Tesi_Hórreo. Progetto per la nuova sede MVPAC. Museo della Preistoria e Archeologia della Cantabria.

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Hórreo Progetto per la nuova sede MVPAC, Museo di Preistoria e Archeologia della Cantabria



Clemente Nativi



Hórreo Progetto per la nuova sede MVPAC Museo di Preistoria e Archeologia della Cantabria, Santander (ES)


Relatore Prof. Fabrizio F. V. Arrigoni Correlatori Prof. Ing. Giovanni Cardinale Ph. D. Arch. Antonio Acocella Università degli studi di Firenze DIDA | Scuola di Architettura Laurea Magistrale a ciclo unico a.a 2020/2021


INDICE

Abstarct

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01 | Il canto della terra

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01.1 L’arte paleolitica nel nord della penisola iberica

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01.2 La storia delle scoperte

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01.3 Il museo archeologico regionale

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02 | Santander e la baia

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02.1 Le origini, il Portus Victoriae

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02.2 Il Portus Sancti Emeterii

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02.3 Santander diventa una città

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02.4 Storia recente

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03 | Imago urbis, il museo urbano oggi

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04 | Temi e riferimenti di progetto

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04.1 I granai della memoria e l’architettura Folcloristica

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05 | Problematiche Urbane, “le pietre d’attesa”

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06 | MVPAC, Museo di Preistoria e Archeologia della Cantabria 06.1 MVPAC, “Un’Architettura senza qualità” 06.2 Struttura,Materiali e Tecnologie 06 | Maquettes 07 | Bibliografia

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A mia madre.



ABSTRACT

«È cosa vana distogliersi dal passato per pensare soltanto all’avvenire. È una illusione pericolosa pensare soltanto che sia possibile. L’opposizione tra avvenire e passato è assurda. Il futuro non ci porta nulla, non ci dà nulla; siamo noi che, per costruirlo, dobbiamo dargli tutto, dargli persino la nostra vita. Ma per dare bisogna possedere, e noi non possediamo altra vita, altra linfa che i tesori ereditati dal passato e digeriti, assimilati, ricreati da noi. Fra tutte le esigenze dell’anima umana nessuna è più vitale di quella del passato». Simone Weil, “L’enracinement”, 1943


12 Abstract

Da sempre l’uomo lascia traccia della sua presenza sulla faccia della terra, agendo sulla natura per impadronirsi delle sue risorse e trasformarla nella propria dimora. Questo dialogo tra uomo e natura, il cui frutto siamo soliti definire come paesaggio antropizzato, in pochi luoghi si manifesta tanto come sulle coste del Mar Cantabrico. Le scoscese rocce, il delicato incastro tra le forme della terra e l’acqua, lo svariato mantello verde, la morfologia articolata delle coste, l’atmosfera umida e la luce che mai sorvola il mare, accentuano le differenze e le sfumature di un angolo di Spagna quasi dimenticato. Il mare, la terra e il cielo sono, in questi casi, personaggi di una scena tragica di impressionante potenza, sulla quale la presenza dell’uomo non sembrerebbe necessaria. E’ il caso della costa Cantabrica, terra aspra e scoscesa, instancabilmente battuta dai venti e sferzata dalle onde. Ma anche qui l’uomo ha voluto partecipare alla costruzione del paesaggio. “Il mondo dell’uomo innalza i fenomeni naturali e i loro rapporti introducendoli in un’altra sfera, quella del pensato, del voluto, dello stabilito, del costruito, che in un modo o nell’altro sono sempre lontani dalla natura: la sfera delle realtà culturali. In questo mondo della cultura vive l’uomo”. 1 Questo lavoro di tesi si va a confrontare con l’emblema del paesaggio antropizzato, la città moderna, andando a cercare di comprendere il mutamento che attraversa la città e il territorio, e la posizione in cui si pone continuamente la nostra disciplina rispetto a questa realtà. Frammento “nella lingua italiana significa un piccolo pezzo staccato per frattura da un corpo qualunque. E con ciò esso esprime una speranza, ancora una speranza, e come tale non conviene con rottame, che esprime una moltitudine o un aggregato di cose rotte. In questa dizione, rottame potrebbe essere il corpo della città futura se le cose non dovessero cambiare e sempre più fosse accettato il disordine e poco meditata fosse la previsione del futuro. (…)”.2 1

Romano Guardini, Hölderlin e il paesaggio, Morcelliana, Brescia 2006


Abstract

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14 Abstract

La frammentazione che oggi, senza distinzione, caratterizza il contesto urbano delle città è un dato di fatto dal quale un progetto che in esso operi e si fondi non può prescindere. La centralità della questione non consiste nel riconoscere una situazione la cui evidenza è lampante, di una mancanza di interezza della città, ma sussiste nel arginare questa condizione, che sembra legittimare ogni forma di poetica individuale, e comprendere che in questo insieme di rovine sono individuabili spunti nuovi di progetto. Costruire all’interno del costruito, che sia nella piccola scala o nella grande scala, è una pratica ormai necessaria, dettata dall’assenza di ulteriori spazi da urbanizzare. “E’ con queste contraddizioni che sarà necessario costruire l’architettura dei nostri anni. Se non potremo più usare le rovine dell’antichità ma solo le macerie del presente a questo fine, quelle resteranno a segnare la distanza con cui siamo costretti a misurarci costantemente”.3 In questo contesto già sovraffollato, caotico, la sfida non è nella creazione di ulteriori oggetti icona, o frutto della imposizione del proprio io, ma nel cercare un design curatoriale che riesca a creare relazioni nuove, e più intelligenti, tra quello che esiste già, evitando ogni forma di narcisismo formale che vada ad aumentare la condizione confusionaria che vivono le città contemporanee. Il progetto urbano deve basarsi su quello che si può definire un “paziente metodo archeologico”, che abbia consapevolezza che la realtà urbana non è caratterizzata solamente da elementi e da parti immediatamente riconoscibili: essa appare anche cosparsa di frammenti, di buona o cattiva architettura, caratterizzati da un rapporto con il contesto comunque labile, se non assente. Operare all’interno di questo contesto, di cui essi fanno parte, non può eluderne la presenza. Uno sguardo archeologico, capace di cogliere nella realtà ciò che può ancora interpretare una memoria dei luoghi, è un atteggiamento necessario da adottare nel progetto urbano.

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Aldo Rossi, Architetture 1959-1987, Electa, Milano 1987 Vittorio Gregotti, L’architettura nell’epoca dell’incessante,Laterza, Bari 2006


Abstract

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Il canto della terra


Cantabria, Spagna. Paleolitico Superiore. Un uomo immerge le sue dita all’interno di una soluzione a base di ematite rossastra e dipinge le forme inequivocabili dei bisonti sulla nuda pietra della Grotta di Altamira. Questo gesto istintivo è l’inizio della storia dell’arte. Trentamila anni dopo, Pablo Picasso, al termine della sua visita alla grotta, esclamò: “dopo Altamira tutto è decadenza, nessuno di noi è in grado di dipingere così bene”.


18 Il canto della terra L’arte paleolitica nel nord della penisola iberica Il panorama dell’arte parietale, oltre alle aree situate in Francia e in Italia, si concentra in diverse zone della penisola iberica, in particolare la costa cantabrica ha una delle collezioni più ricche. Attualmente più di cento località di studio dell’arte rupestre paleolitica, la cui metà si trovano in Cantabria, sono conosciute nel nord della Spagna, coprendo una cronologia che va dal periodo Gravettiano (25000 anni fa) alla fine del periodo Magdaleniano (circa 11000 anni fa). La regione cantabrica ha la più alta concentrazione di grotte decorate paleolitiche in Europa. Insieme ai Pirenei e alla regione della Dordogna, è una delle tre aree classiche di studio dell’arte murale e di scavo per reperti Paleolitici. In altre parole, è una fonte di informazioni essenziali per comprendere questo periodo. La Cantabria dal punto di vista orografico è una zona montana, questo l’ha resa nota tradizionalmente come “la Montaña”. L’altitudine nelle zone a ridosso del mare non supera i 600 metri, ed è in questa stretta fascia che si trovano la maggior parte dei siti archeologici. Il potenziale di ricerca in ambito di arte Paleolitica e Mesolitica in Cantabria è massiccio. La regione infatti ospita più di tremila siti archeologici, dei quali millecinquecento in grotta, e di cui dieci di questi sono inseriti nel World Heritage List dell’UNESCO. L’esistenza nella regione di importanti siti come Altamira, El Castillo e La Garma offre l’opportunità di sviluppare studi avanzati su questo patrimonio, dal punto di vista della conoscenza storica, ma anche in relazione alla loro conservazione e valorizzazione. In questo contesto il Museo di Preistoria e Archeologia della Cantabria da un contributo rilevante per la comprensione delle fasi primordiali, attraverso reperti Archeologici e dell’Antropologia fisica.

La storia delle scoperte “a seguito delle ricerche della prima galleria, … l’osservatore rimane sorpreso mentre contempla un gran numero di animali dipinti sulla volta della grotta, apparentemente, con ocra nera e rossa, e di gran-


Il canto della Terra

Marcellino S. de Sautuola, “Breves apuntes sobre algunos objetos prehistòricos de la provincia de Santander”, Telesforo Martinez, Santander 1880

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di dimensioni, raffiguranti principalmente animali che, per via del loro gobbo, hanno qualche somiglianza con il bisonte”.4 Inizia con questa descrizione il libro di Marcellino Sanz de Sautuola, che, insieme alla figlia, ha mostrato al mondo per la prima volta l’arte rupestre paleolitica attraverso i disegni parietali di Altamira, rinvenuti nel 1879. Nel 1880 pubblica “Breves apuntes sobre algunos objetos prehistòricos de la provincia de Santander” avviando così una forte polemica sull’attribuzione cronologica degli oggetti e disegni rinvenuti. Il dipartimento di Preistoria, guidato da Emile Cartailhac, rifiutò l’ipotesi che i dipinti di Altamira fossero stati realizzati dall’uomo preistorico. Il signor Marcellino Sanz de Sautuola morì il 2 giugno 1888, senza aver ottenuto il riconoscimento dei suoi sforzi da parte delle istituzioni e di molti dei suoi contemporanei più vicini. Il lavoro persistente svolto dall’archeologo dilettante e da sua figlia iniziò ad essere preso in considerazione dopo che furono scoperte le incisioni di La Mouthe in Francia nel 1895. Nel 1902 si conclude la polemica sulla pubblicazione, per mano proprio di Cartailhac, con il famoso “Mea culpa di uno scettico”, dove riconosce il suo errore e dichiara la sua stima per Sautuola. La successiva storia degli studi nel panorama archeologico cantabrico può essere suddivisa in più periodi. Un primo periodo che comprende il lavoro svolto dal 1902 fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, in cui furono studiate, per la prima volta, le grotte di Altamira, El Castillo, La Pasiega, Hornos de la Peña e La Haza. Successivamente ci fu un periodo critico, di stallo, per quella che era la ricerca archeologica che va dagli anni del dopo guerra fino agli anni settanta. In quel periodo gli scienziati ripresero gli studi fatti dai primi ricercatori, con la creazione dell’area di Preistoria del dipartimento di Scienze Storiche dell’Università della Cantabria, andando a rafforzare l’intensità dei primi lavori, con lo studio di nuove località. Al giorno d’oggi, i ricercatori stanno conducendo ricerche approfondite nei siti di La Pasiega e La Garma. Marcellino S. de Sautuola, “Breves apuntes sobre algunos objetos prehistòricos de la provincia de Santander”, Telesforo Martinez, Santander 1880 4


Il canto della terra

Marcellino S. de Sautuola, “Breves apuntes sobre algunos objetos prehistòricos de la provincia de Santander”, Telesforo Martinez, Santander 1880

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22 Il canto della terra

Il museo archeologico regionale Il primo museo archeologico della regione, il Museo Biblioteca di Santander, fu costruito nel 1908 su iniziativa del comune. Inizialmente aveva pochi reperti archeologici, quasi esclusivamente solo pezzi di numismatica. Negli anni è sono stati incorporati pezzi derivanti da nuovi scavi, soprattutto dalla grotta El Castillo, e da oggetti donati dalla collezione di Marcellino Sanz de Sautuola. Il Museo di Preistoria e Archeologia della Cantabria deve la sua creazione agli sforzi di Padre Jesus Carballo Garcià, fondatore e primo direttore di questa istituzione nel 1925. Ebbe la sua prima sede nell’edificio dell’Istituto Santander, ora Istituto Santa Clara. Dalla sua inaugurazione, a cui partecipò anche il Re Alonso XIII, nel 1926, il museo è installato in uno stato di “provvisorietà permanente”. Nel 1941 fu trasferito, sempre a titolo provvisorio, al piano terra del Palazzo del Consiglio Provinciale, dove rimase fino a pochi anni fa. Gli anni settanta possono essere descritti come gli anni d’oro dell’istituzione, con Miguel Angel Garcià Guinea come direttore e Joaquin Gonzalez Echegaray come vicedirettore e trascinatore di un’intensa attività di ricerca. Gli anni novanta segnarono il periodo di grande declino del museo regionale, a causa della totale incuria istituzionale, e di una mostra ancora intaccata dagli anni settanta. Questo centro di grande importanza internazionale per lo studio dell’arte preistorica, è stato profondamente riformato a inizio del nuovo millennio, con una completa ristrutturazione della mostra e degli ambienti del Palazzo del Consiglio. Dal dicembre 2001, espone la vecchia collezione, ampliata con materiali rinvenuti nei più recenti scavi. Infine, nel 2014, è stato annunciato che il MVPAC si sarebbe trasferito nei seminterrati del Mercado del Este, dove tutt’ora risiede. In considerazione della difficile storia dell’istituzione e la sua situazione attuale problematica, sia dal punto di vista espositivo che di conservazione delle opere, è nata la necessità di costruire un nuovo museo. Esso darebbe un nuovo volto a questa regione, in modo da farla diventare un nodo centrale per quanto riguarda gli studi e le collezioni


Il canto della Terra

Pablo Picasso, Toro, 1945

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24 Il canto della terra

sull’arte preistorica della Cantabria. Nel 2019, infatti, è stato così indetto un concorso dal Governo della regione per la realizzazione della nuova sede del MVPAC. La collezione del Museo di Preistoria e Archeologia della Cantabria, tra le più ricche al mondo, è incentrata su reperti del periodo Paleolitico, in particolare il Paleolitico superiore (40.000-11.000 a.C). Composta da piccoli oggetti decorati,di vari materiali come osso, corno e pietra, derivanti dagli scavi nei siti archeologici di El Pendo e La Garma. I resti più antichi del museo provengono dalla Cueva de El Castillo, che ha più di 100.000 anni. Tra gli oggetti esposti ci sono strumenti del periodo Musteriano di età compresa tra 100.000 e 40.000 anni fa, così come i pezzi dei periodi del Mesolitico e dell’età del bronzo. Comprende inoltre opere più recenti come varie stele discoidi giganti, come la Estela de Zurita risalente al I secolo a.C. Oltre alla collezione archeologica, i fondi MVPAC contengono anche reperti riguardanti l’antropologia umana e l’evoluzione della Fauna nel periodo preistorico. Per questo motivo, questo Museo è il simbolo della storia di questa regione, mettendo in evidenza tutti i tipi di oggetti del popolo cantabrico e soprattutto la storia della Cantabria.


Il canto della terra

Richard Long, SAHARA LINE, 1988

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Santander e la baia


Solo se sappiamo abitare potremmo costruire. Tra il vento e la mia radice nella più forte alleanza l’orizzonte il mare.

Eduardo Chillida


28 Santander e la baia

Le origini, il Portus Victoriae Le terre intorno alla baia, di quella che ora conosciamo come la città di Santander, sono sempre state favorevoli affinché la vita umana si stabilisse sulle sue rive. Questo fatto è dimostrato dai reperti archeologici nei dintorni della baia, che risalgono al periodo del Paleolitico e ad altre fasi della preistoria, e che rivelano che sin dai tempi più remoti gli uomini hanno abitato nei territori dell’attuale capitale cantabrica. La sua situazione privilegiata non passò inosservata neanche ai romani che, dopo la complicata conquista del nord della Hispania, riuscirono ad accedere e stabilirsi nel territorio dei resistenti popoli cantabrici, durante le note guerre romano-cantabriche. La romanizzazione non avvenne senza lotte perché le popolazioni locali vi si opposero tenacemente e ciò è ricordato dallo stesso Cesare, nel “De bello Gallico”, dove descrive le abilità del popolo cantabro durante la battaglia di Lerida. Nonostante i popoli della Cantabria non fossero politicamente uniti la loro lotta contro le legioni romane durò a lungo con azioni di guerriglia che impegnarono per due secoli le sette legioni romane sbarcate a Portus Victoriae. Fu solamente dopo due secoli di battaglie che l’imperatore Augusto, intorno al 16-13 a.C., riuscì a sottomettere la regione. Il Portus Victoriae, situato sulla collina di San Pedro o Somorrostro, che corrisponde al terreno su cui si trova attualmente la Cattedrale, divenne subito un importante porto sulla rotta marittima che collegava le enclavi cantabriche con quelle dell’Aquitania, nel sud-ovest della Francia. La presenza romana è attestata anche attraverso resti archeologici scoperti in aree come la penisola della Magdalena o l’area di San Martín. Oggetti del tempo dell’Impero sono stati trovati anche a La Gándara, Cueto, Monte o Peñacastillo. Dopo lo smembramento dell’Impero Romano, il colle del Somorrostro continuò la sua vita e il suo ruolo di spicco di porto marittimo di colle-


Santander e la baia

Resti della città romana di Julióbriga, sud della Cantabria

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30 Santander e la baia

gamento con la Francia, e fu testimone delle incursioni di altri popoli. Con la calata dei popoli barbarici si installarono nel nord della Spagna i Visigoti che fondarono il Regno delle Asturie, comprendente anche la regione cantabra, andando poi a confluire nel regno di Castiglia.

Il Portus Sancti Emeterii Nel 791 d.C. il re delle Asturie, Alfonso II, fondò sui resti dell’antico insediamento romano un santuario dedicato ai martiri Emeterio e Celedonio, divenuti poi patroni della città di Santander. Partendo dall’umile costruzione religiosa, si aprirono le prime vie, che formavano un abitato stretto, allungato e rettangolare delimitato dall’estuario del Becedo, dove si trovava il porto di San Emeterio. All’inizio del XII secolo, il matrimonio tra Alfonso VIII e Leonor Plantagener significò l’estensione del regno castigliano, di cui allora faceva parte la città marinara. Le nuove opportunità politiche e commerciali hanno significato la concessione di privilegi ad alcune città costiere del Mar Cantabrico. In questo modo, il foro di Santander nel 1187 ottenne una serie di privilegi per l’attività marittima e per la popolazione stessa. In questi anni la città divenne uno degli sbocchi più importanti della Castiglia al mare: un porto peschereccio e commerciale con operazioni in tutto il Mar Cantabrico e sulle coste francesi e irlandesi. La città divenne così luogo commerciale dove erano concentrate le flotte preposte all’esportazione della lana castigliana verso il nord Europa; base navale in cui erano organizzati gli eserciti reali; e cantiere navale per la costruzione e manutenzione della flotta. L’ascesa di queste attività favorì la crescita demografica, economica e spaziale della città e del porto. Il nucleo urbano, che si era sviluppato sotto la protezione della Collegiata San Emetrio, e che a fine del XII secolo contava appena una mezza dozzina di strade, si espanse al di là dell’estuario del Becedo. In questo modo la città si configurava da due aree: la più antica, denominata Puebla Vieja, arroccata sulla collina del Somorrostro, e Puebla Nueva, eretta nella zona pianeggiante posta dall’altra parte del porto. Per proteggere gli abitanti furono costruite


Santander e la baia

Pellegrino Zuyer, Mappa della città, 1660 Georg Braun e Frans Hogenberg, la città di Santander e la baia, 1575

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32 Santander e la baia

delle mura che cingevano l’intera città caratterizzate da nove porte. La continua crescita della popolazione portò alla costruzione di nuovi edifici al di fuori del recinto fortificato durante tutto il XIII secolo. Per tutto il Medioevo il porto rimase sull’estuario del Becedo, con l’ingresso difeso da due torri. Su questo bacino naturale furono costruiti ponti che collegavano le due parti della città e un grande edificio per la costruzione delle navi da guerra. Per aumentare la capacità del porto, nella seconda metà del XV secolo iniziò la costruzione di un bacino fuori le mura, con l’esecuzione delle cosiddette “Muelle de las Naos” ai piedi del castello. Il porto esterno fu completato già nel Rinascimento, quando a metà del XVI secolo iniziarono i lavori del cosiddetto “Pontile Lungo”, che chiudeva la darsena ad est. Da questo momento, e fino alla metà del XVIII secolo, la configurazione della città e del porto non cambiò di molto. Nel XIII secolo, precisamente nel 1248, ebbe luogo la conquista di Siviglia, alla quale parteciparono con successo le navi cantabriche. Questo fatto spiega il motivo per cui uno dei simboli che compare sullo stemma di Santander è la Torre dell’Oro di Siviglia. L’arrivo di nuove persone e la crescita demografica durante i secoli precedenti ha causato un’aumento della denistà demografica che, durante il XVI secolo, ha portato ad una diffusione maggiore delle pestilenze e quindi ad una riduzione della popolazione. Il XVII secolo vide l’emergere di importanti élite ecclesiastiche e militari che, attraverso la costruzione dei loro palazzi, iniziarono a dare a Santander un’aria maestosa. Dopo la concessione della Giurisdizione dal Regno di Castiglia, Filippo II richiese per la prima volta la creazione del vescovado di Santander davanti al Papa di Roma. Tuttavia, la città castigliana di Burgos, dal cui vescovado dipendeva Santander, rifiutò la sua indipendenza, e sarà necessario attendere quasi un secolo prima che la località balneare vedesse l’approvazione del nuovo vescovado, nel 1754. Avere un proprio vescovado era importante per la città, poiché costituiva il suo riconoscimento istituzionale e quello dell’identità differenziata dall’altopiano castigliano.


Santander e la baia

Mappa del porto di Santander nel 1752 George Cumberland, attuale Paseo de Pereda, 1823

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34 Santander e la baia

Santander diventa una città Oltre alla creazione del vescovado, altri eventi contribuirono al boom economico che Santander sperimentò dalla seconda metà del XVIII secolo. Tra gli altri, possiamo citare la costruzione del cantiere navale Guarnizo, l’apertura del Camino de Reinosa, e la concessione del titolo di città nel 1755. Le nuove vicende, nello specifico il nuovo status che Santander ottiene con la concessione del vescovado e del titolo di città e la conseguente attrazione di nuova popolazione, rendono necessaria la demolizione delle mura dopo 800 anni di storia, per dar luogo ad un ampliamento dei centri abitati. In questa estensione della città, il nuovo spirito illuminato si è riflesso nella costruzione di case borghesi e opere pubbliche finalizzate al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie della popolazione, come l’ammodernamento della rete fognaria, di fontane e di un ospedale cittadino. All’inizio del XIX secolo, dopo la Guerra d’Indipendenza, l’attività marittima a Santander portò a un’estensione delle banchine fino al molo di Gamazo, mentre nuovi quartieri furono costruiti a nord e ad ovest. Nel 1833 fu creata la provincia di Santander. In pochi decenni la città fu dotata di ferrovia, telegrafo, tram, elettricità, telefono e altre innovazioni tecniche. Tuttavia, la catastrofe causata nel 1893 dall’esplosione del vaporetto di Cabo Machichaco, ha seriamente compromesso il futuro della città. Il timore di un nuovo disastro ha cambiato i piani per lo sviluppo urbano di Santander, che ha cominciato a diffondersi a nord, e ha portato al trasferimento del porto produttivo da Puerto Chico alla zona di Raos.


Santander e la baia

Piano di Santander, 1880 Vista aerea di Santander nel 1935

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36 Santander e la baia

Storia recente All’inizio del XIX secolo, la città divenne la sede estiva della borghesia e dei reali spagnoli. Un’epoca d’oro che ha portato con sé nuovi sviluppi urbani, nuove vie di comunicazione, la creazione di nuovi quartieri, nuovi servizi per residenti e visitatori. Santander affronta ora, ancora una volta, un momento di cambiamento ed evoluzione, la creazione di nuovi scenari fisici. Dopo la guerra civile, durante la quale la città fu vittima di 33 bombardamenti da parte dei ribelli che lasciarono decine di morti e feriti, Santander dovette affrontare un altro disastro che ne segnò il futuro: l’incendio del 1941. L’urbanistica successiva all’incendio, ha comportato una totale riorganizzazione e rivalutazione del centro della città, che si afferma come signorile, spostando le popolazioni più povere a altre aree adiacenti senza pianificazione urbana definita. Anche il quartiere dove il progetto di tesi si va ad inserire, nel corso del ‘900 muta il suo volto. Puerto Chico fino agli albori dello scorso secolo era infatti un quartiere di operai e pescatori, collegato al porto e alla fabbricazione delle navi. Un quartiere che si affacciava sulle banchine della darsena, sempre ricche di reti e pescherecci. Negli anni ‘20, questo, viene trasformato in un nuovo quartiere residenziale ad impronta signorile; così i decadenti casolari lasciano spazio a palazzi in stile, spariscono reti e pescatori ed il porto si apre a imbarcazioni legate al piacere. Puerto Chico diventa limite, ma al contempo congiunzione, tra la nuova realtà balneare e la storica identità cittadina. Negli ultimi venti anni la città ha ancora mutato il suo assetto urbano. L’amministrazione comunale ha prima indetto un concorso per la valorizzazione del lungo mare cittadino. Concorso vinto dallo studio londinese Arup, che propose un progetto per le nuove banchine della città, che solo in parte fu seguito. Un masterplan che andava a conciliare le esigenze portuali di vocazione commerciale con le esigenze dell’amministrazione pubblica di rendere il lungomare cittadino un parco pubblico. Il progetto in parte fu poi ripreso anche dallo studio Renzo Piano


Santander e la baia

L’incendio del 1941

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38 Santander e la baia

Molo, Santander, 1910


Santander e la baia

El Sardinero, Santander, 1911

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40 Santander e la baia

per il nuovo Centro Botìn, inaugurato nel 2017. Il Centro Botìn è situato in un’area strategica di Santander, affacciata sul mare, in prossimità del centro storico e valorizzata dai centenari Jardines de Pereda. Stretto fra il parco e il mare, e in asse con il mercato pubblico, il Centro si trova per metà agganciato a terra e per metà sospeso sull’acqua. La realizzazione dell’edificio ha restituito alla città la vasta area portuale del molo di Albareda, in precedenza adibita a parcheggio e non valorizzata, recuperando il legame tra la parte storica della città e l’acqua. La costruzione di un tunnel, infatti, ha permesso di interrare una strada a scorrimento veloce, estendendo i Jardines de Pereda fino alla riva e ripristinando un accesso pedonale al mare. Analizzando la crescita urbana della città in questi 20 secoli di storia, un denominatore comune colpisce guardando all’evoluzione della mappa di Santander, dalle prime illustrazioni della città murata fino ai giorni nostri: la maggior parte della città è terra bonificata dal mare. Se la città medievale di Santander arrivò ad occupare solo 35 ettari, attualmente ne occupa 3.500, la maggior parte dei quali costruita sul mare.


Santander e la baia

Piano di Santander, 1880 Piano del 1920, in blu la darsena prima dei Jardines de Pereda

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Imago urbis il museo urbano oggi


“Il museo sta cambiando. In passato, era un luogo di certezze assolute, fonte di definizioni, di valori e di dottrina in materia d’arte, a tutto campo; era il luogo in cui non ci si ponevano interrogativi ma si davano autorevoli risposte.[…]“.5


44 Il museo urbano oggi Il museo urbano oggi L’istituzione del museo che oggi conosciamo, nasce nell’Europa illuminata del XVII secolo, in questo periodo fu istituito uno spazio architettonico appropriato che desse forma, universalmente riconoscibile, all’idea di museo. Possiamo prendere come esempio il Museo di Villa Albani del 1746 e il Museo Pio Clementino in Vaticano nel 1775, o i successivi esempi tedeschi proposti da Schinkel, questi furono i primi spazi che si posero il problema della progettazione architettonica, dell’allestimento e ordinamento, adeguati a un museo aperto al pubblico. Mentre per Villa Albani si trattava pur sempre di una raccolta privata visitabile, il museo Vaticano era già pensato come un’istituzione di interesse pubblico. All’inizio del sedicesimo secolo Bramante aveva predisposto il cortile del Belvedere per ospitare la raccolta delle sculture classiche, ma, con la notevole crescita delle collezioni vaticane, si rese necessaria la costruzione di un nuovo museo. Le varie sale si ispiravano alle terme e ad altre costruzioni romane; di grande rilievo fu la progettazione della Sala Rotonda con una serie di nicchie ospitanti la collezione di sculture classiche, e la sala a croce greca. Verso la fine del settecento i musei non erano più ad appannaggio del re e della nobiltà, ma erano destinati a essere sempre più apprezzati da un ceto medio emergente, quali artisti e architetti che ne facevano meta dei propri viaggi. Fu così che il museo si trasformò in luogo educativo e didattico e non più una sola raccolta di oggetti. Ne è un perfetto esempio l’ampliamento della Grande Galerie del Louvre per ospitare la collezione del Re, che da fine settecento fu aperta al pubblico. In un dipinto teatrale che presenta una soluzione profetica per l’illuminazione delle gallerie, il pittore Hubert Robert propone nel 1790 di dotare la Grande Galerie di una serie di ampi luceranri. Questo tipo di intervento non venne preso in considerazione per il Louvre fino al ventesimo secolo. Tuttavia la soluzione di Robert costituirà a lungo una fonte d’ispirazione per risolvere il problema dell’illuminazione delle sale espositive. Gli ultimi tre secoli hanno poi visto la crescita dell’interesse verso l’istituzione del museo, diventata esponenzialmente sempre più importante nelle tematiche dell’architettura moderna degli ultimi decenni del XX secolo. 5

Karsten Schubert, “Museo. Storia di un’idea”, Il saggiatore, Milano, 2004


Il museo urbano oggi

H.Robert, il Lovure, galleria principale, progetto per i lucernari, 1790

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46 Il museo urbano oggi

Una delle tensioni riconoscibili in gran parte dei recenti musei è individuabile nell’esigenza di questi di continuità nei confronti del tessuto urbano circostante. Si potrebbe dire che il rapporto di autonomia e iconicità che nel museo ottocentesco era specificatamente espresso dalla scalinata di ingresso e dalla funzione divisoria del colonnato, entrambi rappresentativi di un’ideologia di ascesa ad un’entità superiore, in una sintesi tendente ad esprimere la condizione di isolamento del museo, oggi si è trasformato. Il museo moderno tende a un rapporto con il contesto urbano sempre più forte, cercando di confluire e di perseguire la trama urbana. In questo senso il museo di oggi tende a non identificarsi in una tipologia conclusa in sè stessa, quasi fosse cosa per pochi, ma il percorso museale, non di rado, avviene che abbia già inizio fuori dal museo quasi a cercare di invitare ad una sua visita. Questa nuova faccia dell’istituzione museale può portare con sè ovviamente sia pregi, nella vita e nell’economicità del progetto, ma anche difetti. Ne è un esempio la posizione di Jean Clair che insorge con veemenza contro la debolezza delle attuali politiche culturali. Questa deriva museale rivela innanzitutto una crisi di identità, una noia o una pigrizia di fondo, un’accidia che Jean Clair definisce con passione e con sapienza, in una lingua superba. “La deriva mercantile trasforma l’arte in spettacolo e i musei in luna-park... I musei stanno diventando cenotafi, involucri vuoti, le cui collezioni sono in giro per il mondo. Per ora in affitto, ma presto potrebbero anche essere messe in vendita... una situazione che snatura radicalmente il progetto iniziale del museo”.6 Il sistema museale è ormai troppo spesso asservito alla logica mercantile, come qualsiasi altro prodotto. Scriveva Giulio Carlo Argan: “…i musei non debbono essere ospizi, non debbono servire solo a ricoverare opere d’arte sfruttate a battere 6

Jean Clair, “La crisi dei musei, la globalizzazione della cultura”, Skira, Milano 2008


Il museo urbano oggi

H.Robert, il Louvre, stato di fatto della galleria principale a fine XVIII secolo

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48 Il museo urbano oggi

il marciapiede del mercato: non avrebbero spazio bastante e non è questo il loro compito. Dovrebbero essere istituti scientifici e di ricerca con una funzione didattica aggiunta; … poche opere esposte permanentemente, anche nessuna, molte piccole e grandi, a rotazione..”.7 “Imago urbis” è un’estetica urbana che ha i suoi assi portanti nell’identificazione tra storia dell’arte e storia della città, nel riconoscimento di un “sistema urbano” delle arti fondato sulla prospettiva, e di un valore metaforico dell’immagine urbana. In essa Argan assegnerà un ruolo centrale proprio ai musei, come luogo di incontro tra istanze storiche e istanze estetiche. Questi si pongono a suo parere come spazio didattico privilegiato in cui il cittadino ha la possibilità di educarsi all’esercizio del giudizio di valore che, come sottolinea lo studioso, è atto critico, esercizio di libere scelte, in ultima analisi “atto politico”. I musei rappresentano una nuova scena urbana, nuova piazza, luogo di incontro e di scambio culturale, metafora dei valori della società, nuovo “centro” capace di esercitare sulla città e sulla civitas un forte potere seduttivo, assumendo all’interno dello spazio urbano il ruolo un tempo svolto dal tempio, dalla cattedrale e dal palazzo comunale. Una delle prime considerazioni nella progettazione di un nuovo museo è la coerenza tra spazio e oggetti. Infatti ogni oggetto richiede uno spazio nel quale far emergere le proprie qualità. Poiché le caratteristiche spaziali dell’ambiente determinano la forma e la posizione degli oggetti visibili, le prime devono essere organizzate in modo da trovarsi in armonia con i secondi. Uno dei principali obiettivi nella progettazione di un museo, è dunque una chiarezza che faciliti la comprensione del visitatore anche nei riguardi dello spazio. Una delle relazioni più ovvie fra questi elementi, è quella della scala, infatti ogni oggetto deve essere presentato in modo da far risaltare le proprie qualità.

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Giulio C. Argan, “Intervista sulla fabbrica dell’arte”, Laterza, Bari 1980


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Il museo urbano oggi

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Nuove centralità urbane, Santander

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Temi e riferimenti di progetto


Eterotopia “In quell’istante gigantesco, ho visto milioni di atti gradevoli o atroci; nessuno di essi mi stupì quanto il fatto che tutti occupassero lo stesso punto, senza sovrapposizione e senza trasparenza. Quel che videro i miei occhi fu simultaneo: ciò che trascriverò, successivo, perché tale è il linguaggio.”8 Eterotopia è un termine coniato dal filosofo francese Michel Foucault, per indicare “quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano”. Ma cosa sono, in fondo queste eterotopie, queste cornici in cui prende forma un’esperienza alternativa dello spazio? A differenza delle utopie, che sono spazi privi di un luogo reale ed intrattengono con la società un rapporto di analogia diretta o rovesciata, le eterotopie sono invece dei luoghi reali, dei luoghi effettivi, dei luoghi che sono predisposti nell’istituzione stessa della società. Esse costituiscono delle specie di controspazi, di utopie effettivamente realizzate in cui tutti gli altri spazi reali che possiamo trovare all’interno della cultura e del luogo sono, al contempo, rappresentati, contestati e rovesciati, delle specie di luoghi che stanno al di fuori di tutti i luoghi, anche se sono effettivamente localizzati li e con il luogo connessi. Il pensiero di Foucault, di luogo estraneo e incompatibile con il contesto, come luogo di separazione ed astrazione è perfettamente alienabile al tema del museo urbano. Scriveva: “i musei e le biblioteche sono eterotopie ove il tempo non smette si accumularsi e di raccogliersi in sè stesso”. In un contesto urbano, prima raso al suolo e poi ricostruito senza una vocazione alla memoria, il museo diventa un frammento, uno spazio di congiunzione in cui tempi diversi occupano lo stesso punto. In un lotto urbano, da anni senza volto, demolito, spoglio, sono così disegnate nuove volumetrie. Un disegno che riprende le linee urbane, ma che dalla città si separa, andando a rinchiudersi in un “recinto”, cassaforte dell’arte, del tempo andato, crearazione di una pausa urbana. 8

Jorge L. Borges, “L’aleph”, Adelphi, Milano 1998


52 Temi di progetto Il recinto “L’uomo primitivo ha fermato il carro, decide che qui sarà il suo posto. Sceglie una radura, abbatte gli alberi troppo vicini, spiana il terreno all’intorno; apre il cammino che lo collegherà al fiume o a quelli della tribù appena lasciata; pianta i picchetti che fisseranno la tenda. La circonda con una palizzata in cui ricava una porta.…I picchetti della tenda descrivono un quadrato, un esagono o un ottagono. La palizzata forma un rettangolo con quattro angoli, uguali, retti. La porta della capanna si apre sull’asse del recinto e la porta del recinto sta di fronte alla porta della capanna. Gli uomini della tribù hanno deciso di mettere al sicuro il loro dio.” Il recinto rappresenta il bisogno dell’uomo di porsi un limite, l’esigenza di protezione e la necessità di sicurezza; l’atto del recintare è insieme un riconoscimento, un’appropriazione, una delimitazione, una separazione, un dare forma a qualcosa di inesistente e dotarlo di un’identità propria. Il recinto caratterizza ogni edificio in quanto pone l’inesorabile questione interno esterno; talvolta viene assunto come motivo guida della sua progettazione, come avviene nelle case a patio, in cui il recinto diventa l’abitazione stessa, o nelle mura di una città, in cui il recinto è lasciato integro nella sua configurazione formale originaria, il nastro. Nella genesi del progetto il recinto costituisce inoltre la condizione di necessità di tutte le eterotopie, poiché costituisce il limite che permette loro di realizzarsi, di riconoscersi in due entità distinte e di diventare tra loro reciprocamente “altre”. L’edificio crea spazi “separati”, privati, che si allontanano dal trascorrere incessante del tempo urbano, creando cosi un luogo sospeso. Il recinto viene inteso come corte, come luogo intimo di separazione tra la città e gli spazi espositivi. La corte costituisce un sistema centripeto intorno alla quale si inseguono i quattro volumi del progetto, e sulla quale si affacciano con i loro ingressi, posti nello spazio di intersezione tra di essi. 9

Le Corbuiser, “Verso una Architettura”, Longanesi, II edizione, Milano 2004


Temi di progetto

La torre La torre, per il nostro mondo di immagini occidentale, è il segno verticale per eccellenza, simbolo di elevazione, espressione primordiale dell’angolo retto. Come un corpo umano eretto, la torre rappresenta una sfida alla natura, all’orizzontalità della linea che meglio esprime la stabilità e il riposo della terra: la linea che chiamiamo “linea di orizzonte”. Costruire una torre vuol dire disegnare avendo come sfondo, come carta da disegno, il cielo, giacchè la torre per definizione è ciò che si libera dal frastuono della città per guadagnarsi un ruolo che è nello stesso tempo punto di osservazione alto e luogo emergente, chiaramente visibile a distanza. Fatta per vedere e per essere visti, la torre offre da sempre all’architetto la possibilità di esprimere la semplicità e la purezza di un volume che sorge da terra e si mantiene invariato, come un profilato estruso dalla fondazione al coronamento. Diventando cosi identità per un luogo. Il viaggiatore, arrivando dal lungo mare, vedrà come la giacitura dei nuovi volumi aprono la visuale sulla torre, che libera guarda verso la baia. Il nuovo museo con la sua torre viene inteso come una calamità nuova che si distingue chiaramente dalla struttura urbana, non con intento di essere “oggetto icona”, nè tento meno con intento di mimesi, ma cercando di essere identità per il luogo. Oltre al valore simbolico ricoperto dall’edifico alto, questo è stato pensato come soluzione spaziale, andando a rispondere alla domanda di una vasta superficie per uffici disponendola con il minor ingombro a terra possibile. Una seconda torre, il Miramar, è stato progettata, invece, per consentire al pubblico di avere una visuale nuova sulla città e sulla baia, una salita accompagnata da mostre temporanee che espandono il repertorio delle tipologie spaziali in cui l’arte può essere esposta e condivisa con il pubblico.

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54 Riferimenti di progetto I granai della memoria e l’architettura folcloristica La Cantabria, terra di estuari e scogliere, luoghi dove le opere dell’uomo e la natura si fondono tra loro, ci sorprende talvolta con paesaggi dalle dimensioni eroiche. La cultura popolare contadina offre numerose tracce di come l’intervento individuale sul territorio possa esprimere il senso di un’espressione collettiva. L’operosità anonima di molti ha creato la forma dei villaggi e dei campi. Il muro che accompagna un cammino o delimita un terrazzamento. Tutto ciò contribuisce al fatto che il diffondersi degli insediamenti umani nella regione non equivalga ad una profanazione della stessa, bensì ad un’esaltazione della sua natura, del suo valore per chi l’attraversa. L’uomo ha voluto partecipare alla costruzione del paesaggio, utilizzando i mezzi e i materiali che il luogo gli offriva, il legno e la pietra. Ciò è avvenuto nella costruzione di quelli che possiamo definire i granai della memoria, gli “hórreo” (dal latino horrea, magazzini del grano), architetture senza architetti, la cui nudità geometrica e l’utilizzo sincero dei materiali dona loro un carattere simbolico ed evocativo.10 Essi mettono in relazione le preoccupazioni del quotidiano con riti stagionali delle colture e della raccolta. L’hórreo è il tipico granaio del nord-ovest della Penisola Iberica, una struttura in pietra arenaria, granito o in legno di rovere a forma di capanna, poggiata su dei pilastri o basamento di pietra per evitare l’entrata di umidità. Un’altra caratteristica di queste architetture povere sono le loro facciate, le pareti sono caratterizzate da piccole fessure per facilitare la ventilazione naturale e l’illuminazione dell’ambiente. I materiali sinceri, i sitemi di ventilazione e il concetto di podio sono elementi su cui si fonda la genesi progettuale del lavoro di tesi. Un’altro esempio sono le chiese rupestri del territorio montano, databili intorno al IX secolo. Sono semplici camere scavate nella roccia che si caratterizzano per la loro semplice tecnica di costruzione e l’incorporazione di elementi d’arte ispano-moreschi, andando a creare la sacralità dei luoghi attraverso operazioni di scavo, che sembrano quasi richiamare quegli spazi di vita preistorici. Il granaio, inteso come simbolo del mutamento e del trascorrere del 10

Carlos M. Arìs, “Silenzi Eloquenti”, Marinotti Edizioni, Milano 2002


Riferimenti di progetto

Hórreo, Granaio della costa cantabrica

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56 Riferimenti di progetto

tempo e delle stagioni, e la caverna, simbolo di rigidità e continuità nel tempo, hanno fortemente indirizzato quella che era l’idea degli spazi museali permanenti e temporanei, oltre a quella che era la scelta dei materiali di progetto. Mentre la grotta funge da spazio per l’introspezione in cui l’utente si collega intimamente con l’arte, il granaio, libero e svincolato da terra, si apre verso la natura e di essa segue la sua ciclicità. Mentre la grotta emerge dalla terra stessa, la capanna si stacca da essa. Uno lavora in compressione e in continuità con la terra, l’altro ne trasmette la gravità in modo articolato. Uno è massiccio, pesante e stereotomico, l’altro è leggero, ossuto e tettonico. Mentre la grotta costruisce uno spazio rigido e senza tempo, la capanna è definita come una costruzione effimera e mutevole. Mentre la grotta tende verso l’oscurità, la capanna tende verso la luce e si difende da essa. Uno è enfatico e monolitico, l’altro indeterminato e libero. Due esempi di architettura folcloristica della regione hanno quindi guidato la determinazione di due spazi del museo: la prima sala della mostra permanente e la conformazione della sala temporanea, sovrapposte tra di loro ma opposte nella concezione di spazio espositivo.


Riferimenti di progetto

Chiesa rupestre di San Acisclo y Santa Victroia X secolo, Arroyuelos, Cantabria

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Problematiche urbane


“Quando nell’acqua di uno stagno viene gettato un sasso, un vortice di sabbia si solleva e si rideposita; il sollevamento è indispensabile affinchè il sasso trovi il suo posto. Ma lo stagno non è più lo stesso di prima”. Peter Zumthor


60 “Le pietre d’attesa” La città contemporanea può essere vista come un manufatto-catalogo dove si allineano, secondo innumerevoli modalità, un’enorme mole di oggetti dalle qualità differenti. Essa può essere definita come l’immenso “magazzino dei materiali accumulati dall’umanità”11, e benché non si possa definire questa moltitudine di sedimenti come “Architetture”, è innegabile che questa disciplina rappresenti l’unica pratica in grado di risignificarli e, cosi operando, di costruire la città nel tempo. Ponendo la città come manufatto che si costituisce nel tempo, emerge come sia una sua caratteristica intrinseca la sua trasformabilità, mediante la riproposizione di ciò che di essa permane, la propria identità e le proprie invarianti. Analogamente, se il progetto è il mezzo attraverso cui si esercita il cambiamento, esso si configura anche come una pratica conoscitiva rivelatrice e rispettosa di qualcosa che già è sedimentato. Henri Pirenne descriveva come “le pietre in attesa”, quei luoghi dell’abbandono che attendevano un nuovo evento, che vi potesse insediare una vita diversa. Così le pietre trapassavano da stato di rovina a quella di progetto. L’esempio sopra citato è applicabile alla città di Santander, e alla ricostruzione dovuta all’incendio del 1942, che ne mutò forma e aspetto lasciando della sua storia solamente alcuni frammenti. La frammentazione che oggi, senza distinzione, caratterizza il contesto urbano della città è frutto sia dell’incendio del ’42 ma anche della brutale espansione degli anni sessanta. Questa è la realtà in cui il progetto opera e nella quale si deve fondere. Il lotto di grande dimensione è frutto dell’addizione di tre isolati urbani, un tempo ospitanti edifici residenziali ma da anni lasciati in stato di abbandono. In un primo momento il lotto era stato destinato alla nuova sede del Governo della Cantabria, su progetto di Rafael Moneo, progetto che mai vi fu realizzato. Nel 2018 è divenuto oggetto del concorso per la realizzazione del nuovo centro culturale MVPAC. Il sito si trova in una posizione privilegiata, ma complessa in termini di condizioni urbane: caratterizzata da una topografia difficile, e da quattro fronti urbani a cui rispondere. Un’area di progetto contraddistinta dalla 11

Italo Calvino, “Una pietra sopra”, Lo sguardo dell’archeologo, Einaudi, Torino, 1980


Le pietre d’attesa

Incendio di Santander, 1942

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62 Le pietre d’attesa

Puertochico, 1915


Le pietre d’attesa

Puertochico, 1930

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64 Le pietre d’attesa

posizione limite tra la città storica e la nuova espansione degli anni del dopo guerra. La prima contraddistinta da una giacitura degli isolati regolati ancora dall’assetto romano; la seconda che piega seguendo l’andamento della baia e andando a rompere le linee rigide della città storica, per poi perdersi nel disordine di fabbricati privi di una previsione urbanistica. “Niente si costruisce con le rovine, ma tutto si costruisce sulle rovine” le rovine e i progetti condividono il malinconico destino dell’assenza: le prime di un qualcosa che è scomparso per sempre, i secondi, l’attesa di un qualcosa che forse non verrà”12. Dove il progetto immagina sorgere il nuovo museo, sull’angolo nordest del perimetro del lotto, le rovine sono apparse sotto i diversi strati del terreno. Sono ora visibili le scritture sovrapposte, le pietre della città ottocentesca, del quartiere operaio ormai coperto, frammenti che attendono di essere riletti e interpretati. Sono antiche pietre in arenaria che chiedono di essere conservate, memorie preziose capaci di evocare storie e accendere speranze di altre trasformazioni. L’intento progettuale è quello di trasformare questo “non luogo” in un polo di attrazione per i visitatori, unendosi chiaramente alla sequenza di spazi culturali che offre la città, andando così a concludere quella passeggiata che dal Centro Botìn di Renzo Piano passa per il Banco di Santander di Chipperfield fino ad arrivare al Palazzo dei Festival di Oiza. Il progetto riprende quel pensiero di Borges nel definire l’Aleph, ovvero uno spazio in cui tutti gli atti e i tempi occupavano lo stesso punto. E’ ciò che questo progetto cerca di perseguire, per rendere il nuovo centro culturale un luogo di cultura, in cui non è più solo l’esposizione museale a focalizzare l’attenzione, ma anche tutto ciò che la circonda. Così il progetto va a ricreare un nuovo spazio urbano fatto di piazze e di vie che diventano un percorso che cattura il viaggiatore mostrando l’architettura come spazio collettivo. Adolfo Natalini, “Quattro quaderni. Dal Superstudio alle città dei Natalini Architetti”, Forma Edizioni, Firenze 2015. 12


Le pietre d’attesa

Disegni della proposta progettuale del Palazzo dei Festival, 1984 Francisco J. S. de Oiza, Palazzo dei Festival, 1991

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MVPAC Museo di Preistoria e Archeologia della Cantabria


“Quando un’idea diventa “muro” fatto dalle mani dell’uomo e diventa “spazio” per gli uomini, si assiste a un cosa stupenda. Ad un certo punto si sente che ciò che nasce ha un significato particolare, che si riallaccia però a qualcosa di cui non possediamo il segreto: è come una voce sottile ed inafferrabile che viene da lontano, che si rigenera oggi per il domani e che parla di un fatto nuovo che deve ancora avvenire... passato, presente futuro... Ecco la felicità dell’architetto sta nel veder nascere un muro, uno spazio, e quella felicità è più grande quando si percepisce che quell’intervento suggerisce un seguito, un ulteriore sviluppo. Quella voce di cui parlavo prima è come un suggerimento... Soltanto così l’architettura potrà toccare il cuore degli uomini! Qualcuno potrebbe dirmi : “ma questo non è il mestiere dell’architetto, questa è poesia”. “Magari” rispondo io “chi può dire di non aver bisogno di poesia?” Giovanni Michelucci, Dove si incontrano gli angeli


68 Un’architettura “senza qualità” Il nuovo Museo di Archeologia della Cantabria, con i suoi uffici e i suoi spazi pubblici, reagisce con il proprio contesto andandosi a caratterizzare per la mancanza di una vocazione a diventare una nuova icona urbana, ma cercando di ambire ad essere quella che si potrebbe definire un’architettura senza qualità. Un edificio che diventi un paesaggio urbano, che si plasmi all’interno di un contesto esistente, e che entri in stretta relazione con il suo intorno. Il nuovo centro culturale sul piano materico riprende e ricerca le tonalità e l’utilizzo dei materiali caratterizzanti la Cattedrale della città e quei frammenti antichi quasi del tutto oscurati dall’incendio del 1942; dal punto di vista volumetrico allude a ricucire il tessuto ordinario del centro storico con la giacitura delle nuove espansioni urbane che si modellano seguendo l’andamento della baia. Percorrendo il lungomare che dal Centro Botìn porta verso il Palacio de la Magdalena, la promenade del Paseo de Pereda si snoda lungo un lato dei Jardines de Pereda fino ad interrompersi nei pressi di Puerto Chico, andando a caratterizzare l’intera passeggiata della costa interna alla baia. Puerto Chico è un ideale spazio dove si fonde storia e cultura di Santander - antico porto di produzione navale trasformatosi in porto turistico - segna il punto di massima estensione della città montanese nel corso dell’ottocento, rappresentando un elemento di collegamento, ma al contempo di divisione delle due anime della città: la realtà storica da una parte, con la sua maglia urbana regolare e palazzi di impronta neoclassica, e la caotica realtà turistico balneare con le sue spiagge dall’altra. L’area di progetto sorge in questa zona, nel punto di separazione segnato dal porto e da Calle Casimiro Sainz che in modo netto separano le due parti della città. Sono proprio queste due condizioni urbane le basi sulle quali si aggrappano le geometrie del progetto. Due corpi ad “L” si incastrano tra di loro andando a generare una piazza centrale, un recinto, spazio eterotopo di alienazione urbana. Questi due corpi non solo dettano le proporzioni del planovolumetrico, ma segnano un nuovo sistema di


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Masterplan


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riferimento per l’iter progettuale. La diversa giacitura dei due corpi ad “L”, entrambi culminanti con una torre in chiusura del lato corto, genera due piazze; la prima, visibile arrivando dal Paseo de Pereda e imboccando Calle Casimiro, si va ad aprire inquadrando la nuova torre degli uffici, elemento scultoreo che libero guarda verso la baia, andando ad anticipare l’accesso alla piazza interna. Questo primo spazio pubblico accompagna il visitatore all’interno dell’edificio andando ad ammorbidire il cambio di quota tra la passeggiata e l’imposta del piano terra tramite una leggera piazza inclinata. Questa, anche grazie all’utilizzo di schermature verdi, separa il volume museale e la torre degli uffici, generatori del prospetto principale, dalla strada. Graminacee, piante perenni e Aceri Riccio (Acer Platanoides) vanno a creare uno spazio più raccolto indirizzando lo sguardo verso l’ingresso alla torre degli uffici e al passaggio che porta alla seconda piazza. Si accede cosi alla seconda piazza, uno spazio completamente chiuso allo scorrere frenetico e incessante del tempo in città; generata dai 4 volumi che si inseguono tra loro, a due a due perpendicolari, e sulla quale si affacciano gli ingressi del Museo, della caffetteria e della sala conferenze, posti negli angoli dei diversi blocchi. La nuova piazza porta il visitatore a scoprire una seconda torre, il Miramar, elemento verticale che offre al pubblico la possibilità di guardare la baia da una prospettiva nuova. Le nuove volumetrie, con le due torri, diventano così un punto di riferimento sia dal mare che dalla terra, identità nuova che cerca di ricongiungere brani di città divergenti. Dalla piazza interna si accede al foyer del museo, uno spazio di distribuzione centrale che collega le gallerie espositive all’edificio polifunzionale, contenente la caffetteria, il bookshop e la sala conferenze al piano terra, collegate tramite il Miramar al primo piano in cui vi è un’ampia sala lettura. L’ingresso è caratterizzato da una vetrata incassata all’interno del volume che va a raccordare la diversa giacitura tra il volume museale e


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Esploso Assonometrico

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Prospetto su V. Casimiro Sainz Pianta Piano Terra


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Prospetto principale

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quello polifunzionale, andando a creare una soglia, uno spazio coperto, tra la piazza e la hall. Il museo si sviluppa interamente su due piani, andando a disporre le tre grandi gallerie della collezione permanente nel piano interrato e gli spazi delle mostre temporanee al primo piano. L’ingresso alla galleria permanente avviene da una grande scala, o mediante una coppia di ascensori pubblici, che portano il visitatore al piano inferiore. La scala diventa un elemento di rottura nella linearità della copertura inclinata della prima sala andando con essa a generare una forte tensione. Il pesante soffitto della prima sala, si modella in base alla luce naturale, cercando di convogliarla verso la parte inferiore della sala, una copertura quasi schiacciante che solo in due occasioni viene interrotta: dalla scala inizialmente e da un’unghia che permette l’affaccio sulla prima sala dal piano superiore. La prima sala - contente opere lapidee del periodo del Paleolitico Superiore e studi riguardanti la Paleontologia e Antropologia umana nel periodo preistorico - si allinea e cerca di modellarsi guardando a quegli esempi già citati di architettura folcloristica di scavo, caratterizzante la cultura medievale, che tanto ricordano i siti archeologici della Cantabria. Una sala progettata in base agli oggetti e alla collezione da esporre, dove il materiale predominante è il cemento faccia a vista, contrapposto all’utilizzo del rovere solo nelle pareti espositive e negli arredi. Le tre sale della collezione permanente ruotano attorno ad una corte trapezoidale centrale andando a creare un percorso ciclico, che proprio della corte centrale ne fa perno guidando il visitatore all’interno delle sale espositive. Le sale, nonostante siano sotto al livello d’imposta, trovano sempre uno sguardo verso l’esterno, così, seguendo un percorso circolare sull’unico piano di sviluppo della collezione, il visitatore attraversa spazi di volta in volta diversi ma sempre illuminati da luce naturale. Così la prima sala contrappone alla grande galleria illuminata dalla luce che rimbalza sulla copertura inclinata, delle sale laterali più raccolte e di altezza minore che si affacciano sulla corte interna; il visitatore intravede al di là del cortile la seconda sala e procede nel suo percorso. Il progetto museologico ideato dispone il susseguirsi delle sale in or-


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La prima piazza

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Sala de Conferéncia

Cafetteria

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Sezione corte interna Pianta Piano interrato


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Corte interna

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Sezione edificio polifunzionale Pianta Piano primo


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dine cronologico, dall’arte paleolitica e la relazione di essa con la natura e la fauna, come testimoniano i dipinti rupestri, per passare alla seconda sala che espone oggetti risalenti all’epoca delle popolazioni Cantabriche, fino ad arrivare alla collezione di opere di cultura romana e alto medievale contenute all’interno dell’ultima sala. Il progredire temporale degli oggetti delle diverse sale è accompagnato anche da scelte architettoniche congruenti. Così i materiali delle sale mutano durante il percorso, andando ad “ammorbidirsi” di sala in sala, il cemento lascia sempre più spazio a legno, metalli e grandi lucernari, anche le sale sembrano così guidare all’interno della collezione; muta anche il rapporto di esse con le corti, le sale si aprono sempre più su di esse a simboleggiare il rapporto di uomo e natura nei secoli. Se la prima sala vuole ricordare la protezione e l’intimità data dalla caverna all’uomo preistorico, le successive testimoniano una simbiosi sempre maggiore tra di essi. La mostra permanente si conclude con una scala secondaria d’uscita, in corrispondenza degli ascensori, che riporta al piano del foyer o altrimenti accompagna il visitatore al piano superiore che accoglie le mostre temporanee. La galleria superiore rimane così indipendente dal ciclo espositivo permanete. L’esposizione temporanea, situata nella volumetria opaca caratterizzante il prospetto principale dell’edificio sulla strada, si configura come una grande galleria illuminata da shed, con un passo di quattro metri. La galleria continua viene interrotta da una sala laterale che offre un affaccio sulla corte interna del complesso, andando a creare un momento di pausa a metà del percorso. L’intera galleria appare molto luminosa, questo grazie alla copertura, ma anche all’utilizzo esteso di intonaco bianco contrapposto a binari per l’illuminazione artificiale in metallo brunito e ad un pavimento in legno di rovere con doghe di taglio omogeneo. Un’ultima sala, illuminata da un grande lucernario centrale e affacciata su una piccola corte condivisa con la torre degli uffici, chiude la mostra. La mostra temporanea immaginata è attinente all’esposizione “La preistoria, un enigma moderno” tenutasi al Centre Georges Pompidou di

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Espositori

Assonometria allestimento delle prima sala

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Sala I “Evoluzione fauna preistorica e antropologia umana”

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Espositori

Assonometria allestimento della seconda sala

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Un’Architettura “senza qualità”

Sala II “Paleolitico superiore (35.000 a.C_12.000 a.C)”

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Espositori

Assonometria allestimento della terza sala

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Exit

Sala III “Cultura cantabrica romana (I sec a.C_I sec d.C)”

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Profili


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Parigi nel 2019. Una mostra incentrata sul fascino esercitato dalla preistoria sugli artisti lungo il XX secolo. Un fascino che ha avuto conseguenze sulle loro idee artistiche e antropologiche così come sulla loro percezione del mondo. Un’ esposizione che potrebbe essere aperta con la domanda “che cos’è il contemporaneo?” e in che modo questo si lega al passato? “il contemporaneo non è soltanto colui che, percependo il buio del presente, ne afferra l’inevitabile luce; è anche colui che, dividendo e interpolando il tempo, è in grado di trasformarlo e di metterlo in relazione con gli altri tempi, di leggerne in modo inedito la storia, di “citarla” secondo una necessità che non proviene in alcun modo dal suo arbitrio, ma da un’esigenza a cui egli non può non rispondere. È come se quell’invisibile luce che è il buio del presente, proiettasse la sua ombra sul passato e questo, toccato da questo fascio d’ombra, acquisisse la capacità di rispondere alle tenebre dell’ora.” Con queste parole Agamben termina il suo seminario sul contemporaneo. Un pensiero che l’allestimento delle mostre temporanee riprende e con il quale va a creare un filo conduttore tra gli albori dell’arte e alcuni maestri moderni, maestri che nel secolo scorso hanno aderito al loro tempo attraverso una sfasatura e un anacronismo. Concluse le esposizioni il visitatore ritorna verso il foyer, posto centralmente tra il bookshop e la caffetteria. Un lungo corridoio, affacciato su un cortile verde in parte ad uso del bar, collega i due foyer pubblici: quello del museo a quello della sala conferenze. La conformazione degli ingressi distinti e la posizione del bar come punto cardine, permette vita autonoma dell’entità museale rispetto a quella della sala conferenze. Quest’ultima, anticipata da una piccola hall, con annessi servizi igienici e un piccolo studiolo, è separata dal cortile esterno dal corridoio, ma una doppia vetrata permette una connessione visiva tra i due spazi. La sala è completamente rivestita da pannelli fonoassorbenti con un modulo tre metri per tre, sovrapposti ad una pennellatura in legno rovere che va a rivestire anche l’intera zona del palco. La

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Espositori

Assonometria allestimento mostra temporanea

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Sala Temporanea

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Assonometria Sala conferenze

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Sala Conferenze

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Profili


Un’Architettura “senza qualità”

copertura a shed con travi ricalate permette una luce naturale ottimale della sala, a cui è accostata un’attenta illuminazione artificiale posta all’interno delle travi ricalate. “La prima cosa che si desidera nella maggior parte dei musei è una tazza di caffè. Ci si sente stanchi immediatamente” La caffetteria è posizionata centralmente e affacciata sulla corte principale, andando ad unire ma al contempo separare museo e sala conferenza. La posizione strategica è stata pensata al fine di allontanarla il più possibile dalla caoticità della città andando ad isolarla in un punto tranquillo se pure ben visibile. Punto fermo nella progettazione di questo spazio è stato proprio il coglierne la funzione di pausa ma anche di preparazione alla visita degli spazi espositivi. Ricordando le parole di Kahn riguardo al pensiero di iniziare una mostra dalle grandi dimensioni, questo spazio è stato pensato come luogo iniziale e anticipatore delle collezioni. L’edificio polifunzionale viene completato al piano superiore da una aula studio, raggiungibile tramite il blocco scale del Miramar che diventa collegamento verticale tra i due piani. L’aula studio dispone anche di un ingresso al piano, derivante dalla morfologia del lotto che pone questo ambiente al livello della strada superiore. La grande sala, illuminata da shed, si affaccia sul bookshop e sul lungo corridoio, creando uno spazio didattico tranquillo e isolato ma caratterizzato da una volumetria movimentata. Il Miramar conclude l’esperienza culturale del nuovo Mvpac, generato in larghezza dal cortile laterale che separa la sala conferenze dalla strada superiore, questo elemento verticale permette al visitatore di avere una vista completa sulla baia della città. Un nuovo scorcio viene offerto al viaggiatore. Il percorso di salita è accompagnato da tre sale adibite a mostre temporanee. Anche qua i materiali predominanti sono il metallo brunito, l’intonaco bianco e il legno in contrapposizione con una gelosia in pietra arenaria che caratterizza il blocco delle scale.

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94 Un’Architettura “senza qualità”

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Assonometria ingresso al Museo e Caffetteria

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Un’Architettura “senza qualità”

La caffetteria

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96 Un’Architettura “senza qualità”

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Assonometria Aula studio e degli spazi espositivi del Miramar

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Un’Architettura “senza qualità”

La baia di Santander vista dal Miramar

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Struttura, materiali e tecnologie


Cava di Los Corrales de Buel


tavola 14

100 Struttura,Materiali e Tecnologie G

Dettaglio Tecnologico Museo A_Chiusura verticale _rivestimento in pannelli di cemento con aggregati, colati e lucidati in loco (8x300x300cm) _staffe di ancoraggio _profilato scatolare _pannello per isolamento termico _setto portante in ca

8cm 10cm 7,5cm 30cm

B_Chiusura verticale _rivestimento in blocchi di arenaria, Los Corrales de Buel, (25x12,5x50cm) _staffe di ancoraggio _intercapedine d’aria _pannello per isolamento termico _setto portante in ca

A

25cm 2,5cm 7,5cm 30cm

C_Chiusura verticale _infisso in alluminio _vetro temperato tripla camera

6cm

D_Solaio controterra _pavimentazione in resina cementizia _massetto in cls alleggerito _impianto di riscaldamento a pavimento _barriera al vapore _pannello per isolamento termico _vespaio areato con elementi “igloo” _guaina impermeabile _fondazione a platea _magrone

0,3cm 4cm

F

7,5cm 50cm 62,5cm 10cm

E_Solaio interpiano _pavimentazione in resina cementizia _massetto in cls alleggerito _impianto di riscaldamento a pavimento _pannello per isolamento acustico _solaio in c.a.

0,3cm 4cm 7,5cm 50cm B

F_Solaio interpiano _pavimentazione in legno rovere _massetto in cls alleggerito _impianto di riscaldamento a pavimento _pannello per isolamento acustico _solaio in c.a.

1,5cm 4cm 7,5cm 50cm E

G_Lucernario _finitura in ca _guaina impermeabile _pannello per isolamento termico _calcestruzzo armato _intonaco

5cm 7,5cm 25cm

C

D

A_Chiusura verticale _pannelli di cemento con aggregati lapidei _staffe di ancoraggio _profilato scatolare _pannello per isolamento termico _setto portante in ca

Scala 1.50

0

1

2,5

B_Chiusura verticale _rivestimento in blocchi di arenaria, Los Corrales de Buel _staffe di ancoraggio _intercapedine d’aria _pannello per isolamento termico _setto portante in ca 5m

C_Chiusura verticale _infisso in alluminio _vetro temperato tripla camera

D_Solaio controterra 8cm _pavimentazione in resina cementizia 0,3cm _massetto in cls alleggerito 4cm 10cm _impianto di riscaldamento a pavimento 7,5cm _barriera al vapore 30cm _pannello per isolamento termico 7,5cm _vespaio areato con elementi “igloo” 50cm _guaina impermeabile _fondazione a platea 62,5cm 25cm _magrone 10cm 2,5cm E_Solaio interpiano 7,5cm _pavimentazione in resina cementizia 30cm _massetto in cls alleggerito _impianto di riscaldamento a pavimento _pannello per isolamento acustico _solaio in c.a. 6cm

Dettaglio Tecnologico prima sala del museo e spazio mostre temporanee

0,3cm 4cm 7,5cm 50cm


Struttura,Materiali e Tecnologie

F_Solaio interpiano _pavimentazione in legno rovere 1,5cm _massetto in cls alleggerito 4cm _impianto di riscaldamento a pavimento _pannello per isolamento acustico 7,5cm _solaio in c.a. 50cm G_Lucernario _finitura in ca _guaina impermeabile _pannello per isolamento termico _calcestruzzo armato _intonaco

5cm 7,5cm 25cm 8cm

Dettaglio Tecnologico prima sala del museo e spazio mostre temporanee

101


102 Struttura,Materiali e Tecnologie

cnologico Museo

verticale in pannelli di cemento con aggregati, ati in loco (8x300x300cm) oraggio tolare r isolamento termico te in ca

8cm

F

10cm 7,5cm 30cm

verticale in blocchi di arenaria, Los Corrales de Buel, cm) oraggio e d’aria r isolamento termico te in ca

25cm 2,5cm 7,5cm 30cm

verticale uminio rato tripla camera

6cm A

ntroterra one in resina cementizia cls alleggerito riscaldamento a pavimento apore r isolamento termico ato con elementi “igloo” ermeabile a platea

0,3cm 4cm 7,5cm 50cm 62,5cm 10cm

opertura one in pietra arenaria cls alleggerito ermeabile isolamento termico

2,5cm 4cm 15cm 60cm

e artificiale

o uminio rato tripla camera

6cm

B

E

C

D

A_Chiusura verticale _pannelli di cemento con aggregati lapidei _staffe di ancoraggio _profilato scatolare _pannello per isolamento termico _setto portante in ca

2,5

5m

B_Chiusura verticale _rivestimento in blocchi di arenaria _staffe di ancoraggio _intercapedine d’aria _pannello per isolamento termico _setto portante in ca C_Chiusura verticale _infisso in alluminio _vetro temperato tripla camera D_Solaio controterra _pavimentazione in resina cementizia

4cm _massetto in cls alleggerito 8cm _impianto di riscaldamento a pavimento _barriera al vapore 7,5cm 10cm _pannello per isolamento termico 50cm 7,5cm _vespaio areato con elementi “igloo” 30cm _guaina impermeabile 62,5cm _fondazione a platea 10cm _magrone 25cm E_Solaio di copertura 2,5cm 2,5cm _pavimentazione in pietra arenaria 4cm 7,5cm _massetto in cls alleggerito 30cm _guaina impermeabile 15cm _pannelli per isolamento termico 60cm _solaio in c.a. _illuminazione artificiale 6cm F_Lucernario _infisso in alluminio 6cm 0,3cm _vetro temperato tripla camera

Dettaglio Tecnologico sala conferenze e seconda sala della mostra permanente


)

m)

Vista assonometrica delle strutture portanti, Sezione AA

Vista assonometrica de Sezione BB Struttura,Materiali e Tecnologie 103

B_Chiusura verticale _rivestimento in blocchi di arenaria, Los Corrales de Buel, (25x12,5x50cm) _staffe di ancoraggio _intercapedine d’aria _pannello per isolamento termico (7,5cm) _setto portante in ca (30cm)

C_Lucernario _finitura in ca (5cm) _guaina impermeabile _pannello per isolamento _calcestruzzo armato (2 _intonaco

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nti,

Shed_sala conferenze _finitura in ca (5cm) _guaina impermeabile _pannello per isolamento termico (7,5cm) _calcestruzzo armato (25cm) _irivestimento in legno rovere

Dettaglio Tecnologico del pacchetto murario e della copertura della sala conferenze


104 Struttura,Materiali e Tecnologie tavola 18

E

B

Dettaglio Tecnologico Torre Uffici A_Chiusura verticale _rivestimento in blocchi di arenaria, Los Corrales de Buel, (25x12,5x50cm) _staffe di ancoraggio _intercapedine d’aria _pannello per isolamento termico _setto portante in ca

25cm 10cm 7,5cm 30cm

B_Chiusura verticale _elementi forati in arenaria (12x6x50) _infisso in alluminio _vetro temperato tripla camera

6cm

C_Solaio controterra _pavimentazione in resina cementizia _massetto in cls alleggerito _impianto di riscaldamento a pavimento _barriera al vapore _pannello per isolamento termico _vespaio areato con elementi “igloo” _guaina impermeabile _fondazione a platea _magrone

0,3cm 4cm 7,5cm 50cm 62,5cm 10cm

D_Solaio interpiano _pavimentazione in legno rovere _massetto in cls alleggerito _impianto di riscaldamento a pavimento _pannello per isolamento acustico _solaio in c.a.

0,3cm 4cm 7,5cm 50cm

E_Solaio di copertura _pietrisco _massetto in cls alleggerito _guaina impermeabile _pannello per isolamento termico _solaio in c.a.

4cm 7,5cm 50cm

D

A

C

Scala 1.50

0

1

2,5

5m

Dettaglio Tecnologico della torre degli uffici


Vista assonometrica delle strutture portanti,

Struttura,Materiali e Tecnologie 105 Vista assonometrica del Sezione AA

D

0 0.03 0.05 0.07 0.11 0.15 0.19 0.23 0.27

torio spagnolo ima del suolo (g) con nni, riferita ai suoli rigidi.

A_Solaioverticale interpiano A_Chiusura _vespaio areato con “igloo” _rivestimento in blocchiindilegno arenaria, _pavimentazione rovere (2,5cm) _guaina impermeabile Los _massetto Corrales de in Buel 25cm _fondazione a platea cls alleggerito _staffe di ancoraggio _magrone _impianto d’aria di riscaldamento a pavimento _intercapedine 10cm _pannello per isolamento acustico 7,5cm (7,5cm)D_Solaio interpiano _pannello per isolamento termico _setto portante in ca 30cm _pavimentazione in legno rovere (50cm) _solaio in c.a. _massetto in cls alleggerito B_Chiusura verticale _impianto di riscaldamento a _elementi forati in arenaria (12x6x50) pavimento _infisso in alluminio _pannello per isolamento acustico _vetro temperato tripla camera 6cm _solaio in c.a. C_Solaio controterra E_Solaio di copertura _pavimentazione in resina cementizia 0,3cm _pietrisco _massetto in cls alleggerito 4cm _massetto in cls alleggerito _impianto di riscaldamento a pavimento _guaina impermeabile _barriera al vapore _pannello per isolamento termico _pannello per isolamento termico 7,5cm _solaio in c.a.

B_Chiusura verticale 50cm _rivestimento in blocchi di (25x12,5x50cm) 62,5cm _staffe 10cmdi ancoraggio _intercapedine d’aria _pannello per isolamento 0,3cm _setto portante in ca (30c 4cm

7,5cm 50cm

4cm 7,5cm 50cm


Maquettes


Per il progetto di tesi del nuovo museo MVPAC, Museo di Preistoria e Archeologia della Cantabria, sono stati realizzati tre modelli fisici, per la migliore comprensione possibile delle volumetrie e dell’inserimento urbano del progetto. _ Una maquette di inquadramento a scala urbana (1.500), rappresenta l’inserimento del progetto nel contesto urbano andando a definire il suo rapporto con la città e la baia. _Il secondo plastico rappresenta la sezione trasversale dell’edificio contenente la sala conferenze e la seconda sala della collezione permanente, in scala 1.50. _Il terzo analizza il blocco delle sale espositive, aiutando a comprendere le volumetrie della prima sala della collezione permanente e le sale della collezione temporanea, in scala 1.50.


108 Maquettes


Maquettes

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110 Maquettes


Maquettes

111


112 Maquettes


Maquettes

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114 Maquettes


Maquettes

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Bibliografia


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Letture Giorgio Agamben, “Che cos’è il contemporaneo?” , Nottetempo, Milano, 2008 Giorgio Agamben, “L’uomo senza contenuto” , Quodilibet, Macerata, 2013 Walter Benjamin, “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, ET Saggi, Segrate, 2010 Francesco Cacciatore, “Il muro come contenitore di luoghi. Forme strutturali cave ell’opera di Louis Kahn” , LetteraVentidue, Siracusa, 2016 Eduardo Chillida, “Lo spazio e il limite”, Marinotti Edizioni, Milano, 2010 Jean Clair, “L’inverno della cultura”, Skira editore, Milano, 2011 Jean Clair, “La crisi dei Musei” , Skira editore, Milano, 2008 M. D’Alfonso, “Alvaro Siza: due musei: museo d’arte contemporanea Serralves a Porto, museo d’arte Ibere Camargo a Porto Alegre”, Mondadori Electa, 2009 Fernando Espuelas, “Il vuoto”, Martinotti Edizioni, Milano, 2004 Luigi Ghirri, “Lezioni di fotografia”, Quodilibet, Macerata, 2010 Michael Lailach, “Land art” , Taschen, 2007 Patricia Cummings Loud, “Louis I. Khan, i musei”, Electa, Milano, 1991 Carlos Martì Arìs, “Silenzi Eloquenti. Borges, Mies van der Rohe, Ozu, Rothko, Oteiza”, Marinotti Edizioni, Milano, 2002 Piet Oudolf, “Lanscapes in Landscapes” ,Thames & Hudson, Londra, 2011 Franco Purini, “Luogo e progetto”, Kappa, Roma 1981 Franco Purini, “Comporre l’architettura”, Laterza, Bari 2002 Aldo Rossi, “Architetture 1959-1987”, Electa, Milano, 1987 Aldo Rossi, “L’architettura della città”, Città Studi Edizioni, Torino, 2004 Karsten Schubert, “Museo. Storia di un’idea”, Il saggiatore, Milano,2004


118

Marcelino S. de Sautuola, “Breves Apuntes sobre algunos objetos prehistòricos de la procincia de Santander” , Imp. y lit. de Telesforo Martinez, Santander, 1880 Francesco Venezia, “Che cos’è l’Architettura. Lezioni, conferenze, un intervento”, Mondadori Electa, Milano, 2011 Francesco Venezia, “Francesco Venezia. Le idee e le occasioni” , Electa, Milano, 2011 Petrt Zumthor, “Atmosfere. Ambienti architettonici. Le cose che ci circondano” , Electa, Milano, 2006 Peter Zumthor, “Pensare Architettura”, Electa, Milano, 2003 Manuali F. K. Barkauskas, S. Polónyi, B. Kauhsen, J. Brandt, “Atlante del cemento”, UTET, Torino, 2004 A. Cirillo, “Il cemento armato:calcoli strutturali, progettazione e prassi del costruire”, Eurocodice 2 e norme tecniche per le costruzioni, 2006 G. Pfeifer, “Exposed concrete: technology and design”, Birkhäuser Architecture, 2005


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Sitografia https://www.quodlibet.it/una-voce-giorgio-agamben https://www.desenterrandosantander.com https://santander.es


Ringraziamenti


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al Professore Fabrizio F.V. Arrigoni. Per il sostegno e la passione trasmessa nell’aiutarmi ad affrontare questo percorso di tesi; per la quantità e qualità dei suoi insegnamenti. al Professore Giovanni Cardinale, alla sua pazienza nel guidarmi verso una credibilità strutturale del progetto. ad Antonio Acocella, alla sua gentilezza e disponibilità nell’avermi aiutato nei momenti di difficoltà. agli amici di sempre: Andrea, Daniele, Davide, Gianpaolo, Lorenzo, Luca, Mattia, Oscar, Simone, Stefano e tutti i ragazzi di Manarola che in questi anni sono sempre stati al mio fianco. ad Alessandro, Clemente, Corso, Federico, Filippo, Edoardo, Jacopo e Niccolò per essere stati fonte di spensieratezza in questi anni. a Luca e Jorio, con cui ho condiviso gran parte di questo percorso. Mi avete reso questi anni indimenticabili. a Eva, alla sua infinita pazienza. Che questo sia solo uno dei traguardi raggiunti insieme. dedico questo lavoro a mia madre e alla mia famiglia, che in questi anni mi hanno sempre supportato e sopportato.

Grazie


Clemente Nativi 31.12. 1993 clementenativi@icloud.com +39 346 5191171


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