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dicembre 2016

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what will you create?


“La creazione è una vera e propria fuga dalla vita quotidiana, una fuga dalle realtà sociali, dalle scale gerarchiche, una fuga nell’immaginazione.”

Crescendo, l’uomo mette spesso da parte la creatività che è in lui per indolenza o noia, lasciandosi alle spalle la fantasia dell’infanzia e concentrandosi solo sugli aspetti più concreti della vita. Noi, al contrario, crediamo che essa sia fondamentale per il percorso di crescita dell’essere umano: è la volontà e la capacità di esprimere l'unicità che è in noi attraverso creazioni artistiche, ricerca, scoperte scientifiche e comportamenti sociali che esprimono emozioni, solidarietà, e, più in generale, empatia. La creatività è in costante contatto con il mondo dell’immaginazione. Tutti immaginiamo e l’immaginazione non fa distinzioni: chi crea storie, chi fantastica sul futuro, chi gioca. La creatività è possibile in ognuno di noi, è contagiosa: noi siamo qui per trasmetterla.

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WHAT’S THE MATTER?

WAY OF THINKING 24-27 In classe s’impara 28-33 Suddenly-Home un laboratorio per tutti 8-19 Ken Robinson a lezione di creatività

62-69 Walt Disney l’uomo dei sogni 70-77 Steve McCurry il fotografo dell’anima

38-45 Nicola Galli di Xanadu 48-56 Marc Dillon e l’Unseen Art

FREE TIME

INSPIRATION

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what’s the matter?

Una chiacchierata con Sir Ken Robinson, autore ed esperto di creatività.

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ia la creatività che il pensiero critico sono state contrassegnate come com-

petenze essenziali del 21° secolo ma ci

sono persone che credono invece che siano due cose separate, come olio e acqua. lei cosa ne pensa?

È interessante vedere che alcune persone vedono la creatività e il pensiero critico come due cose opposte. Questo avviene in parte perché la gente associa la creatività all’essere completamente liberi e senza basi solide, non strutturati. Quello che però bisogna capire è che non si può essere creativi senza fare qualcosa. Si può essere creativi in matematica, scienze, musica, danza, cucina, insegnare, mantenere una famiglia, in ingegneria. Creatività è avere idee che hanno un valore. Una grande fetta dell’essere creativi vuol dire cercare nuovi modi di fare qualcosa indipendentemente da ciò che si sta facendo in quel momento. Se sei uno chef creativo, per esempio, la tua originalità sarà valutata in termini di cucina. Non ha senso applicare criteri di valutazioni propri del jazz moderno a qualcuno che sta cercando di cucinare un nuovo soufflé. Un processo creativo può nascere come frutto di un’idea o di una sensazione. Può essere una conseguenza del tentativo di risolvere un problema. È un processo, non un singolo evento. E processi creativi genuini coinvolgo-

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no il pensiero critico, intuizioni fantasiose e nuove idee. La creatività però non è solo avere nuove idee; alcune potrebbero essere completamente pazze e impraticabili. Quindi una parte essenziale di ogni processo creativo è l’autovalutazione. Se stai lavorando su un problema matematico, continui a farne una valutazione, a pensare “Mi sembra giusto?”. Se stai componendo una melodia al pianoforte, ascoltandola ti chiedi se funziona, se stai andando nella giusta direzione. qual è la convinzione più errata che le persone hanno a proposito della creatività?

La prima è che si crede che si parli solo di alcune persone speciali, che solo alcune persone sono veramente creative. Ognuno ha grandissime capacità creative. Una linea politica per quanto riguarda la creatività nell’educazione deve essere per tutti e riguardo tutti, non solo alcuni. La seconda convinzione errata è che la creatività riguarda solo attività particolari. La gente le associa solo l’arte. Io sono un grande sostenitore dell’arte ma la creatività è veramente qualcosa che si trova in tutto ciò che uno fa. L’istruzione alla creatività deve essere quindi presente in tutto il programma di studi, non solo in una parte. La terza è che la creatività sia solo lasciarsi andare, come un correre in tondo in una stanza. In realtà si tratta di un processo disciplinato che richiede capacità, conoscenza e controllo. Ovviamente richiede anche immaginazione e ispirazione. Ma non è solo una questione di sfogo: è un percorso disciplinato di istruzione quotidiana. Se si guarda ad alcune tra le persone di cui abbiamo rispetto per i loro risultati creativi, è grazie alle loro intuizioni straordinarie, le scoperte e alla disciplina che hanno portato nei loro lavori.

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perché crede che la creatività sia molto importante oggi?

Le sfide che stiamo affrontando oggi sono senza precedenti. Sempre più persone oggi vivono su questo pianeta che in qualsiasi altro momento della storia. La popolazione mondiale è triplicata negli ultimi 30 anni. La tecnologia sta cambiando come la gente lavora, pensa ed è connessa. Sta trasformando i nostri valori culturali. Se si guardano le tensioni derivanti dalle nostre istituzioni politiche e finanziarie riguardanti l’assistenza sanitaria, l’istruzione, non c’è davvero un momento storico in cui si possa guardare dietro e dire “Bene, questa è la stessa cosa che si ripete”. Non c’è. Ciò che sta accadendo è qualcosa di nuovo e avremo bisogno di ogni minimo accenno di ingenuità, immaginazione e creatività nei confronti di questi problemi. Inoltre, stiamo vivendo in tempi di grandissima incertezza. I bambini che iniziano scuola oggi andranno in pensione - se mai lo faranno - nel 2070. Nessuno ha la certezza di come sarà il mondo tra 5 anni, o addirittura l’anno prossimo, ma tuttavia è il compito dell’educazione quello di aiutare i bambini a dare un senso al mondo nel quale andranno a vivere. Sai, alla mia generazione - sono nato nel 1950 - veniva detto che se avessi lavorato duramente, fossi andato al college e avessi preso una laurea saresti stato a posto per tutta la vita. Ora non è più vero, ma il sistema scolastico continua a funzionare e lavorare come se lo fosse. Oggi tante persone sono laureate ma la laurea vale un quarto di quanto valeva una volta. Essere creativi quindi è essenziale per noi; è essenziale per l’economia. Ho lavorato molto con le compagnie Fortune 500 le quali ripetevano spesso Abbiamo bisogno di gente che può essere innovativa, che può pensare diversamente”. Se guardi il tasso di mortalità tra le compagnie, è altissimo.

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L’America oggi sta affrontando la più grande sfida che abbia mai affrontanto - mantenere la sua posizione nell’economia mondiale. Questo richiede un alto livello di innovazione, creatività e ingenuità ma al momento invece di promuovere la creatività, credo che stiamo educando i bambini ad allontanarcisi. la creatività è in contrasto con un mondo culturale fatto di test standardizzati?

Abbiamo un grande problema con il nostro sistema educativo, non solo in America, ma in molti dei vecchi paesi industrializzati. Se hai un sistema come quello americano dove il 30% dei ragazzi abbandona la scuola superiore - nelle comunità latine/afroamericane è oltre il 50% e in alcune dei nativi americani è vicino all’80% - non puoi solo incolpare i ragazzini. Con queste percentuali ci si rende conto che c’è qualcosa di sbagliato nel sistema - con una forma di educazione impersonale, con persone che stanno sedute in fila senza scoprire cosa le appassiona, le invigorisce o le fa “accendere”. Questo è quanto accade con questa cultura di testi standardizzati. È completamente controproducente. Guardando al passato, alla nostra educazione, mi ricordo che ci risvegliavamo con certi tipi di lezioni con certi tipi di insegnanti che ci davano la possibilità di fare cose che ci facevano crescere. E quando trovi qualcosa nella quale sei bravo provi a migliorarti perché aumenta la fiducia in te stesso e cambia la tua attitudine. Troppo spesso oggi stiamo alienando le persone dal loro vero talento e dall’intero processo di educazione. Questo non è, per me, un argomento stravagante tipo “Non sarebbe bello se tutti facessimo qualcosa che ci piace.” È una verità fondamentale dell’essere umano che le persone rendono meglio quando vengono in contatto con cose che le ispirano. Per alcune persone è la ginnastica, per altre suonare il blues, per altri fare calcoli. Lo sappiamo perché la cultura umana è tanto ricca


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e varia - mentre il nostro sistema educativo sta diventando sempre più triste e monotono. Non mi sorprende che molti ragazzini ne stiano uscendo. Anche quelli che ne rimangono all’interno sono spesso distaccati e non si sentono attratti. Solo alcuni beneficiano di questo processo. Ma questo non giustifica un così grande spreco. spesso le persone associano la creatività con l’individuo, ma c’è effettivamente una dimensione sociale alla creatività che è particolarmente rilevante nel 21° secolo?

Assolutamente. La maggior parte del pensiero originale avviene attraverso la collaborazione e la stimolazione delle idee di altre persone. Nessuno vive nel vuoto. Anche coloro che vivono da soli - come i poeti solitari o gli inventori nei loro garage - traggono ispirazione dalle culture di cui fanno parte, dall’influenza della mente e dei successi di altre persone. In termini pratici, la maggioranza dei processi creativi beneficia enormemente dalla collaborazione. I grandi punti di rottura in ambito scientifico sono stati raggiunti attraverso una sorta di intensa collaborazione tra persone con interessi in comune ma modalità di pensiero decisamente diverse tra loro. Questo è uno dei punti di forza che noi siamo chiamati a promuovere e insegnare - la collaborazione e il beneficiare della diversità invece di promuovere l’omogeneità. In questo momento abbiamo un grosso problema - l’educazione sta diventando dominata dalla cultura di test standardizzati, grazie a una particolare visione dell’intelligenza e curriculum e un sistema educativo ristretti, che stiamo appiattendo e soffocando alcune capacità e processi basilari da cui dipende il successo creativo. Guardiamo Thomas Edison. È stato uno degli inventori più prolifici della storia americana. Ebbe oltre 1000 brevetti all’ufficio brevetti U.S. Ma effettivamente, Il

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grande talento di Edison era mobilitare le altre persone. Aveva squadre di gruppi interdisciplinari che lavoravano con lui. Davano a loro stessi obiettivi chiari, strette deadline e usavano tutte le risorse possibili per lavorare in collaborazione. Non ci sono dubbi che la collaborazione, la diversità, lo scambio di idee e costruire sui successi di altre persone sono il cuore del processo creativo. Un’educazione che si focalizza solo sull’isolazione dell’individuo è destinata ostacolare queste possibilità. pensa che la creatività si possa insegnare?

Si. Ma le persone pensano di non poterla insegnare perchè non la capiscono neanche loro, dicono “Beh, non sono molto creativo, quindi non posso farlo”. Ci sono due modi di pensare riguardo all’insegnamento della creatività. Prima di tutto possiamo insegnare abilità generali relative al pensiero creativo così come possiamo insegnare alle persone a leggere, scrivere o fare i conti. Alcune di queste abilità possono liberare l’approccio che la gente utilizza per risolvere problemi, come ad esempio il pensiero critico, che incoraggia la creatività grazie all’uso di analogie, metafore e del pensiero visivo. Tempo fa ho lavorato con un gruppo di una comunità di nativi americani, volevano che parlassi loro di come poter promuovere l’innovazione nelle loro tribù. Ci siamo seduti intorno a un tavolo per la prima ora, e immagino che si aspettassero che io attraverso una lavagna mostrassi delle tecniche. Abbiamo fatto qualcosa di relativo a ciò all’inizio, ma quello che poi li ho spinti a fare è stato semplicemente invitarli a formare dei gruppi e disegnare delle immagini delle sfide che avrebbero dovuto affrontare in quanto comunità. Dunque, dal momento in cui le persone pensarono in modo visivo - disegnare immagini o muoversi anzichè sedersi e scrivere dei bullet points - qualcosa di diverso accadde in quella stanza. Spezzarli in modo tale che non fossero

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seduti tutti alla stessa scrivania ma farli lavorare con persone con cui non avrebbero mai lavorato normalmente ha creato una dinamica differente. E’ possibile insegnare abilità particolari per liberare il loro proprio pensiero e a valutare la diversità d’opinione in una stanza. Oltre ad insegnare questo, esiste anche la creatività personale. Le persone spesso realizzano il loro lavoro migliore a livello personale quando si connettono con un particolare medium, insieme di materiali o processi che li entusiasmano. Il mio nuovo libro, The Element, aiuta a trovare la propria passione. Ho parlato con molte persone, inclusi ginnasti, musicisti, scienziati. Qualsiasi fosse l’ambito, dal jazz al salto in alto, ognuno di loro ha trovato qualcosa che in qualche modo risuonasse dentro di loro, per cui avessero un’attitudine personale. si combina un’attitudine personale con una passione per la stessa cosa, si andrà a un livello diverso dal punto di vista creativo. Eric Clapton, ad esempio, ricvette la sua prima chitarra alla stessa età in cui la ricevetti io, e per Eric questa ha funzionato in un modo che con me non ha funzionato. se la creatività e l’innovazione sono così importanti, dovrebbero essere valutate numericamente?

Non si possono valutare numericamente le persone - in generale - per l’essere creative perchè bisogna star facendo qualcosa per esserlo. Se lavori in una classe di matematica e il metodo di insegnamento ti incoraggia a guardare nuovi approcci, a provare nuovi modi di pensare, allora naturalmente puoi iniziare a valutare il livello di creatività ed immaginazione all’interno di una cornice relativa alla matematica come si farebbe con la musica, la danza o la letteratura. Ho fatto una distinzione tra l’insegnamento creativo e l’insegnamento per la creatività.

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L’insegnamento creativo significa che gli insegnanti utilizzano le loro proprie abilità creative per generare idee e contenuti più interessanti. Si può anche parlare di insegnamento per la creatività, dove la pedagogia è disegnata in modo da incoraggiare le altre persone a pensare in modo creativo. Puoi incoraggiare i bambini a sperimentare, innovare non dando loro tutte le risposte ma fornendo gli strumenti per scoprire quali siano le risposte o esplorare nuovi corsi. All’interno di particolari prerogative, è perfettamente appropriato dire “siamo interessati a nuovi modi, più interessanti, di trattare questi argomenti”. Se dovesse esserci un voto individuale per la creatività, è una questione più grande. Certamente dare credito alle persone per l’originalità, incoraggiandola, e dando ai bambini un certo modo di riflettere se nuove idee possano essere migliori di quelle già esistenti è una parte molto potente della pedagogia attuale. Ma non è possibile ridurre tutto a un numero, non dovremmo, e questo è parte del problema. Il regime del test standadizzato ha portato noi tutti a credere che “se non lo puoi contare, non conta”. In effetti, in tutti gli approcci creativi molte delle cose che cerchiamo sono difficili, se non impossibili, da quantificare, ma non significa che non siano importanti, Quando sento le persone dire “Dunque, naturalmente non puoi valutare la creatività” penso: “Puoi, fermati e pensaci un attimo.”


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La grammatica della fantasia: l’importanza dell’immaginazione anche a scuola insegnata ai più piccoli.

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n giorno a scuola mi è capitato un fatto un po’ curioso. Stavo lavorando con i ragazzi e cercavo di “imitare Rodari”: giocavamo con il binomio fantastico e devo dire mi stavo divertendo moltissimo. Quell’anno avevo letto con gran piacere “La grammatica della fantasia” e mi ero cimentata già a casa a provare anche io ad inventare storie con i suoi suggerimenti. Mai avevo creduto di essere un tipo fantasioso, anzi. Eppure anche io ero riuscita ad inventare storie, a pensarle mentre camminavo per strada e a trovare idee nei momenti più inaspettati. Se ci ero riuscita io, lo potevano fare tutti. Così avevo cominciato con i miei allievi. Inizialmente erano contenti, ma le loro storie sembravano brutte imitazioni di quelle che vedevano in TV. E così ci abbiamo lavorato un po’ sopra e improvvisamente personaggi già visti diventavano altro, prendevano altre forme, en-

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travano in contesti diversi dai loro, anche assurdi, irreali. E la mente ormai correva libera e nessuno aveva più voglia di fermarla. Ci ha trovato così, molto animati ed in fermento, una mia collega che era entrata nella mia classe per farmi leggere una circolare. Si è fermata stupita, io ero tra i miei allievi e ridevo e scherzavo con loro. Forse non aveva mai visto dei ragazzi così svegli e interessati. Incuriosita mi ha chiesto: “Cosa stai facendo?”. Le ho risposto che stavamo giocando a costruire storie. Non so se la parola giocare non le fosse piaciuta molto, fatto sta che mi ha risposto: “Beata te, io, invece, devo fare grammatica” e se ne era uscita. Si vede che grammatica della fantasia e grammatica quella canonica non potevano nella sua mente convivere sotto lo stesso tetto: o si fa l’una, o si fa l’altra. Ha fatto bene Rodari ad insistere perché i bambini siano non solo fruitori, ma anche produttori di cultura. I suoi frequenti incontri con i ragazzi di tutta Italia avevano lo scopo di stimolare la loro creatività e di renderli partecipi delle sue stesse creazioni. Dobbiamo ringraziarlo per averci regalato questo nuovo sguardo. Sicuramente la grammatica di Rodari può essere utile solo a chi crede che l’immaginazione abbia il suo posto nell’e-

ducazione; a chi ha fiducia nella creatività infantile; a chi sa quale valore di liberazione possano avere la parola e il gioco, a chi comprende che l’immaginazione è alla base di ogni pensiero libero ed innovatore e che il gioco può essere uno straordinario stimolo per la mente. Seguendo Rodari, i miei ragazzi hanno appreso che le fiabe non sono intoccabili, non sono dogmi immutabili. Si può giocare con esse, smontarle, ribaltarle, ricrearle. E’ un primo passo per assumere un atteggiamento creativo di fronte alla molteplicità dei messaggi che da ogni parte minacciano la sua libertà di espressione. L’immaginazione non è un “ozioso divertimento” della nostra mente o “un’attività campata in aria”; al contrario ha una sua funzione “vitale ed insostituibile”, così scrive Vygotskij in “Immaginazione e creatività nell’età infantile”. L’autore, nello stesso libretto, evidenzia lo stretto rapporto che esiste tra l’immaginazione (che sta alla base della creatività) e la realtà stessa. “Se una società basata sul mito della produttività (e sulla realtà del profitto) ha bisogno di uomini a metà – esecutori fedeli, riproduttori zelanti, strumenti docili, senza una propria volontà – significa che essa è fatta male e che va cambiata. Per cambiarla occorrono uomini creativi, che sappiano utilizzare appieno la loro immaginazione.”

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Costruire relazioni attraverso tavoli e sedie: con “Design senza frontiere” inizia a Rovereto un workshop per i rifugiati.

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n laboratorio rivolto ai migranti richiedenti protezione internazionale - ma non solo - per la realizzazione di complementi di arredo in legno. Rovereto ospita, negli spazi dell’Urban Center, il primo workshop di “Suddenlyhome - Itinerant workshop for building relationships through tables and chair”. Nel workshop 15 profughi lavorano fianco a fianco con designer, architetti e persone impegnate nella difesa dei diritti umani. L’idea di fondo dell’iniziativa è intervenire sulla diminuzione delle distanze: quella tra l’arrivo in terra “straniera” e l’inclusione nel tessuto sociale e professionale locale, ma anche quella fra cittadini e nuovi cittadini attraverso spazi di condivisione e conoscenza. Le sedie e i tavoli realizzati nel lavoro di gruppo rappresentano in tal senso importanti complementi di socializzazione.

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Suddenlyhome è un programma itinerante di laboratori e al tempo stesso una squadra di architetti, designer, ingegneri, esperti di diritti umani delle migrazioni e persone impegnate nel sociale. Tra le finalità v’è quella di occupare in modo produttivo e ludico il tempo di attesa necessario per la definizione della procedura di richiesta d’asilo. L’iniziativa coinvolge attivamente i migranti per consentire loro di guadagnare capacità tecniche e pratiche, ma anche per creare spazi auto-costruiti piacevoli e conviviali nelle strutture di accoglienza, favorire le relazioni e l’incontro culturale tra i profughi e la comunità ospitante. Esso vede la costruzione di semplici oggetti di design, sedie e tavoli, grazie alla guida del team che insegna e costruisce insieme ai profughi. Il workshop trae ispirazione dai principi dell’autoprogettazione di Enzo Mari, illustre designer italiano che con il proprio libro “Autoprogettazione” ha lanciato una provocazione che è diventata un manifesto di design: “... tutti devono progettare: in fondo è il miglior modo per non essere progettati”. Alla fine di ogni workshop la squadra chiede ai partecipanti di insegnare ad altre persone come realizzare sedie e tavoli. Si crea quindi una catena senza fine: il DESIGN procura beneficio alla

vita dei richiedenti protezione internazionale che a loro volta diffondono le buone pratiche del design. Un’idea semplice e quasi giocosa che produce mobili utili per migliorare la vita quotidiana e realizza al contempo una rete creativa globale per rafforzare nuove relazioni umane. I profughi sono gli attori principali del processo, guadagnando soddisfazione, reputazione e riconoscimento delle proprie capacità; si appropriano di un processo creativo e formativo, contribuendo con la costruzione di complementi di arredo a “personalizzare” sia gli ambienti che transitoriamente abitano, sia i luoghi comuni destinati all’incontro e all’inclusione sociale, sul territorio.

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La “comunità di lettori ostinati”: un esperimento di comunicazione tra i ragazzi dai 13 ai 16 anni in tutt’Italia.

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anadu è una “comunità di lettori ostinati”, un progetto per ragazzi basato su libri, fumetti, musica e cinema. Nasce nel 2004 a Bologna da un’idea di Hamelin Associazione Culturale, ed è realizzato in collaborazione con alcune biblioteche e scuole della regione. Oggi sono numerose le affiliazioni sul territorio nazionale: una rete che collega diverse scuole medie e superiori, biblioteche scolastiche, comunali e di quartiere, in un percorso culturale che intreccia le diverse forme d’arte e di raccontare storie. È in sostanza un tentativo di mettere in comunicazione pensieri e riflessioni di ragazzi dai 13 ai 16 anni di tutta Italia. Sin dal nome, affascinante e allusivo, Xanadu fa pensare a società segrete e a luoghi inaccessibili: del resto i lettori stessi sono misteriosi, diversi da tutto il resto. È un luogo utopico, una zona onirica in cui si possano ritrovare sogni

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collettivi possibili e impossibili: una comunità per lettori ostinati, appunto, in cui ci si possano scambiare consigli e informazioni e si possa riflettere su temi e su mezzi espressivi che sembrano dimenticati dal modo di vivere dei nostri giorni. Nato per promuovere la lettura nelle scuole (superiori e media), oggi coinvolge centinaia di insegnanti, bibliotecari e operatori culturali in tutta Italia. Senza Xanadu probabilmente le biblioteche scolastiche sarebbero piene di volumi vetusti e anacronistici (molte purtroppo lo sono ancora), tutt’altro che attraenti per un quindicenne o un sedicenne che dentro ha tutto il fermento, lo spaesamento, la rabbia dell’adolescenza.


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nicola galli laforest è uno

Xanadu è nato nel 2004. All’epoca con Hamelin facevamo già dei laboratori di promozione della lettura con i più piccoli ma abbiamo iniziato a lavorare anche con le scuole superiori, a Bologna e dintorni. Lì, alle superiori, abbiamo trovato tanti insegnanti entusiasti ma distrutti dal fatto che non sapevano più come lavorare a scuola, soprattutto sulla lettura. Memori anche delle nostre rispettive esperienze come studenti e consci del fatto che in Italia di fatto la lettura non esiste o è limitata ai soliti classici, abbiamo tentato, insieme alle varie biblioteche di Bologna e alcuni insegnanti in gamba, di capire cosa si poteva fare, quali fossero gli obiettivi di un nuovo modo di fare lettura a scuola. I primi passi sono stati costruire una prima bibliografia di testi che non fossero soltanto per ragazzi, perché l’idea era di cercare nella letteratura cosa potesse dire ancora oggi ai ragazzi il leggere, ad esempio Dürrenmatt, o, più banale ma non così tanto, Stephen King. A scuola non c’è mai entrato, ma noi cercavamo cose che sembrassero importanti dal punto di vista estetico e anche emotivo, per chi legge. Presto ci siamo resi conto che doveva esserci anche un altro obiettivo fon-

damentale: la formazione degli insegnanti. Insegnanti non aggiornati e, ancor peggio, insegnanti che non leggono. E noi comunque avevamo a che fare con uno zoccolo duro di insegnanti molto interessati a cambiare le cose a scuola, quelli ancora pieni di entusiasmo. Tra gli insegnanti interessati c’erano ovviamente dei lettori; però, girando molto per le scuole, ti rendi conto che ci sono dei buchi spaventosi, che ti viene da chiederti “ma questo insegna lettere?”. Poi le biblioteche scolastiche, che non esistono o, se esistono, sono dei luoghi orribili, laddove l’ultimo testo acquistato e utilizzato è Calvino. Abbiamo quindi cominciato ad andare in giro per l’Italia, soprattutto nei posti dove c’era già anche un solo insegnante interessato che riusciva a creare una breccia per farci entrare. La soddisfazione di questi anni è stata vedere che lontano da Bologna, anche molto lontano, in posti dove non siamo mai stati, nelle scuole viene data una serie di libri che noi riconosciamo come “nostri”. È chiaro che può essere un caso, però se trovi in un Liceo Classico un docente che fa leggere ai ragazzi Io sono leggenda, che abbiamo lanciato noi nel 2004, quand’è stato ristampato da Fanucci, e poi fa leggere Grossman, o King, cominci a riconoscere i

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dei fondatori di xanadu, e questa è la sua esperienza.


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tuoi libri, sai che da qualche parte li hanno trovati. E in quel momento, anche davanti allo sconforto per il fatto di andare avanti comunque troppo lentamente, ti rendi conto che però la cosa ha preso piede anche da sola, molto più di quello che potevamo pensare, e che quindi era una cosa importante su cui continuare a lavorare. Negli ultimi anni abbiamo poi cominciato ad aprire la cerchia dei titoli anche ai ragazzi, chiedendo quali fossero i libri importanti per la loro generazione. I libri li scegliamo attraverso una nostra riflessione: ci sono dei testi che riteniamo fondamentali e che continuiamo a martellare anche dove vediamo che fanno fatica; e altri che invece vanno moltissimo tra i ragazzi ma che noi invece respingiamo, però dicendolo, spiegando perché. Il ruolo dell’adulto è proporre la propria scelta, cercando di farne capire i motivi. La grossa differenza tra il nostro metodo e quello di tanti altri è che mischiamo—per indole e per preparazione—il livello estetico, artistico, letterario, con quello pedagogico. Il libro, così come il film, il fumetto, il videogioco, tutti i linguaggi che utilizziamo: sono comunque storie. Storie che tanto più sono finte, tanto più, in realtà, sono vere. Il vero dramma è che non c’è più voglia da parte degli in-

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segnanti. Anche i migliori—e intendo quelli che hanno amato alla follia il loro lavoro, quelli che stavano in piedi la notte per lavorare per i ragazzi—, anche loro non ce la fanno più. Se viene a mancare il loro entusiasmo, e i giovani insegnanti che incontriamo sono meno vitali, cos’è che vedono i ragazzi? Vedono degli adulti spossati che non ne vogliono saper di loro. E si trovano dentro a delle stanze piccole, uguali a quelle dei loro bisnonni, con tavoli piccoli e rovinati e la cartina dell’Italia degli anni ’60, mentre in tasca hanno uno smartphone che potenzialmente può portarli dappertutto. E quindi che senso ha, per loro, la scuola? È lì dentro che ci stiamo giocando il rapporto tra generazioni. La situazione che vedo è da “saccheggio”, da “prendiamo quello che c’è e scappiamo”. L’intento è far scattar delle scintille. Se funziona è il massimo che puoi sperare di raggiungere. Se non funziona hai parlato comunque di storie, fatto vedere che ci sono sempre dei collegamenti, segreti o espliciti, e che non esistono la cultura di Serie A e quella di Serie B, non c’è una gerarchia dei linguaggi, una separazione tra il libro scolastico e quello della vita. Questo è l’obiettivo che ci proponiamo quotidianamente, questa è la nostra sfida.

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A contatto con l’arte per la prima volta. Ricreare dipinti classici in 3D che possono essere toccarti liberamente.

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ormai noto l’effetto terapico di musica, pittura, scultura e scrittura su molte patologie, sia riguardo alla riabilitazione fisica, di muscoli e tessuti, sia come riabilitazione psicologica, per mente e anima. La cosa più straordinaria è che il rapporto tra mondo artistico e disabilità sembra essere biunivoco e simbiotico, in un continuo scambio benefico. D’altronde cosa sarebbe l’arte senza il contributo di artisti quali Henri de Toulouse-Lautrec, Ludwig van Beethoven o Frida Kahlo? Valorizzare la disabilità, dunque, non significa soltanto eliminare qualche barriera architettonica o sfoggiare espressioni compassionevoli nei confronti di chi vive una condizione disabilitante, ma significa soprattutto pensare che, davvero, quella persona abbia un valore, un’importanza, qualcosa da offrire alla società. Pensare, perciò, che tra quelle persone potrebbero esserci

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i più grandi artisti del futuro, proprio come molti lo sono stati in passato. A questo proposito, giunge un’iniziativa importante. Arriva dalla Finlandia, o meglio, dal designer finlandese Marc Dillon che con il suo progetto Unseen Art ha riprodotto una dei capolavori del Rinascimento in 3D. «Immaginate di non sapere come sia il sorriso della Gioconda di Leonardo Da Vinci e di conoscerne l’esistenza solo perché ne avete sentito parlare dalle persone e non grazie a un’esperienza diretta. Per i milioni di non vedenti nel mondo avviene proprio così». La Monna Lisa si materializza così secondo qualità e dimensioni analoghe al dipinto in una texture simile alla sabbia «per dare la possibilità ai non vedenti di avvicinarsi all’arte toccando con mano». Ma l’impegno di Dillon non finisce qui. Egli, infatti, auspica (fondi permettendo) alla


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creazione di un archivio online contenente i formati 3D di opere di molti artisti, affinché il fruitore possa riprodurli personalmente con la propria stampante e contemplarli in tutta autonomia. Così l’arte diviene inclusione, non soltanto attraverso la partecipazione delle persone disabili, ma anche con la partecipazione dell’arte nella vita di tutti. Perché, in fondo, lo sguardo dell’artista va oltre la realtà, oltre le apparenze, oltre il corpo e dritto allo spirito. Ed è uno sguardo di cui ora abbiamo un disperato bisogno.

d’arte che, attraverso questa nuova tecnologia, viene resa accessibile a tutti. Eppure, dietro questa notizia, c’è un’altra storia, forse ancora più bella, che lega insieme uno startupper-rockettaro, il crowdfunding e la filosofia “open source”. marc,

da

jolla

all’arte

stampata in 3d

Dopo 25 anni passati tra Nokia e Jolla, lo startupper “rock” Marc Dillon ha deciso di cambiare vita. Così ha fatto partire il progetto Unseen Art per rendere l’arte accessibile ai non vendenti (e non solo). Il primo passo? La Gioconda stampata in 3D. Questa è una storia che parte da un quadro stampato in 3D. Non un quadro qualunque ma il ritratto più famoso (ed enigmatico) di tutti i tempi: la Gioconda di Leonardo Da Vinci ospitata al Louvre di Parigi. Apparentemente si tratta di una curiosità e niente di più, una notizia che è rimbalzata frettolosamente anche in tutti i portali d’informazione italiani: un’opera

Tutto parte da una frase pronunciata dal protagonista di questa storia, un designer finlandese dal nome hollywoodiano, Marc Dillon, che ha lavorato 25 anni per la una famosa azienda elettronica finlandese prima di co-fondare una delle startup più importanti e solide del suo paese, Jolla: «Se nasci con un braccio più corto dell’altro» spiega Marc «devi sempre provare a te stesso e agli altri di essere in grado di fare qualsiasi cosa desideri». Questa è la filosofia che non lo ha mai abbandonato e che gli ha permesso di seguire tutte le sue passioni: dal suonare la chitarra (il look in questo caso non tradisce) a sfrecciare con la moto per le strade della nazione scandinava. Ma anche diventare uno startupper di successo e diventare il front-man di una delle aziende tecnologiche più importanti del panorama europeo (nata nel 2011 anche grazie all’italiano Stefano Mosconi). Ha speso molto

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la storia di marc dillon: da jolla alla gioconda stampata in 3d (con anima rock)


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del suo tempo con studenti universitari e giovani imprenditori aiutandoli a vivere il loro sogno creando nuove startup eticamente e socialmente responsabili. “Io credo nel risolvere i problemi del mondo attivando la comunità mondiale per creare cose che possano aiutare gli altri.” Quelli più recenti sono stati anni vissuti senza risparmiarsi mai. Calcando palchi, facendo pitch, seguendo il ritmo della vita come in una band. Almeno fino a che Marc non sente l’esigenza di intraprendere una carriera da solista e di lasciare il gruppo con cui ha conquistato il successo. Un divorzio sancito a settembre 2015. “Stavo cercando qualcosa di diverso da fare. Volevo restituire qualcosa alle persone, qualcosa che avesse davvero un valore.” L’ispirazione per la nuova carriera arriva dalla famiglia: «Ho uno zio che è diventato cieco per colpa di un glaucoma. Ma non si è mai arreso continuando a fare tutte quelle cose che faceva anche prima della malattia». Così Marc ha pensato di elaborare una soluzione per migliorare la vita di milioni di non vedenti al mondo: «Perché non introdurre la stampa 3D nei musei?».

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Quella di Marc è una missione che profuma di rinascita: «dopo 25 anni passati tra i telefonini voglio elaborare un progetto capace di creare, a livello globale, un accesso all’arte uguale per tutti». Una missione che consiste nel far sì che milioni di non vedenti possano vivere un’esperienza simile a quella che ciascuno di noi vive ogni qualvolta mette piede all’interno di un museo. Tutto grazie a nuove tecnologie come la stampa 3D e ad un progetto che si chiama Unseen Art. unseen art e la gioconda stampata in 3d

La prima cosa da fare per capire il problema è immedesimarsi nell’altro e non dare nulla per scontato: «Immaginate di non sapere cosa sia il sorriso de La Gioconda di Leonardo Da Vinci» dice Marc «Per milioni di non vedenti in tutto il mondo è proprio così». “In fondo la bellezza può essere percepita in tanti modi e non solo con gli occhi” Usando un materiale simile alla sabbia, Marc ha stampato una riproduzione fedele di uno dei quadri più importanti della storia dell’umanità: «Ci sono molte persone nel mondo che hanno sentito parlare di quest’opera per tutta la vita. Ora possono avere una maggiore coscienza rispetto

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a quello che il genio di Leonardo ha creato perché l’abbiamo stampata stando attenti a tutti i particolari e rendendola praticamente identica all’originale». Per capire se la direzione intrapresa fosse quella giusta, Marc ha effettuato diversi test: «In particolare ci siamo affidati ad una ragazza, cieca dalla nascita, che ha dedicato la sua vita all’arte e alla musica. Una persona che aveva sempre sentito parlare del dipinto ma che non aveva nessun tipo di esperienza diretta». Il risultato? Un video meraviglioso ed emozionante: «Okay, yeah. A face! Eye, eye, nose, mouth, yeah... There’s a face here!». Con Unseen Marc vuole coinvolgere artisti da tutto il mondo per ricreare le opere d’arte più famose in 3D. Le stampanti 3D permettono di creare opere d’arte a basso costo che sia durante un’esibizione o in casa loro. L’arte viene condivisa gratuitamente per farla arrivare a tutti. una

piattaforma

“open”

grazie al crowdfunding

d’arte». Per farlo vuole raccogliere 30mila dollari che serviranno a costruire una piattaforma “open source” disponibile per tutti coloro che vogliono caricare progetti simili alla Monna Lisa stampata in 3D. “La cosa più bella? Pensare ad una persona che carica un progetto a Londra e un’altra che la stampa in Texas” In questo modo sarà possibile scaricare i file e stampare in 3D opere da portare all’interno di musei e mostre. Creare, insomma, l’archivio artistico del futuro: «Unseen Art si differenzia da altri progetti simili perché sarà una piattaforma completamente noncommerciale, aperta alla condivisione di tutti e che tutti, non solo i ciechi, possono usare per vivere l’arte in una maniera completamente innovativa». Reinventarsi sempre. Come i grandi musicisti e come i grandi innovatori. Come Marc, per l’appunto. “Stiamo costruendo un luogo in cui le persone possono interagire, contribuire e usufruire dell’arte gratuitamente! Un posto in cui arte ed esperienza sono condivise.”

Per portare avanti quest’avventura Marc ha lanciato da pochi giorni una campagna crowdfunding su Indiegogo: «La nostra rivoluzione? Portare le persone cieche all’interno di uno dei luoghi che meno sopportano: le gallerie

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“Se puoi sognarlo, puoi farlo” Cos’ha reso quest’uomo un genio del novecento? Da dove nascevano le sue idee?

W

alt, se potessi sinte-

tizzare il tuo modo

di creare quanto hai realizzato, quale parola sceglieresti?

Imagineering. potresti spiegare di cosa si tratta?

È un neologismo: rappresenta la fusione fra la fantasia (imagination) e la concretizzazione pratica (engineering). Sai, la sola immaginazione non è sufficiente, c’è bisogno anche di altro. Difatti, quando alla gente con cui ho collaborato è stato chiesto di descrivermi, hanno risposto: “C’erano tre diversi Walt: il sognatore, il realista e il critico. Non sapevi mai quale dei tre avresti incontrato nella riunione”. Mi chiederai, a questo punto, come abbia fatto a dare armonia a tre cose apparentemente lontane l’una dall’altra.

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Cominciamo dalla prima. Il sognatore ha una fervida immaginazione e pensa che tutto sia possibile. E’ orientato al futuro, immagina ciò che ancora non esiste, sa volare sulle ali della fantasia, sogna scenari inusuali. E’ un visionario, uno che riesce ad intuire i trend futuri, che comprende i vantaggi e le potenzialità di un’idea, che ha ben chiaro il quadro d’insieme. Come Martin Luther King. Vede con chiarezza, nella sua mente, l’intero progetto: deve saper chiedere a se stesso cosa voglia creare, con quali finalità e in quale contesto. Il Realista è centrato sul presente, è determinato, concreto, orientato all’azione. Cerca le modalità migliori per trasformare i sogni in realtà, le idee in progetti. Pianifica le attività da svolgere, individua le risorse necessarie, stabilisce i tempi. Il nostro successo era fonda-


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to su entusiasmo e duro lavoro, integrità, dedizione, fiducia nel futuro e, soprattutto, su una crescita costante in cui, ogni giorno, studiavamo il nostro mestiere ed imparavamo, sempre, qualcosa di nuovo. Il Critico esamina attentamente sia il processo di lavoro, sia i risultati intermedi. Analizza e valuta i punti deboli del piano d’azione e le criticità che emergono nella realizzazione. Presenta le sue osservazioni in modo positivo, senza una connotazione distruttiva, critica il progetto e non le persone. Il suo intervento ha lo scopo di trasformare le difficoltà in opportunità, di rafforzare il progetto e di agevolarne la realizzazione. Ogni sequenza d’animazione veniva proiettata sullo schermo per essere analizzata, e poi veniva disegnata, migliorata e ridisegnata più volte finché potevamo dire: Questo è il meglio che possiamo fare, siamo diventati perfezionisti.

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ma, walt, dov’è il trucco?

Mi stai forse chiedendo di rivelare al pubblico il segreto del mio successo? Bene, non aspettavo altro. C come Creatività, E come Estrosità, F come Fantasia: questa è la ricetta. A vita vissuta, non posso non sottolineare quanto sia importante credere in ciò che si faccia. Quando credete in una cosa, credeteci lungo tutto il vostro percorso, senza dubitare. Continuate ad andare avanti, aprite nuove porte, fate cose nuove; noi siamo curiosi, e la curiosità necessita di nuovi percorsi. Osate, perché ciò che fa la differenza tra la vittoria e la sconfitta, molte volte, è abbandonare i dubbi e perseguire le proprie convinzioni. Tutti voi potete disegnare, creare e costruire il luogo più bello del mondo. Se io, un uomo con un’istruzione limitata e che veniva da una famiglia povera, ho potuto creare un impero dell’intrattenimento quasi dal nulla, cos’è che può fermare voi dal pensare così in grande? Tutto inizia con un sogno: credeteci e potrete realizzarlo.

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Fotografo dell’anima. “La fotografia mi da l’onore di poter raccontare il mondo.” Un viaggio intorno all’uomo.

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teve McCurry è uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea, attivo da ormai quasi quarant’anni e punto di riferimento per un larghissimo pubblico che nelle sue fotografie riconosce un modo di guardare il nostro tempo. Ha visitato numerosi luoghi, creando alcune vere immagini iconiche sulla sua strada: la sua foto più famosa, la ragazza afgana, è una delle foto più conosciute al mondo. Nonostante la sua agenda piena di impegni Mccurry ha trovato del tempo per parlarci della sua concezione di fotografia e in particolare della concezione umana. steve,

prima

di

scendere

nel dettaglio, cos’è, per te, la fotografia?

Sono tanti, gli elementi da considerare. Prima di tutto, una fotografia parla sicuramente di una sto-

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ria: è la narrazione del comportamento di una persona nel proprio mondo. Direi sia un medium, un mezzo attraverso cui raccontare una storia nel modo più immediato e universale possiqual è il rapporto fra soggetto e paesaggio?

Generalmente scelgo luoghi che mi incuriosiscano, ma ciò non vuol dire che debbano necessariamente essere nuovi di volta in volta. Mi piace tornare dove sono già stato, così da osservare più approfonditamente lo sfondo che ho davanti rispetto alle visite passate. La cosa importante è essere viaggiatori senza aver alcun tipo di preconcetto, così da potersi provare più emozioni di fronte a ciò che non si conosce. Tendo a concentrarmi sulle conseguenze umane della guerra, perciò il paesaggio è un elemento fondamentale;


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qualcosa di assai più importante, ovvero l’essere umano. Sono inevitabilmente guidato da una curiosità innata e dal senso di meraviglia riguardo al mondo e a tutti coloro che lo abitano. Cerco di spingermi oltre i confini della lingua e della cultura per immortalare storie di esperienza umana. quindi, cosa vuoi che catturi la tua macchina fotografica?

La maggior parte delle mie immagini coinvolgono persone. Cerco il momento indifeso, l’anima più genuina che si affaccia, l’esperienza impressa sul volto di una persona. Cerco di trasmettere ciò che quella persona può essere, una persona colta sopra un paesaggio più ampio, che potremmo chiamare la condizione umana. Chi osserva ha la possibilità di entrare a contatto con le condizioni sociali più disparate, scoprendo un tipo di esistenza fatta di sentimenti universali e di sguardi la cui fierezza afferma, contemporaneamente, stessa dignità.

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potendo, come sintetizze-

resti il tuo pensiero in una frase?

“Non dimenticare di salutare”. L’elemento del saluto è come un biglietto da visita, la chiave per aprire la prima porta in modo rispettoso, ponendomi in modo il più possibile paritetico nei confronti della persona davanti all’obiettivo. E’ un approccio alla fotografia di strada diverso da chi la interpreta alla ricerca di scatti rubati e situazioni spontanee dove il soggetto è totalmente inconsapevole. Io cerco il contatto e tento di stabilire un dialogo con gli esseri umani che ho di fronte, quasi indipendentemente dalle barriere linguistiche che possono esistere.

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