Tesi_Securum litus. Nuovo Museo Archeologico per Populonia (Livorno)

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Securum litus Nuovo Museo Archeologico per Populonia



Virginia

Securum litus

Marini

Nuovo Museo Archeologico per Populonia


Relatore Prof. Fabrizio F. V. Arrigoni

Correlatori Prof. Ing. Giovanni Cardinale Arch. Ph. D. Antonio Acocella

Università degli studi di Firenze DIDA | Scuola di Architettura Laurea Magistrale a ciclo unico in Architettura anno accademico 2019/2020


indice

Abstract

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Populonia, la città tra terra e mare

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Il porto dell’Etruria

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La Romanizzazione

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L’età medievale

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Populonia in epoca moderna

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Il parco archeologico

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La scoperta dell’Acropoli di Populonia

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La forza del contesto

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Il progetto

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L’area di progetto

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Il principio insediativo

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Il Nuovo Museo Archeologico

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Il centro di ricerca

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Struttura e dettagli costruttivi

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Maquettes

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Conclusioni

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Bibliografia e sitografia

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Ringraziamenti

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Abstract

“Apre il suo lido sicuro ormai la vicina Populonia, portando il golfo naturale in mezzo ai campi. Qui non innalza al cielo le sue moli edificate, e luce nella notte, Faro, ma, trovando in sorte gli antichi l’osservatorio di una forte rupe, dove il ripido picco stringe i flutti dòmi, vi posero una fortezza a doppio uso dell’uomo: difesa a terra e segnale per il mare. Non si riconoscono più i monumenti dell’epoca trascorsa, immensi spalti ha consumato il tempo vorace. Restano solo tracce fra colli e rovine di muri, giacciono tetti sepolti in vasti ruderi. Non indigniamoci che i corpi mortali si disgreghino: ecco che possono anche le città morire.”1 Posta sulla cima occidentale del promontorio di Piombino, Populonia domina il golfo di Baratti. Unica città etrusca insediata sul mare e inserita in un territorio ricco di risorse minerali, essa deve il suo destino alla fortunata posizione geografica: qui giungevano le masse di metallo trasportate dall’Isola d’Elba per venire lavorate nei grandi opifici siderurgici. Visse il suo periodo di massima fioritura nel VI secolo a.C., quando si consolidarono i due nuclei distinti: un centro amministrativo e religioso, l’Acropoli, e uno produttivo, la zona portuale del Golfo. Populonia mantenne la sua autonomia anche sotto il dominio di Roma, ma la sconfitta di Mario, con il quale era alleata, nel conflitto contro Silla segnò l’inizio del suo lento e continuo declino. Ad oggi il promontorio di Populonia si presenta come un territorio frammentato, dove la parte bassa, nonostante la presenza delle numerose necropoli etrusche, è improntata sul turismo balneare, mentre la parte alta è legata a un turismo più lento, fatto di percorsi tra storia e natura. In questo quadro territoriale dove si intrecciano siti archeologici, sentieri di qualità storico-paesaggistica e riserve naturali, si inserisce

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Claudio Rutilio Namaziano De Red. I, 401-414


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il Nuovo Museo archeologico, come fulcro e perno di tale sistema: la sua funzione difatti non è solo quella di contenitore passivo di reperti, ma piuttosto di luogo dinamico dove ricerca e conoscenza si legano a favore della valorizzazione del territorio. Il nuovo edificio si compone di tre corpi distinti, il Museo, il centro di ricerca e la sala conferenze. Ciascuno di questi si inserisce nell’area seguendo giaciture diverse per adattarsi alla conformazione topografia del terreno senza alterarla. I punti di rottura tra i volumi vengono ricuciti da piazze lapidee, luoghi di sosta per la contemplazione del paesaggio. L’elemento unificante di questo sistema è rappresentato dalla grande rampa che asseconda la discesa del terreno, richiamo alla via basolata che attraversava l’Acropoli. L’architettura, posta ad un’altezza intermedia tra la Necropoli etrusca e l’Acropoli, si presenta quindi come un gesto di riappropriazione di un territorio intessuto di storia, adeguandosi alle linee di un paesaggio d’eccezione e richiamando con alcuni suoi caratteri l’insediamento storico esistente.


Abstract

“Apre il suo lido sicuro ormai la vicina Populonia, portando il golfo naturale in mezzo ai campi. Qui non innalza al cielo le sue moli edificate, e luce nella notte, Faro, ma, trovando in sorte gli antichi l’osservatorio di una forte rupe, dove il ripido picco stringe i flutti dòmi, vi posero una fortezza a doppio uso dell’uomo: difesa a terra e segnale per il mare. Non si riconoscono più i monumenti dell’epoca trascorsa, immensi spalti ha consumato il tempo vorace. Restano solo tracce fra colli e rovine di muri, giacciono tetti sepolti in vasti ruderi. Non indigniamoci che i corpi mortali si disgreghino: ecco che possono anche le città morire.”1 Located on the western peak of the Piombino promontory, Populonia dominates the Gulf of Baratti. The only Etruscan city established on the sea and inserted in an area rich in mineral resources, it owes its destiny to its fortunate geographical position: the masses of metal transported from the Island of Elba arrived here to be processed in the large steel factories. It experienced its peak period in the sixth century BC, when the two distinct areas were consolidated: an administrative and religious center, the Acropolis, and a productive one, the port area of the Gulf. Populonia maintained its autonomy even under the dominion of Rome, but the defeat of Mario, with whom it was allied, in the conflict against Sulla marked the beginning of its slow and continuous decline. To date, the Populonia promontory looks like a fragmented territory, where the lower part, despite the presence of the numerous Etruscan necropolises, is based on seaside tourism, while the upper part is linked to a slower tourism, made up of paths between history and nature. In this territorial framework where archaeological sites, historical-

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landscape quality paths and nature reserves are intertwined, the New Archaeological Museum is inserted, as the fulcrum and pivot of this system: in fact, its function is not only that of a passive container of finds, but rather a dynamic place where research and knowledge are linked in favor of the enhancement of the territory. The new building consists of three distinct volumes, the Museum, the research center and the conference room. Each of these fits into the area following different inclinations and directions to adapt to the topographical conformation of the terrain without altering it. The breaking points between the volumes are stitched up by stone squares, resting places for contemplating the landscape. The unifying element of this system is represented by the large ramp that follows the descent of the ground, a reference to the paved road that crossed the Acropolis. The architecture, placed at an intermediate height between the Etruscan Necropolis and the Acropolis, therefore presents itself as a gesture of re-appropriation of a territory woven by history, adapting to the lines of an exceptional landscape and imitating with some of its characters the existing historical settlement.


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Vista del Poggio del Telegrafo, cartolina, 1927


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Il porto dell’Etruria Populonia, originariamente Pupluna1, fu un antico insediamento etrusco il cui nome potrebbe derivare dall’etrusco “puple” che significa germoglio, collegato al dio Fufluns, il Dioniso-Bacco degli Etruschi. Parte della Dodecapoli, era una delle dodici cittàstato principali che facevano parte dell’Etruria. Diversamente dalle altre città etrusche si trova sul mare, “come una testa di ponte, sulla terraferma, di un arcipelago di isole distribuite fra la Corsica e l’Italia, come le pietre di un guado. “2 Questa peculiarità apparentemente irrilevante sarà invece indispensabile per capirne la storia a partire dalle ragioni della nascita della città stessa, fino a spiegarne, almeno in parte, le dinamiche di una storia che spesso si è discostata da ciò che succedeva nel resto dell’Etruria. Questa collocazione geografica era insolita per le città etrusche, che solitamente venivano fondate su pianori agricoli poco distanti dalla costa, con la quale però

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A.Minto, 1943 cit. AA.VV. (a cura di) 2001,p.6

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avevano rapporti grazie a piccoli porti e centri satelliti intermedi, ma presenta delle similitudini con alcune città dell’Asia Minore e con Marsiglia, con le quali si hanno prove di contatti. Alla sua posizione, che dall’alto del Poggio del Telegrafo domina il mare su tre lati consentendo una visuale diretta con le isole dell’Arcipelago Toscano, si deve in parte la fortuna della città, infatti Populonia da subito diventa protagonista negli scambi commerciali del Mediterraneo. L’altra grande fortuna è stata la presenza di giacimenti minerari che, insieme alla ricchezza di torrenti e boschi di querce da cui ricavare legname e carbone, hanno fatto di questo territorio un luogo ideale di produzione metallurgica. Fin dall’Età del Bronzo Populonia diventa un importante crocevia dei traffici medio tirrenici, vero porto di mare e luogo d’incontro privilegiato di influssi provenienti dal resto del Mediterraneo. La vicinanza con l’Arcipelago toscano, che si connota presto come un vero ponte di isole e sul quale la città inizia presto a esercitare una forma di controllo, la rende un interlocutore privilegiato nei rapporti con la vicina Corsica e la Sardegna. Il sistema insediativo del Bronzo Finale (XII-X secolo a.C.) era caratterizzato da piccoli nuclei abitativi posti lungo la costa, dall’odierno Golfo di Baratti verso Nord, fino a San Vincenzo, mentre l’avvio del processo di aggregazione che porterà all’occupazione di Poggio del Castello e di Poggio del Telegrafo si colloca all’inizio dell’età del Ferro (IX secolo a.C.). Ma è l’arrivo degli Etruschi che segna l’inizio di una nuova fase per Populonia: tra il 650 e il 600 a.C. la città conobbe un periodo di grandi ricchezze e trasformazioni sociali che avranno importanti ripercussioni nell’assetto urbanistico e nella fisionomia della necropoli. È in questo momento che si avviò sotto il suo controllo uno sfruttamento ben organizzato delle risorse minerarie


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I ruderi della villa romana de “Le Logge”, incisione tratta da SANTI 1806

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dell’Isola d’Elba, sia dal punto di vista estrattivo che commerciale. Nuovi gruppi emergenti impegnati nelle attività manifatturiere si affiancarono all’aristocrazia fino ad allora dominante, partecipando al governo della città con uguali diritti. Iniziò a consolidarsi sempre di più, dunque, la conformazione sociale e urbanistica della città, che si svilupperà in due nuclei distinti: una città bassa che comprendeva i quartieri produttivi e la zona portuale, e una città alta, l’Acropoli, posta sul Poggio del Telegrafo e del Castello. Sorsero allora gli edifici destinati alle maestranze e alle operazioni legate alla fusione del ferro e alla metallurgia, formando così un vero e proprio distretto produttivo. Sull’Acropoli, invece, vennero costruiti edifici pubblici e sacri, che probabilmente influenzarono anche la nascita delle tombe a edicola. La necropoli riflette anch’essa l’assetto urbanistico della città, dove i sarcofagi, affiancati alle tombe a edicola, disegnano delle vere e proprie strade che ne ricalcano la stessa organizzazione.

Tomba a edicola “del bronzetto di offerente” in corso di scavo, 1957


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La romanizzazione Ancora oggi non si è in grado di determinare con esattezza il momento in cui Populonia cominciò a gravitare nell’orbita romana. Certamente la costruzione del complesso sistema difensivo di epoca ellenistica indica che la città non si sentiva più sufficientemente sicura, e l’unica effettiva minaccia che poteva presentarsi al suo orizzonte era quella dei Romani. Nel 273 a.C., con la fondazione di Cosa1, Roma cominciò ad esercitare un più attivo controllo sul mare, e successivamente ottenne il predominio su quasi tutti i territori che circondavano Populonia, non debbono essere passati troppi anni quindi prima che quest’ultima sia stata costretta ad entrare a far parte dei centri alleati con i Romani, ma fortunatamente questo fatto non ebbe per la città un impatto eccessivamente traumatico. Il processo di romanizzazione sembra tradursi nel settore urbanistico e nell’arrivo di nuovi canoni architettonici e decorativi di derivazione ellenistica e probabilmente di maestranze campano, laziali o greche. L’acropoli fu oggetto di un completo ridisegno di stampo ellenistico, organizzato su terrazzamenti tenuti da imponenti muri di contenimento, che sarebbero serviti ad ospitare nuovi edifici pubblici e privati mediante l’impiego di nuovi modelli architettonici e nuove tecniche edilizie (come l’opera quadrata e le cortine). Se questo primo periodo di romanizzazione, iniziato nei primi decenni del II secolo a.C., si è aperto con un forte impegno progettuale, finanziario e operativo, attorno all’anno 80 si conclude con l’abbandono pressoché completo dell’Acropoli. Divenuta municipium romano, Populonia venne aggiunta alla tribù Galeria, la stessa alla quale apparteneva Pisa. Durante la guerra civile fra Mario e Silla, Populonia, come la maggior parte delle

1 Il suo nome deriva probabilmente da quello di un antico centro etrusco, Cusi o Cusia, individuato nella moderna Orbetello.

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città dell’Etruria settentrionale, si schierò dalla parte di Mario. Dopo la sconfitta di quest’ultimo, la città fu costretta a subire un duro assedio e molto probabilmente dovette accettare le drastiche misure imposte dal dittatore. Quando il geografo Strabone2 visita Populonia, intorno al 6 d.C., la città era ormai in piena decadenza, anche se nei quartieri industriali della pòlis si svolgeva ancora una certa attività siderurgica, la cittadella era quasi completamente deserta ed in essa rimanevano solo i templi e poche abitazioni. Dopo questa testimonianza di Strabone, l’unica altra fonte antica che fornisce relative a Populonia è Rutilio Namaziano3, già citato all’inizio del lavoro di tesi. L’età medievale Il Medioevo populoniese, attraverso le scarse informazioni ad oggi pervenute, sembra proseguire il lento declino iniziato già in epoca imperiale. I risultati delle indagini archeologiche attestano in questo periodo l’abbandono del tratto settentrionale della via basolata e della struttura che si insedia ad ovest della strada. Le strutture antiche vennero addirittura utilizzate come cava di materiale da costruzione da correlare con ogni probabilità alla costruzione del Castello di Populonia. Nel 570 d.C., Populonia fu distrutta e conquistata dai Longobardi guidati da Gummarith4: i pochi superstiti scampati insieme al vescovo Cerbone si rifugiarono all’isola d’Elba. Populonia, infatti, nonostante fosse ormai ridotta a piccolo centro dove gli antichi baluardi erano solo un ricordo, era sede di Diocesi, in quanto città nobile del passato. Vi sorsero fondazioni monastiche da parte di monaci di San Colombano che ripresero i commerci con la

2 Strabone Geogr. V. 2, 5. 3 Claudio Rutilio Namaziano De Reditu. I, 402-414 4 talvolta riportato come Grimarit, fu il primo duca di Lucca


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Pianta di Populonia, tratta da Storia degli antichi popoli italiani, Giuseppe Micali, 1836

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pianura, creando le basi per lo sviluppo dell’agricoltura, con la diffusione di vigneti, castagneti, oliveti, mulini e frantoi. Si aprirono nuove vie commerciali con la Pianura padana attraverso le future e varie vie commerciali e di comunicazione: olio, sale, legname, carne, ecc. Verso il IX secolo la regola monastica si riformò a quella benedettina. Nelle immediate vicinanze della città di Populonia sulle pendici di Poggio Tondo sorse il ricco monastero di San Quirico. Anche se la presenza del monastero poteva costituire un importante motore sociale e commerciale, la grande città etrusca non esisteva più; il futuro si chiamava Piombino, a sud del promontorio, nei pressi dell’antico porto di Falesia. L’ultimo grande saccheggio subito da Populonia avvenne nell’809 d.C. ad opera degli Orobiti, pirati di origine slava che vivevano sui monti del Peloponneso5; i pochi abitanti rimasti cominciarono a spostarsi qualche chilometro a sud, a breve distanza dal centro abitato di Falesia e, in un’ansa sul mare ma ricca d’acqua dolce, riparata da una penisola rocciosa, costruirono in gran fretta le prime capanne e casupole, mettendo le basi per quella che sarà Piombino. Per il nuovo centro abitato fu scelto il nome di Popolino, da “piccola Populonia”, risorta e ricostituita per volontà del suo popolo; il toponimo Piombino verrà adottato solo in seguito, presumibilmente a partire da uno o due secoli dopo. Il borgo di Populonia come lo vediamo oggi risale al XV sec. Faceva parte del Principato di Piombino, retto dalla famiglia degli Appiani, di origine pisana. Al loro intervento si deve l’impianto medievale del borgo, oltre alla torre e alle fortificazioni. L’attuale rocca fu infatti iniziata dai Signori di Piombino Jacopo II Appiani e portata

5 Chronicon Reginone di Prüm (identico presso la Cronaca Imperiale dell’Annalista Sassone) per l’anno 809: “In Tuscia Populonium, ciuitas maritima, a Graecis qui Orobitae uocantur, depredata est”


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Rocca di Populonia, ottobre 2019

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a termine da Jacopo III Appiani nella metà del Quattrocento, a seguito di un preciso progetto di rilancio urbanistico e demografico di Populonia, ridotta ormai allo stato di umile villaggio. Attualmente la rocca si presenta come un complesso quadrangolare di tipo monumentale la cui cinta muraria è caratterizzata, a ovest, dalla presenza di un bastione semicircolare che, a differenza di altri castelli, snaturati nelle forme e nell’aspetto a causa delle varie superfetazioni, corrisponde ancora al primitivo mastio medievale. La parte più antica della rocca risulta essere la torre stessa, sebbene anche questa abbia visto avvicendarsi diverse fasi di realizzazione: la scarpa alla base, costruita con pietre non perfettamente squadrate fatta eccezione per gli spigoli, e i merli, dotati di doppio spiovente (forma molto rara nei castelli toscani), sembrano aggiunti successivamente rispetto al corpo centrale, probabilmente risalente invece al periodo di dominazione pisana. Populonia in epoca moderna Nei primi del Novecento la zona costiera del Golfo di Baratti è ancora caratterizzata dalla presenza di enormi quantità di scorie ferrose risalenti al periodo di lavorazione etrusca: oltre un milione di metri cubi di materiale ferroso che, nel 1915, in piena Grande Guerra, era molto richiesto, spinsero la Società Ernesto Breda a commissionare una stima per valutare l’entità del deposito delle scorie e, nel 1917, a tentare di riutilizzarle in modo industriale, ma senza successo per il loro elevato contenuto di silice. In seguito, si susseguirono diverse società, tra cui la S.A. Populonia, l’ILVA e la Ferromin, ma con la fine del secondo conflitto mondiale l’interesse industriale per le scorie si affievolì che nel 1969 cessarono ogni tipo di attività. In questi quarant’anni di attività siderurgica diversi secoli di


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Golfo di Baratti durante il recupero delle scorie ferrose, 1920

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attività furono totalmente eliminati, portando così alla luce le monumentali tombe a tholos e a edicola il cui ritrovamento segnò l’inizio della riscoperta dell’antica Popluna. Parallelamente all’attività siderurgica, un altro importante ambito prende piede a partire dai primi anni del Novecento: il turismo balneare. Questa attività sempre crescente, che caratterizzerà in maniera esponenziale tutta la zona costiera maremmana, nel Golfo di Baratti sarà successivamente affiancata ad altro tipo di turismo, quello culturale, quando l’11 luglio del 1998 verrà istituito il Parco Archeologico di Baratti e Populonia, gestito dalla società Parchi della Val di Cornia, creata dai comuni della stessa valle nel 1993 proprio per la realizzazione e gestione integrata del sistema dei Parchi. L’Acropoli di Populonia sembra invece aver seguito una storia parallela autonoma rispetto agli avvenimenti che hanno caratterizzato la parte costiera del golfo, più legata all’agricoltura che alla siderurgia e al turismo. Almeno fin dagli inizi dell’Ottocento l’area del terrazzamento superiore delle Logge è stata utilizzata come vigneto. L’uso agricolo dell’area ha modificato nettamente il paesaggio attraverso la costruzione di nuovi terrazzamenti, di nuovi muri di contenimento, perlopiù costruiti con pietrame proveniente dai monumenti, e con l’appiattimento di aree intermedie mediante l’asportazione di terreno da monte e riporto a valle. La messa a coltura dell’intera area, insieme agli ampi scassi realizzati poco prima della Seconda Guerra Mondiale dinanzi alle piccole esedre per lo svuotamento degli ambienti ipogei, hanno pesantemente inciso la stratigrafia archeologica, compromettendo in buona misura la possibilità di comprendere pienamente la funzionalità delle strutture.


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Borgo medievale di Populonia, cartolina, 1931

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Resti dell’edificio de “Le Logge” prima degli scavi, cartolina, 1931


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La scoperta dell’Acropoli di Populonia Nel clima di grande interesse per l’etruscologia che caratterizzò la cultura italiana del XVIII secolo, Populonia, a differenza di Chiusi, Volterra e Cortona, non fu soggetta a ricerche archeologiche intensive. A partire dalla metà dello stesso secolo gruppi di viaggiatori, eruditi e studiosi di varie discipline iniziarono a recarsi nei luoghi dove sorgeva la città, lasciando descrizioni più o meno attendibili delle sue rovine. Molto interessante risulta la testimonianza di Giovanni Targioni Tozzetti che a proposito dell’Acropoli scrive: “Nel secondo Poggio1 si vedono due stanzoni in volta, lunghi 20 braccia, alti 24, fabbricati di grossi pezzi di tufo, fermati con calcina: comunicavano insieme, ed erano destinati per conserva delle acque, come si conosce da un gran doccione di pietra che vi è in alto”2

1 fa riferimento al Poggio del Telegrafo 2 tratto da Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa.

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Altre informazioni molto dettagliate sono quelle del medico e naturalistica Giorgio Santi: “Gli avanzi dell’antica città non sono molti, né molto cospicui. In vano se ne cercherebbe alcuno nel sito, ov’è l’ordiena Populonia: nel fabbricarla doveron restare mascherate, e distrutte le vestigia dei vetusti Monumenti.”3 Sebbene i primi scavi nel territorio populoniese risalgano all’Ottocento, con l’attività di Alessandro François ed Isidoro Falchi, è solo a partire dal secolo scorso che, in seguito a scavi più scientifici, si avverte l’esigenza di redigere delle carte archeologiche, per mettere ordine nei ritrovamenti. La figura di riferimento per queste prime indagini è Antonio Minto, il quale pubblicò, dal 1914 al 1925, una serie di articoli riguardanti gli scavi governativi, eseguiti per lo più nella zona di Baratti. Risale invece al 1943 la pubblicazione del volume “Populonia”, in coda al quale si trova la prima carta archeologica mai redatta per questo territorio. A partire dagli anni ’80 in poi, risulta fondamentale il ruolo svolto dall’Associazione Archeologica Piombinese, ed in particolare del direttore e vicedirettore, Fabio Fedeli ed Attilio Galiberti. Dal 1998 molte campagne di scavo condotte da quattro università (Pisa, Siena, Roma La Sapienza e Roma Tre) con il coordinamento della Soprintendenza archeologica per la Toscana hanno cominciato a svelare che cosa si cela sotto il manto boschivo dell’acropoli e dei prati che la circondano. Accanto alle rovine di un tempio, già emerso all’inizio degli anni Ottanta, sono tornati alla luce altri due templi, di dimensioni ancor maggiori, che caratterizzano il sito compreso tra le due alture dell’acropoli come un’area a forte carattere religioso, un vero e proprio santuario. D’altra parte, già gli autori antichi, e in particolare il geografo Strabone, scrivendo al tempo di Augusto, ci avevano lasciato una

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Cfr. SANTI 1806, pp. 193-202


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Planimetria della cinta muraria dell’acropoli di Populonia, con l’ubicazione dei saggi di scavo eseguiti nel 1914 (rielaborata da MINTO 1914, p. 412)

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descrizione del sito di Populonia, che la presentava come una città ancora animata nel piccolo porto, ma quasi abbandonata nel suo “centro storico”, se non per le moli dei templi che lo caratterizzavano. Lo scavo ha anche messo in luce una grande strada basolata che metteva in diretta comunicazione l’area dei templi con le “Logge” risalendo il pendio della collina. La strada non presenta tracce di circolazione di carri: si trattava dunque di un percorso particolare, che aveva forse una funzione processionale. L’edificio delle “Logge” faceva infatti da base ad un complesso (ancora solo parzialmente indagato) probabilmente connesso al santuario, di cui rappresentava la parte più elevata. Dalle “Logge” provengono uno splendido mosaico colorato che rappresenta un ambiente marino, nel quale è inserita una interessantissima scena di naufragio, e un secondo mosaico, che raffigura schematicamente le onde del mare animato da delfini e due immagini davvero rare di schiavi neri (probabilmente etiopi), nei quali si è pensato di riconoscere il personale del tempio. Molti indizi lasciano al momento presumere che almeno uno dei templi fosse dedicato a Giove ed un altro (forse ancora da ritrovare) a Venere, la grande dea dell’amore e al tempo stesso protettrice dei naviganti. I mosaici, le splendide pitture rinvenute crollate lungo il fronte principale delle “Logge” e le caratteristiche architettoniche dei templi indicano che l’intero complesso dovette essere costruito nel corso del II secolo a.C., quando Populonia era formalmente ancora una città libera, ma di fatto inserita nel sistema politico-militare di Roma. È infatti possibile che dietro lo sviluppo del grande complesso monumentale, che trasformava Populonia da città industriale a città-santuario, ci fosse l’iniziativa di una delle grandi famiglie dell’aristocrazia romana, che in quel periodo estendeva il proprio dominio sull’intero Mediterraneo. Le opere d’arte che


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Resti di un mosaico pavimentale nel complesso termale dell’Acropoli, ottobre 2019

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Populonia sta restituendo si inseriscono infatti perfettamente nella migliore produzione artistica della tarda età ellenistica, che aveva in Alessandria d’Egitto uno dei suoi principali punti di riferimento. La forza del contesto “Un contesto paesaggistico è un organismo naturale, agricolopastorale insediativo che si è andato componendo e sovrapponendo nei millenni grazie al lavoro, all’abilità e al gusto di uomini tanto numerosi quanto a noi sconosciuti, i quali inconsapevolmente hanno determinato un ordine dovuto ad attività riproposte identiche o compatibilmente variate.”4 La parola “contesto” deriva dal latino contexere che significa connettere tra loro intrecci di vario genere. Il “paesaggio” molto spesso viene confuso con l’ambiente naturale, ma questo in realtà è il frutto dell’incontro tra la natura e il lavoro dell’uomo, volto principalmente a sostentarsi. Conoscere un paesaggio significa ricostruire la storia della sua trasformazione. Il promontorio di Populonia costituisce un paesaggio “pluristratificato”, il risultato della vita di una comunità locale che ha agito spontaneamente, dove l’attività dell’uomo fin dai primi anni del suo insediamento ha plasmato e adeguato il territorio secondo le sue esigenze, spesso in modo anche involontario. Il filo rosso che lo lega è il rapporto tra uomo natura e risorse. Le poche foto d’archivio esistenti testimoniano sull’acropoli di Populonia pratiche agricole all’interno di un paesaggio fondamentalmente più spoglio, più campestre. Meno di mezzo secolo fa l’acropoli era clamorosamente libera da vegetazione, i ruderi del vecchio mulino e del vecchio telegrafo, oggi nascosti nella boscaglia, svettavano nel profilo della collina. Le trasformazioni

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A. Carandini, La forza del contesto, Editori Laterza


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Vista di Populonia dal Poggio del Telegrafo, cartolina, 1935

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ambientali indotte dall’uomo sono spesso rapidissime e spesso irreversibili, ma anche quelle indotte dalla natura (che recupera gli spazi abbandonati dai cambiamenti economico-sociali) possono essere altrettanto rapide. Qual è dunque il paesaggio al quale dobbiamo ancorarci? Quale paesaggio va tutelato, quale può essere trasformato? Il vigneto che si vede in un’immagine di qualche decennio fa è recente; la pineta che lo ha sostituito è recentissima. Il Nuovo Museo archeologico, quindi, restituirà una porzione di un contesto lasciato abbandonato alla vegetazione che cresce incolta, configurandosi come un gesto di riappropriazione di una porzione di territorio dove percorsi di qualità paesaggistica e monumentale si intrecciano a riserve naturali. Al contempo l’edificio si offre come luogo di sosta e contemplazione del paesaggio stesso, in particolare di una vista privilegiata sul mare e sull’Isola d’Elba, quasi come se volesse creare un collegamento visivo con questi luoghi, che rappresentano la fonte principale da cui deriva la ricchezza e la fortuna di Populonia. Il Museo rappresenta così quel tassello mancante che determina il completamento e un arricchimento della visita ai siti archeologici e del territorio circostante, ponendosi ad una quota intermedia tra quella dell’area della Necropoli e quella dell’Acropoli.


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Vista dell’Isola d’Elba dalla Strada comunale di Populonia, ottobre 2019

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Immagine area dell’area di progetto, 2016


Il progetto

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L’area di progetto Il luogo scelto per accogliere il Nuovo Museo archeologico si trova ai piedi del versante meridionale del Poggio del Telegrafo, nel punto in cui il terreno cambia pendenza creando così una sella naturale, che si apre ad est verso il Golfo di Baratti, ad ovest verso l’Isola d’Elba. Attualmente per la maggior parte della sua superficie, l’area è occupata da una vegetazione spontanea di recente crescita, in quanto fino alla metà del secolo scorso tutto il Poggio del Telegrafo e le zone limitrofe erano adibite a coltivazione, mentre una piccola porzione è destinata a parcheggio, ed è delimitata sul lato est dalla Strada Comunale di Populonia. Tale area di progetto sebbene sia in una posizione periferica rispetto al sito archeologico, è in realtà baricentrica rispetto a una serie di percorsi di grande qualità storico-paesaggistica: infatti dalla quota più bassa hanno inizio la via del Monastero e la via di Buca delle Fate, che conducono rispettivamente ai resti del Monastero


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benedettino di San Quirico e alla necropoli etrusca omonima. A questi due percorsi se ne aggiunge uno nuovo che costeggia il versante occidentale del Poggio collegando il Parco dell’Acropoli al nuovo polo museale: quest’ultimo quindi diventa il perno attorno a cui ruota questo nuovo sistema di sentieri che portano il visitatore ad una scoperta più diretta del paesaggio archeologico. L’area in questione è contraddistinta da una particolare orografia del terreno, che è stata punto di partenza per la definizione del principio insediativo del progetto. Tale morfologia del sito ne determina anche la sua qualità paesaggistica, in quanto la sella creata dai due poggi favorisce l’apertura ad una vista privilegiata sull’Isola d’Elba, incorniciata da pendii ricoperti di vegetazione. Un altro fattore tenuto in considerazione è stato quello dell’accessibilità, difatti l’edificio è facilmente raggiungibile dalla Strada Comunale, alla quale è adiacente, inoltre è collegato ai maggiori punti d’interesse del Promontorio tramite sentieri di trekking. Il principio insediativo La conformazione morfologica dell’area scelta su cui far sorgere il Nuovo Museo archeologico presenta numerose similitudini con l’area su cui giacciono i resti dell’Acropoli, per questo motivo il principio insediativo dell’intervento riprende lo stesso messo in pratica dagli antichi per costruire sul Poggio del Telegrafo. Gli edifici della città alta, infatti, erano stati costruiti su terrazzamenti, come se ognuno di essi dovesse occupare quote diverse, collegati tra di loro dalla via basolata che risaliva il pendio. Così anche la nuova costruzione non vuole annullare le peculiarità del luogo, anzi tenta di dialogare con queste, adeguandosi ai suoi naturali cambi di quota, cercando di colmarli con rampe e percorsi


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Vista dal sentiero di accesso

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Esploso assonometrico: Museo archeologico quota +5,00 m Foyer Deposito Sala espositiva permanente Sala espositiva temporanea Cortile Museo archeologico quota +0,00 m Bookshop Deposito Sala espositiva permanente Sala espositiva temporanea Caffetteria Auditorium quota +0,00 m Foyer Sala conferenze Centro di ricerca quota +0,00 m Foyer Deposito temporaneo reperti Deposito finale reperti Laboratori di restauro e conservazione Cortile Centro di ricerca quota +5,00 m Foyer Sala riunioni Uffici personale Terrazza


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Prospetti


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Pianta quota +5,00 m

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Sezioni


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Pianta quota +0,00 m

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pavimentati, dove non è possibile farlo con l’architettura. In questo modo da qualsiasi parte lo si guardi, l’edificio offrirà sempre un lato diverso, non perché sia diversa la composizione su quel lato, ma perché è diversa la situazione topografica che su quel lato si offre. Infatti, dalla strada carrabile il progetto appare come un imponente basamento di pietra, dove l’orizzontalità della linea di colmo, marcata ancora di più dal rivestimento in lamina metallica scuro che chiude la facciata di ogni edificio, contrasta con la pendenza del terreno su cui poggia. Al contrario nel prospetto interno si svela tutta la complessità dell’architettura, fatta di volumi che assecondando le curve di livello si inclinano, si alzano e si abbassano, rompendo la continuità del profilo dell’edificio. In particolare, svettano tre torri, come dei bastioni addossati alla cinta muraria, contraddistinti da un rivestimento a doppia altezza di lamina metallica, che ne scandisce la facciata. Il Nuovo Museo Archeologico Percorrendo il nuovo sentiero che, partendo dall’Acropoli e ricalcando il tracciato delle antiche mura, costeggia il versante occidentale del Poggio del Telegrafo, si approda direttamente nel cuore del progetto. Il percorso pedonale, che affianca i tre volumi scultorei, risalendo il pendio raggiunge la quota d’ingresso del Museo, dove una piazza pavimentata anticipa segna un momento di sosta prima dell’entrata e della rampa che conduce alla quota più bassa del progetto. Sul fronte opposto l’entrata del museo è segnata da una grande piazza pavimentata che si estende fino al ciglio della strada carrabile. L’ampiezza della piazza è dovuta al fatto che questa è sfruttata anche come spazio di sosta per il carico-scarico, infatti affianco all’entrata del museo, segnata da una zona d’ombra in facciata, vi è la porta di accesso per il deposito, rivestita di lamina


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Vista entrata principale del Museo archeologico

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Foyer


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scura, in contrapposizione alla trasparenza dell’infisso. Il foyer del museo, per la sua posizione all’interno dell’edificio, rappresenta il perno attorno al quale si distribuiscono i flussi del museo sia in pianta che in sezione. Infatti, ad entrambi i livelli troviamo uno spazio centrale, che al piano terra funziona come biglietteria al piano inferiore come bookshop, dal quale partono due collegamenti uno per la sala espositiva temporanea e uno per quella permanente, il quale affianca gli spazi adibiti a depositi, anch’essi posti su due livelli collegati da un montacarichi. Questa distribuzione doppia si denota dalla grande scala che scava lo spazio e viene illuminata da un lucernario, e da due pozzi di luce in corrispondenza degli spazi di collegamento che anticipano le due sale espositive, riferimento alle atmosfere dell’architettura sacra etrusca, dove la luce si fa spazio fra tagli e piccole fessure per penetrare in profondità. La sala adibita alle esposizioni temporanee si compone di due ambienti contrapposti. Il primo che il visitatore percorre, caratterizzato da un forte sviluppo orizzontale e illuminato prevalentemente da luce artificiale, ha come punto di fuga una grande apertura attraverso la quale si giunge ad un piccolo giardino d’inverno, una stanza a cielo aperto da sfruttare nella bella stagione come continuazione dello spazio espositivo anche all’esterno. A fianco della vetrata sulla corte si trovano i servizi per scendere nel secondo ambiente, una sala a tutta altezza progettata per funzionare come una “scatola bianca”, ovvero uno spazio semplice e quanto più libero e flessibile per poter ospitare, di volta in volta, qualunque tipo di esposizione. Gli unici elementi che la caratterizzano sono il sistema di shed in copertura, che garantisce un tipo di illuminazione naturale ma indiretta, ideale per ogni tipo di installazione, e la scala, un elemento quasi scultoreo, compatto che si uniforma alle pareti verticali della sala stessa creandone un fondale scenico, senza però voler distogliere lo


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Vista panoramica sull’isola d’Elba

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Sala espositiva temporanea


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sguardo dalle opere in mostra. A lato di questo grande ambiente si affaccino tre sale minori, delle nicchie che completano il percorso espositivo. Anche la scelta dei materiali è stata fatta seguendo un principio di semplicità e chiarezza: infatti tutte le partizioni verticali sono intonacate fatta ad eccezione di alcune parti lasciate in calcestruzzo faccia vista per rievocare la struttura portante, come anche il sistema di copertura a shed, mentre il pavimento è composto da lastre di cemento chiaro lucidato e spatolato. Ma è nel museo vero e proprio che l’atmosfera delle architetture etrusche viene evocata maggiormente, senza risultare però una citazione letterale. Il percorso espositivo permanente, infatti, si apre con uno spazio di compressione, un lungo corridoio che rimanda all’atmosfera delle gallerie scavate per accedere alle tombe sotterranee, al termine del quale si intravede uno spiraglio di luce. Qui l’elemento caratterizzante è una parete inclinata che si distacca dalla copertura, lasciando spazio a un taglio continuo per tutta la lunghezza della sala. Questa rottura permette l’ingresso di un fievole fascio di luce che bagna la parete e illumina il piano di appoggio sottostante, dove sono esposti manufatti lapidei di modeste dimensioni. A mano a mano che si percorre la sala, appare sempre più nitida l’immagine che ne fa da fondale scenico: dopo la situazione di penombra il visitatore riacquista il rapporto con il paesaggio attraverso una grande apertura che incornicia una vista privilegiata sul mare e sull’Isola d’Elba. La parete verticale opposta a quella inclinata si interrompe lasciando così un vuoto. Viene così a crearsi un luogo di sosta dove poter osservare l’ambiente sottostante e i reperti esposti da una prospettiva insolita. Inoltre, questa eccezione permette di anticipare cosa celano i tre grandi volumi scultorei ben riconoscibili già dall’esterno. A fianco della vetrata, una scala elicoidale in acciaio scuro, stretta tra la muratura,


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sembra scavare un vuoto, e conduce al piano inferiore. Qui una sala longitudinale ricalca lo spazio sovrastante, ma in questo caso sulla parete inclinata si appoggia una teca continua, destinata a contenere i piccoli manufatti, come monete, gioielli e oggettistica varia. Il grande ambiente, anticipato al piano superiore, si intravede già scendendo la scala e, una volta entrati, si mostra in tutta la sua interezza. Se dall’esterno i tre volumi si percepiscono come rigidi blocchi di pietra e ferro, all’interno lo spazio semicircolare sembra voler avvolgere il visitatore. Il principio generatore di questo spazio è l’arco, elemento fondamentale su cui si è basata l’architettura etrusca prima e quella romana poi. In alzato l’arco acquista tridimensionalità attraverso una volta botte, che copre la prima porzione rettilinea della sala, mentre una calotta chiude la sua parte finale semicircolare. La proiezione della volta a botte diventa l’infisso della grande vetrata esposta a Nord, attraverso la quale entra una luce diffusa che scivola sulle superfici curve della sala. In pianta la traccia semicircolare a terra viene enfatizzata dal rivestimento in lamina metallica scura del pavimento che piegandosi verso l’alto, ricalca il perimetro della sala fino all’altezza di 3,80 m. Questa differenza materica evidenzia anche il distacco tra spazio dell’esposizione e lo spazio architettonico, inoltre fa sì che il visitatore sia obbligato a percorrere e scoprire lo spazio mentre osserva i vari reperti. Dalla sala espositiva del piano inferiore si accede quindi a tutti i tre grandi volumi, che mantengono invariata la loro composizione anche all’interno, come se costituissero tre camere funerarie diverse al cui interno protegge i reperti più preziosi e pregiati: la prima infatti accoglie la produzione statuaria e alle iscrizioni funebri, oltre al mosaico rappresentante la scena di naufragio, la seconda la produzione ceramica e di terracotta mentre l’ultima è dedicata

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Sala espositiva permanente, piano terra


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Sala espositiva permanente, piano interrato


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ai manufatti in metallo, tra cui l’anfora argentea denominata “di Baratti”. Il centro di ricerca La continuità del prospetto del Museo viene interrotta da un volume che si protrae verso la strada, posto come un invito a percorrere la via pavimentata ad esso adiacente, per scoprire cosa si cela dietro al basamento di pietra. Una volta percorsa tutta la strada questa si dilata e si apre ad un paesaggio mozzafiato dove la vegetazione che scende dalla collina incornicia il mare e l’Isola d’Elba in lontananza. Su questa piazza si affaccia la caffetteria, uno spazio in continuo rapporto con l’esterno grazie alla grande vetrata che diventa fondale scenico di questo ambiente. Lo spazio di risulta che si crea dalla frattura dei due volumi opposti alla caffetteria viene coperto da una pensilina arretrata rispetto al filo esterno delle facciate, sotto la quale si forma quindi un luogo di sosta riparato davanti agli ingressi dei due edifici. Il primo è destinato a sala conferenze, caratterizza con i suoi servizi annessi. Il secondo è stato progettato secondo le esigenze funzionali che richiede uno spazio di lavoro per gli archeologi. Infatti, è stato necessario avere due spazi dedicati a magazzino, in quanto uno sarà un deposito temporaneo dove avviene un primo lavaggio e cernita dei materiali provenienti dagli scavi, l’altro un magazzino vero e proprio opportunamente attrezzato e dotato di un sistema per la rapida consultazione dei reperti. Ma la vera anima dell’edificio è il laboratorio di restauro e conservazione, un grande ambiente di lavoro suddiviso da setti attrezzati, dove gli archeologici e i restauratori hanno a disposizioni attrezzature e dispositivi consoni per svolgere il loro lavoro. In questo spazio la luce entra morbida e indiretta da un lato attraverso una grande apertura che affaccia


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Vista entrata del centro di ricerca

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Laboratorio di restauro e conservazione


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su un cortile interno, dall’altro tramite tre piccole aperture che permettono di riacquistare il rapporto con l’esterno, incorniciando il paesaggio e la volumetria del Museo. Il piano superiore è occupato dalle funzioni amministrative, quindi troviamo una sala riunioni e gli uffici del personale. Inoltre, la copertura del laboratorio è accessibile e quindi diventa uno spazio di sosta, uno spazio di riposo e socialità a disposizione dei dipendenti. Struttura e dettagli costruttivi La struttura dell’edificio è quasi interamente composta da calcestruzzo armato, sia per quanto riguarda gli partizioni verticali sia per i solai. Dalle piante sovrapposte dei due piani del progetto si nota come sia necessaria una continuità in altezza delle strutture portanti che mantengono uno spessore costante di 40 cm, fatta eccezione per i volumi corrispondenti alle sale espositive permanenti che vedremo in seguito, per questo si è deciso di utilizzare un sistema composto da setti portanti e travi in calcestruzzo. Vista la situazione topografica dell’area di progetto, caratterizzata da un pendio continuo fatto di terreno perlopiù franoso, è stato fondamentale studiare le fasi di costruzione dell’edificio. Come prima cosa è necessario mettere in sicurezza l’area dove sorgerà la nuova struttura tramite l’inserimento di diaframmi in calcestruzzo armato dello spessore minimo di 1,2 m nel terreno, al quale vengono ulteriormente ancorati grazie a tiranti provvisori in acciaio, che verranno rimossi una volta terminata la costruzione. A questo punto è possibile procedere in condizioni di totale sicurezza con lo scavo per la costruzione dell’edificio. Le partizioni verticali che delimitano gli spazi interni saranno innalzate a una distanza


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PT

Piante strutturali sovrapposte

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di 1 metro dai diaframmi, in questo modo le pareti del museo non saranno a contatto con il terreno, inoltre si verrà a creare un’intercapedine utile per il passaggio di personale addetto alla manutenzione. Per quanto riguarda il museo permanente è stato studiato il dettaglio costruttivo sia delle sale longitudinali sia dei grandi volumi voltate. La parete inclinate che delimita i due lunghi corridoi è un getto di calcestruzzo armato a sezione variabile, che alla sommità arriva ad uno spessore di 30 cm. I solai sono composti da una soletta piena in cemento armato ordita nel senso opposto al taglio, dalla quale ricalano delle travi di dimensione 20x70 cm anch’esse in cemento armato, mentre in corrispondenza del vuoto invece viene ricalata una trave più robusta, 50x80 cm. Il rivestimento in cartongesso del solaio di copertura nasconde parzialmente la struttura in quanto i pannelli sono posizionati al di sopra dell’intradosso delle travi. In questo modo risulta ben leggibile la scansione di questi elementi strutturali, che proseguono oltre il limite del solaio arrivando fino al diaframma contro terra. Il solaio quindi si interrompe prima di arrivare alla parete inclinata, l’infisso del lucernario non è allineata con la struttura ma è posto a un’altezza di 1,5 m da questa, in modo che il visitatore possa vedere solo la parete inclinata proseguire in altezza senza vederne la fine. Per quanto riguarda la sala voltata questa è costituita da due elementi distinti: una “gabbia” strutturale e un rivestimento secondario che ne conferisce il carattere interno. La struttura, quindi, è composta da setti verticali portanti in calcestruzzo armato con spessore di 60 cm e un solaio piano realizzato con travi in acciaio IPE 700, disposte parallelamente al serramento, con interasse pari a 1,5 m. A questa struttura si addossa un rivestimento in UHPC (Ultra High Performance Concrete), ovvero un cemento ad alte prestazioni


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Schema fasi d’intervento

A_ sezione dello stato di fato del sito

B_ messa in sicurezza del crinale tramite diaframma in cemento armato

C_ scavo del terreno

D_ costruzione dell’edificio in condizioni di sicurezza e successiva rimozione dei tiranti provvisori

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che consente di realizzare pannelli prefabbricati con spessore massimo di 10 cm, modellabile in diverse forme, anche curve, che nella parte alta verranno pendinati alle travi del solaio di copertura. A questi pannelli viene applicata infine una rasatura di pochi millimetri che annulla i giunti tra questi, senza bisogno che vengano intonacati. In questo modo si vengono a creare due vuoti tra la struttura portante e il rivestimento che verranno sfruttati per alloggiare il sistema di deflusso delle acque e gli altri impianti. Per rendere accessibili questi spazi per una eventuale manutenzione, uno dei pannelli di rivestimento sarà di fatto un’apertura che permetto l’accesso all’intercapedine.


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Esploso assonometrico della sala permanente

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Dettaglio tecnologico 1:50 A. Solaio di copertura - Guaina impermeabilizzante - Massetto di pendenza sp. 80 mm - Isolante termoacustico sp 70 mm - Travi in acciaio IPE 700 - Riempimento in calcestruzzo alleggerito - Fondino di acciaio sp. 1 cm - Pendini in acciaio per la struttura voltata - Pannelli prefabbricati in cemento UHPC sp. 10 cm B. Chiusura verticale esterna - Pannello sagomato di lamiera sp. 5 mm - Profilo metallico sagomato - Connettori tra rivestimento metallico e struttura portante - Isolante termico sp. 12 cm - Setto portante in ca sp. 70 cm - Pannelli prefabbricati in cemento UHPC sp. 10 cm C. Chiusura verticale esterna - Rivestimento in blocchi di pietra panchina sp. 20 cm - Staffe di ancoraggio tra la struttura portante e il rivestimento - Isolante termico sp. 12 cm - Setto portante in ca sp. 70 cm - Pannelli prefabbricati in cemento UHPC sp. 10 cm D. Parete controterra - Guaina impermeabilizzante - Setto in ca sp. 20 cm - Scannafosso sp. 60 cm - Guaina impermeabilizzante - Setto in calcestruzzo sp. 20 cm - Isolante termico sp. 12 cm - Setto portante in ca sp. 70 cm - Rivestimento in lamiera metallica sp. 3,5 mm E. Solaio controterra - Rivestimento in lamina metallica scuro sp. - Massetto sp. 7 cm - Isolante termico sp. 8 cm - Telo protettivo - Massetto con rete elettrosaldata sp. 8 cm - Cassaforma a perdere - Fondazione a platea - Magrone di fondazione sp. 10 cm

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Dettaglio tecnologico 1:50 A. Solaio di copertura - Erbacee perenni tappezzanti - Terriccio ad alta capacità di ritenzione idrica sp. 150 mm - Telo di tessuto non tessuto sp. 2 mm - Pannello di poliestere espanso prestampato sp. 8mm - Doppia guaina impermeabilizzante sp. 10 mm - Massetto di pendenza sp. 50 mm - Isolante termoacustico sp. 70 mm - Barriera al vapore sp. 3 mm - Soletta piena in calcestruzzo armato sp. 15 cm - Travi ricalate in calcestruzzo armato 20x60 cm - Controsoffitto in cartongesso sp. 1,5 mm

B A

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B. Infisso a doppio vetro - Infisso con vetrocamera di copertura - Infisso con vetro secondario C. Chiusura verticale esterna - Getto di completamento in ca sp. 10 cm - Isolante termico sp. 12 cm - Setto portante in ca sp. variabile - Intonaco sp. 2 mm

D

E

D. Parete controterra - Diaframma in ca sp. 120 cm - Cordolo di completamento in ca h 100 cm E. Solaio intermedio - Rivestimento in lamina metallica scura sp. 2,5 mm - Massetto delle pendenze - Soletta piena in calcestruzzo armato sp. 15 cm - Travi ricalate in calcestruzzo armato 20x60 cm - Controsoffitto in cartongesso sp. 1,5 mm F. Solaio controterra - Rivestimento in lamina metallica scuro sp. 2,5 mm - Massetto sp. 7 cm - Isolante termico sp. 8 cm - Telo protettivo - Massetto con rete elettrosaldata sp. 8 cm - Cassaforma a perdere - Fondazione a platea - Magrone di fondazione sp. 10 cm

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maquette

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Maquette Per la migliore comprensione delle volumetrie del progetto di tesi, oltre agli elaborati grafici sono stati realizzati due plastici fisici. Il primo, di dimensioni 45x45 cm, rappresenta una scala territoriale dove si è evidente come l’edificio si inserisce in un’area di progetto complessa, dove i cambi di pendenza, la differenza altimetrica e la strada rappresentano i due limiti da rispettare. Il secondo analizza l’ultimo dei tre volumi espositivi insieme a una porzione dei due ambienti che affacciano su questo, scendendo ad una scala più di dettaglio (1:50). Il modello aiuta a comprendere lo spazio interno, il rapporto tra le sale longitudinali e quella voltata e il funzionamento della struttura.


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Maquette


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Vista dell’Isola D’Elba dal Poggio del Telegrafio


conclusioni

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“E’ questo il momento drammatico: quando si crea la “separazione” che io definisco “fatale” tra il modo di costruire e il mondo delle rovine che hanno sempre nutrito la costruzione, divenendo così l’archeologia nemica dell’architettura e della città, insidia inarginabile per l’architettura”1 Il promontorio di Populonia è senz’altro un luogo denso di storia, dove il filo rosso che lo lega è il rapporto tra uomo paesaggio e risorse. Ma questo sistema data l’ampiezza del territorio e la complessità delle informazioni, dal momento che il sito dell’Acropoli è tutt’ora attivo, rischia di risultare frammentario e incompleto sotto certi aspetti. Il progetto del Nuovo Museo archeologico si configura come il tassello mancante di un percorso di conoscenza sia della storia della città che del territorio di cui essa fa parte, ponendosi in posizione baricentrica rispetto a nuovi e vecchi sentieri che lo attraversano. L’architettura si mette a disposizione sia del visitatore che completa la sua conoscenza del territorio tramite la visita del museo, sia delle figure professionali, quali archeologici e ricercatori, con uno spazio attrezzato per svolgere il loro lavoro a contatto diretto con i luoghi da cui proviene il materiale da esaminare.

1 F. Venezia, Che cosa è l’architettura. Lezioni, conferenze, un intervento


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Bibliografia

Bibliografia Andrea Carandini, Storie dalla terra, Einaudi, 2010 Andrea Carandini, La forza del contesto, Editori Laterza, 2017 Andrea Carandini, Il nuovo dell’Italia è nel passato, Editori Laterza, 2012 Ranuccio Bianchi Bandinelli, Introduzione all’archeologia classica, Editori Laterza, 2005 F. Fedeli, A. Galimberti, A. Romualdi, Populonia e il suo territorio: profilo storico-archeologico, Firenze: All’insegna del Giglio, 1993 Antonio Minto, Populonia, Firenze: Istituto di studi etruschi, 1943 M. Letizia Gualandi, Cynthia Mascione (a cura di), Materiali per Populonia, Firenze: All’insegna del Giglio, 2004 Cynthia Mascione, Anna Patera (a cura di), Materiali per Populonia 2, Firenze: All’insegna del Giglio, 2003 Giorgio Baratti, Fabio Fabiani (a cura di), Materiali per Populonia 9, Edizioni ETS, 2010 Francesco Venezia, Che cos’è l’architettura, Milano, Architetti ed Architetture, 2011


Bibliografia

Aldo Rossi, L’architettura della città, Recanati, Quodilibet, 2011 Franco Purini, Comporre l’architettura, Editori Laterza, 2000 Alberto Ferlenga, Le strade di Pikionis, Lettera Ventidue, 2014 Fernando Espuelas, Il vuoto, Marinotti Edizioni, 2015 Carlos Martì Arìs, Silenzi eloquenti, Marinotti Edizioni, 2014 Carlos Martì Arìs, Le variazioni dell’identità, Cittàstudi Edizioni, 1994 Antonio Monestiroli, La metopa e il triglifo, Editori Laterza, 2016 Alberto Campo Baeza, L’idea costruita, Lettera Ventidue, 2012 Sitografia regione.toscana.it/geoscopio/cartoteca.html comune.piombino.li.it archeologiatoscana.it parchivaldicornia.it parchivaldicorniareperti.it/catalogo theitalianlabuhpc.it/materiale

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Ringraziamenti

Ringraziamenti Al termine di questo lungo percorso di tesi, è necessario ringraziare le persone che mi in questi anni mi hanno accompagnato e aiutato a portare a termine questo lavoro. Al professor Arrigoni, per la volontà continua di trasmettermi i suoi preziosi insegnamenti e per la pazienza nell’accompagnarmi in questo lungo percorso di tesi. Al professor Cardinale, per la disponibilità nell’avermi aiutata a definire una struttura credibile. Ad Antonio Acocella, per le parole sempre gentili di supporto e la volontà di spronarmi a migliorare ogni volta. Alla mia famiglia, per avermi supportata in ogni mia scelta fatta durante questi anni, ma soprattutto per aver sopportato le mie giornate no, i miei silenzi e il mio essere sfuggente alle vostre


Ringraziamenti

attenzioni; spero però che questo traguardo raggiunto sia il primo passo per colmare queste mie mancanze. A Francesca, Impre per gli amici, per non essere semplicemente l’amica di sempre, che suona come abitudinario, quasi scontato, ma per rappresentare il mio vero porto sicuro, che ancora non si stanca di accogliermi dopo tutti questi anni. A Benedetta, Chiara, Francesca, Giulia, Livia, Ludovica, Martina, Vittoria, per la voglia di ritrovarci sempre insieme, nonostante le nostre strade sembrano portarci in direzioni opposte. A Chiara, per aver scelto di condividere con me ogni suo pensiero, ogni sua risata ed anche ogni sua lacrima. A Giulia, per esser stata una delle più belle e inaspettate scoperte di questi anni. Ai miei compagni di viaggio, a quelli che ci sono sempre stati, a quelli arrivati dopo, e a quelli solo di passaggio, per aver tutti contribuito a far sì che questo percorso universitario fosse molto più di lezioni ed esami da superare, ed inconsapevolmente per avermi fatto sentire più a casa che mai, senza essermi mai spostata da qui.

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