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Rivoluzione senza fine
Il mondo vede soltanto l’avanzata del Covid-19, ma i conflitti “di sempre”, quelli lontani dai riflettori mediatici, continuano a essere molto pericolosi. In Libia, durante la notte del 20 marzo, il generale Haftar ha compiuto un altro gravissimo attacco, prendendo di mira le abitazioni della “città vecchia” di Tripoli, zona esclusivamente popolata da civili. Nonostante il cessate-fuoco richiesto anche per fronteggiare la pandemia, il generale ha continuato ad attaccare con razzi ed artiglieria la periferia, colpendo per la prima volta il centro della città. Le azioni compiute da Haftar sono state condannate dal governo di Tripoli e dall’ambasciata italiana, che hanno denunciato il mancato rispetto del cessate-fuoco. Nemmeno il crescente allarmismo per il Covid-19 è riuscito ad arrestare la sanguinosa guerra in Libia per più di qualche settimana. Anzi, sarà proprio il diffondersi di questa epidemia ad alzare il numero delle vittime, specialmente nei campi profughi, dove le scarse condizioni igieniche ed il sovraffollamento di migranti faciliteranno la propagazione del virus. Per capire come si è arrivati alla situazione di conflitto odierna dobbiamo partire da circa un decennio fa. Nel dicembre 2010, un venditore ambulante tunisino si da fuoco per protestare contro la corruzione ed il dispotismo del regime di Ben Ali. Con un effetto domino, questo gesto diventa l’inizio di una proliferazione di manifestazioni di massa nel Medio Oriente e nel Mediterraneo: le “primavere arabe”. In Egitto, Siria, Tunisia e Libia migliaia di
persone scendono in piazza per protestare contro i propri regimi, dittature di stampo nazionalista e laico che si sono affermate dopo la decolonizzazione. Il grande entusiasmo dell’Occidente, che sperava che questo fenomeno potesse portare all’instaurazione di Stati democratici, è soffocato però dall’insorgere di partiti islamici integralisti (come in Tunisia), di nuove dittature (come quella di Al-Sisi in Egitto) o dall’esplosione di sanguinose guerre (come in Siria o Libia). Infatti nel 2011, alla luce di queste manifestazioni, il dittatore libico Mu’ammar Gheddafi, inizia una sanguinosa repressione contro i ribelli. Interviene allora la NATO, che, con attacchi aerei, colpisce l’apparato militare del regime. Nell’ottobre 2011 il colonello Gheddafi viene ucciso e si pone così fine a quarant’ anni di dittatura. Nasce però un nuovo periodo di instabilità. Il 7 luglio 2012 si svolgono le prime elezioni democratiche del Paese, in cui risultano maggioritari i partiti liberali, seguiti da alcune coalizioni islamiste: insieme formano il GNC (Congresso Generale Nazionale ). Subito questo congresso si trova davanti ad un Paese allo stremo. Innanzitutto, le diverse milizie che durante la guerra civile avevano l’obiettivo comune di far cadere il governo di Gheddafi, si rifiutano di disarmare per difendere i loro interessi personali. In questo disordine, in cui sono ricorrenti attacchi ed assassini politici, la situazione economica si complica: alcune milizie prendono in ostaggio delDalla caduta dell’interminabile dittatura di Gheddafi, la Libia non sembra conoscere nemmeno l’ombra della pace. Questa altro non è che la seconda guerra civile in una decina di anni e sembra che e parti in causa siano ben lungi dal giungere ad una tregua. La guerra in Libia
le istallazioni petrolifere. Infine, nel 2013, la coalizione al potere, sotto la pressione di diverse milizie armate, approva una legge molto controversa, che vede destituiti tutti coloro che avevano occupato un posto di rilievo durante il regime di Gheddafi , inasprendo ancora di più le tensioni tra i cittadini e le varie fazioni armate. Così, tra le pressioni delle milizie, si arriva alle elezioni dell’estate del 2014, in cui vengono votati coloro che diventeranno i rappresentanti dell’organo che avrebbe dovuto sostituire il congresso: la Camera dei Rappresentanti. Invece che portare stabilità, questa decisione innesca una guerra civile. Infatti, i partiti islamici che risultano perdenti in queste nuove elezioni rimettono al potere il GNC, che, con il tempo, avevano acquistato un’influenza sempre maggiore: la Camera dei Rappresentanti fugge allora a Tobruk, all’Est del Paese, nella regione Cirenaica. Da allora la Libia si ritrova tagliata in due, ad ovest, con base a Tripoli, è governata dal GNC, mentre ad est, con Tobruk come capitale, dalla Camera dei Rappresentanti. Nel febbraio 2015, anche le forze musulmane fondamentaliste dell’IS (Islamic State), approfittano della situazione caotica per istallarsi a Syrte, occupando una parte di territorio tra i due Parlamenti. Per fronteggiare la crescente influenza delle forze integraliste, interviene allora la comunità internazionale. Nel dicembre 2015 Tripoli e Tobruk firmano gli accordi di Skhirat, seguendo il piano delle Nazioni Unite. Questa intesa prevede una divisione di potere tra i due Parlamenti: il nuovo congresso e la Camera dei Rappresentati devono accettare l’autorità di una terza entità, ovvero il Governo di Accordo Nazionale. Da questi accordi emergono le due figure che attualmente controllano la Libia. Da una parte Fajez al-Sarraj, primo ministro del Governo di Accordo Nazionale, messo al potere dai patti di Skhirat, e riconosciuto dalla comunità internazionale, si installa a Tripoli con il consenso del CGN. Invece, il generale Haftar, che era un alto esponente dell’esercito di Gheddafi e poi suo rivale, assume il controllo della Camera dei Rappresenti e decide di non riconoscere il Governo di Accordo Nazionale. Haftar, che aveva ottenuto legittimità quando aveva abbattuto le milizie terroristiche a Bengasi nel 2013, si era infatti già appropriato di una parte del golfo libico con importanti giacimenti petroliferi nel 2016. Anche se nel 2016 le milizie del Governo di Accordo Nazionale di Tripoli sono riuscite a sconfiggere l’IS e riprendersi il territorio, l’Esercito Nazionale Libico guidato da Haftar ha conquistato gran parte del territorio della Libia, inclusi i più importanti giacimenti petroliferi, principale e pressoché unica fonte di rendimento del Paese. La seconda guerra civile libica, però, non riguarda solo questo Paese. Con il riconoscimento ufficiale dell’ONU, il principale sostenitore militare di Fajez al-Sarraj è la Turchia, che vede nell’influenza in Libia la possibilità di realizzare il sogno di un neo-regime ottomano. Schierata con Haftar è invece l’Arabia Saudita, l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti, la Francia e la Russia. Quest’ ultima, in particolare, arma e finanzia Haftar, allo scopo anche di contrastare il disegno per la costruzione dell’egemonia turca nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. Fra milizie armate, proteste, dittatori ed interessi stranieri, il dramma libico appare senza soluzioni. Il Covid-19 rischia di complicare ancor di più la ricerca di una tregua.
BIANCA BARTOLINI