scienze umane. Nonostante la sua alta stima per il politico, il legislatore, l’innovatore e l’uomo di cultura Federico II, l’autore non perde mai di vista i tratti caratteristici di una personalità egocentrica, autoritaria e, talvolta, persino feroce. Nel suo ritratto dell’imperatore riesce sempre a presentarci i fatti storici senza confonderli con una delle tante considerazioni personali, che non ci vengono mai imposte come spiegazioni finali, ma accennati come lo sfondo, il retroscena psicologico. Intanto l’autore non suggerisce, ma fa delle proposte da sottoporre all’esame minuzioso del suo lettore. Questo approccio, inoltre, viene assecondato anche dall’avventurata decisione dell’autore di porgere gli eterogenei aspetti di una persona reale, - che si specchiano in modo particolare nei rapporti con le istituzioni più importanti e con i vari protagonisti principali del suo tempo -, come nelle scene di un dramma da camera: il rapporto di comune accordo con i papi Innocenzo III e Onorio III; i rapporti conflittuali, ed infine distruttivi, con i papi Gregorio IX ed Innocenzo IV; i discordanti rapporti con i Francescani e quelli ambigui con gli eretici; i rapporti amichevoli con il sultano d’Egitto, Al-Kamil, ed il
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mondo arabo in genere; i rapporti prolifici con gli artisti, i pensatori e gli studiosi dell’epoca. Mediante questa sua resistenza all’allettamento della generica cronologia - ed alle implicazioni logiche di essa, l’autore ha evitato un equivoco molto comune: asserire una necessità storica, che non è mai esistita. In tal modo riesce a farci partecipare contemporaneamente, ma in modo ben distinguibile, sia ad uno svolgimento storico che ad uno personale, cioè dimostrare come storia universale e storia personale si compenetrarono per raffigurare quello che noi possiamo riconoscere come la storia dell’umanità. Secondo il sottoscritto è questa la qualità sacrosanta dello storico, non importa se di professione o laico entusiasmato, senza la quale il passato resterebbe un’immagine inanimata, statica, indifferente, e perciò incomprensibile. Torniamo, dunque, al discorso della passione, e concludiamo con uno dei pensieri essenziali del filosofo Max Scheler, il quale affermava che l’uomo è soltanto in grado di comprendere pienamente ciò che ama e, viceversa, di amare sinceramente solo ciò che è compreso. Sono la passione e la comprensione le due facce della stessa moneta, entrambi irrinunciabili, innanzitutto per l’impegno principale dello storico: rintracciare i valori umani, variabili nel tempo ma immutabile nella loro sostanza, ed avvertirci, - raccontando i fatti dei nostri antenati -, della condizione umana e delle possibilità, magari non realizzate, ma per niente perse.
Falk Nawroth Altamura, marzo 2012
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PREFAZIONE DELL’AUTORE
FEDERICO II DI SVEVIA: STUPOR MUNDI (PERSONAGGIO ENIGMATICO)
Federico II fu certamente il personaggio più straordinario della sua epoca e forse la figura più complessa di tutto il Medioevo. Fu un uomo di immense capacità, le più disparate, che egli manifestò sin dalla più tenera età; in lui sovrabbondavano virtù e vizi, spinti sempre al massimo grado, e interessi spesso contrastanti e a volte perfino contraddittori. Un personaggio così fatto era destinato a segnare il suo tempo e a prestarsi, sia come uomo che come principe, alle più diverse interpretazioni e ad essere soggetto, anche ai nostri giorni, dei più contrastanti giudizi, così che, a tanta distanze di tempo, la critica non è riuscita a liberarlo da quell’alone enigmatico nel quale lo videro anche i suoi contemporanei. Federico fu un personaggio così al di fuori, meglio anzi sarebbe dire così al di sopra, del comune da colpire fortemente quelli del suo tempo, tanto da destare in essi grande stupore (stupor mundi difatti venne appellato), fino al punto che di lui si impadronì subito la leggenda. Ma questa complicò le cose: rese cioè ancora più difficile accertare su di lui, come uomo e come principe. La verità così da poter esprimere un giudizio veritiero e definitivo. La leggenda investì Federico sin dalla sua nascita in maniera tale da presentarlo come predestinato ad essere per tutta la vita „signum contradictionis“. C’era chi indicava proprio lui come il soggetto di quella profezia di Gioacchino da Fiore secondo la quale era prossimo l’avvento dell’Anticristo, dominatore del mondo, fuoco incendiario e fiaccola d’Italia, che sarebbe nato da una monaca, messa incinta dal diavolo.1
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Ma Goffredo da Viterbo saluta nel neonato il Salvatore, il futuro padrone del mondo che avrebbe unito l’Occidente e l’Oriente; Pietro da Eboli vedeva in quella nascita provvidenziale il famoso „puer“ della IV ecloga di Virgilio, iniziatore di una n uova era, di una nuova età dell’oro. Ho fatto appena un breve accenno ai fortissimi sentimenti contrastanti che Federico suscitava, oggetto come fu di incondizionata ammirazione e affetto da parte degli uni, ma di inestinguibile odio da parte degli altri. Questi due aspetti contraddittori della leggenda federiciana sono, evidentemente, di natura polemica; polemica che ha come riferimento la lotta tra impero e Chiesa. Essa pertanto ha una duplice origine: guelfa e ghibellina. La leggenda ghibellina, che esalta in tutti i modi l’imperatore, nasce in gran parte alla corte stessa di Federico ed è elaborata e diffusa dai suoi cortigiani. Da fonte guelfa scaturiscono tutte le accuse più significative: l’attribuzione a Federico del libro „De tribus impostoribus“, la sua auto deificazione, il suo progetto contra la basilica di S. Pietro, i suoi stretti rapporti con la religione musulmana; gran parte di essa nasce nello stesso ambiente papale e si esprime spesso con parole degli stessi papi Gregorio IX e Innocenzo IV e dei loro primitivi biografi.2 I più appassionati divulgatori della legenda guelfa furono monaci e frati, particolarmente francescani spirituali e gioachimiti. Tra i legati pontifici che accolsero nei loro scritti autorevoli tale leggenda si distinse Alberto di Beham. Queste due leggende proiettano le loro luci contrastanti su tutta la vita di Federico così che capita spesso che uno stesso fatto presenta caratteri diametralmente opposti secondo la versione diversa, guelfa o ghibellina. Non è qui il caso di passare in rassegna tutti i fatti salienti della vita di Federico (nascita, infanzia, matrimoni, amori, morte ecc.) visti nelle due prospettive. Voglio fermare la mia attenzione, più che sui fatti esterni, sulle qualità della mente e dell’animo di Federico, che sono indicative della sua personalità. Federico II fu senza dubbio di grandissimo ingegno di natura assai poliedrica, e certamente la sua cultura, sia letteraria che scientifica, divette essere eccezionale, specialmente per un principe: anche per questo egli veniva chiamato „stupor mundi“. Perciò la leggenda (se di leggenda in questo caso si può parlare) che sorse su questo aspetto della sua personalità, trova un buon fondamento. Si diceva che egli parlasse ben sette lingue, e correntemente, tra
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CAPITOLO I
La sua infanzia - la sua educazione - il suo rapporto con i papi Innocenzo III e Onorio III
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er renderci conto delle circostanze in cui nacque Federico II bisogna rifarci ai fatti immediatamente precedenti. Quello tra Enrico VI1 e Constanza d’Altavilla2 era stato un matrimonio politico voluto da Federico I Hohenstaufen detto il Barbarossa3, padre di Enrico IV. Egli salì sul trono imperiale dopo una lunga guerra dinastica con altre famiglie feudali tedesche pretendenti al trono, durante la quale si erano molto indeboliti i rapporti tra l’impero e l’Italia per la lunga assenza dell’autorità imperiale. Egli aveva una grande consapevolezza della sua dignità imperiale, ritenendosi successore legittimo degli antichi imperatori romani. Pertanto scese ben cinque volte in Italia, col preciso programma di restaurare la sua autorità imperiale sulle città dell’Italia settentrionale che nel frattempo si erano rese del tutto autonome4, sul papa che aveva sottratto all’impero gran parte dell’Italia centrale5, e sul regno di Puglia e Sicilia, in cui re assoluti normanni egli considerava altrettanto ribelli come i comuni della valle padana6. Il Barbarossa alla lunga fu sconfitto a Legnano nel 11767 dalle forze unite dei Comuni e del papa, così che il suo programma fallì, meno che nell’ultimo punto: l’unione del regno di Puglia e di Sicilia all’impero. Ma ciò avvenne non con la forza delle armi, bensì con una politica matrimoniale. Egli riuscì a concludere un patto con Guglielmo II il Buono8, che non aveva figli, con il quale la zia Costanza, ultima erede del regno, veniva promessa sposa al figlio maggiore Enrico VI suo erede al regno di Germania e al titolo di imperatore9. Le nozze furono celebrate nella chiesa di S. Ambrogio di Milano il 27 gennaio 118610. Il 18 novembre 1189 moriva
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Guglielmo il Buono e il regno pertanto passava a Costanza e ad Enrico, che l’anno dopo, alla morte di Federico I, avvenuta il 10 giugno 119011, doveva ereditare anche l’impero. I baroni normanni, e perchè indispettiti dall’arroganza e dall’avidità di Enrico 12 VI , e perchè non sapevano rassegnarsi a vedere sul trono del loro regno un principe straniero, insorsero acclamando come successore al defunto Guglielmo II Tancredi13 principe di Taranto e conte di Lecce, figlio naturale di Ruggero14, fratello di Guglielmo I e di Costanza, e di Emma di Lecce sua amante15. Ebbe inizio così una lunga e feroce guerra civile che segnò fasi alterne, dalle quale Enrico tenne lontana Costanza, facendola rimanere in Germania. La guerra infine si concluse a favore di Enrico, così che, quando Costanza, dopo otto anni di attesa annunciò al marito la lieta notizia di essere incinta, Enrico volle che ella tornasse subito in Italia per partorire in Sicilia16. Costanza fu felice di poter tornare finalmente nella sua terra e si affrettò ad andare incontro al marito vittorioso. Ma il lungo viaggio, e specialmente la traversata delle Alpi, dovette essere assai faticoso per una primipara e per di più quarantenne come Costanza, così che fu costretta a fermarsi a Iesi17, cittadina della Marca Aconetana18, perchè assalita dalle doglie, Il 26 dicembre 1194 dava luce il bimbo che sarà chiamato Federico II19. I fatti particolari che accompagnano la nascita di Federico, tramandati tradizionalmente, hanno certamente un fondamento storico, ma pare che appartengano alle due opposte leggende: una favorevole, l’altra ostile, che si impadronirono della vita di Federico sin dalla nascita. Il fondamento storico consiste nel fatto che, data la lunga attesa del parto, ben otto anni, e l’età ormai parecchio attempata di Costanza, la nascita del bimbo poteva essere infangata dai nemici malevoli che certamente non mancavano allora agli sposi, e non mancheranno mai in seguito a Federico. Ciò difatti avvenne: fu messa malignamente in giro la voce che la maternità di Costanza fosse fittizia e che in realtà il bimbo era figlio di un macellaio di Iesi. Tutta la sceneggiata della tenda eretta nella pubblica piazza nella quale le nobildonne della città si recavano a turno ad assistere la partoriente, e nella quale poi ella si mostrò al pubblico di Iesi mentre allattava il bimbo, appartiene alla leggenda contraria, inventata dei partigiani dell’imperatore per mettere in fuga, mediante tali e tante testimonianze, ogni malevolo sospetto20.
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Federicus | Conflitto tra Imperium e sacerdotium
Dopo la vittoria riportata sui nemici, Enrico aveva sottoposto il regno ad un regime vessatorio e intollerante21 tanto che nel 1197 scoppiò tra i baroni normanni una nuova rivolta che egli domò con estrema ferocia. “La spietata brutalità di Enrico nei confronti dei traditori – dice David Abulafia – trova riscontro nel comportamento di Ruggero II e di Federico II; l’intensità del suo regno del terrore in Sicilia non ha paragoni.”22 In quello stesso anno, il 28 settembre egli moriva con grande sollievo dei sudditi del regno e anche della stessa Costanza, data la sua avidità e la sua ferocia23. Se Enrico si era preoccupato di fare di Federico un tedesco suo pari, Costanza, odiatrice ormai dei Tedeschi, altrettanto avidi e feroci come il marito, gente non assimilabile, ne vuol fare un normanno di Sicilia come lei.24 Enrico e il suo numeroso seguito si erano abbattuti sul regno come una “bufera del furor nordico” - parole di Innocenzo III – e le avevano sconquassato.25 Comportandosi da conquistatori stranieri lo avevano depredato in tutti i modi. Costanza intende con grande decisione salvare quella eredità al figlio; ma deve lottare contro i cavalieri germanici rimasti nel regno e contro le pretese di Marcovaldo di Anweiler26, che era stato il braccio destro di Enrico VI, di essere assunto alla vicereggenza. In quell’ardua impresa Costanza trovò un alleate potente nel papa Innocenzo III (Lotario dei Conti di Segni)27 salito appena sul trono pontificio nel 1198 ancora giovanissimo (a 38 anni). Personalità formidabile, di grande preparazione teologico-giuridica dalla visione ascetica della vita, aveva scritto un trattato il cui titolo dice tutto il suo pessimismo, “De miseria humanae conditionis”28. Ma il disprezzo del mondo e il suo severo giudizio sulle condizioni umane anziché potarlo ad isolarsi, a rinunziare all’azione, lo spingono alla convinzione della estrema necessità che l’uomo sia guidato con forza e rigore verso la salvezza.29 Così proprio dal suo pessimismo ascetico nascono le sue convinzioni ierocratiche: poiché gli uomini sono peccatori e sono incapaci di salvarsi da sé preferendo le cose mondane alle gioie del cielo, la Chiesa deve intervenire per imporre loro la via della salvezza. Quello che a lui riuscirà perfettamente imponendo la sua autorità su quasi tutti i Principi dell’Europa rendendo una realtà la supremazia sia spirituale che temporale del papa il quale, soprattutto con lui, non è più soltanto vescovo di Roma e
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