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L'inconcepibile autonomia della Corsica
Sampiero Sanguinetti
Yvan Colonna, il separatista corso condannato all'ergastolo per l'omicidio del Prefetto Claude Erignac, è stato ucciso nel carcere di Marsiglia il 21 marzo 2022. La forte reazione della popolazione insulare ha indotto il Ministro dell'Interno Gérald Darmanin a venire in Corsica per dire che l'idea di uno statuto di autonomia per la Corsica non era più un tema da scartare a priori. Affermare una cosa del genere significa anche riconoscere che prima lo era. Questo impone alcune riflessioni.
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Perché, nonostante il processo di decentramento avviato nel 1982, Parigi si oppone costantemente al desiderio di autonomia che la Corsica manifesta in modo sempre più evidente? Perché l'idea di una repubblica "unica e indivisibile" sembra più un desiderio di livellamento preventivo piuttosto che un accesso volontario all'unità? E perché coloro che chiedono l'autonomia sono proprio quelli che dubitano di poterla ottenere? Perché gli elettori della Corsica, che hanno dato un'ampia maggioranza agli autonomisti, finiscono per chiedersi se gli accentratori locali non siano in definitiva più pericolosi degli accentratori parigini, e i delinquenti locali più pericolosi dei delinquenti parigini e stranieri? Il dualismo giacobini/girondini, cioè centralisti/federalisti, è la spia di un trauma patologico che segna la Francia fino dalla drammatica esperienza del Terrore.
Un centralismo soffocante
Negli anni Ottanta la Francia ha adottato una linea politica basata su una rigida idealizzazione della repubblica e sulla strenua difesa del centralismo. Numerosi intellettuali si sono schierati in difesa di questo indirizzo conformista. Si tratta di esponenti autorevoli, come Régis Debray, Alain Finkielkraut, Elisabeth Badinter, Elisabeth de Fontenay, Catherine Kintzler e... Fernand Braudel. Il 24 maggio 1985 quest'ultimo ha scritto sul quotidiano Le Monde: "Nell'identità della Francia c'è questo bisogno di concentrazione, di centralizzazione, che è meglio non contrastare. Queste parole vi fanno capire che il decentramento non mi convince affatto… L'identità della Francia risiede in questa influenza più o meno brillante, più o meno giustificata. E questa influenza proviene sempre da Parigi". Si può avere la massima ammirazione per le opere che Fernand Braudel ha scritto sul Mediterraneo e non condividere l'idea che la Francia si riduca a quello che viene dalla capitale. Non è un caso che questi intellettuali si siano mobilitati fra il 1981 e il 1982, quando Mitterrand ha avviato un decentramento che preoccupava l'establishment parigino e un'alta amministrazione formata nella tradizione del centralismo francese, della preminenza di Parigi sulle province, della repubblica una e indivisibile. È a questo punto che Régis Debray ha ritenuto opportuno rinnovare il credo della repubblica. Questo credo si baserebbe su tre idee: il no al comunitarismo, la difesa di una laicità ipoteticamente minacciata e l'idea di una repubblica alla francese di cui riaffermare la specificità e la superiorità. Da allora queste tre idee sono alla base del linguaggio politico francese.
Una repubbica alla francese
Secondo Régis Debray, la repubblica di tipo francese incarnerebbe valori opposti a quelli della democrazia anglosassone. La prima sarebbe "libertà più ragione, Stato di diritto più giustizia, tolleranza più volontà", mentre la seconda sarebbe "quello che resta di una repubblica quando l'illuminismo si estingue" (Le Nouvel Observateur, novembre-dicembre 1995). "In una repubblica lo Stato è libero da qualsiasi influenza religiosa. In una democrazia le chiese sono libere da qualsiasi influenza statale". La nostra repubblica", spiega Régis Debray, "non ha un vero e proprio equivalente in Europa. In altre parole, secondo lui, la democrazia che non faccia propri i valori repubblicani francesi è condannata alla teocrazia, all'egoismo e al particolarismo. "L'idea universale governa la repubblica, l'idea locale governa la democrazia. Infine, e questo ci riporta alla contrapposizione tra giacobini e girondini, "lo Stato nella repubblica è unitario e per natura centralizzato": così le cose sono perfettamente chiare. E quando Régis Debray vuole dire cosa pensa del decentramento, il suo disprezzo è fin troppo evidente: "Dovremmo parlare di decentramento, del ritorno dei notabili, della nuova gloria delle feudalità provinciali, del ritorno di Maurras, della vita in campagna e del diritto di essere diversi". Queste riflessioni sono state ampiamente diffuse da diversi giornali negli anni Novanta. Da allora, questa idea di "repubblica" è stata alla base di molti discorsi politici.
Il diritto alla differenza
Qualche anno prima, nel 1989, lo stesso Régis Debray, insieme a un gruppo di intellettuali (Alain Finkielkraut, Elisabeth Badinter, Elisabeth de Fontenay e Catherine Kintzler), aveva lanciato un appello agli insegnanti (ancora una volta sul Nouvel Observateur) affinché "non capitolassero" di fronte ad alcune ragazze che volevano andare a scuola con il velo. Ovviamente denunciare i simboli che si celano dietro il velo non è scioccante di per sé, ma l'argomentazione proposta da questi intellettuali lascia perplessi. Innanzitutto, la parola capitolare è forte. Significa che si sta combattendo un tipo di guerra. Questi intellettuali sembrano quindi aderire alla logica della guerra di civiltà teorizzata da Samuel Huntington.In secondo luogo, tollerare il velo a scuola, dicono gli autori del testo, "non è accogliere un essere libero". Quindi ci sarebbero bambini che sono esseri liberi e bambini che non lo sono? La scuola pubblica non è forse destinata ad accogliere tutti i bambini per cercare di dare loro le chiavi di un sapere che li renderà donne e uomini liberi? Ci sono esseri che sono liberi prima di aver imparato, che meritano di andare a scuola, ed esseri che sono schiavizzati, condannati alla schiavitù, che dovrebbero essere respinti?
Non è riunendo nello stesso luogo un bambino cattolico, un bambino musulmano e un bambino ebreo che si costruisce la scuola laica. Dobbiamo capire che è sradicando i bambini diversi, portatori di differenze, gravati dalla storia dei loro genitori, che si costruisce questa scuola? Pensare per sé non sarebbe una conquista su se stessi, ma richiederebbe un requisito indispensabile: dimenticare le proprie radici, rifiutare il vecchio. I bambini dovrebbero ammettere che i loro padri sono sospetti, sospetti per ciò che sono? Quindi la scuola non dovrebbe insegnare ai nostri figli il rispetto delle differenze, ma piuttosto a dimenticarle e a negarle? Questi dogmi sul velo, sulla repubblica, sul diritto di essere diversi e sul comunitarismo sono diventati i punti di riferimento costanti del dibattito politico a partire dagli anni Novanta. Di conseguenza è diventato molto difficile ottenere il riconoscimento delle proprie differenze in una repubblica convinta della superiorità assoluta e universale dei propri principi. Questo riconoscimento si ottiene o attraverso crisi violente e ricorrenti o attraverso la demolizione dei dogmi.
Il dibattito istituzionale
È sulla base di questa ideologia che la Francia ha rifiutato per anni di ratificare la Carta delle lingue minoritarie e ha compiuto progressi istituzionali soltanto in seguito a episodi violenti. Dopo aver compiuto questi progressi ha sempre cercato di creare artificialmente dei limiti che non erano stati concordati. Il contrasto che ne consegue è particolarmente doloroso e sgradevole perché si svolge sotto lo sguardo di interlocutori parigini condiscendenti, se non addirittura sprezzanti.
Di fronte alla richiesta di autonomia che proviene dalla Corsica, per prima cosa, rispondono che sono già stati concessi degli statuti speciali e che prima di chiederne un'estensione dovremmo imparare a padroneggiare ciò che ci è stato concesso. Secondo loro questo significa che non abbiamo ancora capito in cosa consistano questi statuti speciali. Nessuna di queste due argomentazioni regge. Certo, uno statuto speciale è stato concesso alla Corsica quarant'anni fa (1982), grazie a Gaston Defferre, poi rivisto e ampliato da Pierre Joxe (entrambi Ministri degli Interni, ndt). Questi statuti contengono una clausola fondamentale che conferisce alla Corsica il diritto di adattare le leggi e i regolamenti nazionali, ma in pratica questo diritto non può essere esercitato. Nell'arco di 25 anni i rappresentanti eletti dagli isolani hanno rivolto a Parigi oltre 40 richieste di adattamento, ma invano. Nella maggior parte dei casi, infatti, i vari governi non si sono neanche degnati di rispondere. I politici locali hanno quindi cercato di costringere i governi a rispettare questo diritto. Altrimenti che senso ha fare una legge? Trattandosi di una legge garantita dalla Costituzione, l'unico modo per rendere concreto questo diritto è quello di dare alla Corsica uno status di autonomia, come è stato fatto con la Polinesia francese e con la Nuova Caledonia. Inoltre, sostenere che non sappiamo in cosa consista uno statuto di autonomia è assurdo. Anzitutto, perché tutte le principali isole del Mediterraneo hanno uno statuto di questo tipo e non è difficile informarsi. Poi perché la stessa Francia è stata costretta a concedere a diversi territori d'oltremare statuti di questo tipo, quindi sappiamo perfettamente di cosa si tratta. Queste argomentazioni dimostrano che la Francia rifiuta di evolversi. E questo rifiuto deriva dalla convinzione della superiorità della repubblica giacobina.
Superare gli stereotipi
L'autonomia è soltanto uno strumento istituzionale che fornisce agli interessati gli strumenti per una gestione decentrata e adattata alle necessità locali, per quanto possibile, senza rompere con il contesto geografico e politico, mentre l'indipendenza comporta una frattura completa e definitiva. Nella prospettiva dell'autonomia, la vera difficoltà non deriverebbe dal diritto concesso, ma dalla capacità di assumerlo. Nelle regioni che erano state soggette a una forte dipendenza dal centro le persone hanno finito per dubitare di se stesse, perdendo la fiducia nella propria capacità di autogestirsi e maturando un certo disagio per la nuova responsabilità che avrebbero potuto ereditare. Di fronte a questa sfida, quindi, vedono molto più chiaramente i propri difetti che le qualità sulle quali potrebbero contare.
Nei nostri stati c'è anche un altro problema. In questo caso la richiesta di autonomia proviene dalla Corsica, una regione del sud, una regione mediterranea. Una delle idee preconcette sui meridionali è la convinzione, confusa ma radicata, che il sud sia sia portatore di una particolare serie di difetti. Il nord è la terra degli uomini alti, biondi e con gli occhi azzurri. Il sud è la terra dei neri, dotati di un cervello troppo esposto al sole. L'Europa della civiltà e dell'illuminismo contro l'Africa delle tribù e dei selvaggi.
La Corsica, scriveva Nicolas Giudici nel 1997, "definisce il Mediterraneo per eccellenza perché è una società faziosa per eccellenza...". Perché "la situazione lì rimane atipica, approssimativa, confusa, insomma, mediterranea... Il mondo anglosassone forgia i popoli. Il Me-diterraneo li dissolve"... Il Mediterraneo sarebbe così la porta dell'Africa per diffondere la civiltà. Ma al tempo stesso sarebbe anche la porta dell'Europa per far entrare i mali peggiori. La gente del nord sarebbe efficiente, laboriosa, adeguata all'economia di mercato e alla democrazia. Il Mediterraneo, invece, sarebbe un'area dedicata alle vacanze, benedetta dagli dei, famosa per il suo clima mite, il suo bel sole e le sue acque trasparenti, ma popolata da mediterranei, cioè da gente simpatica e pit-toresca, nel migliore dei casi oziosa e incapace, nel peggiore maschilista, violenta e mafiosa. I me-diterranei, come gli africani, hanno assorbito questi stereotipi e non riescono a liberarsene. I cam-biamenti concessi derivano sempre da crisi violente.
Per uscire da questa logica "crisi-violenza-riforma" dobbiamo superare questi due stereotipi: l'incapacità del Mediterraneo e la superiorità della concezione francese della repubblica. Finché si accetta l'idea che l'esempio possa venire solo dal Nord, e finché i politici parlano di "Repubblica" con la maiuscola, come se la Francia avesse il monopolio di questo sistema politico, le concessioni verranno ottenute soltanto al prezzo di sacrifici troppo grandi, e saranno viste come un attacco all'ideale repubblicano e una minaccia per l'identità della Francia. Queste concessioni non saranno quindi viste come un progresso, ma come un passo indietro. Il dovere di ogni buon repubblicano sarà quello di tornare ai fondamenti della "repubblica francese una e indivisibile". Non è facile contrastare questo dogma, perché si tratta di un dogma trasversale nel quale si riconoscono tutti i movimenti politici, siano essi di destra o di sinistra.
Il popolo corso dubita della propria capacità di autogestirsi. Di conseguenza i suoi interlocutori cercano di dare un contenuto all'idea di autonomia prima ancora di accettarne il principio. Contenuti di destra o di sinistra, elitari o sociali, individualisti o solidali... L'autogestione dovrebbe essere accettata solo se il terreno fosse stato preparato accuratamente. Anche l'incertezza odierna, in assenza di uno status autonomo, ha il suo peso, ma ci solleva dalla responsabilità di eventuali errori. Il colpevole degli errori, quindi, è lo Stato. È già abbastanza difficile essere una vittima, ma se fossimo anche colpevoli, il peso del disagio sarebbe davvero eccessivo. È un'impresa a lungo termine, ma l'unico modo per favorire un'evoluzione serena delle cose sarebbe quello di smontare questi stereotipi attraverso un ampio dibattito che coinvolgesse l'opinione pubblica.
Bibliografia
Débray R., Que vive la République, Odile Jacob, Paris 1988. Mastor W., Vers l’autonomie. Pour une évolution institutionnelle de la Corse, Albiana, Ajaccio 2022. Sanguinetti S., Corse, entre clanisme et nationalisme. Introduction à une analyse politique (1789-2014), Albiana, Ajaccio 2015.
UN'ALTRA IDEA DELLA CORSICA
A Squadra Robba è un collettivo di artisti e giornalisti corsi che propongono un’idea moderna della propria isola, dove si intrecciano fecondamente identità culturale e linguistica, attenzione ai problemi ecologici e alimentari, artigianato ed economia. Una Corsica capace di proiettarsi nel ventunesimo secolo e di rispondere alla crisi ambientale, di proporre una cultura vivace e originale. Queste idee sono raccolte nell'antologia Habiter la Corse: Campà/Pensà/Produce (Editions Eoliennes, Bastia 2022, pp. 160, € 7), alla quale hanno collaborato alcuni dei principali esponenti culturali isolani, fra i quali Toni Casalonga, Andria Fazi, Nicolas Lacombe, Sampiero Sanguinetti e Dominique Taddei. Un ventaglio di proposte stimolanti che meritano la massima attenzione. Per altre informazioni: www.editionseoliennes.fr