Crossing back the boundary Un nuovo centro culturale per Roosevelt Island
UniversitĂ degli Studi di Firenze FacoltĂ di Architettura - A.A. 2017-18 Corso di laurea magistrale a ciclo unico
Crossing back the boundary Un nuovo centro culturale per Roosevelt Island
candidato Leonardo Rossi relatore Prof. Fabrizio Arrigoni correlatore Prof. Simone Secchi
"La città vista dal Queensboro Bridge è sempre la città vista per la prima volta, nella sua prima, selvaggia promessa di tutto il mistero e di tutta la bellezza del mondo. 1 Dall’altro lato non vi restano che le rovine". Oltre i canyon di vetro, acciaio e cemento dell'Upper East Side, oltre le acque dell'East River, affiora il basso profilo di Roosevelt Island. La rigida griglia stradale di Manhattan si arresta a contatto con i flutti salati del canale, risparmiando la piccola isola dalla forsennata densità urbana del centro e consentendo la nascita di spazi verdi tra gli edifici che si affacciano irregolari lungo Main Street. Roosevelt Island, vicina ma al contempo lontanissima dal resto della città, sia per carattere, sia per le difficoltà di accesso, consente di godere dalle sue rive di un panorama a 360 gradi. Il visitatore del Four Freedom Park osserva in questo modo gli imponenti edifici di New York con un certo distacco, come se non si trovasse nella stessa città, come se osservasse le stelle, inconsapevole di essere esso stesso parte dell'universo che osserva. Il progetto del centro culturale si colloca all'estremo sud dell'isola, all'interno del Southpoint Park. Il basso profilo degli edifici, la leggerezza delle vetrate, colgono l'identità dell'isola e mirano a mantenere, pur inquadrandola in suggestivi scorci, la vista sulla città. I volumi si protendono verso Manhattan fino ad immergersi nelle acque del canale, come i moli che una volta disegnavano le sponde della vecchia e in parte scomparsa città portuale. In questo modo si ritrova il rapporto tra la città e il mare, cancellato altrimenti dalla verticalità dei grattacieli e dalla frenetica vita della Grande Mela, che solo a Roosevelt Island pare potersi arrestare un attimo e riflettere sulle sue origini dimenticate.
a sinistra: FDR Four Freedom Park verso sud Francis Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby, Milano, Mondadori, 2001 1
"The city seen from the Queensboro Bridge is always the city seen for the first time, in its first wild promise of all the mystery and beauty in 1 the world". Beyond the Upper East Side’s canyon made of glass, steel and concrete, beyond the East River’s water, Roosevelt Island’s low-rise emerges. Manhattan’s strict grid plan halts in contact with the salty waves of the canal, sparing the little island from the intense urban density of the city centre and allowing the growth of green areas between the buildings irregularly looking out on Main Street. Roosevelt island, close but at the same time distant from the rest of the city, both because of its nature and of its access difficulty, provides the opportunity of enjoying a 360 degrees’ scenic view from its banks. Four Freedom Park visitors thus look at New York City’s imposing buildings with a certain detachment, as if they were not in the same city, as if they were looking at the stars, unaware of being part of the same universe they are observing. The project of a cultural centre is located at the very south extremity of the island, inside of Southpoint Park. The low-rise buildings and the lightness of their glass windows grasp the identity of the island and aim to maintain, although framing it into suggestive perspectives, the view of the city. The volumes of the buildings lean towards Manhattan for then dive into the waters of the canal, in the same fashion as the docks that once traced the outline of the shores of the old, and almost disappeared, harbour town. Thus the relationship between the city and the sea is retrieved, which is otherwise negated by the verticality of the skyline and the hectic life of the Big Apple that only in Roosevelt Island appears to slow down to reflect on its forgotten origins.
a sinistra: FDR Four Freedom Park verso nord Francis Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby, Milano, Mondadori, 2001 1
Indice
NEW YORK CITY
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Morfologia Storia
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ROOSEVELT ISLAND
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"The island nobody knows"
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L'isola dai cinque nomi "A Room and a Garden"
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Progettazione acustica
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MODELLI
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MATERIALI
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RIFERIMENTI
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BIBLIOGRAFIA
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PROGETTO
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Tema Masterplan
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RIDCH Roosevelt Island Docks Conference Hall
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RIDM Roosevelt Island Docks Museum
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RIDL Roosevelt Island Docks Library
Progettazione tecnologica
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New York City
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Staten Island
.01
Brooklyn
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Manhattan
.03
Queens
.04
Bronx
.05
.03 .04
.02
.01
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Morfologia
"Lo schema delle strade e degli isolati rivela che la sua autentica ambizione è l'assoggettamento, se non l'annullamento della natura"1
a sinistra:
New York sorge dove le acque dolci dell'Hudson River incontrano il mare nell'Upper Bay e si mischiano coi flutti dell'East River. Da qui la città si estende per diagonale in direzione nord-est, seguendo la morfologia del territorio e dividendosi in cinque sottoscrizioni amministrative (i boroughs di Brooklyn, Bronx, Manhattan, Queens, Staten Island), delle quali solo il borough del Brox si trova sulla terra ferma. L'aspetto originario dell'isola di Manhattan è oggi del tutto impossibile da decifrare, spianato dalla griglia stradale e sostituito dallo skyline frastagliato dei grattacieli. Tuttavia, prima dell'insediamento europeo, la superficie dell'intera area doveva essere ricoperta per intero da avvallamenti e rilievi, come del resto testimonia il nome col quale gli indiani designavano la zona: Mannahatta, l'isola dalle molte colline.
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I grattacieli di Lower Manhattan dall'East River Rem Koolhaas, Delirious New York, Milano, Electa 2001, p. 17
Uno degli elementi più rilevanti per lo sviluppo più recente della città è la particolare natura del terreno su cui si fonda Manhattan. Questo è infatti costituito da vene di solida roccia granitica che, affiorando particolarmente nelle aree della Lower Manhattan e dell'Upper Manhattan, hanno consentito l'edificazione dei grattacieli più alti proprio in questi punti. Lo sviluppo urbano di New York è dunque stato in gran parte determinato dalle condizioni favorevoli della geografia dell'area su cui sorge. A sud lo stretto marittimo The Narrows separa la Lower Bay, aperta sull'oceano, dall'Upper Bay, creando in quest'ultima un porto naturale e consentendo in tal modo un approdo sicuro per il commercio con l'Europa in epoca coloniale. A nord l'Hudson River si snoda penetrando nella regione dei laghi permettendo il trasporto delle merci dall'interno del continente fino alla costa atlantica.
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La condizione di porto privilegiato per l'Europa favorì a più riprese l'arrivo di flussi migratori dal Vecchio Continente e dunque il vertiginoso aumento della popolazione durante tutto l'Ottocento e poi nel Novecento. Il tessuto sociale ed etnico della popolazione è dunque quanto mai variegato; secoli di immigrazione alla volta del sogno americano hanno portato ad una ripartizione quasi equiparata di popolazione di origine europea, nera e ispano-americana, seguite da una minor percentuale di popolazione asiatica, presente comunque in numero ingente. Malgrado questa multietnicità la città di New York non può certo dirsi al riparo da contraddizioni e divari sociali, che si presentano nelle talvolta drammatiche situazioni di emarginazione e disagio relegate in quartieri ghetto ben lontani dall'immaginario romantico della città di cristallo che si protende verso il cielo. A New York coesistono oggi la città iridata, dove la modernità e il benessere hanno costruito il mito noto a tutto il mondo e la città sommersa, dove la disillusione e la relegazione confinano in quartieri fatiscenti reietti e emarginati.
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a sinistra: Chinatown, New York City, Library of Congress, 1909 pagina successiva: Lower Manhattan Brooklyn Bridge
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Storia
“New York era un luogo inesauribile, un labirinto di passi senza fine: e per quanto la esplorasse, arrivando a conoscerne a fondo strade e quartieri, la città lo lasciava sempre con la sensazione di essersi perduto” 1 La storia dell'evoluzione di Manhattan (e poi dell'intera New York City) è segnata dall'estremo sforzo di realizzare una città che incarni quanto più possibile i valori della società che la abita e da una continua corsa allo sviluppo delle tecnologie e degli strumenti atti a rendere possibile questo scopo.
a sinistra: New Yorke, 1695, Library of Congress, John Miller, 1695 pagine successive: L'antropizzazione del paesaggio dell'Alentejo. Paul Auster, Trilogia di New York, Torino, Einaudi, 2014 1
Sebbene l'esplorazione prima di Coney Island, poi di Manhattan e in seguito del corso del Fiume Hudson, venga attribuita al capitano inglese Henry Hudson e datata 1609, non si assiste alla realizzazione di un insediamento europeo strutturato nell'area di Manhattan prima del 1623, quando vi si stabilì una prima colonia olandese che prese il nome di Nieuw Amsterdam. La topografia del nuovo insediamento venne stabilita prima che le navi salpassero dalle coste dell'Europa, progettata nei Paesi Bassi da uomini da sempre abituati a strappare con fatica il terreno su cui costruire i propri insediamenti ad una natura ostile. Si narra che i primi coloni olandesi furono vittima di una truffa: acquistarono l'isola di Manhattan da una tribù di indigeni per 27 dollari, ma gli indiani erano solo di passaggio per la zona, che dunque non gli apparteneva. Dovrà trascorrere ancora molto tempo prima che la città si imponga come uno dei principali centri del commercio mondiale, e almeno altri due secoli prima che la città assuma la rigida lottizzazione a griglia che estendendosi per tutta la lunghezza di Manhattan regolerà e incanalerà il suo sviluppo, tuttavia già nell'atteggiamento dei primi coloni e nella leggenda della sua fondazione, si poteva scorgere la stessa intraprendenza
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e la stessa noncuranza che in seguito costituiranno l'identità dell'isola. Lo sviluppo urbano di New York proseguì incessante nei due secoli successivi alla fondazione: pur rimanendo circoscritto alla sola Lower Manhattan, tla città arrivò a contare alla fine del XVII secolo circa 30 mila abitanti, attestandosi come città più popolosa del Nuovo Mondo. La città passò sotto il dominio inglese nel 1663 e vi rimase fino alla creazione degli Stati Uniti d'America dei quali New York fu, seppur per breve tempo, capitale.
a sinistra: Map of the city of New York and island of Manhattan, as laid out by the commissioners appointed by the legislature, April 3d, 1807, Library of Congress, 1811 pagine successive: The city of New York, Library of Congress ,Currier & Ives, 1870 John W. Reps, The making of urban America, Princeton, Princeton University Press, 1965, p. 297 1
Fu in seguito alla creazione della nuova nazione che New York assunse l'assetto urbano che conosciamo ancora oggi. A partire dal 1807 DeWitt, Morris e Rutherford elaborarono un piano di lottizzazione a griglia che indirizza lo sviluppo di Manhattan all'interno degli isolati definiti dalle 12 Avenue che tagliano l'isola da sud a nord e dalle 155 Streets che la attraversano da est a ovest. Della centuriazione precedente non rimane traccia, se non nell'estremo sud della Lower Manhattan e in alcuni sporadici episodi come Broadway. La Griglia non era altro che la più razionale forma di progettazione possibile volta a favorire "l'acquisto, la vendita e il miglioramento dei beni immobili"1. Essa venne in un primo momento pianificata nella prospettiva di uno sviluppo futuro, che non necessariamente implicava la completa realizzazione dell'intero piano. Era quindi prima di tutto una speculazione concettuale volta a rispondere con pragmatismo ai bisogni della società umana nel modo più efficace possibile, che teneva conto del fatto che "una città è composta principalmente dalle abitazioni degli uomini, e che le case con facciate lisce e angoli retti sono le più economiche da costruire e le più comode in cui vivere"2.
William Bridges, Commissioners' Remarks, Map of the City of New York and Island of Manhattan Princeton, New York, 1811, p. 24 2
Solo mezzo secolo più tardi, la previsione ipotetica e, nella visione dei suoi fautori, quasi surreale della saturazione della griglia, diviene reale e si decise di procedere alla realizzazione di un ampio parco compreso tra la 59th e la 110th Street e la 5th e la 8th Avenue. L'intento era quello di salvaguardare per quanto possibile la morfologia del territorio che caratterizzava in origine Manhattan, sulla quale si potevano trovare affioramenti rocciosi, avvallamenti e rilievi, destinati ora ad essere spianati e livellati per far spazio a strade e edifici. Sebbene questo
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principio possa sembrare un estremo atto di conservazione, in realtà ribadiva ancora una volta la volontà di supremazia della dimensione umana e del suo strumento per eccellenza, la pianificazione urbana, sulla natura, costituendosi nei fatti nell'espianto di strutture presenti in natura e specie arboree pittoresche da ogni parte dell'isola e nella ricollocazione sul terreno dell'attuale Central Park, per essere tutelate in un simulacro dalla parvenza naturale.
a sinistra: Flatiron Building, 1909 Rem Koolhaas, Delirious New York, Milano, Electa 2001, p. 8 1
Una volta riconciliatasi con l'eredità naturalistica dell'isola, l'espansione urbana riprese con gli unici limiti definiti dall'inviolabile griglia e dalle leggi della fisica, che continuavano a relegare gli edifici di New York ad una quota relativamente bassa. Questo fu vero almeno fintanto che il progresso della tecnologia non rese possibile l'eliminazione dell'ultimo grande limite imposto a Manhattan dalla natura. A partire dalla seconda metà dell'Ottocento infatti la disponibilità delle strutture in acciaio e dei primi ascensori, permise di sconfiggere la forza di gravità. Fu così che si innalzarono a dismisura le costruzioni verso il cielo, conquistando l'unico spazio ancora disponibile all'interno della città che aveva adottato come paradigma della propria architettura "lo sfruttamento della congestione"1. Lo sfruttamento della congestione rimase il filo conduttore del credo del Manhattanismo, ma cambiò forma, o meglio direzione. Alla frenetica occupazione del suolo si sostituì un ancor più spasmodica corsa alla moltiplicazione delle superfici utilizzabili con la sovrapposizione di piani, convertendo la speculazione edilizia orizzontale in speculazione verticale. Vasti investimenti volti a sostituire alle costruzioni preesistenti la più remunerativa tipologia dei grattacieli portarono in breve alla creazione di situazioni di saturazione tale da compromettere la salubrità degli edifici più bassi che venivano privati delle necessarie condizioni di luce e aria dagli edifici adiacenti. Si trova ancora traccia degli anni frenetici del primo decennio del Novecento in pittoreschi edifici come il Flatiron Building, costruiti su lotti di forma anomala, a patto di poterne ripetere la superficie nel maggior numero di piani sovrapposti, per quanto la tecnologia del tempo rendesse possibile. In questo panorama si rivelò necessaria l’elaborazione di una legge che
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regolasse l’edificazione dei grattacieli e impedisse che si continuasse a operare la mera estrusione delle superfici di base dei terreni. Nel 1916 nasce la Zoning Law che regolava la moltiplicazione degli appezzamenti per sovrapposizione di piani fino ad una certa altezza, al raggiungimento della quale l’edificio avrebbe dovuto arretrare rispetto ai confini del lotto con una determinata inclinazione, per consentire alla luce di raggiungere le strade, stabilendo inoltre che una torre potesse raggiungere un’altezza illimitata per un’area pari al 25% della superficie totale del terreno. La Zoning Law, combinata all’ambizione degli investitori, arrivò a definire la forma del tipico grattacielo di Manhattan ancor più dei progettisti che avrebbero disegnato le torri, secondo un meccanismo per il quale si cercava di accaparrarsi il lotto nella sua interezza, in modo da poter costruire in altezza per la maggior superficie possibile. Secondo quanto riporta Rem Koolhaas in Delirious New York, Hugh Ferriss descriveva in quattro fasi il procedimento secondo il quale era redatto il progetto di un grattacielo nella Manhattan del 1916, in conseguenza alla Zoning Law: 1) “Una rappresentazione della massa massima che, in base alla Zoning Law, è permesso costruire su un isolato urbano […]. Non si tratta del progetto di un architetto, ma semplicemente della forma che deriva dalle indicazioni della legge.” 2) “Il primo passo compiuto dall’architetto è quello di tagliare la massa per far penetrare la luce del giorno […]. [Egli] non si concede previsioni sulla forma finale […]. Accetta semplicemente la massa che gli è stata messa fra le mani e si propone di modificarla passo dopo passo […]. Si prepara a vederne imparzialmente i progressi e a attenersi a qualsiasi risultato ottenga alla fine […].” 3) Le frastagliate superfici inclinate scaturite dalla modellazione del volume nella seconda fase sono “tagliate in forme rettangolari che garantiscono spazi interni più convenzionali […]” 4) “Dopo aver rimosso le parti considerate indesiderabili, la massa quale infine rimane […]. L’edificio che ne deriva non va considerato come compiuto e abitabile; esso ancora attende di ricevere una forma dalle mani del progettista […]”. Agli architetti non sarebbe rimasto altro che disegnare le decorazioni delle facciate di strutture dimensionate a priori, agli ingegneri sarebbe spettato spingere al massimo le più innovative soluzioni tecnologiche per raggiungere le massime altezze possibili.
a sinistra: View of Woolworth Building and surrounding buildings, New York City, The Pictorial News Co., New York, 1913 pagine successive: Le quattro fasi della Zoning Law, Hug Ferris, The Metropolis of Tomorrow, 1916 Rem Koolhaas, Delirious New York, Milano, Electa 2001, p. 105 1
Se New York era ormai l’icona della modernità e i suoi edifici il mani-
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festo della tecnologia nell’era della macchina, se i suoi investitori, i suoi architetti e i suoi ingegneri ostentavano i loro traguardi nell’imponenza delle loro costruzioni, al contempo si prodigavano a camuffarne le strutture. Contemporaneamente all’esplosione del Movimento Moderno in Europa, i grattacieli di Manhattan mostravano ancora decorazioni classiche, gotiche o ancora rinascimentali, curiosamente adattate alle proporzioni e sconvolte nelle loro moli. Nel disegno dei soli elementi che nelle loro costruzioni non fossero già predeterminati, i progettisti sembravano ancor più rinunciare a l'unica possibilità di esuberanza che gli fosse concessa, autorelegandosi al ruolo di semplici amanuensi. Solo a partire dalla seconda metà del Novecento l’aspetto degli edifici troverà la sua forma naturale in quello che Philip Johnson definì International Style.
a sinistra: New York City skyline, O'Halloran, Thomas J., photographer, New York, 1975
Il fermento speculativo degli inizi del secolo subì una battuta di arresto solo a seguito della Grande Depressione. Nonostante la ripresa economica successiva alla Seconda Guerra Mondiale, nella seconda metà del Novecento si assisterà ad un parziale esodo residenziale e delle attività produttive verso le aree suburbane e ad una sempre maggior terziarizzazione delle aree centrali. Alla cultura della congestione andranno gradualmente sostituendosi alcuni tentativi di pianificazione sempre più volti a riportare la città alla scala umana. Malgrado ciò, centinaia di anni di progettazione urbana e costruzione di edifici con l'unico scopo di incrementare il guadagno del privato, hanno plasmato una città che per molti aspetti si offre oggi agli occhi del visitatore come insensibile alle esigenze del cittadino e priva di un disegno sociale più complesso. Gli spazi urbani hanno senso fintanto che possono essere sfruttati per fornire una rendita: accade così che i lotti destinati ad accogliere funzioni di pubblico interesse o a ospitare piazze siano comunque edificati, a patto che sia garantita la misera consolazione di destinare i piani inferiori dell'edificio ad utilizzo pubblico. Sorgono così deserte lobby vetrate confortevolmente arredate, all'interno delle quali alberi e foreste di bamboo generano la triste parodia degli spazi aperti che maldestramente sostituiscono.
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Progetti come quello del Seagram Building di Mies Van Der Rohe, che riservava ad uso pubblico uno spazio ottenuto mediante l'edificazione dell'edificio su una superficie inferiore a quella dell'intero lotto, restano tuttora casi isolati e scarsamente imitati.
a sinistra: Vista della 42nd Street col Crysler Building pagine successive: 432 Park Avenue
La creazione di nuovi spazi pubblici e di quartieri piĂš a misura d'uomo, che rivalutino il ruolo della speculazione edilizia e l'interesse dei privati a favore di tutti i cittadini, potrebbero costituire il filo conduttore dello sviluppo urbano della New York del Ventunesimo Secolo.
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Roosevelt Island
"The island nobody knows"
A poca distanza dal centro di Manhattan, oltre la cortina degli edifici signorili dell’Upper East Side, emerge dalle acque dell’East River una striscia di terra dalla forma allungata. Roosevelt Island, definita da Philip Johnson “the island nobody knows”1, misura circa 3 chilometri in lunghezza e non più di 250 metri nel punto di maggiore larghezza, per un’estensione totale di circa 60 ettari. È un’isola verdeggiante, dalla cui superficie piana si delineano alcuni bassi e irregolari edifici, se comparati alle costruzioni di Manhattan che li sovrastano da oltre il canale. Nella sua parte centrale è attraversata da l’unica strada, Main Street, che si snoda irregolare fino all’estremo nord come fosse una spina che innerva l’isola; a sud del Queensboro Bridge, Main Street si biforca nella Loop Road che, come suggerisce il nome, si avvita su sé stessa per sfociare nuovamente nella spina principale.
a sinistra: Roosevelt Island Tram sul lato di Manhattan Philip Johnson and John Burgee Architects, The island nobody knows, New York, 1969 1
Pur essendo parte dell’ottavo distretto di Manhattan, l’isola non ne condivide quindi l’aspetto, l’implacabile griglia urbana si arresta nell’Upper East Side e non oltrepassa l’East River, così come gli imponenti grattacieli del centro della città. Sembra che in qualche modo l’isola si opponga alla manhattanizzazione e del resto Manhattan ha scelto di ignorarla, evitando quanto più possibile i punti di contatto. Lo stesso Queensboro Bridge, che attraversa l’East River per raggiunge il Queens, tagliando a circa un quarto della sua lunghezza Roosevelt Island e affondandovi gli imponenti pilastri, la supera incurante, senza concederle una discesa carrabile o pedonale. Gli unici modi che rimangono per raggiungere l’isola sono la fermata della linea F della metropolitana, il minuto Roosevelt Island Bridge dal Queens, e una pittoresca teleferica dalle cabine rosse, che dalla 2nd Avenue si impenna sopra alle acque del canale e atterra direttamente sull’isola, più simile ad un’attrazione turistica che a un trasporto pubblico.
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La popolazione dell’isola si aggira oggi intorno ai 12mila abitanti, sufficienti a dar vita a una piccola città, ma al contempo abbastanza contenuti da non generare il senso di dispersione e spaesamento che sopraggiungono nelle aree ad alta densità della metropoli. In questo modo la popolazione della “island nobody knows” ha sviluppato un senso di appartenenza e di coesione non comune ai cittadini del resto di Manhattan. Nonostante la fiera coesione e talvolta l’introversione dell’isola, Roosevelt Island deve a Manhattan gran parte del suo fascino, che risalta per contrasto ed esplode nelle viste mozzafiato del panorama urbano dall’inconsueto contesto naturalistico dei parchi dell’isola.
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a sinistra: Edifici di Manhattan e di Roosevelt Island a confronto pagine successive: I grattacieli dell'Upper East Side si affacciano dalle chiome degli alberi di Roosevelt Island Punta sud di Roosevelt Island e Queensboro Bridge dal Queens
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L'isola dai cinque nomi
Nel corso della storia l’uso che la città ha fatto dell’isola è cambiato almeno tante volte quanto il nome con cui è stata chiamata. Il primo nome con cui Roosevelt Island fu conosciuta era semplicemente “Minnahononck”, che nella lingua dei nativi non significava altro che “Isola piatta”. Nel 1637 gli olandesi chiamarono l’isola col nome di “Varcken Eylandt”, ovvero “Isola dei Maiali”, coerentemente alle attività di allevamento che vi insediarono. È solo a partire dal 1668 che la storia dell’isola si lega strettamente alla presenza dell’uomo; in quell’anno un ufficiale inglese, il Capitano John Manning, acquista l’intero terreno e gli dà il proprio nome: Manning Island. L’isola fu conosciuta con questo nome fino al 1686 quando, alla morte di Manning, fu ereditata dal genero Robert Blackwell, dal quale prese il nome di Blackwell's Island.
a sinistra: Blackwell Island e Central Park a confronto Philip Johnson and John Burgee Architects, The island nobody knows, New York, 1969 1
Con questo nome l’isola resterà nota per i successivi quattro secoli, nonostante nel 1828 i suoi terreni vennero ceduti dalla famiglia Blackwell alla città di Manhattan, che vi collocò una serie di istituzioni pubbliche, quali ospedali, manicomi, ospizi e prigioni. In questo modo vennero sostituiti i cottage e le fattorie che si trovano sull’isola con ampie costruzioni in cui convogliare tutti quegli “indesiderabili” che venivano rigettati da Manhattan, ma del resto si metteva al riparo Blackwell’s Island dalla speculazione forsennata che per un secolo e mezzo avrebbe interessato la città, consentendole di diventare la Roosevelt Island di oggi. Per tutto l’Ottocento le istituzioni insediate sulla superficie dell’isola crebbero di importanza e gli edifici che le ospitavano si ampliarono gradualmente. Nel 1872 venne collocato in corrispondenza della punta nord dell’isola un pittoresco faro che ripropone le fattezze di una tozza colonna gotica, completa di base e capitello. Blackwell’s Island conobbe un momento di notorietà sulle pagine
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di cronaca quando nel 1887 la giornalista Nellie Bly pubblicò il libro “Ten Days in a Mad-House”, un resoconto della sua esperienza sotto copertura all’interno Women’s Lunatic Asylum, il manicomio femminile situato nell’isola. La descrizione del sovraffollamento e delle terribili condizioni nelle quali erano trattenute le pazienti del centro richiamarono l’attenzione mediatica sul problema, e portò allo stanziamento di fondi e all’inasprimento dei controlli sull’operato della struttura.
a sinistra: Il Queensboro Bridge da un rimorchiatore di passaggio sull'East River
Nel 1900 iniziò la costruzione del Queensboro Bridge, che verrà inaugurato nel 1909, e verrà provvisto di una piattaforma di elevazione al fine di issare i veicoli dalla superficie dell’isola al ponte a partire dal 1930, poi smantellata nel 1970. Nel 1914 Blackwell’s Island tornò a destare l’attenzione dell’opinione pubblica a causa di alcuni gravi episodi di corruzione e degrado esplosi all’interno del penitenziario, dove pare che agli esponenti di spicco della malavita che lì erano rinchiusi venisse riservato un trattamento di favore. Si provvide al trasferimento dei detenuti coinvolti e alla rimozione delle personalità implicate nella faccenda, tuttavia la reputazione dell’isola era ormai compromessa, al punto che nel 1921 il nome di Blackwell’s Island venne cambiato il Welfare Island. Gli unici mezzi per raggiungere l’isola rimasero a lungo i trasporti su acqua e poi la caratteristica piattaforma di elevazione del Queensboro Bridge, fino a quando nel 1955 venne aperto il Welfare Island Bridge, che consentiva il passaggio carrabile dal Queens all’isola. Nella seconda metà del Novecento l’isola conobbe nuovi importanti stravolgimenti. Welfare Island era orami quasi spopolata, le sue istituzioni quasi completamente trasferite e in stato di abbandono. Già a partire dai primi anni ’60 si iniziarono a elencare piani urbanistici che definissero il futuro dell’isola, ottenendo le più disparate proposte. Nel 1968 venne creata una commissione per decidere il futuro dell'isola, la Welfare Island Planning and Development Commettee, al cui interno figuravano Philip Johnson e John Burgee. Nel 1969, al termine dei lavori della commissione, fu presentato un piano redatto da Johnson e Burgee. Il piano prevedeva nelle sue linee generali di salvaguardare le strutture storiche e gli spazi aperti rimasti disseminati all’interno dell’isola, inoltre prevedeva di insediare un nucleo abitativo di circa 20mila abitanti nella
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parte centrale dell’isola, collocando una serie di edifici lungo un percorso principale che risalisse la parte a nord del Queensboro Bridge. Il principio fondamentale del piano risiedeva nella volontà di evitare un’eccessiva zonizzazione residenziale che avrebbe relegato l’isola a quartiere dormitorio, affiancando alle residenze uffici e attività commerciali, ma soprattutto prevedendo una grande galleria commerciale che connettesse con percorsi aerei la piazza centrale rivolta a Manhattan e l’approdo che guardava al Queens. In qualche modo il progetto di Johnson e Burgee evitava quanto più possibile di applicare all’isola la pianificazione urbanistica attuata nel resto della città: il percorso centrale irregolare evitava le monotone e prevedibili fughe prospettiche dei viali di Manhattan, mentre agli edifici veniva imposto di non superare nella parte centrale dell’isola i dodici piani, per poi degradare fino a quattro piani in corrispondenza delle sponde, in modo da creare sorprendenti panorami dai punti più interni e da non far incombere volumi imponenti sulle passeggiate lungo gli argini. Infine venne progettata la realizzazione di un grande parcheggio posto in prossimità del Welfare Island Bridge, in modo tale da evitare che la scarsa rete viaria si congestionasse a causa dell’esagerato numero di veicoli.
a sinistra: "The Harbor facing Queens", Welfare Island Planning and Development Commettee, New York, 1969 Rem Koolhaas, Delirious New York, Milano, Electa 2001, p. 279 1
Alla pubblicazione del piano di Johnson e Burgee seguì un periodo di grande fermento per il futuro sviluppo dell’isola. Nel 1975 la New York State’s Urban Development Corporation bandì il “Roosevelt Island Housing”, un concorso per la progettazione di un isolato residenziale collocato nell’area nord, in prossimità del Roosevelt Island Bridge e rivolto verso Manhattan. Tra le proposte più rilevanti figura quella di Oswald Mathias Ungers. Ungers presentò un progetto che riproponeva la tipica sistemazione di Manhattan in miniatura: una serie di edifici a torre erano disposti secondo una rigida griglia di percorsi che tuttavia, a differenza dei loro modelli, erano esclusivamente ad uso pedonale; al centro del sistema si trovava un parco dalla pianta rettangolare perfetta riproduzione miniaturizzata di Central Park. Questo provocatorio progetto rimarca il contraddittorio rapporto tra Manhattan e la sua piccola e ribelle appendice ed è precursore della proposta di OMA per la “New Welfare Island”1, pubblicata nella prima versione di Delirious New York del 1978. Nel capitolo omonimo del saggio, Rem Koolhaas ipotizzava di collocare all’estremo sud dell’isola un quartiere
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che riproponesse “alcuni dei caratteri che resero unica l’architettura di Manhattan: la sua capacità di fondere il popolare con il metafisico, il commerciale con il sublime, il raffinato con il primitivo”1. In questo modo proponeva di realizzare al sud del Queensboro Bridge di otto nuovi isolati identici, tramite estensione Streets di Manhattan, tagliate a metà da un percorso parallelo alle Avenue del centro. “Parcheggiati” al centro degli isolati nuovi e imponenti grattacieli che, spinti dall'indifferenziata planimetria degli isolati, avrebbero competuto fra loro, innescando un nuovo moto di manhattanesimo all'interno dell'isola. Ad animare il progetto, nuove e fantascientifiche tecnologie di trasporto su tapis roulant aerei ed anfibi, avrebbero placato la sete di New York per la modernità, che avrebbe presto contagiato l'utopia, o forse più propriamente la distopia, di New Welafare Island.
a sinistra: Il piano presentato da Ungers Rem Koolhaas, Delirious New York, Milano, Electa 2001, p. 279 1
Queste radicali proposte di estensione del Manhattansesimo non furono mai realizzate e la nuova vita dell’isola non fu sancita dal nome di Welfare Island, ma da quello di Roosevelt Island, che le venne dato nel 1973 in onore del Presidente degli Stati Uniti Frank Delano Roosevelt. Nel 1972 fu affidato a Louis Kahn il progetto per un grande memoriale sulla punta sud dell’isola, ancora una volta dedicato al Presidente Roosevelt sotto il nome di Frank D. Roosevelt Four Freedom Park, che tuttavia sarà realizzato solo nel 2012. Nel 1976 fu inaugurata la funivia di Roosevelt Island, che collega Manhattan all’isola e nel 1989 fu aperta una stazione della metropolitana F al centro dell’area residenziale dell’isola. A conclusione del rinnovamento dell’isola si procedette alla risistemazione della punta sud, sulla quale ancora si trovavano le strutture abbandonate del vecchio Goldwater Memorial Hospital. Nel 2011 fu realizzato il Southpoint Park, dal quale a partire dall’anno successivo si accede al memoriale di Kahn, mentre a partire dal 2014 venne demolito il Goldwater Memorial Hospital, al posto del quale è stato realizzato il Cornell Tech Campus e il relativo parco. In accordo col piano del 1968 si possono ancora osservare all’interno dell’isola alcune delle antiche strutture, oggi in gran parte restaurate. A partire dall’estremo sud, inseriti all’interno del Southpoint Park, sorgono le rovine goticheggianti dello Smallpox Hospital e la piccola struttura
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dello Strecker Memorial Laboratory, oggi restaurato. Al centro dell’isola, all’interno di un piccolo parco, si trova ancora circondata dagli alberi la Blackwell House, originaria dimora della famiglia Blackwell e sesta abitazione più antica della città pervenuta ai giorni nostri, mentre a poca distanza sopravvive avvolta dai recenti edifici residenziali, la piccola Chapel of the Good Shepherd. Più avanti, proseguendo verso nord, si trova la struttura a ottagono (“The Octagon”) che fungeva in origine da atrio del Lunatic Asylum; ancora oggi si può ammirare la maestosa scala curvilinea che risale i colonnati della struttura a volume unico, sebbene sia stata annessa a un complesso residenziale di lusso. Infine, all’estremo nord dell’isola, si trova il caratteristico faro dall’esuberante profilo che oggi ha mutato nome per la terza volta in Roosevelt Island Lighthouse.
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a sinistra: Roosevelt Island Lighthouse dopo il restauro pagine successive: La facciata dello Smallpox Hospital Lo Strecker Memorial Laboratory coi grattacieli del Queens sullo sfondo Il Roosevelt Island Tram attraversa l'East River
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"A Room and a Garden"
“[...] I had this thought that a memorial should be a room and a garden. That’s all I had. Why did I want a room and a garden? I just chose it to be the point of departure. The garden is somehow a personal nature, a personal kind of control of nature, a gathering of nature. And the room was the beginning of architecture.” 1
a sinistra: Modello del FDR Four Freedom Park Louis Kahn, Tat Pratt Institute , New York, 1973 1
All’estremo sud di Roosevelt Island, oltre i prati del parco del Cornell Tech Campus, oltre gli alberi del Southpoint Park, si allunga sulle acque dell’East River il FDR Four Freedom Park. Visto da Manhattan il Memoriale di Roosevelt assomiglia a un’elegante lama di candido granito, mentre osservato dall’alto del Queensboro Bridge, appare dietro allo Smallpox Hospital nella sua forma di triangolo isoscele allungato. Percorrendo la passeggiata che costeggia le sponde dell’isola, oltrepassati il Southpoint Park e le rovine dello Smallpox Hospital, una barriera di cinque alti faggi ostruisce la vista verso la scalinata che conduce al giardino sopraelevato, mostrando solo uno scorcio parziale del basamento granitico e impedendo che il Memoriale si stagli come una rivelazione agli occhi del visitatore. Questa ricercata assenza di monumentalità nella prima impressione che si ha del memoriale, instilla un senso di austero raccoglimento, ma incoraggia al contempo la curiosità e invitare a salire i gradini. In cima alla scala si apre il Giardino, che offre stavolta uno spettacolo inaspettato e abbagliante: un prato discende verso il mare disegnando in pianta un triangolo che aumenta la percezione di fuga prospettica e allungando lo spazio, mentre tangenti ad ognuno dei suoi lati maggiori corrono due file parallele di tigli che rinforzano ancor più la percezione delle geometrie della pianta. Al vertice del Giardino, una nicchia di granito che ospita il busto bronzeo del Presidente Roosevelt delimita la soglia d’ingresso della Stanza.
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Oltrepassata la nicchia massiva si entra nella Stanza: qui lo sguardo si perde nel panorama di New York, ma una New York meno elegante e maestosa di quella Manhattan che si osserva dal lato ovest del resto dell’isola, inquadrando anche i moli dismessi del Queens, le insegne pubblicitarie, gli ospedali e le fabbriche sulle rive di Brooklyn. Una New York priva di filtri, sulla quale il visitatore può riflettere nel silenzio, nell’austerità e nello strano senso di raccoglimento che questa stanza priva di tetto trasmette a chi vi entra.
a sinistra: La Sala con lo sfondo di Manhattan Michael Kimmelman, New York Times, New York, settembre 13 2012 1
La realizzazione del Memoriale di Kahn è strettamente legata all’ultimo periodo della vita di Roosevelt Island, quando in conseguenza al Piano del ’69, l’isola stava vivendo una fase di rinascita. Il monumento entra a far parte di un disegno che nei primi anni ’70 non era ancora ben delineato, ma non per questo meno sentito dall’opinione pubblica. In un editoriale pubblicato dal New York Times proprio nel 1970, si auspicava la realizzazione di un memoriale all’interno dell’isola e si proponeva di intitolare l’intera isola allo stesso presidente. Nel 1973 Kahn veniva contattato dalla New York State Urban Development Corporation e incaricato di realizzare un progetto, che un anno più tardi sarebbe stato presentato e approvato. Pochi mesi più tardi Kahn sarebbe morto di attacco di cuore nei bagni della Pennsylvania Station, lasciando poco più di un progetto preliminare. La crisi finanziaria che colpì New York nel 1975 congelò definitivamente ogni ulteriore avanzamento del progetto fino a quando nel 2010 furono avviati i lavori per realizzare il memoriale tenendo fede al primo progetto di Kahn. Al termine della costruzione si chiosava così la travagliata vicenda della realizzazione del FDR Four Freedoms Park tra le colonne del New York Times “That Kahn’s plan survived periodic calls to privatize the government-owned property [...] proves the benefit of resisting short-term financial imperatives. In the end the value of the project goes far beyond dollars and cents. It gives New York nothing less than a new spiritual heart.”1 Il progetto realizzato rispecchia in tutto il progetto Louis Kahn, pur avendo dovuto affrontare alcune decisioni costruttive che alla morte dell'architetto non potevano ancora essere state prese. Oltre alla definizione dei dettagli costruttivi, il progetto finale ha dovuto confrontarsi con l’innalzamento del livello dell’East River e per questo è stata predis-
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posto un innalzamento della quota di progetto di quaranta centimetri, ma soprattutto delle tre tipologie di pietra selezionate da Kahn, il solo Granito Bianco del Mount Airy, estratto nella Carolina del Nord, è stato messo in opera. Il candore brillante di questa pietra contrapposto ai cupi flutti dell’East River e alla scura massa dello Smallpox Hospital rafforzano la percezione della classica e solenne geometricità del monumento.
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a sinistra: Il FDR Four Freedom Park dall'alto pagine successive: La scalinata e il Giardino del FDR Four Freedom Park
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Progetto
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Tema
Il progetto per un nuovo centro culturale a Roosevelt Island si pone in continuità con l’interesse urbanistico e architettonico per l’isola che ha caratterizzato gli ultimi quarant’anni. L’isola, al termine della sua lunga e travagliata storia, è stata riconosciuta nella sua straordinaria unicità ed ha stimolato la ricerca e la sperimentazione di alcuni dei maggiori architetti del nostro tempo, ma soprattutto rimane, all’interno del contesto newyorkese, un caso di studio tuttora proposto agli studenti delle maggiori scuole di architettura della città. Nell’ottica di confrontarsi con la progettazione delle scuole presenti sul territorio, a monte del progetto sono stati organizzati degli incontri all’interno del Pratt Institute coi professori Anthony Caradonna e James Garrison, che hanno fornito utili spunti di riflessione e presentato i lavori dei propri studenti.
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Masterplan
Il mare è probabilmente il fattore che più definisce l’aspetto di New York nel suo sviluppo insulare ed è forse l’elemento che ha contribuito più di tutti a plasmare la città di oggi nel corso della storia. A partire dalla sua fondazione Manhattan deve all’Oceano lo sviluppo dei fiorenti commerci con l’Europa e lo straordinario incremento della sua popolazione: nel corso dei secoli migliaia di persone provenienti da tutto il mondo hanno usato il mare come porta di accesso all’isola.
sinistra: Planivolumetria
Malgrado il ruolo centrale che l’Oceano Atlantico ha ricoperto per la storia della città, oggi New York sembra aver dimenticato il rapporto che la lega alle sue acque. Che ci si perda nella foresta dei grattacieli di Midtown Manhattan, o si passeggi tra le colline verdeggianti di Central Park, nessun indizio suggerisce che, a meno di due chilometri proseguendo verso est, si trovi l’East River. Il mare sembra oggi per Manhattan declassato a ostacolo che blocca l’ulteriore espansione della città: lungo le sponde dell’isola si snodano le infrastrutture e corrono tortuose le freeways, cosicché al visitatore non resta altro che osservare i flutti che si intravedono tra il passaggio di una macchina e l’altra, dalla distanza di sicurezza che impongono le recinzioni e i guard rail. Le sponde sono raggiungibili quasi esclusivamente da Long Island nella zona di Brooklyn e del Queens, tuttavia la mancanza di una vera sistemazione ne impedisce nella maggior parte dei casi la reale fruizione. Rimangono solo i pontili fatiscenti e le aree dismesse, vestigie del passato portuale, dai quali i corsi d’acqua appaiono come una barriera sulla quale si riflettono distaccati i grattacieli del centro. Roosevelt Island, nonostante il suo anticonvenzionale sviluppo e la sua particolare storia, non si distacca molto da questa condizione e le sponde dell’East River sono recintate e irraggiungibili sia nel Southpoint Park
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che nel FDR Four Freedom Park, mentre nel resto dell’isola sono vissute solo di passaggio, mentre si percorrono le vie pedonali che ne seguono il perimetro. Nella progettazione di un centro culturale all’interno del Southpoint Park si è voluto tener conto di questo contesto e si è inteso inserire all’interno dell’unicità di Roosevelt Island, un elemento che rimetta in luce il rapporto dimenticato che esiste tra la città e il suo contesto territoriale.
a sinistra: Vista aerea Rem Koolhaas, Delirious New York, Milano, Electa 2001, p. 282 1
Tale volontà si riconosce nella collocazione dei tre edifici che costituiscono l’intervento, sulle sponde del Southpoint Park, in modo tale che si protendano nelle acque dell’East River. Questo gesto richiama immediatamente alla mente lo sviluppo planimetrico dei docks che una volta venivano costruiti lungo le rive della città, ma si configura al contempo come una critica diretta alla sistematica verticalità delle strutture di Manhattan: si creano in tal modo dei “gratta-acqua”1, che come grattacieli ribaltati, qui si arenano provocatoriamente, trasportati dalla corrente dell’East River. Le tre funzioni del centro culturale (la conference hall, il museo e la biblioteca) sono ognuna raccolta all’interno di un edificio diverso, in modo da evitare un fronte continuo che isoli il parco dal mare, tale da impedire il rapporto che ci si propone di restaurare, ma consentendo al contempo l'integrazione tra l'edificato e il parco, che si compenetrano senza superficie di continuità. Sul lato della terraferma le costruzioni non si allineano, ma rientrano verso il parco per lunghezze variabili, in modo da ribadire ancora una volta l’integrazione con quest’ultimo e definendo uno spazio centrale più raccolto, chiuso verso il parco del Cornell Tech Campus dal blocco della ristorazione, che ruota su sé stesso allineandosi alla linea del margine nord del Southpoint Park, rifiutando il parallelismo degli altri edifici. I tre edifici principali sono poi raccolti da una leggera pensilina, che si imposta perpendicolarmente ad essi, parallela al corso del mare. Negli spazi tra i nuovi edifici e in quello tra gli edifici e il Memoriale di Kahn, è rimossa la recinzione che non consentiva di raggiungere la sponda e gli argini degradano morbidamente in prati che si configurano come platee, dalle quali godere dello spettacolo della città. Il parco retrostante è piantumato con varietà di aceri locali, che si dispon-
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gono casualmente nella parte est per evocare l’originaria natura boschiva dell’isola, ma si diradano ad ovest per consentire spazi aperti che richiamino i cittadini e i visitatori a trascorrere il proprio tempo libero nel contesto verdeggiante.
a sinistra: Esploso assonometrico pagine successive: Viste dall'Upper East Side attraverso l'East River
Gli edifici sono realizzati con facciate completamente vetrate, ma lasciate trasparenti nei soli lati est e ovest, in modo che al loro interno si generino cannocchiali visivi che mettano in comunicazione la città da un lato col parco sul lato opposto. La parte inferiore degli edifici, che ospita i locali tecnici ed è in parte sommersa, è rivestita da White Mount Airy Granite, lo stesso utilizzato per il Memoriale di Kahn, in modo tale da instaurare un dialogo tra il nuovo e il vecchio. Così lo stereometrico basamento in granito affiora dalle acque in solide piattaforme che sembrano essere esistite da sempre, insieme ai blocchi dello stesso materiale che si sollevano dalle coperture degli edifici. Le scatole vetrate che si sviluppano su di esse, sorrette da slanciati pilastri in acciaio, si configurano dunque come superfetazioni tettoniche che abbracciano formazioni rocciose geometrie preesistenti. L’elevazione massima degli edifici non raggiunge mai quella delle rovine dello Smallpox Hospital, in modo da evitare che il nuovo intervento si ponga in posizione predominante all’interno dello skyline del parco, favorendo piuttosto un dialogo con gli edifici che già si trovano all'interno dell'area. D’altra parte la bassa altezza delle strutture fa sì che le chiome degli aceri prescelti per il parco si elevino al di sopra del costruito, integrando il progetto nel parco stesso ed evitando che questi vengano letti come indipendenti l’uno dall’altro.
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RIDCH- Roosevelt Island Docks Conference Hall
Procedendo verso nord lungo la sponda ovest, a partire dal FDR Four Freedom Park, il primo edificio che si trova è quello della conference hall. Il blocco della sala conferenze rientra dall’argine in direzione del parco, impedendo una passeggiata lineare l’ungo la sponda e delimitando a sud lo spazio tra gli edifici.
a sinistra: Conference hall: Prospetto nord Sezione longitudinale Pianta PT Pianta P1
Lo spazio interno è percepibile fin dalla facciata est, realizzata con vetrate trasparenti, e si configura come un volume unico dell’altezza di dieci metri circa, al cui centro si trova un ulteriore blocco. In questo modo la "scatola" di vetro definisce degli ambienti di distribuzione e sosta, che servono ad accogliere il pubblico prima e dopo gli eventi. All’interno del blocco centrale vengono alloggiati il guardaroba, gli uffici, gli spazi tecnici, i servizi, i magazzini, una sala minore e la grande sala conferenze. La superficie esterna del blocco centrale è rivestita da pannelli di legno che risaltano per contrasto rispetto alle altre superfici, che presentano invece materiali più neutri: i pilastri in acciaio sono verniciati di bianco, così come i pannelli del controsoffitto, mentre il pavimento è composto da lastre di calcestruzzo chiaro e lucido. Le altre superfici verticali consistono invece nelle alte vetrate, realizzate con lastre uniche dell’altezza di undici metri per due metri e mezzo di larghezza e trattate con una finitura satinata nei lati nord e sud, che diventa completamente trasparente sui lati est e ovest. La sala principale accoglie 314 posti e vi si accede dalle porte collocate sul lato nord e sud e dalle due porte sul lato ovest. Da quest’ultime si accede a una terrazza coperta dalla quale si può ammirare il panorama dell’Upper East Side stagliarsi sull’East River, sostandovi alla conclusione delle conferenze, o organizzandovi rinfreschi e altre attività. Sul lato est si colloca la scena rialzata, accessibile tramite due rampe che ne seguono il profilo circolare, convesso verso la sala; dalla scena
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si può poi accedere ai camerini e alle quinte, separati da quest’ultima dall’alto fondale. La pianta della sala è caratterizzata nel suo sviluppo dai due muri longitudinali che seguono il profilo di un’ellisse e avvolgono le gradonate della platea che si sviluppano su archi di cerchio paralleli al profilo della scena. All’estremo ovest il muro posto alla sommità dei gradoni riprende l’arco della platea. La parte alta della sala è attraversata dai pannelli segmentati del controsoffitto che si incurvano secondo archi di cerchio trasversali ampliando ulteriormente la percezione dell’abbraccio già innescata dai muri laterali. I pannelli sono poi disposti in modo da seguire un secondo arco in senso longitudinale. Il materiale predominante all’interno della sala è il legno. Il legno si ritrova infatti nel parquet che riveste indifferentemente le gradonate e la scena, riducendo la distanza percepita tra gli oratori e il pubblico, ma anche nei pannelli che rivestono i muri e il controsoffitto, realizzati in dimensioni e finitura analoghe a quelli impiegati per l’esterno, ma stavolta disposti orizzontalmente, in modo da condurre lo sguardo verso la scena ed evitare un eccessiva verticalizzazione dello spazio.
a sinistra: Vista dalla hall d'ingresso sulla vetrata della conference hall
Il disegno e la selezione dei materiali dell’interno della sala non è dettato esclusivamente dai canoni estetici che ne fanno un ambiente caldo e raccolto, ma maestoso al contempo, infatti è ottenuto anche da un’accorta progettazione dell’acustica: la curvatura delle pareti longitudinali amplifica il suono proveniente dalla scena, diffondendolo per riflessione all’interno della sala, mentre il controsoffitto è angolato in modo tale da concentrare le riflessioni sonore sulla parte della cavea, più distante dagli oratori e quindi più difficilmente raggiungibile dal suono diretto; infine la curvatura trasversale del controsoffitto evita che le riflessioni si perdano sui muri laterali e le reindirizza verso il pubblico. Il riverbero è poi regolato dall’utilizzo di pannelli fonoassorbenti ottenuti tramite la microforatura dei pannelli lignei di rivestimento, che si camuffano tra i pannelli fonoriflettenti grazie all’invisibile lavorazione della microforatura. Completano il progetto dell'acustica le poltrone imbottite della platea che, anche se vuote, simulano la capacità di assorbimento acustico di una persona seduta, mantenendo ottimale il livello di riverbero anche nel caso in cui la sala non sia completamente piena.
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RIDM- Roosevelt Island Docks Museum
Proseguendo verso nord si incontra l’edificio che ospita il museo, elemento centrale dell’intervento. Dietro il colonnato della tettoia di raccordo, si scorge la trasparente vetrata ovest che si interrompe a due terzi della sua lunghezza per lasciar spazio ad un muro opaco, rivestito con la medesima pietra del basamento. Questo è l’edificio che presenta le vetrate più basse del complesso, che misurano esattamente la metà dell’altezza di quelle delle altre strutture. Sporgono tuttavia al di sopra di esse, oltre il primo livello della copertura, i blocchi con rivestimento granitico che ospitano le sale espositive fino ad arrivare a pareggiare l’altezza delle strutture adiacenti.
a sinistra: Museo: Prospetto nord Sezione longitudinale Pianta PT
Al centro della vetrata che guarda il parco si trovano gli ingressi, che aggettano da quest’ultima in cabine metalliche atte ad ospitare le doppie porte necessarie a regolare il clima interno dell’edificio. Oltrepassando gli ingressi si viene introdotti nell’ampia hall, al centro della quale è posto il desk a isola, mentre il bookshop, che si colloca sull’angolo nord-est dell’edificio, è fluidamente delimitato dalle librerie in legno e metallo, dalle quali si intravedono gli articoli in esposizione. L’angolo sud-est si colloca il blocco coincidente con le pareti di facciata rivestite in pietra: questo ospita il guardaroba, i servizi, gli uffici e i magazzini, oltre che il dock di carico e scarico delle opere destinate all’esposizione. Dal dock si ha poi accesso al seminterrato, dove si trovano i magazzini e gli ambienti necessari alla conservazione e al mantenimento delle opere. L’area espositiva si estende oltre la hall ed è visibile fin dall’ingresso, alle spalle del desk. Qui la parete della sala circolare si sviluppa sinuosa, in contrapposizione a quelle rigide e geometriche del blocco a base quadrata della sala che la fronteggia, in modo tale da generare uno sguancio che invita il visitatore a curiosare tra i muri che ospitano l’esposizione.
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All’interno della scatola vetrata i blocchi che contengono le sale si dispongono in modo apparentemente casuale, ma sono in realtà pensati per definire tra di essi alcuni spazi residui, atti ad ospitare gli episodi più “informali” dell’esposizione: in questo modo possono essere collocate istallazioni spazializzate che mal si sarebbero adattate alla maggior rigidità delle sale. Il museo è pensato in modo da poter accogliere le opere più varie, adattandosi con versatilità alle esigenze delle esposizioni temporanee. In questo modo, alle due grandi sale ad ovest, che presentano un carattere più direttamente riconducibile ad una classica galleria, si affiancano le due sale ad est, più indicate per il carattere effimero delle esposizioni temporanee e itineranti. Vi sono poi le due sale minori, pensate per l’istallazione di opere audiovisive e di filmati. Dalla sala posta a nord-ovest, si accede infine agli ascensori e alla rampa di scale che conducono alla copertura, dove un giardino di pietra, che può ospitare esposizioni all’aria aperta con l’eccezionale cornice degli incombenti edifici di Manhattan, è delimitato dai blocchi uscenti in copertura.
a sinistra: Vista di una sala per l'esposizione permanente
Le superfici della scatola sono trattate in modo analogo a quelle della sala conferenze, tuttavia in questo caso anche i muri dei blocchi presentano una finitura neutra che consiste nell'intonacatura di pannelli in cartongesso, dipinti con vernice bianca. La ragione di questo trattamento è da ricercarsi nella funzione museale dell’edificio, che ha fatto prediligere uno sfondo quanto più possibile neutrale per le opere esposte, cosicché l’architettura non confligga con la loro osservazione. Ciò nonostante, gli ambienti interni ai blocchi sono caratterizzati da un diverso trattamento delle pavimentazioni, che vanno dal parquet delle sale per l’esposizione permanente, alla più versatile finitura in resina grigio scura delle sale per l’esposizione temporanea. Gli spazi sono inoltre stati pensati in modo tale da contrapporre all’orizzontalità degli ambienti racchiusi dalle vetrate esterne, la verticalità degli ambienti interni ai blocchi, che sfondano il livello della copertura e si dilatano verso l’alto, generando nel visitatore un avvicendarsi di sensazioni di compressione e dilatazione dello spazio, che guidano la visita.
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Anche la natura dell’illuminazione naturale varia da un’ambiente all’altro: se proviene essenzialmente dalle vetrate verticali negli ambienti esterni ai blocchi, si ribalta all’interno delle sale espositive, dove diviene zenitale e i raggi del sole filtrano dalle alte travi che percorrono trasversalmente la sommità degli ambienti. Infine la luce del giorno viene del tutto esclusa dalle sale minori, in modo da consentire al meglio la proiezione delle opere e lo svolgimento delle istallazioni.
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a sinistra: Vista della sala circolare pagine successive: Vista di Manhattan tra il museo e la biblioteca
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RIDL- Roosevelt Island Docks Library
A chiudere il complesso e a delimitare sul lato nord la piazza compresa tra gli edifici è la biblioteca. Anche in questo caso infatti, la struttura rientra rispetto alla linea dell’argine, consentendo l’ingresso laterale e segnando una linea di conclusione dell’intervento.
a sinistra: Biblioteca: Prospetto nord Sezione longitudinale Pianta PT Pianta P1
L’edificio è progettato in modo tale che l’accesso al pubblico avvenga dal lato della piazza, mentre un accesso secondario, posto lungo il pontile a nord, è riservato al personale degli uffici che si trovano a livello del piano terreno, sotto alla sala lettura. Entrando da quest’ultimo si viene introdotti in una piccola hall per i dipendenti posta a circa metà dell’edificio, mentre da questa si accede a un corridoio sui due lati del quale si sviluppano gli uffici openspace. In fondo al corridoio è posta una sala riunioni che si apre con una vetrata trasparente verso il panorama del canale e della città. La hall d’ingresso alla biblioteca vera e propria si trova invece sul lato est, e consiste in un volume unico di due piani, che si stende in altezza per un’elevazione pari a quella della sala conferenze. Sul volume si affaccia un blocco che interrompe all’esterno la vetrata col consueto rivestimento in pietra e ospita internamente la scala di accesso al piano superiore, i servizi, i magazzini e il pozzo librario. Il piano superiore, in corrispondenza degli uffici che si sviluppano al livello più basso, ospita una grande sala lettura openspace. In questo ambiente si collocano i tavoli intervallati dai bassi scaffali di libri, pensati in modo da non impedire la percezione unitaria dello spazio: la consultazione e lo studio avvengono in tal modo in postazioni circondate da libri e luce, che viene diffusa dalle vetrate satinate poste sui lati maggiori della struttura. In corrispondenza del lato ovest, si arrestano gli scaffali e i tavoli, per lasciar spazio a postazioni informali dalle quali si può ammirare lo skyline
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di Manhattan attraverso la vetrata trasparente. A completare lo spazio della grande sala, sono le due lunghe file di pilastri a sezione circolare, che corrono parallele alle pareti in vetro come moderni colonnati.
a sinistra: Vista della vetrata esterna della biblioteca, del pontile e del panorama di Manhattan pagine successive:
Anche in questo caso i materiali impiegati riflettono nella loro semplicità la volontà di valorizzare quanto più possibile gli ospiti di questa architettura: i libri. Risaltano in tal modo sullo sfondo chiaro del pavimento e del soffitto gli scaffali lignei, che riscaldano al contempo l’ambiente.
Vista della sala lettura della biblioteca
In corrispondenza del lato est della biblioteca, dove si colloca la grande hall a doppia altezza, è posto infine un ultimo edificio, che ospita un bar e un ristorante al piano superiore. La peculiarità di questo blocco risiede nella posizione e nell’inserimento nella planimetria generale: a differenza di tutti gli altri, si trova infatti per intero sulla terraferma, e ruota in pianta per allinearsi al margine nord del parco, perdendo il parallelismo che altrimenti caratterizzerebbe il progetto. Questa rotazione genera inoltre uno sguancio tra la sua parete ovest e quella est della biblioteca, in modo tale da invitare all’ingresso nel parco i visitatori che percorrono il percorso che costeggia le rive dell’East River sul lato ovest dell’isola.
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Progettazione tecnologica
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01_solaio di copertura strato di ghiaia membrana geotessile massetto delle pendenze guaina impermeabilizzante pannello per isolamento termico barriera al vapore getto con rete elettrosaldata su lamiera grecata trave ipe pannello isolante in fibre di poliestere controsoffitto fonoassorbente
a sinistra: Particolare tecnologico della sala conferenze
02_muro in copertura scossalina metallica rivestimento in granito con ancoraggio a secco montanti in profilati heb traversi in profilati heb rivestimento in granito con ancoraggio a secco 03_parete sala conferenze pannello medium-density impiallacciato microforato pannello isolante in fibre di poliestere telaio di supporto in profili scaltolari pilastro tubolare circolare intercapedine pannello isolante in fibre di poliestere pannello medium-density impiallacciato microforato 04_controsoffitto sala conferenze pannello riflettore acustico impiallacciato 05_parete in vetro strutturale pannello stratificato in vetro selettivo
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intercapedine pannello stratificato in vetro basso emissivo con finitura satinata
a sinistra: Dettaglio della facciata longitudinale della sala conferenze
06_solaio interpiano lastre di calcestruzzo telaio di supporto in profili scaltolari distanziatori per pavimento flottante pannello per isolamento termico barriera al vapore massetto in calcestruzzo magro soletta portante in calcestruzzo armato 07_solaio interpiano sala conferenze finitura in doghe lignee pannello osb telaio di supporto in profili scaltolari distanziatori per pavimento flottante pannello per isolamento termico barriera al vapore massetto in calcestruzzo magro soletta portante in calcestruzzo armato 08_parete piano seminterrato rivestimento in granito con ancoraggio a secco palancole in acciaio guaina impermeabilizzante parete in calcestruzzo armato intercapedine parete in calcestruzzo armato cassero in calcestruzzo a perdere 09_solaio controterra pavimento in calcestruzzo gettato getto in calcestruzzo con rete elettrosaldata vespaio areato con moduli in plastica massetto in calcestruzzo magro platea di fondazione in calcestruzzo armato guaina impermeabilizzante
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01_solaio di copertura strato di ghiaia membrana geotessile massetto delle pendenze guaina impermeabilizzante pannelli per isolamento termico barriera al vapore getto con rete elettrosaldata su lamiera grecata trave ipe pannello isolante in fibre di poliestere controsoffitto fonoassorbente
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a sinistra: Particolare tecnologico del museo e di una sala espositiva
02_parete in copertura scossalina metallica rivestimento in granito con ancoraggio a secco guaina impermeabilizzante pannelli per isolamento termico barriera al vapore montanti in profilati heb traversi in profilati heb telaio di supporto in profili scaltolari annello in cartongesso con ancoraggio a secco
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03_parete sala espositiva pannello in cartongesso con montaggio a secco telaio di supporto in profili scaltolari pilastro tubolare a sezione circolare telaio di supporto in profili scaltolari pannello in cartongesso con montaggio a secco 04_vetrata copertura sala espositiva infissi per copertura vetrocamera telaio di supportoin profili scaltolari sistema di oscuramento a controllo remoto 05_parete in vetro strutturale pannello stratificato in vetro selettivo intercapedine pannello stratificato in vetro basso emissivo con finitura satinata
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06_solaio interpiano lastre di calcestruzzo telaio di supporto in profili scaltolari distanziatori per pavimento flottante pannello per isolamento termico barriera al vapore massetto in calcestruzzo magro soletta portante in calcestruzzo armato
a sinistra: Dettaglio della facciata longitudinale del museo
07_solaio interpiano sala espositiva finitura in doghe lignee pannello osb telaio di supporto in profili scaltolari distanziatori per pavimento flottante pannello per isolamento termico barriera al vapore massetto in calcestruzzo magro soletta portante in calcestruzzo armato 08_parete piano seminterrato rivestimento in granito con ancoraggio a secco palancole in acciaio guaina impermeabilizzante parete in calcestruzzo armato intercapedine parete in calcestruzzo armato cassero in calcestruzzo a perdere 09_solaio controterra pavimento in calcestruzzo gettato getto in calcestruzzo con rete elettrosaldata vespaio areato con moduli in plastica massetto in calcestruzzo magro platea di fondazione in calcestruzzo armato guaina impermeabilizzante
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Progettazione acustica
Il progetto della sala conferenze è stato realizzato nella convinzione che fosse opportuno affiancare all'attenzione per l'aspetto piÚ puramente estetico e percettivo una pari cura nell'ottenimento delle prestazioni acustiche ottimali, tali da consentire la miglior esperienza di ascolto possibile.
a sinistra: Esploso assonometrico delle componenti del progetto di acustica
Nasce in tal modo un design avvolgente, intimo ma maestoso al contempo, che ricorda in certi aspetti forme naturali, ma che al contempo permette di amplificare naturalmente i suoni provenienti dalla scena, indirizzandoli verso i punti della sala piÚ distanti da essa. Oltre alla disposizione di questi espedienti volti ad incrementare la potenza del suono emesso, ci si è accertati che il tempo di riverbero della sala coincidesse con quello ottimale previsto per la funzione che questo edificio intende accogliere, ovvero quella di auditorio per il parlato. Nell'ottenimento di tali risultati sono state eseguite ricerche volte a individuare i materiali che meglio fornissero le specifiche richieste nel rispetto della resa estetica desiderata. Materiali impiegati: 1) pavimento- legno parquet 2) soffitto riflettente- pannelli fonoriflettenti in legno 3) soffitto fonoassorbente- fibra riciclata da pet 4) pareti fonoassorbenti- pannelli microforati MICRO05 di DECUSTIK 5) porte- rivestite in legno 6) pareti riflettenti- pannelli fonoriflettenti in legno 7) tendaggi- di velluto pesante 8) sedie imbottite- libere (configurazione 1) 9) sedie imbottite- occupate (configurazione 1) 10) sedie imbottite- occupate (configurazione 2)
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Il tempo di riverberazione ottimale è stato ottenuto bilanciando opportunamente il numero di superfici fonoassorbenti e fonoriflettenti presenti all'interno della sala, avendo cura di localizzare quest'ultime nei punti in cui fosse più opportuno generare riflessioni sonore atte a distribuire il suono nelle zone che maggiormente lo richiedessero. Il criterio generale adottato è quello di incrementare le riflessioni nelle zone più distanti dal palco, dove il suono diretto giunge più smorzato, calcolando il tempo di ritardo iniziale, per assicurarsi che la geometria della sala non generasse un effetto di disturbo derivante da un eccessivo ritardo dei raggi riflessi rispetto ai raggi diretti.
a sinistra: Progetto di acustica: Sezione longitudinale Sezione trasversale Pianta PT Pianta P1
Nella seguente tabella sono riportate le prestazioni dei materiali impiegati sotto forma di coefficienti di assorbimento equivalenti al variare della frequenza:
I coefficienti di assorbimento vengono moltiplicati per le superfici esposte dei materiali, in modo da ottenere le relative unità fonoassorbenti:
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Note le unità fonoassorbenti dei singoli materiali si è potuta applicare la formula di Sabine, per il volume pari a 3800 m3 della sala conferenze. In questo modo si sono calcolati i valori dei tempi di riverberazione totali al variare del numero di persone presenti nella sala. La ripetizione del calcolo al variare delle condizioni di affollamento della sala, è rilevante se si considera che gli spettatori presentano alti valori di area di assorbimento equivalente e che quindi una maggior o minore presenza di spettatori può far variare di molto il tempo di riverbero complessivo.
a sinistra: Vista dell'interno della sala conferenze
Per ridurre al minimo la variazione delle prestazioni della sala quando non raggiunge la capienza massima, si è previsto l'utilizzo di poltroncine imbottite con sedile pieghevole, in modo tale che quando sono vuote e il sedile mostra al palco la faccia inferiore, presentino valori di area di assorbimento equivalente molto vicini a quelli di una persona seduta. Si ottengono in tal modo i due valori di tempo di riverbero totale presentati in tabella, che come si può osservare variano così impercettibilmente da non essere rilevati nell'arrotondamento utilizzato. Il grafico mostra infine come i tempi di riverbero totali ottenuti, siano inferiori, ma si avvicinino al contempo, a quelli individuati come ottimali per la funzione di una sala conferenze delle dimensioni del progetto:
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Modelli
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Modello d'insieme 1:1000 80x70cm
Modello d'insieme 1:1000 80x70cm
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Modello d'insieme 1:1000 80x70cm
Modello dettaglio del museo 1:50 70x40cm
sotto: Modello dettaglio del museo 1:50 70x40cm
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Modello dettaglio del museo 1:50 70x40cm
Modello dettaglio del museo 1:50 70x40cm
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Modello dettaglio del museo 1:50 70x40cm
Modello dettaglio del museo 1:50 70x40cm
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Materiali
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Palette dei principali materiali di progetto
Campione del Mount Airy White Granite
sotto: Palette dei principali materiali di progetto
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sotto: Campione di calcestruzzo lucidato
sotto: Campione di legno d'acero rosso pagine successive: Palette dei principali materiali di progetto
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Riferimenti
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Louvre-Lens, SANAA
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Langen Foundation, Tadao Ando
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St. Louis Art Museum, David Chipperfield
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