E lsa
D irettore M azzolini
IL VALORE DELLA
TRADIZIONE
NEI PIATTI DI IERI E DI OGGI
MENSILE SPED. IN ABB. POST. - GRUPPO III° - 45% - ART.2 COMMA 20/B LEGGE 662/96 - FIL. FORLì - TASSA PAGATA - TAXE PERÇUE - REG. TRIB. DI FORLì N.653 - DEL 14/6/84 DIR. RESP. ELSA MAZZOLINI - GOURMADIA SRL - VIA PACCHIONI, 365 - CESENA - EURO 4,00 - IN CASO DI MANCATO RECAPITO RESTITUIRE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TASSA
L’ un di ica s r de trib ivis u lla it ta G a a ita l R A lla ian N ris a B R tor di s ET a e A zio tto G re n N A e
ANNO XXXI Luglio/Agosto 2015 N. 299
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SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD 299 GOURMETFOOD
di Alessandro Ricci
Foto copertina © StudioGraf
GOURMETFOOD
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Il valore della tradizione nei piatti di ieri e di oggi.
Quando la tradizione paga La globalizzazione porta in sé il rischio di una perdita di identità. Ma molti ristoranti combattono per mantenere viva la tradizione regionale.
e inoltre... Dietologicamente parlando
Chef di Spirito
Ma allora cos’è veramente il junk food?
di Sonia Leo............................................................ pag.
di Primo Vercilli........................................................ pag.
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Prodotti Eccellenti
Assaggi di Galateo
Progetto “Forme”
Ambiente e stile
di Claudia Barale................................................... pag.
di Fabio Ferrantino................................................. pag.
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Work in Food a cura di ManpowerGroup.................................. pag. Golavagando Le due facce di Bif a La Spezia............................ pag.
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in Costa Azzurra di Luigino Filippi....................................................... pag.
di Daniele Briani..................................................... pag.
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Buone Nuove............................................................. pag.
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Svezia
Golavagando “Mon Trésor”
di Teresa Cremona................................................. pag. 22
Velavevodetto
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Il focus di Alessandro Magnum di Alessandro Rossi................................................. pag.
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Hotel Tornese di Claudio Mollo..................................................... pag.
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Vinaria
Enoteca Mariga
di Claudio Mollo..................................................... pag.
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FashionFood Il lusso accessibile dello Chateau Le Cagnard
Trattoria San Martino a Gargnano
di Daniele Briani...................................................... pag.
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Fabrizio e Andrea Girasoli interpretano Divine Creazioni Surgital........................................ pag.
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Stefano Antonucci fa... il Mossone pag.
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Assaggio di libri......................................................... pag.
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di Luigino Bruni.................................................... 26
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Regole uguali per tutti (forse)
editoriale
Troppo bello. E troppo pubblicizzato. Fino a ieri paginoni di quotidia-
di Elsa Mazzolini
ni e servizi televisivi inneggiavano al “boom” degli home restaurant come alternativa trendy e apparentemente economica a ristoranti e trattorie. Inevitabile che il Governo attivasse il sistema bancomat appena annusata l’aria di possibili soldi da riscuotere. Inevitabile e anche logico. Tra i 19 profili di evasori individuati dal nostro Stato, sarebbero infatti di sicuro entrati dritti dritti anche coloro che avevano deciso di mettere a reddito la propria vera o presunta ars cucinandi, a rischio e tasse zero (se rimanevano al di sotto dei 5.000 euro di reddito). Tanto poi, chi li sarebbe andati a controllare? Ma questa faccia della sharing economy pare già festa finita. Il vuoto legislativo in cui speravano di galleggiare tanti neoCracco casalinghi, si sta ormai riempiendo di norme e codicilli. E d’altra parte non si capisce perché il coacervo di regole a tutela della salute dei consumatori deve essere obbligatorio solo per i locali pubblici, quando anche nelle case private dei cooking lovers si effettua lo stesso servizio di somministrazione di alimenti su compenso. Il parere del Ministero allo Sviluppo Economico non è ancora legge, però la Fipe, già malmostosa nei confronti di questa ennesima forma di concorrenza sleale ai ristoranti, invoca controlli severi da parte dei comuni. D’altra parte, se i cuochi improvvisati ammettono che, attraverso il social eating, arrotondano i propri introiti, la neonata associazione Home Restaurant Italia ne fa una questione di salvaguardia delle tradizioni, il che, detto tra noi, sembra un po’ pretestuoso, perché questo ruolo è già ricoperto abbondantemente, quantomeno, da locande e trattorie gestite professionalmente. Dunque, se c’è chi vuol far fruttare economicamente un proprio hobby, a mio parere dovrebbe farlo unicamente attraverso piattaforme come Airbnb e Gnammo, così che il danaro dei clienti sia tracciabile e l’attività meno clandestina. Diversamente la giungla degli home food 2.0 dove tutti si improvvisano chef, ma nessuno paga il dazio con la scusa che si tratta di transazioni tra privati, potrebbe ri-
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sultare dannosa sotto vari punti di vista. La macchina o la casa da condividere sono ben altra cosa rispetto al cibo modello Uber.
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DIETOLOGICAMENTE P
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di Primo Vercilli Medico Dietologo
MA ALLORA COS’È VERAMENTE IL
JUNK FOOD? Sappiamo tutti ormai che con il termine “junk food” intendiamo “il cibo spazzatura”, ma poi ognuno di noi, all’interno della spazzatura, rischia di metterci ciò che vuole. Intanto è bene chiarire che il cibo spazzatura non ha una vera e propria connotazione medica: si tratta di un termine popolare per indicare un cibo, soprattutto di provenienza industriale, ricco di grassi, zuccheri e scarso di nutrienti utili. Il termine è stato coniato negli anni 70, ma, badate, non è un termine medico-scientifico. Infatti, su Medline, la più conosciuta banca dati in ambito biomedico, questa definizione non compare tra le parole chiave di ricerca. Non abbiamo quindi una descrizione precisa, scientifica, di quali siano gli alimenti da considerare “junk”. Vi assicuro che non è comunque facile tracciare una netta linea di demarcazione tra junk o meno. Ci sono alcuni prodotti che sicuramente rientrano in questa categoria come le caramelle, i dolciumi e le bevande zuccherate, tutti molto ricchi di zuccheri semplici, poveri di altri nutrienti e magari ricchi di coloranti; sicuramente gli snack industriali, colorati e zuccherati, non facciamo molta fatica a considerarli “junk”. Anche le patatine fritte in sacchetto o da aperitivo sono “spazzatura” perché ricche di grasso, sale e amido che viene assorbito dall’organismo al pari di uno zucchero semplice; qui siamo effettivamente di fronte al tipico esempio di come un alimento naturale e salutare, come la patata, venga trasformato in junk food dall’industria alimentare! Dobbiamo
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comunque considerare “junk food” tutti quegli alimenti che vengono prodotti dall’industria alimentare, sono in genere sempre pronti per l’uso e non richiedono alcuna preparazione da parte del consumatore. A queste caratteristiche si deve poi aggiungere una scarsa qualità di carattere nutrizionale, che vede prevalere zuccheri, sale, grassi soprattutto saturi e, magari, coloranti industriali. Ma allora, se un hamburger di Mc Donald’s è junk food, perché un hamburger fatto in casa non lo è? E una pizza con salsiccia e gorgonzola può essere considerata junk food? Una fantastica torta Saint Honorè? E il nostro irrinunciabile uovo di Pasqua? Vedete che, se cominciamo a voler a tutti i costi catalogare gli alimenti in buoni e cattivi, rischiamo di farci trascinare in un vortice in cui la maggior parte dei cibi che mangiamo rischiano di essere eliminati! Quali possono essere, allora, le regole fondamentali per provare a districarsi nella jungla dell’alimentazione, evitando il cibo spazzatura, ma non appiattendo il gusto? Sicuramente è fondamentale cercare sempre alimenti con un’alta qualità nutrizionale, che non siano industriali, ma fatti in casa o artigianali. Sarebbe buona norma evitare alimenti ricchi di grassi saturi (quindi nel leggere l’etichetta, non basarsi semplicemente sul valore dei grassi totali,
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ma cercare di capire il contenuto di grassi saturi, che sono quelli più pericolosi). In più evitare cibi che contengono carni meccanicamente separate o carni processate. Evitare cibi industriali con alto contenuto di sodio. Evitare cibi industriali colorati, in quanto, normalmente, la colorazione viene data per rendere più “sexy” un alimento di scarsa qualità! Voi berreste una coca cola sbiadita? Evitare cibi industriali particolarmente zuccherati, considerando però che anche i dolcificanti ipocalorici non sono innocui! E’ bene poi precisare che “evitare” non significa “eliminare”. Nel rapporto con il cibo quello che conta veramente è sempre il giusto equilibrio!
Certamente, se volete fare un hamburger in casa (piuttosto che prenderlo al fast food) io non posso che approvare! L’importante è scegliere un pane di buona qualità (non industriale e conservato), carne selezionata, lattuga e pomodoro. Attenzione, però, a non aggiungere grosse quantità di sale! Ovviamente non basta preparare il cibo in casa (evitando quello industriale) per ottenere una sana alimentazione. Infatti ci sono tantissimi alimenti che, pur non essendo propriamente “junk”, hanno comunque delle caratteristiche simili. Come al solito, ciò che conta di più è avere un giusto atteggiamento a tavola, che non precluda a priori particolari cibi, ma che privilegi sempre cibi di provenienza certa, genuini, non industriali, alternati in un regime vario, sempre ricco di frutta, verdura e fibre.
Gala teo ASSAGGI DI
di Fabio Ferrantino Docente di Galateo presso Bon Ton Academy Professore di Enogastronomia - IPSSAR Piobbico
AMBIENTE E STILE ACCORGIMENTI PER UNA SALA ELEGANTE E FUNZIONALE Ogni stile può essere quello giusto per il proprio ristorante. Non ci sono oggetti o complementi più o meno aggraziati per arredare una sala, l’importante è rispettare la propria immagine raccontandola anche attraverso un mobile, un piatto di ceramica o la grafica del menù. Spesso per creare o rinnovare l’atmosfera del locale ci si affida ad architetti o interior designer. Questa non è una mossa sbagliata, ma diviene necessaria la costante supervisione dei lavori da parte di chi, in quel posto, svolge o svolgerà la sua professione quotidianamente. Capita soventemente di lavorare in ambienti molto belli e curati dal punto di vista estetico, ma meno dal punto di vista funzionale. Sicuramente la norma generale e di stile si riconduce alla coerenza. Sarebbe poco logico entrare in un ristorante dalla sala neoclassica con arredi che possono costituire veri e propri pezzi d’arte per poi osservare un maître che prende le comande con un tablet di ultima generazione. L’eleganza è costituita da armonia, dunque bisogna adottare delle decisioni logiche che devono seguire lo spirito della tipologia di ristorazione che si vuole effettuare. Una delle zone più importanti della sala ristorante, che spesso viene trascurata, è l’entrata principale. Se siamo in fase di progettazione bisogna prevedere uno spazio appropriato in base alla capienza e vicino ad un punto in cui ci sia sem-
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pre del personale presente in modo da non far aspettare il cliente senza che nessuno lo degni di attenzione. Non vi è cosa peggiore che arrivare in un ristorante e non essere considerati, anche solo per pochi minuti. Statisticamente ci si fa un’idea del luogo prescelto per mangiare in pochissimi minuti, da quando si arriva, a quando ci si accomoda e si legge la carta. Dunque vicino all’entrata si può predisporre un piccolo angolo bar con la zona per i pagamenti o una piccola reception. Se ciò non è stato previsto inizialmente, è importante dare respiro a questa zona liberandola da complementi di arredo che si possono posizionare in altre aree della sala, senza affollarla di tavoli che arrivano quasi ad impedire il passaggio fra i clienti che escono e quelli che entrano. Per quanto riguarda i tavoli, possiamo scegliere di alternare tavoli quadrati a tavoli rotondi, ma attenzione sempre a calcolare bene gli spazi. Per le sedute prevediamo qualcosa di comodo che ci inviti a restare e non ad andare via quanto prima. I tavoli rotondi sono molto belli dal punto di vista conviviale, però occupano molto spazio. Ricordiamo che in questa tipologia di tavoli possiamo ospitare dalle sei alle dieci persone, non di più, prevedendo una mise en place completa, altrimenti si ostacolerebbe la funzione colloquiale del tavolo stesso. In un ristorantino dallo stile
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romantico, tavoli molto grandi sminuirebbero l’ambiente e non permetterebbero il crearsi dell’atmosfera adeguata. Il corretto rispetto degli spazi è fondamentale. Si assiste troppo spesso a scene in cui sentiamo tutto quello che si raccontano i nostri vicini di tavolo e questo non è buona norma di bon ton. Dunque priviamoci di qualche posto, ma doniamo decoro alla sala e tranquillità ai nostri clienti. Anche per le stoviglie è importante, in un contesto di ristorazione classica, seguire qualche regola. Con una buona ceramica bianca non si sbaglia mai, se invece vogliamo donare maggiore calore al contesto, possiamo optare per della ceramica Bone China di colore bianco latte leggermente tendente all’avorio. Se per le nostre portate servono degli elementi scuri di contrasto, si possono scegliere delle porcellane colorate o materiali più particolari come l’ardesia o il vetro. Questo solo per alcuni piatti. In alcuni ristoranti all’avanguardia, dove si dona sempre più importanza all’immagine e all’unicità del luogo oltre che alle emozioni suscitate dal gusto, spesso, sono gli stessi chef a disegnarsi i piatti in base alle proprie esigenze, adattando così il mezzo di servizio alla proposta gastronomica offerta, e non il contrario. Per Galateo, un no categorico a quei materiali che vogliono passare per ceramica, ma sono solo derivati della plastica come la melammina. Sicuramente è un materiale comodo e funzionale, ma il suo poco valore non si addice a prodotti gastronomici importanti. Un cliente attento nota subito questi piccoli dettagli traendone importanti deduzioni sulla nostra figura. Un consiglio utile è quello di farsi creare degli stock: alcuni negozi lo fanno gratuitamente, per poter riassortire periodicamente il proprio servizio. Spesso le aziende abbandonano alcune linee di produzione, oppure falliscono, ed è dunque difficile poi poter ritrovare pezzi di stoviglie uguali a quelli già in nostro possesso.
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Lo strumento fondamentale per la vendita, nella maggior parte dei ristoranti, resta il menù o la carta delle vivande e bevande. In questo mezzo la clientela deve ritrovare tutto lo stile che ha visto e respirato dall’entrata fino al proprio tavolo. La pulizia è tutto. Un menù, anche se leggermente sporco, offre una pessima immagine del servizio reso. Dunque prima di ogni servizio bisogna controllare che ogni carta sia perfetta. Meglio con sfondo bianco e con un carattere ben leggibile di colore scuro. Se si lavora in un contesto all’aperto, come nel caso di location a pochi metri dal mare, è meglio adottare dei fogli leggermente ricoperti da una patina plastificata, per resistere alle intemperie e all’umidità. Nelle nuove progettazioni ristorative dallo stile moderno capita sempre più soventemente di dare maggiore importanza alla cucina, dal punto di vista architettonico, così da dare la possibilità al cliente di osservare il lavoro dei cuochi all’opera durante il servizio. È scontato sottolineare che, per attuare ciò, bisogna avere una brigata con grande senso dell’ordine e della pulizia, ma, cosa ancora più importante, è il saper lavorare con toni di voce regolati. Oltre questo, bisognerà limitare l’utilizzo di macchinari molto rumorosi o, meglio, usarli solo in assenza dei clienti per preparare la propria linea, inoltre non ci potrà essere nessun campanello per chiamare i camerieri quando le comande sono pronte. Dunque sarà fondamentale allenare la propria squadra creando un’ottima empatia fra cucina e sala nei ritmi del servizio. L’estetica del gusto e degli ambienti stanno assumendo sempre più importanza nel settore ristorativo, rappresentando elementi di differenziazione fondamentali nella scelta da parte di un potenziale cliente. Il sapersi distinguere con un ambiente di stile adeguato al target prescelto costituirà, dunque, un tassello fondamentale per un feedback positivo immediato, sempre più importante a livello di recensioni fatte a posteriori su siti web specializzati.
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Work in Food a cura di ManpowerGroup
DAL MERCATO ALL’OCCUPAZIONE IL PARADIGMA LOGICO SUL FOOD
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Work in Food L’asimmetria della domanda e dell’offerta e la volatilità delle materie prime, tenderanno a favorire gli attori di grande dimensione: la competizione globale per le risorse scarse inevitabilmente favorirà gli attori più forti. La volatilità delle materie prime favorirà poi sia la tentazione di integrarsi a monte per assicurarsi una protezione, un hedging derivante dagli acquisti delle materie prime, sia una forte focalizzazione verso prodotti a più alto valore aggiunto per ridurre l’incidenza del costo delle materie prime sul prodotto e quindi assorbire in maniera più efficace la volatilità. Si verificherà anche un maggiore sviluppo degli strumenti di protezione finanziaria.
A vincere sarà sempre il più forte
A favore degli attori di media dimensione giocano invece la rivoluzione digitale, che non solo rende la produttività di tutta la filiera più elevata con investimenti marginalmente decrescenti nel tempo, e quindi accessibili anche a produttori di più piccole dimensioni, ma consente anche di disintermediare la distribuzione e i media, rendendo l’investimento pubblicitario più accessibile. Un recente rapporto Nielsen rileva che negli ultimi due anni, la propensione agli acquisti online di prodotti food & beverage è cresciuta del 44%. Secondo il sondaggio, condotto su 28.000 utenti internet in 56 Paesi, il 61% degli intervistati ha dichiarato di aver usato internet negli ultimi mesi per ricerche legate alla spesa, per controllare e confrontare prezzi e per leggere recensioni dei consumatori. Gli acquisti online sono dunque destinati a crescere anche perché soddisfano esigenze considerate fondamentali come la convenienza, la qualità e la varietà dell’offerta. Da ultimo, la consapevolezza del rischio alimentare rende il consumatore estremamente attento alla tracciabilità, all’origine e alla qualità dei prodotti alimentari. Non a caso, la categoria di prodotto che sta più diffondendosi è il biologico. Dal 2005 è cresciuto in modo costante il valore delle vendite in ipermercati e supermercati di prodotti con marchio bio a peso imposto: in nemmeno un decennio il valore del bio è cresciuto del 220%. Nel 2013 il giro di affari è stato di 656 milioni e nel 2014 viene stimato a quota 720.
Crescono gli acquisti on-line e l’attenzione al biologico (+220%)
Cresce inoltre l’interesse per i regimi alimentari vegani e vegetariani, tanto che ben il 7,1% degli italiani si dichiara tale e di pari passo aumenta del 18% nella GDO il fatturato di prodotti speciali senza glutine o alternativi al grano, amati da chi è attento alla digeribilità o alle intolleranze alimentari (vere o presunte che siano). Anche i cibi etnici registrano tassi di crescita interessanti: le vendite sono aumentate del 10% solo nell’ultimo anno (Fonte: Rapporto Coop 2014).
La favolosa crescita del biologico e dei regimi vegetariani e vegani: nuovi paradigmi di consumo
Grafico I: Crescita del regime vegetariano e vegano
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GOLA VAGANDO
LE DUE FACCE DI
BIF
A LA SPEZIA Sono uno adiacente all’altro e il nome riportato all’esterno è il medesimo. Ma i format dei due locali, comunicanti tra loro, sono diametralmente opposti. Se il primo richiama le tipiche steackhouse americane, il secondo vuole infatti ricreare l’atmosfera e i colori della Versilia. Una sorta di gioco delle parti, che inizia dallo stesso nome, BIF. Un acronimo che sta sia per Burger Italian Factory, nel primo caso, che per Best Italian Fish nel secondo. Due proposte fuori dalle righe, progettate e inaugurate da poco nel centro de La Spezia da Costa Group.
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Angus, scottona, kobe, fassona e chianina sono solo alcuni dei tipi di carne proposti dal primo dei due BIF. E’ il richiamo al mondo agricolo il tema preponderante del locale. Dominano l’ambiente colori scuri, che richiamano quelli della terra che si trovano in natura, intramezzati da pareti rivestite in ceramica bianca. Le lampade, disposte per il locale, sono state studiate sfruttando il recupero di pale agricole e gli ampi tavoli sono realizzati in legno bruciato. L’unica macchia di colore è rappresentata invece dalla grafica, realizzata in rosso acceso.
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E se “qualità” è la parola d’ordine, il vero asso nella manica è costituito dalla cottura. Uno speciale forno a carbone di legna permette infatti di rendere la carne croccante all’esterno, mantenendola morbida all’interno. La cucina a vista permette inoltre a ogni cliente di assistere in prima fila alla preparazione del proprio piatto, dal taglio della carne alla finitura nel piatto. Completamente diversa l’atmosfera che si respira appena varcata la soglia del “vicino di casa”. Il bianco e il turchese richiamano subito l’idea del mare, in piena estate. Il tetto in lamiera, il pavimento realizzato con il legno appartenente a un vecchio pontile e le doghe a parete, tipicamente usate nella costruzione dei gozzi liguri, completano l’atmosfera. Un’ampia vetrata separa la
sala dalla cucina a vista, dove vengono preparati manicaretti liguri. Muscoli, meglio conosciuti nel resto d’Italia come cozze, acciughe ripiene, baccalà, polpo alla piastra sono solo alcune delle specialità liguri proposte. Un menù sempre diverso, variabile a seconda del pescato del giorno, è disponibile sia in forma di tapas che di piatto unico, in modo da soddisfare sia chi desidera una vera e propria cena, sia chi preferisce assaggi meno impegnativi. Proprio come una sorta di fast food di pesce.
BIF Via Manzoni, 27 - La Spezia Studio, design e progettazione: Costa Group, arch. Massimiliano Faggioni
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VAGANDO
di Daniele Briani
LA POESIA DEL LAGO ALLA TRATTORIA
SAN MARTINO A GARGNANO, NEL BRESCIANO
L’ingrediente principale? Il buon umore, che dovrebbe condire tutte le umane esistenze e, a maggior ragione, quelle di chi si occupa a vario titolo di ristorazione. Alla famiglia Cristoforetti – mamma Mariangela, papà Andrea e il figlio Alessio – il buon umore certo non manca e sicuramente al loro desco, oltre a saziare l’appetito, si ristora anche l’animo qualora fosse greve. Dal duemilaotto i Cristoforetti conducono la trattoria “San Martino 3 Oche” dove hanno riversato i trent’anni di esperienza passati nell’adiacente ristorante/ albergo Barbatel. Originari di Gargnano, fanno della loro attività il miglior atto di comunicazione delle loro origini, e non a caso il ristorante ha sede nel centro storico della piccola cittadina gardesana, lambito dalle acque del lago, a poca distanza dall’antico chiostro francescano e dalle ottocentesche limonaie. Del territorio parla anche l’arredamento interno con tavoli e sedie rivestiti di legno d’ulivo. Anche i vassoi di portata sono realizzati con la pregiata essenza; provengono da antiche piante desuete appartenute all’uliveto di famiglia che ne conta circa duecento e che ogni anno produce qual-
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TRATTORIASANMARTINO
TRATTORIA SAN MARTINO Via Roma, 33 Gargnano (BS) Tel. e Fax 0365 71436 www.trattoriasanmartino.it info@trattoriasanmartino.it
che quintale d’olio destinato solo al ristorante. Utilizzare il legno di piante ormai improduttive è un ulteriore atto d’amore che Andrea dimostra verso la sua terra, dando nuova foggia e nuovo uso alla materia. La cucina esprime soprattutto sapori di lago, anche se dell’entroterra offre una buona scelta. Trota, Coregone e Tinca sono i pesci che occupano maggiormente il menù, arrivando alla massima espressione nella tartare di lago (prime due foto qui sopra, da sinistra) che li racchiude assieme in una forma di vetro troncoconica, completa di tutti gli elementi per degustarla. Mariangela Bonomini gestisce la cucina e nell’antipasto di lago (foto a destra) si riconosce il condensato della sua grande esperienza che avvicina la tradizione all’innovazione. Assaggiare questa portata equivale a intavolare una conversazione con Mariangela, su come lei vede la cucina d’acqua, non solo quella di Gargnano, ma quella più ampia che lega il pesce al suo territorio. Trota marinata al limone, sardine sotto sale, pan brioche all’acciuga, mela trota e churry, saccottino di trota e polenta, insalatina di trota
affumicata, coregone sotto sale, pizza con cipolle e acciughe, carpaccio di tinca con funghi porcini e sarde in saor: questa pietanza nel menù va sotto l’elenco degli antipasti, ma sicuramente potrebbe essere un piatto unico data l’abbondanza e la varietà del cibo. Non da meno è l’antipasto di terra (qui sopra, a destra) dove spiccano i capponi e la polenta consa. Tra i secondi ci piace ricordare la sarda all’uccelletto servita con contorno di polenta e il fritto non fritto. Una particolare attenzione è riservata a quanti oggi vivono l’annoso problema delle intolleranze alimentari. Nel menù spiccano numerose portate dedicate agli intolleranti al glutine. La carta dei vini è sbilanciata soprattutto verso provenienze gardesane con i bianchi fermi e le bollicine a farla da padrone. Il locale conta quarantacinque posti a sedere interni e una trentina esterni con vista lago, prenotabili dal martedì alla domenica in quanto il lunedì si osserva il turno di chiusura settimanale, mentre le ferie sono solo invernali nel mese di novembre e metà dicembre, quando anche il lago si riposa.
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Lettere al Direttore... LA PULIZIA? UN OPTIONAL! Gent.mo Direttore, facendo riferimento a quanto hai scritto sulle norme igieniche nei ristoranti, ti vorrei riferire quanto mi capita di vedere, per motivi professionali, fuori e dentro le cucine. Nelle cucine quello che vedo sono cose da mangiare che poi finiscono al buffet, tirate fuori dal frigo a metà mattina e restate lì, scoperte e al caldo, fino a quando si decide di portarle fuori; pavimenti unti con il rischio di procurare cadute pericolose (è capitato proprio a me, per poco non ci rimetto al testa!); vestiti sporchi o macchiati di chi prepara i piatti; bidoni dell’ immondizia generica vicino alla zona lavaggio, dove dovrebbe esserci solo il bidone dell’umido; spesso giri sbagliati di piatti che arrivano sporchi e vengono accatastati dove c’è il lavapiatti e piatti che escono dalla lavastoviglie puliti ma che, per mancanza di spazio, finiscono per essere appoggiati sullo stesso tavolo. Al Grand Hotel ... - ti faccio il nome perché sei tu - mi è capitato di vedere forse la zona lavaggio più piccola del mondo: due lavastoviglie parallele, una a nastro per posate e piatti, una a cappottina per i bicchieri, e lo spazio per una persona fra l’una e l’altra, l’asciuga/
lucida posate per le loro posate in argento era collocato sotto la curva della lavastoviglie a nastro. Peccato che la stanza non avesse finestre, così tutta l’umidità che usciva dalle lavastoviglie faceva riossidare le posate appena uscite lucidissime e lucentissime nel giro di 20 minuti... 20 minuti nei quali i camerieri avrebbero potuto togliere il cestello con le posate 100 volte, ma non ne avevano voglia e facevano lo scarica barile con il lavapiatti. Io vedo un sacco di cose nei miei giri di consultente tecnica; la zona dove però sto più spesso è quella del lavaggio anche se spessissimo la zona di preparazione non è affatto divisa come dovrebbe, quindi odori e quant’altro arrivano anche ai cibi in lavorazione, così come schizzi di acqua, detersivi, brillantanti, messi a casaccio dove c’è posto, non importa dove. Vicino alla cassa delle patate appena portate? Non importa... e così via. L’approssimazione sembra essere una regola in molti ristoranti, sia a conduzione familiare che non. E pensare che una buona organizzazione renderebbe il lavoro più facile e utile! e-mail firmata - Catania
BUONENUOVE
PENTOLE AGNELLI Ancora un riconoscimento per il marchio bergamasco che produce le pentole oggetto del desiderio di chef e gourmand. Vero e proprio ambasciatore della tradizione italiana Pentole Agnelli si sta espandendo in America. Il prestigioso riconoscimento dell’Huffington Post arriva dopo l’apertura dello show room Agnelli sulla Fifth Avenue, la partecipazione al NAR di Chigago, la più grande fiera made in USA per food and beverage, e l’esposizione della pentola d’oro in Ontario. Criteri adoperati dal sito d’informazione per comporre questo catalogo dell’essenziale del Made in Italy dove Pentole Agnelli fa bella mostra di sé sul po-
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sul podio fra i 12 brand selezionati dall’Huffington Post America dio, piazzandosi fra i primi tre marchi, sono stati “qualità e audacia”. Già perché l’Italia è un luogo d’amare non solo per l’arte e i paesaggi, ma anche, lo ricorda proprio l’Huffington, per le “famiglie imprenditoriali che si sono succedute con intelligenza, realtà che si sono evolute coraggiosamente”. Il lavoro è stato portato avanti anche grazie alla Saps Agnelli Cooking lab, il centro di ricerca e formazione per lo studio dei materiali e delle forme degli strumenti di cottura. Un polo che negli anni si è trasformato in una vera e propria factory per l’innovazione in cucina, ma anche come
punto di riferimento per gli chef stranieri che da tutto il mondo arrivano a Lallio per approfondire le tecniche di cottura e le specificità di forme e materiali
I ristoranti
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onTrésor
di Daniele Briani
ENOTECA
Trésor MARIGA Scopriamo insieme quali sono i locali che racchiudono piccoli grandi tesori...
Ogni ristorante, locanda o trattoria, famosa o meno, può vantare il proprio “Mon Trésor”, un personalissimo tesoro fatto di attenzione per i dettagli, cura dei propri ospiti, professionalità in cucina e in sala. Noi abbiamo individuato alcuni di questi “Mon Trésor” e li segnaliamo nelle prossime pagine...
UNA PASSIONE DA CONDIVIDERE Un locale DiVino, perché solo sul vino si discute convivialmente, si fanno paralleli, ci si confronta, si azzardano scommesse. La mariga, in lingua sarda, era ed è la brocca per la raccolta dell’acqua piovana, sostanza preziosa per una terra povera di questo elemento vitale; ma a Bassano l’acqua non manca perché il locale si trova a pochi passi dal famosissimo ponte, e allora questa Mariga tanto valeva riempirla col nettare di Bacco. Detto, fatto. Più di quattrocento etichette stanno in bella mostra nell’unica stanza che costituisce l’enoteca, al centro della quale si trova un tavolo imperiale dove i clienti possono appoggiare i loro calici e sfogliare libri o riviste che parlano solamente di vino. Giancarlo Baron, il cui casato è proprio soprannominato Mariga nel pa-
ese di provenienza – nome omen, non c’è dubbio - ha speso vent’anni della sua vita per costruirsi il suo personale bagaglio d’esperienza del mondo enologico, a suon di assaggi e visite nei più bei giardini vitati d’Italia e dell’estero, soprattutto in Francia. L’ha fatto da comune consumatore, scevro da qualsiasi condizionamento di corsi per assaggiatori professionali o amatoriali, quindi nel modo più genuinamente vicino al consumatore medio, attento più al proprio palato che ai dettami delle degustazioni. In fin dei conti il vino deve portare piacere a chi ne fruisce e non essere un complicato esercizio mentale. E così da cinque anni la passione si è tramutata in lavoro, perché il desiderio di Giancarlo è anche quello di trasmettere la sua passione agli altri,
di comunicare il piacere che un buon calice di vino può dare ai suoi clienti e amici che si attardano nel locale. Sì, perché Mariga, nata come enoteca da asporto, si è evoluta negli ultimi due anni anche in mescita, una scelta obbligata per dare dinamicità al locale, renderlo più vivo e comunicare ancor meglio il sensazionale messaggio che il vino racconta. Questa dinamicità comunicativa ha generato inoltre una vivacità finanziaria grazie alle quaranta etichette in degustazione, che ruotano settimanalmente, o anche giornalmente, e rendono l’ambiente un vero e proprio ricettacolo di novità che appassionano il consumatore sempre alla ricerca di ciò che non conosce. Giancarlo contatta fino a venti potenziali fornitori alla settimana e, a volte, acquista anche a scatola chiusa, soprattutto prodotti esteri, ma anche italiani, che comunque seguono i dettami della sua filosofia di ricerca: vini di qualità dove la vigna superi la pratica di cantina. Secondo la sua esperienza, oggi si possono trovare grandissimi vini misconosciuti anche sotto i venti euro e una altrettanto buona selezione fino ai cinquanta euro di valore, basta avere il coraggio di mescerli a prezzi accessibili per farli conoscere e apprezzare. Ad esempio i grandi rossi piemontesi che, nella sua enoteca, hanno trovato uno spazio assolutamente indispensabile. Oppure i vini francesi, soprattutto una trentina di Champagne, che hanno trovato la loro giusta posizione in un’offerta che comunque per il 70% parla italiano. Solamente dedicata al vino, l’enoteca Mariga non ha alcun
distillato tra i prodotti selezionati, mentre un piccolo spazio è dedicato alle eccellenze alimentari come pasta o altri prodotti confezionati, che diventano pretesto per cene estemporanee che nascono all’ombra di un buon calice e si concretizzano a casa di uno dei clienti. Escludendo la domenica e il lunedì, che sono dedicati alla ricerca sul territorio, l’enoteca rimane aperta da martedì a sabato con l’orario di chiusura prolungato all’una di notte nel week end.
onTrésor
ENOTECA MARIGA Via Macello, 3 - Bassano del Grappa (VI) Tel. 0424 505334 enoteca.mariga@gmail.com fb enotecamariga
il Mon Trésor è... PRIVILEGIARE I VINI POCO COSTRUITI Dove si spinge la vigna nulla può la cantina. Giancarlo ha sposato questa filosofia di ricerca quando ha deciso di realizzare il sogno di una sua enoteca. Un principio di qualità quasi francese e della Borgogna in particolare, che nasce dall’assioma ovvio e banale che per fare un buon vino serva in primis dell’ottima materia prima e quindi un attento lavoro in vigna. In un’offerta commerciale assai vasta, allontanarsi dai grandi marchi che comunque proteggono da scelte coraggiose e azzardate, creandosi questo corretto parametro di selezione, è stata la sfida vincente che Giancarlo persegue fin dall’inizio e che gli sta dando ragione.
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Gola
VAGANDO
onTrésor
di Claudio Mollo
Ma perché “Velavevodetto”? Semplice, perché nessuno ci credeva, rispondono le dirette interessate: nessun conoscente avrebbe mai pensato di vedere Silvia e Francesca (foto in basso) alla gestione diretta di un ristorante! Molti i discorsi e le considerazioni fatte nel tempo agli amici riguardo questa voglia, ma il tutto finiva in battute, risate e sguardi ironici, visto anche i settori di attività, e la loro vita, già abbondantemente impegnati.
A LA SPEZIA
VELAVEVODETTO E LO HANNO FATTO
Silvia è infatti farmacista e imprenditrice; a Lerici gestisce due attività: la prima di accoglienza turistica, con una casa vacanza di 4 appartamenti e una tabaccheria. Francesca, sempre a Lerici, è titolare di un noto negozio di abbigliamento. E ora un ristorante tutto loro - una grande passione e un grande sogno, diventato realtà - invece di incasinare ancora di più la quotidianità, è fonte di grande relax e divertimento. Silvia in cucina e Francesca in sala. Ruoli ben distinti, portati avanti con grande competenza
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e dedizione. Tutto merito di un interesse crescente nei confronti del cibo e del vino: dalla cucina della mamma, alle esperienze gourmet fatte in tanti ristoranti visitati nel tempo, o nel seguire il nonno nelle operazioni e cura della sua cantina. Così le due amiche si sono avvicinate sempre più all’enogastronomia, completamente autodidatte. S’inizia con un giro mattutino al mercato di La Spezia, vicinissimo al ristorante, dopodiché di corsa a dare spazio alla fantasia, proponendo ogni
onTrésor
giorno una serie di piatti diversi, mentre rimangono sempre presenti nel menu i piatti classici più richiesti. Il pesce azzurro e le famose cozze di La Spezia, sono i maggiori protagonisti del menu di mare, proposto in modo semplice ma gustoso. Un esempio per tutti: i muscoli ripieni con un trito degli stessi, mortadella, noce moscata, uovo e pane grattugiato. Ricetta appartenente al bagaglio gastronomico della mamma di Silvia, anche lei per niente vicina al mondo della ristorazione, vista la sua attività di commercialista.
il Mon Trésor è... I MENU TERRITORIALI Il tesoro di questo locale, il suo valore aggiunto, è il simpatico modo di proporre le varie pietanze suddivise in diversi menu degustazione, intitolati ciascuno ad una vicina località turistica. Il costo è fisso e con 25 euro ci si può sbizzarrire con numerosi e sfiziosi assaggi di antipasti, un primo piatto a scelta e un dessert. Acqua e vino della casa inclusi nel costo. Per i più esigenti in fatto di abbinamento cibo-vino, non mancano le etichette locali e nazionali, con le quali concludere degnamente questa piacevole parentesi culinaria spezzina.
Ma poco importa questo non essere del settore, anzi, a quanto pare, il locale sembra funzionare ancora meglio di altri, proprio perché chi partecipa alla buona riuscita, nella vita, ha tutt’altro da fare e, finito il lavoro principale, inizia a divertirsi ai fornelli o in sala. Il ristorante, attivo da appena due mesi, si trova in un’ottima posizione: vicino alla Stazione, a Piazza Cavour e al polo crocieristico che in questi ultimi anni sembra essere diventato un enorme polmone economico per la città.
VELAVEVODETTO Via dei Mille, 1 – La Spezia 339 1502415 – 338 2082424
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VAGANDO
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di Claudio Mollo
HOTEL
TORNESE UNA MACCHINA DELL’ACCOGLIENZA SUL MARE DI CECINA
Incastonato tra l’azzurro del mare della riviera degli Etruschi e il verde della campagna toscana, l’Hotel Tornese si trova proprio nel centro di Cecina Mare, in provincia di Livorno. 6 piani di vista mare con 42 camere dotate dei comfort più moderni e caratterizzate dalle calde suggestioni dell’arredo. La strategica posizione dell’Hotel consente anche di raggiungere in pochi minuti l’affascinante entroterra toscano, ricco di storia, arte e tradizioni. L’Hotel, che pur essendo in una zona prettamente turistica rimane aperto tutto l’anno è ideale sia per soggiorni estivi che viaggi d’affari nel periodo
HOTEL TORNESE Viale Galliano, 36 57023 Marina di Cecina (LI) Tel. 0586.620790 – Fax 0586.620645
invernale. Se oltre ad un piacevole soggiorno si è in cerca anche della buona cucina, le possibilità non mancano e si può scegliere tra un ristorantepizzeria-grill con forno a legna al piano terra, un ristorante panoramico situato al quinto piano con cucina indipendente, oppure un “roof garden” al piano superiore. Ma il punto di forza dell’intera struttura è il “Caffè dei Fiori”, famoso ritrovo del litorale cecinese per i suoi spettacoli con musica dal vivo. Artisti debuttanti e nomi noti
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si alternano in questo angolo musicale per accompagnare la serata di clienti affezionati, turisti e amanti della musica e della buona cucina. Caffè con cucina, potremmo definirlo, nel quale gustose proposte a base di pesce vengono consumate tra una nota e l’altra. Intriganti cotture “alla lampada” contribuiscono ancora di più a rendere magica la sosta al caffè dei fiori. Cucina mediterranea con tocchi internazionali, con un menu che segue le direttive principali dell’intera struttura, modulate
onTrésor però per questo angolo musicalegastronomico. Carta dei vini con etichette rappresentative dell’Italia e una buona selezione di bollicine italiane e straniere. La particolare attenzione nei confronti dei vini, soprattutto quelli di Bolgheri, è rimarcata dalla presenza dello storico ristorante “La Taverna del Pittore” proprio in centro a Bolgheri, sempre di proprietà della famiglia. La struttura appartiene alla famiglia D’Andrea da 1972. Niccolò D’Andrea è il direttore d’albergo e della ristorazione, Goffredo D’Andrea si occupa del food & beverage. Una buona formazione tecnica in svizzera, poi un master di “Food & Beverage” e ancora tanta esperienza nell’attività di famiglia. Filippo D’Andrea ricopre invece la carica di direttore tecnico. Chiude la sfilata dei responsabili Giuseppe Zazzera, il maitre dell’hotel. Ad iniziare questa grande avventura i genitori, Antonio e Rossana D’Andrea, ai quali va il merito di aver fondato questa grande macchina dell’accoglienza.
il Mon Trésor è... LA POSIZIONE INVIDIABILE SUL MARE E LA FUNZIONE POLIVALENTE Non c’è esitazione nell’individuare il grande valore aggiunto dell’intera struttura, che i titolari ripongono quasi completamente nella location. L’hotel può offrire una grande offerta di servizi, ripartiti nelle diverse sale che vanno dagli ambienti più classici alle terrazze panoramiche degli ultimi piani. Spazi modulabili e adattabili ai più svariati usi ed esigenze della clientela: cerimonie, convegni, cene private. Di Cecina Mare, invece, possiamo dire che trovandosi in un tratto di litorale vicino a popolosi centri abitati, in primis Cecina, è molto frequentata anche nel periodo invernale, con le sue tante villette e attività commerciali disseminate tra rigogliose pinete.
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GOURMETFOOD di Alessandro Ricci
Cosa c’è di più tradizionale di un sugo di pomodoro ben preparato? Eppure al pomodoro, come per altre verdure importate da Cristoforo Colombo nel 1492 - melanzane, patate - ci sono voluti due secoli buoni per vincere la diffidenza dei cuochi (e contadini) di allora. Segno che gli spiriti reazionari non affollano soltanto le cucine odierne. Nell’intimità delle loro case – senza social, tv e internet, che fatica a creare polemica! - i cuochi più intransigenti avranno allora urlato che il pomodoro nel ragù è sacrilegio, come oggi succede per Cracco e la sua amatriciana con l’aglio (ma in camicia, perbacco, per non aggredire troppo) e con Oldani e la noce di burro nel pesto alla genovese? “La tradizione è la radice di una pianta. Poi la pianta cresce, nascono foglie e frutti nuovi, e dai semi caduti nascono nuove piante. Questa è la cucina” sintetizza Christian Milone. Già, la cucina è evoluzione. “La tradizione non è un dogma. Altrimenti saremmo anco-
IL VALORE DELLA
quel che in inverno cresce nell’orto, ossia la verza. La facevano con quello che trovavano, mica stavano a pesare il piedino, il muso o la cotenna”. Con buona pace delle confraternite e dei pasdaran della purezza, che predicano un esercizio di stile, ma non rappresentano la realtà. Che oggi è ben diversa da quella di un tempo, quando la necessità calorica doveva supportare ore di lavoro fisico e manuale. La cucina - liberata dalla fame - è divenuta puro piacere edonistico, tanto più quando si va al ristorante. Non avendo ormai senso replicare certe ricette con la stessa quantità di grassi e nelle stesse porzioni, la tradizione si alleggerisce, si concentra nei sapori (in questo, la compressione di pasta e fagioli di botturiana invenzione è fulgido esempio), si affida alle nuove conoscenze e alle nuove attrezzature. È un assemblaggio del piatto dove prima tutto era cotto assieme. Sono nuovi metodi di cottura, un’attenzione diversa al cromatismo e alla presentazione del piatto.
TRADIZIONE ra a mangiare bistecche di brontosauro crude” afferma Matteo Fronduti. Che continua. “Tecnica, tecnica, tecnica. Dobbiamo rapportarci con la tradizione con un unico parametro di giudizio: più buono, meno buono, e usando la tecnica per rendere attuali i piatti”. Perché la tradizione di oggi è l’innovazione di tanti anni fa: perpetrata a lungo, divenuta abitudine, fino a essere codificata. “Le gastronomie nascono da un fattore unico, che è la fame. La prima necessità era di battere la fame vera, non di fare tradizione” – spiega Fronduti, facendo l’esempio della cassoeula. “La cassoeula lombarda, certe minestre della Catalogna, la choucroute alsaziana: sono la stessa ricetta contadina, figlia della macellazione del maiale d’inizio inverno. Le parti meno nobili del maiale venivano cotte a lungo con
NEI PIATTI DI IERI E DI OGGI
“Il nostro compito è dare una forma contemporanea alla tradizione” spiega con il suo rocher di coda alla vaccinara Riccardo di Giacinto. Riproporre la tradizione significa anche contaminarla, “perché le contaminazioni esistono anche nella tradizione”, ricorda Angelo Sabatelli. L’essenziale è farlo bene, con cognizione. Cercando - anche se in forma e sostanza più contemporanea - di suscitare le stesse emozioni e ricordi della madeleine di Proust. O trasformando in nuova tradizione piatti ancora non codificati. Come un semplice panino col prosciutto (lo ha fatto Fronduti, nella ricetta di pag. 43), simbolo della pausa pranzo ma anche della merenda in famiglia. Perché la tradizione – grattando il fondo della casseruola – il più delle volte non è quella scritta in un ricettario, ma è la memoria di una singola famiglia.
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GOURMETFOOD
Impepata
MARIANNA VITALE
di cozze
Ristorante Sud Quarto (NA)
INGREDIENTI per 4 persone kg. 1 di cozze g. 320 di pasta “mischiato delicato” g. 300 di peperoni arrosto g. 50 di polpa di riccio di mare succo di 2 limoni olio extravergine d’oliva q.b. aglio q.b. pepe e peperoncino q.b. PROCEDIMENTO Per la la crema di cozze: soffriggere aglio, olio e peperoncino e cuocervi le cozze precedentemente pulite. Sgusciarle, conservarne la metà intera e frullarne le restanti fino ad ottenere una crema liscia. Per la crema di peperone: frullare i peperoni privati della pelle e dei semi con olio e sale. Mettere da parte. La pasta: soffriggere aglio e olio in una casseruola, aggiungere la crema di cozze e acqua di cottura dei frutti di mare, portare a bollore e cuocervi la pasta. A cottura ultimata, aggiungervi il succo di limone e il pepe. PRESENTAZIONE DEL PIATTO Impiattare e decorare con la crema di peperone arrosto, la polpa di riccio e le restanti cozze.
“L’idea che racchiude l’Impepata nasce dal tentativo di appagare il desiderio di un piatto tradizionale che non smetteresti mai di mangiare. L’approccio alla versione originale ha una gestualità intima, arcaica, cadenzata. Mangiare un’impepata è partecipare ad una danza: apri con le mani il frutto che conserva il succo speziato, lo profumi di limone appena tagliato e ne mangi all’infinito. La nostra Impepata acquista una consistenza più avvolgente, che difficilmente t’abbandona, diventa minestra e si lega al “mischiato delicato” del Pastificio dei Campi. Si completa con crema di peperone rosso e riccio di mare a sostegno di una mineralità, in questo caso, prepotente e potente. Non avevo espressamente la volontà di modificare un piatto tradizionale, mi affascinava far rivivere il ricordo di quel susseguirsi di gesti in un solo morso, concentrare tanta forza e tanto mare in un piatto”.
CONTEMPORANEO
TRADIZIONALE © Antonio Vitale
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RICETTEDELLATRADIZIONE
Cappelletti
di piccione in salmì con brodo di fiori di sambuco INGREDIENTI per 4 persone 1 piccione di g. 500, 1 costa di sedano, 1 carota, 1/2 cipolla, 1/2 limone senza buccia, 1 becco d’aglio, 1 rametto di rosmarino, 1 rametto di salvia, 1 rametto di timo, g. 200 di farina 0 macinata a pietra, 10 tuorli d’uovo, g. 60 di formaggio primo sale di mucca, g. 6 di fiori di sambuco. PROCEDIMENTO La cosa più complicata per la realizzazione di questo piatto è una cottura molto tradizionale: il salmì. Iniziare dalla pulizia del piccione: una volta spiumato, sviscerato e ben lavato, disossarlo in modo da estrarre le ossa che serviranno per il brodo. Procedere mettendo in una piccola casseruola il piccione disossato con poco l’olio, aglio, metà della cipolla, metà del sedano e metà della carota; fare appassire a fuoco dolce e poi, una volta che le carni saranno dorate esternamente, sfumare con il vino bianco. Fare completamente evaporare e continuare la cottura per 2 ore e mezzo circa; aggiungere un poco alla volta acqua che vada
RICCARDO AGOSTINI
Ristorante Il Piastrino - Pennabilli (RN) Un piatto delle feste: i cappelletti in brodo, ripensato da Riccardo Agostini per renderlo più contemporaneo. “Il piccione, nella nostra zona, è una carne nobile, della festa. Ho voluto racchiuderla dentro i cappelletti, che di per sé sono già festa, per creare un piatto ancora più ricco e prestigioso”. La sfoglia dei cappelletti è tradizionale – la farina è macinata a pietra -; la cottura del piccione in salmì è classicissima. “Ma nel risultato finale entrano in gioco attrezzature moderne: con il pacojet il ripieno diventa un paté molto fine. Ogni boccone è un’esplosione che invade il palato, succoso”. Per il brodo, Agostini utilizza le parti di scarto del piccione – ali, ossa, parti nervose – ottenendo un brodo concentrato, dal gusto “denso” di piccione. “Utilizzare le parti meno nobili era la maniera di fare il brodo in casa. Lo ripropongo, aromatizzandolo con i fiori di sambuco, che donano freschezza e bouquet aromatico al piatto”.
appena a coprire le carni in casseruola, in modo che le renda morbide; aggiungere le erbe aromatiche ed il mezzo limone privo della buccia. Una volta cotta, la carne sarà morbidissima ed in casseruola rimarrà anche un
cappelletti, facendo attenzione ad ottenere cappelletti molto ripieni con un sotti-
poco di fondo di cottura. Eliminare le erbe aromatiche, l’aglio ed il limone, filtra-
lissimo bordo. Preparare un brodo di piccione con le ossa del piccione, le restanti
re il fondo e passare le carni ad un mixer, così da ottenere un ripieno di piccione
verdure ed un litro d’acqua; portare a bollore e poi farlo bollire delicatamente
molto fine; aggiustare di sapore con sale e pepe ed aggiungere il formaggio
per due ore in modo che si riduca di circa la metà; una volta pronto, aggiustare di
primo sale tagliato finemente.
sapore con un poco di sale, mettervi in infusione i fiori di sambuco per 20 minuti
Preparare con la farina ed i tuorli d’uovo la pasta amalgamando il tutto. Fare
e poi filtrarli in una casseruola. Portare a bollore e lessarvi i cappelletti di salmì di
riposare per circa 20 minuti e poi stenderla sottile. Disporre sulla pasta il ripieno
piccione al dente. Mettere poi i cappelletti in una fondina e decorare a vostro pia-
di salmì di piccione, ricoprire con un’altra sfoglia e ritagliare con lo stampo per
cimento, cubetti di patate lessate, fiori di sambuco freschi in stagione, ecc.
CONTEMPORANEO
TRADIZIONALE
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GOURMETFOOD
Cappon magro INGREDIENTI per 4 persone Per il pesce: g. 100 di lampuga, g. 100 di sugarello, g. 100 di nasello pescato a palamito, g. 100 di sgombro, 4 gamberi di Santa Margherita, 2 gallette del marinaio, (la quantità di pesce indicata è quella del filetto pulito, privato delle spine e della pelle. Le tipologie indicate variano a seconda della stagionalità e della pesca giornaliera). Per la salsa verde: g. 200 di prezzemolo, g. 50 di fiore dei capperi sotto aceto, g. 30 di capperi sotto sale, 4 acciughe dissalate, 2 spicchi d’aglio di medie dimensioni, g. 50 di olio extravergine, g. 100 di pane. Per le verdure: 1 carota, 1 peperone rosso, 1 rapa rossa cotta, 2 patate, g. 50 di prezzemolo, g. 4 di agar agar. PROCEDIMENTO Per la salsa verde: lavare bene il prezzemolo, i capperi sotto sale e le acciughe (private della lisca). Porre a mollo il pane nel latte. In un frullatore a campana mettere tutti gli
DAVIDE CANNAVINO Ristorante La Voglia Matta Genova Voltri (GE)
Il cappon magro è “il” piatto della festa della tradizione genovese, nato nelle famiglie borghesi (mentre classi popolari e pescatori si preparavano la più umile “capponadda”, che nulla ha a che fare con la caponata). È una sorta di insalata di verdure e pesce lessi, poste a strati e alternate con salsa verde, guarnita in modo più o meno ricco. Nelle versioni da “gastronomia”, compare anche la gelatina. Un piatto ricco e complesso, presentato da tradizione in un piatto unico da portata. Molti ristoratori lo hanno riproposto in carta, puntando su monoporzioni (è il caso di Davide Cannavino) o destrutturandolo (come Luca Collami nel suo Baldin). “Proponendo il mio cappon magro ho voluto alleggerirlo e renderlo esteticamente accattivante. Quindi, nessun trionfo ed esibizione di crostacei, ma un piatto più semplice, con verdure, pesce lesso e salsa verde. Parte delle verdure vado a centrifugarle, inserendole nel piatto come macchie colorate”. Il risultato è un piatto cangiante e immediato. “Un cappon magro era piatto quasi unico: così l’ho inserito in carta e può stare benissimo in un percorso degustazione”.
ingredienti, tranne il pane nel latte, e frullare al massimo della velocità. Strizzare il pane, incorporarlo al composto e frullare nuovamente. Il risultato deve essere una salsa verde molto fine. Regolare di sale.
liquida. Bollire le patate e schiacciarle. Cuocere a vapore per 4 minuti il pesce (se non si dispone di un forno a vapore, portare a ebollizione una pentola d’acqua.
Per le verdure centrifugate: tagliare a pezzi le verdure
Spegnere il fuoco e immergervi il pesce per 8 minuti). In uno stampo disporre le
e centrifugarle. A ogni centrifuga di carota, peperone
gallette del marinaio frantumate, un poco di patata schiacciata e una cucchiaiata
rosso, rapa cotta e prezzemolo, aggiungere l’agar agar (1
di salsa verde.
grammo a verdura) sciolta in acqua calda (50 grammi a
Mettervi dentro una tipologia di pesce, procedere con salsa verde, poca patata
verdura). Sistemare le centrifughe ottenute nei dosatori. Il
schiacciata e altro pesce. Così a strati, e terminare con il gambero. Nel piatto guar-
risultato deve essere una centrifuga non completamente
nire con le centrifughe di verdure.
TRADIZIONALE
CONTEMPORANEO
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RICETTEDELLATRADIZIONE
Arancina
di riso con ragù di triglie e finocchietto selvatico INGREDIENTI per 4 persone l. 1 d’acqua, g. 5oo di riso acquarello, g. 5o di dado, g. 50 di cipolla, 3 bustine di zafferano, pepe nero, g. 50 di olio extravergine, g. 75 di burro, con questa base vengono 20 arancini. Per il ragù di triglie g. 5oo di triglia, g. 30 di finocchietto, g. 20 di pinoli, g. 20 di uvetta, 1 bustina di zafferano, 50 cipolla tritata, 1 cucchiaio concentrato, g. 10 di sale Maldon. PROCEDIMENTO Soffriggere la cipolla in un tegame ampio, aggiungere lo zafferano e portare a ebollizione. Versare il riso e mescolare continuamente fino alla completa evaporazione dell’acqua. Pepare e mantecare col burro, stendere il riso in una placca e farlo raffreddare. Per il ragù di triglie: tritare la cipolla e metterla in un tegame, aggiungere l’olio, l’uvetta, i pinoli e il finocchietto selvatico e concentrato di pomodoro con lo zafferano. Unire le triglie diliscate e completare la cottura aggiustando di sale e pepe. Foderare lo stampino con la mollica di pane raffermo, riempirlo di riso lasciando un buco al centro in cui riporre il ragù di triglie e gratinarlo in forno. Servire con sugo al finocchietto. Fu nel XVI secolo che si diffuse l’uso del riso, dopo la sua introduzione in Val Padana da parte degli spagnoli. Nella cucina siciliana le preparazioni del riso subiscono molto l’influenza araba, anche per quanto riguarda l’utilizzo dello zafferano. D’altra parte, le arancine non sono altro che un miglioramento dell’usanza araba di mangiare con le mani bocconi di riso con pezzetti di carne ovina. Il timballo può considerarsi un modo di servire a tavola l’arancina.
PINO CUTTAIA Ristorante La Madia Licata (AG)
Pino Cuttaia definisce la sua cucina “cucina della memoria” e “cucina in bianco e nero”. Le radici siciliane sono sempre ben evidenti. Così come la mano dell’autore. Anche in questo arancino di riso (ma a Licata la chiamano arancina), che ha tutto della Sicilia, ma comporta un viaggio nuovo. “In questo piatto ci sono due Sicilie: quella del cibo di strada e quella della pasta con le sarde. Le ho messe insieme. L’arancina tradizionale e la pasta con le sarde hanno elementi in comuni: la mollicata, lo zafferano, il pomodoro, se vogliamo. L’idea era di portare a tavola un’arancina ripiena con il sugo di sarde. Però la sarda è un prodotto molto forte, un pesce azzurro di cui è difficile gestire la fragranza. Allora ho pensato di sostituirla con la triglia, ugualmente grassa, ma più nobile: ho così un’arancina di riso con triglia e finocchietto”. L’arancina non viene fritta, ma gratinata al forno. “Il sapore della frittura lo porto attraverso un infuso che accompagna il piatto, preparato con le teste delle triglie, a cui aggiungo le lische, prima fritte e poi polverizzate. Servo a tavola l’arancina in un piatto fondo, con a parte la zuppa di triglia. Questo piatto è uno scrigno di profumi e rievoca la mia terra, ma c’è anche la mia mano, c’è la tecnica del cuoco”.
CONTEMPORANEO
TRADIZIONALE © Davide Dutto
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GOURMETFOOD
Rocher
di coda alla vaccinara con gelée di sedano INGREDIENTI per 4 persone kg. 1 di coda g. 50 di lardo 2 spicchi d’aglio 1 cipolla 1 bicchiere di vino bianco secco 1 foglia di alloro peperoncino rosso kg. 1,5 di polpa di pomodoro 6 gambi di sedano
RICCARDO DI GIACINTO Ristorante All’Oro - Roma
Come rileggere un classico come la coda alla vaccinara? Riccardo Di Giacinto ha pensato di farne un cioccolatino. “È un’idea che ha radici storiche: il cacao è nella ricetta tradizionale di questo piatto, pinoli e uvetta compaiono in moltissime ricette. È la forma contemporanea di un piatto tradizionale, che non ho nemmeno ingentilito troppo, perché a mio parere la tradizione romana non può essere troppo alleggerita”. È un piatto che ha 6 anni, rimasto molto simile nel tempo. “Il primo rocher di coda alla vaccinara era leggermente più piccolo di quello attuale. Ma per il resto non è cambiato. E quello che mi fa piacere è che i miei clienti fanno scarpetta, e che assaggiano con lo stesso gusto la coda alla vaccinara di Checchino, rigorosissima e tra le migliori di Roma, e la mia”.
g. 300 di pane raffermo sale q.b. cacao q.b.
carne dalla salsa, spolpare la carne e privarla delle ossa e
pinoli
della cartilagine. Far ridurre la salsa a metà del volume ed aggiustare, una volta ridotta, di sale e pepe. Aggiustare di
PROCEDIMENTO
sale e pepe la carne ricavata e condirla con un mestolo di
Tagliare la coda seguendo le ossa e preparare il battuto
salsa e con il pane raffermo precedentemente privato di
di lardo. Pulire gli odori, preparare il battuto e passare i
crosta e tagliato a pezzettini.
pelati al passaverdure per privarli dei semi.
Una volta preparato il tutto, formare delle sfere di 42
Preparare un brodo vegetale con sedano, carota, cipolla
grammi circa. Preparare a parte la pralinatura battendo
e una foglia di alloro. In un tegame comodo mettere a
a coltello i pinoli e aggiungere il cacao amaro. A questo
rosolare la coda cercando di sigillare tutti i lati. Una volta
punto pralinare i rocher di coda alla vaccinara con il cacao
rosolata la carne, aggiungere il lardo e gli odori. Lasciare
e pinoli (il cacao è un ingrediente che fa parte della ricetta
insaporire a fuoco basso e sfumare con il vino; una volta
tradizionale della coda).
evaporato tutto il vino, aggiungere i pelati precedente-
Servire i rocher precedentemente scaldati in forno a
mente passati e lasciar cuocere per 3-4 ore a fuoco lento.
160°C per qualche minuto con un cucchiaio di salsa sulla
Appena controllato che la coda sia cotta, separare la
base, un filo d’olio e del sale in cristallo.
CONTEMPORANEO
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© Aromi Creativi
TRADIZIONALE
RICETTEDELLATRADIZIONE
Panino
Ristorante Manna - Milano
al prosciutto cotto qui, insalata aromatica, pomodoro verde, maionese al limone INGREDIENTI
PROCEDIMENTO
Per il prosciutto: g. 1250 grammi di coscia
Per il prosciutto: preparare la salamoia facendo bollire acqua,
di maiale senza osso, l. 1 di acqua, g. 150 di
sale e salnitro. Una volta raffreddata, unire spezie e aromi. Con-
sale fino, g. 2 di salnitro, g. 15 di zucchero se-
servare in un contenitore alto e stretto ed immergervi la coscia
molato, g. 15 di rosmarino pulito, g. 5 di timo
di maiale. Conservarla per 10 giorni, massaggiandola ogni gior-
pulito, g. 5 di polvere di semi di coriandolo,
no per 15 minuti. Al decimo giorno, sostituire alla salamoia ac-
4 fese di aglio private del cuore, 4 foglie di
qua fresca ogni 12 ore. Ripetere per tre volte. Cuocere a vapore
alloro, g. 5 di pimento rosso, 10 grani di pepe
a 65°C per 22 ore, raffreddare e lasciar riposare 48 ore. Affettare
nero, 5 grani di ginepro, 5 chiodi di garofano.
sottilmente a macchina come per un normale prosciutto cotto.
Per l’insalata: 2 mazzi di lollo riccia, 1 maz-
Per l’ insalata: mondare, pulire e lavare le erbe ed i germogli.
zo di rucola selvatica, 1 mazzo di tarassaco,
Unire il tutto in un unico recipiente.
1 mazzo di riccia, 1 mazzo di acetosella, 1 con-
Per il pomodoro verde: porre in una capace casseruola aceto
fezione di germogli di crescione, 1 confezione
e zucchero, far caramellare a fuoco vivace. Unire al caramello
di germogli di aglio, 1 confezione di germogli
acido la cipolla, aspettare che i liquidi rilasciati evaporino,
di barbabietola, 1 confezione di germogli di
unire, quindi, i pomodori verdi tagliati grossolanamente e il
lenticchie, 1 confezione di germogli di pisello.
coriandolo. Lasciar cuocere fino a quando i pomodori non sa-
Per il pane: 4 fette di pane casereccio tipo
ranno ben morbidi.
Altamura, g. 20 di olio extravergine d’oliva.
Per la maionese: in una bastardella ampia porre il tuorlo, il
Per il pomodoro verde: g. 150 di pomodo-
sale, il succo e la scorza di limone. Con una frusta montare la
ro verde, g. 25 di zucchero grezzo di canna,
maionese aggiungendo gli olii a filo.
g. 50 di aceto di vino bianco, g. 15 di cipolla
Per il pane: con un coppapasta adeguato, ricavare dalle fette
finemente tritata, g. 2 di polvere di semi di
12 dischi, condire con l’olio e tostare in forno a 200°C fino a
coriandolo.
quando non sarà ben croccante.
Per la maionese: 1 tuorlo freschissimo, g. 250
Per la finitura: in un piatto piano montare le fette di prosciut-
di olio di semi di girasole, g. 50 di olio di oliva
to, porre al di sopra un ciuffo di insalata. A parte, su un piatto
extravergine, 1 scorza di limone grattugiata,
possibilmente a tre scomparti, piazzare il pane, la marmellata
g. 5 di succo di limone, g. 2 di sale fino.
di pomodoro verde e la maionese.
CONTEMPORANEO
MATTEO FRONDUTI
© Michele Tabozzi
Perché il panino al prosciutto non è tradizione? Perché è un piatto veloce, che non ha nessun cultore. Perché è nato troppo poco tempo fa, per le pause pranzo degli anni ‘80. Perché non ricorda le nonne e i pranzi della domenica. “Perché è un piatto mortificante nella quotidianità, ma può essere buonissimo. Ci siamo divertiti a rifarlo, mantenendo gli ingredienti soliti: la spalla cotta, l’insalata, la maionese, il pomodoro. Ma la spalla cotta me la sono preparata io, massaggiata a mano per 15 giorni, cotta sotto vuoto a bassa temperatura per un giorno e mezzo. Ho ottenuto una coscia perfettamente sapida, arricchita delle note aromatiche scelte per la salamoia, che servo tagliata a macchina, con l’insalata, o meglio, con l’idea crippiana dell’insalata: ossia, un insieme di erbe di campo, erbe amare, germogli, erbe aromatiche. Foglie che diano soddisfazione. Il pane lo serviamo a parte: sono crostoni tostati di pane di Altamura, croccanti, impreziositi da un filo d’olio. Il pomodoro è una chutney di pomodori verdi. La maionese è freschissima, preparata con pochissime uova per renderla spumosa e leggera, e con un tocco di limone per dare freschezza”. Il tutto servito in un piatto piccolo, ordinario, da bar: il prosciutto con sopra l’insalata aromatica, e a fianco gli altri tre prodotti.
TRADIZIONALE
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GOURMETFOOD
ALESSANDRO GILMOZZI
Fagottini
Ristorante El Molin Cavalese (TN)
di grano saraceno ripieno di polenta concia e Puzzone di Moena con funghi porcini e chips di speck e cavolo cappuccio INGREDIENTI
na e realizzare un roux. Aggiungere
Per la pasta
le patate e stemperare bene; con-
g. 700 di farina bianca, g. 300 di fari-
dire con sale, pepe, parmigiano e
na di grano saraceno, 20 tuorli d’uo-
noce moscata. Una volta fatto que-
vo, vino bianco q.b.
sto ripieno, farlo rafreddare bene e poi fare delle palline che andranno
PROCEDIMENTO
riempite con un pezzetto di Puz-
Impastare a mano come per una
zone di Moena. Per ogni pallina
normale pasta fresca, aggiungendo
creare un fagotto.
del vino bianco nel caso che la pasta risulti troppo secca. In ogni caso
COMPOSIZIONE DEL PIATTO
deve risultare piuttosto dura.
Cuocere i fagotti per 5 minuti. Nel frattempo saltare i funghi porcini
Per il ripieno
con olio, sale, pepe, uno spicchio
g. 70 di porro a julienne, kg. 1 di pa-
d’aglio e un rametto di rosmarino.
tate cotte e schiacciate, g. 50 di fari-
Stendere i porcini sul piatto, ada-
na 00, sale e pepe q.b., parmigiano e
giarvi i fagotti. Spolverare con una
noce moscata q.b., olio extravergine
grattata di parmigiano e irrorare
d’oliva q.b.
con burro chiarificato caldo. Inse-
Pasta ripiena tipica della Val di Fiemme, preparata a Cortina con la rapa rossa, a Cavalese con patate e porro, segnata da due storicità: la presenza in valle del grano saraceno (con cui si prepara la sfoglia), l’influsso austroungarico, e la conseguente tradizionale forma a mezza luna. “La ricetta tradizionale prevede burro, strutto di maiale, pancetta. Io l’ho alleggerita, partendo dalla versione di un piccolo paese della della val di Fiemme, che prevedeva come ripieno una sorta di polenta di patate rosse e scarti di formaggio. Ho tolto burro, lardo e pancetta, sostituendoli con olio extravergine del Garda. Dove c’era il grasso dello speck, ho inserito una chips di speck, che dà salinità ma non aggiunge componenti grasse. Per il resto, gli ingredienti sono quelli locali: la patata rossa della val di Fiemme, il Puzzone di Moena. I porcini sono cotti confit con un filo d’olio, timo e aglio”. È un piatto che Gilmozzi ha in carta dal 1997: ormai, tradizione.
rire tra ogni fagotto una chips di PROCEDIMENTO
speck e una di cavolo cappuccio,
Soffriggere il porro in olio; farlo ap-
ottenute essiccandole in forno una
passire bene, poi aggiungere la fari-
notte a 60°C.
CONTEMPORANEO
TRADIZIONALE © Paolo Baroni
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RICETTEDELLATRADIZIONE
Lingua
in salsa verde
CHRISTIAN MILONE Trattoria Zappatori Pinerolo (TO)
INGREDIENTI Per la salsa carpione g. 300 di acqua g. 120 di zucchero g. 150 di moscato g. 150 di aceto alloro, timo, pepe, cannella Si porta ad ebollizione e si lascia in infusione per una notte. Successivamente si filtra e si lega con 1 grammo di gelatina ogni 100 grammi di composto. PROCEDIMENTO Rosolare la lingua in padella con burro di cacao. Emulsionare il gel di carpione con succo di prezzemolo. Impiattare a gusto decorando con pezzi di acciughe fresche, pezzetti di prezzemolo e foglie dell’orto.
La lingua di vitella viene trattata in salamoia, asciutta, per una settimana, spurgata in acqua corrente per 12 ore e cotta sottovuoto per 80 ore a 60°C, poi raffreddata e porzionata a cubetti.
CONTEMPORANEO
Piatto piemontese, servito freddo o a temperatura ambiente. “Se solitamente la lingua si taglia sottile ed è servita fredda, perché non farla a cubi e calda?”. L’idea di Christian Milone per questo piatto – nato otto anni – è di stravolgere la tradizione. “Volevo ottenere una lingua dal bel colore rosa e morbida, ma non è semplice, perché la cottura deve essere prolungata, per allentare le fibre tenaci di questo taglio. Ho lavorato su questo piatto per oltre un anno, andando avanti a tentativi. Ho provato con l’oliocottura, a trattarla con succo di papaya che smonta le fibre muscolari, a tritarla e ricomporla, fin quando non ho attinto ad una tradizione ancora più vecchia: la cottura senza temperatura, ossia la salamoia. Tenendo la lingua una settimana in salamoia ho ottenuto una carne intenerita, dal bel colore rosa acceso, che ho potuto cuocere a bassa temperatura per 80 ore, per intenerirla ancora e renderla succulenta”. Anche la salsa viene modificata. “Volevo che in bocca restasse il gusto del prezzemolo, e che la salsa avesse una bella base acida. Ho tolto l’aglio, che dà difficoltà digestiva e copre gli altri sapori, e ho dato acidità con un carpione ingentilito al Moscato, succo di prezzemolo, acciughe fresche passate 30 minuti sotto sale, il tutto servito tiepido. Oggi questa – per me e i clienti – è la tradizione della lingua in salsa verde”.
TRADIZIONALE
© Bob Noto
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travelfood
ANGELO SABATELLI
GOURMETFOOD
Riso
Ristorante Angelo Sabatelli Monopoli (BA)
Patate e Cozze “secondo il mio punto di vista” INGREDIENTI per 4 persone
su un tappetino di silicone e farla disi-
g. 120 di riso carnaroli, g. 600 di cozze,
dratare a 60°C per 4/5 ore. Frullare al
g. 100 di patate, g. 100 di zucchine, 12
macina spezie e conservare in un con-
pomodorini canditi, g. 20 di prezzemolo
tenitore ermetico.
leggermente tritato, ml. 100 di olio extra-
Per le chips: tagliare le patate novelle
vergine, g. 30 di canestrato grattugiato,
alla mandolina ad uno spessore di 2/3
l. 1 di acqua minerale bollente, 1 piccolo
millimetri. Lasciare spurgare in acqua
spicchio d’aglio in camicia.
e poi friggerle a 165°C fino a quan-
Per il sale di cozze: g. 250 di acqua di
do risulteranno ben dorate, asciutte e
cozze, g. 0,6 di Xantana.
croccanti. Salare con il sale di cozze e
Per la crema di riso: g. 60 di riso car-
conservare al caldo.
naroli, g. 500 di acqua, g. 50 di acqua di
Per la crema di riso: in un pentoli-
cozze, g. 10 di crema di latte.
no mettere i 60 grammi di riso con
Chips di patate: g. 100 di patate novel-
l’acqua, l’acqua delle cozze e cuocere
le, sale di cozze q.b.
dolcemente fino a quando il riso sarà scotto. Aggiungere la crema di latte e,
Germogli di prezzemolo
Con la sua rielaborazione di questo piatto classico della cucina pugliese, Angelo Sabatelli ha scatenato parecchia discussione. Perché, per molti, esiste una e una sola ricetta di questo piatto, intenzionalmente tradita dallo chef pugliese. “Fin dal nome, che nella tradizione è patate riso e cozze. Ma il mio è un vero e proprio risotto, dove utilizzo gli ingredienti della ricetta originaria ma li esalto in modo diverso. Ho attinto dalla tradizione, ma ho aggiunto contemporaneità, leggerezza, bellezza, concentrazione di gusti, rendendo il piatto coerente col mio stile di cucina. Uso pomodoro candito e non fresco, patate tagliate a cubetti anziché a fette e soffritte in padella con le zucchine. Con l’acqua della cozze preparo una polvere, una sorta di sale con cui condisco le patate che aggiungo solo alla fine, davanti al cliente, sotto forma di chips. Per lasciare il piatto quasi a sorpresa, preparo una crema di riso cotta con l’acqua di cottura delle cozze, che rendo leggera con l’uso del sifone. Il piatto arriva in tavola completamente bianco, decorato con germogli di prezzemolo appena nati e le chips di patate aggiunte all’ultimo”.
se occorre, aggiustare di sale unendo altra acqua di cozze. Frullare finemen-
PROCEDIMENTO: pulire le cozze, ver-
te, passare al setacchio, mettere in un
le zucchine, far rosolare per 1 minuto, aggiungere metà del prezzemolo e bagnare
sarle in una padella molto calda, ag-
sifone con due cariche e conservare a
con acqua di cozze. Cuocere per 4/5 minuti; scartare l’aglio e mettere da parte.
giungere un mestolino di acqua (il va-
bagnomaria a 63°C.
Per il riso: in un pentolino tostare il riso a secco, bagnare con l’acqua, un pò di
pore che si creerà agevolerà la cottura
Per le patate e le zucchine: pelare e
acqua di cozze e cuocere per 10 minuti aggiungendo poco per volta le due acque.
che sarà rapida). Coprire con il coper-
tagliare le patate a cubetti di circa 1
A questo punto aggiungere le patate e le zucchine e far cuocere per altri 3 minuti.
chio e far cuocere per pochi secondi.
centimetro per lato, tagliare le zucchine
Trascorsi i tre minuti, aggiungere i pomodorini canditi, le cozze e l’altra metà di
Appena aperte, scolarle recuperando
della stessa dimensione usando solo la
prezzemolo. Cuocere per altri 2 minuti e tirarlo ben asciutto, mantecare con il cane-
il liquido e il frutto in due contenitori
parte verde (scartate la parte bianca). In
strato, l’olio extravergine e un goccio di succo di limone. Correggere di sale, se oc-
separati. Scartare i gusci.
un pentolino far rosolare l’aglio in metà
corre. Mettere il riso in 4 piatti fondi, ricoprire la superficie con uno strato sottile di
Per il sale di cozze: frullare l’acqua
olio extravergine, aggiungere le patate
crema di riso e decorate con i germogli di prezzemolo. Accompagnare con le chips
delle cozze con la Xantana, stenderla
e far rosolare per 5 minuti, aggiungere
che verranno servite direttamente al commensale.
CONTEMPORANEO
TRADIZIONALE
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RICETTEDELLATRADIZIONE
Ribollita
rivisitata con olio extravergine d’oliva d.o.p Terre di Siena INGREDIENTI per 8 persone 2 carote, 2 cipolle dorate, 2 coste di sedano, g. 400 di fagioli di Sorana cotti precedentemente di cui g. 100 lasciati per il passato, 8 fette di pane toscano, 4 pomodori maturi, 10 foglie di cavolo nero, olio extravergine d’oliva, sale e pepe. PROCEDIMENTO Tagliare in piccoli pezzi sedano, carote e cipolle, rosolare a fuoco dolce con olio extravergine d’oliva, condire con sale. Cuocere per 10 minuti circa le verdure, unire la polpa dei pomodori a pezzettini senza le bucce e senza i semi. Continuare la cottura ancora per 10 minuti circa, unendo un po’ di brodo vegetale, infine gradualmente unire 200 grammi di fagioli passati a setaccio, il cavolo nero sbollentato in acqua salata e i restanti 50 grammi di fagioli interi. Condire con sale e pepe. In una pirofila quadrata versare le verdure alternando a strati con il pane casareccio toscano. Lasciare riposare almeno un giorno. Con l’aiuto di un coppapasta del diametro di 8 centimetri, ritagliare la ribollita che andrà rigenerata in forno a 80°C per 10 minuti circa. Cersare in 4 piatti fondi il passato di fagioli ben caldo montato con un frullatore e una porzione di ribollita calda. Mettervi sopra un po’ di fagioli interi e condire a crudo con olio extravergine di oliva d.o.p. Terre di Siena.
CONTEMPORANEO
GAETANO TROVATO Ristorante Arnolfo Colle di Val d’Elsa (SI)
Un classico della cucina toscana, la ribollita: una zuppa di ortaggi, cavolo nero, fagioli e pane, che veniva preparata il giorno prima e poi ribollita prima di servirla. “Nella classica ribollita si cuoce tutto assieme. Io invece cuocio gli ortaggi separatamente, per preservare i sapori, e alla fine assemblo gli ingredienti. Il risultato è un piatto più bello cromaticamente, più leggero per la sua fragranza e digeribilità, più netto nella precisione di ogni singolo sapore”. Il pane non è cotto nella zuppa, ma passato al forno e servito croccante. I fagioli vengono trasformati in crema, dopo essere stati privati della pelle. La tecnica dell’assemblaggio è la cifra stilistica della cucina di Gaetano Trovato.
TRADIZIONALE
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paga
GOURMETFOOD foto di Andrea Amadori
QUANDO LA
TRADIZIONE
PAGA La visione contemporanea della tradizione molisana di Nicola Fossaceca, stella luminosa al Metrò di San Salvo Marina, e la lettura invece più filologica di Cristian Angiolin, che da qualche anno ai fornelli della Locanda Cipriani mantiene viva la fama dello storico locale e della tradizione veneta: due facce diverse ma complementari di come la cucina della memoria, fortemente identitaria del territorio, sia sempre di più un’arma vincente per la ristorazione italiana di qualità.
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© Sergio Supino
GOURMETFOOD
Una stella Michelin di prima grandezza, accanto alle cinque della regione, portavoce entusiasta e credibile delle sue radici abruzzesi, che cerca di valorizzare attraverso una rilettura rispettosa, ma energica, delle tradizioni. La sua ben nota umiltà, quel suo modo di fare schivo e riservato, costituiscono infatti solo la facciata di una volontà di ferro e di uno spirito di sacrificio che l’hanno portato, a soli trent’anni, ad ottenere importanti e unanimi riconoscimenti.
Nicola
Fossaceca
La lunga esperienza di famiglia in pasticceria e la competenza del fratello Antonio come sommelier sono quindi l’armonioso corollario di una cucina generosa e ospitale.
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nicolafossaceca
Triglia
in scapece espressa INGREDIENTI per 4 persone
PROCEDIMENTO
8 triglie
Eviscerare, squamare e deliscarle con l’ausi-
misticanza di insalata novella
lio dell’apposita pinzetta le triglie.
olio di semi di girasole per friggere Per la pastella: preparare una pastella mePer la pastella
scolando acqua, lievito, farina, sale, zucche-
g. 150 di farina
ro e zafferano; lasciare lievitare per 30 mi-
g. 10 di sale
nuti circa. Immergere la triglia nella pastella
g. 6 di zucchero
e friggerla subito in olio di semi di girasole a 150°C.
g. 1 di zafferano dell’Aquila D.o.p. in pistilli g. 200 di acqua
Per la salsa: emulsionare con un mixer ad
g. 20 di lievito di birra
immersione o una frusta tutti gli ingredienti per 2 minuti.
Per la salsa g. 40 di aceto di vino bianco
In un piatto piano, adagiare il crescione,
g. 50 di miele millefiori
quindi la triglia preparata né bollente ma
g. 70 di olio extravergine d’oliva
neanche troppo fredda (la sua croccantezza potrebbe essere a rischio). Completare con la salsa, sale grosso e due pistilli di zafferano de L’Aquila D.o.p.
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NF GOURMETFOOD
Ravioli
di ricotta di pecora in brodetto vastese di crostacei
INGREDIENTI per 6 persone
PROCEDIMENTO
Per la pasta dei ravioli
Impastare su una spianatoia la farina, le uova,
g. 200 di farina
il sale, il pepe. Formare una palla, coprirla
2 uova
con un panno e lasciarla riposare in frigo per
sale e pepe q.b.
circa un’ora. Tirare la sfoglia allo spessore di 1 millimetro.
Per la farcia dei ravioli
g. 250 di ricotta di pecora
Per la farcia
sale e pepe q.b.
Emulsionare la ricotta con un mixer aggiun-
gendo un pizzico di sale e pepe. Riempire
Per il brodetto di crostacei
la sfoglia con la farcia, dandole la forma di
g. 500 di teste e gusci di crostacei
piccoli ravioli di 2 centimetri.
(scampi, mazzancolle, cicale di mare, granchi) kg. 1 di pomodorini ciliegino
Per il brodetto
g. 40 di olio extravergine d’oliva
Porre su fiamma molto bassa un tegame
1 spicchio d’aglio rosso di Sulmona
di terracotta con dentro l’olio, il peperone
g. 20 di peperone verde
verde, il peperoncino e i pomodorini taglia-
g. 5 di peperoncino piccante
ti in 4 spicchi. Cuocere per circa 10 minuti
g. 20 di prezzemolo
(appena inizia il bollore) e aggiungere le teste e i gusci dei crostacei. Dopo 10 minuti, aggiungere circa 100 grammi di acqua calda leggermente salata e portare a cottura per circa 40 minuti. Filtrare il tutto in un colino. Recuperare il brodetto filtrato in un piccolo tegame; togliere l’olio in superficie. PRESENTAZIONE Cuocere per 1 minuto i ravioli in acqua bollente leggermente salata, scolarli e adagiarli nel piatto. Sopra i ravioli aggiungere un mestolo di brodetto molto caldo e completare con un giro d’olio extravergine d’oliva e le foglie del prezzemolo tagliate molto sottili all’ultimo momento.
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GOURMETFOOD
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NF
nicolafossaceca
Sgombro
arrosto con salsa di aglio rosso, salsa acida ed erbe spontanee
INGREDIENTI per 4 persone
PROCEDIMENTO
4 sgombri freschissimi
Pulire ed eviscerare gli sgombri, sfilettarli senza privarli della
g. 100 di sale
pelle. Mescolare sale e zucchero e marinarvi i filetti per 40 minu-
g. 100 di zucchero
ti circa. Ottenere un liquido di marinatura facendo bollire l’aceto di mele con l’acqua e 100 grammi di zucchero. Fare raffreddare.
g. 100 di aceto di miele
Mettere a marinare per circa un’ora i filetti di sgombro con il
g. 500 di acqua
liquido ottenuto, poi scolare e asciugare bene i filetti tamponan-
g. 100 di zucchero
do con la carta. Riporre in frigo coperti per evitare che secchino. Sbucciare l’aglio rosso di Sulmona e privare gli spicchi della
4 spicchi d’aglio rosso di Sulmona
parte interna. Sbianchire in acqua per 5 volte gli spicchi, raffred-
g. 100 di latte
dando tutte le volte. Fare un’ultima bollitura con il latte e poi frullare con un mixer ad immersione, ottenendo una salsa fluida
g. 100 di acqua
da riporre in frigo.
g. 100 di aceto di vino Montepulciano d’Abruzzo
Per ottenere la salsa acida, porre tutti gli ingredienti in un pen-
g. 20 di zucchero
tolino; portare ad ebollizione e lasciare ridurre per 30 minuti a
g. 50 di miele millefiori
fiamma bassa.
g. 30 di mosto cotto
Lavare e mondare tutte le erbe; asciugarle con la carta.
g. 10 di colatura di alici g. 50 di zenzero
COMPOSIZIONE DEL PIATTO
Tagliare gli sgombi e arrostirli con il cannello da pasticceria bru-
erbe spontanee
ciandoli dalla parte della pelle e adagiarli nel piatto.
acetosella
Aggiungere le due salse e le erbe spontanee.
rucola
crescione di fiume mariuoli
erba cipollina
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NF GOURMETFOOD
Parrozzo INGREDIENTI per 4 persone
Procedimento del cremoso di mandorle
Per il biscotto parrozzo
Far bollire le mandorle nel latte e frullare con un
g. 125 di mandorle tritate
mixer ad immersione.
g. 125 di zucchero
Stemperare il latte sul cioccolato bianco frizionan-
3 uova intere
dolo con una spatola e farlo sciogliere. Unire la
2 albumi
panna e lasciare riposare in frigorifero per 6 ore.
g. 35 di farina “0”
g. 35 di fecola di patate
Per il caramello all’Aurum
buccia di mezzo limone grattugiata
g. 100 di zucchero
2 gocce di essenza di mandorle amare
g. 50 di liquore Aurum g. 100 di acqua
Procedimento biscotto parrozzo
Montare gli albumi a neve, riunire gli altri ingredienti
Procedimento caramello Aurum
e mescolarli con cura all’albume montato.
Realizzare un caramello biondo e sfumare con
Cucinare l’impasto in teglia nel forno a 180°C.
liquore Aurum. Aggiungere acqua e ridurre leg-
Lasciare raffreddare e sbriciolare.
germente.
Per il cremoso al cioccolato
Per le mandorle tritate tostate
g. 25 di mandorle
fave di cacao, polvere di vaniglia
g. 100 di latte
g. 120 di panna
PRESENTAZIONE
g. 100 di cioccolato bianco
Versare alcune gocce di caramello all’Aurum; di-
g. 4 di gelatina in fogli
sporre il cremoso al cioccolato bianco, le mandorle
tostate, la vaniglia in polvere, il biscotto parrozzo sbriciolato e una fava di cacao sbriciolata.
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CA GOURMETFOOD
Cristian
Angiolin I piatti preferiti da Hemingway sono gli stessi che i clienti oggi richiedono. Dunque la grande tradizione italiana, e nella fattispecie quella della storica Locanda Cipriani di Torcello, nella laguna veneta, dimostrano tutta la propria forza anche in questi anni del cambiamento. Cristian Angiolin, il giovane chef che con bravura ha accettato la sfida di traghettare un grande passato fino ai giorni nostri (pur con la necessaria libertĂ rispetto alla tradizione), esegue brani di una cucina prestigiosa in un contesto di grande fascino.
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cristianangiolin
Polentina
morbida mantecata con carciofini novelli, fondo di carciofo e schie di laguna fritte INGREDIENTI
pepe ed una leggera sfumatura di vino bianco finché
fondo di carciofo, farina per polenta bianca, acqua, sale
non risulteranno cotti.
e pepe bianco, carciofi novelli, schie di laguna, olio extra-
Eliminare la peluria dai fondi di carciofo e procedere
vergine di oliva, vino bianco, aglio, noce di burro.
con lo stesso procedimento dei carciofi sia per il mantenimento in acqua e limone che per la cottura,
PROCEDIMENTO
ma con l’aggiunta di un pò di brodo vegetale fino a
Come prima cosa bisogna pulire i carciofi eliminando
quando non risultano cotti.
le foglie esterne più dure fino ad arrivare al cuore;
Preparare una polenta morbida con acqua, sale, pe-
pelare il gambo e tagliare la punta con un coltello
pe e mantecarla con una noce di burro e i carciofini
ben affilato. Mettere i carciofi in acqua e limone allo
novelli affettati.
scopo di evitare l’ossidazione e poi tagliarli a fettine
Adagiare la polentina al centro del piatto, porvi so-
sottili. Scaldare l’olio in una padella, aggiungere uno
pra il fondo di carciofo ed all’interno le schie di lagu-
spicchio d’aglio in camicia e saltare i carciofi con sale,
na fritte. Decorare con del corallo tritato finemente.
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CA
GOURMETFOOD
Risotto alla “Torcellana”
INGREDIENTI
betti e a fuoco vivace per qualche minuto. Aggiungere
cipolla, zucchine, melanzane, porro, aglio, peperoni, fun-
man mano i funghi, i peperoni e le melanzane e cuo-
ghi prataioli, funghi porcini (quando è il periodo), carciofi
cere tutto assieme mantenendo comunque la croc-
(quando è il periodo), sale, pepe bianco, olio extravergine
cantezza delle verdure ed aggiustare di sale e pepe.
d’oliva, brodo vegetale, parmigiano reggiano, burro di
Tostare il riso con dell’olio ed un trito di scalogno,
buona qualità, scalogno, riso Carnaroli.
aggiungervi il fondo di verdure preparato precedentemente e bagnare con il brodo vegetale.
PROCEDIMENTO
Aggiungervi poi, in stagione o quando si hanno, i fun-
Tagliare le melanzane a cubetti, saltarle in padella e
ghi porcini e i carciofi già cotti; portare a cottura e poi
poi farle raffreddare. Intanto togliere la pelle ai pepe-
mantecare con un filo d’olio all’aglio, burro, sale, pepe,
roni e tagliarli a cubetti. Tritare i funghi dopo averli
parmigiano reggiano e ancora un po’ di fondo di ver-
cotti. Preparare un trito di porro e cipolla e far rosolare
dure affinché si possano sentire croccanti.
con l’olio aggiungendovi poi le zucchine tagliate a cu-
Servire.
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cristianangiolin
CA Filetto
di sanpietro alla Carlina con tortino caldo di patate e radicchio di Treviso
INGREDIENTI
PROCEDIMENTO
filetto di sanpietro
Preparare un trito grossolano con i capperi e i cetriolini avendo cura di lasciare
patate
qualche cappero intero.
farina
Cuocere a vapore le patate, pelarle e poi schiacciarle. Intanto tagliare il radicchio
radicchio di Treviso
di Treviso in piccoli pezzi e saltarlo in padella con dell’olio ed un po’ di cipolla,
fumetto di pesce
avendo l’accortezza di lasciarlo croccante. Aggiungere quindi alle patate il radic-
sale e pepe
chio, sale e pepe ed un filo d’olio d’oliva. Con l’aiuto di un piccolo coppapasta
olio extra vergine di oliva
formare dei tortini che, quando saranno freddi, andranno scottati a fuoco vivace
capperi di Pantelleria
su una padella.
cetriolini sott’aceto
Passare il filetto di sanpietro nella farina da entrambe le parti e rosolarlo in pa-
passata di pomodoro fresco
della con l’olio, il sale e pepe. Quando sarà dorato, bagnarlo con il succo di limo-
succo di limone
ne ed un po’ di salsa Worchester; adagiarvi sopra il trito di capperi e cetriolini e,
Worchester souce
a macchie, il pomodoro fresco. Unire il fumetto di pesce e terminare la cottura.
prezzemolo fresco
Impiattare il filetto di sanpietro e far addensare il fondo di cottura versandolo sopra ed intorno al filetto. Accompagnare con il tortino di patate e radicchio, un po’ di prezzemolo fresco tritato ed un filo d’olio.
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A C GOURMETFOOD
Meringata
al limone con pasta frolla croccante
INGREDIENTI per 2 torte
Per la pasta frolla: procedere come per una normale frolla e lasciarla ripo-
Per la crema al limone
sare, poi foderare un disco da forno basso con la frolla, bucarlo e cuocerlo
g. 400 di zucchero semolato
in forno a 170°C.
g. 360 di uova intere
Preparare con della panna montata una chantilly con la crema al limone e
succo e buccia di 6 limoni
disporla sul fondo dello stampo di pasta frolla; adagiarvi sopra un disco di
g. 200 di burro
pan di Spagna di circa mezzo centimetro e bagnarlo con uno sciroppo fat-
to con zucchero, acqua e buccia di limone. Coprire ancora con la chantilly
Per il pan di Spagna
al limone ed intanto scaldare a bagnomaria l’albume con lo zucchero e
4 uova intere
qualche goccia di limone e poi trasferire il tutto in planetaria con
g. 130 di zucchero semolato
la frusta affinché il composto risulti liscio e spumoso.
g. 125 di farina “00”
Con l’aiuto di un sac à poche con bocchetta a
vaniglia
stella formare sopra la torta dei ciuffi fino a ricoprirla tutta e poi fiammeggia-
Per la pasta frolla
re con il cannello da pasticce-
g. 2650 di farina “00” manitoba
ria e servire.
g. 1750 di burro
g. 830 di zucchero semolato g. 320 di tuorlo
g. 5 di baking powder g. 20 di sale
buccia di 1 arancia ed 1 limone bacca di vaniglia
Per la meringa soffice
g. 100 di albume liottizzato
g. 200 di zucchero semolato succo di limone
PROCEDIMENTO Per la crema al limone: mettere tutti gli ingredienti assieme per la crema al limone e cuocerla a bagnomaria continuando a mescolare con una frusta finché non si addensa e farla raffreddare. Intanto preparare il pan di Spagna: scaldare a bagnomaria le uova e lo zucchero fino ad intiepidirli e montare il tutto in planetaria finché non si avrà ottenuto un impasto spumoso. Intanto setacciare la farina ed aggiungerla all’impasto con la vaniglia, mescolando dal basso verso l’alto per evitare che l’impasto si smonti. Versare in uno stampo rotondo imburrato ed infarinato e cuocere in forno a 160°C per circa 30 minuti e poi far raffreddare.
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PRODOTTIECCELLENTI di Claudia Barale
PROGETTO
“FORME” BERGAMO CAPITALE EUROPEA DEI FORMAGGI
TURISMO, AMBIENTE, STORIA, TRADIZIONI E CULTURA CASEARIA travelfood 64
Nove formaggi dop, come nessun’altra area in Europa. Formaggi, ma non solo. Con loro anche turismo, ambiente, storia, tradizioni. Bergamo, con il progetto “Forme”, si è autoproclamata capitale europea dei formaggi, facendo dei suoi gioielli caseari un volano anche per l’economia turistica del territorio, per valorizzare non solo l’enogastronomia ma anche natura e storia. Sul suo territorio si producono infatti nove Dop, come in nessun’altra regione europea, ovvero Formai de mut dell’alta Val Brembana; Strachitunt Val Taleggio; Bitto; Taleggio; Gorgonzola; Grana Padano; Provolone Val Padana; Quartirolo Lombardo e Salva Cremasco. A questi si aggiungono i gioielli caseari denominati Formaggi principi delle Orobie, prodotti sulle montagne che fanno da confine tra Bergamasca, Lecchese e provincia di Sondrio: Agrì di Valtorta (presidio Slow Food); Bitto Storico (presidio Slow Food); Branzi Ftb; Formai de mut dell’alta Val Brembana; Strachitunt Val Taleggio; Stracchino all’antica delle Valli Orobiche (presidio Slow Food) e i formaggi di Capra orobica. Formaggi che saranno in degustazione, ciascuno una settimana, nell’area Slow Food di Expo.
PROGETTOFORME
Una straordinaria ricchezza casearia che Bergamo, grazie all’associazione “San Matteo – Le Tre Signorie” di Branzi e la Camera di Commercio, ha voluto valorizzare al massimo facendola diventare anche un elemento di attrattività turistica. A partire dalla scoperta dei luoghi di produzione e stagionatura dei formaggi, gli alpeggi, le casere, i caseifici delle valli orobiche, dall’alta Val Brembana alla Val Gerola, dalla Val Taleggio alla Val Serina. E’ così che nascono gli itinerari lungo il sentiero delle Orobie dove il turista potrà toccare con mano la vita dell’alpeggiatore, i suoi segreti, i sacrifici per continuare una tradizione che affonda nei secoli. Un’occasione per scoprire la natura incontaminata di quest’angolo delle Prealpi, storie di persone e di luoghi ancora vissuti. Come la storia dello Strachitunt, lo stracchino rotondo della Valle Taleggio, terra antica di formaggi, patria dell’omonimo Taleggio, già celebrato a inizio ‘900 in un concorso internazionale a Parigi. Lo Strachitunt è antico anche lui, forse più del Taleggio. Ma rischiava di andare perso per sempre se non fosse stato per un casaro oggi ultraottantenne, Guglielmo Locatelli di Vedeseta, che da generazioni ne ha conservata la ricetta, riproponendola alcuni anni fa a un noto affinatore di Bergamo città. Poco alla volta quel formaggio erborinato, per molti antenato del Gorgonzola, ha scalato le vette del gusto fino a essere incoronato dallo chef Gianfranco Vissani come “il più buono del mondo” e a conquistare una meritata dop solo un anno fa. Il progetto Forme e il marchio dei Formaggi principi delle Orobie vogliono dare valore anche a queste storie di uomini e montanari. E fino alla fine di Expo, ma anche oltre, lo faranno con incontri, eventi, itinerari guidati e soprattutto con la grande mostra culturale-gastronomica che si terrà nell’ex monastero vallombro-
sano di Astino a Bergamo. Qui i formaggi orobici saranno esposti come veri prodotti di lusso, per aumentare la conoscenza e soprattutto la percezione di valore del prodotto, sull’esempio di quanto attuato in altri settori, come quello enologico. E poi gli altri grandi appuntamenti di ottobre: il Festival del pastoralismo, la festa-convegno sulle razze orobiche (Vacca Bruna alpina originale e Capra orobica) il 19 ottobre, seguita, il 20 ottobre, dalla seconda edizione del Campionato del mondo di mungitura a mano, entrambi a Lenna. Per Bergamo e le valli, un’occasione unica per mettere in vetrina i suoi gioielli alimentari più buoni, sani e veri. Progetto e calendario delle iniziative su www.progettoforme.eu Su facebook www.facebook.com/ProgettoFORME
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PRODOTTI ECCELLENTI foto di Claudio Mollo
FABRIZIO E ANDREA
GIRASOLI INTERPRETANO
RISTORANTE BUTTERFLY S.S.12 del Brennero, 192 - 55014 Lucca - Tel. 0583 307573 www.ristorantebutterfly.it - info@ristorantebutterfly.it
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Fabrizio Girasoli, chef e proprietario del locale, è l’artefice del successo di una cucina coraggiosa, che ha saputo rompere decisamente gli schemi di una ristorazione classica, profondamente intrisa della grande tradizione gastronomica lucchese nella quale si esaltano i sapori di antiche ricette avendo a disposizione, dall’intera provincia, prodotti eccezionali. Da qualche anno al suo fianco c’è anche il figlio giovanissimo Andrea, orgoglio della famiglia, considerate le sue capacità accresciute e affinate in numerosi stages presso noti chef stellati nazionali e internazionali. Al Butterfly si lavora con abilità sia carne che pesce, con cotture misurate, armonia tra gli ingredienti e buon equilibrio gustativo. Insieme ai due chef, la moglie di Fabrizio, Mariella, che si occupa della sala e che, da brava padrona di casa, ha sapientemente arredato il fascinoso cascinale riadattato a ristorante. Le diverse sale, disposte su più piani, comprendono una romantica e intima mansarda, colorata e accogliente.
RAVIOLOTTI AL PECORINO DI PIENZA E PINOLI
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...come un castagnaccio
INGREDIENTI per 4 persone 20 Raviolotti al Pecorino di Pienza e Pinoli DIVINE CREAZIONI SURGITAL 20 castagne bollite e sbucciate ˷ 1 arancia ˷ g. 30 di rosmarino ˷ g. 150 di burro ˷ pepe ˷
PREPARAZIONE Ricavare dalla scorza di arancia una julienne e passarla velocemente in acqua bollente per togliere l’amaro; raffreddare in acqua e ghiaccio. Nettàre il rosmarino e sfogliarlo, spezzare grossolanamente i marroni lessati e pelati. Sciogliere il burro in padella con poca acqua di cottura senza far soffriggere; unire l’arancia, il rosmarino e le castagne; saltarvi i Raviolotti al Pecorino di Pienza e Pinoli cotti precedentemente e terminare con pepe appena macinato.
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PRODOTTI ECCELLENTI
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SCRIGNI CON BURRATA DI PUGLIA colatura di alici e salsa di peperone alla brace INGREDIENTI per 4 persone 20 Scrigni con Burrata di Puglia DIVINE CREAZIONI SURGITAL 12 puntarelle ˷ 2 peperoni rossi ˷ g. 50 di capperi dissalati ˷ 4 frutti di cappero ˷ polvere di cappero ˷ cl. 20 di colatura di alici di Cetara ˷ 1 spicchio aglio ˷ olio extravergine d’oliva ˷
PREPARAZIONE Lavare i peperoni e cuocerli interi sul braciere fino a renderli teneri e con la pelle completamente carbonizzata; spellarli e privarli dei semi sotto acqua corrente; frullarli nel mixer regolando di sale e unendo olio extravergine a filo, fino ad ottenere una consistenza cremosa. Tenere in caldo. Mettere i capperi ben dissalati in essiccatore e disidratarli completamente. Frullare e ottenere una polvere. Nettare e lavare le puntarelle e dividere quelle troppo grandi. Mettere l’olio in una padella calda e lasciarvi rosolare lo spicchio d’aglio per alcuni secondi, quindi toglierlo e unire la colatura. Nel frattempo cuocere gli Scrigni con Burrata di Puglia in acqua non troppo salata e poi saltarli velocemente nella padella insieme alle puntarelle e un poco di acqua di cottura. Creare una salsa tirandola per pochi minuti; stendere la salsa di peperone nel piatto e appoggiarvi gli Scrigni e le puntarelle. Finire con frutti e polvere di cappero.
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PRODOTTI ECCELLENTI
QUADRELLI CON CHIANINA E CARDONCELLI
in salsa di datterino giallo alla cacciatora e caviale di oliva nera INGREDIENTI per 4 persone 12 Quadrelli con Chianina e Cardoncelli DIVINE CREAZIONI SURGITAL g. 500 di datterini gialli g. 80 di olive nere denocciolate ˷ g. 150 di olio extravergine d’oliva 1 spicchio di aglio salvia e rosmarino ˷ g. 50 di fondo di vitello ml. 500 di olio di semi g. 2 di agar agar sale q.b. ˷
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www.surgital.it PREPARAZIONE Lavare i peperoni e cuocerli interi sul braciere fino a renderli teneri e con la pelle completamente carbonizzata; spellarli e privarli dei semi sotto acqua corrente; frullarli nel mixer regolando di sale e unendo olio extravergine a filo, fino ad ottenere una consistenza cremosa. Tenere in caldo. Mettere i capperi ben dissalati in essiccatore e disidratarli completamente. Frullare e ottenere una polvere. Nettare e lavare le puntarelle e dividere quelle troppo grandi. Mettere l’olio in una padella calda e lasciarvi rosolare lo spicchio d’aglio per alcuni secondi, quindi toglierlo e unire la colatura. Nel frattempo cuocere gli Scrigni con Burrata di Puglia in acqua non troppo salata e poi saltarli velocemente nella padella insieme alle puntarelle e un poco di acqua di cottura. Creare una salsa tirandola per pochi minuti; stendere la salsa di peperone nel piatto e appoggiarvi gli Scrigni e le puntarelle. Finire con frutti e polvere di cappero.
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PRODOTTI ECCELLENTI
GARBUGLI
alla bottarga con cavolfiore croccante, tonno rosso e limone candito INGREDIENTI per 4 persone g. 300 di Garbugli DIVINE CREAZIONI SURGITAL g. 200 di tonno rosso a cubetti ˷ g. 50 di bottarga di tonno grattugiata ˷ g. 80 di cimette di cavolfiore ˷ 1 limone ˷ aceto balsamico ˷ olio extravergine d’oliva ˷ peperoncino ˷ g. 40 di zucchero ˷ 1 spicchio d’aglio ˷
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PREPARAZIONE Ricavare dal cavolfiore delle cimette piccole, tagliare il tonno a cubetti e condirlo con olio, sale e un cucchiaino di aceto balsamico. Togliere la scorza al limone e farla a julienne, scottarla due volte in acqua bollente, immergerla poi in uno sciroppo caldo ottenuto con 40 grammi di zucchero e 30 grammi di acqua. Lasciar riposare per un’ora. Cuocere i Garbugli. Far rosolare l’aglio in olio, quindi toglierlo, unire poco peperoncino e le cimette di cavolfiore, saltarle velocemente, unire poi la pasta e mantecare con la bottarga. Sistemare il tonno crudo nel piatto e adagiarvi accanto la pasta. Rifinire con le scorzette di limone candito.
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PRODOTTI ECCELLENTI
BALANZONI AL PARMIGIANO REGGIANO con asparagi, ovetto di quaglia e tartufo nero INGREDIENTI per 4 persone 12 Balanzoni al Parmigiano Reggiano DIVINE CREAZIONI SURGITAL 12 asparagi verdi ˷ 4 uova di quaglia ˷ g. 150 di burro ˷ tartufo nero ˷ olio extravergine d’oliva ˷ 1 noce di burro ˷ PREPARAZIONE Lavare gli asparagi e scegliere 4 pun-
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te da tenere intere, scottarle per due minuti in acqua bollente salata, raffreddarle poi in acqua e ghiaccio. Tagliare a fettine il resto degli asparagi e stufarle lentamente in padella con 70 grammi di burro; salare e portare a cottura completa. Frullare e passare al setaccio aggiungendo un po’ d’acqua, se necessario, fino ad ottenere una salsa liscia. Cuocere le uova velocemente in una padella antiaderente e tenerle in caldo. Cuocere i Balanzoni in acqua bollente salata, scolarli e spadellarli per due minuti con il burro, un po’ di tartufo e acqua di cottura fino ad ottenere una bella salsa. Disegnare sul piatto delle linee con la salsa di asparagi, sistemarvi al centro i Balanzoni al Parmigiano Reggiano con l’uovo e terminare con il tartufo rimasto, grattugiato, e le quattro punte di asparagi.
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FASHIOONFOOD di Luigino Filippi
IL LUSSO ACCESSIBILE DELLO
CHATEAU LE CAGNARD IN COSTA AZZURRA
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CHATEAULECAGNARD
Prima dello storico ippodromo della Costa Azzurra, basta percorrere tre chilometri per salire in cima al villaggio fuori del tempo di Les Hauts de Cagnes, la cui bandiera dello Chateau Grimaldi, dall’imponenza quasi sfacciata, è visibile sin dalla strada a mare. Non ci si deve fermare in centro, ma aggirare il villaggio attraversando il boschetto e salire al Parking del Planastel, che è presso le due porte del borgo antico. Dopodiché, meglio proseguire a piedi senza avventurarsi nei vicoli a trappola progressiva. Ecco il cuore del borgo ben manutenuto che pare votato all’accoglienza di visitatori dei quali qualcuno, incantato, ha finito per accasarsi definitivamente.
Il Cagnard è un’antica dimora un po’ magica e reputatissima; per molto tempo è stato tra i migliori Relais & Chateau di Francia. Condotto per anni dalla famiglia Barel, è passato nel 2012 alla “nordica” Frida Ivarsson, che lo ha reso più “umano” e più alla mano, valorizzando però la storia e l’aura di cui è ricca questa struttura, curando un ristorante con soffitto a cassettoni dipinti (che si apre verso il cielo in 10 secondi) e una più amena terrazza sul verde della valle e della collina. Le camere, una diversa dall’altra, hanno ognuna la propria impronta, ma sono comunque accomunate dal rispetto dell’ambiente medioevale delle magioni, ancorché alleggerite da
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FASHIOONFOOD
arredi, candida biancheria, oggettistica che le illeggiadrisce, nonché dotazioni di lusso. Il silenzio assoluto fa sì che a finestre aperte si sentano cantare i merli, ranocchi... Al ristorante il color crème delle tovaglie importanti è usato anche per ricoprire le poltrone e le mise en place sono simpatiche. Il cuoco Stéphane Laurin, già secondo del più noto Didier Aniès, dal 2013 au Cap di Saint Jean Cap Ferrat, si è caricato della responsabilità che incombe su questi importanti fornelli e, virando dai francesismi un po’ barocchi d’uso per lungo tempo qui, propone una cucina molto lineare, di esecuzione chiara e “pulita” senza coperture di salsine, né di altri “trallallà”. Tra la clientela internazionale, si sa, c’è chi la vuole cotta, chi la vuole cruda e anche chi la vuole in parte cotta e in parte da cuocere. Ma è la semplicità che trova consensi in questa carta, non lunga, dalla quale citiamo: il foie gras con betterave e café, il loup de ligne, asperges blanches et confit de rhubarbe, il pavé de boeuf Black Angus parfum de foin, aubergine et feta. Al dessert, tralasciando i formaggi quando non è stagione, un crumble, chocolat et cerises amarena è un buon connubio finale.
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CHATEAULECAGNARD
Il servizio, che al nostro passaggio aveva un responsabile proveniente dal grande Morisset di Antibes, va e viene flippando frasi d’uso accondiscendenti verso qualunque nostra preferenza. La carta vini elenca trenta bottiglie che hanno prezzi dai 30 ai 110 euro. Ma la prova che la maison è disponibile a servirvi “su misura” è data dal fatto che si trovano anche nove bottiglie da 50 cl., due da 37,5 cl e persino tre birillini di champagnes da 15 cl. Infine, sei vini vengono serviti anche al bicchiere dai 7 ai 14 euro. I prezzi sono accettabili, per la Cote s’intende. Perché se è vero che per un pasto completo di tre portate più dessert “à la carte” il conto svetta facilmente verso i 100 euro, è pur vero che in Francia ormai è raro un tale ordinativo à la carte. Ecco quindi che per due portate più dessert il conto si stoppa sui 60-70 euro... Aprono poi al sorriso i diversi menu a 29 e 36 euro al mezzodì e a 52 e 70 euro la sera (quest’ultimo con ben cinque portate). Sulla Costa Azzurra, questa prestigiosa Maison per “bons vivents”, lontana dai clamori della Cote, è uno dei migliori rapporto qualità/prezzo.
HOTEL CHATEAU LE CAGNARD 9 Rue Sous Barri – Les Hauts de Cagnes Cagnes sur Mer Tel. +33 0493 20 73 21 www.lecagnard.com - contact@lecagnard.com Riposo settimanale: non fissato Ferie: variabili tra dicembre e febbraio Carte di credito: tutte
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TRAVELFOOD di Teresa Cremona
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UNA NAZIONE AL PASSO CON LA NATURA E L’AMBIENTE
S V E Z I A
UN
ponte sul Baltico e 12 minuti di metropolitana collegano l’aeroporto di Copenhagen alla città di Malmö, terza citta della Svezia, nella regione dell’Oresund, porta d’accesso alla ricca e fertile provincia di Skåne. Malmö che in passato è stata una città industriale, alla fine degli anni ’70, quando l’industria pesante entrò in crisi, decise di guardare al futuro e di investire nella realizzazione di una città sostenibile. Oggi il Turning Torso, la torre condominio alta 90 metri, progettata da Santiago Calatrava, è il concreto simbolo della realizzazione di quel progetto. Il nuovo quartiere si chiama West Harbour: visitarlo ed aver voglia di viverci è tutt’uno. Costruito sul Baltico con terre di riporto, è stato progettato per gente che va a piedi o in bicicletta, con parchi, giardini, passeggiate sul mare e c’è anche l’arena dove imparare a ballare il tango. Le case sono monofamiliari o condomini, progettate da architetti scandinavi ed internazionali; affacciano sul mare o su canali artificiali, con vetrate, verande, corti e terrazze; il 55% ha tetti dove cresce l’erba che ha il compito di trattenere l’acqua piovana, di assorbire i rumori, di termoregolamentare la temperatura, di pulire l’aria, di abbellire l’ambiente. Gli appartamenti sono in parte di proprietà municipale, in parte di privati, gli affitti sono controllati dal Comune che ha cercato anche di creare un ambiente ‘misto’ con abitanti di censo e provenienza diversi. I rifiuti sono convogliati in canali sotterranaei e la spazzatura trasformata in biogas, alimenta
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il trasporto urbano di tutta la città. A West Harbour, città modello ad emissioni zero, tutto è sostenibile e nel 2001 ha aperto il primo ristorante organico; c’è poi ‘Green’ il supermercato biologico più grande d’Europa. Il collegamento via terra Svezia-Danimarca e i nuovi quartieri hanno dato impulso all’economia ed oggi Malmö ha cambiato pelle: il suo centro storico, in gran parte pedonale, è animato, ricco di bar, caffetterie, ristoranti anche stellati o alla moda. Il Ristorante Bastard (foto in questa pagina) ne è un esempio: cacofonico, animatissimo luogo d’incontro di giovani. La cucina a vista al centro del locale è il cuore frenetico ed iper organizzato dove l’équipe prepara cibo non banale, nello spirito del ‘nose to tail’. Nel menu c’è carne, pesce, crostacei, salumi, ma anche carote, cardi, spinaci, zucca, broccoli, tutto fresco e di territorio.
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Anche l’ex zona portuale è stata ristrutturata, ed il Saltimporteen Canteen, aperto solo a mezzogiorno, offre la scelta tra due soli piatti, uno a base di carne o di pesce, l’altro vegetariano. Sono ricette ripensate da due talenti emergenti della New Nordic Cuisine, lo Chef Ola Rudin e Sebastian Persson che nel 2011 hanno chiuso il loro rinomato ristorante Trio ed hanno aperto negli spazi di questo ex magazzino del sale. Verdure e pane con lievito madre completano il pasto. Tutto a meno di 10€.
NEW NORDIC CUISINE? E’ il progetto presentatato nel 2008 da Eskil Erlandsson, ministro svedese degli affari rurali, per promuove l’agricoltura, la genuinità delle materie prime, la zootecnia responsabile, i metodi di produzione e la bio diversità dei prodotti alimentari e non ultima la cucina, svedesi. Una pianificazione a lunga scadenza che sta ottenendo concreti risultati: la gastronomia svedese migliora di anno in anno, diventa un richiamo turistico e gli chef alla ricerca di ingredienti locali riscoprono metodi e tecniche artigianali tradizionali. Contestualmente i piccoli produttori specializzati aumentano di numero, i giovani sono attratti dall’agricoltura o da attività ad essa correlate. È il caso di Andreas della Malmö Vinägerfabrik che, dopo una vacanza fra i frutteti e i meleti di Kivik, si è messo a produrre aceti di sidro, di mele e di altra frutta; ora è in contatto con l’Italia e sta pensando all’aceto balsamico. La Skåne, dispensa della Svezia, è da sempre
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T R A V E L F O O D terra tra le più produttive dell’Europa settentrionale, e fornisce il 40% del prodotto agricolo consumato nel paese. Regione di prodotti eccellenti, che ispirano la cucina di Daniel Berlin, chef appena trentenne, di grande talento, che a Tranås, un villaggio di 300 abitanti a 70 chilometri da Malmö, ha trasformato una piccola casa in un relais che non si dimentica. Due anni fa Daniel Berlin (foto in basso) ha conquistato The Young Chef Of The Year 2011 della San Pellegrino. E’ giovane, affabile, senza atteggiamenti costruiti, accoglie i suoi ospiti con calore e, se necessario, li riaccompagna con la sua auto al loro albergo dopo la cena. La sequenza del suo menu si snoda attraverso 20 assaggi, che sono piatti complessi a tutti gli effetti. Una minuscola cucina ed una piccola brigata conoscono l’alchimia che trasforma una suc-
cessione di piatti in una sequenza modulata in crescendo, dove le verdure del’orto, le erbe spontanee dei campi e i prodotti della regione si trasformano in puro piacere. Il suo piatto iconico è il sedano rapa arrostito al fuoco della griglia, servito intero e con la buccia annerita dal fuoco, morbido e cremoso all’interno, completato dal sago e dalla crema calda di un formaggio locale. Ogni piatto è una composizione anche visiva: pietra, sassi, erbe, muschio, licheni, legno lo accompagnano e lo disegnano. Alcuni non si dimenticano, come il rosso d’uovo intero accompagnato da erbe di campo e mirtilli o i fegatini con l’aronia e il pane disidratato e croccante. I dessert non sono troppo dolci, hanno la giusta punta di acidità che abbatte lo zucchero ed esalta gli ingredienti. Il servizio è veloce, impeccabile, amichevole. La sala con il soffitto basso e le finestre piccole sul giardino, ha un fascino da Pranzo di Babette che seduce in modo particolare chi è abituato ad ambienti mediterranei e si sente avvolto da questa intimità nordica.
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NELLA VECCHIA FATTORIA A breve distanza da Malmö, Ängavallen è una fattoria antica di molti secoli che si estende su 220 ettari, è stata acquistata nel 1971 da Rolf Axel Nordström (foto in basso), ed è diventata pioniera nell’allevamento rispettoso degli animali. Vi si producono anche formaggi e salumi e si coltivano senza additivi chimici, verdure native che non temono i climi rigidi della regione, varietà autoctone che crescono più lentamente ma che sono ricche di gusto. Ad Ängavallen l’allevamento delle mucche Red
Poll, razza autoctona a duplice attitudine, sia da latte che da carne, è brado ed i vitelli sono lasciati al pascolo insieme alle madri per oltre un anno, i maiali Linderöd corrono liberi in recinti grandi come campi da calcio, le pecore (forest sheep) non le abbiamo viste, ma sicuramente sono accudite come tutti gli animali di questa fattoria. Tutti i prodotti sono 100% biologici e sono in vendita e in degustazione nella boutique all’ingresso della proprietà. L’attività include anche l’ospitalità. Le camere so-
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no 19, i mobili di design essenziale, i colori bianchi o grigi, i tessuti organici: dettagli semplici per un risultato di carattere. Il ristorante della fattoria che, nel 2008, è stato nominato ‘Eco Ristorante dell’anno’ dalla Swedish White Guide, è una tappa gastronomica che vale la pena di inserire in un itinerario. Propone piatti preparati con i prodotti dell’azienda. Le verdure dell’orto sono impeccabilmente croccanti; ne emergono sapori freschi, naturali, delicati; le cotture sono precise sia per le carni biologiche di maiale e di vitello che per il pesce e per i crostacei. Il menu degustazione è elegante, pensato come un viaggio nel territorio, ricco anche di accenni alla tradizione: piatti rivisitati con leggerezza e gusto. C’è una buona carta dei vini con oltre 120 etichette internazionali, fra queste anche vini italiani, naturalmente biologici.
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UN VINO NORDICO Proseguendo verso la costa est, il paesaggio è morbido, punteggiato da chiese al centro di minuscoli villaggi. Chiese imponenti non per fervore religioso, ma simbolo della potenza economica dei proprietari terrieri di questa zona ricca e fertile che volevano che la loro prosperità fosse visibile. Filari di salici segnano i confini delle proprietà e fanno da barriera ai venti in una regione piana e priva di foreste. A 10 km, dalle coste del Baltico, su una collina rivolta a sud, su un terreno calcareo-sabbioso da sempre ritenuto troppo magro per essere un buon terreno agricolo e che invece ben si adatta alla coltura della vite, Hakan Hansson fa il viticoltore.
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Nel 2003 ha smesso di occuparsi di finanze, ha lasciato Stoccolma, ed è tornato nelle terre della sua famiglia. In quel suo nuovo progetto di vita, la vigna era solo un hobby iniziato con 700 barbatelle acquistate in Franconia: oggi gli ettari vitati sono 5, c’è la collaborazione dell’enologo danese Peter Bo-Jorgensen, autore anche della bella etichetta dei vini Hallarka e Hakan Hansson: a tutti gli effetti è un produttore di vino con seri progetti di espansione nel futuro. Noi abbiamo assaggiato Hallakra 2012 da uve Solaris e Pinot grigio e Hallakra Rondo 2012 da omonime uve. Verso il mare si estendono i frutteti della Skåne, dove si coltivano 30 varietà di mele, ma anche prugne, pere, ciliegie. Kivik è un luogo di villeggiatura scelto anche da artisti, ceramisti, pittori per la qualità della sua luce. La spiaggia è di finissima sabbia bianca, gli scogli levigati dalle maree, il panorama romantico. A Kivik ogni anno nell’ultima settimana di settembre c’è un Festival dedicato alle mele che vede anche la partecipazione di produttori locali di sidro e di un ottimo mosto che è puro succo di mela senza alcun additivo.
L’OFFERTA DELL’OCEANO Buhres FISH & SHOP è un brand che si articola in molte attività, c’è il ristorante con vetrate e terrazze sul mare, dove il menu offre crostacei, aragoste, gamberi, ostriche, crudo, pesce al vapore, fritto o affumicato, tutto è fatto in casa, con ricette che sono specialità. Ma gli stessi prodotti si possono consumare in modo economico e informale ai tavoli comuni del ristorante popolare dove nella stagione estiva si servono centinaia di avventori. Poi c’è la smokerie dove si affumica il pesce, venduto nella boutique delle delikatessen che è il più visitato negozio nel sud della Svezia, dove si può trovare fresco e di giornata tutto ciò che l’oceano ha da offrire. Buhres è anche bakery e pasticceria, specializzata in un dolce tipico della zona, la spettekaka, un tempo torta di matrimonio della Skåne, preparata con pastella di farina di patate, zucchero e uova, decorata con glassa e dalla curiosa forma di cono.
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SAPORITI POMODORI SVEDESI Poco lontano a Vallåkra c’è Tomatens hus, dove si coltivano pomodori. La serra si estende su 3.000 mq e vi crescono 43 diverse varietà biologiche, oltre a una vasta selezione di erbe aromatiche, insalate, peperoni e peroncini. La famiglia Wildmart proprietaria di Tomatens hus, fa agricoltura dal 1990; il loro pomodoro Svea nel 2014 ha vinto un concorso nazionale ed è stato dichiarato il più saporito della Svezia. Il loro marchio si diversifica in attività complementari. Oltre alla produzione di pomodori, venduti nell’annessa boutique, insieme a salse e conserve ed altri prodotti selezionati di ottima gastronomia (sui loro scaffali in vendita un olio italiano, fra i migliori della nostra Penisola). Nel patio-giardino, fra acque che scorrono e pannelli che si ispirano al Giappone, è allestito un piccolo ristorante per spuntini light soprattutto vegetariani. Morgan Wildmark, uno dei figli, si è diplomato fornaio. Fra le sue specialità anche un pane al pomodoro. A breve distanza dal negozio di famiglia, un cottage con giardino è stato trasformato in una sala da thè che sembra aspettare Alice nel paese delle meraviglie, e lì lo chef Bjorn Wildmart secondo figlio, prepara dolci e salati a base di pomodoro, fino al sorbetto, passando per un ottimo flan la cui ricetta è assolutamente segreta.
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LA CARNE IN BOUTIQUE
SVEZIA
Ma anche David Lindegrens è un giovane speciale: dopo la laurea, con la sua famiglia si è è trasferito nei boschi di Bjäre per dedicarsi all’allevamento delle mucche Red Poll, una delle 4 o 5 razze autoctone svedese, di piccola taglia e senza corna, quasi estinta 70 anni fa, ora se ne contano 1000 e l’allevamento è supportato dal Governo. I suoi 90 capi sono allevati in modo biologico e brado, e rimangono sempre all’esterno. Il suo negozio di macelleria-gastronomia è una boutique, arredata con lampadari in ferro battuto, illuminati da candele, con un angolo libreria e oggetti di design. Nella vetrina frigo sono esposti tagli di manzo, di agnello e di maiale, salsicce affumicate, ma anche prosciutto, salame, breasaola – in italiano – (non esistono nomi equivalenti in lingua svedese). Le pareti sono rivestite da mattonelle bianche usate come lavagne dove sono scritti ricette, prezzi, pezzature, tutto con spiccato senso grafico. Nel basement c’è la cantina per la salagione, la stagionatura, l’affinamento. L’affumicatura delle carni è a freddo (40°) e al fumo di quercia. Intorno è la fattoria con attività che coinvolgono i visitatori, ci sono corsi per imparare a fare salumi, a conoscere i tagli delle carni, o partecipare alla vita agricola dell’azienda. C’è un percorso a piedi nei boschi della proprietà, accompagnati da David, con soste gastronomiche in posti panoramici. Ci si accomoda ai tavoli in uno stable restaurato e munito di ruote, che è utilizzato come ristorante mobile anche nelle fiere. Lo chef è Henrik Kristensson, la cucina è da campo, i piatti sono di ardesia: steak tartare con capperi su un cuscino di muschio; maiale cotto a basse temperature accompagnato da purea di patate e formaggio fresco e guancia di manzo rodkulla con patate (del tipo pomme rat) e cavolfiore. Che altro aggiungere? I panorami sono magnifici, i prodotti genuini, i giovani attivi ed emergenti, il governo fa programmi a lungo termine. Un Paese assolutamente da visitare.
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ALESSANDRO
MAGNUM Esperto di vino, ma soprattutto bon vivant, Alessandro Rossi è il fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”
LA DEGUSTAZIONE Degustare un vino significa valutarlo concettualmente e organoletticamente attraverso la propria conoscenza maturata negli assaggi e nelle degustazioni precedenti. Il know-how raggiunto attraverso il più importante metodo di studio, cioè la pratica, è fondamentale per accrescere sempre di più la propria memoria degustativa: chiunque, attraverso l’esperienza, può diventare un degustatore, anche se ovviamente vi è chi è più dotato a livello sensoriale e mnemonico e chi meno. Un vino, anzitutto, si degusta per valutare e descrivere le sue caratteristiche in maniera sia oggettiva che soggettiva. Il primo esame è quello visivo, cioè si osservano il colore, la limpidezza e la densità del vino. Le tonalità del colore di un vino ci possono fornire immediatamente delle indicazioni ben precise riguardo alla sua evoluzione, infatti per i vini rossi più ci si avvicina al colore aranciato o granato, più il vino è maturo (esistono parziali eccezioni, vedi Nebbioli e Pinot Neri per esempio), mentre, per i vini bianchi, più ci si avvicina a un colore giallo ambrato e più questi tendono ad essere vecchi (anche in questo caso esistono eccezioni, ad esempio quando si è in presenza di lunghe maturazioni in legno o di sovramaturazioni). La limpidezza non è da considerarsi un esame così utile per ottenere importanti informazioni al fine di una valutazione organolettica, in quanto, soprattutto ultimamente, alcuni vini sono unfiltered, cioè non filtrati né chiarificati, al fine di preservare al meglio tutte quelle sostanze che collaborano a costruire l’integrità fisica e aromatica. Osservando attentamente la pesantezza degli archetti di glicerina che si formano sulle pareti del bicchiere, otteniamo poi altre informazioni
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sulla densità, sulla consistenza e sulla complessità alcolica del vino che stiamo degustando. Successivamente si analizza un vino sotto l’aspetto olfattivo, un esame che permette di determinare, attraverso i profumi, gli aromi primari (cioè quelli tipici dell’uva, per esempio moscato e traminer), i secondari (che derivano cioè dalla fermentazione alcolica e dal tipo di lieviti utilizzati), i terziari (cioè gli aromi derivanti dall’invecchiamento del vino, anche indipendentemente dal contenitore impiegato per la conservazione, e dall’affinamento in bottiglia), l’intensità della sensazione aromatica, l’identificazione dei singoli profumi ed eventuali difetti. Molto importante è sviluppare sempre di più la memoria olfattiva catalogando i vari profumi e i singoli aromi del vino. Questa fase è la più complicata e richiede un notevole allenamento nel percorso di un degustatore, ma è fondamentale per riuscire progressivamente a individuare le uve con cui un vino è stato prodotto, l’età e la zona di produzione. Per ultima vi è l’analisi gustativa, dove si valuta, introducendo il liquido in bocca, la struttura del vino e tutto quello che abbiamo analizzato nella parte olfattiva. In questa fase si colgono anche la finezza di un vino, la dolcezza (che deriva soprattutto dalla presenza di zuccheri residui), la concentrazione alcolica (cioè quella sensazione di grassezza, calore e morbidezza che deriva dall’alcol), l’equilibrio (che nasce da una buona armonia tra le componenti, oltre che dall’evoluzione in legno o in bottiglia), la sapidità (che aumenta l’intensità e la bevibilità), la mineralità (che contribuisce ad arricchire il sapore e gli aromi), l’acidità (che dona freschezza e longevità) e la tannicità (che determina la ruvidezza, l’astringenza e la durezza di
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un vino). Il nostro assaggio si chiude con la parte concettuale, in cui cerchiamo di rispondere ad alcune domande. Intanto: mi è piaciuto o no? C’erano equilibrio e armonia? Che cosa mancava per renderlo perfetto? Avrei voluto un po’ più di acidità oppure un po’ meno di tannino? È un vino che esprime bene le caratteristiche del vitigno e del territorio in cui nasce? C’era troppo legno? C’è una precisa personalità? E così via, tenendo conto di tutti i fattori esterni che possono influire nelle risposte, a partire dall’ambiente, dalla compagnia, dalla stagione e, comunque, anche delle nostre predilezioni personali. È sicuramente interessante, e in qualche caso divertente, osservare i riconoscimenti olfattivi, gli aromi e gli odori, che i giornalisti enologici attribuiscono ai diversi vini, principalmente sulla base delle caratteristiche peculiari del vitigno piuttosto che sull’intervento umano in cantina. Diamo quindi un’occhiata a questi descrittori, limitandoci ad alcune delle tipologie più diffuse, poi decideremo se siamo d’accordo.
CHARDONNAY Nocciola tostata, mela, pera, miele di acacia, tiglio, burro, caramello, ananas, cedro, cera.
GEWÜRZTRAMINER
RIESLING Limone, pera, mela verde, mela cotogna, frutta candita, ortica, petrolio, pietra bagnata.
SAUVIGNON Limone, lime, ribes nero e rosso, pompelmo, frutto della passione, melone verde.
VERDICCHIO Anice, mela, rosmarino, mentuccia, fiori bianchi, erbe di campo, cedro.
VERMENTINO Cedro, mela, melone, menta, timo, anice, fiori bianchi, macchia mediterranea.
BAROLO (e vini invecchiati a base di uva nebbiolo, dal Barbaresco allo Sfurzat di Valtellina): rosa appassita, catrame, tabacco dolce, rosmarino, cenere, terra bagnata, basilico, liquirizia, radici.
BRUNELLO DI MONTALCINO
Buccia d’arancia, acqua di rose, litchi, frutto della passione, mango, muschio.
Brunello di Montalcino (e vini a base di sangiovese, dal Chianti Classico al Romagna Sangiovese): viola passa, prugna, liquirizia, ciliegia, balsamo, pelle, tabacco scuro.
PINOT BIANCO
CABERNET SAUVIGNON
Pesca, mela, fiori bianchi, pera, prugna, limone, ananas, noce.
Lampone, ribes nero, peperone, sigaro, cioccolato, pelle, animale, tabacco scuro, erbaceo.
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MAGNUM
MERLOT Ribes nero, prugna, mora, ciliegia, funghi, pelle e pelliccia, liquirizia, catrame, tabacco dolce.
PINOT NERO Frutti rossi, ribes nero, lampone, ciliegia, fragola, pelliccia, sangue, susina, pepe.
SYRAH Terra asciutta, pepe, animale, piccoli frutti neri, lampone, cumino, cannella, cioccolato. Da tenere presente che, nei vini più importanti, si arriva a contare più di 300 diversi descrittori, per cui c’è anche chi preferisce – forse un po’ semplicisticamente, ma non troppo – limitarsi a dire che il Taurasi sa di Taurasi e che il Brunello sa di Brunello, senza aggiungere aggettivi. Esistono certamente tanti modi di degustare, ma il migliore, per essere meno influenzati dalle etichette, è la degustazione coperta o alla cieca (blind tasting per gli inglesi, dégustation à l’aveugle per i francesi). La degustazione alla cieca consiste nel coprire (meglio ancora se si travasano in una caraffa in un locale separato, per evitare di vedere se si tratta di una borgognotta o di una bordolese o di una renana) le bottiglie che si intendono assaggiare, al fine di non essere condizionati dal tipo di vino, dalla zona di provenienza, dall’annata e soprattutto dal produttore. È infatti normale che ognuno di noi - vuoi per proprio gusto personale, vuoi grazie agli opinion leader che scrivono su riviste e blog, vuoi grazie a particolari esperienze personali - abbia all’interno del proprio bagaglio degustativo qualche produttore che apprezza più di tanti altri. Non sapere che cosa e chi stiamo degustando rende certamente più professionale, affascinante e imparziale l’assaggio, anche se questo genere di allenamento è particolarmente faticoso e difficile. È comunque importante esercitarsi in questo modo perché le varie sensazioni, i profumi e i sapori che un vino esprime du-
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rante una degustazione coperta affinano il nostro curriculum sensoriale e imprimono maggiormente le varie sfaccettature di ogni singolo vino nella nostra memoria. La degustazione coperta è considerata un metodo di lavoro, un mezzo per far parlare liberamente un vino e per non essere condizionati da niente e nessuno, in definitiva per imparare a esprimere un proprio giudizio personale non inficiato da valutazioni già espresse altri. Non mancano però degustatori che sono contrari a questo metodo e che preferiscono vedere l’etichetta in modo da poter più facilmente individuare un territorio d’origine e farsi un’idea immediata sulla tipicità del prodotto. Soprattutto, quando si assaggia alla cieca, non bisogna avere paura di sbagliare, a volte anche in modo clamoroso: succede a tutti, anche ai più bravi. Esistono inoltre due principali tipologie di degustazione comparativa: quella orizzontale e quella verticale. La degustazione orizzontale consiste nella comparazione di vini della stessa annata. Questo tipo di degustazione deve avere un comune denominatore, per esempio il vitigno o la zona di produzione, infatti di norma ci si limita alla stessa annata una singola denominazione (ad esempio Taurasi 2009 o Chianti Classico Riserva 2001). Lo scopo di questa degustazione è quello di confrontare vini con caratteristiche comuni ad eccezione del produttore. Tra gli addetti ai lavori questo tipo di assaggio è importantissimo per capire quali sono, all’interno di uno stesso territorio di produzione, le cantine di maggior interesse. Ovviamente si possono assaggiare vini di annate recenti ma anche lontane, in questo caso per aggiungere un giudizio sulla capacità evolutiva del vino, sulla vendemmia e sull’abilità delle aziende. La degustazione verticale consiste invece nella comparazione di un vino dello stesso produttore ma di annate differenti. Si tratta dunque di una valutazione storica di una particolare etichetta prodotta da un’azienda vinicola. È sicuramente una degustazione molto affascinante, dove si ripercorrono la vita più o meno lunga di un vino, i possibili mutamenti dello stile produttivo nel corso delle varie annate, ma soprattutto la storia e le potenzialità dei diversi millesimi.
V I N A R I A di Luigino Bruni
STEFANO ANTONUCCI FA IL... MOSSONE
IL PATRON DI SANTA BARBARA PRESENTA LA SUA ULTIMA CREATURA
Stefano Antonucci inizia la sua attività lavorativa in un grigio ufficio bancario di quattro metri quadrati, troppo pochi per un carattere esuberante come il suo. A metà degli anni Ottanta decide quindi di inventarsi un lavoro che gli consenta di vivere all’aperto, di muoversi, di viaggiare, e fonda un’azienda vitivinicola nel centro storico della sua Barbara, splendido paesino immerso nelle colline marchigiane. Vuole realizzare il suo sogno: valorizzare al massimo grado tutto ciò che un territorio può offrire a livello enologico. E il sogno si è realizzato.
Com’è riuscito un ragioniere digiuno di enologia a creare un’azienda che oggi è un punto di riferimento in tutto il mondo per la produzione di Verdicchio (e non solo)? Stefano ha indubbiamente personalità, passione, spirito imprenditoriale, capacità organizzative e carisma, ma ha una dote fondamentale: la consapevolezza dei propri limiti, dote rara in tempi in cui troppi si sentono in grado di fare tutto. Individua quindi le persone competenti che possano accompagnarlo nella meravigliosa avventura dell’ azienda vinicola “Santa Barbara”. È indubitabile che Stefano Antonucci abbia esaltato al meglio le caratteristiche del Verdicchio e del Montepulciano. A rappresentare il Verdicchio “Santa Barbara” da sempre sono stati il Pignocco e le Vaglie, vino questo che, a detta di Stefano con un gioco di assonanze… “toglie le voglie”.
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STEFANOANTONUCCI AZIENDA SANTA BARBARA Borgo Mazzini, 35 60010 Barbara (AN) Tel. 071.9674249 Fax 071.9674263 www. vinisantabarbara.it info@vinisantabarbara.it
Sono da segnalare inoltre la Riserva Stefano Antonucci (che credo rappresenti nel mondo il massimo grado di eleganza del Verdicchio classico) e il Tardivo Ma Non Tardo, un Verdicchio - anche questo classico - di grande personalità, ottenuto utilizzando uve raccolte tardivamente (surmaturate). Per quanto riguarda i rossi, Stefano, puntando come si è detto alla valorizzazione del territorio, si dedica prevalentemente al Montepulciano - vitigno appunto strettamente legato alle colline marchigiane - con il Maschio da Monte, prodotto per la prima volta nel 2000 solo con uve Montepulciano. Antonucci non utilizza però il Montepulciano solo “in purezza”, ma anche in sapienti uvaggi: realizza infatti con uve Cabernet Sauvignon, Montepulciano e Merlot il Pignocco rosso e la Riserva Stefano Antonucci rosso, due vini nei quali vengono utilizzate le stesse uve ma in percentuali diverse, così da ottenere due prodotti molto diversi, ognuno accattivante a suo modo. Stefano produce due bollicine straordinarie, un brut e un rosé, nate da una collaborazione con un altro meraviglioso territorio italiano: la Franciacorta. Interessante è anche il Sensuade, fatto con uve di Lacrima, Moscato Rosso e Vernaccia Rossa, nato dall’intuizione che Stefano ha avuto a Formentera di esaltare il vino rosato. Bianco è l’”Animale Celeste” - Sauvignon 100% - vino di straordinaria freschezza e piacevolezza, ideale soprattutto d’estate. L’ormai celebre rosso “Pathos” è realizzato con parti uguali di Merlot, Cabernet Sauvignon e Syrah, e prevede un passaggio di 18 mesi in barrique; è un vino elegante e allo stesso tempo dotato di una struttura capace di abbinarsi a una fiorentina, ma ideale anche con selvaggina e formaggi stagionati. Il vino a cui vorrei rivolgere maggiori attenzioni in questa passeggiata virtuale tra le botti della cantina “Santa Barbara” è il Mossone, ultima creazione di Ste-
fano Antonucci (chiamato dagli amici intimi “Mossi”), un vino prodotto con uve Merlot in purezza coltivate a circa 260 metri di altitudine, le stesse che intervengono nella composizione del Pathos; l’età della vigna è di circa 20 anni, con esposizione a sud-est, con sistema di allevamento a cordone speronato e con una resa per ettaro di 45 quintali; è vinificato in acciaio per circa 21 giorni, successivamente maturato in barrique nuove per 18 mesi e infine lasciato riposare in bottiglia per altri 6 mesi; è un vino che abbiamo assaggiato più volte: si offre alla vista con un rosso rubino vivace consistente; regala al naso sentori di marasca, mora, note balsamiche e terziarie notevoli ed eleganti; il gusto è pieno, avvolgente e caldo, con note di frutta rossa e leggera vaniglia e cioccolato, con tannini morbidi e setosi; la sua ottimale temperatura di servizio è di 16°; l’abbinamento ideale è con la selvaggina e con formaggi stagionati. Il Mossone è un vino che conquista e affascina sin da subito per lo stile deciso e inconfondibile che gli donano le uve Merlot.
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ASSAGGIO a cura di Giorgia Zucchi
DI LIBRI
Viteliù Il nome della libertà - di Nicola Mastronardi - Edizioni Itaca - 488 pagine Chi si è appassionato alle vicende di Marco e Licia nel famosissimo “Quo Vadis”, non mancherà di apprezzare la bella storia tra Marzio e Lucilla che fa da sfondo all’affascinante storia dei Sanniti, che costruirono la prima nazione cui fu dato il nome di Italia. Il romanzo comincia diciassette anni dopo il massacro compiuto da Lucio Cornelio Silla dell’etnia sannita e dalla scoperta sconvolgente della propria vera origine da parte del giovane romano Marzio.
Storie in frigorifero tutte vere… e più avventurose delle fiabe di Emanuela Bussolati e Federica Buglioni Editoriale Scienza - 112 pagine - E 9,90 La cucina è un luogo silenzioso, custode di tesori alimentari, ma se la magia potesse dare loro voce, ognuno potrebbe raccontare la propria storia o un’avventura. Per il cibo gli uomini hanno combattuto, esplorato, scoperto e di alcuni cibi hanno avuto persino paura. A tavola si sono incontrati gli uomini, si son conosciuti e stupiti delle diverse abitudini alimentari e di comportamento a tavola. Il cibo è un linguaggio universale e intrinseco di storie a raccontare. Basta sedersi e ascoltare. Un volume originale per esplorare insieme ai bambini il mondo alimentare e insegnare loro moltissime nozioni fondamentali.
Ricette buone & naturali Il meglio di Cucina Naturale Edizioni Tecniche Nuove - 128 pagine - E 9,90 Cereali, legumi, frutta, ortaggi, oli spremuti a freddo sono stati raccontati per 25 anni dalla rivista Cucina Naturale e questo volume ne racchiude le migliori ricette, basate sulla a stagionalità dei prodotti, per realizzare menù interamente vegetariani.
All’ombra dei mandorli in fiore Un ricettario dolce e salato di Rossella Venezia - Bibliotheca Culinaria Editore - 128 pagine - E 24,90 Con una serie di proposte semplici, dimostra come la mandorla può trasformarsi in poco tempo in uno snack nutriente (smoothie, granita) in un gustoso condimento (pesto, burro), in una compagna per l’aperitivo (rilettes, mandorle tostate) o in un delicato liquore. In alcune ricette, come il pollo fritto, l’agnello in crosta o il crumble, accentua la consistenza del frutto secco e la croccantezza diventa portatrice di golosità. Sfrutta sapientemente l’affinità della mandorla con il burro nei dolci da forno che spaziano dalla sorprendente Crostata di okara, grano saraceno e mandorle alla ricca Torta di cioccolato, mandorle, pere e Passito. Non mancano notizie sulle cultivar, sulle tante forme di mandorle in commercio, consigli per la loro conservazione e un appello per ricordare quanto le scelte alimentari possano influire notevolmente sull’aspetto e sulla sostanza del nostro paesaggio naturale.
Succhi freschi di frutta e verdura
Firenze
Edizioni Macro Edizioni - 188 pagine - E 5,90
Passeggiate tra cibo e laica civiltà di Fabio Picchi - Giunti Editore - 256 pagine - E 25,00
Una nuova edizione dei Macro tascabili del benessere di Macro edizioni, intermente dedicato ai succhi di frutta e agli estratti vegetali, con approfondimenti, consigli, tabelle nutrizionali e un prontuario di succhi indicati per diverse malattie per contrastare la carenza di vitamine e minerali nell’alimentazione quotidiana.
Mangiare per vivere di Joel Fuhrman - Macro Edizioni - 424 pagine - E 16,50 La salute è il rapporto tra nutrienti e calorie. L’autore indica quali sono i cibi e le ricette che ci permettono di mangiare con piacere e soddisfazione senza aumentare l’apporto calorico eliminando il desiderio di mangiare “cibo spazzatura” ad alto contenuto di grassi. Con la Dieta Fuhrman perdere 9 kg in sole sei settimane è semplice, ed è solo l’inizio!
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Fra una passeggiata e l’altra Picchi inserisce il racconto - con lo stile che gli è proprio - di cinque ricette per ogni stagione dell’anno e di 24 piatti della tradizione. Lo accompagnano nelle sue scorribande cultural-culinarie due amici stranieri, appassionati come lui di Firenze: il fotografo canadese James O’Mara e la storica dell’arte di origine inglese Stella Rudolph. A commento del testo illustrazioni di suo figlio Giulio Picchi, una delle quali all’interno della fascetta che vive così di vita propria. Ne risulta un libro che è tante esperienze insieme: un po’ guida turistica e sentimentale, un po’ memoir, un po’ racconto, un po’ ricettario, che Picchi dedica A tutti i Fiorentini, alla loro anima e al loro cuore.
di GRANDE ANNI
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