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È ancora possibile la poesia?
Potrei scrivere fogli e fogli su quanto sia triste dire addio al Manara, quanto questa scuola mia abbia dato e quanto mi mancherà. Potrei scrivere fogli e fogli su tutte le cose che ho perso in questi ultimi mesi che abbiamo passato in quarantena. Potrei scrivere fogli e fogli su tutte quelle cose che avrei voluto fare prima della fine del liceo, tutti gli addii che avrei voluto dare al luogo che è stata la mia casa per cinque anni. Tuttavia, credo che sarebbe molto noioso, nostalgico e anche decisamente melenso. Quando mi sono iscritta al liceo Classico le cose che mi sono sentita dire (ma penso un po’ tutti) sono le solite: “il classico ti insegna a pensare”, “il greco è una palestra per la mente”, “il metodo traduttivo ti servirà all’Università”, e così via. Io ci ho sempre creduto, forse un po’ perché volevo essere sicura di aver scelto la scuola giusta, forse un po’ perché volevo tirarmela con i miei amici di altre scuole, ma tant’è. Ora come ora, dopo cinque anni di declinazioni, autori, versi; non mi sento di dire che la cosa più importante che ho imparato è stato il metodo con cui ho capito la legge di Grassman (sinceramente
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non ricordo neanche cosa sia), che mi servirà nella mia brillante carriera futura, né che il mio cervello ha imparato a pensare più di quanto sapeva fare prima. Si parla molto, in alcune fazioni politiche, di abolire il liceo Classico. Ultimamente le iscrizioni vanno a gonfie vele, ma 4 o 5 anni fa, ci si chiedeva se il Classico avesse effettivamente un futuro, se fra 10,20,30 anni sarebbe ancora esistito. Perché è una scuola vecchia, perché il latino e il greco sono lingue morte, e anche tutti i poeti che studiamo, poi, nella vita pratica, non servono a granchè. La risposta a queste domande non è ribadire quanto il metodo con cui impari l’analisi del testo ti insegni a passare Analisi I (mi spiace futuri Ingegneri), o quanto fare le versioni ti insegni a capire la macroeconomia, perché, sinceramente, non è per questo che ho scelto questa scuola. Non è per imparare cose inutili, che però mi avrebbero insegnato un metodo che mi sarebbe servito più avanti.
La corretta risposta a queste domande è che quest’ultime non colgono il punto, come quasi tutte le risposte che i politici si danno per risolvere i problemi del paese. La poesia, la letteratura, sono cose indubbiamente inutili. Non ti servono per fare la spesa, non ti servono per performare un’appendicectomia, e non ti servono per dare l’esame di Statistica. Ma è proprio questo il punto, noi non siamo nati per rispondere solo a questioni utili. La filosofia non nasce per rispondere a domande utili: cos’è l’uomo? Cos’è l’essere? E’ una domanda utile? Assolutamente no, ma è una domanda interessante. Il latino e il greco sono lingue interessanti, sono belle, sono appassionanti. Ma soprattutto, ha senso studiare lettere in un mondo che sta puntando tutto sulla globalizzazione, sulle nuove tecnologie, sul mercato? Probabilmente non ha senso. Tuttavia, la poesia è strettamente connessa alla vita. La letteratura e la filosofia (ma anche la fisica, per dire eh) non sono altro che strumenti che l’uomo sfrutta per risolvere le sue turbe più profonde. E’ dall’alba dei tempi che ci chiediamo perché siamo su questa Terra, che ci chiediamo perché ci fermiamo dal poter fare tutto quello che vogliamo, che ci domandiamo cosa sia la morale e chi l’ha creata. Chi ce l’ha imposta? Chi ha deciso che saremmo stati infelici e per sempre coscienti della nostra capacità di superare ogni limite ma impotenti, eternamente impotenti, nel farlo? E se per tutta la sua esistenza, l’uomo ha continuato, nonostante ogni tipo di progresso, a farsi le stesse domande, come si può pensare di smettere di fare poesia, di smettere di supportare la cultura e di studiare la letteratura? “In ogni modo io sono qui perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà. […] Potrà sopravvivere la poesia nell’universo delle comunicazioni di massa? E’ ciò che molti si
chiedono, ma a ben riflettere la risposta non può essere che affermativa. Se s’intende per la così detta belletristica è chiaro che la produzione mondiale andrà crescendo a dismisura. Se invece ci limitiamo a quella che rifiuta con orrore il termine di produzione, quella che sorge quasi per miracolo e sembra imbalsamare tutta un’epoca e tutta una situazione linguistica e culturale. Allora bisogna dire che non c’è morte possibile per la poesia.” (E’ ancora possibile la poesia? Eugenio Montale, discorso al premio Nobel 1975). Ecco, quando ho letto queste parole ho capito perché, 5 anni fa, ho scelto di fare il liceo Classico, e, guardandomi intorno in tutto questo tempo, ho capito perché ho scelto il Manara. Finchè ci sarà vita ci sarà anche poesia, e questo nessuno potrà mai portarcelo via. ARIANNA BELLUARDO