D’inchiostro e d’argilla Come chi si allontani d’un passo o per sempre Centro culturale Paolo Volponi , Fornace Volponi di Urbino
IRENE GIANI
D’inchiostro e d’argilla Come chi si allontani d’un passo o per sempre
Centro Culturale Paolo Volponi, Fornace Volponi di Urbino
A mio nonno che aveva una fornace. Che non era un pittore, ma da Raffaello aveva preso il nome. Che non era uno scrittore, ma disegnava con la china, il compasso e la squadra. A mio nonno che non c’è stato, ma era come se fosse con me.
indice
00/ Abstract
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01/ Paolo Volponi: da Urbino a Ivrea
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01.1 Il poeta romanziere: Urbino e la sua Volpe
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01.2 Il dirigente industriale e il lavoro operaio
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01.3 Il senatore segreto
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02/ La Fornace Volponi di Urbino 69 02.1 Il forno Hoffmann e la cottura a ciclo continuo
Relatore Prof. Fabrizio F. V. Arrigoni
Correlatori Prof. Lorenzo Ciccarelli, Prof. Ing. Giovanni Cardinale
Università degli studi di Firenze DIDA | Scuola di Architettura Laurea Magistrale a ciclo unico in Architettura anno accademico 2019/2020
71
02.2 Fornace Volponi: storia ed evoluzione del manufatto
105
02.3 Il programma di Giancarlo De Carlo e il laboratorio ILAUD
121
03/ Centro Culturale Paolo Volponi
129
03.1 Riferimenti progettuali
131
03.2 Il legno e il mattone
143
03.3 Intervento di consolidamento: forno Hoffmann e ciminiera
171
04/ Modelli
187
05/ Conclusioni
205
06/ Bibliografia
211
07/ Sitografia
223
08/ Filmografia e audiovisivi 227
“[...] così tra questa Immensità s’annega il pensier mio: E il naufragar m’è dolce in questo mare.” G. Leopardi, L’infinito in “Canti, XII”, 1819, vv. 13-15.
Chiesa di San Bernardino, Archivio F. Palma, Urbino 2019.
00/
Abstract
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Abstract
In the shadow of Urbino walls, on the old and twisted Flamina road, the kiln, owened times ago to the family of the writer Paolo Volponi, lays, abandoned. Glimpsed througout the weed nature, the skeleton of this building shows to the travelers its ruined walls and its collapsed ceilings. The old chimney stands over the vegetation to witness the existence of an ancient rural and artisanal civilization in this little valley lying at the foot of the city, between Urbino and San Bernardino hill. The Paolo Volponi expressive way of writing we can find in his works, comes from the mix of history and nature, strong testimony of which is given by this archeological industry. The aim of the new Paolo Volponi Cultural Centre is to re-establish, in these places of memory, blood relationship that had tied and goes on tieing the writer to his kiln and his country. The ruined building with Hoffman kiln, the chimney and the external dryers, attestes the past industry that influenced the economy of 60’s of Urbino. The collapsed parts will be demolished and new volumes will be built with cultural and ricreative functions to honor the history of the city and the writer. A library and archives, laboratories for the traditional Kite Festival, expositive areas, permament and temporary, will replace the long structures that, in the past, formed the factory, all facing the central square, external area dedicated to playful and ludic activities. Bricks and wood are materials that belong to the traditional way of building of the city and the whole territory; their use is now proposed in the composition and definition such as indoor and outdoor.
So, at the foot of the city, “facing windy Urbino”, the Fox finds again his hut made of red clay bricks in this place that he had never left completely, but that he had tried to make it survive in his genial stories, just “like who goes away of a step or for ever” from this solemn and, at tha same time, ennemy Ideal City.
All’ombra delle mura di Urbino, tra le curve snodate della vecchia Flaminia, riposa abbandonata la fornace appartenuta alla famiglia dello scrittore Paolo Volponi. Lo scheletro di questo “residuo reperto” mostra ai viaggiatori, tra la natura infestante, i suoi muri sbriccati e i suoi soffitti crollati. L’antica ciminiera si staglia alta tra la vegetazione, a testimonianza di un’antica civiltà rurale e artigianale, nella piccola valle ai piedi della città, tra Urbino e il colle di San Bernardino. L’espressiva scrittura di Paolo Volponi riflette, nelle sue pagine, il connubio di storia e natura di cui questa archeologia industriale è forte testimone. Il progetto del nuovo Centro Culturale Paolo Volponi si pone quindi l’obiettivo di riallacciare, nei luoghi della memoria, il rapporto di sangue che ha legato e continua a legare lo scrittore alla sua fornace e alla sua terra. La rovina, con il forno Hoffmann, la ciminiera e gli essiccatoi esterni, diventa così testimonianza dell’antica preesistenza che ha segnato l’economia di Urbino fino alla fine degli anni ‘60. Le parti crollate vengono demolite e sostituite con volumi ex novo dedicati a funzioni ricreative e culturali legate alla storia della città e allo scrittore. Una biblioteca con archivio, dei laboratori per la tradizionale Festa dell’Aquilone e spazi espositivi, permanenti e temporanei, prendono il posto dei lunghi corpi che un tempo formavano la fabbrica, attorno ad una piazza centrale, spazio esterno per le attività ludiche e ricreative. L’utilizzo del mattone e del legno, materiali che appartengono alla tradizione costruttiva della città e del territorio, viene ripreso nella composizione e nella definizione sia degli spazi esterni che in quelli interni. Così, ai piedi della città, con “in faccia Urbino ventoso” , la Volpe ritrova il suo rifugio tra questi nuovi mattoni d’argilla rossa, in un luogo che non ha mai completamente abbandonato, ma che ha sempre cercato di far rivivere nella cornice dei suoi geniali racconti, proprio “come chi si allontani d’un passo o per sempre” da questa solenne e, al contempo, nemica Città Ideale.
01/
Paolo Volponi: da Urbino a Ivrea
Il poeta romanziere: Urbino e la sua Volpe
Le mura di Urbino la nemica figura che mi resta, l’immagine di Urbino che io non posso fuggire, la sua crudele festa, quieta tra le mie ire.
Il cielo a forma di grembo divora la città; allora si sente morire ogni cosa d’intorno e ognuno sta per sortire dal proprio cuore.
Questo dovrei lasciare se io avessi l’ardire di lasciare le mie care piaghe guarire.
È il vento, al confine del giorno, che mormora tra i colli, che a me di fronte sgombra la campagna o con la nera ombra delle nubi la fa sparire; che con me giuoca fingendo di fuggire e poi con aria fioca torna a imbiancare i colli.
Lasciare questo vento collinare che piega il grano e l’oliva, che porta sbuffi di mare tra l’arenaria viva. Lasciare questa luna tardiva sul diamante degli edifici, questa bianca saliva su tutte le terrazze, dove amici e ragazze stendono le soffici tele del loro amore infedele. Lasciare il caldo respiro del sole sulle mura, la lunga tortura delle case, lo stesso temporale che ritorna da anni, pur se la vita non è uguale nel giro e s’abbandona ogni ora. Antica sulle mura è la mia casa; immobile e non sicura sembra veleggiare tra le nuvole come riviere nel fluviale nembo delle selvagge sere.
Centro storico di Urbino, foto dall’elicottero, Politecnica delle Marche, Urbino 2006.
1.
Il vento d’incerta natura che passa come un ragazzo dietro le siepi o le mura, senza niente, come chi si allontani d’un passo o per sempre; niente più d’un rimorso e d’un sorso d’acqua nei campi. La città trema nel cuore dei suoi cortili, apre il suo dorso alle congiure vili del tempo, e giace morente sopra di noi. Allora i giardini pensili piegano l’ombra ostile dei pini verso quel punto dell’orizzonte, nuovo ogni sera, dove io non giungerò mai libero dai miei cattivi pensieri, dalla sorte nemica che il mio sangue castiga. 1
P. Volponi, Le mura di Urbino, in Le Porte dell’Appenino, Feltrinelli, Milano 1959.
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Il poeta romanziere: Urbino e la sua Volpe
Il poeta romanziere: Urbino e la sua Volpe
Gli anni della formazione Paolo Volponi nacque ad Urbino il 6 febbraio 1924. Suo padre, Arturo Volponi, e suo nonno, Paolo, furono i proprietari della fornace di laterizi ai piedi della collina lungo la vallata, sotto le mura di Urbino. Sua madre, Teresa Filippini, invece, proveniva da una famiglia di piccoli possidenti agricoli. Volponi frequentò negli anni quaranta il Liceo Classico Raffaello di Urbino, ma insofferente nei confronti dell’istituzione scolastica, preferì alla scuola i vagabondaggi in città e nei campi, dove frequentò contadini ed artigiani. La strada, la campagna e le figure che incontrò durante la sua adolescenza, divennero ben presto i personaggi e le ambientazioni delle sue poesie e dei suoi primi racconti. Nell’estate del 1943, dopo aver conseguito la maturità classica, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza nella nascente Libera Università di Urbino. Nello stesso anno venne chiamato alle armi dalla Repubblica Sociale Italiana, ma rifiutò di arruolarsi e raggiunse, invece, un gruppo di partigiani stanziato sui vicini Appennini. Tuttavia, dopo poco tempo, la formazione si sciolse e la sua famiglia riuscì fortunatamente a trovargli rifugio nella casa isolata dei nonni materni nella campagna marchigiana. Nel 1944, durante l’occupazione da parte delle truppe alleate, si unì all’esercito in marcia verso la citta di Urbino.2 “Mi piace chiamarmi Volponi e penso all’eroismo della volpe che, presa in trappola, si morde la zampa pur di scappare. Io sono così, non riesco a rimanere chiuso in trappola, e mi strappo la gamba pur di scappare.” 3 2.
A. Briganti, VOLPONI, Paolo in Enciclopedia Italiana, IV Appendice, 1981. Le parole di Paolo Volponi in un’intervista a cura di Emanuele Zinato, ‘Quello che sarà domani non ha una forma già prestabilita’ in “Scritti dal margine”, Manni, Lecce 1994. Lo scrittore, riferendosi al suo cognome, si immedesima in una volpe, che, eroicamente, si morde pur di non rimanere in trappola e venire uccisa. La citazione delinea quindi il carattere forte, testardo e determinato del poeta che ha sempre contraddistinto la sua vita, fin dall’adolescenza. 3.
Paolo Volponi (primo da sinistra) con un gruppo di amici a Urbino, Associazione Pro Urbino, Urbino anni ‘40.
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Il poeta romanziere: Urbino e la sua Volpe
Volponi si laureò in Legge nel 1947 e si iscrisse, nello stesso anno, all’albo dell’ordine degli avvocati. L’anno successivo, su consiglio del rettore Carlo Bo, pubblicò il suo primo libro di poesie, un volumetto in tiratura limitata dal titolo Il ramarro, pubblicato dall’Istituto d’arte di Urbino, con prefazione dello stesso Bo. Dal 1948, iniziò a frequentare Milano e il suo ambiente letterario e ciò lo portò, negli anni successivi, alla pubblicazione di altre raccolte di poesie: L’antica moneta (1955) e Le porte dell’Appennino (1959). Queste prime poesie furono la testimonianza dell’evoluzione letteraria di Volponi, che da modi e versi tipicamente post-ermetici, si dirisse verso la forma del poemetto narrativo, preannunciando la svolta verso la prosa che maturò definitivamente all’inizio degli anni ’70.4 4.
A. Briganti, VOLPONI, Paolo in Enciclopedia Italiana, IV Appendice, 1981.
Il poeta romanziere: Urbino e la sua Volpe
L’infanzia, la formazione e lo stretto rapporto di Volponi con la città di Urbino e la sua storia sono minuziosamente descritti in alcune sue pagine. “La mia ‘picciola terra’ è quella di Urbino, dove sono nato dentro le mura della città e dove sono cresciuto fino alla gioventù prima che il mondo cambiasse del tutto con la guerra e con le infinite trasformazioni da essa portate e indotte.” 5 “Io mi sono riempito davanti a quelle vedute, colmato di tutte le voci e i suoni delle mura e delle piazze come di quelli più lontani delle strade e dei campi. [...] Lì ho imparato la poesia su ‘L’aquilone’ pascoliano, guardando il colle dei Cappuccini e traversando, per tornare a casa dalle aule delle stesso collegio del poeta, le folate dello stesso vento; o nell’ ‘Infinito’ leopardiano con un ermo colle fisso davanti alle nostre soste solitarie. Lì ho imparato ad amare la pittura negli orizzonti raffaelleschi dell’ultimo cerchio [...]” 6 “ Lì ho imparato a conoscere il lavoro, prima di tutto quello durissimo e assillante di mio padre, piccolo imprenditore fornaciaio, solerte e di buon umore tra i compagni della fornace, scontroso e buio in città fra le cambiali e i conti [...]. E poi nelle botteghe del rione che era sulla strada di accesso lungo le mura: fabbro con stalla, meccanico, calzolaio, falegname, sarta, e poi gli occasionali muratori [...]. In quello dei contadini che vedevamo piegati nei campi sporgendoci dai torrioni o che seguivamo nei loro trasporti verso i magazzini padronali di grano, uva, legna, fascine [...]” 7
5.
Panorama della città di Urbino, cartolina (10x15cm), Prop. Escl. A. Biagetti, Urbino 1911.
P. Volponi, Cantonate di Urbino, Stibu/ Il Colle, Urbania 1985, pp.35-36.
6.
Ibidem.
7.
Ivi, pp. 37-38.
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Il poeta romanziere: Urbino e la sua Volpe
Il poeta romanziere: Urbino e la sua Volpe
“La mia Urbino” Il libro Cantonate di Urbino è un breve trittico testuale con appendice epistolare scritto da Paolo Volponi e pubblicato nel 1985. Questo libro è uno dei testi di Volponi che, sicuramente, descrive in maniera più dettagliata, quasi a 360 gradi, la visione che lui aveva della città natale. Nella prima parte lo scrittore guida il lettore alla scoperta del progetto rinascimentale di Urbino, città fortemente legata al suo paesaggio naturale, in cui arte, storia e scienza hanno partecipato al suo disegno espressivo e razionale. La città di Urbino è, negli scritti di Volponi, una figura bifronte che, ossessivamente e ripetutamente, è al centro di una fitta rete di immagini nella sua opera narrativa e poetica. Il rapporto con la sua città natale si trasforma così in un ambivalente sentimento di amore ed odio nei confronti della sua terra, che si manifesta chiaramente nei pensieri tormentati dei suoi personaggi. La Città Ideale del Duca Federico che fece costruire il Palazzo Ducale, ossia “il primo palazzo al mondo: non più un castello, ma una dimora civile con settori apprestati per la cultura, anche del governo” è, per Volponi, la definizione della città che incontra la campagna, la città sognata dai contadini-poeti, protagonisti dei suoi romanzi.8 Anche la stessa suggestiva facciata del Palazzo aggetta non sulla piazza, bensì sulle mura della città e sulla campagna, marcando il suo stretto rapporto con il territorio e le colline circostanti. “I torricini del palazzo della corte ducale urbinate […] alti sopra le mura e la campagna, con le punte tra i carriaggi stellari, segnano il territorio soggetto alla città e insieme la misura di un pensiero dominante e di una civiltà. Le terre e i paesi davanti sono tutti intessuti dai piani di una gestione unitaria, razionale, con rocche di difesa che ancora resistono […] ma anche con corti ducali, strade, ospizi, biblioteche, chiese, mercati, fornaci di maioliche.” 9
Torricino di Palazzo Ducale, fotografia dell’autore, Urbino 2019.
8.
P. Volponi, Cantonate di Urbino, Stibu/ Il Colle, Urbania 1985, p.36.
9.
Ibidem.
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Il poeta romanziere: Urbino e la sua Volpe
Il poeta romanziere: Urbino e la sua Volpe
Urbino città rimane così, per Volponi, immobile, isolata, inerme, silenziosa, sigillata e serrata dalla sue mura cinquecentesche, ma ancora fortunatamente intatta nella sua storia e nel suo paesaggio, quasi fiabesco. “Se poi asseconderete la fortuna locale alzandovi presto la mattina, troverete davanti a voi, sui torrioni, il paesaggio appenninico indorato dal primo sole e soffuso in basso, tra le vallate e le forre, di bianche e soffici nebbie come di un mare irreale, da miracolo o da pittura protorinascimentale. Da una di queste mattine è nato di sicuro il disegno di Urbino, il progetto della città ideale, posta all’incrocio degli elementi intrinseci di un territorio, misurata e costruita nel rapporto perfetto tra spazio, edifici, materiali, funzioni, società [...]” 10 La città diventa così essa stessa personaggio calzante e vivo del racconto, impersonificandosi nelle figure dei romanzi volponiani. La solennità e la bellezza di Urbino disegnano i tratti della figura elegante e nobile della madre di Damìn Possanza, protagonista del libro Il lanciatore di giavellotto. “La luce dorata del tramonto distendeva la città dentro le sue proporzioni, serena e solenne in ogni piazza e strada. Damìn fu colpito dalla somiglianza che trovava fervida tra ogni architettura, la sua luce e la sua bellezza, e il volto e la figura della madre: lo stesso portamento e lo stesso ansare calmo della luce e dei gesti. La madre era bella e nobile come Urbino, come quella città piena di tempo e di storia eppure aperta e viva. Anche sulla città erano passati tiranni e prepotenti, e anch’essa era stata invasa e piegata a poteri contrari.” 11 10.
P. Volponi, Cantonate di Urbino, Stibu/ Il Colle, Urbania 1985, p.15.
11.
P. Volponi, Il lanciatore di giavellotto, Einaudi, Torino 1981, pp. 187.
Via del centro storico di Urbino, fotografia dell’autore, Urbino 2019.
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Il poeta romanziere: Urbino e la sua Volpe
Il poeta romanziere: Urbino e la sua Volpe
Nelle due lettere all’amico e poeta Ercole Bellucci, poste alla fine del libro Cantonate di Urbino, la figura idilliaca di Urbino, però, svanisce lasciando il posto ad un città disincantata che esprime tutto il rapporto complesso e viscerale che Volponi ha avuto con questa città. “[...] Urbino non ci appartiene eppure non ci scaccia nè ci sfugge. Io faccio una grande fatica a far finta di vivere serenamente in Urbino, come ogni altro buon urbinate. Qui non c’è idillio, nè rifugio, nè quiete, nè silenzio, nè società. [...] Per continuare a voler bene e a vivere in Urbino occorre arrivare a congiungersi, oltre i fili e la rete di qualsiasi descrizione e relazione, con le immagini vaganti, astrali o artistiche, della città; sfidare ogni volta la vertigine dell’aquila di pietra sopra l’abisso della punta dei torricini.” 12 “ [...] Spesso, specie durante le ore perse in piazza in Urbino, l’umor nero mi prende la testa e m’amareggia la bocca. E’ certo che io voglio bene alla nostra città e anche alle sue giornate civili e alla sua gente. Spesso però mi pare che noi urbinati, singolarmente e in società, non siamo degni e nemmeno coscienti della bellezza di Urbino e del suo paesaggio e che certo non facciamo tutto quello che ci sarebbe da fare per farla crescere e progredire.” 13
12.
P. Volponi, Lettera a Ercole Bellucci, Urbino, 15 giugno 1985, in Cantonate di Urbino, Stibu/ Il Colle, Urbania 1985, p.51. 13. P. Volponi, Lettera a Ercole Bellucci, Roma, 19 giugno 1985, in Cantonate di Urbino, Stibu/ Il Colle, Urbania 1985, p.53. La seconda lettera è stata scritta a qualche giorno di distanza dalla precedente, come spiegazione di ciò che l’autore aveva espresso nel primo invio. Volponi invita quindi l’amico Bellucci a leggere le sue prime esternazioni con giudizio e temperanza, senza prendere alla lettera tutto ciò che, di slancio, aveva dichiarato. Secondo lo scrittore è necessario schiarirsi i sensi e la coscienza per discutere, senza finzioni né riserve, su come poter far tornare a ‘squillare’ le volte dei loggiati e dei palazzi di Urbino.
Paolo Volponi tra le vie di Urbino, foto di Leonardo Cendamo, Urbino 1991.
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Il dirigente industriale e il lavoro operaio
“Lavoratori, buongiorno! La direzione aziendale vi augura buon lavoro. Nel vostro interesse, trattate la macchina che vi è stata affidata con amore. Badate alla sua manutenzione. Le misure di sicurezza suggerite dall’azienda garantiscono la vostra incolumità. La vostra salute dipende dal vostro rapporto con la macchina. Rispettate le sue esigenze, e non dimenticate che macchina + attenzione = produzione. Buon lavoro!” 14
“[...] Dov’è che ero? Facevo il cottimista, seguivo la politica dei sindacati! Lavoravo per la produttività, incrementavo io, incrementavo. E adesso? Adesso cosa sono diventato? Lo studente dice che siamo come le macchine. Ecco, io sono come una puleggia, come un bullone. Ecco, io sono una vite. Io sono una cinta di trasmissione , io sono una pompa! E non c’ho più la forza di aggiustarla, la pompa adesso! [...]” 15
14.
Fotogramma raffigurante il protagonista Lulù, interpretato da Gian Maria Volonté, durante il suo comizio in fabbrica, dal film “La classe operaia va in paradiso” di Elio Petri e Ugo Pirro, 1971. La scelta di inserire nel testo rimandi a questo film è strettamente legata alla descrizione dell’attività letteraria di Volponi che, a partire dagli anni 60’, è caratterizzata dalle vicende dell’industria italiana di quegli anni e dal lavoro operaio con cui Paolo Volponi ebbe l’occasione di entrare in contatto alla Olivetti di Ivrea.
“La classe operaia va in paradiso”, di E. Petri, U. Pirro, 1971. L’annuncio in filodiffusione che ogni mattina accoglie in fabbrica il protagonista Lulù Massa e i suoi compagni operai è il simbolo dell’Italia del boom economico e delle grandi speranze. Nella sua apparente mediocrità, Lulù, si erge a figura esemplare, un uomo come tanti altri scelto per simboleggiare la massa, un personaggio del popolo che diventa eroe tragico. Il ritmo della fabbrica regola così quello della quotidianità proletaria: per gli operai, costretti a lavorare ininterrottamente senza fermarsi, la luce del sole non esiste più. 15. Ibidem. Il racconto è il resoconto dell’esistenza di Ludovico Massa, segnata da un incidente sul lavoro, in seguito al quale perderà un dito. Dopo quindici anni passati in una condizione di assoluta alienazione, il protagonista deciderà di redimersi, abbracciando gli estremismi del movimento operaio e schierandosi contro il lavoro a cottimo, scelta che lo porterà al licenziamento, all’abbandono della compagna e a sfiorare quel sottile confine che separa sanità mentale e follia.
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Il dirigente industriale e il lavoro operaio
Il dirigente industriale e il lavoro operaio
Industria e letteratura Nel 1949, Paolo Volponi conobbe, grazie al rettore della Libera Università di Urbino Carlo Bo, e all’amico poeta, Franco Fortini, l’imprenditore Adriano Olivetti, presidente, dal 1938, della prima fabbrica italiana di macchine da scrivere fondata dal padre, Camillo Olivetti, nel 1908 a Ivrea. Nel 1925, Olivetti compì un viaggio di studi negli Stati Uniti dove visitò le più grandi fabbriche del paese, con lo sguardo rivolto a cogliere il segreto dei moderni metodi di produzione e di organizzazione del lavoro. Al ritorno a Ivrea, propose al padre un ambizioso e innovativo programma per modernizzare l’attività della loro fabbrica. Il suo progetto prevedeva un’organizzazione decentrata del personale, una direzione per funzioni, una razionalizzazione dei tempi e metodi di montaggio e lo sviluppo della rete commerciale in Italia e all’estero.16 Alle numerose proposte strutturali per la vita della fabbrica, Adriano affiancò la prima di tante intuizioni di prodotto: l’avvio del progetto della prima macchina per scrivere portatile, che uscirà nel 1932 con il nome di MP1. Adriano guidò con decisione l’Olivetti verso gli obiettivi di eccellenza tecnologica, miglioramento delle condizioni di vita dei dipendenti, di innovazione e apertura verso i mercati internazionali, dedicando particolare cura anche al design industriale, per il quale, nel 1954, vinse il prestigioso Compasso d’Oro per i meriti conseguiti nel campo dell’estetica industriale.17 16.
Paolo Volponi (terzo da destra) con un gruppo di amici ad Urbino, Associazione Pro Urbino, Urbino fine anni ‘40.
M. Vercelloni, Breve storia del design italiano, Carocci, Roma 2014, p. 68. Con lungimiranza imprenditoriale Adriano Olivetti introdusse la pratica di coinvolgere artisti e architetti, una parte di cultura estranea a quella della fabbrica, a collaborare con l’ufficio tecnico aziendale da lui fondato. 17. L’Olivetti fu premiata sia in Italia che all’estero per il prodotto ‘Lettera22’, la celebre macchina per scrivere meccanica portatile, progettata nel 1950 dall’architetto e designer Marcello Nizzoli, che sostituì il modello MP1 del 1932. Il premio Compasso d’Oro è un importante riconoscimento che viene assegnato dall’Associazione per il Disegno Industriale con l’obiettivo di premiare e valorizzare la qualità del design italiano. Si tratta del più antico e prestigioso premio di disegno industriale al mondo.
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Adriano Olivetti, Archivio Fondazione Adriano Olivetti, Ivrea anni 50’.
L’intento di Olivetti era quello di operare su due fronti: da una parte curare l’immagine esterna della sua azienda, intrattenendo stretti rapporti con la stampa e sperimentando linguaggi pubblicitari innovativi, dall’altra creare un clima di coesione all’interno del personale, così che la vita in fabbrica non fosse subordinata soltanto alla macchina. Il presidente volle dare modo ai suoi dipendenti di arricchirsi con stimoli umanistici e, proprio per questo motivo, si interessò ad assumere una serie di figure dal profilo intellettuale ed umanistico. Fu così che, nel 1956, assunse Paolo Volponi a Ivrea come direttore dei servizi sociali della Olivetti. Nel libro Il leone e la volpe, in un dialogo con Francesco Leonetti che ripercorre la propria esperienza poetica, Volponi ricorda così i primi contatti con Franco Fortini, Adriano Olivetti, e tutto l’ambiente aziendale: “ll mio curriculum vitae lo scrisse a macchina Franco Fortini nel ’49 a Milano. Fortini lavorava all’Olivetti ma non era un ‘olivettiano’, nel senso che non era un ammiratore di Adriano: aveva con lui dei conflitti. Si stimavano reciprocamente e si disapprovavano: si criticavano molto però si rispettavano.” 18 18.
P. Volponi, Il leone e la volpe, Einaudi, Torino 1994.
Il dirigente industriale e il lavoro operaio
Il lavoro di Volponi all’interno dell’Ufficio del Personale della fabbrica fu quello di far sì che l’imprenditore avesse una stretta relazione con gli operai, si faccesse conoscere da loro, così da farli sentire parte operante di un grande progetto, di un’organizzazione collettiva in cui le condizioni di lavoro dignitose e l’operato di ognuno fosse riconosciuto. Per questo motivo, Paolo Volponi e lo scrittore Ottiero Ottieri, assunto dalla Olivetti con l’incarico di selezionatore del personale, organizzarono numerosi dibattiti e attività sociali e stamparono diversi giornali all’interno dell’azienda, come “Notizie Olivetti”. Lo stesso Adriano Olivetti aveva fondato, nel 1946, la casa editrice “Edizioni Comunità”, che si interessava di architettura, filosofia e scienze sociali. Sotto la guida di Volponi, la Olivetti ampliò il progetto di mappatura umanistica, mantenendo la linea razionalista indicata dal suo presidente. All’interno della fabbrica, Volponi e Ottieri approfondirono così i vincoli tra operai, i tempi che scandivano il lavoro, la psicologia degli uomini in relazione alla macchina e il tema dell’alienazione in fabbrica. Con questi elementi gli scrittori forgiarono e definirono le loro opere, caposaldo e capolavori pluripremiati della letteratura industriale.
Operai a lavoro, Archivio Fondazione Adriano Olivetti, Ivrea anni 50’.
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Il dirigente industriale e il lavoro operaio
Pazzia e alienazione Il 27 febbraio 1960, Adriano Olivetti morì improvvisamente durante un viaggio in treno da Milano a Losanna. La sua scomparsa lasciò orfana della sua guida un’azienda presente su tutti i maggiori mercati internazionali, con circa 36.000 dipendenti, di cui oltre la metà all’estero, e un progetto culturale, sociale e politico di grandissima complessità, dove fabbrica e territorio furono indissolubilmente integrati in un disegno comunitario. I rapporti tra lo scrittore e l’azienda iniziarono così ben presto ad incrinarsi: Volponi accusò i nuovi dirigenti di non tenere fede al progetto del loro predecessore e di sperperarne progressivamente l’eredità. Nel 1962, due anni dopo la morte del presidente, uscì il romanzo di esordio di Paolo Volponi: Memoriale. Il testo di Memoriale rappresentò una cronaca dura della vita di fabbrica, in cui furono denunciati i complessi processi di produzione e la condizione di schiavitù dell’operaio, strettamente ed ossessivamente legato al ritmo della catena di montaggio anche al di fuori dell’orario di lavoro. L’autore riuscì, attraverso una forma espressiva quasi diaristica, a penetrare la mente del suo protagonista e a metterne in luce i ragionamenti, i legami con i colleghi, sia operai che dirigenti, e il rapporto con il proprio corpo, percepito come ingranaggio di un macchinario inarrestabile, ma anche come strumento di lotta per l’emancipazione proletaria. “Scrivo del rumore, perchè la prima volta che uno entra nella fabbrica il rumore è la cosa più importante, e più che guardare uno sta a sentire e sta a sentire senza volontà quel gran rumore che cade addosso come una doccia.” 19 Fotogramma dal film “Tempi moderni (Modern Times)” di Charlie Chaplin, 1936. Il protagonista è un operaio di una fabbrica: la sua mansione quotidiana è quella di stringere i bulloni in una catena di montaggio. I gesti ripetitivi, i ritmi disumani e alienanti della catena di montaggio minano la ragione del povero Charlot. La scelta di inserire nel testo rimandi a questo film è strettamente legata alle condizioni che caratterizzano i personaggi dei libri di Paolo Volponi: personaggi alienati che la società e il lavoro hanno portato sull’orlo della pazzia.
19.
P. Volponi, Memoriale, Garzanti, Milano 1962, pp. 38-39.
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Il dirigente industriale e il lavoro operaio
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“Il rumore era forte e le officine erano impressionanti. Erano grandi già allora che la fabbrica era un terzo di quello che è oggi. Grandi, pulite e ordinate, con molta luce. Ciascuno aveva il suo posto di lavoro e ciascuno agiva per conto suo, con grande sicurezza. Sembravano tutti molto bravi e importanti. Mi stupì il fatto che non ci fossero lavori da fare in gruppi: un gruppo tutt’insieme che si dà una mano e tira e spinge di qua o di là o batte martelli o alza una grande macchina. Tutte le macchine erano per un uomo solo e un uomo poteva manovrarle comodamente.” 20 In Memoriale, Volponi narrò le vicende del protagonista Albino Saluggia, ex-prigioniero in Germania durante l’ultima fase della seconda guerra mondiale, assunto da una grande industria del nord e vittima dei suoi mali e di quelli inflittigli dalla fabbrica. Al protagonista venne diagnosticata la tubercolosi polmonare durante le visite mediche per l’assunzione; nonostante ciò entrò lo stesso in fabbrica. Albino Saluggia rappresentò così in quegli anni l’individuo irriducibile al sistema dell’industria, una resistenza che ridusse inesorabilmente il personaggio ad uno stato di profonda e paranoica follia. Il disagio prese nel protagonista, quindi, la forma dell’alienazione: alla solitudine fuori dalla fabbrica si sommarono le relazioni vuote ed effimere nel lavoro. Attraverso la mania di persecuzione di Albino Saluggia, venne così a galla l’alienazione quale effetto del lavoro di fabbrica e dato fondamentale di ogni attività d’indagine industriale da parte della letteratura. Sotto l’apparente razionalità della fabbrica si agitava la realtà alienata e convulsa del protagonista segnato da una diversità e un’irregolarità che lo contrappose violentemente al sistema e ai meccanismi spietati della società del boom economico, isolandolo ancor più nella sua follia. 20.
P. Volponi, Memoriale, Garzanti, Milano 1962, p. 40.
Paolo Volponi a Ivrea, Archivio Fondazione Adriano Olivetti, fine anni ‘50.
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Lo scrittore di Urbino, durante gli anni di lavoro accanto ad Adriano Olivetti, credette fortemente nella potenza liberatrice della tecnica e nell’emancipazione dell’uomo attraverso il progresso tecnologico. La sua esperienza alla Olivetti fu caratterizzata dall’eroico tentativo di conciliare il materialismo della fabbrica con la possibilità di costruire un’alternativa umanistica al processo industriale. Troppo spesso, secondo Volponi, lo sviluppo tecnologico fu messo a rischio dalla logica del profitto e dall’egoismo del padrone, che ridusse così l’operaio ad ingranaggio. L’utopica parabola di Anteo Crocioni, scritta nel 1965, descrisse bene il punto di vista dello scrittore urbinate. Il romanzo, La macchina mondiale, vincitore del Premio Strega nel 1965, seguì il precedente romanzo del 1962, raccontando le vicende del protagonista Anteo, filosofo-inventore e neoilluminista. Come lo definì il giornalista Giorgio Zampa, “questo romanzo affonda in modo naturale e, insieme, estremamente complesso, nella realtà italiana, da quella delle origini buie, arcane, solcate da lampi di magia, a quella di oggi in vertiginosa trasformazione, contaminata, più che rigenerata, dalla civiltà industriale.” 21 A Memoriale e a La macchina mondiale si aggiunse, nel 1974, tre anni dopo la fine del rapporto di lavoro tra Volponi e la Olivetti, il romanzo Corporale, confessione in veste di romanzo, in cui l’autore fece il bilancio del suo operato di intellettuale e dirigente, mettendo in luce l’incontro-scontro con il mentore Adriano. Questi tre romanzi compongono, tra i libri dello scrittore marchigiano, un trittico testuale sul dramma del lavoro operaio e sulla condizione di alienazione e pazzia cronica con cui i lavoratori dovettero convivere negli anni del boom economico. 21.
Paolo Volponi candidato al Premio Strega, Archivio Foto Luce, Roma 1965.
G. Zampa, commento nel libro di P. Volponi, La macchina mondiale, Garzanti, Milano 1965.
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L’amicizia con Pier Paolo Pasolini Pier Paolo Pasolini e Paolo Volponi si incontrarono per la prima volta in Versilia, in occasione del Premio Giosuè Carducci che entrambi si aggiudicarono ex aequo.22 L’amicizia vera e propria nacque però a Roma, dove entrambi vissero e lavorarono. L’influenza romana di Pasolini sulla maturazione letteraria di Volponi si esercitò soprattutto fra il 1954 e il 1956 e proseguì fino al 1965. Il rapporto con Pasolini spinse Volponi a potenziare la sua concezione civile della poesia e della cultura. Lo scrittore urbinate partecipò anche ai primi incontri romani per la fondazione della rivista “Officina”, nata nel maggio del 1955 sull’iniziativa di Francesco Leonetti, Pier Paolo Pasolini e Roberto Roversi. Volponi descrisse così una delle loro prime riunioni: “Io sono stato presente, una volta a Roma, ad una delle prime riunioni, se non proprio la prima, tra Roversi, Leonetti e Pasolini, per la fondazione della rivista; quando arrivai io, intorno al tavolo, come capita quasi sempre a Roma, o del caffé o della trattoria, gli argomenti centrali, di fondo, erano già stati impostati, e con visibile soddisfazione dei tre, che a quel punto si erano dati al giuoco di inventare il titolo. Ma poco dopo Pasolini ci caricò sulla sua prima ‘Seicento’, che guidava da meno di una settimana, per un giro delle borgate più basse oltre la Casilina. Pasolini suonava il clacson, puntualmente con l’indice teso della mano destra, con colpi rapidi e forti, che ripeteva solo una volta, e Roversi rise di questa sua puntigliosa maniera che definì, con molta pertinenza, di carattere didattico.” 23
(Da destra) Paolo Volponi, Roberto Roversi, Francesco Leonetti e Pier Paolo Pasolini, Archivio Riccardi, foto di Carlo Riccardi, Bologna fine anni 50’.
22. «Il premio Carducci del ‘54, che vinsi ex aequo con Pier Paolo Pasolini: tutti e due con una raccolta di poesie. La mia, che pubblicai per Vallecchi nel ‘55, si intitolava L’antica moneta. Lì per lì Pasolini si lamentò con Sereni di aver dovuto dividere “con il modesto Volponi” il premio. Litigammo pure per questo. Poi diventammo amicissimi», (P. Volponi, Quando litigai con PPP, in “Il Sabato”, 4 luglio 1992, p. 59). 23. P. Volponi, Officina prima dell’industria, in “Belfagor”, 30 novembre 1975, p. 72, ora in Romanzi e prose.
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La stima di Pasolini nei confronti del lavoro letterario di Volponi maturò e si consolidò nel corso degli anni, come testimonia una lettera dello stesso Pasolini scritta dopo l’uscita del poemetto volponiano, L’Appennino contadino: “Carissimo Paolo, la tua poesia sui contadini, L’Appennino contadino, è splendida: sei in piena forma, beato te. Si sente che hai lavorato, lavorato, con pazienza e calore e hai raggiunto una pienezza espressiva come certo finora mai.” 24 Nel 1962, anno dell’uscita del romanzo Memoriale fortemente apprezzato da Pasolini, Volponi recitò nel celebre film “Mamma Roma”, diretto dallo stesso Pasolini e dal regista Sergio Citti, interpretando il prete al quale la protagonista, Mamma Roma, va supplichevolemente a chiedere aiuto per trovare un lavoro al figlio Ettore. Le tematiche del film furono quelle care a Pasolini che accompagnarono tutta la sua vita artistica: gli emarginati, il sottoproletariato confinato in un ghetto, l’incomunicabilità con le altre classi sociali, la sconfitta del diseredato. Il ritmo del film è lento e cadenzato da lunghi piani sequenza della periferia della capitale, panoramiche e dialoghi in romanesco. Pasolini narra per immagini un’umanità dolente che sogna un riscatto impossibile, ma deve rassegnarsi ad un destino infelice; proprio come Volponi è riuscito a descrivere nei suoi più celebri romanzi.
Paolo Volponi e Pier Paolo Pasolini, Archivio Riccardi, Roma fine anni ‘60. 24. Lettera di Pasolini a Volponi, Archivio Bonsanti, Fondo Pier Paolo Pasolini, 10 settembre 1959.
Paolo Volponi e Anna Magnani, sul set del film “Mamma Roma”, Archivio Anna Magnani, Roma 1962.
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Nel 1971, dopo i contrasti con il nuovo presidente della Olivetti, Bruno Visentini, Volponi rifiutò la carica di amministratore delegato dell’azienda e rassegnò le dimissioni dalla fabbrica di Ivrea. Passò quindi alla Fiat, ma i rapporti non decollarono mai. Nel 1972 Umberto Agnelli affidò allo scrittore un incarico di studio per conto dell’azienda sui rapporti fra industria e città. Divenuto così segretario generale della Fondazione Agnelli, nel 1975, fu costretto a lasciare l’incarico per aver dichiarato pubblicamente il suo voto a favore del Partito Comunista Italiano (PCI), non gradito alla dirigenza Fiat. In una lettera del 12 aprile 1972, Volponi scrisse all’amico e maestro Pasolini, confrontando, con una serie di metafore, le proprie scelte lavorative. “Ho accettato di collaborare con la Fiat e adesso sono già dentro, in un ufficio, in una solitudine e in una posizione che è inutile descriverti: tu li vedi e li temi con me. Debbo dare consigli e fare programmi su come migliorare i rapporti tra l’industria – questa – e il suo territorio. Torino, il Piemonte, sfondati come una valigia precipitata e travolta da un treno – grande motore medesima Fiat. Ideologicamente rovescerei ogni termine e rimetterei a posto le siepi, le camicie, le scarpe: continuerei a mordere una gioventù che ancora in molti hanno, e anche ignari (e che io sospiro e che riesco ancora a consolidare con il mio fiato). Ma poi troverò dentro la mia saggezza di servo, di cittadino, qualcosa che serva, quasi materialmente, come un brodo o un fazzoletto. E andrò avanti contro la vita. Ma sarei davvero capace di vivere come un giglio del campo e un uccello del cielo? O solo come un mezzo capace, a fianco di cinema, giornali, marciapiedi, letteratura? Oppure vendere i quadri, la casa di Milano e ritirarmi in pensione a Urbino? Ritroverei l’idillio o una qualsiasi passione? Non sarebbe tutto noia, velleità e risentimento?” 25 Lavoratori all’esterno dello stabilimento Fiat di Torino, Archivio fotografico CGIL, Torino fine anni ‘60.
25. Lettera di Paolo Volponi a Pier Paolo Pasolini, Archivio Bonsanti, Fondo Pier Paolo Pasolini, 12 aprile 1972.
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Nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975, Pier Paolo Pasolini fu brutalmente assassinato. Il suo corpo fu trovato, percosso e travolto dalla sua stessa auto, nella spiaggia dell’Idroscalo di Ostia. Il dramma della morte dello scrittore e regista Pasolini sconvolse l’Italia intera e senza dubbio, anche lo stesso amico Volponi, come testimoniaromo le sue parole in televisione: “Io ho un po’ l’impressione che in questa trasmissione avvenga un po’ come un rito, che parliamo bene e con intelligenza, con cordialità e con rispetto di Pasolini, ma senza entrare realmente a parlare della sua vita, cioè del magistero che è stata la sua vita, dell’importanza che sono state le sue opere e nemmeno del dramma della sua morte. A parte tanti altri aspetti, è secondo me un vero dramma pubblico, è un vero, grande fatto drammatico che ha sconvolto la coscienza nazionale per tante implicazioni. Su questo dramma noi dovremmo entrare fino in fondo! [...] E’ un dramma politico e pubblico che deve essere analizzato, cioè deve venir fuori come una grande autoanalisi intorno a questo grosso fatto!” 26
26.
Intervento di Paolo Volponi nella trasmissione Controcampo, Archivi Rai, RAI 2, 8 novembre 1975. L’8 novembre 1975 era prevista sul Secondo Canale Rai la trasmissione di una puntata di “Controcampo”, il programma condotto dal direttore Giuseppe Giacovazzo. Il tema doveva essere ‘Aboliamo la Tv’, ospiti Alberto Ronchey e Pier Paolo Pasolini, ma il 2 novembre il poeta di Casarsa fu barbaramente ucciso. Il conduttore aprì la registrazione della puntata con le parole “A questa trasmissione doveva partecipare lo scrittore Pier Paolo Pasolini, ospite in molte occasioni del nostro programma, per illustrarci una delle sue consuete provocazioni, l’abolizione della tv, che tanto, secondo lui contribuisce all’omologazione degli italiani [...]”. La puntata che andò in onda ruotò quindi intorno ai temi dello sviluppo, della fragilità, dell’identità di Pasolini. Lo studio ospitò Alberto Moravia, Raniero La Valle, Paolo Volponi e Alberto Ronchey. Il presentatore Giacovazzo era molto amico di Pasolini e, durante la trasmissione, lo difese da giudizi avventati: “Ciò che è ancora opinabile per la Magistratura non può essere oggetto di certezza da parte nostra”. Non era ancora il tempo dei processi fatti in tv. Vale la pena ascoltare questo dibattito per la qualità degli interventi e la pacatezza dei toni.
Articolo di Paolo Volponi sulla morte di Pasolini, Il dramma popolare della morte di Pasolini, in “Il Corriere della Sera”, 21 marzo 1976, p. 3.
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“Il capitale è un monarca assoluto, terribile, più duro del re Sole, molto più potente e prepotente. [...] Il capitalismo ha avuto vari collassi, varie crisi, perchè è così, è ingordo, avido, mangia troppo, molto di più di quello che può digerire e poi sta male, e naturalmente fa pagare agli altri sempre le sue sofferenze.” 27
“ - Un giorno dirò tutto, scriverò un memoriale, un libro bianco sui grandi dirigenti, sulle grandi politiche aziendali, la verità sulla ricerca e sullo sviluppo, sulle qualità produttive, sugli investimenti, sulle grandi novità tecnologiche, sui grandi, questi sì, altro che grandi, prelievi personali e soprusi, sulle mosche, sì, le mosche del capitale. Si fermò su questa immagine, che gli pareva cogliesse esattamente la banda dei suoi nemici, tutti gli amministratori e i manager industriali di successo, fatti di voli e voletti, di ali e alette...azzurre come cravatte...tutti a modo, con gesti e accenti, aggiornamenti e riverenze, relazioni e riferimenti, le sapienti colorate voraci mosche del capitale, sì, le mosche...per di più svolazzano e ronzano dappertutto, in bell’inglese, per andare a succhiare e a sporcare.” 28
27.
Copertina originale di Le mosche del capitale, Einaudi, Torino 1989.
28.
P. Volponi, Le mosche del capitale, Einaudi, Torino 1989, p. 1. Ivi, pp. 180-181.
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Gli anni di piombo Il 12 dicembre 1969, un ordigno di elevata potenza esplose nel salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano, in piazza Fontana, dove coltivatori e imprenditori agricoli erano arrivati dalla provincia per il mercato settimanale. Il pavimento del salone fu squarciato e gli effetti furono devastanti. La bomba uccise diciassette persone e altre novanta circa furono ferite. Alcuni minuti prima dell’esplosione in piazza Fontana, un altro ordigno venne rinvenuto nella sede della Banca Commerciale di piazza della Scala, sempre a Milano. Successivamente altre tre esplosioni si verificarono a Roma: una, all’interno della Banca Nazionale del Lavoro di via San Basilio e altre due, sull’Altare della Patria di piazza Venezia. I cinque attentati del pomeriggio del 12 dicembre 1969 segnarono l’inizio del periodo che, in Italia, venne definito di ‘strategia della tensione’.29 Dopo aver inizialmente imboccato la pista anarchica, le indagini si concentrarono su alcuni esponenti del gruppo padovano della organizzazione di estrema destra Ordine Nuovo e coinvolsero esponenti di spicco dei servizi segreti. Il processo a carico dei responsabili della strage si svolse tra polemiche originate dalla decisione della Corte di Cassazione di trasferirne la trattazione da Milano a Catanzaro. Nel gennaio del 1987, la Corte di Cassazione rese definitiva la sentenza che assolveva per insufficienza di prove gli imputati di strage. Un secondo processo fu instaurato con esito negativo per l’accusa. A metà degli anni Novanta, le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, già appartenenti o contigui a gruppi di estrema destra, determinarono l’inizio di un altro giudizio.30 29. “
Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano a seguito dell’attentato del 12 dicembre 1969, Archivi Rai, Roma.
L’espressione fu coniata dal settimanale inglese ‘The Observer’, nel dicembre 1969, all’indomani della strage di piazza Fontana, per indicare la strategia eversiva basata principalmente su una serie preordinata e ben congegnata di atti terroristici, volti a creare in Italia uno stato di tensione e di paura diffusa nella popolazione, tali da far giustificare o addirittura auspicare svolte di tipo autoritario.”, (def. Treccani). 30. A. Brancati, T. Pagliarani, Dialogo con la storia. Vol. 3: L’età contemporanea La Nuova Italia, Firenze 2012, p. 312.
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“[...] Ma ormai tutti si appressavano all’apparecchio televisivo, alto su un treppiede sgraziato in fondo alla sala, sul cui schermo già ruotava tra le trombe il globo finto dell’orbe. Un attimo dopo la notizia era già ferale sulla faccia dell’annunciatore. Lentamente costui, tenendosi alto e rigido sopra il foglio, confermò le voci e i dati più brutti, con una recitazione che accentuava i vuoti, come se ancora fossero taciuti avvenimenti ed effetti anche più drammatici: - Dodici morti e cento feriti per un attentato alla filiale della Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana, a Milano...le bombe sono esplose sotto il tavolo al centro dell’atrio dove si svolgono le contrattazioni, particolarmente intense oggi, come ogni venerdì, giorno di mercato...L’esplosione ha fermato gli orologi della piazza sulle 16,37...una seconda bomba nei locali della Banca Commerciale Italiana è rimasta inesplosa. Quasi contemporaneamente esplodono le bombe a Roma, la prima alle 16,45 in un corridoio sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro...tredici feriti tra gli impiegati, dei quali uno gravemente; il secondo ordigno esplode su una terrazza dell’Altare della Patria, sul lato dei Fori Imperiali...Subissoni ebbe due o tre sussulti e disse: - Fascisti! Solo loro salgono quelle scale e possono vedere quei fori...- Silenzio, - gli urlò brutto sotto il muso uno degli spettatori, dall’aspetto di non urbinate... - Otto minuti dopo la terza esplosione, ancora sulla seconda terrazza, ma dalla parte dell’Ara Coeli. Nessuno disse più niente; sembrò che le due battute, quella di Subissoni e del forestiero, avessero esaurito ogni reazione.” 31
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maggiormente di una libertà di intervento e giudizio nella narrazione dei fatti. La storia del romanzo è ambientata ad Urbino e si concentra in pochi giorni, iniziando dalla data cruciale del 12 dicembre 1969 con lo scoppio della bomba in piazza Fontana a Milano. La notizia dei plurimi attentati echeggia nella caffetteria della remota Urbino, microcosmo rinascimentale velato da un sipario che tutto copre e attutisce. Volponi descrive l’evento e le sue conseguenti reazioni attraverso due piani diversi: quello del conte Oddi-Semprioni e quello della coppia di anarchici, Gaspare Subissoni e la compagna Vivés. L’autore, con il nuovo romanzo, propone ai lettori pagine dense di passione e tensione in cui la sua Urbino diventa il teatrino da cui commentare il palcoscenico nazionale dell’inizio degli anni ’70: un palchetto su cui muovono le loro vicende personali i suoi protagonisti. “Altro che andare a fare gli attori sul palcoscenico della storia. Ogni uomo porta con sé la sua scena” commenta infatti il professore in uno dei suoi tanti dialoghi impegnati con la propria donna, mentre questa gli afferma che l’Italia non esiste.32
Nel 1975 fu pubblicato Il sipario ducale che sancì ed avviò una nuova fase nella narrativa di Volponi. Lo scrittore, in questo libro, abbandonò la forma più diretta della prima persona,per poter fruire
“Il malessere che si diffonde a quell’ora tra i loggiati o davanti ai pubblici edifici è dovuto più alle cattive coscienze individuali o alle stanchezze o alle delusioni (…). Il pensiero, una volta fonte e tutela di libertà, diventa appagamento e va in giro, quando esce e si mostra, per lodare se stesso e contare le soddisfazioni ottenute, nell’orgoglio supremo di essere perfettamente uguale a quello degli altri a Urbino, a Pesaro, a Roma, a Milano, a Londra, a Parigi, a Berlino; invece di esprimere fremiti di autonoma ricerca. Subissoni era arrivato in piazza in quel momento e faceva dentro di sé queste considerazioni guardando quel sipario a metà. Non meritava che si mettesse a recitare.” 33
31.
33.
32.
P. Volponi, Il sipario ducale, Garzanti, Milano 1975, pp. 21-22.
P. Volponi, Il sipario ducale, Garzanti, Milano 1975, p. 77. Ivi. p. 130.
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L’impegno politico Dal 1975, con l’espulsione dalla Fondazione Agnelli a causa dell’esplicita dichiarazione di voto per il Partito comunista italiano, Volponi si impegnò in una sempre più intensa e diretta militanza intellettuale e politica. Lo scrittore vedeva nel Pci di Berlinguer una grande guida collettiva, capace di ridisegnare l’idea del paese e della Repubblica partendo dal basso e di guidarla verso una cultura industriale e partecipativa. Volponi, dal 1976, avviò una ricca collaborazione con il “Corriere della Sera” e con “L’Unità”, scrivendo numerosi articoli. Tra il 1977 e il 1978, fu membro del Consiglio di amministrazione della Rai e, nel 1980, fu eletto nel Consiglio comunale di Urbino, sua città natale. Nel 1983, lo scrittore venne eletto senatore nel collegio di Urbino come indipendente nelle liste del PCI; fu membro della Commissione Industria e successivamente anche della Commissione Affari Esteri. Durante lo stesso anno, accettò di candidarsi al Senato come indipendente e svolse una campagna elettorale assidua e capillare, con oltre cinquanta comizi e dibattiti in tutte le Marche. Il filo conduttore della sua proposta politica fu il riconoscimento della centralità del lavoro umano contro gli interessi del capitalismo. “Ho litigato con il presidente, un illustre politico, perchè non eravamo d’accordo sull’assetto da dare all’azienda. Lui diceva: - Caro Volponi, le industrie le fanno gli uomini - ed io, invece, risposi che sì le fanno gli uomini, ma non i cosiddetti ‘capitani d’industria’, bensì tutti gli uomini che lavorano in un’azienda sotto la guida del grande capitano, anche quelli che stanno alle macchine, alle pulitrici, ai forni, alle officine, alla verniciatura, che si ammalano per certi lavori allora alienanti e che oggi fanno i robot.” 34
Paolo Volponi nella sua casa di Urbino, foto di Leonardo Cendamo, Urbino 1991.
34.
P. Volponi, Parlamenti, a cura di Emanuele Zinato, Ediesse, Roma 2011, p. 23.
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Negli anni dell’impegno politico, Volponi continuò a scrivere. Nel 1989 fu pubblicato il suo penultimo romanzo, immaginato già dal 1975: Le mosche del capitale. Il libro è dedicato ad Adriano Olivetti, maestro dell’industria mondiale, di cui Volponi era grande estimatore e allievo. Ispirandosi alla propria esperienza di dirigente aziendale, prima all’Olivetti e poi alla Fiat, l’autore narra le vicende di Bruto Saraccini, dirigente idealista che deve fare i conti con la crudele realtà dei padroni e dei loro servi devoti, ovvero le “mosche del capitale”, cioè capi e dirigenti che divorano i profitti e i finanziamenti pubblici ai danni degli operai e, più in generale, ai danni di tutta la collettività. Il protagonista del romanzo può essere definito come l’estrema proiezione autobiografica di Paolo Volponi, così come l’intero testo può rispecchiare un drammatico bilancio personale e il collasso dell’industria a cui Volponi aveva assistito durante la sua carriera. Nonostante però il romanzo si apra con una piccola nota dell’autore in cui viene chiarito che “i personaggi e le vicende di questo romanzo sono del tutto immaginari e ogni riferimento alla realtà è puramente casuale”, questa espressione, contraddetta dalla facile riconoscibilità dei personaggi descritti, va intesa senza dubbio in senso ironico.35 Alla stregua di altri personaggi volponiani, come Anteo Crocioni in La macchina mondiale o Albino Saluggia in Memoriale, “Bruto Saraccini rappresenta i derelitti e gli uomini in estremo pericolo che gli antichi greci definivano pharmakòi, capri espiatori e martiri di situazioni conflittuali in cui, annientandosi o venendo eliminati, mettono a nudo la verità.” 36
35.
P. Volponi, Le mosche del capitale, Einaudi, Torino 1989, p. 4. Prefazione di Massimo Raffaeli in P. Volponi, Le mosche del capitale, Einaudi, Torino 1989.
36.
Paolo Volponi, Fondazione Carlo e Marise Bo - ASPU, Archivi Storici e di Personalità - Urbino, foto Mario Dondero.
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Paolo Volponi, Archivio Urbinate Fondo Carlo Bo, foto di Giovanna Borgiese, anni ‘90. 37. (pagina a fronte) S. Malatesta, Le mosche di Volponi, in “La Repubblica”, 7 aprile 1989, p. 30. L’intervista realizzata poco prima dell’uscita del romanzo evidenzia i dubbi e le preoccupazioni dell’autore che ha trasferito nelle sue pagine tutte le delusioni accumulate durante i suoi anni in fabbrica dopo la morte di Adriano Olivetti.
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“ - Adesso esce ‘Le mosche del capitale’: una fatica per sistemarlo, era lievitato troppo, certi dolori... Ma capiranno? Volponi si alza dalla sedia, sbuffa, va in cucina a cercare qualcosa che non c’è. Si rimette a sedere, mi dà una pacca sulle spalle. [...] - Vuole una definizione del mio nuovo romanzo? Un libro sulla cultura industriale e il modo di operare dei grandi dirigenti negli ultimi o penultimi anni: arroganza, protervia, avidità, prepotenza, perdita dell’ umano. Le sembro apocalittico? Non mi guardi così: al Senato facevo parte della Commissione Industria. Poi ho dovuto cambiare perché parlavo sempre male degli industriali e non era un atteggiamento visto con simpatia, neanche trattandosi di un senatore del Pci. Adesso faccio parte della Commissione Esteri. - [...] - Potevo andare a fare il senatore nella Sinistra Indipendente e trasformare il seggio in una sinecura, pensando solo ai miei problemi. Essere nel Pci significa invece mettersi sempre a disposizione, perché la gente chiede, s’ informa. Ma è una scelta che non rimpiango. Dice di aver cominciato a scrivere il romanzo tra il 1977 e il 1978: Una storia ambientata temporalmente tra gli industriali che manovravano per uscire da una certa crisi, però non dalla parte del rinnovamento, e la manifestazione dei capetti a Torino. Il protagonista, Saraccini, è un dirigente di seconda fascia, proposto al vertice dell’ azienda per le sue doti di capacità, lungimiranza, fedeltà, che alla fine rimane vittima di giochi molto più grandi di lui. Un illuso prima, poi un amareggiato e un deluso, ma anche un ambiguo, che non dice sempre di sì, ma che non dice mai chiaramente di no. Insomma, cose italiane: la fabbrica, i dirigenti, le città fatiscenti e cadenti, le manovre di potere per bloccare i possibili rinnovamenti, gli pseudoilluministi. [...] Poi riprende: - Dunque, già dal titolo, ‘Le mosche del capitale’, si capisce come la penso: è la metafora di un campo fumante di macerie o di qualche altra cosa, dove si addensano le mosche. Sono stato ventidue anni alla Olivetti; e se si fosse data retta ad Adriano Olivetti, forse questo libro non lo avrei mai scritto.” 37
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Purtroppo nel settembre del 1989, morì il figlio di Paolo Volponi, Roberto, in un incidente aereo di ritorno da L’Havana. Nel 1991 lo scrittore donò, in ricordo del figlio, parte della sua collezione di quadri antichi alla Galleria Nazionale delle Marche, presso il Palazzo Ducale di Urbino. Nello stesso anno, Volponi vinse di nuovo il Premio Strega con il romanzo La strada per Roma, confermandosi così l’unico scrittore italiano ad aver vinto il premio due volte durante la propria carriera. Volponi inizia il nuovo romanzo con queste parole:
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Il racconto narra le vicende di un giovane urbinate, Guido Corsalini, che, laureatosi in giurisprudenza nella sua città natale, intende lasciare Urbino per Roma, per iniziare a lavorare in banca. Questo nuovo romanzo di formazione descrive la storia di un giovane che vive con sofferenza il distacco dall’età adolescenziale e, credendo di svincolarsi dalla piccola e dolce realtà in cui è nato, imbocca la strada per Roma, diventando finalmente adulto.
“Questo romanzo è il primo che ho pensato e progettato, alla fine degli anni ‘50. Ho cominciato a scriverlo soltanto qualche anno più tardi, nell’autunno del ‘61, appena dopo aver consegnato ‘Memoriale’ all’editore. Allora lo scrivevo secondo un titolo orientativo che era quello di ‘Repubblica borghese’. La Repubblica aveva acceso infinite speranze, ancora di più in Urbino [...]. Ma quella Repubblica stava già inclinando verso una restaurazione moderata. Anche per questo all’inizio del ‘64 fui colto dall’urgenza de ‘La macchina mondiale’. Sospesi questo romanzo con l’impressione di non essere riuscito a finirlo completamente. Lo mettevo da parte e lo conservavo come un deposito di materiale vero e utile, ma non del tutto capace di reggere una realtà che sembrava sorpassarlo e sovrastarlo con le affermazioni di una superiore e più copiosa qualità. Da allora quasi trent’anni sono passati lungo un periodo di pratica politica e di forzoso accomodamento che ha offuscato e travolto le speranze vivide, anche se imprecise e di diverso segno, degli attori di questo romanzo. [...] Non ho cambiato niente del testo originale, limitandomi solo a qualche pulitura. Il vecchio titolo non mi è semnbrato più giusto, essendosi nel frattempo la Repubblica del tutto rivelata ben più che borghese. Un’altra volta dunque si deve riprendere ‘la strada per Roma’.” 38 38.
P. Volponi, La strada per Roma, Einaudi, Torino 1991, p. 3.
Paolo Volponi nella sua casa di Urbino, foto di Isabella Balena, Urbino 1993.
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I discorsi e gli interventi, portati da Volponi nell’Aula del Senato dal 1983 fino al 1993, toccarono gli argomenti che sempre accesero la passione civile del poeta: il lavoro, la scuola e i disagi dei giovani, il Mezzogiorno e il piano energetico nazionale, l’intervento nella Guerra del Golfo e la legge sul sistema radiotelevisivo. Inoltre il 6 luglio 1992, poco prima di dimettersi, presentò, alla Camera, una proposta di legge per il recupero e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico ed ambientale della sua città, Urbino. La legge prevedeva la prosecuzione dei lavori di restauro di Palazzo Ducale, della Cattedrale e della Rocca Albornoz, nonchè il restauro e il consolidamento della Chiesa e del Convento di San Bernardino. “Non c’è quasi nessuno dei centri del territorio dell’antico Ducato che non abbia un suo palazzo ducale che in qualche modo assomigli a quello centrale di Urbino, che non abbia edifici di timbro urbinate eretti da architetti della corte di Urbino, in special modo da Francesco di Giorgio Martini, e che non abbia soprattutto opere militari di questo grande architetto [...]. Con la presente proposta di legge intendiamo risanare e far vivere i preziosi monumenti e la misura rinascimentale della città di Urbino che è un segno della civiltà occidentale, è un segno dell’Europa; ma questa volta insieme con Urbino ci sembra giusto toccare anche quelli che potremmo chiamare dei veri e propri terminali diffusi nel territorio e che vogliono ancora avere un rapporto vivo con il centro.” 39
39.
P. Volponi, Proposta di legge . Disposizioni per il recupero e la valorizzazione del patrimonio artistico ed ambientale della città di Urbino, Archivio Storico del Senato, Atti Parlamentari, Roma 6 luglio 1992.
Pagina iniziale della proposta di legge del deputato Volponi, Archivio Storico del Senato, Atti Parlamentari, Roma 6 luglio 1992.
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Gli scritti postumi Nel gennaio del 1993, Paolo Volponi fu costretto a ritirarsi, a causa delle inferme condizioni di salute, dall’attività parlamentare. Nello stesso anno, vinse il Premio Raffaello della Provincia di Pesaro e Urbino dedicato all’opera di un cittadino eminente nel campo dell’arte e del mondo del lavoro. Nel 1994, con l’ausilio dello studioso Emanuele Zinato, raccolse gli scritti minori dal 1977 al 1990 nel volume Scritti dal margine e pubblicò Il leone e la volpe, un dialogo con l’amico Francesco Leonetti. Gli ultimi mesi di vita dello scrittore furono però tormentati da continui ricoveri ospedalieri. Volponi morì d’infarto il 23 agosto 1994 ad Ancona. Durante gli anni dell’impegno politico, lo scrittore progettò un vero e proprio “romanzo parlamentare” sulle vicende di Palazzo Madama, insieme al collega e senatore del Pci, Edoardo Romano Perna. La storia narra, attraverso uno scambio epistolare tra i due protagonisti, le ricerche svolte per svelare l’identità del misterioso Senatore Segreto che avrebbe abitato i palazzi del Senato sin dagli anni dell’Unità d’Italia. Del romanzo, rimasto incompiuto a causa della morte dell’autore, sono stati pubblicati però, in Parlamenti a cura di Emanuele Zinato, soltanto il piano dell’opera, che si interrompe alla fine della prima parte coincidente con la seconda metà dell’anno 1985, e 5 lettere di Paolo Volponi. “Nella figura del Senatore Segreto insomma Volponi avrebbe rappresentato l’obbiettivo di quella polemica di lunghissima durata sulla mancata realizzazione di un ideale di convivenza civile progredito e illuminato nel nuovo assetto fortemente accentrato, imborghesito e burocratizzato dell’Italia unita, che non lo abbandonò mai, sia in relazione allo sviluppo industriale, sia durante il proprio impegno parlamentare, sia nella prospettiva di scrittore.” 40
Paolo Volponi (primo da destra) con un gruppo di amici fuori da un’osteria di Urbino, Associazione Pro Urbino, Urbino anni ‘90.
40. S. Pellegrin, Una parodia problematica: l’indagine irrisolta de Il senatore Segreto in P. Volponi, Parlamenti a cura di Emanuele Zinato, Ediesse, Roma 2011, p. 57.
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Così i numerosi materiali preparatori, sia manoscritti che dattiloscritti, conservati e ritrovati in una cartella nella casa urbinate dello scrittore, documentarono un’accurata elaborazione del romanzo, ma purtroppo interrotta. Il progetto del nuovo romanzo ruotò intorno ad un’inchiesta paradossale: tracce ed indizi, voti misteriosi, orme e odori, oggetti e cibi scomparsi o rubati indussero i due senatori a suppore la presenza di un’ambigua figura, un Senatore Segreto nascosto nei sottoscala di Palazzo Madama. Per venire a capo dell’enigma, i due avviarono una lunga corrispondenza epistolare e delle ricerche d’archivio per chiarire quegli avvenimenti. “Avrei dovuto raggiungerti secondo i miei calcoli, sul primo scalino della biblioteca. Ma quando fui di fronte a quell’andito lo vidi e lo percepii, anche all’olfatto, del tutto deserto. La sua rotondità felpata emanava il consueto fetore inconfondibile, misto di cera, cuoio, inchiostro, lavanda, candela, fotocopiatrice, scarpe, guenti, cappelli, ombrelli bagnati. [...] non potei non provare l’impressione di avere sorpassato e di stare sorpassando uno, una persona, alle spalle, appena di finaco, dietro l’una o l’altra delle tende, gli stipiti. Mi sono immediatamente ricordato che molti senatori mi hanno detto di aver provato sempre la stessa impressione e che altri mi hanno raccontato che davvero uno c’è, vero, che circola e si nasconde, che non vuol farsi vedere. E che alcuni, nel corso delle varie legislature l’hanno affrontato.” 41
41.
P. Volponi, Lettera prima “ in Parlamenti a cura di Emanuele Zinato, Ediesse, Roma 2011, pp. 73-74.
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“Caro Perna, rispondo all tua seconda lettera per dirti subito che io non solo continuo a pensare che il Senatore Segreto sia unn personaggio reale, vivo ed esistente almeno nella realtà del Senato; ma che ho ricevuto conferme e anche prove concrete che alimentano la mia credenza e che la conducono, oltre le convinzioni e le deduzioni, sul piano dell’oggettività. Questo è il sicuro punto delle nostre ricerche. Noi dobbiamo lavorare e ragionare insieme per individuare e rivelare a tutti il Senatore Segreto, per smascherare ogni suo intento insieme con la sua clandestinità colpevole e con ogni truffa che ne derivi. [...] Credo che la presenza del Senatore Segreto sia un elemento storico, istituzionale e politico e che la sua clandestinità non sia metafisica o casuale, ma deliberata e motivata.” 42
42. P. Volponi, Lettera seconda in Parlamenti a cura di Emanuele Zinato, Ediesse, Roma 2011, p. 89.
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Volponi non pubblicò mai un libro di racconti, ma ne scrisse tanti in diverse fasi della sua carriera. Il volume I racconti a cura di Emanuele Zinato, edito da Einaudi nel 2017, raccoglie tutti i racconti di Volponi scritti durante la sua vita e ritrovati nella sua casa urbinate. Questo libro unisce le diverse varietà della scrittura dell’autore, con esiti in molti casi non inferiori a quelli dei suoi più ammirati romanzi. I racconti citati sono prose brevi inedite degli anni ’40, pubblicate nell’appendice del libro, trovati da Caterina Volponi, figlia di Paolo, fra le carte del padre, e nove racconti databili fra il 1965 e il 1985. I primi tre brevi racconti sono tentativi che presentano temi di grande interesse: le vite a margine, il bisogno di amore e di riconoscimento. Per apprezzare questi testi, va tenuto conto che nei primi anni ‘40, la vera educazione di Volponi avvenne fuori dalle aule del Liceo Raffaello Sanzio nei vagabondaggi curiosi dentro e fuori le mura di Urbino, nelle campagne, negli orti, nelle botteghe artigiane e nei mercati. Il racconto inedito più emblematico, scritto nel 1965, fu senz’altro Annibale Rama, storia di un perito elettronico che inventò un ingegnoso personal computer. La vicenda compositiva del racconto, che si potrasse per un anno documentata da lettere e appunti, è di forte interesse soprattutto per l’argomento precocemente “tecnologico”. Rappresenta infatti una delle primissime attestazioni della comparsa del computer fra gli oggetti letterari italiani. “Annibale Rama è un inventore ‘alla Galileo’ o meglio uno Steve Jobs ante litteram, che progetta un piccolo calcolatore superiore a ogni altro esistente al mondo e utilizzabile dai privati e dalle famiglie.” 43 Nel gennaio 2017 fu pubblicata, in un articolo su “Il Corriere della Sera”, la prima parte del racconto inedito del 1965. L’articolo descrive Volponi come il creatore geniale di uno dei primi Steve Jobs della storia della letteratura italiana. Articolo su Paolo Volponi, Quando Volponi creò Steve Jobs, in “Il Corriere della Sera”, 14 gennaio 2017, p. 46.
43.
Prefazione a cura di Emanuele Zinato in P. Volponi, I racconti a cura di Emanuele Zinato, Einaudi, Torino 2017, p. 10.
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La Fornace Volponi di Urbino
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“L’infornamento risultava un lavoro abbastanza sopportabile, in quanto si manipolavano materiali freddi e si operava a una certa distanza dal fuoco, mentre invece lo sfornamento, a mano a mano che ci si avvicinava al fuoco e si lavorava a contatto con materiali molto caldi, era infernale; i mattoni talvolta erano roventi e quando si entrava nelle camere i capelli si bruciavano e la pelle si arrossava e si screpolava; l’unica protezione erano degli stracci umidi sulle braccia e sulle mani.” 44
Operai impiegati nel trasporto dei laterizi dal forno Hoffmann al piazzale di stoccaggio, Fornace Frazzi Foratoni, Città della Pieve (PG), fonte: dal web
44.
AA. VV., La società Laterizi e l’arte del cotto a Imola, Bologna 1992, p.201. La citazione di fonti orali descrive la cottura in un forno Hoffmann.
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L’invenzione di un edificio - macchina Nel 1860 la rivista “Zeitschrift für Bauwesen”, edita a Berlino, pubblicò un lungo articolo dedicato ad un forno circolare a lavoro continuo per cuocere i mattoni costruito a Scholwin, presso Stettino, nel territorio del Regno di Prussia.45 L’autore è un costruttore tedesco, Friedrich Eduard Hoffmann (1818-1900), che avviò l’attività della sua fornace di laterizi insieme a Julius Albert Gottlieb Licht (18211898), direttore dell’ufficio tecnico del comune di Danzica. L’anno successivo, a testimonianza della portata dell’evento per il mondo delle costruzioni, la notizia fu ripresa contemporaneamente, in Francia e in Italia, da altri due prestigiosi organi di diffusione della cultura tecnica europea: “Nouvelles Annales de la Construction” e il “Giornale dell’Ingegnere Architetto e Agronomo”.46 Il forno circolare Hoffmann, brevettato nel 1858, cominciò a diffondersi in Europa e, nel 1867, all’Esposizione Universale di Parigi, la sezione prussiana ne presentò un modello che venne premiato con la medaglia d’oro. La giuria premiò e mise in evidenza i suoi vantaggi tecnici ed economici; alla semplicità e all’efficacia delle operazioni di cottura, che riducevano al minimo la quantità di prodotto da scartare, si aggiunse infatti “une èconomie très-notable de combustible” (un notevole risparmio di carburante).47
Tav. XXX. Forno a gas per la cottura della calce e laterizi a sistema continuo, dal volume di V. Zoppetti, Disegni di forni, macchine ed apparecchi per la siderurgia a corredo del corso di metallurgia professato all’Istituto Tecnico Superiore di Milano, litografia Gruppelli, Biblioteca Storica Politecnico di Milano, Milano 1874.
45. F. Hoffmann, Ringförmige Brennöfen mit immerwährenden Betrieb, insbesondere der auf der Patent-Ziegelei in Scholwin bei Stettin ausgeführte Brennofen, (Forni anulari a funzionamento continuo, in particolare il forno della fabbrica di laterizi di Scholwin vicino a Stettino), in “Zeitschrift für Bauwesen”, Jahrgang X, Verlag Von Ernst & Korn, Berlino 1860, pp. 523-540. (vd. F. Bucci, La fornace Hoffmann. La cottura dei mattoni a ciclo continuo. Da Berlino a Milano, l’invenzione di un edificio-macchina, in “Casabella”, 906, 2020, pp. 28-35.) 46. Fours circulaires à travail continu de la tuilerie de Scholwin, pres Stettin. Par MM. Friedr. Hoffmann et A. Licht, (Forni circolari a lavoro continuo della fabbrica di mattoni a Scholwin, vicino a Stettino. Di MM. Friedr. Hoffmann e A. Licht), in “Nouvelles Annales de la Construction”, Parigi 1861, pp. 38-39. Forni circolari ed a lavoro continuo per cuocer mattoni, a Scholwin presso Stettino, in “Giornale dell’Ingegnere Architetto ed Agronomo”, vol. IX, Milano 1861, pp. 505-506. (vd. F. Bucci, La fornace Hoffmann. La cottura dei mattoni a ciclo continuo. Da Berlino a Milano, l’invenzione di un edificio-macchina, in “Casabella”, 906, 2020, pp. 28-35.) 47. M. E. Baude, Terres cuites et poteries (Terracotta e ceramica), in Exposition Universelle de 1967 à Paris. Rapports du Jury International, Parigi 1868, p. 96.
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Si trattò di una notevole svolta tecnologica di portata storica in un settore produttivo antichissimo come quello dei laterizi, attuata proprio nel momento in cui si celebravano le potenzialità di nuovi materiali come il ferro e l’acciaio. In occasione dell’esposizione parigina, il Consiglio provinciale della città di Milano inviò una delegazione di esperti per studiare da vicino le novità presentate nelle varie sezioni. Per i materiali da costruzione, l’incarico fu affidato all’ingenere piemontese, Giulio Axerio. Il risultato della suo lavoro fu una relazione intitolata Della fabbricazione dei laterizi, delle calci e dei cementi, in cui esaminò dettagliatamente le diverse fasi della produzione dei laterizi e riportò le modalità e i costi per la costruzione e la gestione degli impianti, nonchè le notizie sul numero degli addetti, il consumo di combustibile, i tempi e soprattutto il raffronto con i vecchi metodi adottati nella provincia di Milano.48 L’autore invitò quindi gli imprenditori italiani a costruire impianti per la produzione di laterizi con il metodo di Hoffmann.
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(pagina a fronte) Tav. XXVII. Forni Boetius - Forno Hoffmann, (pagina corrente) Tav. XXIX. Studio e dettagli di un forno Hoffmann dal volume di V. Zoppetti, Disegni di forni, macchine ed apparecchi per la siderurgia a corredo del corso di metallurgia professato all’Istituto Tecnico Superiore di Milano, litografia Gruppelli, Biblioteca Storica Politecnico di Milano, Milano 1874.
Il successo del nuovo sistema, anche nel Regno d’Italia, fu dovuto in primo luogo alla stretta relazione tra organizzazione del lavoro e organizzazione dello spazio, caratteristica che definì questi nuovi edifici industriali ottocenteschi come edifici-macchina progettati in modo da corrispondere alle esigenze della produzione. Rispetto agli antichi modelli a fuoco intermittente, la nuova tipologia di fornace a fuoco continuo risolvette una lunga serie di scompensi del ciclo produttivo dei laterizi, cioè: lunghezza eccessiva dei tempi di cottura e di raffreddamento, dispersione termica, spreco di combustibile e disomogenea esposizione al calore che produceva, di conseguenza, mattoni o troppo cotti o troppo crudi.49
48. G.Axerio, Della fabbricazione dei laterizi, delle calci e dei cementi, Milano 1868. (vd. F. Bucci, La fornace Hoffmann. La cottura dei mattoni a ciclo continuo. Da Berlino a Milano, l’invenzione di un edificio-macchina, in “Casabella”, 906, 2020, pp. 28-35.)
49. Le fornaci industriali, utilizzate soprattutto a partire dal XIX secolo, possono essere a fuoco intermittente o a fuoco continuo. Nella prima tipologia, quella più antica, dopo ogni ciclo di cottura si lasciano raffreddare gli ambienti, si svuotano del materiale cotto e successivamente si ricaricano. Mentre per quanto riguarda la seconda tipologia, più innovativa, il processo di calcinazione e quello di cottura avvengono senza interruzione.
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Inoltre, con il sistema a fuoco continuo, non esistevano più tempi morti di lavorazione perchè, mentre in una parte della fornace era in corso la cottura, in un’altra era possibile immettere i mattoni crudi già essiccati e prelevare quelli cotti o, se necessario, compiere le frequenti e necessarie riparazioni. Per quanto riguarda la distribuzione delle fornaci sul territorio nazionale, le statistiche riportano che erano gli stabilimenti dell’Italia Settentrionale a produrre circa l’80% del prodotto nazionale; di questo solo il 60% si riferiva a leganti e laterizi, la parte restante riguardava altri manufatti ottenuti dalla cottura di terre con ceramiche e vetri.50 La collocazione degli stabilimenti era legata alla possibilità di reperire facilmente le materie prime, cioè argilla, pietre calcaree ed abbondanti combustibili. Diverse sono state le tipologie di fornaci per la cottura dei laterizi, che si sono affiancate, spesso combinate e comunque succedute tra Ottocento e Novecento, in Italia. Nella classificazione dei diversi organismi produttivi appare fortemente caratterizzante la tipologia di forno impiegato, poichè attorno al forno e in relazione ad esso si organizzavano tutti gli altri impianti e si sviluppava il lavoro, dall’approvvigionamento della materia prima fino alla consegna del prodotto pronto per la posa in opera.51 Ogni tipologia di forno, tuttavia, poteva presentare varianti, sia nelle forme che nei materiali, a seconda delle conoscenze costruttive e della zona in cui il manufatto veniva realizzato. Considerando quindi il forno come fulcro organizzatore di tutto il processo produttivo, è possibile individuare diverse tipologie di fornaci, sia per le più antiche fornaci da calce, sia per le fornaci specificatamente destinate alla produzione di laterizi, tipologia produttiva che verrà analizzata architettonicamente nel paragrafo seguente.
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provvisorio di campagna
Forno a funzionamento intermittente
tradizionale anulare a fiamma rovesciata
anulare Hoffmann
Forno a funzionamento continuo
ellittico
a teste mozze a canale
50.
E. Temagno, Fornaci. Terre e pietre per l’ars aedificandi, Torino 1987, p. 103. C. Marchiaro, Le fabbriche di laterizi ed altri prodotti ceramici per l’edilizia, Torino 1926, p. 10. 51.
Le varie tipologie di forno, schema tratto da A. Carena, L’industria dei laterizi, Torino 1911, p.305.
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L’architettura delle fornaci Hoffmann Nel periodo compreso fra le due guerre mondiali, la produzione di materiali da costruzione si organizzò su base industriale a livello nazionale. I forni a fuoco continuo sostituirono, quasi in ogni caso, i forni a funzionamento intermittente; aumentò quindi la capacità produttiva e la manodopera da stagionale divenne permanente. Dopo il secondo conflitto mondiale, negli anni ‘50, la ricostruzione e l’esodo dalle campagne alle città, intensificarono la richiesta di materiali edili. Nelle fornace, di conseguenza, si attuò la meccanizzazione delle varie fasi del processo produttivo, nonchè l’automazione di tutto il ciclo di lavorazione.52 L’architettura delle fornaci fu così caratterizzata dalla tipologia di impianto produttivo presente nel territorio, anch’esso a sua volta strettamente legato all’evolversi delle tecnologie atte a realizzare i mattoni. La fase della cottura comprendeva varie operazioni: l’infornaciatura del materiale, l’essiccamento definitivo, la cottura, il raffreddamento e la sfornaciatura. Per la combustione venivano usati in genere combustibili solidi come lignite, torba, legna o residui industriali, oppure il gas. Il forno Hoffmann, che dal 1858 in poi sostituirà quindi tutti i sistemi intermittenti e le apparecchiature precedenti per la cottura degli impasti di argilla, si basa sul principio del recupero del calore in un processo di trattamento termico continuo in cui le condotte di riscaldamento sono costituite dagli stessi pezzi, non ancora cotti, e la zona di fuoco si sposta in senso orizzontale, secondo la stessa direzione dei gas caldi.53 L’architettura della nuova fornace Hoffmann si delineò subito nei suoi aspetti tecnologici e spaziali, di cui il laterizio diventa elemento fondante, attraverso il ricorso a soluzioni e tecniche costruttive note e all’impiego di materiali tradizionali, con il legno che affianca il mattone.54 Tav. L, Fornaci per la cottura dei laterizi e della calce, dal volume di G. Musso e G. Copperi, Particolari di costruzioni murali e finimenti di fabbricati, 1. Opere Muratorie e 2. Opere di finimento e affini, G.B. Paravia, Torino 1887.
52. R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 13. 53. Ivi, p. 22. 54. Ibidem.
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Dal prototipo originale dell’edificio circolare, con galleria anulare e camino centrale alto fino a 40 metri, si passò quasi subito ad una tipologia a pianta rettangolare e allungata, con gli angoli arrotondati, in cui le gallerie di cottura si affiancavano, parallele per una lunghezza che poteva raggiungere anche i 90 - 100 metri, divise in 24 - 32 celle di combustione, alimentate da due zone di fuoco distinte e contrapposte che avanzavano nello stesso senso.55 L’elemento, però, che caratterizzava maggiormente il manufatto di una fornace era il tunnel di cottura. I canali di cottura, anulari o rettilinei, venivano realizzati attraverso la successione di una serie di archi distanziati o con una volta uniforme e continua in laterizio faccia vista, materiale che ne assicurava prestazione e rendimenti. I canali venivano realizzati con superfici curve che facilitavano e miglioravano i flussi interni di ventilazione naturale. Le pareti laterali delle gallerie erano costruite con muratura di laterizi pieni o a sacco, con riempimento di sabbia e argilla, fino a raggiungere spessori considerevoli fino a 2 metri. Il laterizio delle gallerie, uniforme e compatto, possedeva ottime capacità termoisolanti ed era in grado, per forma e morfologia, di mantenere calore e temperature costanti all’interno del forno, grazie anche al contributo assicurato dalle grandi e sporgenti coperture a falde che limitavano l’irradiamento e la dispersione del calore verso l’esterno. La particolare sezione trapezoidale del forno, invece, rispondeva a precise esigenze statiche e di stabilità laterale. Il tunnel di cottura era un ambiente secco in cui si sviluppavano temperature elevate, alimentate da un continuo flusso di aria calda che si spostava dalla camera del fuoco attraverso le cascate dei mattoni, disposti a strati per tutta l’altezza della galleria, fino al collettore centrale di raccolta dei fumi: il camino.56 55.
R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 22. 56. Ivi, p. 23.
La ciminiera della Fornace Volponi, Politecnica delle Marche, Urbino, 2008.
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Analizzando in sezione una camera di cottura si osserva che l’immissione dei canaletti nel canale principale del fumo, poteva essere controllata attraverso una valvola conica. Sulla sommità della volta di copertura della galleria erano invece presenti dei fori che servivano per l’inserimento del combustibile e che venivano chiusi, nella parte verso l’esterno, con coperchi di ghisa. Il materiale da cuocere veniva inserito attraverso le porte di ogni camera e disposto a gambetta per consentire la circolazione dell’aria e dei prodotti della combustione. Il forno veniva caricato e scaricato in senso circolare seguendo l’avanzamento del fuoco, in modo che la produzione potesse procedere con continuità. Per separare la zona di cottura dalla zona dove veniva posto il materiale da cuocere, veniva inserito un diaframma di cartapaglia che fungeva da barriera alla circolazione dei fumi.57 Il procedimento della cottura avveniva nel seguente modo: si cominciava caricando alcuni scompartiemnti con strati alterni di mattoni e combustibile, poi, dopo aver chiuso le bocche di caricamento, si accendeva il fuoco nel primo di tali scompartimenti, aumentandone progressivamente la temperatura e facilitando l’infiammabilità del combustibile. A cottura ultimata si interrompeva l’alimentazione del fuoco nello scompartimento e, attraverso aperture poste sulla sommità della galleria, si passava a immettere combustibile in quello successivo. In questo modo il punto in cui divampava la fiamma si spostava seguendo il percorso della galleria e, la stessa corrente d’aria che alimentava la combustione, contemporaneamente raffreddava i mattoni già cotti, con un notevole risparmio nell’impiego di combustibili e una drastica riduzione del materiale da scartare. Una volta arrivato allo scompartimento di partenza, il ciclo si ripeteva con la stessa cadenza.58
Schema del funzionamento della fornace Hoffmann, F. Bucci, La fornace Hoffmann. La cottura dei mattoni a ciclo continuo. Da Berlino a Milano, l’invenzione di un edificio-macchina, in “Casabella”, 906, 2020, p. 28.
57. R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 29. 58. F. Bucci, La fornace Hoffmann. La cottura dei mattoni a ciclo continuo. Da Berlino a Milano, l’invenzione di un edificio-macchina, in “Casabella”, 906, 2020, p. 31.
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L’insediamento delle fornaci nel territorio rurale marchigiano Nelle Marche l’industrializzazione è da considerarsi un fatto recente, avvenuto negli anni ‘50 e ‘60 del secondo dopoguerra. Fino ad allora l’economia della regione aveva avuto un carattere prettamente agricolo, un’area “di agricoltura intensa e di industria carente”, come la definivivano gli economisti alla fine degli anni ‘50.59 In questa regione nacquero soprattutto manifatture leggere, che i mezzadri potevano combinare con il lavoro nei campi, o che richiamavano la forza lavoro stagionale. In seguito, ad affiancare o sostituire le manifatture ottocentesche, sorgono a cavallo tra ‘800 e ‘900, una serie di grandi impianti, come concimifici e cementifici, nonchè forni Hoffmann, dislocati sulla fascia litoranea. La peculiarità degli insediamenti produttivi marchigiani fu sempre quella di mescolarsi con le forme di produzione preindustriale o comunque di presentare una continuità molto forte con esse. In Italia non è forse possibile parlare di rivoluzione industriale nel pieno senso del termine, soprattutto in confronto con il resto d’Europa, dal momento che si assistette ad un fenomeno di industrializzazione di dimensioni di molto minori. Diverse sono state le cause che hanno determinato il ritardo dello sviluppo industriale italiano: la frantumazione politica della penisola, la mancanza di alcune materie prime essenziali, la scarsità di adeguate risorse energetiche e infine l’arretratezza dell’agricoltura. Settore in cui era mancata l’introduzione di nuovi macchinari e tecniche, a causa di uno scambio ineguale tra città e campagna e con le altre nazioni.60
Pubblicità della Fornace di San Michele al Fiume, Mondavio (PU), pubblicata nel 1934 in “La Provincia di Pesaro ed Urbino” di O.T. Locchi. Da notare la scritta in fondo che sottolinea come attorno allo stabilimento sia sorto un paese.
59. G. Fuà, Un caso di agricoltura intensa e di industria carente, in F. Chiapparino, L’archeologia industriale nelle Marche, Proposte e ricerche n.52, 2004. 60. R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 32.
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Come sostiene Ercole Sori, “la ruralità delle Marche è un carattere stretto e capillare, amalgama uomini e territorio: flora, fauna, morfologia, geologia, idrografia, microclima, sono, per la popolazione campestre, esperienza totalizzante, a tempo pieno.” 61 L’agricoltura marchigiana dell’800 era infatti regolata, già da qualche secolo, dal rapporto di produzione mezzadrile, contratto stabile o stabilizzante, che influenzava molti aspetti della vita economica e sociale regionale. La relativa abbondanza di terreni argillosi, però, determinò una diffusione di fornaci da laterizi nelle valli marchigiane. Le fornaci lavoravano soprattutto materiali locali, mentre una parte dei laterizi, una volta confezionati, veniva esportata a Trieste e in Dalmazia. La disponibilità quindi della materia prima, la possibilità di utilizzare manodopera stagionale non specializzata e la semplicità degli impianti produttivi, resero la produzione di laterizio un interessante investimento per i proprietari terrieri marchigiani. Almeno fino a quando gli insediamenti con forni Hoffmann, nonostante i bassi livelli tecnologici, risultavano avere discreti profitti. Le fornaci del territorio marchigiano si inserirono, così, in maniera delicata nell’equilibrio paesaggistico della regione, come nessun altra tipologia produttiva. Le fornaci per laterizi diventarono, in altre parole, l’emblema d quella industrializzazione dolce che è stata attribuita alle regioni centrali dell’Italia.62 I complessi produttivi, in particolar modo quelli per la produzione di laterizi che prevedevano l’utilizzo di alte temperature, erano situati in posizione isolata rispetto ai centri storici. La contiguità della fornace allo scavo nelle cave di argilla era importante per garantire l’economicità, eliminando così i costi di trasporto.
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La ruralità dei caratteri morfologici e tipologici, come l’utilizzo di tetti a capanna tipici delle case coloniche o degli spazi porticati, costituiva una qualità intrinseca dell’impianto produttivo quando era in uso.63 Molte delle fornaci presenti nel territorio marchigiano, tuttavia, versano oggi in un completo stato di abbandono. “Guardare al patrimonio industriale come ad un paesaggio sembra difficile. La difficoltà sta nel proiettare uno sguardo di natura estetica verso un manufatto che appare oggi in stato di abbanondono e dai tratti fortemente caratterizzati da un’idea di produzione. [...] Il sentimento del sublime può forse fornirci una nuove chiave di lettura dell’archeologia industriale, può far nascere un’emozione e provocare una ricerca. Il contrasto di natura pastorale che accoglie un oggetto ad essa tanto estraneo, dai tratti forti, spesso lontano dal gusto del costruire e legati alla funzionalità della produzione. Non per questo cogliamo disarmonia. Il contrasto non crea stridore, bensì enfatizza i caratteri dei due mondi, li mette in comunicazione.” 64 Le valli, che spesso ospitano le fornaci, oggi sono ricche di reminescenze dell’antico paesaggio agrario marchigiano: vigne, alberi isolati, appezzamenti di campi coltivati. Le strade che le costeggiano e permettono l’accesso al sito sono, di solito, sinuose e serpeggianti come un tempo, integrandole completamente nel paesaggio agreste.
63. 61.
E. Sori, Dalla manifattura all’industria, in S. Anselmi (a cura di), Le Marche. Le regioni dall’unità ad oggi, Torino 1987, p. 302. 62. R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 32.
R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 40. 64. G. Sabbatini, Per una poetica delle rovine, in N. Lancioni, G. Sabbatini, R. Quattrini, La fornace Volponi. Strumenti per la conoscenza e la documentazione dell’archeologia industriale, Atti del Convegno eArcom 07, Firenze 2007.
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Il forno Hoffmann e la cottura a ciclo continuo
Il forno Hoffmann e la cottura a ciclo continuo
Catalogo delle fornaci Hoffmann marchigiane Nelle Marche, come in altre regioni del centro Italia, la fornace rappresentava l’unica realtà industriale locale, l’unica alternativa al lavoro nei campi. Per questo motivo non spaventavano la pesantezza del lavoro o i rischi connessi ad esso; un impiego in fornace veniva visto come un’occasione di riscatto, un modo per colmare le distanze tra città e campagna. Nei piccoli centri storici, ancora oggi, sono molte le famiglie che hanno lavorato in una fornace, luogo che diventa così strettamente legato alla storia familiare di ognuno. Nell’800 le Marche registravano la presenza di numerose fornaci da gesso, da calce e di laterizi. Quelle di laterizi superavano in quantità le altre, ma si trattava principalmente di forni di campagna e solo una piccola parte utilizzava forni Hoffmann (6 su 60 nella provincia di Pesaro, 10 su 106 in quella di Ancona, 5 su 123 ad Ascoli Piceno e 7 su 130 a Macerata).65 Come la maggior parte delle attività manifatturiere che si svilupparono nelle Marche nel XIX secolo, le fornaci erano localizzate nelle zone pedemontane e dell’interno della dorsale appenninica, per la disponibilità di energia idraulica e per l’abbondanza di forza lavoro, oltre alla presenza di legna come conbustibile e di cave d’argilla per la materia prima.66 L’arco temporale d’introduzione nelle Marche del forno Hoffmann va dagli anni ‘80 dell’800, fino al secondo dopoguerra. Si assistette ad un graduale avvicinamento degli impianti delle fornaci alla fascia litoranea e ai maggiori centri abitati, giustificato dall’urbanizzazione della costa e dall’avvio di importanti lavori di ingegneria civile.67
I forni Hoffman marchigiani attivi nel ‘900, da P. Brugè, A. Monti, Archeologia industriale nelle Marche. L’architettura, in Catalogo dei beni culturali della regione Marche, Ancona 2001, p. 60.
65. P. Brugè, A. Monti, Archeologia industriale nelle Marche. L’architettura, Ancona 2001, p. 45. 66. F. Chiapparino, L’archeologia industriale nelle Marche, in Proposte e ricerche, n.52, Ancona 2004, p. 109. 67. R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 52.
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Il forno Hoffmann e la cottura a ciclo continuo
Il forno Hoffmann e la cottura a ciclo continuo
Ad esempio i laterizi prodotti dalla fornace Mancini-Badioli a Pesaro furono impiegati per il completamento della linea ferroviaria Bologna-Ancona, la fornace Torresi a Macerata fu realizzata per la necessità di fornire laterizi per il nuovo ospedale civile e i prodotti della fornace Volponi di Urbino servirono per la costruzione di un importante ponte cittadino.68 A partire dalla seconda metà del ‘900, la cottura dei laterizi con forno Hoffmann entrò in crisi, soppiantata dal più efficiente forno a tunnel o a canale, che offriva un maggior grado di meccanizzazione, minor tempi di cottura e condizioni di lavoro meno pesanti. Alcuni impianti a Montecassino, Treia e Pesaro, inglobarono i forni Hoffmann all’interno di nuove unità produttive munite di forno a tunnel, ma nella maggior parte dei casi, dopo la cessazione dell’attività, gli opifici muniti di forno Hoffmann furono abbandonati. Tuttavia, grazie alla solidità strutturale che si era raggiunta nella progettazione e realizzazione di tali forni, è possibile registrare nel territorio regionale marchigiano, la presenza ancora diffusa di questi complessi produttivi. Il patrimonio delle fornaci Hoffmann nella regione Marche, è in grado così di raccontare in modo esaustivo le modifiche architettoniche realizzate negli opifici nel corso degli anni, nel tentativo di ottimizzare la produzione industriale.69 Di seguito sono riportate delle tabelle in cui si evidenzia la dislocazione e lo stato di fatto delle fornaci di laterizi Hoffmann di alcune città marchigiane, sulle quali è stato possibile raccogliere notizie ed informazioni per creare un censimento documentato. Sono stati poi inseriti anche degli esempi di fornaci in stato di abbandono e di siti recuperati.
68.
R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 52. 69. Ibidem.
Censimento delle attuali fornaci Hoffmann nelle Marche, schema tratto da R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 57.
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Catalogo delle fornaci Hoffmann marchigiane, tabella tratta da R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 53.
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Catalogo delle fornaci Hoffmann marchigiane, tabella tratta da R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 54.
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Il forno Hoffmann e la cottura a ciclo continuo
Fornace per laterizi Mancini-Badioli, Pesaro (PU) Il complesso della fornace Mancini-Badioli è dislocato in località Cattabrighe di Pesaro. L’opificio, la cui attività risale al 1879, è organizzato in un unico edificio rettangolare su tre livelli: al piano terra si trova il forno Hoffmann a pianta ellittica, al primo livello il piano del fuochista e gli essiccatoi al secondo. Il manufatto è inoltre l’unico superstite delle quattro fornaci di laterizi presenti a Pesaro tra ‘800 e ‘900. Per il valore che ha nella memoria locale e per la storia dell’industrializzazione dell’area pesarese, il sito rappresenta un’importante testimonianza di archelogia industriale marchigiana. I prospetti dell’edificio presentano un doppio ordine di aperture rettangolari con architrave in legno. Il tetto è a capanna con travi lignee e rivestimento in coppi. Il forno Hoffmann ellittico è racchiuso dalle pareti a piano terra e conserva una buona solidità strutturale. La ciminiera era alta, in origine, più di 40 metri, però alla fine degli anni ‘80 è stata in parte demolita per problemi di stabilità. I mattoni realizzati dalla fornace furono utilizzati per la realizzazione del traforo del Boncio per il completamento della linea ferroviaria Bologna-Ancona. Il complesso, ad oggi, risulta abbandonato e versa, purtroppo, in uno stato di forte degrado.70 70.
Complesso della fornace Mancini-Badioli di Cattabrighe, Pesaro (PU), fonte: dal web.
R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 60.
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Il forno Hoffmann e la cottura a ciclo continuo
Fornace per laterizi Koch, Recanati (MC) La fornace fu fatta costruire dall’architetto Gaetano Koch che aveva avuto in dono delle terre nel territorio di Recanati. Il manufatto rappresenta un unicum nella regione: gli edifici d’ingresso al cortile della fornace, simmetrici in pianta, ma non nella fattura dei materiali e nei particolari, donano una valenza artistica al complesso. L’attività della fornace iniziò intorno al 1860. Nel 1970, all’originale forno Hoffmann a forma ellittica, furono tagliate le teste per renderlo un forno a teste mozze, molto più vantaggioso. Della zona dove avveniva l’estrazione e la preparazione dell’argilla rimangono soltanto i resti. Gli edifici d’ingresso e gli altri annessi, dove avveniva la formatura dei laterizi e dove abitava il custode, sono invece ben conservati, sia nei paramenti che nelle coperture. Del forno, essendo vietato l’ingresso all’interno del complesso, è visibile soltanto l’esterno, in condizioni integre, ma dalla scarsa valenza architettonica. La ciminiera è stata in parte demolita nel 1968 perchè danneggiata da un fulmine ed attualmente è alta 42 metri.71 71.
Complesso della fornace Koch, Recanati (MC), fonte: dal web.
R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 89.
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Il forno Hoffmann e la cottura a ciclo continuo
Fornace per laterizi - Loreto (AN) L’apertura della fornace viene collocata nei primi anni ‘20 del 1900, in quanto fonti orali ricordano che nel 1923 era già attiva. Il complesso della fornace è costituito da un forno Hoffmann a teste mozze, da una casa colonica, probabilmente del custode del complesso, e da tre essiccatoi. Il più recente degli essiccatoi affianca la casa del custode e presenta uno scarso valore architettonico. Gli altri due essiccatoi, invece, situati nella zona retrostante il forno, presentano una finestratura regolare e una copertura voltata, con nervature in mattoni all’intradosso. Il complesso è situato ai piedi di una collina e tutta l’area circostante conserva ancora un carattere rurale, con poche costruzioni e ampi spazi agricoli. La copertura e le pareti perimetriali del forno sono, attualmente, in uno stato di degrado avanzato: il tetto, infatti, è crollato nella zona centrale e mancano alcune parti delle pareti a chiusura del portico esterno. Nell’essiccatoio più recente invece manca completamente la copertura.72 Vista copertura nervata all’interno degli essiccatoi della fornace di Loreto (AN), fonte: dal web.
72. R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 79.
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Il forno Hoffmann e la cottura a ciclo continuo
Fornace per laterizi - Serra de’ Conti (AN) L’impianto possiede il più antico forno Hoffmann delle Marche e uno dei rari esempi della tipologia a pianta anulare in Italia e in tutta Europa. Il complesso risale al 1884, anno in cui fu costruito il forno costituito da una galleria circolare, con copertura a botte, in cui lesene leggermente sporgenti dalle pareti laterali, scandiscono le camere di cottura. Successivamente, nel 1885, venne costruito, con i primi mattoni cotti nel forno Hoffmann, un corpo longitudinale che fungeva da magazzino al piano terra e da essiccatoio al primo livello. Nel 1955 la fornace subì un ampliamento, ma nel 1971 cessò la sua attività e tutto il complesso venne abbandonato. Tra il 1997 e il 2000, il complesso è stato oggetto di un intervento di recupero e rifunzionalizzazione su progetto dell’arch. Petrini Nazzareno. Attualmente la fornace ospita un ristorante con foresteria, lo showroom dell’azienda calzaturiera committente, uffici e una sala congressi. La fornace Serra de’ Conti rappresenta un modello concreto di come sia possibile proteggere le preesistenze e raccontare nuovamente la storia di un edificio industriale, intervenendo con criteri contemporanei e garantendo una nuova funzione d’uso, compatibile con le esigenze del nostro secolo.73 73.
Vista del complesso della fornace Serra de’ Conti (AN). Stato attuale, fonte: dal web.
R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 67.
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Il forno Hoffmann e la cottura a ciclo continuo
Fornace per laterizi - Moie di Maiolati Spontini (AN) Nel 2008, nella fornace di laterizi di Moie di Maiolati, è stato ultimato l’intervento di recupero e rifunzionalizzazione di tutto il complesso, su progetto dell’arch. Petrini Nazzareno. L’antico forno a pianta ellittica ospita una biblioteca e spazi informativi e di svago. Negli edifici in cui avveniva la lavorazione dell’argilla sono presenti, invece, degli uffici. Il progetto ha rispettato e ripristinato le forme architettoniche del complesso originario. Nel rifacimento della copertura, ai materiali tradizionali dell’architettura industriali delle fornaci, quali laterizio e legno, è stata accostata una struttura in acciaio. Tutti gli elementi non presenti nell’impianto antico, dagli infissi agli arredi, sono stati inseriti rifacendosi a principi del XX sec.; là dove invece era possibile mantenere le preesistenze, si sono effettuati interventi di ripristino.74 Complesso della fornace di Moie dopo l’intervento di recupero e di progettazione, Petrini Solustri & Partners.
74.
R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 71.
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“Mio nonno Arturo, il padre di mio padre, nei primi anni ‘60, portava me e mio fratello piccoli qualche volta alla fornace, a vedere la fornace, a giocare lì davanti ed era ancora in attività quindi c’erano ancora gli operai a lavoro, c’erano ancora tutte le strutture in piedi, questi essiccatoi. Giocavamo nei corridoi all’ombra di queste tettoie di paglia vicino ai mattoni che avevano un odore meraviglioso per me, nel ricordo, molto forte. Questa argilla che piano piano si asciugava aveva un profumo indimenticabile e assistevamo anche a qualche fase della lavorazione: lavorazione di tipo completamente manuale-artigianale, come poteva essere nell’antichità, nell’Antico Egitto, con gli operai che si chinavano con queste forme di legno, raccoglievano questa argilla ancora grondante acqua e piano piano modellavano dentro queste piccole scatolette di legno e poi, con varie fasi, le ponevano alla fine ad asciugare. Era molto bello! C’era il lago da cui prendevano l’acqua e anche impastavano. C’era tutto il piazzale dove si poteva ancora giocare anche in mezzo al lavoro di questi uomini. Era molto bello, molto affascinante, però è durato molto poco. E’ morto mio nonno presto, la fornace ha avuto poi altre vicessitudini...non ci siamo più tornati. Però era un luogo bellissimo di natura e di lavoro insieme, molto affascinante anche per dei bambini.” 75
75.
La stampatura del mattone pieno: operaio a lavoro nella Fornace Volponi, Politecnica delle Marche, Urbino anni ‘50.
M. Raffaeli, Le meraviglie: Fornace Volponi a Urbino raccontata da Massimo Raffaeli, Rai Play Radio, RAI Radio 3, 23 dicembre 2017. Frammento di un intervista a Caterina Volponi, figlia di Paolo Volponi.
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Fornace Volponi: storia ed evoluzione del manufatto
A
Spazi coperti freddi per il passaggio Spazi coperti caldi per il processo produttivo Aree esterne adibite ad essiccatoi per i mattoni
B
C
Evoluzione morfologica della Fornace Volponi: dalla seconda metà dell’ ‘800 al 1971, schemi tratti da R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 80.
Fornace Volponi: storia ed evoluzione del manufatto
Lo sviluppo della Fornace Volponi di Urbino La lontananza da cave di pietra costrinse, ai fini della costruzione della città di Urbino, l’utilizzo dell’argilla, materia sacra e generatrice, proprio perché nata ed imposta dalla geologia e dalla morfologia del luogo. Dell’intensa attività artigianale riguardante il lavoro di questa materia, la Fornace Volponi è senz’altro la memoria più eloquente tra le colline urbinati. Oggi rimane ai piedi della città, come il frammento di un’antica traccia archeologica, lo scheletro dell’ultima fabbrica segnato prepotentemente dalla verticalità dell’alto camino che traguarda le colline di Urbino e San Bernardino. La struttura della fabbrica di laterizi, costruita attorno alla metà dell’ ‘800 da un dottore tedesco di nome Uckmar, visse un periodo glorioso durante la rivoluzione industriale, rappresentando il punto di partenza di qualsiasi nuova costruzione o ristrutturazione del Montefeltro. La fornace venne eretta infatti per produrre mattoni da utilizzare per la costruzione di nuovi ponti nelle aree vicino ad Urbino. Il complesso era costituito originariamente soltanto dal corpo centrale longitudinale, sotto la cui copertura a falde era custodito l’ellittico forno Hoffman. Successivamente vennero aggiunti, al corpo centrale, altri due corpi quasi ortogonali al primo che fungevano da magazzini per lo stoccaggio del materiale crudo e cotto ed uno spazio coperto, accanto al forno, che aveva la funzione di struttura per l’essicazione. Sul retro del forno erano presenti le aree adibite all’essiccazione all’aperto dei materiali formati, caratterizzate da numerosi pali in cemento utilizzati come sostegno per i mattoni da far asciugare al sole. Con gli anni vennero addizionati ai corpi di fabbrica originari un volume perpendicolare al forno, come pressa per i pezzi speciali, ed una tettoia a sud-est, come ulteriore essiccatoio coperto.76
76 R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 81.
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Fornace Volponi: storia ed evoluzione del manufatto
Fornace Volponi: storia ed evoluzione del manufatto
L’intero complesso prese forma intorno al grande forno ellittico di tipo Hoffmann. L’elemento innovativo della fornace fu senz’altro il tunnel di cottura realizzato con una volta continua ed uniforme in laterizio faccia vista, facilitando così i flussi di ventilazione naturale e sfruttando le ottime capacità termoisolanti del mattone. La fornace Volponi divenne ben presto l’emblema di una produzione stagionale, da marzo a settembre, di mattoni artigianali fatti a mano ed essiccati al sole della valle di entrata alla città. Nel 1908, i fratelli Volponi acquistarono la fornace ai piedi delle mura facendola diventare uno dei poli produttivi più importanti del Montefeltro.77
1 6
5 3
4
7
2
3
3 1 2 3 4
Rampa per carrelli Essiccatoio esterno Essiccatoi coperti Pressa per mattoni
5 Pressa per pezzi speciali 6 Pressa per tegole 7 Forno ellittico di tipo Hoffman
77 R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 82.
Esploso assonometrico della Fornace Volponi negli anni ‘70. (pagina a fronte) Schema funzionale della Fornace Volponi prima della sua chiusura, schema tratto da R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p. 80.
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Fornace Volponi: storia ed evoluzione del manufatto
Fornace Volponi: storia ed evoluzione del manufatto
La fornace, duranti gli anni 60’, fornì i mattoni per la costruzione di molti edifici ed opere pubbliche della zona, tra cui il Collegio del Colle, iniziato nel 1965, su progetto dell’arch. Giancarlo De Carlo. I mattoni utilizzati, come ha raccontato lo stesso architetto, in un’intervista apparsa sul volume ‘Costruire in laterizio’, sono dei pezzi speciali perchè impermeabili al passaggio dell’acqua. I laterizi di tutto il complesso, realizzati a mano dalla Fornace Volponi, misurano 4,5 cm di altezza e 35 cm di lunghezza: dimensioni che riprendono la caratteristica tessitura delle fabbriche urbinati costruite nel XVIII secolo.78 Anche la diversa temperatura di cottura dei mattoni, che produce una vasta gamma di tonalità del materiale a simulare una muratura che sembra realizzata con mattoni di risulta, e i giunti, spessi e irregolari, sembrano voler proporre il facciavista del collegio come una tessitura antica. Tuttavia i mattoni sono volutamente lisci, per mostrare il segno della contemporaneità.79 La fornace Volponi, ponendo attenzione alla scelta dell’argilla, poteva infatti offrire materiali fabbricati con lo stesso processo artigianale che veniva usato in antichità. Per questo motivo, fu coinvolta nei lavori di restauro delle mura di Urbino e del Palazzo Ducale, producendo, per questo manufatto, dei particolari mattoni quadrati con un fiore inciso per i pavimenti delle sale. La fabbrica produceva infatti prodotti di alta qualità e 45 diverse tipologie di mattone.80
78.
Collegio del Colle, sezione Tridente, fotografia dell’autore, Urbino 2019.
Cfr. Comportamento nel tempo dei materiali da costruzione nei Collegi di Urbino: intervista a Giancarlo De Carlo, “Costruire in Laterizio”, 49,1996, p.64. 79. L. Mingardi, Sono geloso di questa città. Giancarlo De Carlo e Urbino, Quodilibet, Macerata 2018. 80. R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p.92.
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Fornace Volponi: storia ed evoluzione del manufatto
Fornace Volponi: storia ed evoluzione del manufatto
Lavorare alla Volponi: la memoria del luogo La Fornace Volponi di Urbino è la testimonianza di un’antica civiltà rurale dove la campagna e antichissime attività umane si sovrappongono senza confondersi. A questa fornace e a chi l’ha abitata, Paolo Volponi ha dedicato forse l’unico suo romanzo in costume, cioè non ambientato nel presente, ma negli anni ‘30 e ‘40 del secolo scorso, Il lanciatore di giavellotto. Unico romanzo direttamente autobiografico, descrive la storia, ma anche la tragedia della sua famiglia.81 “Le argille e gli attrezzi erano stati preparati anche per lui dal figlio Dorino che in ginocchio in fondo all’ara spennellava una serie generica di orci pronti per la cottura. Si guardò a lungo e con puntiglio nello specchio, che teneva accanto al tornio più grande per le misure e i confronti con altri oggetti e modelli, si confermò il proposito di dipingere la nuvola e il fico: le innumerevoli foglie verde-giallo fitte come un piumaggio. Si annodò al collo il fazzoletto nel modo che usava dalla sua maggiore età, fissò il nodo con la spilla del cammeo romano che aveva trovato nella cava e incominciò a impastare il primo piatto. Le mani ritrovavano il verso indulgente della creta mentre mischiava odori e stimoli nuovi con quelli vecchi e persistenti: aggiungeva acqua o malta e piegava la creta secondo la propria bravura; staccate entrambe dalle sue mani e dalla sua testa. Si accorse che tardava a dare la forma; che continuava a impastare e girare senza avere deciso l’oggetto da fare.” 82 Il lavoro alla fornace viene così ricordato e rivissuto da Volponi nei suoi libri, in cui la snella ciminiera diventa spesso memoria di un luogo che lo scrittore non hai mai del tutto abbandonato. 81.
Estratto dal programma Le meraviglie: Fornace Volponi a Urbino, Massimo Raffaeli, Rai Play Radio, RAI Radio 3, 23 dicembre 2017. 82. P. Volponi, Il lanciatore di giavellotto, Einaudi, Torino 1981, pp. 7-8.
Operaio della Fornace Volponi a lavoro, Politecnica delle Marche, Urbino anni ‘50.
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Fornace Volponi: storia ed evoluzione del manufatto
Fornace Volponi: storia ed evoluzione del manufatto
L’emozione che dà questo luogo per chi ha conosciuto, per chi legge da sempre, per chi ha persino studiato l’opera di Paolo Volponi, è un’emozione immediata perchè è un luogo che colpisce. Quei mattoni, quei laterizi, quello stesso colore così tenue, ma anche così particolare, non si possono non associare alle pagine di Volponi, pagine che si costruiscono a volte quasi per ingorgo, quasi che tutti i mattoni di un immaginario incandescente entrassero in qualche modo in fusione, in torrefazione. E’ pensabile che Volponi nei confronti di questo luogo avesse un rapporto ambivalente di profondo, oscuro amore mai espresso direttamente, mai verbalizzato retoricamente e insieme lo slancio ad andarsene da luoghi come questo.83 Di seguito è riportata una lettera di Paolo al padre Arturo, proprietario della fornace, in cui lo scrittore, con toni nostalgici, rimprovera il povero padre defunto, che abbandonato e incompreso, continuò a lavorare nella fabbrica fino alla sua morte.
“Per Arturo V. Sbagliò a non saper fare un’industria, sbagliò a non fare una cooperativa, sbagliò a non regolare i parenti, sbagliò a non vendere, a non comprare, a non speculare. Sbagliò a continuare a lavorare, ma altro non sapeva fare. E chi lo aiutò a capire, a migliorare? Nessuno. Anche il figlio gli parlava, solo per rimproverarlo, per opporgli l’inadeguatezza della sua natura, mostrargli le occasioni impossibili.” 84
83.
Estratto dal programma Le meraviglie: Fornace Volponi a Urbino, Massimo Raffaeli, Rai Play Radio, RAI Radio 3, 23 dicembre 2017. Versi scritti da Paolo Volponi per la morte del padre Arturo, rinvenuti dalla figlia Caterina, da Le meraviglie: Fornace Volponi a Urbino, Massimo Raffaeli, Rai Play Radio, RAI Radio 3, 23 dicembre 2017.
84.
Disposizione dei mattoni nel piazzale della Fornace Volponi per il processo di essiccazione, Politecnica delle Marche, Urbino anni ‘50.
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Fornace Volponi: storia ed evoluzione del manufatto
Dopo la chiusura dello stabilimento industriale Nonostante la fornace producesse, tra gli ‘50 e gli anni ‘60, prodotti di alta qualità per tutto il territorio del Montefeltro, non si specializzò mai nella produzione di un’unica tipologia di mattone lottando così, fino alla fine, per competere con le grandi industrie tecnologicamente più avanzate degli anni ‘60. Inoltre, i prezzi più bassi e vantaggiosi e l’introduzione sul mercato di macchine per produrre mattoni simili a quelli fatti a mano, condannarono la Fornace Volponi al fallimento. Non creando una strategia competitiva per lo sviluppo sul mercato, l’attività di produzione della fornace cessò definitivamente nel 1971.85 Dopo essere stata per quasi 50 anni in uno stato di completo abbandono, oggi, la fornace, che ricopre un terreno di circa 1400 mq, appare in un serio stato di degrado, presentando diversi crolli delle strutture verticali e delle coperture. Fortunatamente la ciminiera e il forno Hoffmann non presentano gravi danni nell’apparato murario e sono tutt’ora integri e visibili dall’esterno. Nel 2006, l’Università Politecnica delle Marche, ha iniziato un lungo lavoro di ricerca e di rilievo fotogrammetrico dell’area della fornace utilizzando strumenti GPS per disegnare la conformazione di 10 ettari di terreno e del manufatto, creando così le condizioni per un eventuale avanzamento di progetto di riuso per la rovina della fornace. La campagna di rilievo e la restituzione grafica sono state complesse ed elaborate a causa dello stato di abbandono in cui la fornace si presentava e per i numerosi collassi delle strutture portanti verticali. Tuttavia il lavoro svolto è stato necessario per la corretta rappresentazione e la più facile comprensione di come appariva la conformazione della fabbrica dopo la sua chiusura all’inizio degli anni ‘70.
85.
R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p.92.
Rilievo della Fornace Volponi: piano terra e planivolumetrico con pianta delle coperture, disegno tratto da R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p.95.
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Foto della Fornace Volponi dall’elicottero, Politecnica della Marche, Urbino 2006.
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Foto dello stato di degrado e di abbandono della fornace, Politecnica della Marche, Urbino 2006.
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Il programma di Giancarlo De Carlo e il Laboratorio Ilaud
“Mi è capitata l’avventura singolare di progettare due piani regolatori per la città di Urbino, a trent’anni di distanza uno dall’altro. Il primo tra la fine degli anni ‘50 e il principio degli anni ‘60, quando la città era poverissima, il patrimonio architettonico affaticato e la campagna in rapido abbandono; ma lo spirito civico era molto alto e la struttura sociale in movimento. Lo spirito civico veniva dall’orgoglio, delicato e tollerante, di appartenere a un luogo di particolare qualità che accomunava gli abitanti della città e della campagna. Questo orgoglio veniva, a sua volta, da una innata capacità di riconoscere la bellezza dell’ambiente, l’armonia delle configurazioni urbane e naturali e la loro arcana corrispondenza, la grande qualità architettonica che la città e il territorio hanno continuato a esprimere per secoli, quasi senza sosta. [...] Si è sempre pensato che la sola ricchezza di Urbino fosse il centro storico, ma da qualche tempo ci si va persuadendo che l’altra grande ricchezza è il territorio. Tra territorio e città, a Urbino come dappertutto esiste un rapporto di corrispondenza che è passato attraverso tempi di consenso e tempi di conflitto, anni di strette interrelazioni e periodi di abbandono, comunicazioni intense e incomunicabilità profonde, e tuttavia ha generato sistemi organizzativi e forme dello spazio che si rispecchiano reciprocamente. È sorprendente infatti la corrispondenza, non solo di qualità ma anche di “disegno”, che esiste tra i tessuti del paesaggio naturale e quelli degli insediamenti umani: tra Urbino, le frazioni e il territorio.” 86
Giancarlo De Carlo al laboratorio ILAUD di Urbino, Archivio Storico MAXXI, Facoltà di Magistero, Urbino 1981.
86.
G. De Carlo, Un nuovo piano per Urbino. Tra il piano del 1964 e il piano del 1994, in “Urbanistica”, 102, 1994, p. 40-47.
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Riscrittura della Fornace Volponi
Riscrittura della Fornace Volponi
Nel 1977 e successivamente nel 1993, il Laboratorio Internazionale di Architettura e Urbanistica, ILAUD, organizzato da Giancarlo De Carlo con l’aiuto di alcuni professori e studenti provenienti dall’Europa e dall’America, dedicò una parte della sua rivista alla lettura e allo sviluppo di alcuni progetti relativi al riuso della Fornace Volponi. Anche se l’amministrazione locale non trovò in questi lavori una soluzione che potesse essere concretamente applicata, fu chiaro che l’area della fornace fosse da riprogettare per continuare ad essere un elemento di connessione tra la città e il paesaggio circostante. Il Comitato ILAUD del 1977 suggerì alcune idee di rifunzionalizzazione dell’area della fornace partendo dal presupposto che l’economia di Urbino si basasse principalmente sull’Università e sul turismo e che il suo territorio fosse prettamente agricolo e rurale. Quindi l’ipotesi era quella di creare una cooperativa agricola che potesse diventare un centro di ricerca e di educazione ambientale mirato alla pianificazione di un’agricoltura più avanzata. Secondo il punto di vista degli studenti, la struttura della fornace risultava complessa soprattutto per l’assenza di muri esterni. L’intento del laboratorio era quello di estendere il progetto anche all’area dell’Università creando percorsi di collegamento immersi nel verde. Il Comitato ILAUD del 1993 affrontò di nuovo il problema: l’obiettivo era quello di capire come e con quali mezzi l’area avrebbe potuto essere riutilizzata senza creare uno squilibrio con l’ambiente circostante. Lo studio iniziò considerando il sito come parte di una grande cavità, un anfiteatro in cui il camino torreggiante del forno collegava visivamente l’osservatore sia con la città che con la chiesa di San Bernardino. Lo studio mirava quindi a rafforzare le infrastrutture già esistenti, oltre a rivitalizzare il sistema della ferrovia. Il forno non era più considerato come un oggetto, ma come un vero elemento del paesaggio.87 87. R. Quattrini, Archeologia industriale per laterizi, testo inedito sulla Fornace Volponi di Urbino, Politecnica della Marche, Ancona 2010, p.98.
Esempio scheda progetto di recupero della Fornace, Laboratorio ILAUD, Urbino 1977.
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Esempio scheda progetto di recupero della Fornace, Laboratorio ILAUD, Urbino 1977.
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Esempio scheda progetto di recupero della Fornace, Laboratorio ILAUD, Urbino 1977.
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Esempio scheda progetto di recupero della Fornace, Laboratorio ILAUD, Urbino 1977.
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Esempio scheda progetto di recupero della Fornace, Laboratorio ILAUD, Urbino 1977.
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03/
Centro Culturale Paolo Volponi
Riferimenti Progettuali
Dopo una lunga ricerca preliminare di documentazione e di analisi del luogo, ho cercato di sviluppare delle idee di composizione che fossero coerenti con il sito e non alterassero gli elementi fondamentali che caratterizzavano il luogo di lavoro della fornace. Di conseguenza ho individuato dei progetti che potesssero agevolarmi nelle scelte architettoniche, suggerendomi degli spunti congrui con la realtà del luogo. Avendo deciso di demolire le parti crollate (coperture ed elementi verticali) e di preservare e recuperare l’ottocentesco forno Hoffmann con la sua ciminiera, ho analizzato progetti di recupero di spazi come questo, sia in Italia che all’estero, cercando di capire in che modo potessi sfruttare lo spazio voltato della galleria del forno e come potessi riutilizzarlo. Molti sono i forni Hoffmann, potenti testimonianze di archeologia industriale, in Italia che sono stati consolidati e rifunzionalizzati. Inoltre ho cercato di scegliere materiali costruttivi familiari al luogo, che non andassero ad alterare l’aspetto e la conformazione del sito, posto in maniera strategica nella valle di entrata ad Urbino. Il legno e il mattone diventano quindi i protagonisti del progetto, ricordando, insieme alla preesistenza del forno e della ciminiera, ciò che un tempo carattterizzava questo luogo.
Dettagli fornace e ciminiera, Politecnica delle Marche, Urbino 2006.
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Riferimenti progettuali
Immagine della torre di mattoni, Interval Architects, Hengshui_China 2018.
Riferimenti progettuali
Tower of bricks, Interval Architects, Hengshui_China 2018. Il progetto prende forma da una vecchia fornace di mattoni Hoffman abbandonata. Il sito del forno era situato tra il parco fluviale e la città di Hengshui, in Cina. In passato era un luogo in cui le fabbriche vicine scaricavano le acque reflue. Essendo l’unico edificio della zona, la fornace di mattoni era fortemente visibile anche da lontano grazie alla sua alta ciminiera. Tuttavia, la fornace fu gradualmente abbandonata a causa della politica nazionale che proibiva la combustione di mattoni dall’argilla come misura di protezione ambientale. Grazie al nuovo piano governativo, redatto per convertire la zona umida in un parco botanico, il progetto prevede la costruzione di un centro d’arte botanica nel sito. La memoria e la storia della vecchia fornace vengono così rievocate e ricordate con la nuova architettura che cerca di collegare il passato e il presente del luogo. Il nuovo centro d’arte botanica è principalmente una galleria che espone piante, ceramiche e arte floreale. La nuova architettura è quindi una struttura pubblica che contrasta con la vecchia fornace, introversivo edificio prettamente industriale. Con l’intento di collegarsi alla storia spaziale del luogo, il nuovo centro d’arte botanica ha una composizione volumetrica e spaziale che rimanda alla vecchia fornace, ma programmata con funzioni contemporanee. In tal modo, il passato e il futuro del sito sono concettualmente collegati. La torre di osservazione conserva il simbolo e la memoria dell’ex camino e l’accessibilità della torre consente alle persone di salire su.
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Riferimenti progettuali
Dettaglio delle capriate nella Otaniemi Chapel ad Espoo, foto dell’autore, Finlandia 2019.
Riferimenti progettuali
Otaniemi Chapel, Heikki e Kaija Siren_Espoo, Finlandia 1957. La Cappella Otaniemi è una cappella luterana situata nel villaggio studentesco del campus dell’Università Alvar Aalto di Espoo, in Finlandia. La cappella è stata progettata dalla coppia di architetti Heikki e Kaija Siren per un concorso di architettura del 1954, completato nel 1956 e inaugurato nel 1957. La cappella si trova su una piccola collina nel bosco, circondata da pini e betulle. I materiali principali con cui è costruita la cappella sono mattoni rossi e legno, che la legano agli altri edifici in mattoni nell’area del campus, compresi i principali edifici universitari progettati da Alvar Aalto. All’edificio si accede da un cortile murato che presenta anche un campanile.La parete di fronte all’altare è in vetro e si apre sulla natura circostante con una croce bianca in piedi tra gli alberi.
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Riferimenti progettuali
Interno del Public Service Center, Luo Studio_ Yuanheguan, China 2019.
Riferimenti progettuali
Public Service Center, Luo Studio_ Yuanheguan, China 2019. La zona turistica di Wudang nella città di Shiyan ha promosso attivamente l’attività di B&B e migliorato l’ambiente circostante dell’area. Il villaggio di Yuanheguan è vicino all’ingresso della Wudang Mountain Scenic Area e quindi è stato scelto come luogo prioritario per un programma pilota. Secondo il piano, il lotto in cui si trovava l’ufficio originario del comitato del villaggio e i suoi dintorni dovevano essere trasformati in un’area dimostrativa di accoglienza B&B. Per garantire i servizi agli abitanti del villaggio, era fondamentale capire come costruirlo in breve tempo. Dopo approfondite ricerche e analisi, lo studio LUO ha deciso di eseguire la costruzione del centro pubblico con strutture in legno, perché in questo modo il carico sulla parte superiore sarebbe stato inferiore rispetto all’utilizzo di altre strutture e materiali alternativi (tra cui cemento, mattonie acciaio). Inoltre, le strutture in legno potevano essere prefabbricate e assemblate, il che è stato utile per abbreviare i tempi di costruzione. Inoltre, la costruzione in legno si inserisce bene nel contesto locale dell’area della montagna di Wudang.
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Riferimenti progettuali
Spazio espositivo all’interno del forno Hoffamann del Museo del Patrimonio Industriale di Bologna, fonte: dal web.
Riferimenti progettuali
Museo del Patrimonio Industriale, Bologna. Il Museo del Patrimonio Industriale del Comune di Bologna ha sede negli edifici ristrutturati della Fornace Galotti, una fornace da laterizi della seconda metà dell’Ottocento, nella prima periferia, in un’area caratterizzata nel secolo scorso dalla presenza di pile da riso ed altri opifici idraulici, di fornaci, della prima centrale elettrica della città, oltre che del Canale Navile, utilizzato per il trasporto di merci fino al secondo dopoguerra. La sua attività è incentrata sullo studio, la documentazione e la divulgazione della storia produttiva di Bologna e del suo territorio, dal XIV secolo ad oggi, facendo riferimento agli uomini, alle imprese, alle tecnologie, alla formazione professionale, alle tecniche, alle innovazioni tecnologiche e di prodotto. Costruita nel 1887, la Fornace Galotti Battiferro era all’epoca il più grande impianto per la produzione dei laterizi di Bologna, dotato di forno Hoffmann a 16 camere, in funzione tutto l’anno con 250 operai. La sua attività è cessata nel 1966. Costituisce uno degli esempi più significativi in Italia di recupero di uno stabilimento industriale per scopi museali. Sede del Museo del Patrimonio Industriale ospita nel forno, recuperato con criteri conservativi, e nei sovrastanti ambienti un tempo adibiti ad essiccatoi, gli spazi espositivi permanenti per un totale di circa 3.000 mq. In una palazzina adiacente sono invece collocati la sala per le esposizioni temporanee, l’Archivio-Biblioteca e gli uffici. Al piano terra, nel portico circostante il forno Hoffmann, viene delineata la storia della Fornace Galotti ed in genere della produzione industriale dei laterizi, iniziata nella seconda metà dell’Ottocento con questo tipo di forno a ciclo continuo. Plastici, stazioni interattive, un video, calchi e relativi manufatti ornamentali documentano i processi di lavorazione e le tipologie dei prodotti.
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Riferimenti progettuali
Spazio interno recuperato della fornace di S. Andrea di Conza, fonte: dal web.
Riferimenti progettuali
Recupero Ex fornace S. Andrea, Conza (AV). La fornace di laterizi di S. Andrea di Conza si presentava come aggregazione di diversi corpi di fabbrica, realizzati in fasi successive, con materiali e geometrie diverse; ogni corpo si relazionava alla fabbrica principale contenente il forno interrato e la sovrapposta ciminiera. Il terremoto del 1980 aveva aggiunto ulteriore precarietà alle già povere e vetuste strutture preesistenti. Nel 1980 crollò buona parte della ciminiera danneggiando le sottostanti coperture lignee, sostituite, nel 1981-82, con capriate metalliche e lamiera di acciaio zincato. Le murature perimetrali erano costituite da una tessitura di mattoni di diverse fogge, quasi un campionario della stessa produzione; erano tutti forati per facilitare la circolazione costante dell’ aria necessaria per i processi di raffreddamento ed essiccazione. I solai di copertura originari erano costituiti da una struttura portante in travi lignee non squadrate con sovrapposto tavolato di castagno e manto di coppi laterizi. All’interno il fulcro architettonico e lavorativo era costituito dalla “pista” interrata del forno di tipo Hoffmann (unico superstite dell’ intero meridione), con i suoi condotti di aria, i settori rotatori di caricamento e la camera del fuoco. I mattoni venivano cotti con legna e carbone attraverso un ciclo continuo di carico e scarico interrotto solo dal terremoto del 1980. Del corpo principale sono stati conservati i maggiori elementi: i pilastri in pietra e mattoni, il forno interrato, la ciminiera. Le antiche pareti del forno, consumate dal fuoco, sono state integralmente conservate con i disallineamenti originari e il fondo è stato pavimentato con mattonelle di cotto listate con fasce di pietra locale. Il volume che si è venuto a configurare trasmette alla memoria le sensazioni dell’aria e del fuoco originarie del luogo.
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Il legno e il mattone
La rovina dell’antica Fornace Volponi dorme sotto le mura di Urbino. Le ricerche storiche e lo studio del manufatto hanno chiarito la conformazione originaria degli spazi di lavoro, sia interni che esterni, spazi che ormai non esistono più, crollati sotto la natura infestante. I lunghi edifici, braccia che si sviluppavano dal forno ellittico, fulcro del sito, erano costruiti con mattoni e materiale di scarto. Il colore rossastro caratterizzava i luoghi del lavoro e dello stare. I volumi erano collegati da spazi coperti esterni adibiti ad essiccatoi o a zone di passaggio del materiale. Le tettoie erano di legno e creavano un forte legame tra la natura circostante e questo luogo solitario. Il legno e il mattone delineavano spazi precisi, passaggi coperti intorno al grande camino, creando un’unione indissolubile tra le volumetrie del sito. Di conseguenza ho voluto che i nuovi edifici che andassero a comporre il Centro Culturale rispecchiassero queste tracce. Disposti a formare una grande piazza centrale, i nuovi edifici rivestiti in mattone colorano di nuovo il piazzale della fornace e un lungo portico di legno collega i nuovi spazi andando a creare un percorso coperto intorno al grande forno, inizio e fine di un nuovo percorso di lettura del luogo.
Gli spazi esterni della Fornace Volponi, Archivio Ing. Fucili, Urbino ani ‘80.
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Il legno e il mattone
Masterplan Sviluppando il progetto del Centro Culturale Paolo Volponi nel sito della Fornace Volponi di Urbino, sono partita analizzando il territorio e la città, individuando i fulcri e i luoghi più importanti del centro storico e delle aree limitrofe ad esso. Il sito della fornace si trova in una posizione strategica, all’entrata di Urbino, proprio sotto le sue alte mura. La valle della fornace è infatti disposta tra due rilievi: la collina dove sorge la città murata di Urbino e svetta il suo Palazzo Ducale e il colle della Chiesa di San Bernardino, mausoleo del Duca Federico. La testimonianza di una ottocentesca cultura industriale si pone quindi tra le tracce rinascimentali che hanno fatto grande e illustre la città di Urbino. Proseguendo verso sud, fuori la cerchia muraria cittadina, arriviamo al Colle dei Cappuccini dove a metà anni ‘60, l’architetto Giancarlo De Carlo costruì i Collegi Universitari utilizzando proprio i mattoni realizzati dalla Fornace Volponi.
Masterplan di progetto con evidenziato il Centro Culturale Paolo Volponi.
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Il legno e il mattone
Il nuovo Centro Culturale si instaura quindi nel sito della vecchia fornace. I tre nuovi volumi aderiscono alle tracce storiche andando a creare un ampio spazio centrale pavimentato e a verde, dove la preesistenza del forno e dei pali in cemento dei vecchi essiccatoi esterni per i mattoni, testimoniano l’origine del luogo. Il porticato in legno abbraccia i nuovi volumi e invoglia il visitatore a percorrerlo, arrivando dopo un percorso circolare fino all’entrata dello spazio espositivo ricavato nella galleria interna recuperata del forno Hoffmann. Il forno, consolidato e rifunzionalizzato, è stato coperto da un grande tetto a doppia falda sorretto da una struttura lignea, in ricordo della grande copertura che un tempo lo riparava dalle intemperie. Dagli spazi esterni, volgendo lo sguardo verso est e verso ovest, è possibile scorgere da una parte il centro abitato di Urbino e dall’altra la maestosa chiesa di San Bernardino.
Vista a volo d’uccello del Centro Culturale Paolo Volponi.
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Il legno e il mattone
Il progetto del Centro Culturale Paolo Volponi La composizione volumetrica del progetto è stata definita analizzando le antiche tracce della fornace che presentava molti spazi esterni e due lunghi corpi di fabbrica che andavano a formare, insieme al forno, una L che cingeva gli altri edifici aggiunti nel corso del tempo come essicatoi. Di conseguenza lasciando il forno Hoffmann come fulcro del nuovo progetto, ho deciso di ricreare i due volumi perpendicolari ad esso chiudendoli con un lungo blocco che andasse a creare la quinta dei due volumi di ingresso. Le quattro volumetrie vanno così a cingere uno spazio centrale all’aperto che verso est si apre alle colline vicine e alla Chiesa di San Bernardino. Il porticato crea il passaggio coperto che unisce il nuovo alla preesistenza e le due entrate, da nord e da sud, indicano i due accessi principali al progetto dalle due nuove zone di parcheggio ipotizzate intorno al complesso.
Pianta del piano terra dell’intero progetto con la nuova sistemazione esterna.
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Vista ingresso Centro Culturale Paolo Volponi.
Il legno e il mattone
Esploso assonometrico progetto Centro Culturale Paolo Volponi.
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Vista portico e piazza centrale.
Il legno e il mattone
Profili progetto Centro Culturale Paolo Volponi.
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Lo spazio espositivo temporaneo Nel blocco a sinistra del forno, ho ipotizzato uno spazio espositivo temporaneo che si svilippasse con un piano sottoterra e che fosse caratterizzato da una rampa centrale per raggiungere il piano sottostante. Rampa che ricorda le vecchie rampe per i carelli della fornace con cui venivano trasportati i mattoni ai piani superiori degli essicatoi. Lo spazio è illuminato dall’alta vetrata ad ovest che caratterizza tutti i prospetti più alti dei nuovi edifici. Il volume a piano terra ha una grande facciata vetrata schermata dal portico, che si affaccia verso la piazza centrale, e dalla quale è possibile vedere lo spazio espositivo al piano -1. Da questo piano è possibile accedere, attraverso una vetrata apribile, ad un giardino utilizzabile per mostre temporanee all’aperto. Nella parte più a nord del volume, si trova la casa del custode del complesso facilmente accessibile dal parcheggio più grande.
Assonometria piano terra e piano -1 dello spazio espositivo temporaneo e della casa del custode.
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I laboratori Il volume più lungo e posto a nord accoglie invece una caffetteria che presenta una piccola terrazza al piano primo, un’aula didattica che si affaccia anch’essa sulla piazza e dei laboratori. I laboratori inseriti in questo volume sono degli spazi ipotizzati per le dieci contrade della Festa dell’Aquilone di Urbino che, come da tradizione, costruiscono ognuna ogni anno un aquilone per la gara della festa cittadina. Tutti gli ambienti sono caratterizzati da una vetrata che si affaccia sul portico e sullo spazio esterno e una grande vetrata in alto nel prospetto a nord. I laboratori hanno inoltre un accesso diretto dal parcheggio e uno spazio di pertinenza esterno per facilitare il trasporto dei pezzi finiti.
Assonometria piano terra del blocco con la caffetteria, aula didattica e laboratori delle contrade.
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Il legno e il mattone
Dettaglio Costruttivo Laboratori
01
1. Sezione tecnologia 1: 25 2. Prospetto materico facciata 1: 25 3. Sezione longitudinale tecnologica 1: 25 4. Schema assonometrico
01. Solaio copertura Lamiera zincata Guaina impermeabilizzante Doppio strato di isolante termico Travetti in legno massello Barriera al vapore Tavolato in legno a vista Capriata in legno
12 mm 80+80 mm
03
12 mm 30 mm
02. Capriata in legno ad una falda Puntone a sez. rettangolare Elementi verticali doppi a sez. rettangolare Elementi lignei centrali a sez. rettangolare di sostegno agli elementi verticali doppi Catena a sez. quadrata Monaco a sez. quadrata in appoggio sulla muratura portante continua Trave orizzontale di colmo a sez. trapezoidale di collegamento tra le capriate Trave orizzontale di mezzeria a sez. quadrata di collegamento tra le capriate Tiranti in acciaio di collegamento Piastre metalliche saldate e imbullonate per il collegamento degli elementi lignei
210x180 mm 2 di 150x70 mm
2 di 250x150 mm 180x180 mm 180x180 mm
180x180 mm
02
03. Chiusura verticale trasparente
04
Telaio in legno di larice Vetro triplo doppiacamera Paraspigoli e gocciolatoio Tenda avvolgibile elettrica con cassonetto isolato 04. Chiusura verticale opaca Finitura interna in intonaco Struttura portante continua in cls armato Tirafondi in acciaio per flangia metallica Doppio strato di isolante termico Rivestimento esterno in laterizio Linea Classica Rosato (3,5x15x30cm)
15 mm 325 mm 50+50 mm 150 mm 05
05. Portone industriale a libro con guida a terra Telaio interno perimetrale in acciaio zincato Pannelli coibentati con schiuma poliuretanica Rivestimento esterno in larice Rivestimento interno in larice Guarnizioni in gomma naturale EPDM nera Guida superiore in acciaio trafilato Guida inferiore (annegata a pavimento) del tipo a “U” in acciaio trafilato Aste di chiusura in acciaio zincato nero Profili in alluminio nero superiori e inferiori per l’inserimento di spazzole in nylon Porta pedonale con serratura e maniglione antipanico Rivestimento imbotte in legno di larice
52 mm 25 mm 15 mm
06
06. Solaio controterra Pavimentazione interna in microcemento Pavimento esterno in cemento industriale Massetto alleggerito con rete elettrosaldata Riscaldamento a pavimento Film in PE antiumidità Isolante termico Guaina impermeabilizzante Getto in cls con doppia rete elettrosaldata Elementi “igloo” Fondazione trave rovescia in c.a. Magrone per posa sistema di fondazione
25 mm 25 mm 50 mm
80 mm 12 mm
05
Assonometria Laboratori
Dettaglio costruttivo dei laboratori: pianta e prospetto.
Dettaglio costruttivo dei laboratori: sezione trasversale.
02
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Il legno e il mattone
Vista interna laboratorio.
Il legno e il mattone
Esploso assonometrico di un laboratorio tipo.
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Il legno e il mattone
La biblioteca Accanto al forno Hoffmann, il blocco della biblioteca delinea il prospetto principale di entrata del nuovo complesso. Il volume è composto da una piccola hall e da una sala conferenze che hanno un accesso diretto dal versante sud, direttamente dal primo parcheggio. La biblioteca a piano terra invece ha l’entrata posta nello spazio esterno verde dove sono presenti i vecchi pali degli essiccatoi esterni. La vetrata della biblioteca si affaccia verso il portico e invoglia il visitatore ad entrare. Questa parte di edificio, come lo spazio espositivo temporaneo, è caratterizzata da uno spazio a tutta altezza posto al piano -1. Questo spazio ospita l’archivio e la sala consultazione della biblioteca del Centro Culturale. Il visitatore quindi si trova in un spazio aperto e molto alto caratterizzato da un’ampia vetrata, posta a sud e schermata da delle particolari gelosie in cotto che filtrano la luce. Il soffitto è scandito dalle capriate lignee a passo ravvicinato che sorreggono la grande copertura a monofalda che scende verso la piazza centrale. Le librerie, anch’esse in legno e incassate nella muratura, abbracciano letteralmente il visitatore e si dispongono parallele ai due muri longitudinali più lunghi. Una piccola scala a chiocciola permette di salire sul ballatoio e consultare i libri che si trovano nelle scffalature più alte.
Assonometria piano terra e piano -1 del blocco con biblioteca, archivio e sala conferenze.
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Il legno e il mattone
Il legno e il mattone Dettaglio Costruttivo Biblioteca e Archivio Dettaglio Costruttivo Biblioteca e Archivio
1. Sezione tecnologia 1: 25 1. Sezione tecnologia 1: 25
01 01
2. Prospetto materico facciata 1: 25 2. Prospetto materico facciata 1: 25 3. Sezione longitudinale tecnologica 1: 25 3. Sezione longitudinale tecnologica 1: 25 4. Schema assonometrico 4. Schema assonometrico 03 03
01. Solaio copertura 01. Solaio copertura Lamiera zincata Lamiera zincata Guaina impermeabilizzante Guaina impermeabilizzante Doppio strato di isolante termico Doppio strato di isolante termico Travetti in legno massello Travetti in legno massello Barriera al vapore Barriera al vapore Tavolato in legno a vista Tavolato in legno a vista Trave obliqua esterna Trave obliqua esterna Trave orizzontale di colmo Trave orizzontale di colmo Capriata in legno Capriata in legno
12 mm 12 mm 80+80 mm 80+80 mm 12 mm 12 mm 30 mm 30 mm
02. Capriata in legno ad una falda 02. Capriata in legno ad una falda Puntone a sez. rettangolare 210x180 mm Puntone a sez. rettangolare 210x180 mm Elementi verticali doppi Elementi verticali doppi a sez. rettangolare 2 di 150x70 mm a sez. rettangolare 2 di 150x70 mm Elementi lignei centrali Elementi lignei centrali a sez. rettangolare di sostegno a sez. rettangolare di sostegno agli elementi verticali doppi 2 di 250x150 mm agli elementi verticali doppi 2 di 250x150 mm Catena a sez. quadrata 180x180 mm Catena a sez. quadrata 180x180 mm Monaco a sez. quadrata in appoggio Monaco a sez. quadrata in appoggio sulla muratura portante continua 180x180 mm sulla muratura portante continua 180x180 mm Trave orizzontale di colmo a sez. Trave orizzontale di colmo a sez. trapezoidale di collegamento tra le capriate trapezoidale di collegamento tra le capriate Trave orizzontale di mezzeria a sez. Trave orizzontale di mezzeria a sez. quadrata di collegamento tra le capriate 180x180 mm quadrata di collegamento tra le capriate 180x180 mm Tiranti in acciaio di collegamento Tiranti in acciaio di collegamento Piastre metalliche saldate e imbullonate Piastre metalliche saldate e imbullonate per il collegamento degli elementi lignei per il collegamento degli elementi lignei 03. Chiusura verticale trasparente 03. Chiusura verticale trasparente Telaio in legno di larice Telaio in legno di larice Vetro triplo doppiacamera Vetro triplo doppiacamera Paraspigoli e gocciolatoio Paraspigoli e gocciolatoio Tenda avvolgibile elettrica Tenda avvolgibile elettrica con cassonetto isolato con cassonetto isolato
04 04
02 02
05 05
04. Sistema di gelosie in laterizio 04. Sistema di gelosie in laterizio Elementi in terracotta prodotti per colaggio Elementi in terracotta prodotti per colaggio (55x16x15cm) (55x16x15cm) Cavi in acciaio Ø10 di collegamento Cavi in acciaio Ø10 di collegamento Strato di malta cementizia Strato di malta cementizia 05. Chiusura verticale opaca 05. Chiusura verticale opaca Finitura interna in intonaco Finitura interna in intonaco Struttura portante continua in cls armato Struttura portante continua in cls armato Tirafondi in acciaio per flangia metallica Tirafondi in acciaio per flangia metallica Doppio strato di isolante termico Doppio strato di isolante termico Rivestimento esterno in laterizio Rivestimento esterno in laterizio Linea Classica Rosato (3,5x15x30cm) Linea Classica Rosato (3,5x15x30cm)
06. Solaio controterra e fondazione 06. Solaio controterra e fondazione Pavimentazione interna in rovere Pavimentazione interna in rovere Massetto alleggerito con rete elettrosaldata Massetto alleggerito con rete elettrosaldata Riscaldamento a pavimento Riscaldamento a pavimento Film in PE antiumidità Film in PE antiumidità Isolante termico Isolante termico Guaina impermeabilizzante Guaina impermeabilizzante Getto in cls con doppia rete elettrosaldata Getto in cls con doppia rete elettrosaldata Elementi “igloo” Elementi “igloo” Bocchettone di aerazione Bocchettone di aerazione Ciottolato a spigoli arrotondati Ciottolato a spigoli arrotondati Tubo drenante per allontanamento dell’acqua Tubo drenante per allontanamento dell’acqua Strato di protezione in tessuto non tessuto Strato di protezione in tessuto non tessuto Guaina impermeabilizzante Guaina impermeabilizzante Magrone per posa del tubo di drenaggio Magrone per posa del tubo di drenaggio Fondazione trave rovescia in c.a. Fondazione trave rovescia in c.a. Magrone per posa sistema di fondazione Magrone per posa sistema di fondazione Membrana bugnata in polietilene Membrana bugnata in polietilene Vespaio stipato con ghiaia (strato drenante) Vespaio stipato con ghiaia (strato drenante) Grata metallica Grata metallica Profilato ad L in acciaio di sostegno alla grata Profilato ad L in acciaio di sostegno alla grata Scannafosso in c.a. Scannafosso in c.a. Massetto pendenza Massetto pendenza Pavimentazione esterna in laterizio Pavimentazione esterna in laterizio
Assonometria Biblioteca e Archivio Biblioteca e Archivio Dettaglio costruttivo della biblioteca: sezione trasversale.Assonometria
15 mm 15 mm 600 mm 600 mm 50+50 mm 50+50 mm 150 mm 150 mm
25 mm 25 mm 50 mm 50 mm
80 mm 80 mm 12 mm 12 mm
12 mm 12 mm 12 mm 12 mm
06 06
35 mm 35 mm
Dettaglio costruttivo della biblioteca: pianta e prospetto.
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Vista interna biblioteca.
Il legno e il mattone
Esploso assonometrico della biblioteca.
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Il legno e il mattone
Il forno Hoffmann: lo spazio espositivo permanente La preesistenza dell’ottocentesco forno ellittico di tipo Hoffmann viene consolidata e recuperata. La galleria voltata interna diventa quindi uno spazio espositivo, un anello in cui si ricorda la storia della fornace e del suo scrittore, Paolo Volponi. Il piano primo del forno, una volta utilizzato come essicatoio, viene adibito a terrazza esterna utilizzabile per mostre all’aperto. L’accesso al piano primo è consentito attraverso un ascensore posto in alcuni muri preesistenti e dalle scale esterne poste in prossimità dell’entrata principale a piano terra. Il volume del forno viene riparato e protetto da un grande tetto a doppia falda che sporge e scende verso gli spazi esterni. La struttura della nuova copertura è composta da pilastri lignei, divisi in quattro parti, posti sia a piano terra che al piano primo, e da capriate anch’esse lignee che richiamano le capriate utilizzate negli spazi interni degli altri volumi. La volontà è stata quella di richiamare e rievocare la grande copertura crollata che un tempo copriva il forno, ceracndo di ripensarla e riscriverla in sintonia con la preesistenza e con i nuovi edifici del complesso.
Assonometria piano terra e piano primo dello spazio espositivo nel forno Hoffmann recuperato.
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Intervento di consolidamento: forno hoffmann e ciminiera
La volontà di mantenere come fulcro principale del nuovo progetto la preesistenza del forno, ha richiesto la necessità di ipotizzare un interevento di consolidamento della sua struttura muraria per la rifunzionalizzazione degli spazi sia coperti che all’aperto del Forno Hoffmann. I rilievi gentilmente concessi dall’Università di Ancona sono stati fondamentali per il processo di lettura dello stato di degrado del forno e della ciminiera. Nelle pagine successive è descritto nel dettaglio il concept strutturale che ho immaginato per il recupero e la messa in sicurezza di un manufatto critico come la ciminiera e il forno delle Fornace Volponi.
Dettagli fornace e ciminiera, Politecnica delle Marche, Urbino 2006.
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Intervento di consolidamento: forno hoffmann e ciminiera
Stato attuale forno Hoffmann della Fornace Volponi, Politecnica delle Marche, Urbino.
Intervento di consolidamento: forno hoffmann e ciminiera
Stato attuale: pianta delle coperture e profili, Politecnica delle Marche, Urbino.
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Intervento di consolidamento: forno hoffmann e ciminiera
Intervento di consolidamento: forno hoffmann e ciminiera
Intervento di consolidamento Il primo step della proposta di consolidamento è stato quello di ipotizzare, per il riuso del forno, degli interventi puntuali nella galleria voltata ellittica. Per prima cosa abbiamo ipotizzato la demolizione di tutte le superfetazioni e delle parti crollate nel corso del tempo: elementi verticali, coperture nonchè gli altri edifici oltre al forno che versavano in condizioni precarie e di serio stato di degrado. Successivamente abbiamo pensato alla demolizione del solaio del piano primo del forno, al letterale svuotamento di esso fino ad arrivare all’estradosso della volta della galleria. L’intervento immediatamente successivo è quello di predisporre cavi tesi in acciaio inox, messi in trazione con dei tensori, collegati tra loro e alla muratura portante tramite piastre metalliche in modo da sorreggere la volta interna. A livello progettuale, seguirebbe la costruzione di un nuovo solaio per la parte superiore del forno in modo da rendere accessibile questo nuovo spazio e la realizzazione di un vano centrale in c.a. per consolidare le vecchie fondazioni della ciminera. Il fusto della ciminiera invece verrebbe consolidato attraverso il metodo della cerchiatura esterna con anelli metallici che andrebbero a sostituire quelli vecchi ed ammalorati. Infine l’intervento di recupero comporta la costruzione della nuova copertura del forno con l’inserimento della struttura lignea con pilastri e capriate.
Concept strutturale: schema degli interventi di consolidamento forno Hoffmann e ciminiera.
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Intervento di consolidamento: forno hoffmann e ciminiera
Intervento di consolidamento: forno hoffmann e ciminiera
Nella seguente pagina è stato inserito il dettaglio dell’intevento di consolidamento con archi metallici estradossali nelle piante del piano terra e primo piano del forno Hoffmann. In questo caso sono stati inseriti all’estradosso della volta della galleria, previo consolidamento della volta dall’interno, dei cavi in acciaio inox messi intrazione con dei tensori, ad un interasse di 2,5m, in modo da sorreggere e consolidare la volta del forno.
Pianta piano terra e piano primo del forno Hoffmann con filifissi ed evidenziati gli archi metallici per il consolidamento della galleria voltata interna.
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Intervento di consolidamento: forno hoffmann e ciminiera
Schema dell’intervento con cavi estradossali metallici e dettagli ancoraggio muratura.
Intervento di consolidamento: forno hoffmann e ciminiera
Dettaglio cavi estradossali metallici e tensore.
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Intervento di consolidamento: forno hoffmann e ciminiera
Intervento di consolidamento: forno hoffmann e ciminiera
Per quanto riguarda invece il consolidamento della ciminiera, abbiamo ipotizzato ad una rimozione e sostituzione degli archi metallici esterni ammalorati con dei nuovi in acciaio inox. Gli anelli sono composti da due mezze circonferenze che chiudono il fusto della ciminera e si agganciano l’una all’altra tramite una precisa flangia di serraggio. Inoltre per il consolidamento delle fondazioni della ciminiera, abbiamo ipotizzato la costruzione di un vano centrale in calcestruzzo armato, al centro della galleria voltata e sottoil camino, in modo che i carichi di esso possano gravare su questo nuovo volume interno aggiunto per salvaguardare la muratura originaria del forno.
Stato attuale della ciminiera della Fornace Volponi, Politecnica delle Marche.
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Intervento di consolidamento: forno hoffmann e ciminiera
Dettaglio cerchiatura esterna con anelli metallici della ciminiera.
Intervento di consolidamento: forno hoffmann e ciminiera
Dettaglio flangia di serraggio cerchiatura metallica ciminiera.
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Intervento di consolidamento: forno hoffmann e ciminiera
Intervento di consolidamento: forno hoffmann e ciminiera
Infine per la nuova copertura a doppia falda del forno, ho ipotizzato di realizzare una nuova struttura lignea per il tetto che ricordasse la vecchia copertura del forno Hoffann ormai crollata da anni. I vecchi pilastri in mattoni sono stati demoliti e sostituiti con pilastri in legno divisi in quattro pilastri più piccoli bullonati a degli angolari in metallo saldati ad una piastra anch’essa metallica. Il pilastro poggia a terra tramite un bicchiere metallico con tirafondi saldato alla piastra. La divisione in quattro parti del pilastro permette l’incastro delle altre travi lignee che vanno a formare lo scheletro della nuova copertura insieme al sistema di capriate che richiamano le capriate interne degli edifici.
Vista del Forno Hoffmann recuperato a spazio espositivo permanente ed esploso assonometrico dell’attacco a terra dei nuovi pilastri lignei della copertura.
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Modelli
Modelli
Oltre agli elaborati grafici realizzati, 4 plastici, di cui un prototipo, descrivono ulteriormente il progetto di tesi. Il primo modello è un plastico territoriale in scala 1:3000, dove è rappresentata idealmente la città di Urbino con i suoi fulcri (Palazzo Ducale e San Bernardino) e con al centro il progetto del nuovo Centro Culturale Paolo Volponi. La seconda maquette, invece, inquadra il lotto della fornace in scala 1:500 e fa vedere i nuovi volumi ipotizzati attorno all’antica preesistenza del forno Hoffmann. Scendendo nel dettaglio del progetto, il terzo plastico rappresenta una porzione del volume della biblioteca in scala 1:50, dove possiamo apprezzare la struttura delle capriate, la scala elicoidale e il sistema di gelosie utilizzato come filtro e schermatura per la luce. Infine l’ultimo modello è un prototipo in scala 1:2 utile alla comprensione degli elementi della gelosia e del loro montaggio.
Modello territoriale, scala 1:3000
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Modello di inquadramento, scala 1:500
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Modello della biblioteca, scala 1:50
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Prototipo in legno della gelosia, scala 1:2
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Conclusioni
conclusioni
All’ombra delle mura di Urbino, tra le curve snodate della vecchia Flaminia, riposa abbandonata la fornace appartenuta alla famiglia dello scrittore Paolo Volponi. Lo scheletro di questo “residuo reperto” mostra ai viaggiatori, tra la natura infestante, i suoi muri sbriccati e i suoi soffitti crollati. Il progetto del nuovo Centro Culturale Paolo Volponi si pone quindi l’obiettivo di riallacciare, nei luoghi della memoria, il rapporto di sangue che ha legato e continua a legare lo scrittore alla sua fornace e alla sua terra.
Così, ai piedi della città, con “in faccia Urbino ventoso” , la Volpe ritrova il suo rifugio tra questi nuovi mattoni d’argilla rossa, in un luogo che non ha mai completamente abbandonato, ma che ha sempre cercato di far rivivere nella cornice dei suoi geniali racconti, proprio “come chi si allontani d’un passo o per sempre” da questa solenne e, al contempo, nemica Città Ideale.
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Ringraziamenti
Siamo arrivati alla parte finale, forse la più critica, quella che ti fa davvero capire che si sta chiudendo un ciclo. Un percorso che è passato troppo velocemente, quasi in uno schiocco di dita. Guardando indietro però e ripensando a questi anni, nonostante la fatica, rifarei tutto ancora una volta perchè le soddisfazioni, le risate e le amicizie che ho incontrato sono impagabili e insostituibili. Prima di tutto, ringrazio chi mi ha aiutato a sviluppare questo lavoro. Ringrazio il prof. Arrigoni che, con la sua disponibilità e la sua creatività, mi ha invogliato e spronato a trovare la giusta strada. Ringrazio il prof. Ciccarelli, amico più che professore, che è riuscito a mettere insieme un gruppo di persone con la stessa passione e la stessa voglia di conoscere. Grazie perchè mi ha fatto capire che gli obiettivi vanno prefissati e raggiunti con determinazione, anche se all’inizio sembra impossibile e complicato. Grazie al prof. Cardinale che, nonostante i problemi del periodo che stiamo vivendo, si è offerto di aiutarmi e seguirmi in questo progetto. Grazie a Marco e a Piero e a tutti gli altri colleghi dello studio, perchè in questo anno mi hanno dato la possibilità di crescere e poter fare ciò che amo.
Ringraziamenti
Ringrazio gli amici, anche se per me è sempre stato difficile trovare una giusta traduzione a questo termine. Ma in questi anni ho capito che amicizia vuol dire esserci, esserci nei momenti più felici, ma soprattutto nei momenti più difficili. Grazie a chi ho incontrato il primo giorno e grazie a chi invece ho conosciuto strada facendo. Grazie a chi mi ha fatto sorridere, ma anche a chi mi ha fatto arrabbiare. Grazie a chi c’è sempre stato e so che ci sarà sempre. Un grazie particolare però va a quel gruppo di amici un po’ matto e variegato, con cui ho condiviso gran parte di questo percorso, sia fuori che dentro l’Università. Infine ringrazio la mia famiglia. I miei genitori su cui so che potrò sempre contare, le mie ancore nei momenti di difficoltà. I miei nonni, incipit di tutto. Il ricordo di voi è forte e lo custodirò per sempre dentro di me. Grazie a mia nonna, che mi ha insegnato a leggere e a scrivere. Grazie perchè lei non lo sa, ma ha fatto tutto ciò che poteva fare per aiutarmi a raggiungere questo risultato. Grazie anche alla grande famiglia che ho trovato negli ultimi anni e che mi ha accolto come una figlia. Per ultimo ho lasciato te. Non per minor importanza, ma perchè qui hai un posto speciale. Grazie Tommi. Grazie perchè mi hai insegnato tante cose, molte di più di quelle che riesci a immaginare. Grazie per non avermi mai lasciato sola. Grazie per la tua gentilezza, per la tua pazienza e per il tuo modo di fare. Tutto questo senza di te non ci sarebbe mai stato.
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Bibliografia
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Scrivo a te come guardandomi allo specchio. Lettere a Pasolini (1954-1975), a cura di D. Fioretti, Edizioni Polistampa, Firenze 2009.
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Filmografia e audiovisivi
Filmografia e Audiovisivi
Filmografia Due pezzi di pane, Sergio Citti, 1979. Fantozzi, Luciano Salce, 1975. I compagni, Mario Monicelli, 1963. Il divo, Paolo Sorrentino, 2008. La classe operaia va in paradiso, Elio Petri, Ugo Pirro, 1971 Mamma Roma, Pier Paolo Pasolini, 1962. Novecento, Bernardo Bertolucci, 1976. Tempi Moderni (Modern Times), Charlie Chaplin, 1936. Audiovisivi A Urbino congresso degli editori librai in “Giornale Luce del 10/1931”, Youtube video, postato da ‘Istituto Luce Cinecittà’, 15 giugno 2012. Il film su Urbino. Immagini: Paolo Volponi, pagina Facebook, postato da ‘Urbino e le città del libro’, 17 maggio 2019. La sagra dell’Aquilone a Urbino in “La settimana Incom del 30/08/1951”, Youtube video, postato da ‘Istituto Luce Cinecittà’, 16 giugno 2012. La voce di Volponi #aspettandoUCL20, Youtube video, postato da ‘Urbinocittalibro’, 23 maggio 2020. Le meraviglie: Fornace Volponi a Urbino, Massimo Raffaeli, Rai Play Radio, RAI Radio 3, 23 dicembre 2017. Morte accidentale di un anarchico in “La nostra storia”, Dario Fo e Franca Rame, Ep.14, RAI 5, 13 ottobre 2016. Paolo Volponi alla Olivetti, Massimo Raffaeli, Rai Play Radio, RAI Radio 3, 1 ottobre 2012. Scrittori raccontano scrittori: Alessandra Sarchi racconta Paolo Volponi, ascolto conferenza Gabinetto Vieusseux, Firenze 14 aprile 2018. Un complesso di grandi firme in “La settimana Incom del 14/04/1962”, Youtube video, postato da ‘Istituto Luce Cinecittà’, 29 giugno 2012. Volponi - La morte di Pasolini è un dramma pubblico, Youtube video, postato da ‘Canale dedicato a Eduardo De Filippo e Pier Paolo Pasolini’, 6 maggio 2013.
Irene Giani 01.10.1995 irenegiani18@gmail.com +39 340 4985485