Tesi_Le lunghe navi. Recupero dell'area Viareggio Scalo. Nuova sede GAMC

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Le Lunghe Navi Recupero dell’area Viareggio Scalo Nuova sede GAMC



Valerio Cerri



Le Lunghe Navi recupero dell’area Viareggio Scalo nuova sede GAMC


Relatore Prof. Fabrizio F.V. Arrigoni Correlatore Prof. Fabio Lucchesi Prof. ing. Giovanni Cardinale Università degli Studi di Firenze DIDA | Scuola di Architettura Laurea Magistrale a ciclo unico in Architettura anno accademico 2019-2020


Indice

Abstract Introduzione

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Dalle lande paludose alla “Perla del Tirreno”

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La origini del borgo Bonifica e pianificazione La città balneare Metamorfosi urbana Due realtà contrapposte unite dal canale

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Fondazione Gamc

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La collezione Lorenzo Viani Nuovo Regolamento Urbanistico

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Area dell’ex mercato ortofrutticolo Progetti

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Principio insediativo Memoria storica - Centro Documentario Memoria affettiva - nuova sede GAMC Le lunghe navi

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Riflessione sul costruire Bibliografia

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Foto storica i pescatori del molo


“...vi è anche una specie di pescatori che i pescatori di mestiere chiamano ‘governatori dei pesci’, i quali si stazionano a giornate sane sui pietrali dei moli...quel genere di pescatori hanno una stretta rassomiglianza con i pittori del canale: la loro canna è smontabile e svitabile come il cavalletto da campagna, la borraccia felpata è la medesima di quella dei pittori ad acquarello, il sediolo ripieghevole è identico, e identico è l’amore per l’amenità dei luoghi...” “il nano e la statua nera:il santo dei pescatori nel torbido” Lorenzo Viani, 1943


Abstract

Viareggio è una città giovane, eppure osservandola sembrano lontani i ricordi delle terre paludosa e delle continue battaglie marinare; poco resta delle architetture di quel primo villaggio insediato sulle coste del canale Burlamacca e lungo la via Regia, da cui prenderà il nome. Nel 2020 Viareggio celebra il suo duecentesimo compleanno da quando la duchessa Maria Luisa di Borbone eleva il piccolo borgo a rango di città, affidando all’architetto Lorenzo Nottolini un nuovo piano regolatore per il nascente centro balneare e lo scavo della prima darsena che costituirà lo sviluppo della cantieristica viareggina. Oggi camminando sulle banchine del canale Burlamacca che scorre dalla Torre Matilde, unico monumento di quella città scomparsa, sino al mare, Viareggio assume un aspetto nostalgico, quasi di sconfitta. Una città che nell’arco di un secolo è mutata più volte, dalle architetture effimere ed eclettiche della fine ‘800, sino al razionalismo degli anni 30. Segni indelebili di come il turismo e la sua industria, la conquista delle coste e del mare, trasformino un territorio. Il canale ancora oggi rappresenta l’elemento di collegamento, ma al tempo stesso di divisone delle due anime di Viareggio, scissione che comincia proprio duecento anni fa. Due realtà contrapposte, come nel libro dello scrittore viareggino Mario Tobino; “sulla spiaggia”, la città balneare lungo la Passeggiata, caratterizzata da turismo e mondanità, con le sue architetture di chalet lignei fra eclettismo e Liberty; e “di là dal molo”, la Darsena, la faccia scura della città, la realtà marinara e cantieristica, attaccata alle radici del mare ed alle tradizioni, che rimase lontana dallo sviluppo della città e dal clima festaiolo lungo le coste. Ne è portavoce Lorenzo Viani, artista e scrittore, anarchico e ribelle, figlio della città vecchia e attacato alle tradizioni, racconta attraverso i suoi quadri la storia della Viareggio popolaresca e genuina, non contaminata. Il canale porta quindi con sé i “segni” di un intimo rapporto della città con il mare. Rappresenta un vero archivio di immagini, un 10


montaggio fotografico che anche se oggi appare frammentato, ha la forza di condensare la memoria, della storia e cultura di Viareggio. Il progetto nasce proprio sulle rive di questa sinuosa linea d’acqua di una dozzina di metri, che scorre dal mare ai monti, e come un engramma si impone di riportare alla luce una memoria storica ma soprattuto affettiva delle tradizioni, re-inserendole in un criterio di trasformazione urbana ed architettonica della città contemporanea. Nei pressi della Torre medievale, il progetto prevede la riqualificazione urbana del mercato ortofrutticolo e dell’ ex-stazione Viareggio Scalo, sulle linee guida del nuovo Regolamento Urbanistico. L’area appare oggi come un tratto di terra soffocato dalla ferrovia e dal traffico dei bagnanti. Il processo di ricucitura urbana avviene tramite i tre nuovi edifici ad uso cultural, che si collocano lungo l’area in un sistema di piazze e parchi, aprendosi al canale ed alla città. Un percorso che dalla vecchia stazione sino al canale, attraverso l’uso di materiali e tecniche costruttive delle darsene, porta con sé memorie delle storie viareggine e del suo artista controverso, Lorenzo Viani. Si traduce in un unico immaginario di frammenti capace di raccontare la cultura del luogo, diventando parte integrante dell’opera. Da una parte la memoria storica, la torre del nuovo centro documentario, e l’atmosfera del vecchio piazzale della stazione ottocentesca. Dall’altra la memoria affettiva del canale, che con la nuova fondazione GAMC ripopola le banchine, ritrovando il rapporto fra l’arte e l’etnia della città, proprio come un opera di Viani, a cui la fondazione è dedicata. Il museo di chiara impostazione cantieristica, con le sue forme e sincerità strutturale, richiama le immagini del tempo di un relitto incagliato sulla sabbia, nostalgiche storie di maestri d’ascia e golette pronte a solcare il mare, e le lunghe navi sotto le quali trovano sovrano riparo la cultura e la storia di Viareggio.

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Introduzione

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“I monti della Versilia... ridenti o foschi? Ecco una cosa che non si può mai capire. Un poco folli, di forma, e inchiostrati sempre con tinte da fine del mondo, con quei rosa, quelle vampate secche del marmo che trapelano come per caso. Ma così dolci, mitici...Ora cammino per la spiaggia del Cinquale, fra tutte queste memorie contro quel po’ di sfondo dei monti della Versilia; e sapete cosa vedo? Una banda di giovinastri emiliani discesi a pancia in giù a guardare una tedesca, tutti un po’ grassi e spennacchiati, con uno che fa l’epilettico per buffoneria. Una compagnia di tedeschi poveri: due giovanotti e due ragazze, biondi come pannocchie. Una famiglia proletaria che ha appena finito di mangiare accanto a una tenda da beduini, ridotta a spazzacucina, con un giovanotto che va a lavare i piati in mare. Due biciclette scassate appoggiate una all’altra, come due ubriache. Una Lambretta con so- pra un paio di scarpe di camoscio verdolino e rosicchiato e i pedalini” Pier Paolo Pasolini, 1959

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Le cabine del del Cinquale Edoardo Detti, 1940-50

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La raccolta di foto scattate dal’ architetto Edoardo Detti nel periodo subito dopo la guerra fino agli anni ’50 raccontano un paesaggio selvaggio, incontaminato, dove la natura è la protagonista di un ambiente de-antropicizzato. Le spiagge vaste e deserte, con poche cabine in legno disposte in perfetta simmetria, dialogano armoniosamente con la radura incolta. Sono divise da lunghe strade sterrate dove gli alti pini osservano il mare, il quale bagnando le coste, sembra voler abbracciare il maestoso scenario di fondo delle Apuane. Questo immaginario con un forte valore estetico, è la Darsena negli anni ’40, il quartiere “povero” della città di Viareggio, la città dei pescatori, della marineria velica e del duro lavoro. Separata dalla sottile linea del canale Burlamacca ha visto l’altra faccia della cittadina versiliese trasformarsi ed estendersi sino alla metà del novecento. Interminabili file di ombrelloni colorati si estendono sulle spiagge a coprire dal sole folle di forestieri, giunti sul litorale versiliese per vivere l’arrivo del primo sole annuale. Architetture Liberty e razionaliste che dividono il mare dalla Passeggiata, con la vita mondana e le luci dei caffè ed alberghi di lusso, sono l’espressione antitetica della faccia scura della città, la Darsena. Quella “al di là dal molo”, come la raccontava Mario Tobino quasi a darle un titolo, che oggi appare cambiata, condensata dalla rivoluzione della nautica e dall’arrivo tardivo delle bagnature, in quel luogo che neanche ottanta anni fa era carico di valori ambientali e metaforici. L’immaginario nella cultura di massa della città di Viareggio è sicuramente la realtà turistica della città balneare. Un immaginario che è l’espressione di una pianificazione e di un lento mutamento del territorio dovuto alle logiche politico-economiche dell’industria turistica e balneare, il quale trova le sue origini duecento anni fa, nel 1820. Con l’azione pianificata del Governo Borbonico, Viareggio, da piccolo borgo nato nel XVI secolo sotto lo sguardo protettivo della Torre Matilde, diventa centro urbano, stazione turistica e 17


Foto aerea della Versilia Edoardo Detti, 1940-50

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centro balneare frequentato dalla nobiltà e borghesia lucchese. La scissione delle due facce viareggine comincia proprio con i decreti della duchessa Maria Luisa di Borbone, lo scavo della prima darsena e la regolamentazione delle bagnature. Nonostante le prime intenzioni di pianificazione fossero ben progettate, durante il periodo delle due guerre il governo fascista trasforma Viareggio in un simbolo propagandista, e grazie anche alla qualità del paesaggio e l’atmosfera di spensieratezza lungo le coste versiliesi, si definisce così un urbanizzazione turistica del litorale apuano. Conformazione regolare e una maglia di strade rettilinee, quasi come una metropoli, hanno dato vita ad un nuovo modello di città, con villette, giardini e pinete che hanno progressivamente densificato tutto il territorio. Le terre allora libere della Versilia conducono ad un’agglomerazione di stili che risponde alle esigenze dei committenti, che oggi si potrebbe categorizzare in uno stile globale, con un’architettura di parvenza effimera per così dire neutra, proprio a rispondere all’esigenza di un’atmosfera che i villeggianti ricercavano. Una fascia urbanizzata continua, non più riconoscibile, che mette in secondo piano così il patrimonio paesaggistico e storico del litorale. A differenza dei centri storici toscani, basti pensare a Pisa, con piazza dei Miracoli e la Torre pendente; Lucca, le mura e l’anfiteatro romano; Siena, Piazza del Campo, per Viareggio è difficile indicare un “segno” storico ed artistico immediato. L’immagine della città se paragonata ad un’opera d’arte, va senza dubbio inserita all’intero delle logiche dell’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità meccanica. Un “arte consumata” che ci fa riflettere su come la cultura di massa abbia condizionato e corrotto l’autenticità di un luogo e la purezza delle sue forme a favore di un sistema iper-consumista, come il turismo balneare, perdendo l’interazione con il suo territorio. La raccolta di Edoardo Detti si può concludere quindi che rappresenti un opera “autentica”, per il suo valore artistico fotografico, ma soprattutto per la sua forza comu19


nicativa di istanze estetiche e storiche. Le foto ci fanno riflettere sulla capacità dell’arte di raccontare un luogo e le sue tradizioni. Il ricco paesaggio versiliese, che va dalle Alpi Apuane, una delle aree carsiche più importanti di Italia, sino alla zona costiera, passando per le zone pianeggianti, è stato interesse anche di molte figure artistiche; pittori, filosofi, scrittori e registi che hanno vissuto Viareggio nel suo periodo d’oro. Artisti, ricconi, intellettuali e vitelloni sono l’immagine chiara di una Versilia di quel tempo, così descritta da Pierpaolo Pasolini nel 1959, un luogo idilliaco, ritrovo della dolce vita all’ombra dei pini e lo sguardo al prospetto irrinunciabile delle Apuane, dove le spiagge desertiche dipinte da Signorini, lasciano spazio alla moda dei bagni, con i loro ritmi accelerati e quotidianamente ripetitivi. Le folle dei manifesti e delle riviste, esenti da malinconia, come nei quadri di Moses Levy, si scontrano con la soggettività dell’artista di Carlo Carrà, ispirata dalle forme pure del paesaggio versiliese, lontano dalla vita mondana, dove regnano il silenzio e sentimenti puri. Questa approssimativa sintesi sul quadro iconografico di artisti legati alla città di Viareggio mette in luce tematiche sul tempo e la memoria. Risulta evidente che l’arte nelle sue varie forme sia l’espressione della società e cultura di un luogo. Il suo valore di “autenticità” o di “arte consumata” si basa proprio sul rapporto con la città, un rapporto dialettico con la storia, attraverso un processo mentale per associazione di immagini o sensazioni che richiamino un luogo. La mostra 2011 di Jannis Kounellis, Translating China, chiarisce il ruolo dell’arte società contemporanea, dove i piccoli resti di antiche ceramiche cinesi appartenenti alla classe borghese e successivamente sfasciati dalla Rivoluzione culturale, fissati e montati insieme su enormi lastre di ferro, non sono solo una composizione di colori e contrasti, ma il racconto di un epoca tradotta in un opera d’arte che unisce modernità e tradizione. La collezione comunale dell’artista viareggino Lorenzo Viani, acquisi20


Il paesaggio della Darsena Edoardo Detti, 1940-50

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ta da svariate donazioni ed esposta alla Fondazione GAMC, trova un parallelismo con l’opera di Kounellis. I quadri e gli scritti di Viani infatti sono portavoce di una Viareggio legata alle tradizioni del mare, della pesca e della marineria velica. Cresciuto tra l’odore di pesce e lo sporco delle darsene, ci mostra una realtà antitetica alla mondanità dei centri balneari, tracciando quindi un percorso storico legato all’arte. Viareggio trova nelle opere di Lorenzo Viani la propria “autenticità”, il rapporto con la città e la propria cultura. Se le opere d’arte sono lo strumento di comunicazione per il recupero di una memoria collettiva e il rapporto con il territorio, ovvero una propria identità, il canale Burlamacca rappresenta il luogo. La sottile linea d’acqua, che ha visto nascere il piccolo borgo nel XVI secolo sotto il controllo delle marinerie lucchesi, è il testimone degli eventi storici della città. Elemento di divisione di due zone che hanno avuto un esito urbanistico diverso, trova riscontro nelle tele di Viani e Levy, con le due facce di donne, appartenenti alle due realtà che hanno segnato la storia di Viareggio. Rappresenta quindi il condensatore di immagini, architetture, tracce di eventi, dove è possibile fissare un progetto nella memoria. L’immaginario della realtà marinara e della pesca, nel vecchio quartiere della Darsena, sono i chiari elementi con forte valore simbolico da preservare, rimasti lontani dalle logiche del consumismo. Nel 2018 viene approvato il nuovo Regolamento Urbanistico che identifica diverse zone lungo il canale come aree di trasformazione. L’importanza di riqualificare un percorso lungo il canale assume quindi un rilievo non solo da un punto di vista della memoria ma anche politico. L’area del mercato ex-ortofrutticolo, oggi in stato di degrado, rappresenta la congiunzione di più quartieri, che risultano separati dalla linea ferroviaria e dalle strade ad alta percorrenza. Il nuovo piano prevede un utilizzo culturale per le nuove costruzioni. Il recupero della memoria, inteso non come un mero formalismo di stili architettonici, si basa quindi su un principio di progetta22


La pineta di levante Edoardo Detti, 1940-50

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zione architettonica ed urbanistica che evochi un valore estetico ma anche storico del luogo in cui sorge. Se ci basiamo su un’estetica urbana fondata su storia e arte, non si può prescindere da un sistema che recuperi un valore metaforico nel suo immaginario collettivo. Secondo l’idea di città di Aldo Rossi la trasformazione di una area deriva dalla costruzione di strutture legate alla memorie dei luoghi. La marineria velica è stata per secoli l’attività principale dell’economia della città. L’abilita dei maestri d’ascia nel costruire le navi “gallettate” hanno reso la cantieristica viareggina riconoscibile in tutto il mondo. La visione delle navi al rientro dal mare è sempre stata simbolo di dolore e speranza. Lo stesso Viani ne esprime il proprio sentimento, nella sua opera “Benedizione dei morti del mare”. La storia di Viareggio è profondamente legata al mare e alle sue navi, poiché racconta la realtà della vera gente viareggina, in conflitto con l’invasione dei forestieri lungo le coste. Anche nel mondo dell’architettura, la nave ha assunto significati diversi. Nel 1933 il IV congresso dei CIAM si svolge in mare da Marsiglia ad Atene, dove si gettano le basi dell’urbanistica ed architettura della città contemporanea. La nave, il piroscafo Patris II, oltre ad essere il luogo di svolgimento del viaggio, ha un valore semantico per gli architetti del novecento, rappresentava l’ideale della città funzionale. Basti pensare a Le Corbusier e la sua visione collettiva della nave dove sono racchiuse tutte le funzioni necessarie. L’immaginario della nave, oltre ad assumere per Viareggio un valore metaforico delle proprie tradizioni legate al mare, può anche avere un valore architettonico di luogo di raccolta. Se nell’epoca contemporanea la funzione museale è spesso identificata come un manifesto, simbolo di una società consumistica dell’arte stessa, inteso invece come collettore sociale, il museo può essere l’immaginario che unisce cittadino ed artista. Questa tipologia è sicuramente la risposta all’incontro di istanze estetiche e storiche, oltre che tempio dell’arte. Luogo di esposizioni e mostre, il mu24


Il vialone della Darsena Edoardo Detti, 1940-50

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seo insieme all’attivazione di funzioni di ricerca e didattica, diventa un organismo vivo, non solo contenitore di opere, ma propulsore sociale e spinta culturale. Assume quindi, all’interno del contesto di Viareggio ed il recupero previsto dal Regolamento Urbanistico dell’area nel quartiere della Darsena, una sua funzione “politica”, collaborando alla costruzione di una città moderna e funzionale. Il ruolo dell’arte e dell’architettura inteso come processo mentale di evocazione di sensazioni attraverso luce, carattere e spazio, in cui le opere sono inserite, è la chiave per il recupero urbano dei luoghi che oggi sembrano frammentati, definendo una struttura territoriale che permetta nuovamente la connessione del cittadino con le forme pure e metaforiche del proprio paesaggio. Una città che ha perso i “segni”, come Viareggio, attraverso l’arte di Viani ed il rapporto delle strutture con il territorio, può ritrovare la memoria storica ed affettiva delle proprie tradizioni. Il ricordo delle navi, trasposto in un museo attivo legato alle origini del luogo e connesso all’opera esposta, se inserito in una architettura conformata su di esso, conferisce al nuovo immaginario collettivo una sua “autenticità”.

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Telemaco Signorini Spiaggia a Viareggio, 1860 collezione privata

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Dalle lande paludose alla “Perla del Tirreno”

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Foto storica la Torre Matilde dal canale

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La nascita del borgo Viareggio ebbe origine secondo alcune testimonianze da una prima occupazione del territorio nel 1168, con la costruzione di una torre lignea, successivamente sostituita da un castello in muratura nel 1172, sulla riva del mare a difesa del territorio circostante. All’epoca la costa versiliese era una selva, una landa paludosa, e fino agli inizi del ‘500 Viareggio esiste solo come toponimo, come insediamento difensivo e per le attività di scambio marittimo della Repubblica di Lucca, in continua guerra, al fianco di Genova, con Pisa e Firenze. La costruzione militare di forma rotonda, denominata “Castrum de Via Regia”, posto al termine della via omonima, oggi non lascia alcuna traccia, al suo posto si trova lo stabilimento dismesso ex Salov. La storia della formazione della città è segnata dalla decisione del papa Leone X nel 1513, quando decise che Pietrasanta e Motrone, al tempo scalo marittimo conteso tra la Repubblica Lucchese ed i Medicei di Firenze, fossero assegnati ai fiorentini. Questo determinò la necessità per Lucca di attrezzare e fortificare il modesto scalo a mare costituito dalla fossa del Selice, oggi canale Burlamacca, proprio dove sorgeva il fortilizio del 1172, ormai però strategicamente inaffidabile, poiché si trovava troppo lontano dal limite della spiaggia avanzata radicalmente negli anni. La formazione del primo borgo ebbe inizio così all’ombra della Torre Matilde, eretta nel 1534 a difesa del porto canale da eventuali invasioni, oggi è l’unico manufatto plurisecolare di Viareggio. In seguito, nel 1546-1549, fu costruita la residenza del Commissario di spiaggia, massima autorità per il controllo sul movimento delle merci. Era collegata alla torre per mezzo di un loggiato. In questo primo nucleo si individua la costruzione di una schiera a mare di magazzini disposti in senso parallelo alla riva ed allineati alla torre, che costituiscono una barriera a protezione delle fabbriche retrostanti, anch’esse disposte parallele fra loro, in direzione mare-monti, per risentire meno gli agenti atmosferici. 33


Il borgo nel XVI secolo, planimetria A destra riproduzione ideale Romano Viviani

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Primo piano a scacchiera della città di Viareggio Giovanni Azzi, 1682

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Oltre a questo gruppo di edifici, erano presenti la prima chiesetta del 1559, dedicata a S. Pietro, oggi SS. Annunziata, la cisterna e alcune residenze. Nel 1600 il borgo si espanse nella zona monte della schiera dei magazzini, che rimasero, insieme alla torre, la parte più avanzata a mare, con nuove costruzioni e soprattutto edilizia residenziale. Anche se di tipo povero e senza particolari rilevanze architettoniche, dimostra già, con la sua tipologia a modulo quadrato, con due facce cieche ed una affacciata sul fronte strada, la matrice del futuro sviluppo edilizio viareggino. Inoltre appare per la prima volta l’uso di un’area scoperta di pertinenza, ovvero l’orto murato, sul retro dell’edificio. Fu comunque una lenta espansione, frenata dalla presenza dell’immensa palude che, nonostante i ripetuti tentativi di bonifica, si estendeva su tutto il territorio sul quale regnava il pericolo della malaria. La popolazione, composta da pescatori, contadini ed addetti al movimento delle merci dovette lottare costantemente con la morte. Nel 1682 venne accordato con il decreto del Consiglio Generale di Lucca, che la parte di terra, lasciata libera dal regredire del mare, venisse edificata tramite concessione con abitazioni, negozi per dare impiego agli abitanti, e magazzini per facilitare lo scarico. Così iniziò la fase di città pianificata, criterio che sino ad allora aveva visto uno sviluppo “spontaneo”. Il piano venne affidato all’ing. Giovanni Azzi, e prevedeva una struttura a scacchiera, caratteristica della città di colonizzazione americana, New York, estendibile quindi all’infinito, con sette strade iniziali perpendicolari fra loro. Molte di queste sono ancora presenti al giorno d’oggi, e il principio di sviluppo urbano è ancora visibile. L’attuazione del piano di Azzi, procedette però in modo lento, sempre a causa delle condizioni ambientali insalubri e, nei cinquanta anni successivi, si registrarono poche nuove edificazioni. Nel mentre Viareggio fu nominata “comune” dal Consiglio Generale della repubblica lucchese. 37


Bonifica e pianificazione I continui tentativi di espansione e pianificazione agli inizi del ‘700 non ebbero mai successo, a causa delle condizioni di salute e ambientali. Fu soltanto dopo il 1740 che, con il completamento delle azioni di bonifica del territorio, secondo il progetto dell’ing. Bernardino Zendrini, si potè delineare la pianificazione e lo sviluppo edilizio senza interruzioni, e quindi cambiare definitivamente il volto del piccolo borgo. L’ideazione dell’ingegnere prevedeva un controllo del flusso e deflusso delle acque della palude, attraverso l’inserimento di cateratte nel canale. Gli appezzamenti di terra bonificati videro scomparire la malaria del tutto, e le terre dette “chiuse” furono cedute alle famiglie lucchesi della nobiltà, affinché vi costruissero e le mettessero a coltura. Si sviluppò così l’agricoltura e i primi pini vennero piantati per proteggere i campi dal salmastro marino. Si creò una vera e propria barriera artificiale, una striscia di bosco, che pose le basi per le attuali Pinete; oggi quella di ponente inserita nel contesto urbano, e quella di levante, lussureggiante di verde, e Parco Naturale. Data la rapidità dell’espansione, il Governo lucchese decise ancora una volta di regolamentare la crescita della città, incaricando l’architetto Valentino Valentini di redigere una pianta per poter dare una norma sia allo sviluppo sia alla costruzione delle fabbriche. “Nelle porzioni di terreno indicate si puole assegnare quella quantità di superficie che sarà ricercata sì per fabbriche che per orti, avvertendo però sì dalla parte di settentrione che ponente proseguire l’idea principiata”. Con questa norma il Valentini delineò quelle che sarebbero state le linee guide dello sviluppo di Viareggio fino alla metà del ‘900, oltre che redigere un vero e proprio censimento degli immobili esistenti in una pianta topografica. La carta è l’esatta fotografia della Viareggio del 1748, con l’indicazione di tutte le fabbriche (104 fra case, palazzi, magazzini ed uffici) dislocate intorno al primitivo nucleo storico all’ombra della torre e 38


Piano di espansione arch. Valentino Valentini 1748

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lungo la via Regia, delineando però la Viareggio futura. Nella planimetria è evidente come già fossero presenti alcune delle prime ville e palazzi delle famiglie lucchesi nella parte a mare della torre: la villa Cittadella con il colonnato sul fronte era la più avanzata verso il mare, la palazzina Fanucci, poi Bernardini. Importante però risulta l’idea principiata definita dal Valentini, riprendendo i criteri di uniformità e simmetria già visti nella carta dell’ing. Azzi, estendendola all’infinito attraverso il prolungamento di strade rettilinee e perpendicolari. Attraverso queste importanti previsioni di insediamento, la divisione del terreno in quadrilateri regolari, si definì un piano urbanistico con un controllato sviluppo e, con il rapporto indicato fra edificato e strada e con il vincolo di costruire case con “orti murati”, determinò invece la caratterizzazione urbana della città e la tipologia architettonica di base, la tipica “casa viareggina”. Il piano del Valentini mantenne la sua validità fino alla fine del secolo, e nella seconda metà del secolo si registrano le costruzioni di ville ed abitazioni con “orti murati, principalmente lungo le strade di via Fratti, Vittorio Veneto e Battisti, e le loro rispettive perpendicolari. Un esempio è villa Belluomini all’angolo fra via Regia e Fratti, dove all’interno si trovava anche un piccolo teatro; o il palazzo Cittadella, sempre in via Regia all’angolo di piazza del Vecchio Mercato, trasformato poi in albergo. Rilevante risulta anche l’intenzione del Valentini, di dare al “segno del canale” il ruolo di centralità di questo sistema a griglia. Al di là del canale ancora non vi erano costruzioni, appare l’Uffizio della Foce, sede della magistratura che regolava il commercio. L’edificio a due piani, la piccola darsena scavata vicino alla Torre e il capannone pubblico per tenere al coperto le barche, testimoniano l’inizio dell’attività marinara e cantieristica che raggiungerà il massimo splendore nell’ 800. Evidente che all’epoca la città fosse ancora incentrata intorno al primo borgo caratterizzato però ormai dalla vita della borghesia lucchese e dalle architetture delle loro 40


ville lungo le strade. Ma non tutta la popolazione viveva questa atmosfera di benessere, e chiuse il settecento senza vedere la tanto sperata serenità dopo il periodo della malaria, rimanendo legata a questo lembo di terra con un rapporto di amore-odio. Si cominciano quindi a porre le basi per la futura città del possibile, dove borghesia e nobiltà trascorrono le loro villeggiature, ma anche una scissione tra gli abitanti ed i forestieri del luogo, che vede ancora oggi le conseguenze.

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Foto storica il viale lungo mare bagno Nereo


La città balneare In seguito al miglioramento delle condizioni ambientali, le famiglie nobili lucchesi erano ormai insediate nel territorio lungo il canale, con costruzioni di ville e palazzi. La vita economica si concentrò sull’agricoltura e la pesca, in particolare i viareggini si dimostrarono dotati nell’attività della marineria velica. Nel XIX secolo sotto il Ducato Borbonico, fu dato un impulso alle attività commerciali e marittime, quando la duchessa di Lucca Maria Luisa di Borbone, decretò la costruzione di una prima darsena (oggi darsena Lucca), e dimostrando la sua particolare predilezione per Viareggio la elevò al nobile rango di città. Ha inizio così il luminoso futuro per l’umile borgo nato sulle rive del canale Burlamacca, diventato piccola città, con nuove strade e piazze, larghe ed ariose, nuovi quartieri, con miglioramenti delle darsene e dei cantieri. Nel 1822 la principessa Paolina Bonaparte Borghese, sorella di Napoleone, fece costruire sulle rive del mare l’elegante villa in stile neoclassico, oggi Palazzo Paolina. La Duchessa decretò negli stessi anni anche la regolamentazione dello sviluppo edilizio oltre che per ogni nuova costruzione. Fu incaricato l’architetto regio Lorenzo Nottolini, il quale elaborò un vero e proprio piano regolatore che costituiva il naturale proseguimento del lavoro del Valentini. Il piano confermava il tracciato regolare a maglie ortogonali, le residenze proseguivano il criterio dell’orto murato, basse facciate lungo la strada disposte l’una accanto all’altra. La mappa rileva che lo sviluppo era incentrato nella parte nord della città e verso mare, mentre oltre il canale Burlamacca, l’avanzamento urbano era bloccato dalla presenza della pineta di Levante, che dal 1822 divenne di proprietà dei Borbone, dove fu costruita la tenuta personale, sempre dall’architetto Nottolini. La villa, composta da tre corpi di fabbrica, è tutt’oggi inserita in un contesto lussureggiante, di numerose essenze arboree naturali e messe a coltura. Successivamente al piano del Nottolini, l’economia di Viareggio, 43


Il Barcobestia Cartolina storica Bagno Oceano fine ‘800

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che si incentrava all’epoca intorno al canale Burlamacca, subì un forte impulso dalla nascita e successivo incremento delle attività balneari che, insieme all’attività della marineria velica, grazie alla costruzione di nuove darsene ed importanti cantieri navali, delinearono la caratteristica bifronte sia socio-economica, ma anche urbanistica della città. Dopo la regolamentazione dell’uso delle bagnature nel 1822, nel 1827 vennero realizzati i primi due stabilimenti, i bagni Dori per le donne e Nereo per gli uomini. Gli edifici con il loro impianto ad “U” si reggevano su palafitte creando una sorta di piscina naturale accessibile dalle scale centrali della costruzione. Nel 1860 sorsero poi i grandiosi stabilimenti su palafitte, il Nettuno, il Balena, il Felice e l’Oceano, che dal canale a via Mazzini formano una strada - l’attuale via Manin - lungo la quale si cominciarono ad intravedere alberghi ed eleganti villini. Nacque così la Passeggiata nel 1867, con i suoi edifici appesi fra uno stile eclettico e liberty, un magico scenario dove Viareggio recita la commedia dell’estate, nei suoi chalet negozi e ritrovi mondani. Si può ritrovare l’atmosfera del periodo osservando l’edifico del “Martini”, negozio di abbigliamento inaugurato sul finire del secolo ‘800. In piazza Mazzini fu costruito l’Ospizio Marino di Firenze, noto come il “Palazzo delle Muse”, nome che deriva dal denaro ricavato per la costruzione dell’opera, donato dai coltivatori delle arti, quali pittori, scultori, poeti e musicisti. Ad un primo architetto incaricato subentrò l’architetto fiorentino Giuseppe Poggi, famoso per gli interventi di ingrandimento della città di Firenze, il quale ultimò la costruzione nel 1869. Se inizialmente l’edificio si trovava isolato dal contesto cittadino, il successivo sviluppo della città lo rese sempre di più inserito in un’area al centro di valorizzazione del territorio. La sua realtà di sofferenza e dolore, era in contraddizione con il clima festoso degli alberghi e stabilimenti e, anni dopo, nel 1938, il Comune acquistò il Palazzo. Altro evento che segnò questa profonda scissione fu l’inaugurazione del tratto ferroviario 45


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Foto storica del lungo mare nel ‘800 Il Kursaal sullo sfondo

Viareggio - Pisa nel 1861 e la costruzione della stazione Viareggio Scalo. Il continuo aumentare dei turisti, ora anche fiorentini oltre che lucchesi, trasformò sempre di più Viareggio da località di villeggiatura a “città balneare” date anche le sue caratteristiche naturali che favorirono l’espansione e nuove costruzioni. L’interesse da parte di artisti, pittori, scrittori per il paesaggio versiliese portò una crescente notorietà ed uno sviluppo economico delle attività balneari, ma una conseguente progressiva cementificazione. Alle modeste ed umili case che sorgevano lungo il canale, si iniziarono a vedere quelle signorili e l’espansione si spostò dall’antico nucleo storico del borgo, verso il mare e lungo la spiaggia. Fabbriche e stabilimenti rumorosi non potevano più essere costruiti nel territorio perché troppo fastidiosi per i villeggianti, l’attività cantieristica fu lasciata in disparte, come del resto la condizione sia di vita che urbana, iniziando così il suo declino.

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Cartografia storica espansione della città fine ottocento



Foto storica prime contaminazioni città giardino

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Metamorfosi urbana Fino alla fine del ottocento la crescita di Viareggio avvenne lungo due assi direttrici, il canale Burlamacca e la linea di costa. Nei primi anni del novecento, il turismo balneare è ormai il polo trainante dell’economia cittadina tanto da definire la città di Viareggio “la Perla del Tirreno”. Gli interventi urbanistici interessavano quasi esclusivamente la zona a mare della città. Negli anni ’20 Viareggio era un luogo di spiagge a tratti libere con architetture effimere, cabine ricche di colori e spiagge gremite di bagnanti dove riecheggiava un brusio festivo. Il regime manifestò in quegli anni un forte interesse per la città della costa versiliese, riscontrabile nelle attività di propaganda, mettendo il turismo come punto di forza, con investimenti per costruzioni di strutture e sovrastrutture. Ne è un esempio la pubblicità dell’autostrada Firenze-Mare. Nonostante questo durante il ventennio fascista, la città gode di una particolare forma di spensieratezza fino al 1943. Viareggio vede nel periodo fra le due guerre il suo periodo di massimo splendore, con esperienze artistiche sia di tradizione che avanguardistiche. L’architettura del tempo, rappresenta non solo la volontà di espansione e di edificare, ma anche uno status dell’aristocrazia, spesso però contrapposto allo stile di vita dell‘artista. Durante gli anni Venti e Trenta non solo gli amministratori ma anche gli artisti e gli intellettuali che amano e frequentano Viareggio si impegnano in una politica urbanistica e ambientale tesa a favorire il turismo. I piani di Alfredo Belluomini, e successivamente Brizzi, che estendo il disegno della passeggiata sino al fosso dell’abate, con città giardino, architetture razionaliste in cemento nella zona del littorio, con il Principe di Piemonte, sono un chiaro segno di una mutamento del territorio a favore del turismo, definendo anche una cronologia attraverso gli stili architettonici della passeggiata. Nell’arco di trenta anni vide triplicata la sua densità urbana. Il nucleo abitativo si estendeva fino alla fossa dell’abate, mentre lo sviluppo urbani51


Foto storica la darsena anni ‘40

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stico della zona al di là del canale, dove era insediata la civiltà dei pescatori e del duro lavoro, era ancora frenato dall’esistenza della pineta, che solo nel 1926 verrà acquistata dal Comune. Mentre si delineava questa realtà idilliaca di terra del possibile, la Viareggio degli abitanti era sempre quella del lavoro, della marineria e della pesca. Nel 1901 nasce la via Coppino, asse di distribuzione della darsena, la città dei costruttori, dei pescatori, che esiste ormai da mezzo secolo. Rimane evidente che la parte sud del canale sin dai tempi di Maria Luisa di Borbone è stata considerata di servizio, come lo scavo delle darsene, o la collocazione della stazione. La fortuna/sfortuna della Darsena, che la salva dalle azioni speculative, che invece hanno interessato l’intera espansione della città di Viareggio, ed oggi la mantiene per così dire ancora selvaggia, sono due cause insolite: la proprietà della duchessa della pineta di Levante e la spiaggia utilizzati per le esercitazioni militari. In seguito, lo spostamento del mercato nel 1924 dalla via Regia alla piazza Cavour e la realizzazione della nuova stazione, inaugurata nel 1936 al termine della via Mazzini, sono forti segnali di un decentramento dei servizi verso la nuova e futura espansione edilizia della città. Lo sventramento compiuto dalla realizzazione del cavalcavia ai danni del centro storico fu l’ultimo intervento che modificò il vecchio tessuto urbano di Viareggio prima della II Guerra Mondiale. Dal dopoguerra al 1978 si nota una massiccia espansione edilizia. Una zonizzazione che partendo dall’impianto a griglia ha impedito l’urbanizzazione diffusa, favorendo invece un’espansione compatta caratterizzata però dalla saturazione all’interno degli isolati e la completa occupazione della fascia costiera, con la distruzione delle pinete e la realizzazione della “Città giardino” a nord. Oggi l’immagine urbanistica della città è la sintesi delle devastazioni belliche con le conseguenti ricostruzioni e i tentativi di valorizzazione che hanno portato però ad un territorio meno lineare e la perdita di una “idea principiata” e del suo segno, indicata dal Valentini. 53


Cartoline da Viareggio Il Principe di Piemonte

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Ortofoto di Viareggio l’immagine della città epoca recente

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Due realtà contrapposte unite dal canale

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“La passeggiata allora era tutta di legno, le costruzioni erano soltanto baracche, alte pochi metri, ciascuno il ritratto di chi l’aveva ideata, il suo modo di pensare…poteva esprimere una nostalgia, la modestia oppure la speranza, la sua bizzarria. Vi era libertà anche per i colori, e chi la dipingeva di bianco, chi di rosso ,chi di rosa, chi di grigio. Le fogge erano le più diverse ma poiché i costruttori erano calafati, gli ideatori marinai rimasti a terra, quasi tutte ricordavano le faccende del mare e così in quella v’era l’ombra del cassero, in altre le sagome dei grossi barconi, in alcune la sveltezza delle golette…verso il 1930, il Fascismo ormai pieno, i giornali cominciarono a pubblicare che quelle baracche rosa, rosse, grigie, quelle costruzioni che ricordavano tolde, prue, relitti di bastimenti, carene abbandonate, erano un vecchiume…un controsenso nella nuova Italia imperiale e fascista…venne l’ordine che le baracche dovevano essere distrutte, i colori trasformati nell’unico della calce. Venne l’ordine che Viareggio fosse distrutta , quella che era stata dei calafati, dei pionieri, dei marinai, dei pescatori…” “Sulla spiaggia e al di là dal molo” Mario Tobino, 1966


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La moglie del marinaio Lorenzo Viani, 1912-15

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Donna in blu Moses Levy, 1917

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Cartolina da Viareggio la nave pronta al varo Darsena Lucca

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Nel 1966 esce ad opera di Mario Tobino un’altra storia di Viareggio, le due facce della città, la memoria storica, e la memoria affettiva; “sulla spiaggia - la città balneare - e al di là dal molo - la darsena”. Tobino cerca di nobilitare le origini di una terra, che essendo colonia, deve la propria storia architettonica, urbana e culturale ai forestieri. Lo scrittore mette in luce come l’arrivo del fascismo e della conseguente sostituzione delle identità del luogo, trovò sprovveduti i viareggini, i proprietari delle baracche, che mai avevano pensato a come arricchirsi. Avevano vissuto in maniera abitudinaria, vivendo le stagioni, di inverno a pescare e d’estate a spendere. Come gli indiani dell’America all’arrivo dei visi pallidi, furono sprovveduti alla sostituzione delle baracche con costruzioni in cemento armato. Nel ‘900 la maggior parte dell’abitato è composto da abitazioni semplici, a un piano oltre a quello terreno, mentre sul lungomare si trovano stabilimenti balneari caffè-concerto e negozi dove predomina il legno da costruzione. Sul litorale si concentra la vita ludica e mondana della società in vacanza, nelle prime ore del mattino i bagnini sistemano la toletta della spiaggia, ordine che verrà sconvolto dall’arrivo dei bagnanti, appuntamento generale che si rinnova al primo spuntare del sole, e la passeggiata, una fiumana di gente che passeggia perdendosi in una interminabile prospettiva. A sud del canale, dove sorge il primo nucleo abitativo, si conserva la memoria del piccolo borgo di pescatori, dove le darsene ne sono protagoniste, i maestri d’ascia lavorano dietro agli interminabili muri dei cantieri, mostrando le nude strutture delle navi, luogo devoto alla pesca ed al mercato marino. Il canale Burlamacca è l’elemento topografico che consente di spazializzare i due distinti settori urbani, di dissociare le due rive e le due zone della città per rilegarle e creare al tempo stesso la loro connessione. Questa sottile linea d’acqua di circa 12 metri, è lo spettatore della divisione delle due anime, con lo stesso destino 65


del mare, che a partire dai primi anni dell’ 800 caratterizzano la storia e l’economia di Viareggio: la realtà marinara e quella balneare. Se le architetture effimere della Passeggiata e le umili case dei pescatori sono la testimonianza di questa trasformazione, anche nelle arti si percepisce questa spaccatura. I quadri di Moses Levy, tunisino di nascita, ma viareggino acquistato, e quelli del figlio della “vecchia città” Lorenzo Viani, cresciuto fra le darsene, sono la chiara rappresentazioni degli umori e delle sensazioni che ancora oggi la città si porta dietro. Nonostante lo sviluppo balneare portasse beneficio alla città da un punto di vista economico, la visione dei viareggini è sempre quella della marineria e della pesca. Il canale racchiude quel carattere nostalgico di Viareggio descrivibile con l’amore patologico, tanto caro a Viani, che ha isolato il vecchio borgo dalle attività di espansione e di vita mondana della costa. Rappresenta quindi un ideale spazio dove si fondono e concentrano storia e cultura di Viareggio. Percorrendo il canale partendo a monte del ponte di Pisa, si incontrano ancora oggi costruzioni che hanno segnato la storia della città. Le vecchie cateratte, traccia storica delle azioni di bonifica dell’ing. Zendrini sono il segno delle basi dello sviluppo demografico e del territorio. Al lato del ponte di Pisa si trova il tabernacolo dedicato alla Madonna Bambina, fatto erigere nel 1837. Qui il piazzale della vecchia Stazione con il suo parco maestoso accoglieva i turisti, che attraverso la prospettiva fra le folte alberature coglieva subito lo sguardo di chi lo percorreva. Subito dopo il ponte di Pisa troviamo la Torre Matilde, fatta edificare nel 1534 a difesa dei magazzini e del nascente borgo. Il palazzo del Commissario fu eretto pochi anni dopo. La piazza del vecchio mercato, oggi spostato in piazza Cavour, popolava il vecchio borgo sotto l’ombra della torre medievale. Davanti alla torre Matilde troviamo la prima darsena, detta “Lucca” che ha con sé il ricordo dell’elevazione a rango di città nel 1820 da parte della duchessa Maria Luisa di Borbone e l’inizio delle attività marinare della 66


città. Poco oltre, seguendo lo scorrere del canale verso il mare, si incontra il palazzo Fanucci Bernardini-Mansi, costruito nel 1751. Questo palazzo testimonia la presenza dei forestieri che villeggiavano sulla costa versiliese. Subito davanti al palazzo il ponte levatoio di legno, posizionato all’altezza del prolungamento del viale dei Tigli, quasi a stabilire un collegamento con la Villa Borbone. Il ponte che veniva alzato per permettere alle navi di entrare o uscire dalla darsena Vecchia, venne sostituito poi con uno moderno nel 1914. Andando avanti troviamo il Lazzaretto, ospizio per l’osservazione degli equipaggi dei bastimenti, e il Fortino, demolito in seguito alle sistemazioni urbanistiche. Davanti al Fortino si aprono le imboccature delle due darsene, la Toscana nel 1871, e la darsena Italia, nel 1903. La costruzione delle due darsene adiacenti sono la testimonianza della grande attività, che a partire dalla seconda metà dell’ 800, caratterizzava i cantieri navali viareggini, dai quali venivano varati velieri dalle linee sinuose degli scafi “gallettati”, così descritti da Tobino. Il canale prosegue formando il limite a sud con la spiaggia di ponente e del viale Margherita, nota come la Passeggiata. Il vecchio Faro ed il molo protesi verso l’orizzonte dove passeggiavano marinai e calafati, nobiltà e popolani mercanti, con le strutture lignee su palafitte, sono lo scenario di chiusura di un percorso che a tratti pare frammentato, poiché molti segni sono andati perduti, ma che mantiene ancora la memoria dell’intimo rapporto con il mare.

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Foto ricordo sul ponte di Pisa, la Darsena Lucca

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Foto ricordo Il canale presso via R. Pilo, l’arrivo al molo di Viareggio

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Legenda 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17.

Cateratte per il flusso delle acque, 1740 Stazione Viareggio scalo, 1861-1936 Parco della stazione, 1861-1936 Ponte di Pisa Torre Matilde, 1534 Piazza del mercato vecchio Darsena Lucca, 1819 Palazzo Mansi, inizio ‘700 Primi cantieri della Darsena Ponte levatoio, 1914 sostituito Lazzaretto Darsena Toscana, 1871 Darsena Italia, 1903 Il Fortino, 1788 La Passeggiata, inizio ‘900 Il vecchio Faro, 1863 Il molo, 1577

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Fondazione GAMC

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Opere di grafica e pittura Lorenzo Viani, tra 1905-15 Collezione Varraud Santini

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La Collezione La raccolta di opere di proprietà del Comune di Viareggio è formata in gran parte dalle donazioni o lasciti di opere che singoli soggetti hanno messo insieme nel corso della loro vita seguendo gusti, interessi, inclinazioni; doni di artisti che , coinvolti in viaria misura in iniziative pubbliche, hanno inteso contribuire alla nascita del museo. Inoltre, dall’inizio del secolo scorso, le amministrazioni che si sono succedute alla guida della città hanno acquistato opere di Lorenzo Viani formando la più importante raccolta pubblica del maestro. Se la raccolta sembra risalire alla fine dell’ottocento, la certezza dell’acquisto della prima opera risale ai primi del ‘900, opera che non poteva non essere del artista tanto amato da Viareggio Lorenzo Viani. Nel 1925 infatti la “Benedizione dei morti del mare” diventa patrimonio pubblico. Nel 1979 ci fu un grosso impulso per la successiva formazione della collezione, grazie all’acquisto di cinquanta opere di Viani della raccolta Varraud Santini ed insieme alla Donazione Lucarelli (quarantacinque opere) spinse la città a dotarsi di una vera e propria Pinacoteca, allestita a Palazzo Paolina ed inaugurata nel 1994. Questo primo tentativo di investire su un locale museale che ospitasse le opere, favorì le successive donazioni, tra le maggiori di Alfredo Angeloni, Uberto Bonetti, Alfredo Catarsini, Moses Levy. Ad affiancarsi a questi primi movimenti di partecipazione culturale si aggiunse un altro patrimonio cittadino formatosi negli anni Settanta e Ottanta: la Collezione del Premio Letterario Viareggio. Il grande numero di opere e la donazione nel 2000 da parte del Senatore Giovanni Pieraccini e sua moglie Vera, di circa duemilatrecento opere, motivò la progettazione della GAMC con sede a Palazzo delle Muse. L’attuale collezione che conta quasi tremila pezzi ancora trova difficoltà nel presentare l’intero catalogo nella nuova sede. Oltre a depositi visitabili, la fondazione è dotata di un portale web sul quale è possibile accedere alle diverse collezioni. Le “provenienze varie” chiudono 75


Opere di grafica e pittura Lorenzo Viani, tra 1903-11 Collezione Varraud Santini

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il consistente “corpus” costituito sia dalla Collezione Comunale, sia dalle donazioni recenti. Le donazioni Angeloni, Catarsini, Levy, Michetti sono testimonianze del concreto legame fra Viareggio ed i suoi artisti. Un intrecciarsi dei rapporti e delle vicende della città con i pittori e scultori. Il cuore della Collezione è rappresentato sicuramente dalle opere di Lorenzo Viani, acquisti avvenuti fra il 1925 ed il 2007, e ad oggi rappresenta la più importante raccolta pubblica del Maestro. La GAMC si trova al primo piano del Palazzo delle Muse, insieme alla Biblioteca Comunale, ed il Centro Documentario Storico. Il Palazzo trova le sue radici storiche sul finire dell’ottocento. La costruzione dell’Ospizio Marino, noto come Palazzo delle Muse, nome derivato dal denaro ricavato dalle opere di artisti come architetti, pittori, scultori, poeti, iniziò nel 1861 sotto la direzione di due illustri progettisti fiorentini. Il primo fu l’ing. Augusto Casamorata, ed in seguito subentrò Giuseppe Poggi, già famoso per le importanti trasformazioni urbanistiche di Firenze, che ultimò il progetto nel 1869. Nel 1893 il Palazzo fu ampliato con l’edificazione di un ala verso il lato della pineta. Sino al 1912 funzionò solo nei mesi estivi e, durante il periodo della prima Guerra Mondiale, fu adibito a Ospedale Militare. Se inizialmente si trovava in una posizione geografica marginale rispetto alle attività del centro storico e dell’espansione edilizia, successivamente alle “valorizzazioni” del territorio si trovo all’interno di un area fortemente interessata dai piani di espansione. La sua realtà di Ospizio andava in forte contrasto con la mondanità dei villeggianti e nel 1936 i giovani malati dell’Ospizio non frequentarono più gli arenili di fronte l’attuale piazza Mazzini. Nel 1938 fu acquistato dal Comune ospitando una delle poche realtà legate sia alla storia ma soprattuto all’arte della città. La collezione in un periodo di riproducibilità meccanica e consumismo dell’arte, è l’espresseione della cultura del luogo dove valori estetici e storici si fondono.

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La preghiera del cieco Lorenzo Viani, 1920-23 donazione Lucarelli

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Lorenzo Viani Nel 1861 con l’apertura della seconda darsena e della ferrovia Viareggio-Pisa, la città vive il periodo d’oro della navigazione velica, con le golette e brigantini, che grazie a sapienti e coraggiosi marinai e carpentieri rendono la marineria un icona riconoscibile in tutto il mondo. Intorno a queste storie di pescatori, calafati e maestri d’ascia, nasce Lorenzo Viani, al di là del canale, dove ancora lo sviluppo della città sembrava non necessario. Solo piccole case d’abitazione di pescatori e portuali erano presenti oltre alle darsene ed i cantieri. Cresce in mezzo al picchiettare dei mazzuoli e l’odore di resina e catrame, a contatto con vite modeste e quotidiane fatiche per il mare. “vado in Viareggio” - questo si diceva passando il ponte della darsena, lontana dalle feste e luci mondane del lungo mare. I bagnanti che scesi dalla stazione passavano per il rione, attraversavano una vita dura, di miseria, una realtà operosa e seria, che si presentava al forestiero tutta invelata, donne che cucivano vele di 25 metri sedute nei panchetti in piazza. Lorenzo Viani porta nel sangue questa faccia scura di Viareggio, quella popolaresca e genuina, non contaminata. Viareggio si presenta per lui come un grosso paesone, malgrado le ambizioni turistiche, circondato dalle Apuane, dalle pinete e dal mare, le spiagge e le dune di ginepri e prunai che conferiscono al paesaggio un aspetto selvatico. Le usanze ancora campagnole nelle piazze, papere e polli per le strade ancora sterrate, un paese di possibilità e sogni infiniti. Viani cresce facendosi la cultura dei costruttori di barche e maestri d’ascia, coloro che resero le barche viareggine agili e “gallettate”, riconoscibili nei lontani porti e mari. Nascere in quella parte di Viareggio significava all’epoca essere Apuano, rivoluzionario ed anarchico, poiché alla vita spensierata della Passeggiata, si contrappone una vita difficile e grama. Nel periodo delle due guerre la città subisce grandi cambiamenti. Viareggio perde il suo equilibrio, tra il costruito ed il libero, come lo dimostrano anche le 80


zonizzazioni e speculazioni, che schiacciano sempre di più la città da tutti i lati. Poche tracce si conservano, i profumi e colori locali, le usanze e costumi contadini e marinari, costumi che Viani mantiene vivi. Viani canta anche nei suoi libri oltre che dipinti la povertà e le fierezza oltre che l’ingenuità, di una società e cultura urbana che grazie a lui ha colore e struttura. Lorenzo Viani nasce a Viareggio il 1 Novembre 1882, nella zona della vecchia darsena. La famiglia, di origine lucchese, si trasferisce sulla costa per motivi di lavoro, il padre infatti era al servizio dei Borbone nella villa della pineta di Levante. Le due realtà viareggine e la vita all’interno della villa delineano già la sensibilità del giovane artista, un’ insofferenza e conoscenza attraverso la capacità visiva della realtà. Dalla scuola alla bottega del barbiere, formano Viani attraverso il lavoro e gli uomini che lo circondano, marinai, pescatori, gente di mare. Non solo da un punto di vista artistico ma anche sociale e politico. Nel 1900 si iscrive alle Belle Arti di Lucca e già mostra doti ed abilità nella pittura e nei ritratti. A Lucca conosce Moses Levy e Spartaco Carlini. Nel 1901 incontra Giovanni Fattori, grazie al quale anni dopo frequenta l’Accademia di Firenze, fino al ritorno in Versilia, trasferendosi in una villa di Torre del Lago davanti alla villa del maestro Puccini. In quegli anni vi sono le prime mostre di Viani, incentrate sulle darsene, i cantieri e delle bettole intorno al porto, un’umanità trascurata tanto cara all’artista. “I vageri” ne sono esempio lampante della visione vianesca della realtà, grottesca e violenta, carattere portante del sottoproletariato ed umanità emarginata. “Io disegnavo quelle scabre ed estreme figure di lavoratori e di plebe da cui trassi origine e che amai e amo con devozione di figlio…il mio mare è quello che sa di pece, di aringhe, di musciame, di nonnina, il mare che frange tra ripe lutulenti, mare torbato dagli spurghi delle fiumare e delle chiaviche…gli uomini, in questi dipinti, li ho considerati tarli, e le donne nere blatte rampicanti sui ravaneti precipitanti…”. 81


Mosaico delle matrici xilografiche Collezione Comunale acquisite nel 2000

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è un periodo ricco di viaggi, e nuove conoscenze, con la comune denominazione della dura vita. Se nel primo periodo di pittura Viani mostra elementi di richiamo prima ai Macchiaioli e dopo al realismo, si nota subito come vi sia un’ irregolarità nel trasporre tematiche o poetiche di tali correnti. I quadri sono emblema dell’istinto e insoddisfazioni dell’artista, alternati da colori carichi di vita e simbolismo. Altro periodo importane per Viani è sicuramente il viaggio a Parigi, dal 1907 al 1911, dove entra in contatto con le avanguardie e l’impressionismo. Rimane però questo furore incontrollato del viareggino nelle declinazioni formali contrastanti. Qui comincia anche a conoscere la xilografia. Al ritorno nell’estate del 1909, accompagnato da un sempre più crescente attivismo politico trova nei ribelli, i viandanti e gli anarchici figure di ispirazione sia per la sua arte che la sua fede politica. Dopo il matrimonio che lo vede concentrato sulla famiglia, Viani dal 1922 comincia a lavorare sugli scritti, che usciranno dopo la sua morte. La scrittura diventa fondamentale nella sua arte, tentando di rendere reali i suoi personaggi, usando il dialetto il loro punto di forza. Il fulcro rimane sempre la gente viareggina, la ricerca esasperata di termini inusuali negli ambienti marinari e cantieristici. Un’arte di carattere popolare, che scava a fondo la materia con un’energia costruttiva, non più irregolare come nei periodi giovanili, forse proprio attraverso gli scritti, inserendo il dialetto nei propri quadri. Questo impegno di modifica della società attraverso l’arte si traduce per Viani nell’essere Apuano, ne è esempio la “Benedizione dei morti del Mare” o nel “Volto santo”. Nel 1921 fino al ’27 Viani è impegnato nella realizzazione del monumento ai Caduti per la Patria insieme allo scultore romagnolo, Domenico Rambelli. Viani ritorna definitivamente a Viareggio nel 1923 dopo lunghi spostamenti, e la trova profondamente cambiata, il periodo fra le guerre e la sempre crescente zonizzazione dovuta ai turisti, ha cambiato il volto della Viareggio tanto cara all’artista. Sul finire degli anni venti si manife83


sta la malattia, ed è costretto a ricoveri continui. Sono questi gli anni del “figlio del pastore”, il poema delle grandi marine, ed una Versilia incontaminata. Muore a Ostia nel 1936, e con le ultime pitture, continua il coraggio di contraddirsi e di stupire. “Benedizione dei morti del mare”, dipinto tra 1913 e 1916, è sicuramente un dipinto ispirato da aspetti della storia locale, e l’intimo rapporto di Viareggio e la sua gente con il mare, fonte di ricchezza ma anche di dolore. Viani nel dipinto, racconta secondo la sua visione poetica la vita della gente di Viareggio, l’usanza di benedire, il giorno dei Morti, il mare per ricordare e onorare le molte vittime perite fra i flutti e le cui spoglie non hanno potuto fare ritorno alla propria terra. Il mare ne fa da sfondo come un Dio dominatore, cupo e fosco, sembra portare cattivi presentimenti. Le barche a vela lo solcano, la folla radunata sulla battima in attesa di notizie mortali, giace silenziosa. Dalle dimensioni di 192x394 cm fu dipinto in uno standone vicino alla torre Matilde, nella Viareggio vecchia, è la rappresentazione di una cerimonia religiosa legata alle tradizioni del mondo della marineria velica, testimonia la fatica e il dolore degli abitanti delle darsene viareggine, ma anche la loro fede e religiosità. La linee d’orizzonte taglia tutta l’impostazione dell’opera, nell’iconografia vianesca il mare non è quello delle villeggiature e dello svago mondano, ma un “cimitero sterminato”, portatore di dolore e morte. Al centro della tela emerge il Volto Santo, ed intorno ad esso la moltitudine di gente, tutte donne, vedove del mare, una massa senza volto che si dispera, testimonianza di un dramma senza tempo. Il primo piano, invece scandito dalla verticalità delle figure, porta con se una serie di gruppi simbolici. Sulla sinistra le 4 donne, una delle quali con il bambino stretto al grembo, rappresentano il “vicinato”, che nella Viareggio del passato rappresentava un’assicurazione contro la mala sorte. Il secondo gruppo rappresenta il “superstite”, il quale perso nelle vicissitudini patite abbraccia la propria donna. La gioia è però spezzata nei 84


suoi occhi dove ancora si stagliano le onde che per questa volta non l’hanno colpito. Il gruppo centrale di donne in ginocchio con i figli in braccio mostra il dolore delle donne per il futuro delle loro creature. I due gruppi sulla destra rappresentano invece, il primo “la cattiva notizia” che mostrano tutta la loro sofferenza per la perdita, mentre l’ultimo gruppo raffigura “l’offerta”, ovvero una coppia con i loro figli che rappresentano l’offerta che una famiglia faceva al mare quando metteva al mondo una nuova vita. La tela mostra la sensibilità dell’artista di dare vita alle realtà di una vita difficile che l’ha circondato sin dalla nascita, quella delle darsene, attraverso un linguaggio originale ed espressivo, che ne è opera d’arte quanto fonte storica.

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Benedizione dei morti del mare Lorenzo Viani, 1914-16 Collezione Comunale Viareggio

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Nuovo Regolamento Urbanistico

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Evoluzione dell’edificato

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Area dell’ex mercato ortofrutticolo La città di Viareggio muta aspetto almeno tre volte nel corso di poco più di un secolo dal suo esordio come città e centro balneare. Nella città disegnata da Lorenzo Nottolini si innesta alla metà dell’ 800 la città balneare; dalla fine dell’ 800 ha inizio la costruzione di una serie di edifici di linguaggio eclettico, Liberty, neo-medievale, neo-rinascimentale, che negli anni ’20 si diffonde di influenze esotiche mutuate dal Decò; infine il Razionalismo degli anni ’30 che viene introdotto sotto Raffaello Brizzi. Segni indelebili di come il turismo e la sua industria, la conquista delle coste e del mare, trasformino un territorio. In questo breve periodo storico, lo sviluppo urbano della città, ha lasciato le cicatrici della sua evoluzione, e a volte cancellato ogni traccia del proprio passato. La mancanza di un vero piano ha portato i frutti di una speculazione del territorio che oggi deve ritrovare le proprie origini. Nel 2018 viene approvato il nuovo Regolamento Urbanistico, che a scale generale si interessa delle linee di frattura del territorio. Il canale e la scissione delle due realtà viareggine è sicuramente una delle tematiche chiave, con l’aggiunta delle linea della ferrovia, che separa la periferia del Terminetto e Varignano, caratterizzate da uno sviluppo irregolare, quasi agricolo. La lettura in chiave contemporanea delle due facce di Viareggio, che sul finire dell’ottocento e nel pieno del regime fascista, descrivibile con i due quadri di Lorenzo Viani e Moses Levy, sembra aver subito una paradossale inversione di significato, dove la valorizzazione nautica è la realtà che ad oggi risulta dominante, mentre il turismo, con il conseguente profilo artistico che si portava dietro, sembra ormai sparito lasciando solo segni di una devastazione del territorio da parte delle amministrazioni. Il canale, che come abbiamo visto assume il ruolo di portavoce delle memorie della cultura di Viareggio, rientra così nelle priorità strategiche del Comune di rivitalizzare il territorio e quindi anche il paesaggio della città, con lo scopo esplicito di 91


Il limite della linea ferroviaria

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favorirne la percorribilità pedonale e ciclabile. L’idea prevede una decentralizzazione del turismo dalla costa verso la parte “povera” di Viareggio attraverso un percorso lungo il centro storico ed il canale, trovando nuove centralità all’interno di aree dismesse di grandi dimensioni, che oggi sembrano essere solo di ingombro alla regolazione del tessuto edilizio. Tra le aree di trasformazione elencate dal R.U. risulta di particolare interesse la zona del mercato ortofrutticolo, che comprende la stazione dismessa di Viareggio Scalo. L’area, che è stretta dal canale, dalle abitazioni del primo novecento e dalla linea ferroviaria, è chiaramente una zona cerniera tra i quartieri Darsena, Campo D’aviazione e Centro Storico. Le linee guida principali prevedono quindi: una nuova articolazione della mobilità, con l’alternanza di mobilità sostenibile e carrabile, una differenziazione delle funzioni dell’edificato, mettendo in relazione le parti attraverso le aree verdi e gli spazi pubblici, ed infine conservare il conservabile. La riorganizzazione della viabilità pubblica prevede un deflusso verso ovest delle percorrenze ad alta velocità, spostando così l’attenzione verso una mobilità sostenibile lungo il canale in connessione con il centro storico della città e la previsione di un sottopasso ciclo-pedonale connesso all’area commerciale oltre ferrovia. Il mercato ortofrutticolo è ancora in funzione ma in stato di degrado, la sua posizione strategica per l’utilizzo dei turisti ad oggi sembra meno necessaria, proprio per il deflusso dei villeggianti. Coerentemente con le legislazioni del PIT il piano prevede una ristrutturazione urbanistica del corpo di fabbrica destinata ad utilizzo per attività culturali. Un primo interesse delle amministrazioni, in accordo con le regolazioni delle amministrazioni portuali, sembrava essere rivolto alla connessione dell’area con l’organizzazione delle nautica sociale, ovvero delle piccole barche, con il porto a secco. La scelta per una destinazione culturale deriva dal conseguente profilo che avrebbe assunto la il porto nautico, ovvero di uno scenario abbandonato. 93


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Foto dei cantieri e residenze lungo il canale Burlmacca

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Torre Matilde

Darsena Lucca

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Ex mercato ortofrutticolo

Vecchia Stazione Viareggio Scalo

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Comune di Viareggio – Regolamento Urbanistico – Relazione di Conformazione al PIT-PPR

Comune di Viareggio Scheda - norma Ufficio di Piano

per le aree di trasformazione

Comune di Viareggio Regolamento Urbanistico

Scheda-norma per le aree di trasformazione Scheda n. D.M. 1444/68

6.07

Nome dell’area

Zona Omogenea F

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102

Mercato Ortofrutticolo


Per l’edificio della vecchia stazione e il deposito merci è previsto un intervento di ristrutturazione edilizia conservativa con destinazione direzionale e pubblici servizi. Una previsione recente del Comune di spostare alcuni uffici amministrativi all’interno del Palazzo delle Muse, dove oggi è presenta la Biblioteca di Viareggio, la Fondazione GAMC, ed il Centro Documentario Storico, genera la variante chiave al piano, spostando le funzioni culturali e ricreative della Fondazioni lungo l’area della Darsena. La difficoltà di demolire gli edifici di proprietà della Ferrovia di Stato rimane tale, ma la convinzione di un recupero dell’atmosfera del piazzale della vecchia stazione in forte connessione con il canale e la Torre Matilde, dà vita ad un processo di recupero urbano legato alla memoria. La variante della previsione del R.U. È rivolta ad un’insieme di fabbricata collegati da aree verdi, alberature lungo le viabilità carrabili e zone attrezzate lungo gli edifici, con destinazioni d’uso che possano lavorare a diverse ore del giorno, e quindi un offerta ad ampio raggio, rievocando allo stesso tempo sia per i residenti che per i turisti una memoria storico-culturale legata all’arte ed alle tradizioni della città. Il progetto si colloca nei pressi del primo nucleo insediativo di Viareggio, sotto lo sguardo nostalgico della Torre Matilde. Dall’altra parte della città, la Darsena, era un quartiere popolato da calafati e marinai. L’odore di pesce ne era protagonista, acque verdi ed oleose, dove si intravedevano spuntare le alberature dei velieri tra le case oscure della Darsena. Oggi appare un luogo silenzioso, quasi abbandonato. Anche se durante i secoli è rimasta lontana dalle logiche di speculazione del territorio, risulta saturata dalla rivoluzione che ha portato al declino della marineria velica a favore della cantieristica moderna con i suoi grandi capannoni. L’area del mercato ortofrutticolo è una zona di cerniera tra diverse parti della città, soffocata però dalla linea ferroviaria e dallo scorrimento carrabile ad alta velocità, trasformandola in un grande spartitraffico 99


Il canale Burlamacca, nello stato attuale

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abbandonato. La presenza del mercato, ormai degradato, e della vecchia Stazione Scalo, non sembrano riportare il sapore e l’atmosfera ottocentesca, con i turisti che attraversavano il parco ed il piazzale, in stretto rapporto con la Torre Matilde, per raggiungere la spiaggia. Le banchine del canale non sentono più il cantare di storie del mare, che rimangono isolate dall’area separate dalla via Coppino. Osservando “i fatti urbani” della città di Viareggio, è evidente la mancanza di una centralità rivolta alle arti estetiche, intesa come luogo di incontro e ricerca. Il museo della nuova fondazione può rispecchiare le dinamiche della società, senza però diventare un museo dell’iper-consumo, un logo da città - cartolina. La sua funzione “politica” trova il suo esatto riscontro nell’area del ex mercato ortofrutticolo, per la sua natura geografica, ovvero limite di più realtà urbane. Diventa così un nuovo propulsore sociale e di spinta culturale, un organismo attivo con servizi, dalla biblioteca ai laboratori, un luogo di incontro fra l’artista e la sua opera, con il cittadino. Attraverso la capacità comunicativa ed il valore di autenticità delle opere che espone, lo spazio espositivo si trasforma quindi in un nuovo scenario di incontro della “civitas” e non più mero contenitore di opere. L’opportunità di poter lavorare con un nuovo centro culturale, per il quartiere ma soprattutto per la città, trova riscontro nelle logiche di rigenerazione urbana, dove le radici umanistiche e storiche della città si incontrano.

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Il tratto stradale che chiude l’accesso al canale dall’area

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Progetti

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Schemi di concept principio insediativo

Stato di fatto

Direttrici

Flussi

Centralità 106


Principio insediativo Il principio insediativo, attraverso queste considerazioni e le direttive del Regolamento Urbanistico, si fonda sulle direttrici del canale e della linea ferroviaria, identificando una matrice statica, ovvero quella parallela al piccolo corso d’acqua; ed una dinamica, quella della ferrovia che separa la Darsena ed il Centro dalle zone del Terminetto e Varignano. Si delineano così due logiche volte da una parte a rivitalizzare il canale attraverso destinazioni d’uso che possano popolare nuovamente le banchine del Burlamacca, e dall’altra creare un flusso dinamico, mediante architetture che creino un raccordo della frammentazione generata dal turismo e dall’uso dell’automobile, recuperando il rapporto con lo spazio ed il degrado visivo della linea ferroviaria. I nuovi copri di fabbrica creano una regolarità ed omogeneità dell’ambiente che sembrava irrecuperabile. La riorganizzazione urbana del traffico e delle sue strade, predilige uno spostamento sostenibile, prevedendo un percorso ciclo-pedonale che colleghi il Centro alla zona periferica con i nuovi centri commerciali del Terminetto, attraverso un sottopasso. La scelta di posizionare i parcheggi nell’area sud, avvalora questo criterio di una città futura fondata sugli spostamenti a bassa velocità. I percorsi del parco ortogonali fra loro, sembrano riprendere la “idea principiata” del Valentini e delineano le aree di sosta e gli ingressi agli edifici, con il recupero della piazzale della vecchia stazione come fulcro centrale del percorso. Si definiscono le zone di verde dal carattere selvaggio, tipico della pineta di levante, oggi Parco Naturale. I lunghi filari di alberi lungo la via Nicola Pisano, mantengono il loro carattere di schermatura, lasciando però permeabile alle residenze l’accesso al parco. Il lungo canale è dominato dagli alti Platani che vengono conservati nella loro posizione attuale. Le destinazioni d’uso prevedono un dislocamento delle attività della Fondazione GAMC, ed il Centro Documentario Storico, all’interno dell’area, con l’aggiunta funzioni di laboratori 107


Planivolumetrico Torre Matilde in alto a sinistra del disegno

0

6

10

15

30

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artigianali da destinare al quartiere. Si definisce un sistema urbano delle arti, dove opera e cittadino si fondono, dando un valore metaforico all’immagine dei nuovi spazi ed un’identità culturale della città. Il museo nella società contemporanea viene interpretato come collettore sociale, luogo di incontro tra istanze storiche ed estetiche. Il progetto è così divisibile in due aree, separate dalla strada a bassa percorrenze, ed unite da un sistema di piazze e percorsi attraverso zone di verde attrezzato, che parte dalla Torre Matilde, passando per il ponte di Pisa e quindi il canale Burlamacca, sino al recupero della vecchia stazione Viareggio Scalo e del deposito merci adiacente. Un percorso legato alla memoria storica ed affettiva, cercando di recuperare i segni che riportino il cittadino ad un rapporto con la città, senza sentirsi privo di punti di riferimento. Il nuovo Centro Documentario interpreta il ruolo della storia, della conservazione storica, recuperando la spazialità e l’asse mare monti del vecchio piazzale. Il deposito merci conserva il suo involucro ospitando all’interno un auditorium, per conferenze e spettacoli serali; mentre il volto affettivo viene affidato alle due strutture della nuova sede della Fondazione, con il recupero del canale. Gli edifici mantengono una loro omogeneità sia strutturale che materica, con lunghe facciate in cemento e vetro modulate mantenendo libera la prospettiva e lo sguardo verso il contesto. Le linee prospettiche del progetto accentuano il paesaggio circostante, eliminando la frammentazione del vecchio mercato ortofrutticolo, e creano un collegamento visivo fra il canale, la nuova piazza, e la Torre Matilde. Gli unici elementi che svettano sono i piani alti del Museo e la torre del Centro Documentario, imponendosi come nuovi punti di rifermento della città della nuova scena urbana. Caratterizzati dal gioco di trasparenze derivate dalla sovrapposizione delle ampie vetrate e della schermature di listelli in legno “argentato”, sembrano ricordare un processo artistico, lasciando sempre un rapporto diretto con Viareggio. 109


Il museo lungo il canale Burlamacca

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e

E

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2

5

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Pianta piano terra centro documentario storico e auditorium

Memoria Storica - Centro Documentario Il nuovo centro Documentario Storico, prevede la demolizione della vecchia Stazione Scalo. Sorge parallelo alla linea ferroviaria e adiacente al deposito merci. L’intenzione nasce dal voler riportare una memoria storica, la memoria della vecchia piazza ottocentesca con il suo clima di collettività. Il volume infatti poggia di fronte alla nuova piazza, che mantenendo l’asse est-ovest, trasforma il nuovo archivio nel protagonista di una scenografia paesaggistica mescolata fra i monti ed i cavi ferroviari. Il restauro del deposito merci chiude lo scenario e la quinta della piazza, con la costruzione di gradoni ed un basamento che tengono insieme i due edifici, archivio ed auditorium. La piastra del piano terra, in successione con i materiali del museo, cemento e vetro, dà continuità tra la piazza ed il suo interno, chiudendosi solo verso il lato ferroviario. Il blocco è spezzato da una galleria coperta che conduce alla fermata provvisoria del treno per uno spostamento locale, ed il piccolo locale verso nord ospita la biglietteria e la sala d’attesa. Come per gli edifici lungo il canale, tutto il piano terra è tenuto insieme da una modulazione che si riflette negli ambienti interni, e dalla pensilina d’acciaio che contorna tutto il corpo di fabbrica. La suddetta indica anche l’ingresso alla Centro Documentario, che oltre alla piccola sala per le consultazioni e letture pubbliche, è caratterizzata soprattutto dalla torre sfalsata verso la ferrovia. Qui sono in attività gli uffici e le sale per la consultazione degli archivi. Il perimetro del piano terra in cemento, si chiude verso l’esterno, lasciando la privacy del lettore, che ottiene luce diffusa dal grande vuoto che si genera tra la struttura in cemento armato che contiene i compact degli archivi e la struttura in legno, anche qui di listelli. Il blocco compatto, chiuso per proteggere i libri dalla luce, si innalza lungo tutta l’altezza, portando di riflesso la luce verso il piano basso. La struttura trasparente che caratterizza la facciata perimetrale della torre, consente la visione dalla piazza dell’archivio, che diventa il 113



Prospettiva piazza del centro documentario

cervello della città. I piani superiori sono divisi in sezioni di diverse tematiche, che rispecchiano le attuali del Centro Documentario in Piazza Mazzini. La distribuzione avviene attraverso una scala con rifiniture in legno, dove ad ogni rampa sembra volare sul quadruplo volume. Il vuoto ed il distacco dalla struttura perimetrale, termina infatti nei momenti di sosta per i lavoratori dell’archivio con le aperture che consentono la visione verso il contesto. Il progetto dell’auditorium prevede il mantenimento delle copertura e delle pareti perimetrali del deposito merci. Le aperture infatti sono sull’asse delle esistenti, con la progettazione di nuove chiusure. Gli interni si distribuiscono tramite un grande foyer, accessibile immediatamente dalla piazza e da una lunga rampa arrivando dal parcheggio. Rimangono separati dalle pareti esistenti permettendo il passaggio attraverso due corridoi perimetrali. L’accesso alla sala, anch’essa posta centralmente rispetto alle chiusure esterne, è posto dietro al palco. Se ad un primo impatto la sala non sembra avere caratteri distintivi, percorrendo i corridoi laterali lungo le sinuose linee del ballatoio ligneo, l’osservatore arrivato alla gradonata percepisce subito la similitudine con un profonda banchina, o il solco di una nave. Il legno ancora una volta domina lo spazio, che attraverso l’uso di tende fonoassorbenti scure lungo le pareti perimetrali, viene esaltato dal contrasto chiaro scuro. Le travi in legno del contro soffitto per la qualità acustica e i pannelli delle pareti dello scavo listellate, generano un ambiente intimo e riparato. Lo spettatore uscendo dal piccolo auditorium, si ritrova nella nuova piazza, accompagnato dalla torre lignea e la facciata del centro documentario, alzando lo sguardo trova la relazione storica con la Torre Matilde, lasciato libero dalle volumetrie della nuova fondazione e dal suo parco.

115


Livello + 13.95

Livello + 10.75

Livello + 7.55

Livello + 4.35

Livello + 0.00

116


Esploso assonometrico di insieme del centro documentario storico

Livello + 13.95 archivio sezione Lorenzo Viani

Livello + 10.75 archivio fototeca

Livello + 7.55 archivio cartoteca

Livello + 4.35 archivio biblioteca emeroteca

Livello + 0.00 archivio biblioteca - sala lettura ufficio zona consultazione servizi auditorium foyer - biglietteria servizi sala macchine fermata stazione 117


Prospettiva dalla nuova piazza con lo sguardo verso la Torre Matilde

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Prospettiva ingresso alla nuova fondazione dal parco

Memoria affettiva - nuova sede GAMC La nuova sede Gamc nasce sulle rive del canale Burlamacca, con un impianto di carattere cantieristico, e si inserisce nell’area dell’ex mercato ortofrutticolo seguendo le linee direttrici del canale e della linea ferroviaria. I due volumi con le loro facciate alternate da cemento e vetro, generano attraverso la modulazione di queste ultime, un sistema di percorsi e soste in continua relazione tra interno ed esterno. I corpi di fabbrica si separano per garantire un utilizzo del parco e della banchina a diverse ore del giorno. Sono tenuti insieme da una sottile linea d’acciaio scuro che, oltre ad avere la funzione di frangisole, sembra condurre il visitatore lungo i nuovi tracciati, segnando gli ingressi alle strutture. La lunga facciata in legno del piano superiore è la protagonista, il suo profilo allungato richiama le architetture cantieristiche e delle navi. La proprietà della trasparenza del volume insieme alla sovrapposizione delle schermature lignee, permette allo sguardo dello spettatore di non soffermarsi ma di attraversala fino a portare l’attenzione oltre il limite fisico dell’opera stessa. Come un grosso relitto incagliato sulla riva, bagnato dal mare che porta con sé i segni del tempo, data anche dalla sua forma ad ovale verso nord, si impone come un vero riparo delle arti, dove si realizza e racconta la storia della città attraverso la sua collezione. L’incontro dei due assi segna l’ingresso alla struttura perpendicolare al canale. Il museo si sviluppa longitudinalmente delineato da una struttura continua che funge poi da basamento per la struttura lignea del primo piano, contornata da una piastra su quasi tutto il perimetro tranne che per la punta ovale. Il corpo di fabbrica centrale, il “cantiere”, attraverso un processo di sottrazione, genera un “vuoto attivo”, lasciando correre libera la struttura portante del piano superiore sorretto dalle torrette dei blocchi scale. La hall, collocata in posizione centrale, distribuisce in maniera chiara le sale museali, i blocchi scale, il book shop e le zone amministrative. 120



Livello + 4.35

Livello + 0.00

Livello - 4.35

122


Esploso assonometrico di insieme della nuova fondazione

Livello + 4.35 museo sala Lorenzo Viani

Livello + 0.00 museo hall bookshop sala mostre temporanee sala mostre permanenti sala video proiezioni amministrazione sala macchine lungo canale bar caffetteria laboratorio di quartiere laboratorio didattico foyer laboratorio di stamperia servizi

Livello - 4.35 museo servizi guardaroba armadietti deposito stamperia d’arte sala espositiva laboratorio di stamperia deposito cortile

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Prospettiva foyer di ingresso alla nuova fondazione

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10

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B

b

A

a

5


Planimetria piano terra della fondazione GAMC Sezione trasversale

Se all’esterno il carattere dominante è quello cantieristico, quasi di astrazione dal tempo, il grande doppio volume della biglietteria svela da subito la matrice legata alla marineria velica. L’uso del legno nella struttura delle coperture, nelle finiture dei contro-soffitti e nei ballatoi del primo piano, costruiscono lo spazio con richiamo alle arti dei maestri d’ascia. Il vuoto generato nella sala d’accesso è dominato dalla prima visione della struttura a capriate in legno che condurrà poi il visitatore lungo le sale del museo. La luce che filtra dalle facciate di listelli in legno genera dei contrasti che esaltano le forme dello scafo, ed esalta il contrasto fra cemento e legno. La sala temporanea è progettata come uno spazio flessibile per accogliere diverse tipologie di mostra, posta sulla punta della “nave”, è caratterizzata dalla forte presenza della struttura della copertura e il contrasto fra luce e ombra che accentua la morbida forma ovale del perimetro murario. Il blocco in cemento che sporge quasi a sfidare la forza di gravità accenna già la struttura e conformazione dello spazio che accoglie la collezione di Lorenzo Viani. Le sale permanenti si trovano quindi in asse con la hall all’interno del perimetro murario del “cantiere”, il lungo corridoio vetrato largo 3.5m che le distribuisce mantiene vivo il rapporto con il parco e la città, dando anche una sosta e divisione dalla mostra. Qui, il rapporto con la struttura del primo piano, che si sviluppa longitudinalmente come un vero e proprio ponte sorretto dai blocchi scale, si inverte: i vuoti posti ai lati delle sale lasciano penetrare la luce dall’alto, che bagna di luce le pareti perimetrali permettendo un’ illuminazione diffusa, ottemperata dalla presenza anche di luci artificiali, per la mostra. Il continuo contatto visivo tra gli spazi sia del corridoio, sia del piano superiore, caratterizzati e scanditi anche dalla struttura modulare, conducono il visitatore all’aula finale del piano terra, dove è raccontata la storia della fondazione e di Viani, a cui è dedicato l’interno piano superiore. Il suddetto piano si profila quindi come un percorso unico, con una continua 127


Assonometria delle componenti di chiusura piano +4.35

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diversità di rapporti fra mostra e architettura. Salito l’ultimo gradino delle scale nei blocchi di cemento lo sguardo è rivolto alla città, velato dal gioco di chiaro e scuro delle gelosie lignee. Lo spazio che esibisce l’unica scultura dell’artista viareggino si presenta come una grande terrazza delineata da una panca continua in legno, lasciando quindi libero l’ingresso della luce. Ancora una volta sono le strutture e la loro sincerità strutturale che conformano la qualità spaziale. La sala centrale divisa secondo le tematiche care all’artista, è progettata per contenere l’intera collezione comunale dedicata a Viani. Le pareti perimetrali di cartongesso, disegnano gli spazi da allestire grazie ai profili di legno, che le donano un carattere ed un ordine quasi giapponese. Il vuoto tra la sala-ponte e lo spazio delle permanenti è mascherato proprio da queste ultime, e torna visibile solo nella parte centrale, dove due aperture simmetriche si aprono alla città ed ai monti, per confermare il rapporto fra l’artista e la città. Accompagnata dalla costante visione dello “scafo”, la lunga nave si trasforma nella metafora del viaggio, un lungo percorso in un’unica navata sulla vita di Lorenzo Viani. Lo spazio architettonico così ottenuto precisa l’opera, piuttosto che isolarla, e scompare l’aspetto di contenitore di stanza. La diffusione della luce filtrata dai listelli rimbalza sulla superficie inclinata della copertura, diffondendosi nell’ambiente, esaltando le linee marcate della lunga nave, riparo dell’arte dell’artista viareggino. L’ultima sala in aggetto sulla temporanea esibisce la “Benedizione dei morti del mare”; in uno spazio conformato alle sue dimensione. Il significato del quadro chiude il percorso riportando alla memoria i dolori del mare e le conseguenze che esso porta.

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Prospettiva sala Lorenzo Viani piano +4.35

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1,9

5,1

1,7 1,5 2,1

1,6 5,8

2,1

1,5

2,1

2,5

1,8

Benedizione dei morti del mare

1,4

6,1

5,1

3,2

1,9

1,8

1,4

1,4 1,5

1,4 4,8 6,4 1,6 ,7

31

3,1

Sala Collezione Viani

1,6 6,4 4,8 1,4

0,9

Scultura “testa di pazza”

0,4

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Planimetria piano +4.35 Assonometrie di dettaglio

5,8

2,1

5,1

1,5

2,1

2,5

1,8

1,4

6,1

Benedizione dei morti del mare

1,4 4,8 6,4

pittura grandi dimensioni 1,6 ,7 31

3,1

teste e ritratti 1,6 6,4

città e mare famiglia 4,8 1,4

scuola infanzia

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0,9

1,6

1,9

2,1

5,1

1,8

3,2

1,5

1,4

1,4

1,5

1,7

1,9

d

0,4



Prospettiva foyer laboratori di stamperia d’arte

Le funzioni di quartiere e di servizio al museo sono collocate invece nella stecca parallela al canale. Distribuita da una hall centrale, si suddivide longitudinalmente secondo una schema legato alla modulazione strutturale e alle logiche di soleggiamento, evidenziato anche dalla diversità delle due facciate nord-sud. Scandita dalla struttura delle travi in legno a vista, infatti, la parte nord contiene funzioni di quartiere, quali i servizi di ristorazione e bar e i laboratori didattici utilizzati anche dal museo. La facciata che corre lungo quasi tutto il corpo di fabbrica, caratterizzata da infissi in acciaio zincato, lascia libero l’accesso con la piazza lungo il canale con lo sguardo verso il Burlamacca e la Torre Matilde. La sezione rivela la presenza del piano interrato, dove i laboratori di stamperia d’arte producono le xilografie. Dalla hall verso il parco, la scala in legno che corre lungo il muro di cemento, chiuso poiché collocato a sud, accompagna i clienti in uno spazio di accoglienza caratterizzato ancora una volta dal contrasto dei materiali, accentuato dalla luce zenitale garantita dai lucernari a soffitto. Le travi lamellari che tornano a vista nel grande vuoto sorreggono una sottostruttura metallica per gli infissi della vetrata. L’intradosso dell’apertura prevede l’utilizzo di pannelli in vetro satinato per una corretta diffusione della luce. La struttura della scala è in cemento ancorata alla parete portante, con la trave a vista. Lo stacco marcato tra il cemento e le componenti lignee a listelli di 4 cm alternati da fessure altrettanto uguali, vuole ribadire la sincerità delle strutture e conferire allo spazio un carattere confortevole. Il primo ambiente è espositivo per le opere prodotte dai laboratori. La sezione della parete in cemento si interrompe drasticamente scavando uno spazio illuminato artificialmente in continuità con il doppio volume di ingresso. Le zone di lavoro, raggiungibili da un corridoio coperto che ospita i magazzini per le opere, si aprono invece su un cortile privato, caratterizzato da una piccola rampa verde, che diventa il luogo intimo della produzione di xilografie. 135


Pianta ed assonometria del piano - 4.35

136


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Le lunghe navi

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Foto storica i maestri d’ascia a lavoro in cantiere

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“Noi non riconosciamo alcun problema formale, bensì soltanto problemi costruttivi, La forma non è il fine, bensì il risultato del nostro lavoro. Non esiste alcuna forma in sé…la forma come fine è formalismo, e noi lo rifiutiamo. Altrettanto poco aspiriamo a uno stile. Anche la volontà di stile è formalista. Noi abbiamo altre preoccupazioni. Ci preme sostanzialmente di liberare la pratica del costruire dalla speculazione estetica, e di riportare il costruire a ciò che deve esclusivamente essere, ossia COSTRUIRE.” LMvdR, in “G”, 1923


Riflessioni sul costruire La citazione di Mies van der Rohe, chiarisce da subito che il riferimento alla marineria velica non è un mero formalismo. La sua memoria, come abbiamo più volte citato, “affettiva”, vuole sì da un lato richiamare l’atmosfera e gli scenari dell’umile villaggio di pescatori, ma soprattutto acquisire la conoscenza e la consapevolezza del saper costruire dei maestri d’ascia del tempo. Il valore dell’opera risiede nel suo utilizzo, quello di conformare uno spazio a misura dell’opera artistica che espone, diventando un tutt’uno con essa e con la storia della sua civiltà. La struttura è l’espressione della costruzione, che appartiene all’epoca e non all’individuo, espressione quindi della civilizzazione in cui sorge. Le strutture dell’edificio sono la composizione elementare di parti architettoniche che nel loro insieme la rendono complessa. Come la costruzione complessa di un opera d’arte dove le componenti che la formano sono riconoscibili, la sincerità strutturale rende l’architettura immediatamente esplicita e con una propria forte identità. La progettazione delle strutture parte dalle considerazione geologiche dell’area, delineando così le fasi di costruzione e tempi di cantieristica che si rispecchiano poi nella scelta dei materiali e nella loro estetica. Infatti se lo scavo e la fondazione, insieme al piano terra dei corpi di fabbrica sono un tipo di costruzione in sito, le componenti dei volumi che svettano sopra le strutture continue, sono l’espressione di una progettazione prefabbricata, con il montaggio in cantiere delle parti lignee tra loro e il fissaggio alle armature dei piani sottostanti. Il terreno, data la vicinanza al canale e al mare, è costituito prevalentemente da suolo sabbioso con possibile presenza di falda acquifera al di sotto dei 2m di profondità. Questo ha condizionato le scelte progettuali del tipo di scavo e impermeabilizzazione. Lo scavo infatti, con metodo basilare a cielo aperto con scarpata laterale, avviene grazie al sistema di drenaggio verticale della falda superficiale, detto “well point” 143


(o punta di pozzo). Questa procedura provoca l’abbassamento temporaneo della superficie della falda freatica consentendo sia di poter lavorare all’asciutto sia di impedire il franamento delle pareti scavate. Il sistema prevede l’installazione di due file di punte lungo il perimetro dell’edificio ad una profondità superiore allo scavo. L’impianto è completato da un collettore di aspirazione orizzontale e la tubazione di scarico nel canale. La struttura del piano interrato quindi, una volta effettuato lo scavo e previsto il totale rivestimento di quest’ultimo con materiale impermeabilizzante in PVC, prevede la messa in opera della fondazione a platea continua e delle pareti portanti. L’allargamento del blocco centrale, serve ad ottemperare la spinta idraulica dal basso verso l’alto, con il rischio di sollevamento, tramite il principio di archimede, aumentando il peso del corpo di fabbrica. Inoltre permette di creare degli scannafossi controterra con pareti di spessore maggiore. Il sistema di impermeabilizzazione delle pareti e fondazione utilizzato è il sistema “vasca bianca” della ditta SIKA, che offre una soluzione integrata alle guaine impermeabilizzanti. Formata da calcestruzzo impermeabile combinato con opportuni sistemi di sigillatura dei giunti sia di costruzione che di movimento, offre prestazioni e durabilità, resistenza alle infiltrazioni e risalita capillare. Inoltre l’utilizzo di additivi speciali, come super-plastificanti o cristalli attivi, limita le micro-lesioni da ritiro, con una compattazione del materiale. In particolare vengono utilizzati waterstop in PVC, applicati sull’asse di congiunzione tra la parete controterra e la fondazione; tubi d’iniezione e nastri idroe-spandenti che limitano la fessurazione. Una volta conclusa la costruzione si procede con le chiusure perimetrali dell’edificio a piano terra. Sono posate in opera, di spessore 60 cm circa, con uno di isolante spesso 120 mm. La finitura esterna tramite un processo di lavaggio, garantito dalla ditta Coplan, assume un aspetto graffiato che conferisce ai volumi un aspetto monolitico, slanciato dalle fughe dei casseri. 144


Sistema di fondazione “vasca bianca” SIKA calcestruzzo impermeabilizzante Il tipo di scavo a cielo aperto con scarpata laterale è un metodo basilare che consente la costruzione dal basso verso l’alto, senza restrizioni nel sistema impermeabile. Lo scavo avviene grazie al sistema di drenaggio verticale della falda superficiale, detto “well point” (oFasi punta della di pozzo). Questa procedura provoca l'abbassamento temporaneo costruzione cantiere della superficie della falda freatica consentendo sia di poterdel lavorare all'asciutto sia di impedire il franamento delle pareti dello scavo. Il sistema prevede l’installazione di due file di punte lungo il perimetro dell’edificio ad una profondità superiore allo scavo. l’impianto è completato da un collettore di aspirazione orizzontale e la tubazione di scarico.

Fasi della costruzione: 1. scavo e sistema well point ed impermeabilizzazione delle pareti dello scavo 2. messa in opera della fondazione a platea 3. costruzione delle pareti verticali controterra 4. messa in opera delle strutture piano terra e fissaggio coperture lignee 5. montaggio in cantiere degli elementi prefabbricati lignei

5.

4.

3.

2. 1.

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1:50

cls 100 mm 30 mm 40 mm 120 mm

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on 180 mm

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80 mm 25 mm 300 mm 20 mm

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180 mm 800x250 mm

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80 mm 120 mm 800x250 mm 65x80 mm

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120 mm 300 mm 20 mm

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120 mm 300 mm 300 mm

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2.5

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D


Dettaglio costruttivo

L’effetto sgraffiato, ripetuto anche nell’interno per le finiture in intonaco, rende meno rigido il confronto con le lunghe pareti, accompagnate dalle ombre della pensilina in alluminio. La suddetta pensilina è strutturata da un profilo a C 200x50 che corre lungo l’esterno, parallelamente alla parete. I travetti perpendicolari scandiscono il passo delle lamine in alluminio che fungono da frangisole, alte 140 mm. La loro altezza ribassata rispetto alla struttura principale, permette alla copertura in laminato di legno di inserirsi nel modulo della pensilina e coprire gli ingressi. L’ossatura delle pareti al piano terra, come già descritto, è in calcestruzzo armato, ottenuto con trattamenti che riducono l’emissione di anidride carbonica e il trattenimento di umidità. Nelle lunghe vetrate il sistema continuo si interrompe, alternandosi con un sistema puntiforme. Nel caso specifico le travi in legno lamellare di larice, dimensionate 80x25 cm, che sorreggono le coperture con tetto giardino, si ancorano alle murature di cls, mentre lungo le vetrate, scandite da infissi in acciaio zincato (profilo EBE della Secco), scaricano su montati in legno, 30x15 cm. Questo sistema di strutture continue su cui poggiano le travi lignee della copertura, corre lungo quasi l’intero piano terra con un passo regolare di 6,4 m, scaricando poi nella fondazione a platea del piano interrato. Un sistema di travature secondarie sempre in legno lamellare si colloca nell’asse mediano del modulo fatta accezione del cantiere centrale. Il modulo è visibile dalle travi a vista, rafforzato dalla progettazione dei controsoffitti in listelli di legno, fissati in pannelli di cartongesso, che arricchiscono lo spazio. Il loro spessore di 4,5 cm alternato da vuoti di stessa dimensione consente l’inserimento delle luci artificiali, strip-led. L’orditura dei solai è poi irrigidita dalla messa in opera di solette in cls collaborante con lamiera grecata bullonata alle travi. Diverso è il discorso per le strutture che colmano il vuoto del “cantiere”.

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50

100 mm 30 mm 40 mm 120 mm

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180 mm 500x150 mm

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30 mm 800x150 mm

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120 mm 300 mm 20 mm

D

E

F

a n 80 mm

er di 150 mm 350 mm

H

G

L I

1.5

2.5

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M


Dettaglio costruttivo

Il sistema, per così dire a ponte, in calcestruzzo armato che corre lungo le sale permanenti, passando per la hall e la sala temporanea, è scandito sempre dal passo regolare di 6,4 m, con travi in cls armato 100x30 cm circa, controventate da solai con getto in c.a. di 30 cm, per irrigidire la struttura soprattutto nelle parti a sbalzo. Il solaio, con finitura in parquet, procede quasi interamente lungo il blocco museale, staccandosi dalle pareti perimetrali, lasciando così che le pareti delle sale vengano bagnate di luce zenitale. Scarica principalmente sulle pareti divisorie delle sale permanenti e sui blocchi scale armati, che corrono fino alla fondazione, e si ancora alle pareti perimetrali nei ballatoi del doppio volume della hall e in quelli di uscita delle risalite, per garantire un irrigidimento al movimento della struttura. Le pareti della sala espositiva dedicata a Lorenzo Viani, sono in cartongesso con una loro sottostruttura metallica, rendendoli così più leggeri e per gli sforzi sul solaio. I blocchi scale non si innalzano fino al tetto formando quindi un appoggio per la strutture a capriata della “scafo della nave”. La composizione delle parti strutturali di questa chiusura definisce l’intero piano primo, poggiando sulle pareti perimetrali del “cantiere”. I pilastri in legno lamellare 30x15 cm, scandiscono la facciata vetrata del corpo di fabbrica, con un passo modulare di 3,2 m; ancorandosi all’armatura delle pareti in c.a con delle barre filettate ed affogate, tramite una flangia d’acciaio bullonata. La trave orizzontale ad altezza 3,1 m irrigidisce la struttura, consentendo la costruzione e l’installazione delle componenti vetrate. La gelosia in listelli di legno divisa in pannelli, è fissata agli elementi verticali ed orizzontali della facciata tramite una sottostruttura orizzontale che le distanzia dai montanti verticali, consentendo l’apertura a soffietto dei pannelli e la conseguente pulizia esterna delle vetrate. Tra quest’ultimo e la struttura è previsto anche l’installazione di un tende a scomparsa per l’eventuale oscuramento degli ambienti espositivi dalla luce solare (ditta svizzera Kästli Storen AG). 149


6,1

1,8

z0 9,8

6

3,2

3,2

y5 19 3,2

1,8

6,1

3,2

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y2

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6

y5 19

1,6

11,4

X17

11,4 3,1 3,2 11,4

X16 X15

3,2 3,1

X14 3,2 3,2

X16 X15 X13 3,1 3,2 3,2 3,23,2

Nodo capriata - pilastro

3,2

X15 X13 X12

3,23,2 3,2

X14 X11

3,23,2 3,2

X13 X12 X10

3,23,2 3,2

X11 3,23,2 3,2

X12 X10 X9

3,23,2 3,2

X11

3,23,2

94,2

3,2

X10 X9 X8

3,23,2 3,2 3,23,2

94,2

Nodo capriata - trave centrale

3,2

X9 X8 X7

3,23,2 3,2 94,2

3,23,2 3,2

X8 X7 X6

3,23,2 3,2 3,23,2 3,2 3,23,2

X7 X6 X5

3,2

X4 3,23,2 3,2

X6 X5 X3

3,23,2 3,2

X4 3,2 3,23,2

Nodo pilastro - parete in c.a. X5 X3 X2

3,2 3,23,2

X4 X1

3,2 3,2 3,2

X3 X2 3,2 3,2 3,2

X1 2,9 3,23,2

X2 X0 3,2 3,2

X1 3,2 2,9

Y1

Y2

Y3

Y4

Y5

Y6 3,2 2,9

X0

Y1

Y1

150

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

y5

X16 X17

X0

3,2

3,2

Approfondimento sulle strutture capriata in assonometria

X14

3

3,23,2

X17

3,2 1,6

y2

6

z0

z1

1,6

4,4

1,8

5,3

19 3,2

z1

3,2

6

1,6

9,8

1,6

3,2

1,6

z1

0,9

z1

Y2

Y3

Y4

Y5

Y6

Y2

Y3

Y4

Y5

Y6


4,9 4,1

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,2

3,7

3,8

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Prospettiva sala temporanea

Pilastri e blocchi scale costituiscono quindi il sostegno della capriata rovescia che corre lunga per quasi novanta metri. Lo scheletro ligneo, che richiama le strutture navali dei maestri d’ascia che resero la marineria velica viareggina un icona in tutto il mondo composto da travi lamellari fissate con flange di acciaio a scomparsa e sistemi di incastro a tasca per le travi trasversali. La capriata si modula con un passo di 3,2 m in asse con la struttura dei pilastri, rafforzata dalla “chiglia” in legno, costituita da tre travi, sagomate per il fissaggio della capriata. Le travi permettono anche il passaggio degli impianti di areazione e illuminazione, schermati da una grata metallica scura. La struttura regolare varia negli estremi del lungo corpo di fabbrica, in particolare nella geometria della zona ovale, in prossimità della sala temporanea, dove le travi capriate ruotano in asse con il perimetro, per mantenere in facciata un passo regolare dei pilastri, visibile dall’esterno e dall’interno. Qui la “chiglia” si interrompe lasciando correre la trave in mediana dell’arco che chiude la nave, conferendo un profilo slanciato alla copertura, proprio come la navi “gallettate” descritte nei libri di Mario Tobino”. La scelta di una struttura complessa a livello geometrico trova risposta nella volontà di integrare progetto e struttura, oltre che rendere il percorso espositivo un elemento unico con l’architettura. Inoltre il rivestimento in legno di noce, scuro, serve alla diffusione misurata della luce negli ambienti, controllata dall’aggiunta dei faretti e strip led alla distanza idonea in rapporto con l’altezza. Il risultato è una sala flessibile alle scelte di allestimento, consapevole del tipo e quantità di opere da esporre. La chiusura del piano primo delineando così il carattere di trasparenza e sincerità strutturale del “cantiere” chiude con una copertura piana in cls collaborante e lamiera grecata. Le installazioni e le compartizioni tecniche, sono integrate nelle scelte progettuali, sia per l’illuminazione che areazione. Il riscaldamento e raffreddamento degli ambienti è garantito dai pannelli radianti nel pavimento. 153


Schizzi di progetto

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Bibliografia

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mappe storiche. 165


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Ringraziamenti

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Questo lavoro chiude un percorso travagliato. Lungo, faticoso e spesso insensato. Molte volte ho pensato di non farcela, e forse nella mia testa, date le esperienza all’interno della facoltà e nel mondo dell’architettura, era già concluso. Tra i dolori e i molti dubbi lungo il tragitto, ci sono state anche molte gioie. Questo viaggio che sembrava interminabile ha coinvolto molte persone, che mi hanno cambiato e hanno influenzato il mio modo di vedere le cose. Tutte, sono un unico quadro impresso nella mia memoria. C’è la figura di Arrigoni, un maestro nell’insegnamento del progettare, ma anche una persona che nell’arco degli anni, ha lasciato che capissi quali fossero le mie reali motivazioni in questo campo. Anche se lontano, sono un ricordo nitido i miei compagni di Università, con cui sono cresciuto, litigato e gioito. Martina che è stata il mio sostegno per molti anni, insieme a Giuseppe, Matteo, Federico e anche gli ultimi arrivati come Giulio, Matteo e Beatrice, rimangono la mia vera prima famiglia. Ci sono sicuramente Federico e Iacopo, che in un momento di difficoltà, mi hanno fatto capire come affrontare le cose con una certa distanza, e trasmesso la loro serenità nel vivere le giornate. Insieme ad Alessandro, Leonardo, Tecla, Laura, Emilio sono un punto fermo nel mio presente. Anna, che uscita come dal nulla mi ha fatto capire quali fossero davvero le cose importanti nella vita, trasmettendomi grande maturità, insieme alla gioia di Gaia e Stefania. Anche i ragazzi conosciuti durante gli anni al Laboratorio hanno aggiunto qualcosa nella mia personalità, ed anche se sono amicizie “recenti” sono persone fidate. Tra tutti Enrico, che è stato un vero “guru”, nella pazienza e la calma messa negli ultimi mesi, aiutandomi come se ci conoscessimo da sempre. In un anno difficile per tutti, forse ho trovato il senso ed un modo per iniziare e terminare un lavoro che, dopo svariati cambiamenti, è dovuto tornare alle origini, che per anni ho rinnegato, Viareggio. Qui conservo le persone con cui sono cresciuto, con le quali ho affrontato le difficoltà della vita ma anche conosciuto le bellezze che può nascondere. Stefano, Valentina, Rachele e Giulia, che come una sorella mi ha sempre motivato nonostante ogni mio sbaglio, senza mai giudicarmi. In questo quadro di una grande famiglia ci sono sicuramente molte altre persone, ma in primo piano figurano i mie genitori, Gino e Gianna, che hanno dovuto sopportare sempre le mie scelte errate e questo lungo tragitto soffrendo silenziosamente, senza mai ostacolarmi. La mia incapacità nel trasmettere le emozioni è sempre stata una distanza, sbagliando però ero consapevole dei continui sforzi che hanno fatto e che ancora faranno, a cui dedico infatti questo lavoro con la speranza un giorno di poterli ripagare.

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Valerio Cerri 09.02.1986 valerio.cerri@gmail.com +39 342 3576352


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