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Un passato tragico, un futuro incerto

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Alessandro Michelucci

"Le persecuzioni subite oggi dai Tartari in Crimea sono peggiori rispetto a quelle dei tempi sovietici", ha detto Mustafa Abdülcemil Cemilev (russificato in Dzhemilev) a La Repubblica il 30 aprile 2021, sette anni dopo l'annessione russa della penisola ucraina. Per questa minoranza, che conta circa 250.000 persone, Cemilev è una leggenda vivente. Lontano anni luce dallo stereotipo del tartaro fiero e minaccioso, quest'uomo piccolo e minuto è il fondatore del Mejlis, la principale forza politica dei Tartari di Crimea. Amico di Andrei Sakharov, membro del parlamento ucraino dal 1998 al 2014, da oltre mezzo secolo si batte pacificamente per i diritti del suo popolo. Nel 2013 ha lasciato la guida del Mejlis a Refat Chubarov, ma le sue parole conservano tuttora un peso notevole.

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Il referendum del 16 marzo 2014 ha sancito l'annessione della Crimea alla Russia: il 95% dei votanti, due terzi dei quali russi, ha votato a favore. Il Mejlis ha boicottato il voto, ma secondo i dati ufficiali il 40% della minoranza tartara (100.000 persone) avrebbe partecipato al referendum, che non ha ottenuto il riconoscimento internazionale. Dopo l'annessione oltre 50.000 persone, in prevalenza tartari, hanno lasciato la penisola per stabilirsi in città ucraine come Kherson, Kyiv e Leopoli.

Il peso del passato

Turcomanni aderenti all'Islam sunnita, i Tartari della Crimea discendono dai Mongoli dell'Orda d'Oro, che scomparve nella prima metà del quindicesimo secolo. Quindi crearono un khanato indipendente che fu poi annesso dall'impero ottomano e successivamente dalla Russia zarista (1783). Sebastopoli, porto strategico sul Mar Nero, divenne la sede della flotta russa preposta alla difesa del Mar Nero. In questo modo la città acquisì uno status distinto rispetto al resto della penisola, che avrebbe conservato per sempre. Nel 1921 Lenin riconobbe alla Crimea lo status di repubblica autonoma all'interno della repubblica russa. Durante la Seconda Guerra Mondiale la penisola fu occupata dall'esercito tedesco. Alcune migliaia di tartari si arruolarono nelle Krimtatarische Selbstschutzkompanien comandate dagli occupanti. Come altre minoranze, i Tartari non lo fecero per convinta adesione all'ideologia nazionalsocialista, ma perché speravano che la vittoria tedesca avrebbe indebolito il potere centrale e facilitato la conquista dell'indipendenza. Fu proprio da questa scelta che derivò la loro tragedia. Liberati i territori occupati, Stalin decise di "punire" i popoli che avevano collaborato col nemico, o che comunque gli erano invisi per altri motivi. Non solo i Tartari, ma anche altri sette: Balkari, Calmucchi, Ceceni, Ingusci, Karachai, Mescheti e Tedeschi del Volga. Un milione e mezzo di persone furono deportate in varie regioni sovietiche centrasiatiche e siberiane.

La tragedia del popolo tartaro ebbe inizio nella notte del 18 maggio 1944: tutti i membri della minoranza vennero prelevati casa per casa e deportati in Uzbekistan o in remote regioni dell'URSS. Circa la metà morì durante il viaggio o subito dopo. L'anno successivo un decreto cancellò l'autonomia della penisola. Kruscev decise poi di "regalare" la penisola all'Ucraina in occasione del 300º anniversario del Trattato di Perejaslav tra i cosacchi ucraini e la Russia.

Negli anni Sessanta le autorità furono tempestate da appelli che chiedevano il rimpatrio dei Tarta-ri. Molti attivisti furono condannati al carcere duro. Nel 1962, insieme ad altri attivisti, Cemilev fondò un'associazione che reclamava il diritto di rimpatriare. Il 5 settembre 1967 il Soviet Supremo emanò un decreto che riabilitava i Tartari dall'accusa di collaborazionismo, ma non permise loro di tornare in Crimea. Le proteste continuarono. Un atto successivo (14 novembre 1989) condannò le deportazioni del 1944 e permise finalmente il rimpatrio. Nel 1992, caduta l'URSS, la Crimea proclamò l'indipendenza, ma poi accettò di restare parte dell'Ucraina come repubblica autonoma. Nel frattempo il rimpatrio dei tartari aveva portato la loro percentuale al 2%, mentre i russi restavano i 2/3 della popolazione.

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