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Non dimentichiamoli
Nedim Useinow
I media hanno letto la guerra russo-ucraina come un ampio conflitto ideologico fra la Russia e i paesi occidentali, ma non bisogna dimenticare che sono in gioco anche altre questioni importanti, come il futuro dei Tartari della Crimea. Il popolo indigeno della penisola, nonostante la sua consistenza ridotta, ha espresso un proprio stato tra il XV e il XVIII secolo prima di essere inghiottito dall'impero russo. Un tentativo di riconquistare l'indipendenza all'inizio del XX secolo fallì, quindi Stalin deportò l'intera popolazione in Asia centrale, accusandola ingiustamente di aver collaborato con i nazisti durante la Seconda guerra mondiale. La maggior parte ha potuto fare ritorno in patria solo dopo il crollo dell'Unione Sovietica. Il loro sogno di vivere in una repubblica autonoma all'interno di un'Ucraina democratica non è mai morto, anche se l'occupazione russa ha allontanato il raggiungimento di questo obiettivo. Ma alcuni successi recenti dell'esercito ucraino hanno ravvivato le loro speranze.
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Nel 2014, quando la Russia si è impadronita della penisola, la popolazione tartara è scesa in piazza per protestare. Il presidente Putin ha ignorato il dissenso, ma dopo le autorità locali si sono accanite contro la minoranza, chiudendo i loro media, liquidando le loro ONG e perseguitando gli attivisti. È ormai chiaro che l'annessione della Crimea era stata pianificata per gettare le basi di una futura offensiva contro il resto dell'Ucraina, con la penisola occupata trasformata in una base militare. Dopo l'annessione i tartari sono stati definiti "islamisti" dai media locali e decine di attivisti sono stati condannati come "terroristi" con accuse assurde. Gli altri sono stati messi a tacere con l'intimidazione e decine di migliaia hanno scelto di emigrare, per lo più nell'Ucraina continentale. Oggi rimangono dietro le sbarre almeno 100 prigionieri politici, il più noto dei quali è il vice presidente del Mejlis, Nariman Dzhelyal, condannato a 17 anni di carcere per "sabotaggio".
Nel febbraio del 2022, quando la Russia ha invaso l'Ucraina, molti tartari si sono uniti all'esercito ucraino. Ma la mobilitazione annunciata a settembre ha innescato un vero e proprio esodo, con oltre 10.000 famiglie che hanno scelto di emigrare in Kazakistan, in Uzbekistan e in Europa per non dover combattere contro i loro compatrioti. La decisione improvvisa di partire ha creato vari problemi. Molti non sapevano neanche dove andare. Altri non sono riusciti a lasciare la Crimea perché erano a corto di denaro o perché non avevano i documenti necessari. Non si conosce il numero esatto di tartari mobilitati da Putin, ma alcuni hanno già raggiunto il fronte. Lo status di quelli arruolati nell'esercito russo e catturati dalle forze ucraine, soprattutto i giovani senza il passaporto ucraino, è un problema di lana caprina, perché non è chiaro se Kyiv li consideri cittadini russi o ucraini.
In altri casi molti tartari arruolati nell'esercito russo aspettano l'occasione per potersi arrendere alle forze ucraine, ma questo non è semplice in un conflitto dominato dall'artiglieria che spara da lunghe distanze. Di conseguenza decine, forse centinaia di loro moriranno a causa delle decisioni del Cremlino, proprio come accadde nel 1918, quando i bolscevichi liquidarono la repubblica popolare di Crimea; come nel 1938, quando l'NKVD giustiziò molti artisti e scienziati su ordine di Stalin; come nel 1944, quando quasi la metà dei deportati morì di fame, di malattie o di stenti.
La Russia non permette alle ONG per i diritti umani di entrare in Crimea, rendendo quasi impossibile la raccolta di materiale per i loro rapporti. In passato l'organizzazione russa per i diritti umani Memorial ha documentato la persecuzione dei tartari e ha riconosciuto molti attivisti incarcerati come prigionieri politici, ma l'organizzazione è stata messa fuorilegge e quindi non potrà più seguire la situazione. Il leader storico dei Tartari, l'ex dissidente Mustafa Cemilev, paragona spesso la Russia contemporanea all'Unione Sovietica, sottolineando che oggi la situazione è perfino peggiore di allora. Anche negli anni Settanta e Ottanta gli attivisti democratici venivano imprigionati, ma non venivano rapiti, né scomparivano senza lasciare traccia, come è successo nel 2015 a Ervin Ibragimov, membro del Mejlis. Naturalmente la repressione colpiva anche gli intellettuali, ma alcuni intoccabili, come Andrei Sakharov, sono stati risparmiati. Nella Russia odierna l'unico vero intoccabile è Putin.
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