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Guerre Quotidiane

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Anche con il cinema si può lottare

Ogni giorno vengono combattute molte guerre, sia fisiche che morali, che rimangono nascoste e che non vengono raccontate al mondo e di cui quindi si rimane all’oscuro. Viviamo in un mondo dove battaglie o veri e propri conflitti sono all’ordine del giorno: nella società molte persone si battono costantemente per una buona causa, portando avanti delle rivolte che riescono a coinvolgere anche gran parte della popolazione; tutte queste battaglie le conosciamo grazie ai mezzi di comunicazione, che le hanno rese qualcosa di concreto facendole conoscere a più gente possibile. I risultati di queste lotte sono spesso movimenti e manifestazioni come i Friday’s for Future, i Gay Pride, le marce Non Una di Meno e molti altri ancora. Esistono però delle battaglie che rimangono nascoste, a cui non viene dato spazio e che di conseguenza risultano inesistenti per la maggior parte della popolazione. Come fanno gli oppressi invisibili a farsi notare, a mostrare al mondo le proprie difficoltà e condizioni? Il cinema è una delle possibili risposte. Ormai in tutto il mondo ci sono registi che hanno deciso di raccontare attraverso i propri film le condizioni disumane in cui vivono coloro che sono semplicemente meno fortunati e di lanciare un messaggio di allarme per chi è privato dei propri diritti. Vengono subito in mente le disastrose condizioni di vita nei paesi erosi dal crudele morbo della guerra, ma esistono anche problemi estesi molto più vicini a noi di quanto non sembri. Il regista inglese Ken Loach si fa notare tra coloro che raccontano la cruda verità delle problematiche dei giorni nostri: ha dedicato tutta la sua opera cinematografica alla descrizione delle condizioni di vita dei ceti meno abbienti. Loach è partito da produzioni indipendenti di scarso successo, fino ad arrivare ad ottenere diversi riconoscimenti nei più prestigiosi festival del mondo come Cannes e la Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. I suoi film sono delle vere e proprie denunce sociali che spaziano tra vari argomenti. Il suo ultimo lungometraggio è una forte accusa contro le grandi compagnie di distribuzioni come Amazon e più in particolare delle condizioni disumane in cui sono costretti a lavorare i dipendenti di tali compagnie. “Sorry We Missed You” è un brutale ritratto della società e di coloro che vivono dovendo sopportare ogni giorno fatiche sia fisiche che morali. Il film narra la storia di una famiglia formata da padre, madre e due figli. Pur di ritrovare un lavoro dopo aver perso il precedente a causa della crisi economica globale, il padre di famiglia convince la moglie a vendere la sua auto per poter acquistare un furgone e poter così diventare un corriere per una grande azienda di distribuzioni. La storia è un susseguirsi di problematiche che si manifestano sia sul lavoro che in famiglia. Dopo essere uscito dalla sala il mio primo pensiero è stato: “Non ordinerò più niente online”, ma il vero problema è che dentro di me sapevo che sarebbe

stata una promessa molto difficile da mantenere. Ken Loach ci mostra quanta sofferenza ci sia dietro a un semplice scatolone di cartone; ormai ordinare online è diventata un’abitudine e non ci chiediamo chi siano coloro che consegnano i nostri ordini: sono invisibili, vanno e vengono, girano tutta la città dovendo seguire dei minuziosi programmi con determinati tempi per ogni recapito; sono controllati cosicché la consegna avvenga perfettamente in orario e non hanno un momento di pausa, neanche qualche minuto per andare in bagno. In questi ultimi mesi sono partite molte campagne per sabotare le grandi compagnie di distribuzione dei prodotti e per dare dei diritti a queste persone che, per un salario poco cospicuo, sono sottoposti a fatiche terribili. La prossima volta che sarete davanti ad un computer pronti ad acquistare qualcosa, prima di confermare la consegna dell’ordine pensate alla persona che ve la recapiterà e ricordatevi che anche lui o lei sono esseri umani. A mio parere “Sorry We Missed You” è un film che racconta alla perfezione una “guerra quotidiana”, ma poco nota, la descrive nella sua crudeltà, asprezza e tristezza, e ci fa capire quanto ancora ci sia da lottare per rendere il mondo un posto migliore. Ci tengo a parlare anche di un altro film e di un’altra “guerra quotidiana”, questa volta in un paese più lontano. Alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia 2019 mi è capitato di vedere un film indipendente afghano, intitolato: “Hava, Maryam, Ayesha”. Il film racconta la storia di tre donne di diversa estrazione sociale risidenti a Kabul, che devono affrontare grandi sfide nelle loro vite. Hava, una donna legata alle tradizioni, incinta, della quale non importa niente a nessuno, vive con i suoceri.

La sua unica gioia consiste nel parlare con il bambino che ha in grembo. Maryam, una colta giornalista televisiva, sta per divorziare dal marito infedele, il quale scopre che è incinta. Ayesha, una ragazza di diciotto anni, accetta di sposare il cugino, poiché il ragazzo che l’ha messa incinta è scomparso dopo aver saputo della sua gravidanza. Deve pertanto trovare un dottore per abortire e ritrovare la verginità. Per la prima volta, ciascuna di loro deve risolvere il proprio problema da sola. Abbandonate da una società che le considera inferiori, queste tre donne devono combattere per i propri diritti e per poter vivere una vita migliore. “Hava, Maryam, Ayesha” non è uno dei tanti film che mandano messaggi a favore dei diritti delle donne: è un film vero, che racconta esperienze che molte donne provano davvero in alcuni paesi e che riesce a trasmettere un senso di malinconia e tristezza allo stesso tempo contrastati da una grande forza d’animo e di coraggio che porta le tre protagoniste ad esporsi e a combattere le proprie paure. La regista Sahraa Karimi, che ho avuto il piacere e l’onore di incontrare, ha spiegato quanto sia stato difficile girare un film del genere, poiché il governo afghano limita la produzione cinematografica nel paese attraverso la censura; il sogno della regista è di portare film come “Hava, Maryam, Ayesha” nelle sale cinematografiche afghane per poter far aprire gli occhi al suo paese riguardo le condizioni in cui sono costrette a vivere le donne. “Hava, Maryam, Ayesha” è un inno alla vita e ai diritti femminili che tocca il cuore facendoti provare molte emozioni contemporaneamente, un perfetto esempio di come il cinema indipendente stia diventando sempre più conosciuto e apprezzato nel mondo. Il cinema può essere utilizzato per apprendere fatti di cui non si era a conoscenza, per scoprire guerre e battaglie finora sconosciute, ma ricordiamoci sempre che il vero cambiamento parte sempre e solo da noi.

CESARE NARDELLA

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