5 minute read

Dove nascono le idee immortali

Next Article
immuni

immuni

Questo mese sono 28 anni. 28 anni dalla scomparsa di un uomo, non uno qualsiasi. E dopo tutto questo tempo ci ricordiamo ancora di salutarlo, come fosse la prima volta, o l’ultima, dipende da che lettura vogliamo attribuirgli. Ogni 23 maggio ci ricordiamo dell’esplosione, delle urla, dei pianti, della disperazione nei volti del popolo italiano. 57 giorni dopo facciamo lo stesso per la fine di un altro grande uomo, ricordandoci solo il frastuono dei 90 chilogrammi di tritolo. Risentiamo nella testa quelle 3 parole strazianti “E’ tutto finito”, pronunciate dal magistrato Antonio Caponnetto. E’ una storia fatta di numeri, una memoria costituita da ore, dati, età, calcoli, minuti, numeri civici, secondi, coordinate… Ma in fondo, cosa bisogna veramente ricordare? Solo la tragedia? Le morti? Tutti i numeri che le descrivono? La vita umana non è fatta di questo, di cifre e percentuali. Ogni nostro gesto è creato da parole, idee, sentimenti. Non si è mai solo personaggio, e sicuramente non viviamo per rappresentare la nostra fine. Ecco perché bisogna raccontare il resto, i respiri che c’erano dietro.

Vincenzo Perrini con sua moglie Per celebrare la memoria di Giovanni Falcone, in occasione dell’anniversario della strage di Capaci, mi servo delle parole e della storia di Vincenzo Perrini, collega ed amico del magistrato Falcone, per essere finalmente davvero Capaci di ricordare. “Non è mai facile parlare di Giovanni” è la prima dichiarazione che mi viene riferita, inconfutabile più che mai, come se non fosse difficile parlare di antimafia in generale. La vicenda del dottor Perrini parte dal 1990, quando venne traferito da Torre Annunziata a Palermo. E lì divenne capo della criminalpol della zona. Il primo ricordo che mi viene raccontato è un’immagine vivida, inevitabilmente accompagnata da un sorriso. Il primo incontro del nuovo capo con il magistrato Falcone. “Mi disse di essere contento del mio arrivo, considerava ottimo ciò che avevo portato a termine nella mia carriera fino a quel momento. Non vedevo l’ora di iniziare, e lui con me”. Immagino che quella prima stretta di mano non sancisse semplicemente un patto tra procura e polizia, ma fosse testimone di un’alleanza tra uomini veri, non supereroi immortali. “Lavorare a Palermo non era facile. Sembra ovvio che coloro i quali si occupano di combattere scempi e criminali siano aiutati. Ma io lavoravo con i legacci, in una continua interferenza con altri uffici, nemmeno ero in grado di poter scegliere chi avere con me. Un esempio che ricordo è quello di un indagine molto importante, l’attentato al giudice Livatino, ucciso dalla Stidda agrigentina. Il caso però dovetti lasciarlo incompiuto, lo fecero passare ad un altro ufficio. Il margine d’azione era uno spazio chiuso, claustrofobico. Anche Falcone lo sapeva. Era una percezione costante”. E’ vero, sentire queste parole sembra assurdo. E’ inconcepibile sapere che lì non erano aiutati, ma anzi, presi di mira. Quindi si è in errore quando si pensa che Falcone fosse stato appoggiato nella sua lotta, dal primo momento. Non lo è stato mai, per tutta la sua vita, se non da pochissimi. Era come se lavorasse in quello che potremmo definire ufficio di fine cura: trascurato dal centro e non supportato

Advertisement

dal sistema. Anche per questo, dopo meno di un anno, il dottor Perrini fece ritorno a Napoli, continuando a lavorare alla criminalpol, e per poi ritornare, dopo qualche anno, in Sicilia, a Catania. Nonostante non si possa solo raccontare della scomparsa del magistrato, è doveroso riportare anche questa. “Quel giorno del ’92 mi lasciò esterrefatto, inerme davanti a quella che sembrava la vittoria del nemico. Non trovo tante parole o aggettivi per descrivere quella scena, semplicemente orrenda.” Vi siete mai chiesti come è fatta la bocca dell’inferno? Dove si trova? Se per Dante l’ingresso dell’oltretomba era tra gli alberi della selva oscura e per Virgilio in una piccola località campana, è molto probabile che il 23 maggio del 1992 la porta degli inferi si trovasse proprio in Sicilia, a Capaci, sulla strada. Un cratere fisico, enorme, come se un artiglio dello stesso diavolo fosse arrivato dal magma al centro del pianeta e avesse trascinato con sé Falcone la moglie e la scorta, insieme all’asfalto, al cemento … Un atto di violenza inaudito, così eclatante da essersi portato via anche il sole e il cielo per delle interminabili ore. Quello squarcio nella terra fece congelare ogni pensiero, per giorni. Un dolore indescrivibile, lo stesso dolore che ho sentito nella voce rotta e tremante del mio interlocutore, quando ci si ricorda con che crudeltà inaccettabile abbiano spento il sorriso di quell’uomo. Ma la sua voce rimarrà sempre più forte di qualsiasi boato causato dal tritolo. Non l’ha fermato la macchina di fango che lo delegittimava, non sarà la morte a farlo. Così mi ha detto anche il dottor Perrini. “Sai, Giovanni l’hanno sempre tutti visto come un’icona. Prima per icona si intendeva qualcuno che traeva vantaggi dal lavoro di magistrato. Oggi rappresenta un simbolo, l’antimafia pura, insieme a Borsellino, Caponnetto, Francesca Morvillo… Come se la sua vita fosse stata solo quella, un’esistenza in procura. Certo, Giovanni aveva un talen

to vero nel suo campo, non perdeva mai di vista i suoi obbiettivi e la sua resilienza era fenomenale. Ma non era solo questo. Infatti sono felice di averlo conosciuto al di fuori dell’ufficio. Ricordo le nostre partite a pallone, la conoscenza con la sorella, i giochi di carte, le serate con le nostre mogli. Lì non si parlava di lavoro, ovviamente. Questo credo sia fondamentale, Giovanni era Giovanni anche e soprattutto nella quotidianità. Per questo le sue idee sono immortali. Non si può dimenticare di raccontarlo.” Questo era l’eroe dei nostri giorni, un uomo comune. Era lui a combattere i cattivi. La sua umanità non glielo impediva, anzi lo fortificava. Saper essere ed esistere, nonostante ciò di cui si occupava tutti i giorni, nonostante la consapevolezza che la mafia fosse ovunque con i suoi viscidi tentacoli, lo aveva reso la persona che oggi ricordiamo. Era il suo essere un uomo come gli altri a rendere straordinaria la sua battaglia. Ecco, non bisogna nascere in un certo modo per lottare contro chi vuole spegnere la libertà della gente, basta esistere, essere umani, armare il proprio animo fino ai denti. Avere coraggio non è un atto da supereroi, ma può averlo chi gioca a carte, chi ama il gelato al mango, Chi legge i libri di Hugo… Non ha importanza, serve solo avere umanità. Giovanni Falcone disse: “gli uomini passano, le idee no. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.” Lasciate che ognuno di noi sia le sue gambe, il corpo di quell’uomo che dicono di aver ucciso, ma continua a urlare le sue idee nei nostri animi ogni giorno. Lasciate che i vostri padri, nonni, zii e amici vi educhino a questi valori, come ha fatto Vincenzo Perrini con figlie e nipoti. Così i suoi ideali potranno rinascere in migliaia di persone. Così vinceremo noi e rivedremo l’alba. MARTA SARRO

This article is from: