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Storia di un esodo

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Guerre Quotidiane

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Gli effetti della guerra in Siria

Un altro tassello che si aggiunge al puzzle delle guerre dimenticate che stiamo ricomponendo in questo numero speciale è la questione migratoria tra Grecia e Turchia, indissolubilmente legata al perdurare del conflitto siriano. Prima di entrare nel vivo della questione è necessario gettare le basi della discussione con un breve riepilogo storico-geografico così da poter comprendere al meglio il tema qui affrontato. È il 15 marzo 2011 quando anche la Siria viene travolta da un’ondata di proteste contro i regimi autoritari di molti paesi del mondo arabo. Questa serie di eventi paralleli meglio definita come Primavera Araba porta allo scoppio di rivoluzioni con l’obietCronistoria della rotta migratoria tra Grecia e Turchia: la scalata geopolitica del Sultano di Ankara e il futuro delle migrazioni verso l’Europa

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ta un numero mai così alto di persone a mettersi in fuga e aumentare notevolmente la pressione al confine Turco-Siriano. A questo punto il presidente turco Erdogan alza la voce con l’Europa e chiede una soluzione congiunta perché i Paesi europei si facciano carico di parte dei migranti e la cancelliera tedesca Angela Merkel invita tutti alla solidarietà e dà l’esempio accogliendo in Germania molti rifugiati siriani. La cancelliera non aveva però fatto i conti con ciò che ormai in politica viene prima di ogni cosa: consenso e quindi popolarità, ancor più importanti se si è al terzo mandato e in lizza per un quarto. Chiusa la parentesi di solidarietà tedesca, la Grecia aveva nel frattempo sospeso la possibilità di fare richiesta di asilo invocando una clausola della Convenzione di Ginevra. Di fronte a tutto questo la diplomazia Europea si mette al lavoro e il 18 marzo 2016 viene firmato l’accordo

tivo di destituire i capi di stato al grido di libertà. La pregressa crepa socio-economica del paese, una rivoluzione e i suoi tentativi di repressione non poco sanguinosi sono fattori che negli anni siamo stati abituati a riconoscere come motivo di migrazioni, flussi che in questo caso assumono rilevante entità e interesse globale se contestualizzati nell’intero fenomeno della Primavera Araba. Qui entra in gioco la posizione geografica della Turchia e l’importanza geopolitica che assumono i suoi confini visto che costituiscono il ponte tra Siria e Grecia e quindi la chiave d’accesso al Vecchio Continente, obiettivo della più grande ondata migratoria degli ultimi tempi. L’Unione Europea non aveva mai guardato con attenzione al fenomeno, sia per vigile cecità sia perché considerato gestibile dalla Turchia finché tra il 2015 e il 2016, l’aggravarsi del conflitto siriano porFacility for Refugees in Turkey, che vede la Germania come maggiore contribuente. Il testo su cui convergono entrambe le parti prevede un generoso finanziamento alla Turchia per la modica cifra di tre miliardi di euro con l’unico scopo di delegare al Presidente Erdogan, un dittatore de facto, la gestione dei flussi a unica condizione che i migranti non facciano ingresso in Europa. La traduzione di tutto questo gioco burocratico è evitare che i governi europei debbano fare ulteriormente i conti con sentimenti nazionalisti già in ascesa e abbandonare alla sorte chi, scappando da una guerra, avrebbe diritto a vedersi garantito l’asilo secondo le convenzioni internazionali. Non poche sono infatti le accuse sollevate dalle organizzazioni internazionali impegnate nella tutela dei diritti umani. Nel Marzo 2020 però il fronte siriano subisce nuovi sviluppi: la piccola città di Idlib è l’ultima roccafor

te ribelle rimasta ed è lì che si gioca il futuro del conflitto in base ai delicati equilibri internazionali. La città è vicina al confine Turco e inutile dire che questo porta a nuove pressioni nella gestione dei migranti tra Grecia e Turchia. Assistiamo allo stesso copione del 2015 con Erdogan che apre le frontiere e la polizia greca che respinge i migranti al confine con le isole come Lesbo che continuano a essere campi profughi a cielo aperto. Il tutto condito da un’emergenza sanitaria su scala globale che complica la gestione dell’assistenza ai migranti già normalmente difficile. Questa volta la risposta dell’Unione Europea non si è fatta attendere e i tre presidenti Von Der Leyen, Michel e Sassoli (rispettivamente alla guida di commissione, consiglio e parlamento dell’Unione) sono volati nel paesino greco di Kastaines per assicurare pieno sostegno al governo di Atene. La Presidente Von Der Leyen ha dichiarato che “la nostra priorità in Grecia è preservare l’ordine ai confini esterni dell’Ue”, ignorando la possibilità di interventi più mirati per la gestione ordinata dei flussi e un piano di accoglienza. Il gioco del sultano Erdogan è sempre lo stesso: aprire e chiudere le frontiere come fossero rubinetti con l’obiettivo di ottenere l’attenzione internazionale, se prima però era bastata una lauta parcella, ora la posta in gioco sembra essere più alta. È il momento di guardare nel retroscena di quella che non è una semplice ondata migratoria, ma ha in sé precise tattiche di gioco sullo scacchiere della politica internazionale. Gli attori principali nella guerra in Siria sono Russia-Iran a supporto del regime di Bashar al-Assad e Turchia in sostegno delle truppe ribelli. Il ricatto della Turchia con i migranti ha un unico e preciso obiettivo: spostare la bilancia a proprio favore ottenendo il sostegno della comunità internazionale sul fronte di Idlib che sul piano pratico si traduce in un intervento degli Stati Uniti al fianco Turco nel conflitto siriano, essendo la Turchia parte del Patto Atlantico (NATO). La scalata della Turchia sul piano internazionale e le dimostrazioni di potere del Sultano-Zar sono tutt’altro che limitate alla sola questione Siriana; il 2 gennaio il parlamento di Ankara ha approvato, su richiesta del presidente Erdogan, l’invio di aiuti militari a Tripoli per sostenere il governo di unità nazionale di Fayez al-Sarraj. In questo modo la Turchia colloca una pedina importante anche nello scenario politico che regola un’altra rotta migratoria verso l’Europa, i numeri del Mediterraneo centrale la rendono la prima e più mortale via di esodo al mondo. L’ingresso a gamba tesa della Turchia nella crisi libica ha in realtà un fine più redditizio del semplice immischiarsi in un conflitto che va avanti da tempo ed è legato alla partita energetica per la realizzazione del gasdotto EastMed. Il governo di Ankara ha recentemente stretto un accordo con la Libia sulla competenza delle aree marittime che il gasdotto dovrebbe attraversare, segno che la mira espansionistica della Turchia ha anche obiettivi energetici. Terminato l’excursus geopolitico, necessario per dipingere un quadro completo della questione, allunghiamo la vista verso le prospettive che attendono la questione migratoria in futuro. Un report recente dell’ISPI, Istituto per gli studi di politica internazionale, dal titolo “The future of migration to Europe” osserva come i flussi migratori che ininterrottamente negli ultimi anni hanno investito l’Europa non siano destinati a terminare in un futuro recente. A confutare questa osservazione vi sono due fattori: la complessità degli intrecci politici dietro ai conflitti in Africa e Medio-Oriente e la completa mancanza di una strategia comune in Europa per la gestione delle frontiere esterne e il coordinamento delle politiche d’accoglienza. La via per un’integrazione facile ed efficace di coloro che arrivano e hanno diritto a essere accolti viene indicata nell’investire sull’innovazione ed educazione tecnologica così da permettere a queste persone un pratico accesso alle strutture della società. In un’Europa impantanata nell’affermare il difficile principio di solidarietà economica che dovrebbe essere alla base di un’unione economico-monetaria e nell’Italia dove il sito dell’INPS preposto a gestire richieste di contributi si blocca perché attaccato da fantomatici e alquanto improbabili hacker, la strada per un’integrazione alla luce dell’innovazione tecnologica sembra non essere nemmeno all’orizzonte. FILIPPO PERTICARA

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