Tesi_Centro culturale a Montemor-o-Novo, Évora

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Onde as åguias pousam Centro culturale a Montemor-o-Novo, Évora


Università degli Studi di Firenze Facoltà di Architettura - A.A. 2015-16 Corso di laurea magistrale a ciclo unico

Onde as águias pousam Centro culturale a Montemor-o-Novo, Évora

candidata Martina Calcinai relatore Prof. Fabrizio Arrigoni


“ e ovunque si posino gli occhi, da questa altura che in tempi di altri tempi sarà servita da vedetta ci sono verdi messi, nessun’ altro spettacolo potrebbe sollevare l’animo, soltanto un cuore duro non sentirebbe la carezza della felicità” J0sé Saramago1

A Montemor-o-novo il viaggiatore comincia con il visitare il castello, che da lontano, visto da levante, sembra una costruzione intatta fatta di solide mura e di torri. 2 Dall’altro lato non vi restano che le rovine. Tra le morbide ondulazioni del terreno che caratterizzano il paesaggio dell’Alentejo, su un’altura che interrompe il monotono orizzonte, si trovano le prime tracce dell’insediamento della città di Montemor-o-novo. Il castello, che nel corso degli anni è stato progressivamente abbandonato, custodisce all’interno delle sue mura la testimonianza del passato della città. Ed è qui, in questo luogo denso di memoria, che si inserisce il progetto del Centro culturale, composto da due corpi di fabbrica dislocati lungo il percorso interno al castello, che collega l’ingresso alla porta del Anjo. Il centro studi ed il museo trovano spazio rispettivamente nei due volumi distinti. Mentre il primo corpo fabbrica cerca di mimetizzarsi con il convento de Nossa Senhora da Saudação, guidando il visitatore verso l’ampia vista sul paesaggio alentejano, il secondo diventa elemento di unione e ricomposizione delle diverse tracce esistenti nel luogo. I volumi si sviluppano seguendo il declivio naturale del terreno verso valle, arrivando fino all’altezza delle antiche mura ricreandone così un brano. Il mattone come materiale da costruzione armonizza i toni caldi del vecchio e del nuovo, in attesa di ritornare rovina cedendo alla patina del tempo. L’edificio principale, il museo, presidia il portale della igreja de Santa Maria do Bispo celandone la vista dall’esterno, ma al suo interno, con corti, fenditure e terrazze, si ritrova un dialogo a più quote con le rovine risarcendo così una sezione di paesaggio.

1 J. Saramago, Una terra chiamata Alentejo, Milano, Feltrinelli, 2010, p.166 2 Josè Saramago, Viaggio in Portogallo, Milano, Feltrinelli, 2011, p.371


Indice

DI LÀ DAL TAGO Il Portogallo mediterraneo Il paesaggio L’ architettura popolare

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Inquerito à Arquitectura Popular

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L’architettura popolare della regione dell’Alentejo

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MONTEMOR-O-NOVO La città Il castello

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CENTRO CULTURALE DI MONTEMOR-O-NOVO Il progetto Il centro studi Il museo disegni bibliografia

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A Gioiella, per sempre.


Al di lĂ del Tago


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Minho

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Trรกs-o-Montes

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Beira

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Estremadura

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Alentejo

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Algarve

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Portogallo Mediterraneo

“ il Portogallo è mediterraneo per natura, atlantico per posizione” 1 a sinistra:

È con questa formula di Pequito Rebelo che viene descritta la dualità geografica del territorio portoghese. Terra di frontiera, il Portogallo, si colloca trasversalmente al mare Mediterraneo e si apre, come un anfiteatro verso l’oceano Atlantico. Al suo interno convergono infatti evidenti influenze dell’oceano e quelle più remote legate al mare interno. Questo ambiente denso di contrasti viene ben illustrato dal geografo Orlando Ribeiro nel libro “Portogallo, il Mediterraneo e l’atlantico”, pubblicato nel 1945, che non solo si limita a descrivere in modo scientifico i tratti del territorio portoghese, ma riscopre il valore del paesaggio,inteso come manifestazione del complesso rapporto uomo-natura. Nella descrizione della geografia portoghese Ribeiro riconosce in alcuni caratteri del territorio come il clima, la vegetazione e l’arcaismo dei modi di vita, alcune affinità con i paesi che si trovano in prossimità del mare Mediterraneo, senza dimenticare l’influsso che ha l’oceano Atlantico sulla terra portoghese. Il clima più umido e moderato, l’ambiente, la vegetazione e anche il rapporto degli uomini verso l’elemento liquido è molto diverso rispetto a quello che hanno con un mare interno circondato da terre conosciute e quello enorme e misterioso come l’oceano Atlantico. Nonostante i caratteri atlantici siano più difficili da riconoscere, è possibile opporre il Sud e il Nord del Portogallo, anche se Riberio nel suo libro studiando gli elementi del territorio mostra come all’interno del Paese sia presente una contaminazione più complessa, dove elementi atlantici si insinuano fino a sud e come alcuni caratteri mediterranei siano presenti nelle valli a nord-ovest. La prima causa della presenza dei contrasti all’interno del Paese è la distribuzione dei rilievi, che suddividendo in due parti il territorio, quella meridionale e quella settentrionale, contrappone le terre alte e montuose

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Artur Pastor, Carvoeiro, Algarve, 1950 circa pagina successiva: Artur Pastor, Mar Bravo!, Nazare, 1950 circa 1 P. Rebelo, A terra portuguesa, Lisboa, 1929, p.55

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e le pianure con le basse ondulazioni. Diversità che vengono sottolineate dal clima indiscutibilmente mediterraneo, ma del quale l’oceano Atlantico diventa però il grande regolatore. La vegetazione testimonia la dualità delle influenze climatiche, e si riflette nella varietà di piante che vi si trovano e che sono comuni sia all’Europa Occidentale e media e sia al mondo mediterraneo così come notare nelle regioni che sfuggono da ogni influsso mediterraneo troviamo, infatti, i matas (boschi), alberi densi di associazione spontanea e sub spontanea, mentre a Sud compaiano albereti sparsi di norma sub spontanei, di cui il montado alentejano è la forma caratteristica, costituito da querce da sughero e lecci, che segnano al rivestimento arboreo un tono mediterraneo puro. Nell’insieme si verifica nuovamente l’opposizione fra le terre mediterranee, prive di alberi, e quelle atlantiche coperte di boschi dai densi fogliami che ricordano l’Europa Occidentale. È nella vegetazione però dove l’uomo è più intervenuto, cercando di cambiare il percorso naturale della Natura, come è possibile notare con l’olivo, di chiara origine mediterranea, che si è diffuso per tutta la nazione spingendosi fino alla valle del Minho, sfidando così un clima più rigido. Infine, Orlando Ribeiro, nota come il contrasto tra zone montuose del Nord e le pianure meridionali condizionano due vocazioni umane. Da un lato l’isolamento e il localismo di una popolazione chiusa in sè in cui si riconosce una sola influenza storica, quella romana, dall’altro comunità poco numerose insediate in grandi nuclei distanti. Quest’ultima fu la porta di accesso di tutte le influenze culturali mediterranee come le colonizzazioni fenicie e greche, e l’occupazione romana e araba che avanzò da sud a nord. La romanizzazione si manifestò su tutto il territorio portoghese, trasformando profondamente il paesaggio e i modi di vivere, a partire dal popolamento delle colline con i castros, fino alla costruzione della villa rustica nelle terre basse. La dominazione romana che durò circa 600 anni lasciò un grande eredità: le strade e i ponti, un agricoltura basata sul frumento, olive e uva, l’introduzione della lingua latina e del latifondo, herdade che ancora è presente nella regione dell’Alentejo. A sud invece la dominazione araba si sovrappose a quella romana, e ha contribuito a un contrasto tra un Portogallo meridionale, moresco, e

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foto: L'architettura tradizionale dell'Alentejo in acluni scatti di Artur Pastor degli anni 50

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quello settentrionale romano. Il fiume Mondego segna il confine della dominazione araba, che al sud di questo limite fu più duratura e profonda e di conseguenza la Riconquista da parte dei nuovi padroni di origine visigota che provenivano dal Nord fu più lenta. Durante la dominazione, gli arabi rafforzarono il tono mediterraneo che i romani avevano già introdotto all’agricoltura, introducendo alberi da frutto e sviluppando la coltura dell’olivo che, ancora oggi, conserva nei nomi azeitona e azeite (oliva e olio) le tracce dell’influenza moresca. Dopo tutta questa analisi, Orlando Ribeiro cerca in conclusione di trovare il tratto unificatore di tutti gli elementi contrastanti che la terra portoghese presenta al suo interno, riconducibili al palinsesto dell’azione dell’uomo. Per Ribeiro furono soprattutto due correnti migratorie ad attenuare le distanze: la prima, quella romana, che da sud a nord invase il territorio portoghese lasciando tracce profonde del suo passaggio, la seconda, corrente molto più moderna, che ha coinvolto gruppi di uomini che successivamente alla Rinconquista si spostarono da nord a sud in cerca di lavoro e contribuirono così a rendere più atlantiche zone a cui la natura aveva dato un inconfondibile carattere mediterraneo. In questa mescolanza di gente e piante, Ribeiro vede il segreto dell’unificazione del territorio portoghese, dove i tratti essenziali sono indubbiamente mediterranei, ma dove gli aspetti dovuti alla posizione atlantica hanno una notevole importanza, concludendo che “ il classico paesaggio portoghese è costituito da quel morbido verdeggiare, da quella terra produttiva e occupata, da quel brulichio delle genti rurali e non le secche e solenni pianure dell’Alentejo o la solitudine agreste delle montagne” 2.

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foto:

Templo romano de Diana, Évora O. Ribeiro, Portogallo il Mediterraneo e l'Atlantico, Universitalia, Roma, 2012, p. 23

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Paesaggio Alentejano

L’Alentejo è la regione più vasta del Portogallo che si estende al di là del Tago, fiume che rappresenta la linea di separazione tra il Nord e il Sud del Paese. Regione chiusa dentro confini, quello politico ad est con la Spagna, e quello naturale ad ovest con l’Oceano, riassume al suo interno la complessità dei caratteri del paesaggio portoghese in cui convivono influenze mediterranee e atlantiche. Lungo la sua vasta estensione lo scenario cambia repentinamente, dalle colline morbide della zona settentrionale scendendo verso sud il territorio diventa più piatto e monotono. L’originalità dell’Alentejo risiede proprio nell’immensità della terra pianeggiante o interrotta solo da deboli ondulazioni e dal clima caldo e secco, che abbandona qualsiasi influenza atlantica. Sono i colori della terra, legati al cambiamento delle stagioni, a movimentare questa monotona terra pianeggiante come è ben descritto da Josè Saramago nell’incipit del suo romanzo Una terra chiamata Alentejo:

a sinistra: La scala cromatica del paesaggio Alentejano. Campionatura della palette dei colori dominanti. pagine successive: L'antropizzazione del paesaggio dell'Alentejo. J. Saramago, Una terra chiamata Alentejo, Feltrinelli, Milano, 2010, p. 11 1

“ la cosa più abbondante nella terra è il paesaggio. Anche se tutto il resto manca, di paesaggio ce n’è sempre stato d’avanzo, [...] pur esistendo da tanto, non è esaurito ancora. Sarà perchè costantemente muta: ci sono poche epoche dell’anno in cui il terreno è verde, altre giallo poi marrone e poi nero. E anche rosso che è il colore dell’argilla o del sangue versato. Ma questo dipende da quello che si è piantato e si coltiva, o non ancora, o non più, oppure da quello che vi è nato naturalmente, senza mano d’uomo e giunge a morte solo perchè è giunta la sua fine. Non è il caso del grano che ancora con un po’di vita lo si taglia. Nè della sughera a cui vivissima, sebbene tanto seria da non sembrarlo viene strappata la pelle. Fra grida” 1.

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Saramago con queste poche righe riesce a racchiudere tutte le peculiarità di questa regione, dove il radicamento della gente è nella terra, e la vita segue il lento susseguirsi dei cicli stagionali. In Alentejo regna infatti la natura, gli agglomerati urbani sono piccoli, compatti e distanti da loro, fenomeno dovuto a un sistema di sfruttamento della terra legato alla coltivazione estensiva dei cereali e all’allevamento dei grandi greggi, di cui l’herdade alentejana è il più chiaro esempio. Resti di latifondi di origine romana, l’herdades, furono costituiti nel periodo della Riconquista in enormi aree deserte che furono frazionate e cedute di proprietà nelle mani dell’aristocrazia rurale. Ad ogni herdade corrispondeva poi un monte, che è la forma più eleborata di organizzazione sociale che si trova nell’Alentejo. I montes, come le villae rusticae romane del Sud Italia, erano le fattoriedormitorio dove viveva chi lavorava la terra, situato solitamente in cima ad una collina poteva anche ospitare centinaia di abitanti. Questo sfruttamento del terreno giustifica ancora oggi la bassa densità di popolazione presente nell’Alentejo, che ne fa uno dei paesaggi meno antropizzanti del territorio portoghese, affidando così alla natura e ai suoi colori i tratti più importante del suo paesaggio.

foto: Un montes dell'Alentejo con gli appezzamenti terrieri dedicati all'agricoltura e all'allevamento dei bovini 2 O. Ribeiro, Portogallo il Mediterraneo e l'Atlantico, Universitalia, Roma, 2012, p. 215

“ C’è un momento in primavera, quando i campi di grano brillano al sole e ci sono sfumature di rosso sfumature preziose di rosso viola e giallo fra le messi che maturano, che l’Alentejo si veste di una bellezza tutta sua. [ …]. Nel mezzo del giorno il calore è soffocante. Nel monte si dorme la sesta le pareti calcinate riverberano la luce e feriscono gli occhi. Il frinire della cicala è l’unico rumore di essere vivente: tutto il resto rimane assopito” 2.

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Inquerito à Arquitectura Popular

Sulla scia della analisi ambientale di Orlando Ribeiro che dimostrò una trama fitta di relazioni tra l’uomo e il suo ambiente economico, sociale e geografico, nel 1956 un gruppo di 18 architetti portoghesi si riunì per dare vita all’Inquerito à Arquitectura Popular em Portugal (pubblicato 1961) Fortemente voluto da Francisco Keil do Amaral, l’Inquerito si inserisce nei termini delle problematiche intorno alle quali si articola il dibattito architettonico portoghese del periodo, il quale già dalla metà degli anni 50 aveva iniziato un processo di riflessione interessato alla contestualizzazione dell’architettura mediante l’introduzione di riferimenti locali e popolari. L’Inquerito oltre a costituire un formidabile lavoro di rilievo del patrimonio architettonico, dimostrò, ribaltando l’esito sperato del Regime che aveva sostenuto la ricerca, l’inesistenza di un stile genuinamente portoghese ma bensì la presenza di una tradizione diversa per ogni regione, e che l’espressione degli edifici era profondamente influenzata dalle differenti condizioni ambientali presenti nel territorio portoghese. Ma più importante fu l’avvicinamento colto e moderato alla tradizione come viene esplicitato nell’introduzione: “dallo studio della produzione popolare si possono e devono trarre lezioni di coerenza, serietà, ingegno, economia, funzionamento, bellezza... che molto possono contribuire alla formazione di un architetto” 1. Questa lezione, lasciata in eredità dalla opera di Francisco Keil do Amaral, fu fondamentale per la formazione della generazione successiva di architetti portoghesi che in quel periodo iniziavano a farsi conoscere all’estero, tra cui Fernando Tavora divenne il punto di rifermento.

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foto: Copertina del Volume III di Arquitectura Popular em Portugal, AAP, Lisboa, 1988 1 AA VV, Arquitectura Popular em Portugal, Associaçáo dos Arquitectos Portugueses, Lisboa, 1988, p.5

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L’architettura popolare della regione dell’Alentejo

Da un punto di vista pratico, al fine di facilitare l’indagine dell’Inquerito e la realizzazione del rilievo, il territorio portoghese venne diviso in sei zone geografiche, affidate ad altrettanti gruppi di lavoro. L’alentejo venne identificato con la Zona 5. Il gruppo di ricerca, coordinato da Federico George, delinea una regione in cui il popolamento avviene principalmente tramite agglomerati urbani o a partire dai montes, i quali possono essere considerati come una forma di popolamento dispersa. L’insediamento urbano tipico della regione prende forma da due allineamenti di case disposti frontalmente, separati da un vasto spazio libero chiamato terreiro. La casa, Casa do Povoado, dell’Alentejo, ha una forma semplice, rettangolare ad uno o due piani. L’esterno mostra pareti intonacate ritagliate da poche aperture, caratteristiche legate principalmente al clima caldo e secco della regione. Disposte lungo strade di piccole dimensioni, le abitazioni sono ritmate da camini che, posizionati nella facciata principale, si caricano di intenti decorativi. Alla casa elementare raggruppata nei villaggi, l’Inquerito aggiunge il monte alentejano, che costella il territorio della regione. Costruzione articolata da più edifici disposti solitamente attorno ad un patio, i montes, erano fattorie-dormitorio, con forme molto legate alla loro funzione essenziale. Oltre alla casa, che è forse l’espressione materiale più caratteristica dei modi di vita e forme di cultura presente nel territorio, nell’Inquerito, molta attenzione è rivolta anche allo studio dei materiali da costruzione. A differenza di quasi tutto il territorio portoghese, in cui sono le costruzioni di pietra a caratterizzare il paesaggio, nelle pianure alentejane, per mancanza di buoni affioramenti di roccia, si usa la creta, forse anche per influenza araba.

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a sinistra:

A fotografia no inquérito da arquitectura popular em Portugal, Zona VI, ZVI.4, 1988 pagine successive: Vari sistemi costruttivi raccolti in: A fotografia no inquérito da arquitectura popular em Portugal, Zona V-VI, 1988

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I materiali da costruzione più diffusi sono la calce, utilizzata soprattutto per il rivestimento dei paramenti esterni, l’argilla e il mattone. Quest’ultimo occupa un ruolo fondamentale nelle costruzioni della regione, come testimonia la presenza in tutto il territorio di piccole organizzazioni artigianali di ceramica e di piccoli forni costruiti in maniera grezza vicino a muraglie o sorgenti. Prodotti in maniera primitiva, i mattoni, presentano un grande varietà di porosità e colore. Da un rosa pallido fino al nero, passando dall’arancio della terra, il colore del materiale costituisce sempre una sorpresa. Il mattone viene utilizzato per la costruzione di pareti (lambaz con dimensioni che variano tra 0,30X15x0.006 e 0,26X0,13X0.007), nella costruzione di volte, che molto probabilmente ha origine araba e nei pavimenti (ladrilho). Ed è questo attento sguardo verso i sistemi costruttivi tradizionali che caratterizza lo studio svolto da Federico Geroge e il suo gruppo di ricerca per l’Inquerito. La finalità era quella di creare un legame realistico del presente con il passato di questa regione, dove, nonostante siano passati 55 anni dalla pubblicazione dell’Inquerito, ancora oggi è possibile riconoscere i tratti caratteristici descritti nella ricerca.

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foto:

A fotografia no inquérito da arquitectura popular em Portugal, Zona esempio di monte e camini alentejani, 1988

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Montemor-o-novo


La città

Tra le morbide ondulazioni del terreno che caratterizzano il paesaggio della regione portoghese dell’Alentejo, la città di Montemor-o-Novo fu edificata tra tre colline, montes: del Castello, della chiesa di Nossa Senhora da Conceiçao e di quella di Nossa a Senhora da Visitaçao. L’origine della città è indeterminata, anche se è possibile ipotizzare un insediamento molto remoto per la presenza in prossimità della città di tracce di popolazioni del Paleolitico Superiore, come la Grutas de Escoural, che custodisce al suo interno pitture e incisione rupestri. Alcuni storici parlano anche di una occupazione romana, della quale non si hanno tracce certe, ma l’influsso dei latini è presente nelle villas rusticas, da cui prendono origine i montes alentejani, e la loro conseguente organizzazione e struttura del territorio. Grazie ad alcun scavi archeologici recenti (2003) nell’area del castello di Montemor-o- Novo, è possibile confermare l’occupazione islamica, come già era possibile notare nella toponomastica e nella scelta del luogo in cui ebbe origine la città di Montemor-o-Novo. I popoli islamici erano soliti scegliere luoghi di difficile accesso, come appunto nel caso di Montemor-o-novo che poggia su una piattaforma naturale di forma triangolare, bagnata a sud dal fiume Almasor, il quale diventa una vera propria barriera naturale. Tuttavia, la mancanza di qualsiasi documentazione storica di questo insediamento contrasta con l’abbondanza di documentazione che è possibile trovare in altri luoghi del periodo islamico. Infatti, il primo documento storico che si riferisce a Montemor-o-Novo risale al 1181, quando D.Gonçalo Mendes, era il suo capo militare. Con l’avanzamento lungo la penisola della Riconquista cristiana, dopo varie battaglie con i Mori, la città fu conquistata definitivamente nel 1210 dal sovrano Sancho I, il quale trovando la città già in stato di rovina, promosse la costruzione di una nuova fortificazione e concesse alla città nel 1203 il primo statuto, ottenendo così l’autonomia amministrativa da

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foto aera di Montemor-o-Novo

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Èvora. Ma fu con re Dionigi, analogamente a tutto l’Alentejo, che vennero effettuate le grandi opere nel castello, comprese la costruzione delle mura che ancora oggi ne circondano l’area. Per la sua posizione favorevole di crocevia tra le principali rotte commerciali tra Lisbona ed Èvora, Montemor-o-novo registrò una notevole crescita, fino a diventare alla fine del Medioevo una delle principali città nella regione dell’Alentejo.

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a sinistra: veduta storica di Montemor-o-Novo, incisione di Pier Maria Baldi, 1668 veduta dall'alto della città nel 2015 pagina successiva: Montemor-o-Novo ripresa dal castello nel 2015

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Il castello

“a Montemor-o-novo il viaggiatore comincia con il visitare il castello che da lontano, vista da levante sembra una solida e intatta costruzione. Ma, dietro le mura e le torri da questo lato, non ci sono altro che rovine. E per raggiungere quanto ne resta, l’accesso non è facile” 1. È così, come descrive Saramago, che si presenta oggi il castello di Montemor-o-Novo. Solo alcune rovine sono riuscite a resistere alla forza distruttrice del tempo e portare fino a noi la testimonianza di quello che fu il passato prosperoso di questa città medievale. Le mura, nel periodo medievale circondavano l’intera area del castello, proteggendo la città dagli attacchi moreschi e più tardi dagli attacchi castigliani. Costruita con materiale locale (granito e scisto cristallino), l’attuale muraglia venne eretta tra 1280-1310 sotto il regno di Dionigi I. Il suo perimetro era scandito da 19 torrette, da 4 torri con loro rispettive porte, le quali diventarono nel periodo di migrazione della popolazione dalla città fortificata alla periferia veri e propri elementi ordinatori di questa espansione. La porta d’ingresso al castello è la Porta da Vila o Santarem, sormontata dalla Torre dell’Orologio, simbolo della città. La torre, che prende il suo nome per l’orologio solare che si trova sulla sua sommità, venne realizzata durante il regno di Dionigi I, e subì varie alterazioni con quello del re Manuele I, durante il quale fu realizzata la Casa da Guardia, in stile manuelino, che aveva il compito di proteggere la Porta di Santarem.

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a sinistra: Vista dalla Porta dell'Angelo 1 J. Saramago, Viaggio in Portogallo, Feltrinelli, Milano, 2011, p. 371

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Oltrepassate le mura, seguendo l’andamento degli antichi percorsi, presenti ancora all’interno dell’area del castello, troviamo il Convento de Nossa Senhora da Saudação. Realizzato inizialmente per ospitare un gruppo di donne, guidate Joana Dias Quadrada, che per praticare una vita di raccoglimento e devozione, si riunirono senza obbedire alle regole di nessun ordine religioso. La sua costruzione risale probabilmente al 1502, come testimoniano alcuni elementi presenti ancora nella facciata, come ad esempio la sfera armillare, elemento caratteristico dell’arte manuelina, che decora l’antica porta principale. Nel corso degli anni al corpo originario del convento vennero realizzate varie integrazioni, come la chiesa, e il dormitorio, costruiti attorno al 1570, il chiostro che risale al regno di Giovanni III e infine i due reparti monostici che legarono il corpo principale del Convento alle mura. La chiesa, chiusa dentro le mura del convento, è un esemplare di architettura classico-barocca, completamente rivestita di azulejos policrome di varie forme, costituisce un esempio di come sia possibile realizzare un atmosfera propriamente barocca con materiali poveri. Appartenente all’ordine domenicano, il convento fu abitato da un grande numero di religiosi fino al 1876, quando con l’estinzione dei conventi, fu trasformato dallo Stato in un asilo per bambini in difficoltà fino al 1960 circa. Oggi, dopo alcuni interventi di ristrutturazione, adesso accoglie il Centro Coreografico Rui Horta e i Laboratori di Archeologia promossi dal comune di Montemor-o-Novo. Seguendo la strada che costeggia le mura , superato il Convento, ci troviamo davanti alla Chiesa di S. Tiago, di cui abbiamo le prime informazioni che risalgono al 1302. Costruita probabilmente già in età precedente, come testimoniano il ritrovamento di alcuni silos, che si trovano ad livello archeologico precedente di quello delle fondamenta, la chiesa ha una pianta rettangolare, costruita da una navata centrale e tre cappelle laterali. La chiesa è quella che ha subito, nei suoi dintorni, un intervento archeologico più sistematico. Sono state rilevate due aree di necropoli: la prima datata tra il XIII secolo e il XV, la seconda in epoca più moderna tra il XVIII e XIX secolo, di cui coincidono le ultime sepolture della chiesa, e più a nord lungo le mura sono state ritrovate tracce di un insediamento

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a sinistra: Convento de Nossa Senhora da Saudação pagina successiva: Paço dei Alcaides

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abitativo, con muri e pavimenti, di cui il periodo di abbandono può essere datato intorno al XVI e XVII secolo. Dalla chiesa prende il nome anche la Porta S. Tiago, che conclude la porzione di mura presenti oggi nell’area del castello. La porta è sormontata dalla Torre Má-Hora, di pianta rettangolare, realizzata in muratura massiccia, con gli angoli in granito lavorato e conclusa in sommità con una merlatura piramidale gotica. Continuando per la strada, che collega la Torre Ma-Hora alla zona centrale dell’area del castello, si trova la zona più verde del castello. Qui infatti troviamo una grande varietà di piante, nate probabilmente in modo spontaneo, e solo qualche rovina del muro di cinta che un tempo circondava l’intero perimetro del castello, fino ad imbatterci nella Chiesa di Giovanni Battista. La chiesa, come alcuni storici ipotizzano, potrebbe essere stata in origine l’antica moschea della cittadella islamica di Montemor-o-Novo, infatti presenta molte caratteristiche simili alle Kubbas primitive: di pianta quadrata coperta da una cupola, alla quale venne aggiunta una navata per trasformarla in chiesa cristiana. Di questa chiesa, come per quella di San Tiago, si hanno riferimenti scritti a partire dal 1302. Di piccole dimensioni, è la minore rispetto alle altre 4 chiese presenti all’interno del castello, probabilmente utilizzata come chiesa ad uso privato dei Podestà o Monarchi, data la vicinanza con il Palazzo dei Podestà Alla parrocchia della chiesa apparteneva la Porta di Evora, altra via d’uscita presente lungo il perimetro la cinta muraria, ma della quale la localizzazione anche oggi è sconosciuta. Il palazzo dei Podestà, Paço dei Alcaides, con la sua pianta rettangolare e le sue torri circolari che si elevano dalla collina, si trova a Sud nel punto in cui convergono i brani della cinta muraria provenienti dalla Torre MaHora e dalla Torre dell’Angelo. Nel periodo islamico, questa area doveva coincidere con la zona della fortezza o quella nobile della città. Da come si deduce dal nome, in periodo medievale, la sua funzione era quella di residenza ufficiale dei Podestà e dei monarchi che erano di passaggio. La città infatti fu di proprietà della corona, fino al 1384, anno in cui fu donata dal re Giovanni I, a Nuno Alvares Pereira come ricompensa per i

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foto: Paço dei Alcaides e Chiesa di Giovanni Battista

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suoi servigi forniti al paese durante le guerre di indipendenza del regno portoghese da quello castigliano. Più tardi passò in mano a Giovanni di Bragança, che divenne marchese di Montemor e fu sotto di lui che il palazzo venne sottoposto a varie opere. Secondo fonti storiche, il palazzo fu teatro di eventi importanti nella storia del Portogallo, come ad esempio, secondo Joao de Barros, nel 1495 fu in questo edificio che si tenne un consiglio dove venne discussa la proposta di D. Manuel I di inviare la prima spedizione marittima in India. Proseguendo per la via che collega il palazzo dei Podestà all’ultima porta presente nel castello, troviamo inizialmente le rovine di quello che molto probabilmente era il Palazzo del Municipio o del Carcere, per la sua posizione centrale, di cui restano solo alcune tracce dei pavimenti rivestiti in mattoni e successivamente il Mattatoio Moresco, che inizialmente era stato identificato come una cisterna. Infine prima della Porta dell’Angelo, troviamo la Chiesa di Santa Maria do Bispo, di cui abbiamo la prima documentazione che risale al 1316. Con i suoi 27,5 m di lunghezza e 16 di larghezza e il più grande edificio religioso presente all’interno del castello della città. Nel corso degli anni ha subito tre grandi interventi, il primo in epoca manuelina, di cui ci resta il portale in granito con decorazioni che richiamano in modo chiaro il periodo in cui venne realizzato, mentre il più recente intervento ci fu alla fine del XVIII secolo, dopo i danni causati dal terremoto del 1755 che devastò Lisbona e le zone limitrofe. La chiesa presentava tre navate ad archi ogivali sorretti da colonne, ma quello che è rimasto fino ai giorni nostri, oltre il portale, sono le rovine del sagrato esterno, della sacrestia, dell’altare e delle cappelle. In conclusione del percorso di trova la porta e la torre dell’angelo. Situate nell’estremità occidentale del castello, vennero costruite in epoca medievale, sotto il regno di Dionigi. La Torre si lega tramite la porta ad un altra torre più piccola, ed è sormontata da uno spazio di ricreazione costruito per volontà dal conte di Santa Cruz, al quale si accede tramite delle scale si trovano sul piano della chiese. Il castello custodisce tutti i segni di quella che fu una città, molto importante del Medioevo, che però iniziò a subire intorno al XV secolo un fenomeno di abbandono sempre maggiore da parte della popolazione, che cominciava a sentirsi stretta all’interno del castello, e decise quindi di trasferirsi in periferia, lasciando il castello in un totale stato di abbandono e rovina.

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a sinistra: Abside della Chiesa di Santa Maria do Bispo pagina successiva: Portale della Chiesa di Santa Maria do Bispo Torre dell'angelo

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Stato di Fatto: Mura .01 .06

Porta da Vila Santarem .02 Torre dell’Orologio .03 Convento Nossa Senhora de Saudação .04

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Chiesa S. Tiago .05 Torre Má-Hora .06 Paço dei Alcaides .07 Chiesa G.Battista .08

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Palazzo del Municipio o del Carcere .09

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Mattatoio Moresco .10 .02

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Chiesa Santa Maria do Bispo .11 Torre dell'Angelo .12

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Il Centro Culturale


Il progetto del centro Culturale all’interno del castello di Montemor-oNovo nasce sulla base di un concorso bandito da un piattaforma portoghese, che aveva lo scopo di riconsiderare e riqualificare quest’area, che racchiude entro quello che resta della vecchia cerchia muraria la memoria della città, che ora si trova in uno stato di totale abbandono. Tra le mura del castello, che il tempo ha distrutto quasi completamente nella parte a sud, aprendo così la vista sull’immenso paesaggio della regione alentejana, l’intervento si colloca in due aree diverse, legate da un percorso preesistente e che ricalca una delle antiche vie.


c_ archivio d_ sala riunioni e_ aula workshop f_ bibloteca g_ caffetteria h_ giardino

planimetria generale: Mura .01 Porta da Vila Santarem .02

4

Torre dell’Orologio .03 Convento Nossa Senhora de Saudação .04 Paço dei Alcaides .05 3

Chiesa G.Battista .06 2

Palazzo del Municipio o del Carcere .07 Mattatoio Moresco .08 Chiesa Santa Maria do Bispo .09

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Torre dell'Angelo .10 1

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scala 1:500

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Il centro studi

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Il centro studi si colloca in prossimità della porta d’ingresso del castello, lungo la strada che collega la porta di Santarem con la zona del palazzo dei Podestà e ne segue il suo andamento assorbendo così il lieve declivio del terreno. La scelta della posizione dell’edificio è dovuta principalmente alle funzioni che il progetto accoglie all’interno, che sono: uffici, biblioteca, archivio ed un aula per laboratori/workshop. Funzioni che in questa posizione godono di una maggiore accessibilità dall’esterno delle mura, e che integrano il Centro Coreografico Rui Horta e i Laboratori di Archeologia già presenti all’interno dei locali del Convento Nossa Senhora da Saudação. L’accesso all’edificio avviene tramite una rampa che collega la quota della piazza esterna e quella più bassa del patio centrale sul quale si affacciano la reception, la biblioteca e l’archivio. I collegamenti tra le diverse funzioni dell’edificio, avvengono tramite due lunghi spazi distributivi, uno aperto e uno chiuso disposti longitudinalmente sul perimetro dell’edificio. Quello aperto è schermato dall’esterno da un muro che presenta solo una lunga fessura in basso, la quale permette la visione anche dall’interno, degli scavi che si trovano al di là della strada. Il muro poi si interrompe nella parte finale dell’edificio, lasciando spazio alla terrazza della caffetteria, dal quale è già possibile scorgere le torri cilindriche che caratterizzano l’area del Palazzo dei Podestà. La continuità con l’edificio del Convento Nossa Senhora da Saudação che si trova alle spalle del centro studi, avviene tramite uno spazio vuoto, quello del giardino murato, che ricalca l’andamento di quello già presente nel Convento.

pianta e sezione della amministrazione: reception hall _a uffici _b archivio _c sala ruiunioni _d aula workshop _ e biblioteca _f caffetteria _g giardino _h

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Il museo

Proseguendo sul percorso che collega i due interventi, quello che si apre nella zona orientale del castello è un ampio spazio confinato a destra dall’area del Palazzo dei Podestà, e a sinistra dal museo. L’idea principale infatti su cui si basa il progetto è quello di preservare la grande terrazza, che permette uno sguardo privilegiato sul mosso paesaggio alentejano, e quello di inserire il museo all’interno di un vuoto creato dalle rovine, in modo che diventi esso stesso un frammento, in stretto dialogo con le preesistenze. Il volume segue il declivio naturale del terreno verso valle, arrivando fino all’altezza delle antiche mura ricreandone così un brano. Con poche aperture, l’edificio introverso del museo, nasconde dalla strada le rovine della chiesa di Santa Maria do Bispo, che si riscoprono al di là del muro che affianca la rampa di servizio, in cui si trova l’accesso principale al museo e da cui è possibile ricreare un legame visivo con le rovine dell’area del Palazzo dei Podestà, incorniciate dalla pensilina che collega il montacarichi esterno al corpo di fabbrica. All’interno l’edificio è ritagliato da tre corti a diversa altezza che, oltre ad illuminare gli ambienti interni, ricreano dei vuoti, come quelli a cui danno vita le rovine resistendo alla forza distruttrice del tempo, di cui è un chiaro esempio la chiesa di Santa Maria do Bispo, che conservando soltanto le mura perimetrali, adesso accoglie nello spazio dove prima si trovava lo spazio sacro un grande giardino di olivi. La prima corte che incontriamo è quella nella hall del museo, in cui grazie all’albero d’olivo si crea una citazione del paesaggio alentejano, di cui questa pianta è la principale protagonista e dove la parete in mattoni si apre con una trama, che funge da filtro di separazione della corte alla quota più bassa. Scendendo al piano sottostante, la prima cosa che troviamo sono due grandi aperture che si dispongono una di fronte all’altra creando un

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vista da Paço de Alcaides

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grande cono visivo che inquadra a destra la Torre dell’Angelo e a sinistra la collina da cui emerge le Torri cilindriche del Palazzo dei Podestà, ricreando quel legame che l’edificio con il suo volume aveva esternamente interrotto. A questo piano troviamo la sala espositiva temporanea, un grande spazio quadrato, caratterizzato dalla grande parete vetrata, separata dalla facciata esterna da una piccola corte di forma irregolare, partendo infatti dalla dimensione dello spessore della rovina del muro antico, da cui prende anche l’andamento. Nell’ultimo piano (a quota – 11.00), troviamo invece la parte archeologica del museo, che è suddivisa in una sala di storia che precede la visita della sala espositiva e raccoglie, come in un archivio in continuo aggiornamento, tutti i ritrovamenti degli scavi archeologici effettuati nell’area. Quest’ultima è caratterizzata da una copertura semi-voltata e interrotta in un solo punto decentrato da un oculo, che come un camino, attraversa l’intero edificio, fino ad emergere all’esterno della copertura, con la funzione di illuminare la sala. Da questo piano attraverso uno spazio esterno, che funge da filtro tra i due volumi, si ha il collegamento con la hall dell’auditorium. L’auditorium si presenta come un corpo di fabbrica indipendente dal museo, ma collegato a questo tramite due quote diverse, quella bassa e quella della terrazza, che oltre che essere un spazio da cui ammirare il paesaggio, diventa un vero percorso che unisce il museo, l’auditorium, la chiesa di santa Maria do Bispo, e la Torre dell’Anjo. La sala dell’auditorium si trova ad una quota intermedia tra l’ingresso e la terrazza e vi si accede attraverso una scalinata che si affianca al volume chiuso della sala. Completamente chiuso all’esterno, l’auditorium presenta una sola apertura alla quota della terrazza che inquadra il portale manuelino della chiesa. Sono tre i volumi che si distinguono dall’esterno, che a partire dal museo, in stretta relazione con il muro antico, hanno modificato le loro proporzioni per meglio dialogare con le preesistenze. Se le proporzioni cambiano, il materiale di rivestimento invece resta lo stesso per tutti e tre i volumi. Riprendendo una tradizione dell’architettura popolare, secondo cui il materiale maggiormente usato in questa regione era il mattone, lambaz, i

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vista di ingresso al museo

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tre volumi presentano un rivestimento omogeneo di questo materiale. Ripete la stessa trama per tutte le superfici e si interrompe in un solo punto, in corrispondenza della facciata a sud del museo, che relazionandosi con la compattezza del muro antico, in granito e scisto cristallino, gli oppone un muro in mattoni che in corrispondenza della sala temporanea si sgretola, in una gelosia, con echi orientali, con la quale si richiama una probabile occupazione islamica nell’area del castello. Fondamentale anche il colore del materiale che si armonizza con il rovine , e con il paesaggio caratterizzato dal giallo del grano e il rosso della argilla della terra La stessa continuità di materiale la ritroviamo anche nella pavimentazione, che unisce gli spazi esterni e quelli interni, e nel rivestimento interno di tutte le sale il bianco della calce che caratterizza le case della città di Montemor-o-novo, e di tante altere città portoghesi.

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vista dalla strada

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1

a 2

b

4

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vista della hall d'ingresso

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museo: pianta +0.00 m

Chiesa di Santa Maria do Bispo

_1

piazza per esposizioni all'aperto

Portale

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hall Museo

_a

Porta e Torre do Anjo

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patio

_b

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a

a

b

2

1

c

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vista della sala temporanea

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Museo: sezione, pianta -5.50 m

Porta e Torre do Anjo

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galleria

piazza per esposizioni all'aperto

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sala esposizione temporanea

_c

locali di servizio

_a

auditorium

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a

a

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1

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vista corte esterna

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2 4

c

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Museo: sezione, pianta -11.00 m

Porta e Torre do Anjo

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sala esposizione archeologica

piazza per esposizioni all'aperto

_2

sala "storia"

_c

deposito

_a

foyer Auditorium

_d

_b

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a sinistra: vista sala archeologica a destra: sezioni ambientali

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.01

solaio di copertura strato di ghiaia 60 mm membrana geotessile pannello isoalnte in polisterene estruso 80 mm membrana impermeabilizzante 10 mm massetto di livellamento 50 mm solaio in calcestruzzo armato 400 mm

.14

parete esterna rivestimento in mattoni su malta 300x100x80 mm graffe di ancoraggio dei mattoni alla struttura pannello isolante polisterene espanso 80 mm setto portante in calcestruzzo armato 300 mm

solaio controterra pavimentazione in pietra 20 mm malta di allettamento massetto in calcestruzzo allegerito 50 mm membrana impermeabilizzante 10 mm pannello isolante in polisterene espanso 70 mm getto di cls con rete elettrosaldata 120 mm vespaio areato con moduli in plastica 300 mm massetto in calcestruzzo magro 60mm platea in calcestruzzo armato guaina impermeabilizzante

.02

finitura in lastre di acciao zincato sagomate

.03

.15

scanafosso

.16

ghiaia

.04

angolare in accaio 100x75x8 mm

.17

.05

controsoffitto pannelli in cartongesso 12 mm su profili in alluminio a C 65x30 mm appesi al soffitto

canale di deflusso acque meteoriche in pvc 200mm

.06

facciata in vetro con profili strutturali in acciaio

.07

solaio esterno pavimentazione in calcestruzzo 20mm malta di allettamento 15mm pannello isolante polisterene espanso 80 mm membrana impermeabilizzante massetto di livellamento 80mm solaio in calcestruzzo armato 300mm

.08

solaio intermedio pavimentazione in calcestruzzo 20 mm malta di allettamento 20 mm massetto in calcestruzzo 170 mm solaio in calcestruzzzo armato 300 mm

.09

parete a grigliato con mattoni posati di lista a corsi sfalsati

.10

elementi portanti verticali e orizzontali in calcestruzzo armato

.11

canale di raccolta delle acque meteoriche di acciaio

.12

sistema di illuminazione a scomparsa nel controsoffitto con faretti su binari elettrificati

.13

controsoffito pannelli di cartongesso 12 mm su profili a C in accaio 45x25 mm tiranti di accaio appesi al solaio

dettaglio architettonico

0

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1

3

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.01

pavimentazione esterna lastre di calcestruzzo 15 mm massetto di posa 20 mm terra

.02

infisso in acciaio

.03

parete esterna rivestimento in mattoni su malta 300x100x80 mm graffe di ancoraggio dei mattoni alla struttura pannello isolante polisterene espanso 80 mm setto portante in calcestruzzo armato 300 mm

dettaglio architettonico

.04

solaio di copertura strato di ghiaia 60 mm membrana geotessile pannello isoalnte in polisterene estruso 80 mm membrana impermeabilizzante 10 mm massetto di livellamento 50 mm solaio in calcestruzzo armato 400 mm

.05

parete esterna rivestimento in mattoni su malta 300x100x80 mm graffe di ancoraggio dei mattoni alla struttura pannello isolante polisterene espanso 80 mm setto portante in calcestruzzo armato 300 mm rivestimento in mattoni su malta 300x100x80 mm

.06

solaio intermedio pavimentazione in calcestruzzo 20 mm malta di allettamento 20 mm massetto in calcestruzzo 170 mm solaio in calcestruzzzo armato 300mm

.07

solaio intermedio pavimentazione in calcestruzzo 20 mm malta di allettamento 20 mm massetto in calcestruzzo 170 mm solaio in calcestruzzzo armato 300 mm

.08

controsoffitto pannelli in cartongesso 12 mm su profili in alluminio a C 65x30 mm appesi al soffitto

.09

solaio controterra pavimentazione in pietra 20 mm malta di allettamento massetto in calcestruzzo allegerito 50 mm membrana impermeabilizzante 10 mm pannello isolante in polisterene espanso 70 mm getto di cls con rete elettrosaldata 120 mm vespaio areato con moduli in plastica 300 mm massetto in calcestruzzo magro 60mm platea in calcestruzzo armato

.10

guaina impermeabilizzante giardino pensile terra 500 mm ghiaia 70 mm geotessuto pannello isolante in polisterene espanso 70 mm guaina bituminosa 10 mm solaio in calcestruzzo armato 400 mm

.11

setto di calcestruzzo armato 300 mm membrana impermeabilizzante 10 mm

.12

canale di raccolta delle acque meteoriche di acciaio

.13

controsoffito pannelli di cartongesso 12 mm su profili a C in accaio 45x25 mm tiranti di accaio appesi al solaio

0

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1

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modello scala 1:500

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modello scala 1:200

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modello scala 1:200

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Bibliografia

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