La Madia Travelfood n. 300 - Settembre 2015

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Spedizione Postatarget Magazine - Reg. Trib. di Milano N. 222 - Del 10/07/15 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via G. Pacchioni 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

Numero

31 anni di grande cucina

LA MADIA EDITORE

ANNO XXXI - Settembre 2015 - N. 300 - â‚ŹE 4,00 - Direttore ELSA MAZZOLINI

www.lamadia.com





SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD n. 300 SicurezzAtavola Il corretto taglio dei cibi per i bambini a cura del Dott. Marco Squicciarini.............................................. pag. Dietologicamente parlando Cibo vero o cibo finto? Quando l’apparenza uccide la sostanza di Primo Vercilli............................................................................ pag. Assaggi di Galateo Buone regole per l’allestimento del banchetto di Fabio Ferrantino....................................................................... pag. La scelta vegana Alimentazione vegana: la filosofia e le regole di Silvia Bianco............................................................................. pag. MondoChef a cura di Alessandra Meldolesi.................................................... pag. FashionFood Il Cibo come Cultura..................................................................... pag. Golavagando Pesce Baracca a Forte dei Marmi................................................ pag. GolavagandOraviaggiando Ristorante La Ripa a Vieste di Sandro Romano....................................................................... pag. Un Temporary Restaurant alla Triennale di Milano...................... pag. Buone Nuove................................................................................. pag. Golavagando Trattoria Bolognesi a Castrocaro Terme di Elsa Mazzolini........................................................................... pag. Golavagando “Mon Trésor” Ristorante Mariva di Claudio Mollo........................................................................... pag. Ristorante La Suprema di Claudio Mollo........................................................................... pag. Hotel Tobago di Daniele Briani........................................................................... pag. GourmetFood Rodolfo Guzmán di Flavia Tomaello........................................................................ pag. Prodotti Eccellenti Porcellane ecosostenibili distribuite da Cifa di Flavia Tomaello........................................................................ pag. Nicola Fossaceca interpreta Divine Creazioni Surgital................. pag. TravelFood Viaggio negli Iblei di Daniele Briani e Giorgia Zucchi................................................ pag. Chef di Spirito Emanuela Tommolini di Sonia Leo................................................................................. pag. Vinaria Il focus di Alessandro Magnum di Alessandro Rossi..................................................................... pag. Serenissima, il nuovo spumante veneto di Gianluca Ricci........................................................................... pag. Ecce Vinum a cura di Gianni Di Lorenzo.......................................................... pag. Tiare di Gianni Di Lorenzo..................................................................... pag. Faccio cose... vedo gente... a cura di Elsa Mazzolini................................................................ pag.

GOURMETFOOD

di

Simone Rosti

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pag. 40 AURORA MAZZUCCHELLI La forza impetuosa della sua creatività.

INTERVISTA A...

di

Alessandra Meldolesi

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MATTEO BARONETTO 52

Uno dei talenti più puri della cucina italiana.

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GOURMETFOOD

di

Elsa Mazzolini

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pag. 58

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MORENO CEDRONI La sua cucina di genio e ingegno.



EDITORIALE di

Elsa Mazzolini

300 COVER Siamo a 300, siamo ancora più giovani e forti, e per nostra fortuna, malgrado la crisi abbia colpito ferocemente anche l’editoria, non siamo morti. Però è stata dura. Anni e anni, 31 per la precisione, di solitario lavoro in un settore sul quale un tempo nessun riflettore era puntato e nel quale non esisteva comunicazione. Anni e anni a cercare di far capire che il cuoco non è quell’oscuro operaio col grembiule sporco chiuso nel proprio antro; che la cultura non è solo quella accademica; che i prodotti italiani sono il nostro più grande patrimonio; che la cucina è il più straordinario volano per il turismo che si possa immaginare. Che dire? Sono stata accontentata. Anche troppo. Cuochi star, produttori ormai simili ad orefici, scrittori, giornalisti, blogger, enogastrofilosofi dell’ultima ora, tutti a fare del cibo la maggiore fonte di ispirazione e, per i turisti, il duomo di Milano appetibile quanto il ristorante di Cracco. Una bella rivoluzione. Ma anche brutta. Perché ogni nuovo corso storico determina l’affacciarsi sulla scena di parvenu in cerca di un posto al sole, di venditori di fumo, di confusione. Oggi la cucina è caricata di un eccesso di concettualismi e di protagonismi, aspetti deteriori di un settore su cui si sono concentrati troppi interessi. Coloro che, come me, hanno lavorato per dare dignità di palcoscenico al lavoro degli chef, stanno rivedendo le proprie convizioni. Nelle ultime dichiarazioni pubbliche, Paul Bocuse, da 50 anni 3 stelle Michelin, ideologo della nouvelle cuisine e dei cuochi “visibili”, oggi ci ripensa: “Sarebbe meglio che ritornassero ai fornelli”, dichiara. Come in ogni ricetta, bisognerebbe infatti saper dosare bene ingredienti e condimenti. Ogni eccesso produce fatalmente l’effetto contrario a quello che si vorrebbe ottenere.

ME

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I ristoranti e luoghi pubblici di somministrazione degli alimenti possono essere scenario di gravi problemi legati al soffocamento per ostruzione da cibo. Per questo, per primi in Italia, sentiamo la necessità di sensibilizzare il settore professionale sull’argomento. Cuochi, camerieri, insegnanti, gestori di mense, baristi sono coloro che per primi potrebbero, intervenendo tempestivamente e con competenza, cambiare la sorte di tante famiglie.

in collaborazione con il Dott. Marco Squicciarini Medico Esperto per le tecniche rianimazione cardio-polmonare pediatrica Rete Formativa Salvamento Academy

IL CORRETTO TAGLIO DEI CIBI PER BAMBINI Come tagliare la mozzarella o il pomodoro per somministrarli a un bambino di due anni? Oppure, una carota o un chicco d’uva per uno di tre? Fino ad oggi nessuno aveva pensato di insegnare ai genitori e a chi vive vicino ad un bimbo come tagliare gli alimenti, anche se, secondo i dati del Ministero della Salute, oltre il 70% degli incidenti che riguardano i piccoli sotto i tre anni avviene a tavola (e solo il restante 30% circa deriva dall’ingestione di giochi e oggetti). Poi, nel 2012, il Canada ha deciso di creare delle linee guida per il taglio degli alimenti più pericolosi, che avevano causato anche incidenti mortali. In Europa il primo progetto sul taglio dei cibi è SicurezzAtavola: una serie di 10 brevi video di circa un minuto nei quali lo chef Dario Picchiotti e il dottor Marco Squicciarini nominato esperto presso il Consiglio Superiore di Sanità in tecniche rianimatorie, con particolare riferimento alla rianimazione cardio-polmonare pediatrica dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin nel novembre del 2014 e project manager di Salvamento Academy - mostrano come proporre gli alimenti pericolosi ai più piccoli e, in caso di ostruzione, come intervenire. Create da Mirko Damasco da un’idea del dottor Marco Squicciarini, con Maria Chiara Zucchi, caporedattore de La Madia Travelfood, questi brevi video sono stati presentati il 10 giugno scorso nello spazio We-Women for Expo del Padiglione Italia all’Expo 2015. Come spiega il CEO e founder di Salvamento Academy, Stefano Mazzei: «Non abbiamo la presunzione di insegnare come tagliare a piccoli pezzi il cibo, operazione di per sé semplice, ma piuttosto evidenziare un problema persistente, anche se raramente il cibo può essere pericoloso. La divulgazione di semplici informazioni può consentire lo sviluppo della cultura

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per la prevenzione e la diffusione delle manovre per la risoluzione dell’ostruzione delle vie aeree da alimenti. In Italia quasi un bambino a settimana (soprattutto sotto i quattro anni, quando il rischio è maggiore) perde la vita perché l’adulto che gli è vicino non riconosce il pericolo». Il dottor Marco Squicciarini ha studiato le linee guida canadesi per vari mesi «e poi ho scritto lo storyboard, formando gli chef che poi nel percorso sono diventati nostri partner come Dario Picchiotti, che interviene nelle video-pillole di SicurezzAtavola» spiega l’esperto. E continua: «Ciò è patrimonio dell’Umanità e il messaggio potrebbe davvero salvare tante vite di bambini in tanti Paesi, visto che i video sono in fase di traduzione in altre 8 lingue, oltre l’italiano» racconta il dottor Squicciarini. Attraverso questi brevi video, consultabili su www.sicurezzatavola.it e sulla pagina Youtube di Salvamento Academy, tutti possono imparare in pochi minuti che il wurstel si taglia per


lungo «fino a farlo diventare 4 e poi 8 “striscette”, e poi di traverso si effettuano dei tagli longitudinali in modo da creare pezzetti piccoli ed inoffensivi. Questo impedirà - anche in caso di ostruzione - di poter creare ostruzioni totali delle vie aeree» commenta il project manager di Salvamento Academy. Altra “pillola” è stata dedicata al chicco d’uva, al secondo posto nella “top ten” degli alimenti pericolosi. L’uva è dolce e d’estate è fresca e dissetante. Ma, se inalata, “chiude” completamente il lume delle vie aeree di un bambino fino a 4 anni, per cui anche in questo caso apporteremo delle attenzioni per renderlo non più pericoloso. «Semplicemente lo taglieremo prima in 2 pezzi e poi in 4 con il coltello, e questo ci permetterà di servirlo a spicchi non più pericolosi. Alcune maestre giudicavano “eccessiva” questa modalità di taglio, ma le attenzioni, quando si tratta della sicurezza a tavola rivolta ai bambini di pochi anni, non sono mai troppe» rassicura l’esperto. Per ciò che riguarda la mozzarella, consideriamo la sua “elasticità” che la rende pericolosa se non tagliata a pezzettini piccoli (sia essa ovolina, treccia, bufala o fior di latte). Inoltre la mozzarella, se cucinata e riscaldata, tende a ricomporsi. Si dice che la mozzarella si “cerca” e quindi, oltre a fare un “grumo”, poi diventerà anche “filante” e più difficilmente gestibile. Parlando invece dei pomodorini Pachino, non va sottovalutato il loro aspetto: «Perché più di altri alimenti possono creare problemi; oltretutto sono piccoli ed appetitosi, ed attirano i bambini facilmente. Sarà quindi di fondamentale importanza effettuare dei tagli longitudinali a metà e poi tagliarli di nuovo fino ad ottenere piccoli specchietti inoffensivi. In questo modo azzereremo la pericolosità, mantenendo le caratteristiche organolettiche e di sapore». SicurezzAtavola è quindi un progetto con due anime: da un lato le video-pillole, che per la prima volta in Europa diffondono gratuitamente a tutti le linee guida sul taglio dei cibi, e dall’altro il percorso formativo con i professionisti della ristorazione, informati da Salvamento Academy per evitare incidenti di ostruzione delle vie aeree superiori. L’obiettivo è unico: evitare il soffoca-

mento di grandi e piccoli a tavola. Il progetto SicurezzAtavola è partito proprio con l’intento di sensibilizzare il settore professionale allo scopo di creare una formazione mirata e di alto livello, affinché cuochi, camerieri, gestori di mense, baristi siano in grado di intervenire tempestivamente e con competenza, cambiando la sorte di tante famiglie. Il progetto è stato sostenuto fin dal’inizio dal Maestro Gualtiero Marchesi, il primo a sposare la causa, e da altri chef stellati come Carlo Cracco. Il Maestro si è documentato sulla disostruzione e, comprendendo la lacuna culturale nel settore, ha offerto l’utilizzo dell’Accademia Gualtiero Marchesi di via Bonvesin a Milano, come sede per lanciare il progetto. «Il patto era che lui per primo si potesse formare insieme al personale del Marchesino e ad altri chef stellati» spiega Maria Chiara Zucchi. Il progetto prevede in tutta Italia la formazione da parte degli istruttori di Salvamento Academy alla conoscenza delle manovre di disostruzione pediatriche del personale e la cardioprotezione dei ristoranti, che saranno poi censiti e mappati sul sito www.sicurezzatavola.it. A breve verranno attivati i corsi di “SicurezzAtavola”, dove sarà possibile fare training sulle metodiche di taglio dettate dalle linee guida internazionali e imparare le manovre di disostruzione sul bambino e sull’adulto, le manovre di rianimazione e, non ultimo, l’uso del defibrillatore che in molti Paesi è già obbligatorio nei luoghi pubblici. Perché, come dice il dottor Squicciarini “Chi salva un bambino… salva il mondo intero”. Per informazioni cliccare su www.sicurezzatavola.it.

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DIETOLOGICAMENTE PARLANDO

a cura di Primo Vercilli Medico Dietologo

CIBO VERO O CIBO FINTO? QUANDO L’APPARENZA UCCIDE LA SOSTANZA

È incredibile come non ci siano, ormai, giorni in cui, da qualche parte, non si parli di cibo o non vengano lanciati messaggi su “quanto è buono quello” o su “quanto fa male quell’altro”. Ma la cosa incredibile è che questo è quello che noi costantemente cerchiamo: conferme, nuove scoperte, nuovi proclami. Siamo sempre alla ricerca che qualcuno ci dica qualcosa, che ci rassicuri o ci allarmi, ci stupisca o ci irriti. In questi ultimi anni l’impatto mediatico che il cibo ha avuto nelle nostre giornate è aumentato in modo incredibile: fatto sta che, ormai, il cibo è diventato uno strumento mediatico importantissimo, che trascende le normali considerazioni nutrizionali. A volte è diventato un fatto puramente estetico e nient’altro. E noi siamo talmente sommersi da tanta imponenza mediatica, che stiamo completamente perdendo il senso e la misura del rapporto con il cibo. Ecco perché ormai andiamo alla ricerca di qualcosa che il cibo non ci dà e non riusciamo a recuperare tutto quello che di buono può darci. Tempo fa, su un quotidiano nazionale, uscì un articolo dal titolo “Record di Nobel ai Paesi che mangiano cioccolata”. Nell’articolo si leggeva che “dove il consumo pro capite scende sotto i cinque chilogrammi l’anno, il numero dei riconoscimenti si riduce”. Fantastico! Sono certo che, dopo aver letto questo articolo, il consumo del cioccolato è sicuramente cresciuto, incitando all’acquisto quanti pensano che per mangiare un po’ di cioccolato abbiamo bisogno di una giustificazione, un alibi, che ora è quella che il cioccolato ci fa sicuramente diventare più intelligenti! Ma purtroppo i nostri consumi sono totalmente condizionati da evidenze che poco hanno a che vedere con l’essenza del cibo stesso. E si arriva

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all’assurdo! C’è un signore che gira il mondo mettendo a tavola (per miseri 120 euro a persona!) un menu che coniuga l’utilizzo di materie prime naturali con profumi chimici (le “portate olfattive”, come lui le chiama!). E’ uno dei massimi esperti di fragranze, giornalista, scrittore e risponde al nome di Chandler Burr. È stato anche recentemente in Italia, al St. Regis Grand Hotel di Roma, dove ha proposto “concentrée d’orange verte” abbinato a “capesante norvegesi marinate al Campari con arancio caramellato, limone e lime grattugiato”, per finire con un “Jardin Mediterranee” abbinato a “frangipane di marzapane ai fichi e uvetta e gelato al cocco”. Come potete vedere la sperimentazione arriva ormai a dei livelli talmente imbarazzanti, da non farci più comprendere cosa sia il cibo. Questa è solo la punta di un iceberg talmente grosso che sta portando a fondo tutta la nostra cultura alimentare. Cosa siamo diventati? Siamo ormai talmente attratti dall’estetismo, dal sensazionalismo, dal proporre più l’apparenza che la sostanza, che non abbiamo più la capacità di distinguere sapori, aromi, odori genuini. Forse dovremmo cominciare a trattare il cibo per quello che realmente è e non per quello che vogliamo che diventi o per quello che pensiamo che ci faccia diventare (più intelligenti?). Proviamo a ricordare il profumo dell’odiato-amato minestrone della nonna, l’intenso odore del formaggio di malga o delle mele rubate da un albero del Trentino! Proviamo a ricordare tutto questo e cominciamo a chiederci se siamo in grado di riconoscere i finti perini dell’ipermercato o le mele super-rossissime delle bancarelle di città. Poveri di profumi e di sapori… E siamo talmente privi di educazione a sentire e ad ascoltare il cibo,


DIETOLOGICAMENTEPARLANDO

che ora, per mangiarlo, dobbiamo abbinarlo a dei profumi finti, come il “concentrée d’orange verte”! E badate che una giornalista di Newsweek ha definito la cena di Burr “un’estasi gastronomica”! Noi cerchiamo i pomodori super-rossi perché pensiamo che siano più buoni, senza sapere che i pomodori più buoni e saporiti sono quelli che sono verdi vicino al gambo (infatti la maturazione uniforme impedisce un adeguato rilascio di zuccheri e carotenoidi, dando vita ad un pomodoro semplicemente anonimo). Senza parlare di come ci facciamo irretire da sapori e odori costruiti a tavolino, appositamente per “catturare” il nostro palato. L’operazione che ci porta a scegliere cosa mangiare o cosa rifiutare si è fatta sempre più ardua proprio per la presenza di un armamentario chimico che imita sapori, profumi e genuinità anche dove non esistono. E, purtroppo, le industrie sanno bene che quanto più piacevole e unica sarà l’esperienza della sinfonia sensoriale provata dal consumatore, tanto più facile sarà il desiderio di ripeterla. Fortunatamente, nella sua “estasi gastronomica” Chandler Burr ha proposto, insieme ai suoi profumi chimici, piatti di qualità, con materie prime ottime. Ma il dado è tratto: se la strada è quella di abbinare i profumi, farsi trascinare dalla chimica, a patto che sia gradevole, un domani, al posto delle capesante norvegesi ci potremo ritrovare con una “compressione di merluzzo norvegese avvolta da gelatina al limone”, che altro non è che una… banale pillola! Il quadro è ovviamente anche più complesso rispetto a quello che sto illustrando. Gli interessi economici sono numerosissimi e ciascuno cerca di portare acqua al suo mulino. In questo marasma “culinario” considerate

anche che è facilissimo divulgare false notizie che hanno solo una parvenza scientifica, ma che, in effetti, sono delle vere e proprie bufale. L’ultimo esempio è quello avvenuto poco tempo fa: i giornali di mezzo mondo, citando uno studio pubblicato da una importante rivista scientifica, hanno divulgato in modo falso che per dimagrire basta mangiare tutti i giorni un po’ di cioccolato! Qualcuno penserà che ce l’ho con il cioccolato, ma non è assolutamente così: a me il cioccolato piace moltissimo e continuerò a mangiarlo! Ma il problema vero è che è assurdo pensare di mangiare il cioccolato solo perché fa dimagrire… è assurdo ma, soprattutto, è falso!... come il fatto di illudersi di mangiare del marzapane senza mangiarlo. Il cibo va utilizzato per quello che è, non per quello che pensiamo che sia. Dobbiamo smetterla di inseguire falsi miti, solo per crearci alibi che ci permettano di mangiare qualcosa. Se un cibo ci piace, lo dobbiamo mangiare; lo dobbiamo mangiare “veramente” e non sotto forma di semplice essenza… ma per mangiarlo veramente, dobbiamo imparare a gestirlo nell’ambito di un ordine quotidiano. Altrimenti il nostro sarà solo un gusto “scenico”, senza sostanza, pieno di alibi… e continueremo così tra cibi falsi e/o veri, fino a quando non arriverà un nuovo articolo che ci dirà che se vogliamo avere un quoziente intellettivo più alto dobbiamo solo mangiare l’essenza di marzapane! e noi ovviamente, lì, ci tranquillizzeremo e penseremo che, in fin dei conti, mangiamo proprio bene: ieri abbiamo mangiato il cioccolato e già ci sentivamo più intelligenti; ma oggi stiamo diventando dei novelli Einstein perché sul cioccolato ci abbiamo messo una fantastica essenza di marzapane! Cosa cerchiamo di più?

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Gala teo ASSAGGI DI

a cura di Fabio Ferrantino Docente di Galateo presso Bon Ton Academy Professore di Enogastronomia IPSSAR Piobbico

BUONE REGOLE PER L’ALLESTIMENTO DEL BANCHETTO STILE ED ELEGANZA PER UN RICEVIMENTO PERFETTO Settembre è da sempre un mese privilegiato per gli eventi legati alla banchettistica, soprattutto per i matrimoni. Eventi nei quali non ci si può permettere errori. Per questo è fondamentale comprendere, fin da subito, cosa si aspettano i committenti da quella giornata. Nel primo incontro con dei clienti potenziali, riuscire a interpretare le esigenze del banchetto e donare sicurezza a chi ci richiede il servizio saranno le armi vincenti per ottenere la commissione. La ristorazione evolve e spesso ci si trova davanti ad esigenze particolari: sta al ristoratore o al banqueting manager la capacità di affrontare la progettazione migliore in base alle necessità. Ciascuna di queste figure deve essere in grado, inoltre, di offrire alternative valide in caso di impossibilità nell’effettuare determinati servizi. Non si risponde mai ad una richiesta con un “NO” categorico detto a priori. Bisogna sempre cercare di spiegare, a chi non è del mestiere, il perché non si può effettuare un determinato lavoro e, se possibile, offrire una soluzione adeguata. Dobbiamo sempre avere presente l’impegno mentale ed economico di chi ci richiede il servizio. Spesso, una delle volontà delle coppie giovani, che vogliono festeggiare in una location dotata di un ampia zona esterna e con molti invitati giovani, è quella di progettare il proprio ricevimento all’aperto con i tavoli in giardino ed un servizio totalmente a buffet. In questi casi bisogna far comprendere sempre le criticità che

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si potrebbero sviluppare. La buona riuscita di un banchetto deve essere resa possibile con qualsiasi condizione climatica, pertanto è sconsigliato prevedere lo svolgimento del ricevimento all’esterno senza avere un piano di riserva in caso di maltempo. Anche sul servizio totalmente a buffet vi sono delle criticità. Il banchetto in generale è un ricevimento di ringraziamento rivolto agli invitati ed è fondamentale che questo ringraziamento arrivi a tutte le persone coinvolte in modo equo. Inoltre, è importante predisporre diverse isole di buffet in modo da rendere più fluido il servizio e porre attenzione soprattutto nella realizzazione di più punti per le bevande. È consigliato prevedere sempre alcuni camerieri in più per sorvegliare la zona dove vengono sistemati i tavoli, in modo da servire eventuali persone anziane o persone che hanno difficoltà nell’avvicinarsi al buffet. È buona norma di bon ton far servire almeno la portata principale del secondo e la torta, infatti quest’ultima rappresenta la portata finale e la più importante per ringraziare le persone presenti, dunque, diviene fondamentale che tutti la possano mangiare ma, in un servizio a buffet, questo potrebbe non accadere. Quando si parla di banchettistica bisogna sottolineare la formalità del servizio ed è importante curare i dettagli con stile ed eleganza. Nell’aperitivo inziale e durante tutto il banchetto lo staff deve essere in perfetto ordine con le divise che dovranno interpre-


ASSAGGIDIGALATEO

tare la formalità dell’evento, tenendo però sempre conto della praticità. Anche il personale di cucina è spesso presente al buffet per degli eventuali show cooking per gli ospiti; è dunque importante ribadire i concetti di ordine, pulizia e buona presenza. Se l’aperitivo avverrà in un luogo differente rispetto alla sala principale, bisognerà prevedere alcune sedute per una buona percentuale degli invitati, sedute che andranno posizionate, se il ricevimento si svolgerà a pranzo, in punti d’ombra naturali o sotto degli appositi ombrelloni. Per i ricevimenti formali, come un banchetto di nozze, si può optare per due tipologie di disposizione della sala: tavoli rotondi o tavoli imperiali. I primi sicuramente sono più adattabili, anche se rubano maggior spazio. I tavoli imperiali non si addicono a sale che hanno divisioni strutturali, inoltre potrebbero rallentare il servizio, anche se permettono allestimenti estetici più importanti. A proposito di questo, è buona norma di bon ton, non utilizzare centro tavola alti che vanno ad ostacolare la vista fra gli invitati. Per quanto riguarda i tavoli rotondi è opportuno non superare le dieci persone per tavolo, altrimenti ci sarebbe una distanza frontale fra di loro tale da non permettere il dialogo (lasciamo uno spazio di almeno cinquanta centimetri fra un commensale e un altro).

LA DISPOSIZIONE DEGLI OSPITI NEI TAVOLI Per la disposizione degli ospiti vi sono delle regole precise di galateo. Per i tavoli rotondi, oltre al tavolo principale dove si accomoderanno gli sposi, rispettivamente la sposa a destra dello sposo, i seguenti verranno disposti a scalare per ordine di importanza. Di lato o davanti, i tavoli con i genitori e i parenti stretti, quello dei testimoni di nozze e man mano gli altri gradi di parentela fino agli amici. E’ opportuno considerare sempre anche la postazione della musica, meglio vicino a un tavolo di amici giovani che vicino ai nonni o agli zii più anziani, a cui potrebbe arrecare disturbo. Per i tavoli imperiali, meglio una predisposizione a ferro di cavallo o reale ove possibile. Per i posti: nel tavolo centrale andranno gli sposi, sempre sposa a destra dello sposo. Di fianco alla sposa seguiranno il padre del marito, i testimoni ed il padre della sposa. Di fianco allo sposo ci sarà la madre della sposa, a seguire l’officiante, la madre dello sposo e i testimoni. Per il pranzo o la cena placè, che si addicono maggiormente a un ricevimento più formale, è rigoroso seguire il galateo per una corretta mise en place. In queste tipologie di banchetto si addice il piatto segnaposto, che può essere in argento, come

anche la posateria: sicuramente dona più lucentezza e importanza al tavolo. Per i bicchieri, meglio dei calici alti che si addicono maggiormente ad un ricevimento formale, come un galà. Nella mise en place di base, il posto del commensale si presenterà con un piatto segnaposto, sul quale andrà appoggiato il tovagliolo che non dovrà essere troppo lavorato. Meglio optare per un lavorazione con un’onda semplice nella quale inserire il menù con il nome degli sposi ben visibile. Per la posateria base si prevederanno due forchette a sinistra e un coltello con lama rivolta verso il piatto a destra. Eventuali posate per il dessert o la frutta saranno posizionate dinanzi al piatto segnaposto e di fianco ai bicchieri. Il piattino da pane sarà situato in alto a sinistra, davanti alle forchette. È di buon gusto non porre già a tavola, prima che arrivi l’invitato, le bottiglie di vino, la formaggera ed il pane, se messo in dei cestini e non sul suo apposito piattino: tutto ciò andrebbe in contrasto con l’allestimento estetico del centro tavola di cui non potrebbero godere appieno gli invitati. Per gli stili di servizio si può optare per un servizio all’inglese, a vassoio, sicuramente più comodo per la cucina, soprattutto in situazioni di banqueting in strutture con spazi limitati dove operare, senza allungare i tempi di attesa fra una portata e l’altra. Oppure il servizio impiattato, più bello a livello estetico, ma che richiede un maggior numero di cuochi e di spazi più grandi, per mantenere sempre un servizio fluido e non troppo lungo. E’ molto importante il rispetto dei colori, a partire dal centro tavola, fino al tovagliato e al menù: tutto deve essere armonioso, meglio optare dunque per tonalità chiare come il bianco, il panna e l’avorio. Solo ai fiori è consentita l’eccezione di essere di diversi colori, mantenendo comunque una certa armonia cromatica. In caso di presenza di un cadeau de mariage, detto anche segnaposto o se qualcosa di più importante come la bomboniera, questi andranno sistemati o sul posto di ogni commensale (nel caso di un oggetto piccolo con i confetti) oppure su un tavolo apposito che verrà allestito verso la fine del ricevimento, in modo da permettere ai festeggiati, nel caso delle nozze, agli sposi, di donare agli invitati che alla fine lasciano il ricevimento, un regalo di ringraziamento. Per curiosità e bon ton, il numero di confetti nuziali deve essere sempre cinque, riconducibili a salute, ricchezza, felicità, lunga vita e fertilità. Nei ricevimenti in generale, è sempre di fondamentale importanza la cura del dettaglio, soprattutto sulla tavola: il rispetto dei colori, un centrotavola non troppo vistoso, un cadeau de mariage non troppo evidente. Vale sempre la regola della semplicità come sinonimo di eleganza.

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LA SCELTA VEGANA

a cura di Silvia Bianco testimonial di cucina vegana

ALIMENTAZIONE VEGANA: LA FILOSOFIA E LE REGOLE In questi ultimi anni è cresciuto esponenzialmente l’interesse per la dieta vegana. Per molti è un approccio ad un regime alimentare più sano, altri vi uniscono l’aspetto salutistico ed etico-ambientale, per altri ancora è un nuovo modo di fare cucina. Dalla cucina macrobiotica si è ereditata l’idea che mangiare in modo più naturale possibile e senza troppi interventi industriali, di cotture e condimenti non sia particolarmente esaltante dal punto di vista del gusto. C’è da dire che per passare da una dieta ricca di sapori ad una un po’ più “leggera”, occorre una rieducazione del palato. Però, contrariamente a quanto si può pensare, un’alimentazione vegana non è affatto priva di sapori, anzi il dover reinventare sapori, creare nuovi accostamenti sfruttando al massimo spezie ed aromi, dando spazio e libertà alla propria creatività, rende la cucina vegana molto interessante e priva di sacrifici sensoriali. Qualsiasi sia la motivazione che spinga a diventare vegani, o semplicemente a gustare un menu vegano, appagherà i sensi e farà riscoprire i sapori come se fosse la prima volta. Con i prossimi numeri della rivista, esamineremo nello specifico la cucina vegana, studiando le alternative che propone e imparando ad utilizzarle. In questo numero conosceremo i principi e i riferimenti storico-culturali-sociali che ruotano attorno a questa scelta. La storia di chi decide di non mangiare più carne e pesce e di chi esclude ogni tipo di prodotto di origine animale dalla propria dieta e quotidianità, risale a ben oltre 2000 anni fa.

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VEGETARIANI E VEGANI: CENNI STORICI Difatti questa scelta non è una moda passeggera, ma ha profonde radici storico-culturali. Già nell’antica Grecia si trovano testimonianze di questa scelta di vita: Pitagora, filosofo e matematico, fu tra i primi a parlare dei principi di alimentazione senza derivati animali, influenzando i suoi discepoli Socrate e Platone. Il termine “vegetariano” fu coniato nel 1842 dalla Vegetarian Society in Inghilterra e solo il 1° Novembre del 1944 venne creato il termine “vegan” come contrazione di vegetarian (le prime tre e le ultime due lettere). A farlo fu Donald Watson che, nel novembre dello stesso anno, fondò la Vegan Society che propone il veganismo come “..una filosofia e uno stile di vita che cercano di escludere - nel limite del possibile e praticabile – tutte le forme di sfruttamento e di crudeltà rivolte agli animali per ricavarne cibo, vestiario ed ogni altro prodotto, e per estensione, promuove lo sviluppo e l’utilizzo delle alternative ai prodotti di origine animale per il beneficio dell’umanità, degli animali e dell’ambiente. In termini di regime alimentare denota la pratica di sbarazzarsi di tutti i prodotti interamente o parzialmente di origine animale..” (Cit The Vegan Society, The Memorandum and Articles of Association, 1979). Da allora, ogni anno, il 1° Novembre in tutto il mondo si festeggia la ricorrenza del Word Vegan Day.


LASCELTAVEGANA

UN PO’ DI NUMERI, IN ITALIA E NEL MONDO I vegetariani in Italia sono circa il 7% (circa 4 milioni) mentre i vegani sono circa l’1% (circa 400 mila) – Dati Eurispes 2014: negli Stati uniti, più di 7 milioni sono i vegetariani, di cui oltre 1 milione vegani (dati Vegetarianism Times study America 2014). Si stima che i vegani nel mondo siano oltre 6 milioni.

VEGETARIANI E VEGANI: CHI SONO E CHE COSA (NON) MANGIANO Vegetariani: non mangiano carne, pesce, insaccati. Sono invece permessi nella loro dieta i formaggi e tutti i latticini in genere, burro, strutto e uova. Vegani: non consumano carne, pesce, insaccati, uova, latte, yogurt e formaggi e nemmeno il miele. L’apicoltura viene intesa come sfruttamento delle api, le quali vengono private del loro cibo (lo stesso miele che producono) ed in sostituzione vengono spesso alimentate con dei surrogati dello zucchero. Bandita anche la colla di pesce/gelatina alimentare, i lieviti per dolci con stabilizzante E470a che può essere di origine animale, lo zucchero bianco che spesso viene sbiancato con filtri derivati da carbone animale. Anche il vino viene eliminato dai vegani eticamente più rigorosi, poiché nella stragrande maggioranza dei casi vengono utilizzati coloranti, come l’E120, colorante animale, oppure prodotti di origine animale (albumina, colla di pesce, caseina,etc..) per la chiarificazione di vini e birre. Ci sono comunque buone notizie riguardo al vino e nei prossimi numeri vedremo meglio la questione degli alcolici e di come i vegani più esigenti possono godersi il “nettare degli dei” senza porsi limiti sull’eticità del prodotto. In ultimo anche l’olio di palma è un alimento che sia vegani che vegetariani escludono, sebbene sia un olio vegetale. La sua produzione ha un impatto ambientale mostruoso con ettari di foreste bruciate e conseguente rischio altissimo di estinzione degli oranghi, oltre alla scomparsa delle popolazioni indigene. La scelta vegana si estende al di là dell’alimentazione, rifiutando anche capi di abbigliamento (scarpe incluse) e quindi niente lana, seta e pelle, e ai detergenti per la casa, cosmetici e prodotti farmaceutici che contengano ingredienti di origine animale o che vengano testati su animali. Perché si segue una dieta vegana? Le motivazioni sono varie e soggettive, perché non si tratta di una religione, ma di una scelta personale. La scelta è principalmente mossa dalla compassione e dal rispetto verso gli ani-

mali, per tutelarne i diritti opponendosi allo sfruttamento negli allevamenti ed alla sperimentazione. Non solo: è una scelta salutistica poiché è un regime alimentare ricco di fibre, vitamine, minerali e antiossidanti, che favorisce bassi livelli di colesterolo e trigliceridi, riducendo i rischi di sviluppare tumori, diabete, obesità, problemi cardiaci e numerose altre malattie, offrendo una prospettiva di vita più sana e longeva. La dieta vegana è anche più eco-sostenibile, basti pensare che il 50% dei gas serra sono generati dagli allevamenti intensivi. La produzione di cereali come mangime per gli allevamenti di bestiame sono infatti causa di deforestazioni, perdita di habitat naturali e estinzione di specie. Attualmente il 70% di consumo d’acqua viene utilizzato dall’agricoltura e zootecnia, considerando che il 50% dei cereali prodotti sono destinati come mangimi per gli animali da allevamento intensivo. Ma quindi cosa mangia un vegano? Tutti i tipi di frutta fresca ed essiccata, verdura, cereali, noci, semi e germogli. Al posto di carne e latticini di origine animale, i vegani utilizzano alimenti sostitutivi come i legumi, il tofu, il seitan, il tempeh e latte vegetale (ad esempio di soia, miglio, farro, riso, avena, etc)..Tutti questi prodotti possono essere rilavorati per ottenere diverse tipologie di alimenti che arricchiscono maggiormente la dieta vegana e di cui vedremo più avanti produzione ed utilizzi.

Silvia e gli esperti rispondono... Temo di avere carenze di ferro se non mangio carne, è vero? Quello del ferro è un falso mito: sebbene il ferro contenuto nei vegetali lo sia in forma non-eme (meno facilmente assimilabile), esso si trova nella stragrande maggioranza dei cibi utilizzati dai vegani. Consigliamo di associarli, all’interno dello stesso pasto, alla vitamina C che ne favorisce l’assorbimento fino a 6 volte. Basta quindi una spruzzata di limone su ortaggi, legumi, verdure a foglia verde scura, cereali o germogli di cereali (soprattutto miglio e quinoa) per coaudiuvarne i valori nutritivi. Anche la frutta secca, le spezie e le erbe aromatiche come timo, basilico, menta e maggiorana sono delle eccezionali fonti di ferro. Gli integratori di ferro possono essere utili; meglio assumerli solo in caso di carenze diagnosticate dal medico: il malassorbimento del ferro, talvolta, non è da ricondursi a ciò che si mangia, ma ad altre disfunzioni del nostro corpo. E per la B12, come fai ? La B12 biologicamente attiva è prodotta ESCLUSIVAMENTE da microorganismi quali batteri del terreno e non viene sintetizzata da piante o dagli animali. Oggi viviamo in condizioni “innaturali” dove tutto ciò che ci circonda viene sanificato con detergenti, disinfettanti e antibiotici che distruggono questi batteri “buoni”. Attualmente le fonti dietetiche di B12 sono rappresentate da cibi animali da allevamento, a cui vengono somministrati integratori e da cibi vegetali addizionati di B12. Il consiglio è quello di assumere vitamina B12 tramite integratori (che si ottengono unicamente da sintesi batterica) e vale per tutti: vegani, vegetariani ed onnivori. Inviate le vostre domande a: lamadia@lamadia.com

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LA SCELTA VEGANA

Ricette ideate dallo chef Chicco Coria Ristorante ONERESTAURANT Dalmine (BG)

Panzanella

rivisitata con insalata di fagioli INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

g. 200 di pancarré, g. 100 di cipolla rossa, g. 100 di peperoni

Tagliare il pancarrè a pezzi e condirlo con acqua e aceto. Tagliare le verdure a cubetti e con-

rossi, g. 100 di sedano verde, g. 100 di pomodori ciliegino, g. 2

dirle con aceto e poco sale. In una casseruola mettere i fagioli con il bouquet di erbe, coprirli

di aneto, g. 1 di erba cipollina, g. 2 di prezzemolo, g. 10 di aceto

con acqua e cuocerli per circa 1 ora. Scolarli, aggiungere l’olio e regolarli di sale. Aggiungere

di vino rosso, g. 2 di sale, g. 50 di cetrioli, g. 40 di peperoni gialli,

il pane alle verdure e le erbe tritate fini.

g. 80 di fagioli ammollati, 1 bouquet aromatico, g. 40 di olio

Disporre il pane con la verdura sul piatto dandogli una forma cilindrica. Terminare con i fa-

extravergine.

gioli tutti intorno e altre erbe aromatiche.

Cous cous

di cavolfiore in brodetto di zafferano, ortaggi e olive taggiasche INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

g. 500 di cavolfiore, g. 50 di carote,

Lavare i cavolfiori e tagliarli a pezzi grossolani.

g. 50 di peperone rosso, g. 50 di zuc-

Sbianchire i cavolfiori per due minuti in acqua

chine, g. 50 di cipolla bianca, g. 50

bollente e raffreddarli in acqua e ghiaccio. Grat-

di sedano, acqua q.b., 1 bustina di

tuggiare il cavolfiore finemente e tenerlo da par-

zafferano, g. 50 di olive taggiasche,

te. Lavare e pelare le restanti verdure e tagliarle

g. 50 di olio, sale q.b.

a brunoise. Versare in una padella svasata un goccio di olio e unire le verdure; rosolarle leggermente per un paio di minuti e aggiungere acqua fredda; unire lo zafferano e cuocere il tutto per circa due minuti. In una padella svasata mettere il cous cous di cavolfiore con un goccio di olio, saltarlo per due minuti e aggiungere un pizzico di sale. Posizionarlo con l’aiuto di un anello in fondina e disporre tutto intorno il brodetto di verdure e zafferano, terminando con un trito di olive.

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M

NDO

chef

a cura di Alessandra Meldolesi

CUOCOMERCATO Massimiliano Poggi ha finalmente firmato: sarà suo il Sole di Trebbo di Reno, rimasto nel cuore e nell’indirizzario dei foodies bolognesi grazie alla memorabile stagione creativa di Marcello e Gianluca Leoni, che hanno lasciato la balena di via Stalingrado per Home Kitchen Atelier, home restaurant ubicato in via Ugo Bassi. Al termine dei lavori di ristrutturazione, presumibilmente in gennaio, Poggi vi proporrà una cucina gourmet in continuità con la proposta del Cambio e in sintonia con lo spirito dei luoghi, assieme al socio di sempre Gianni Fruzzetti, che ne disegnerà la cantina. Il locale di via Stalingrado non sarà ceduto ma convertito in una trattoria di cucina bolognese sul modello di Vicolo Colombina. Tris che segna il rilancio di un protagonista storico della ristorazione bolognese, cuoco ma anche imprenditore. Nel frattempo Giancarlo Perbellini aggiunge una nuova bandierina alla fitta mappa dei suoi locali veronesi. Si tratta dell’Hotel Marriott di Venezia, di cui ha iniziato a curare la ristorazione con l’aiuto dello chef di casa Federico Belluco, ex di Casa Perbellini. “Si chiama Dopolavoro Giancarlo Perbellini perché non è solo una consulenza: ho scelto personalmente la brigata e composto i menu con Federico. La carta in essere è stata definita sul posto con i cuochi della casa e i prodotti locali, più alcuni dei miei piatti storici. Mi vengono in mente la ricciola marinata con emulsione di cozze

e pane al gratin, il risotto al nero di seppia con insalata di spezie e pomodori confit o gli spaghetti al pomodoro con ricci di mare. I degustazione sono due: i classici di Giancarlo Perbellini a 98 euro e le nuove proposte a 150. Nell’insieme un ristorante molto diverso da Casa Perbellini, più formale ma con la stessa mano e lo stesso sistema di lavoro, perché è aperto solo di sera ma i cuochi entrano alle 2 per fare la mise en place tutti i giorni. Ci sono un plateatico all’aperto dove si può mangiare con vista orto e la darsena privata per arrivare in barca”. Ciccio Sultano invece raddoppia a Ragusa Ibla con i Banchi, locale polifunzionale ubicato nei bassi di palazzo Diquattro, aperto dalle 8 di mattina a mezzanotte. Affianca ai banchi di un mercato, stipati del meglio dell’artigianato gastronomico isolano, una proposta gastronomica firmata da Sultano (che ha definito ricette e ingredienti) ed eseguita da uno dei secondi del Duomo, Giuseppe Cannistrà. Ne è protagonista il pane, passione dello chef, con proposte sempre nuove volte a esaltare il profilo ludico dell’esperienza. Alle colazioni, con le granite di rito, la cucina fa seguire street food, paste, pietanze al barbecue, di pesce e di carne, da accompagnare con cento etichette di vino, soprattutto siciliane, soft drink e bollicine. Il menu degustazione costa 45 euro, con abbinamenti 65. In una delle due grotte è disponibile un tavolo conviviale da 20 posti.

Mentre Carlo Cracco ha iniziato a lavorare al suo trasferimento da via Victor Hugo alla Galleria Vittorio Emanuele II, si sono accesi i fornelli del Mandarin Oriental di Milano, dove Antonio Guida è affiancato da un secondo d’eccezione, Matteo Lorenzini, chef prodige delle rimpiante Tre Lune a Calenzano. Sul fronte ligure Luca Collami, alias Mister Baldin, ha traslocato i suoi sapori da Genova Sestri a Boccadesse, sorta di borgo marinaro in città, con la sua spiaggia amatissima dai genovesi. L’inaugurazione è caduta il 3 luglio: il ristorante, storico, occupa vari livelli, con cromatismi sul grigio, tovaglie color cru e un’ampia terrazza sul mare. I coperti sono 45 dentro e 45 fuori; la cucina è forse meno impegnativa del passato, con un menu gourmet da 5 portate a 38 euro, la formula lavoro a 25 e la tradizione a 40. Da non perdere il crudo e la zuppetta imperiale. A settembre tornerà in una dépendance anche la scuola di cucina con spazio aperitivi. Si segnalano inoltre gli spostamenti di Irina Steccanella, regina delle tagliatelle bolognesi, dall’Osteria Vini d’Italia al modenese Panino di Giuseppe Palmieri; di Cristian Mometti presso l’Osteria di Porta Europa dei fratelli Leoni, ribattezzata La Porta Cafè e aperta da mattina a sera; di Ivan Milani dal San Quintino Resort a una nuova destinazione torinese e di Giulio Terrinoni, ex di Acquolina, in zona Campo de’ fiori; a Parigi i locali in allestimento di due pezzi da novanta della bistronomia come Simone Tondo e Giovanni Passerini.

I grandi di ieri sono ancora quelli di oggi Dalle cucine dell’ Expo escono “finalmente” piatti veri grazie a 2 “ragazzini” dai capelli bianchi, due Maestri della cucina italiana che si cimentano ai fornelli senza giochi di prestigio, effetti speciali e follie varie. Con pochi ingredienti riescono a creare autentici capolavori culinari, sapori nuovi, netti e riconoscibili. E’ il trionfo della semplicità e dell’eleganza. Bellissime le presentazioni dei piatti. Oltre ad essere grandi chef, Marchesi e Santin hanno, a differenza di tanti giovani “acrobati delle padelle”, il dono raro della modestia e di riconoscere l’importanza del servizio di sala, il lavoro oscuro e sottovalutato del cameriere, la figura professionale del sommelier. Solo i grandi sanno riconoscere i meriti altrui. Sono sicuro che i loro insegnamenti saranno sempre riferimento esemplare, trascinamento, conoscenza, espansione dei valori della professionalità. Grazie cari amici per avermi dato tantissimi anni di amicizia e di frequentazione. Oggi, da “pensionato” quale sono, rivederVi insieme ho provato una profonda, sincera emozione. Grazie di tutto. e-mail di Gianfranco Bolognesi

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FASHIONFOOD

IL CIBO COME CULTURA di Massimo Montanari

Nell’anno in cui si svolge la grande Expo milanese incentrata sul tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, Utet – l’editore che nel corso dei suoi 225 anni di storia ha costituito una delle voci più continue e importanti dell’editoria italiana - presenta una “grande opera” dedicata alla Cultura del Cibo. Si tratta di un progetto editoriale che ha visto la partecipazione di oltre 120 autori specialisti italiani e stranieri, sotto la direzione mia e di eccellenti studiosi quali Alberto Capatti (volume 3), Françoise Sabban (volumi 1 e 2), e che si è tradotto in 4 volumi di oltre 2000 pagine complessive, impreziosite da ricchissimo apparato di immagini che accompagnano i testi suggerendo stimolanti percorsi di conoscenza. Perché il titolo Cultura del Cibo? Il cibo è cultura lungo tutto il percorso che lo conduce alla bocca dell’uomo. È cultura quando si produce, perché l’uomo non utilizza solo ciò che trova

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in natura (come fanno tutte le altre specie animali) ma ambisce a creare il proprio cibo, sovrapponendo l’attività di produzione a quella di predazione. È cultura quando si prepara, perché, una volta acquisiti i prodotti base della sua alimentazione, l’uomo li trasforma mediante l’uso del fuoco e un’elaborata tecnologia che si esprime nelle pratiche di cucina. È cultura quando si consuma, perché l’uomo, pur potendo mangiare di tutto, o forse proprio per questo, in realtà non mangia tutto bensì sceglie il proprio cibo, con criteri legati sia alla dimensione nutrizionale e a quella economica del gesto, sia a valori simbolici di cui il cibo stesso è investito. Attraverso tali percorsi il cibo si è sempre configurato come un elemento decisivo dell’identità umana, e come uno strumento particolarmente efficace per esprimerla e comunicarla.

Ai sistemi produttivi e alimentari legati alle risorse del territorio, ai diversi modi di valorizzarle, agli scambi fra culture diverse è dedicato il primo volume di quest’opera, Storia del Cibo. Risorse, scambi, consumi, in cui le principali tappe della storia dell’alimentazione vengono illustrate con nove “istantanee” che cadenzano cronologicamente il suo sviluppo. Le peripezie dell’alimentazione umana hanno qui inizio alla vigilia della nascita dell’agricoltura e dell’allevamento, circa 12.000 anni fa, nel momento in cui l’uomo, divenendo sedentario, inventa la civiltà agro-pastorale e comincia a cucinare i propri alimenti in recipienti resistenti al calore. Si descrive poi il costituirsi di specifiche civiltà alimentari nelle varie parti del mondo, legate allo sfruttamento di particolari territori e a determinate colture. Ma si mostra anche come, nonostante le specificità proprie di ciascuna area culturale, le pratiche e le derrate non ab-


CULTURADELCIBO

biano mai cessato di circolare da un territorio all’altro, all’interno di una medesima area geografica e oltrepassandone spesso i confini. Non vi è epoca che non abbia espresso vitalità negli scambi di tipo alimentare, e questo ben prima che le piante americane invadessero il mondo intero, sconvolgendone le economie alimentari in un processo che ebbe inizio negli ultimissimi anni del secolo XV per concludersi in pieno Settecento. Con il secolo XIX e l’applicazione generalizzata delle tecniche industriali alla produzione dei cibi, la costituzione di ampie reti di distribuzione grazie allo sviluppo dei trasporti, l’esodo dalle campagne e l’urbanizzazione crescente, si apre una nuova era che sconvolge in profondità il modo di vita degli abitanti delle società sviluppate, con il suo strascico di eccessi ma anche di perfezionamenti, di raffinatezze e di piaceri del gusto; questo mentre vanno accentuandosi i disequilibri con i paesi in via di sviluppo, che continuano a soffrire i mali della sovrappopolazione e della fame cronica. Alle pratiche di cucina, come pure all’organizzazione dei pasti e ai rituali della convivialità, è dedicato il secondo volume, Geografia del cibo. Cucine del mondo. Esso considera non solo le cucine che, storicamente, si sono costituite in tradizione scritta, ma anche quelle apprese per osservazione e trasmesse oralmente. Il viaggio prende avvio dalle prime cucine del mondo, le cui tracce risalgono assai indietro nel tempo nell’area mediterranea e nel Medio Oriente. Viene poi presentata, nel quadro di un contesto storico e attuale (sempre affiancando, come già si era fatto nel primo volume, la memoria del passato e l’osservazione del presente), una selezione di “grandi” e “piccole” cucine eurasiatiche. Infine, nell’era della globalizzazione e del meticciato culturale, alcune cucine nate nel corso dei secoli da un crogiuolo di influenze rappresentano dei riferimenti che ci permettono di analizzare i fenomeni di ibridazione e di contaminazione culinaria che, malgrado oggi possano talvolta stupire, hanno una loro antichissima storia. L’importanza anche metodologica di studiare un caso come quello italiano spiega l’inclusione

nell’opera sulla Cultura del Cibo di un volume, il terzo, interamente dedicato a L’Italia del cibo. Esso prende avvio sul duplice binario della geografia e della storia: il paesaggio e le vicende di quanti, nel tempo, hanno interagito con esso e contribuito a formarlo – cuochi, gastronomi, produttori, mercanti, consumatori, ristoratori e così via. Intendendosi, sempre, che il genere maschile va declinato anche (e talora soprattutto) al femminile. Di questo paesaggio e dei suoi prodotti si illustrano, nella prima parte del volume, le storie essenziali e i tentativi fatti per rappresentarlo e raccontarlo – dai cataloghi rinascimentali alle mappature otto-novecentesche, fino al gran mare del web. Cibi e vini d’Italia sono anche l’occasione per discutere tematiche “calde” quali il rapporto fra tradizione agroalimentare e produzione industriale, il ruolo della ricerca scientifica e delle tecnologie, la “sostenibilità” dei modelli produttivi, le necessità di tutela sia dei produttori, sia dei consumatori, in un quadro legislativo che chiama in causa le forze politiche come attori di primo piano di un comparto, come quello alimentare, sempre più difficile da governare e indirizzare. La seconda parte del volume sposta l’attenzione dal mondo della produzione a quello del consumo, esaminando le tipologie della distribuzione alimentare nella realtà odierna, l’identikit (gli identikit) dei consumatori italiani e le modalità del dialogo che, attraverso una molteplicità di canali sempre più differenziati e articolati, essi instaurano non solo con produttori e venditori, ma con il mondo scientifico e medico, sempre in prima linea nei “discorsi sul cibo” – oggi come ieri ma, oggi, con un pubblico di massa e non più di élite. La terza parte del volume è dedicata alla cucina e alla tavola, ovvero ai luoghi e alle attività in cui l’atto del mangiare si completa, al termine del lungo percorso iniziato con il reperimento delle risorse, il loro trattamento e la loro distribuzione sociale. Chiedersi se esista un “gusto degli italiani”, definito dalla storia, dalla collocazione geografica, dalle avventure economiche e politiche di questo benedetto Paese, è questione forse inaffrontabile sul piano analitico. Proviamo tuttavia a farlo, chiamando in causa “natura” e “cultura”, scienza e storia, e cercando di riconoscere le specificità

“italiane” riscontrabili nei ricettari e nella letteratura gastronomica, nel peso della tradizione e nella capacità di innovarla. Il rapporto con l’altro è un tema classico della storiografia alimentare, che nel caso italiano appare particolarmente rilevante giacché la cultura italiana si è costruita nel segno della diversità e del confronto, ossia in un contesto, in qualche modo, sempre altro rispetto alle singolarità locali. Da questo punto di vista, il nostro Paese sembra particolarmente allenato alle sfide della multiculturalità, che oggi mettono alla prova le tradizioni alimentari e gastronomiche di molti Paesi – e magari si scoprirà che proprio la capacità di adattarsi e modificarsi interagendo col “diverso” costituisce la prova migliore di questa solidità, e l’unico modo per rafforzarla ulteriormente. Il cibo è un soggetto, per sua natura, interdisciplinare. Lo è necessariamente, data la sua centralità, data la funzione, letteralmente, essenziale che ha nella nostra vita, per la nostra vita. Il cibo è stato sempre la prima e principale preoccupazione degli uomini. Direttamente o indirettamente si è rapportato a ogni aspetto, a ogni dimensione dell’esperienza storica. È in questa prospettiva che i saggi del quarto volume, Il cibo nelle arti e nella cultura, si propongono di indagare i rapporti fra cibo e altro. Il “dialogo” fra il cibo e altre esperienze ed espressioni culturali è stato sollecitato chiamando in causa specialisti di molte discipline che, ciascuno dal proprio punto di vista, hanno riflettuto sul ruolo che il cibo occupa nelle varie dimensioni dell’esistenza, evidenziando intersezioni, influenze e contaminazioni reciproche. Entrano in campo arti figurative e arti plastiche, cinema, design, diritto, filosofia, fisica, fotografia, fumetti, grafica pubblicitaria, internet, letteratura per grandi e piccini, lingua, mitologia, museografia, musica, oggetti e cultura materiale, psicologia, religioni, scienze, semiotica, teatro, televisione. Il cantiere, naturalmente, rimane aperto. Le scelte che abbiamo fatto si potranno moltiplicare, tracciando piste nuove, delineando suggestioni diverse, potenzialmente infinite. Tutto ha rapporto col cibo. Parlando di cibo, si può parlare di tutto. Per informazioni: info@utetgrandiopere.it

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GOLAVAGANDO

«Pesce Baracca è il nostro modo di intendere il mercato del pesce». È alla maniera della famiglia Vaiani che prende vita il nuovo progetto di ristorazione inaugurato sul pontile di Forte dei Marmi, con l’ambizione di portare il mercato del pesce e la cucina in un unico ambiente. Pescheria, banco gastronomia del pesce e prodotti confezionati di qualità, per la spesa da asporto, per il ristorante e per uno street food che affaccia direttamente sul pontile. Marco e Davide Vaiani, insieme al padre Pietro, mettono a segno un nuovo successo

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FIRMATO DA COSTA GROUP

PESCE BARACCA PESCHERIA CON CUCINA A FORTE DEI MARMI

imprenditoriale che li porta, dopo Bistrot, Osteria del Mare e Fratellini’s, a inaugurare il fuoriclasse dei locali. «Quattro anime in un unico blocco – spiega Marco Vaiani – che ruotano e cambiano continuamente. Pescheria aperta la mattina, gastronomia e street food a pranzo e cena (che pensiamo di far rimanere aperto ad orario continuato), dove poter mangiare in maniera veloce e semplice fritture, tapas, e originali accostamenti ideati dalla cucina, che possono variare in base all’orario e ai prodotti disponibili. E infine il ristorante, con la possibilità di scegliere


PESCEBARACCA

Studio, design e progettazione Costa Group, Arch. Marta Romboli PESCE BARACCA Viale A. Franceschi, 2 Forte dei Marmi (LU)

il pesce direttamente dal banco e farlo cucinare nella cucina a vista». Si può acquistare e si può mangiare, sedere di fronte alla cucina a vista o prendere un aperitivo nel tapas bar, in attesa della cena. O magari tutte queste cose insieme. 400 mq e oltre 200 posti a sedere, e un progetto firmato Costa Group che è un omaggio alla tradizione del pesce e del mare, declinato alla maniera di Forte dei Marmi. Con l’eleganza senza tempo e quell’atmosfera sospesa che è un po’ il sapore del Forte, dove anche uno street food può diventare un elegante

concetto di somministrazione veloce. Vetrate decorate a incorniciare la cucina, ceramiche a righe bianche e azzurre per il banco gastronomia, eleganti divanetti e sedute colorate per la zona ristorante, l’azzurro e il rosso del logo e delle divise di Pesce Baracca e la predilezione per il marmo - nella scelta dei materiali - in onore al territorio e alla sua tradizione, con il banco del pesce riccamente lavorato e un vasto assortimento di pesce sempre fresco, che riporta idealmente all’atmosfera delle pescherie di una volta. E a eliminare ogni odore

indesiderato, le scenografiche bocchette di aerazione rosse che scendono dal soffitto: siamo pur sempre a Forte dei Marmi.

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GOLAVAGANDO

A Vieste, nel centro storico e nelle immediate vicinanze della Cattedrale, a sinistra dell’incrocio di vie delimitato dalla Chianca Amara, c’è un ristorantino delizioso di proprietà di Anna Cariglia, cuoca viestana che, 21 anni fa, decise di dare sfogo alla sua grande passione: la cucina. Anna (foto a lato), orgogliosamente figlia di contadini, solo in casa riusciva a coltivare la propria passione cucinando per la sua numerosa famiglia (9 figli), ma era una ragazzina quando, subito dopo gli studi di ragioneria, si dovette allontanare dalla città natale per lavorare in terra di Bari in importanti e note strutture alberghiere, ricoprendo ruoli in vari comparti che nulla avevano a che fare con la cucina, come la cassa, la portineria, la reception, la segreteria di direzione e il centralino, e anche come responsabile del banqueting. Dopo un po’ di anni passati fuori dalla sua terra, problemi familiari la misero di

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RISTORANTE

LA RIPA A VIESTE

di Sandro Romano

RISTORANTE LA RIPA Via Nicolò Cimaglia, 16 71019 Vieste (FG) Tel. 0884 708048 www.laripa.net

fronte alla scelta obbligata di reinventarsi la vita. Fu così che Anna, dotata di un carattere determinato, tornò a Vieste e aprì “La Ripa”, un luogo dove dare sfogo alla sua creatività sia gastronomica che artistica. Artistica? Certo, perché la sua passione sono le candele, ne ac-


cende 3 o 4 al giorno e non permette a nessun altro di farlo. Poi, con la cera che si deposita su una botte di legno, armata di coltello e cannello a gas, crea vere e proprie sculture. “Questa passione confida - è il mio antistress”. Il ristorante si trova nella zona medievale in pieno centro storico di Vieste, vicino alla “Ripa”, da cui ha preso il nome, un suggestivo strapiombo che scende a picco su un mare meraviglioso. L’antico convento che lo ospita è dotato, persino, di tunnel collegati con le chiese, che anticamente servivano alla popolazione per sfuggire alle angherie dei Turchi. Successivamente trasformato in una stalla, oggi trasmette inalterato tutto il fascino dell’antico grazie alle volte in pietra grezza e ai suggestivi pavimenti in “chianche”, che hanno oltre 1200 anni. Il resto dell’atmosfera è affidato ad altri elementi come chitarre, lampade antiche e mobili d’epoca, ma soprattutto all’illuminazione e all’elemento caratterizzante delle botti con la cera delle candele che, sin dal 1994, ogni sera si sciolgono scandendo il tempo e creando forme surreali. Capita spesso che la gente di passaggio si fermi anche solo per rubare una foto.

LA CUCINA Nella bella cucina a vista sia dalla sala che dall’esterno, Anna Cariglia è affiancata dai figli: Andrea, di 26 anni, ha frequentato l’alberghiero, l’Alma e, dopo aver lavorato anche a Le Calandre, gira il mondo - tanto che ora è in Olanda in un tre stelle Michelin - con l’idea di tornare a casa arricchito dalle esperienze maturate in importanti collaborazioni; Marcello (foto a lato), invece, ha solo di 19 anni, con una significativa esperienza al Quadri di Venezia. La sua cucina è stata, per me, una vera sorpresa. Alto, magro e con tanti capelli in ordinato disordine che formano sulla sua testa

una specie di nido, Marcello Miacola è un simpatico sognatore com’è giusto essere alla sua età. E’ raro incontrare un ragazzo di 19 anni con tanta sensibilità verso gli abbinamenti. Nonostante la giovanissima età, è dotato di una capacità innata nell’armonizzare i sapori del territorio con i profumi delle spezie tanto cari a sua madre Anna, grande appassionata di viaggi che, a fine stagione, ama raccogliere le energie residue, e andare in giro per il mondo con l’intento di arricchire il proprio bagaglio di nuove esperienze ma anche di nuovi profumi, sapori e conoscenze di luoghi lontani, di culture diversissime e di incontri stimolanti. L’amuse bouche che ci viene subito servito mette a nudo la decisione, la capacità e persino l’incoscienza – un’incoscienza positiva in questo caso - del giovane cuoco che parte subito all’attacco con un riccio di mare (foto in alto), in cui la “sapida dolcezza” della polpa cremosa si sposa, senza disperdere il suo prezioso sapore, con un’insalatina riccia e un profumo di zenzero caramellato, in un ambizioso incontro tra mare di Puglia e suggestioni orientaleggianti. Ma è solo l’inizio e si potrebbe pensare che sia stata più fortuna che studio a creare un boccone così sfizioso ed equilibrato al tempo stesso. Invece, Marcello ci stupisce con le crocchette di baccalà mantecato con salsa al mango, curry, soia e lime (foto sopra), altro interessantissimo piatto in cui il gioco di consistenze e di sapori è armonico ed equilibrato. Un piatto concepito come un percorso da seguire intingendo le crocchettine davvero croccanti esternamente grazie alla perfetta doppia impanatura che contrasta con il morbidissimo baccalà mantecato all’interno – nelle gocce fatte con le salsine di accompagnamento a base di aglio, soia, zucchero e pomodorini, di aceto di pomodoro e di patate con cipolle e chips di riso. A seguire un altro piat-

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GOLAVAGANDO

to gustoso e divertente al tempo stesso, in cui il salmone selvaggio dell’Alaska tenuto a marinare con arancia, sale, limone, pepe rosa e ginepro, è abbinato a sottili fette di mango, a una salsa di caprino, a uova di salmone e a un gioco di sferificazioni di arancia e di salsa di soia. Con una fresca insalata profumata al lemongrass prepariamo la bocca alla cremosità della burrata andriese con alici locali marinate e carambola essiccata, per poi proseguire con le orecchiette alla crema di cime di rapa e acciughe, rivisitazione personalizzata di uno dei capisaldi della cucina tradizionale pugliese, pietanza che, come sostiene Marcello: “Deve essere in carta perché rappresenta il mio omaggio alla terra in cui sono nato e cresciuto e che amo tantissimo”. Bello ascoltare queste parole da un ragazzo di soli 19 anni che, inoltre, ha in carta anche una rispettosa rivisitazione del calzone pugliese di cipolle.

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Un sontuoso e asciutto fritto di verdurine e freschissimi gamberi e scampi simpaticamente serviti in una bustina di cartapaglia (foto in basso a sinistra) è il secondo che decidiamo di assaggiare, ottimamente accompagnato dal Brut Rosè delle Cantine D’Araprì, a completamento di una degustazione che potrebbe esser molto più ampia scegliendo tra le interessanti proposte della carta. Passiamo, quindi, al dessert preparato da Anna Cariglia, uno stuzzicante viaggio nel mondo del “cibo degli Dei”: la torta al cioccolato con quenelle di fondente, ganache di cioccolato al latte, riduzione di caffè affumicato, salsa all’arancia e Grand Marnier, scagliette di cioccolato bianco, crumble di zucchero filato e bicchierino di cioccolato al latte, caffè e caramello salato. Una cucina interessante, delicatamente speziata, basata sull’esaltazione delle acidità e su un sottile equilibrio di profumi e sapori, sui contrasti di consistenze,

sulle marinature e sull’azzeccata scelta delle salsine di accompagnamento, è quella che La Ripa serve ai suoi ospiti, da abbinare a una contenuta scelta di etichette, circa una cinquantina. Cenando “a la carte” il prezzo medio, escluso vini, è di circa 35 euro e molto interessante è il menù degustazione, che consente di addentrarsi nelle varie proposte a soli 30 euro.

NEI DINTORNI La zona antica di Vieste è bellissima con il suo dedalo di viuzze e di bianche casette che, arroccate su un’altura a picco sul mare, rappresentano un luogo dove passeggiare e curiosare nei tantissimi negozietti turistici e non. In cima alla città c’è il bellissimo Castello e, a pochi passi dal ristorante, la Cattedrale e la Chiancamara, la roccia sulla quale, nel 1554, i viestani furono trucidati dai pirati del turco Draguth Rais.


GOLAVAGANDO

La Triennale porta i temi di EXPO 2015 nel cuore di Milano con Arts&Foods e con il nuovo ristorante allestito sulla Terrazza panoramica all’ultimo piano del Palazzo dell’Arte fino al 1° novembre prossimo. I visitatori hanno la possibilità di scoprire un’intera gamma di articoli legati alla cucina e alla convivialità: un percorso in continua evoluzione, che ha scandito le abitu-

NEL CUORE DEL DESIGN

UN TEMPORARY RESTAURANT ALLA TRIENNALE DI MILANO

cliente. Riflettori puntati quindi sullo Chef e sulle due piastre induzione di Grand Cuisine, la gamma extra-lusso di Electrolux che nasce dal know-how tecnologico e dalla pluriennale esperienza dell’azienda nel settore della ristorazione professionale. Una linea, quella di Grand Cuisine, che permette di ricreare a casa propria le prestazioni e l’atmosfera di un ristorante stellato.

proprie mise-en-place è stato minuziosamente disegnato da Electrolux assecondando le necessità dello Chef: il risultato è un blocco cottura che fa tutto quello che dovrebbe fare una cucina professionale normale, ma in assenza di soffitti e pareti. Un banco auto-aspirante dove ogni millimetro è stato studiato per ricavare vani neutri e refrigerati per lo stoccaggio di pentole, padelle e derrate, il tutto rigorosamente nascosto agli occhi del

dini quotidiane dell’uomo dalla prima Esposizione Universale di Londra sino ad oggi. La Triennale ha restaurato la sua terrazza panoramica, all’ultimo piano, per offrire al pubblico milanese e agli ospiti della città un nuovo ristorante con vista mozzafiato sul nuovo skyline di Milano. Parliamo di “Terrazza Triennale, Osteria con vista”, un concept moderno di ristorazione che vuole riprendere la tradizione dell’osteria e che punta a rivalutare il contatto diretto del cliente con l’oste. Alta cucina, innovazione e design sono le parole d’ordine per descrivere questa location di grande fascino. Lo Chef Stefano Cerveni, 1 Stella Michelin, patron del Ristorante Due Colombe a Borgonato di Cortefranca, è stato scelto per guidare questo nuovo “Temporary Restaurant”. Il “palco” su cui ogni giorno lo Chef Cerveni incanta i commensali con le

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B UN DRAGO PER I SAPORI A GENOVA Una forneria votata al recupero dei sapori genovesi di un tempo. Non sono molti a poter dire di fare ancora, con i procedimenti di una volta, sia il Pandolce genovese classico che quello basso. Solo farina di frumento, lievito madre, burro di ottima qualità, frutta candita al naturale e procedimenti artigianali sono le componenti per ricreare profumi e sapori della memoria. Alla linea dolce, che annovera anche ottime meringhe alla cannella e zenzero con nocciola e cacao, ci sono anche la tradizionale focaccia croccante con aromatizzazioni diverse e alcuni tipi di grissini biologici.

Drago Sapori di Genova Vico Boggiano, 5 - Genova Tel. 010 6671390 www.dragoforneria.it info@ dragoforneria.it

SAPORI SICILIANI ON-LINE Una linea di pasta prodotta da agricoltura biologica e una linea di salse e sughi con il sapore del sole della Sicilia: li mette a disposizione Totelia, uno shop on-line che, oltre a prodotti particolari selezionati in tutta Italia, concentra la propria attenzione sulle più tipiche e straordinarie produzioni siciliane, oggettistica compresa, così come sui vini della prestigiosa tenuta Barone La Lumia, con consegna in tutta Europa anche in confezioni regalo.

www.totelia.eu

BARBERA DOC 2012, DA CASTELLINALDO Sono 45.000 le bottiglie di Barbera d’Alba Castellinaldo prodotte dall’Azienda Agricola del Roero Teo Costa e distribuite per il 70% in Italia. Il vino, maturato 18 mesi, presenta profumi di ciliegia sotto spirito su note speziate. Caldo e armonico in bocca, rivela una struttura importante adatta a piatti dai sapori intensi. www.teocosta.it

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BENESSERE IN ALTA QUOTA: NUOVA SPA E VEGGIE DAY VALDOSTANO Ad Entrèves a pochi minuti dal centro di Courmayeur sorge l’Auberge de La Maison un albergo di grande fascino in una grande casa in pietra e legno. Oggi, con la SPA recentemente ampliata e dotata di una nuova piscina riscaldata che si sviluppa sia all’interno che all’esterno dell’Auberge, è il posto ideale per momenti di relax dopo intense giornate di trekking ed escursioni in montagna. Benessere significa anche mangiare bene, e il ristorante L’Aubergine è uno dei fiori all’occhiello dell’Auberge. Novità di quest’anno è il Giorno Vegetariano Valdostano (Veggie Day in altri Paesi), un giorno alla settimana dove a L’Aubergine si potrà trovare un menù totalmente vegetariano, ma a base di prodotti locali. In occasione del Veggie Day Valdostano gli ospiti potranno gustare le tipiche zuppe locali come la Courmayeurentze e la Valpellinentze o i tradizionali taglieri di formaggi tipici abbinati a marmellate, mieli e gelatine, ma anche piatti studiati ad hoc in armonia con la stagione e l’ambiente: dallo sformato di verdure dell’orto di Entrèves con fonduta leggera di Fontina Dop, ai maccheroncini trafilati a mano con pomodoro, spinacini selvatici e porri croccanti, all’hamburger di legumi scottato all’olio di noci.


...le buone nuove del mese... PICCOLO È BELLO

CULTURA DELLA QUALITÀ IN VAL D’AOSTA Terra di cime immense che sfiorano le nuvole, la Valle d’Aosta è insieme terra di grandi uomini, capaci di valorizzare con la loro passione e lungimiranza questa regione generosa di tesori naturali e storico-artistici, in un connubio tra cibo, cultura e sport di una piccola regione (circa 3.200 km quadrati di superficie) con solo 130.000 persone che fanno e fanno bene. Certo, non è tutto oro quel che luccica, ma una funivia realizzata in 10 anni autofinanziata, un forte (di Bard) che meriterebbe tutt’altra risonanza per gli eventi che ospita (Sebastiao Salgado, “da Bellini a Tiepolo”, Walter Bonatti, etc), un evento sportivo che catalizza l’attenzione di atleti di oltre confine (“Tor des Géants”: 330 km in una settimana di continui sali e scendi), la produzione di energia pulita che rende la regione autonoma, tante piccole eccellenze alimentari – ogm free – ottimamente valorizzate dallo chef stellato Agostino Buillas (foto sotto) del Ristorante Café Quinson di Morgex (AO) (che ha caratterizzato da un tocco floreale-bucolico i suoi piatti durante la presentazione della Regione durante Expo) sono sicuramente dei vanti non solo per i

Nel giugno scorso sono state ufficialmente inaugurate le funivie Skyway Monte Bianco. Già ribattezzate “la terrazza sull’ottava meraviglia del mondo” e simbolo della Regione Valle d’Aosta ad Expo, le nuove funivie permetteranno anche di toccare con mano la vette più alte d’Europa - dal Cervino, al Monte Rosa - immersi in uno scenario di impareggiabile bellezza. Qualche numero? La Stazione Punta Helbronner di Skyway Monte Bianco tocca i 3.462 metri, mentre la terrazza panoramica dei Ghiacciai arriva fino ai 3.466 metri. Semplicemente ai confini del paradiso.

valdostani ma per gli italiani. La Valle d’Aosta offre al visitatore non uno ma tanti viaggi. L’accoglienza turistica è volutamente declinata al plurale, in un mosaico di paesaggi e storie sempre diversi e sempre unici, a dispetto della breve distanza che intercorre fra i luoghi. Si parla allora di “turismi”: tanti quanti sono gli alpeggi, le cime, i castelli, i borghi e le genti che caratterizzano quest’angolo incontaminato d’Italia. Che dire… il prossimo 21-22 novembre “Vins Extremes 2015” potrebbe essere l’occasione per qualcuno di vedere e testare le grandi cose fatte e che può offrire la piccola regione d’Italia.

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GOLAVAGANDO

A CASTROCARO TERME

TRATTORIA BOLOGNESI È ALTA QUALITÀ ACCESSIBILE

TRATTORIA BOLOGNESI Via Matteotti, 34 47011 Castrocaro Terme (FC) Tel 0543.767471 Fax 0543.766625339.4931327 www.trattoriabolognesi.it info@trattoriabolognesi.it

Fortunatamente la famosa Frasca di Castrocaro, che per alcuni anni si era frasferita a Milano Marittima (RA) con una gestione diversa da quella storica della maison Bolognesi, non ha lasciato orfani i propri affezionati clienti. Con il conosciuto e stimato nome di famiglia ha infatti riaperto nei bei locali dove il bistellato ristorante ha vissuto i suoi momenti più felici, addirittura conservando lo chef di sempre, Angelo Asirelli, e di conseguenza anche i piatti stupendi del suo prestigioso passato. La formula, tuttavia, è ora quella della trattoria, più accessibile e più consona alle esigenze contemporanee. La conduzione di Bruna e Gianfranco è ora passata alla figlia Melania e ad uno staff giovane e dinamico, ma la bella sorpresa per gli estimatori della celebre coppia consiste nel fatto che ogni fine settimana diventa “Week End d’Autore” e propone, con l’amabile e competente presenza di Gianfranco Bolognesi, un menu speciale ad un prezzo estremamente competitivo.

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Al costo di soli 59 euro abbiamo potuto degustare, accompagnati a tutto pasto da una bottiglia di Champagne Bruno Gobillard brut 2008, terrina di foie gras e fichi (foto 1); spaghetti freddi con erba cipollina e tartare di ricciola (foto 2); mazzancolle alle spezie dolci, patate schiacciate, millepunti di peperone (foto 3); paccheri di Gragnano al sugo di amatriciana di mare; pan baguette con pesce e tabulè alla mentuccia; terrina di fragole e limone (foto 4). Dunque l’affidabilità di una tradizione professionale prestigiosa diventa oggi accessibile a tutti, con la formula dell’alta cucina che tiene però conto dei mutati stili di vita e della contingenza economica in corso.

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I ristoranti

on

Trésor

Scopriamo insieme quali sono i locali che racchiudono piccoli grandi tesori...

golavagando montresor di Claudio Mollo

A SAN VINCENZO, RISTORANTE

MARIVA

È UNA CUCINA MARINARA D’AUTORE L’ambiente è a dir poco incantevole, un’esclusiva oasi con atmosfere ricercate e suggestive immerse in una pineta a pochi passi dal mare, in quello spicchio di costa livornese che si trova tra San Vincenzo e Baratti, nel bellissimo complesso di Riva degli Etruschi. Mariva è il ristorante di riferimento, il capofila di una serie di location dedicate alla ristorazione, che Marcello Rossi gestisce e coordina insieme ad una lunga schiera di chef e addetti di sala.

Ogni ristorante, locanda o trattoria, famosa o meno, può vantare il proprio “Mon Trésor”, un personalissimo tesoro fatto di attenzione per i dettagli, cura dei propri ospiti, professionalità in cucina e in sala. Noi abbiamo individuato alcuni di questi “Mon Trésor” e li segnaliamo nelle prossime pagine...

Un impegno notevole che lo vede “deus ex machina” di questa complessa macchina dedita all’accoglienza. Per citare velocemente gli altri locali che fanno parte della gestione, iniziamo dal ristorante La Veranda, con Raffaele Ciliberti, chef executive, Fiore Rainone con lui ai fornelli e Salvatore Mallei in sala. Il Self Service, altro ambiente molto frequentato, annovera Giovanni Saviano e Tommaso Bola in cucina, mentre alla sala pensa Francesco Catalano. Chiude l’elenco Il Nautico con lo chef Andrea Mencarelli e Salvatore Raimo in sala. Locali questi, che terminano la loro attività con la fine della stagione estiva.


on

Trésor

RISTORANTE MARIVA Via della Principessa, 120 57027 San Vincenzo (LI) Tel. 0565 719777 www.marivarestaurant.com info@rivadeglietruschi.it

Il regno di Marcello è il mare, viste le sue origini elbane. Nato e cresciuto a Portoferraio, da isolano DOCG ha mantenuto un cordone ombelicale robusto con la sua isola, i suoi colori, i suoi sapori, caratteristiche che si riscontrano nei pesci utilizzati e nello stile di cucina. Il Mariva è senza dubbio la punta di diamante del complesso di Riva degli Etruschi. Ai fornelli, Marcello, con gli chef Stefano Monfrini e Ivan Colombo, mette in atto una cucina di ottimo livello, creativa nella misura giusta, un mix di tradizione e innovazione che piace molto. Cucina marinara d’autore, ma sulla carta è presente anche qualche piatto di carne e, nei momenti giusti dell’anno, anche cacciagione. All’ottimo lavoro fatto in cucina si affianca quello altrettanto professionale condotto in sala da Luca Caliani, maitre, sommelier e coordinatore di tutte le attività svolte all’interno di questa bellissima struttura. Tante le etichette gestite da Luca in una bellissima carta, ricca di bollicine, aziende note e produzioni emergenti. Le prime om-

bre della sera vestono il Mariva di un fascino tutto particolare: l’ambiente centrale, tutto a vetri, che può arrivare ad ospitare fino a 250 persone, è illuminato da fiaccole e candele, con punti luce sapientemente disposti. La modularità del ristorante lo trasforma in american bar o location di live music, con noti personaggi e un pubblico molto selezionato. Pur trovandosi in riva al mare, il Mariva chiude soltanto per 3 mesi all’anno.

Il Mon Tresor è... L’ESCLUSIVITÀ DELLA LOCATION Singolare, prezioso e unico in zona, il Ristorante Mariva è un affascinante locale tutto in legno e vetri incastonato nel verde della macchia mediterranea circondato da una serie di piccole oasi attrezzate con lettini, divani, poltrone e ombrelloni, dove gli ospiti possono farsi servire aperitivi o stuzzichini, in totale privacy. Una foresta di quercioli fa da corona al luogo, aumentando la sensazione di magia e la piscina si presta per un welcome drink. Un luogo magico, senza fretta e senza orari, per una vacanza all’insegna del mare e della natura, nel cuore dello splendido litorale della costa livornese.

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golavagando montresor di Claudio Mollo

A LA SPEZIA, RISTORANTE

LA SUPREMA

È GARANZIA DI ASSOLUTA PROFESSIONALITÀ Dal singolare nome di una antica casa di tolleranza deriva il nome di questo locale che si trova in piazza Sant’Agostino ormai da 5 anni, appendice gourmet di un antico panificio, affiancato successivamente da un bar, in un sovrapporsi di licenze come andava di moda nei tempi passati. Titolare di questo piccolo nucleo del gusto è Alberto Costa. Di tre fratelli (gli altri sono Paolo e Marco), è lui quello particolarmente vocato alla gestione di locali. Da 32 anni nel settore della ristorazione e dell’accoglienza,

oltre a La Suprema è proprietario di due locali con prodotti da asporto a Vernazza e Cinque Terre, con alcune Steack House a La Spezia, Cerreto Laghi, Brugnato e Forte dei Marmi, aperte negli ultimi anni. Una locanda in versione moderna, La Suprema, punto di ritrovo per chi di cucina se ne intende. Non a caso, Alberto ha messo in cucina giovani rampanti, provenienti da esperienze di rilievo, anche in ristoranti stellati: ai fornelli Luca Simonelli e Simone Giampaoli.

“In cucina, come anche in sala – racconta Alberto – ci devono essere le persone giuste. Lo scopo principale è quello di far star bene la gente, coccolata da un servizio impeccabile e appagata da una cucina ricca di sapori, fantasia e prodotti di primissima qualità”. Il menu invernale cambia ogni mese mentre quello estivo, a parte alcuni piatti più rappresentativi molto richiesti dalla clientela, propone quotidianamente ulteriori specialità. Il pesce arriva dal golfo di La Spezia e si lavorano pesci di ogni tipo, senza distinzione tra “ricco o povero”. Sempre presenti i famosi mitili spezzini, le acciughe di Monterosso e, ultima recente novità, le ostriche, anche queste locali, poiché da circa un anno funzionano a pieno ritmo gli allevamenti di ostriche situati nella zona di Portovenere.

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RISTORANTE LA SUPREMA Piazza S. Agostino, 7 19121 – La Spezia Tel. 0187 730453 – Fax 0187 22895 www.lasuprema.it contact@lasuprema.it

Insomma, nei menu e nei piatti il profumo del mare non manca. Il locale è intimo e raccolto, colorato, vivo e dinamico, con soli 25 coperti – in estate si mangia anche in uno spiazzo attrezzato esterno - e, come tutte le locande

on

Trésor

degne di tale nome, al piano superiore si trovano due suite, arredate di tutto punto, che aggiungono un tocco di eleganza e singolarità a questo locale che sembra aver scelto come motto il principio “poco ma buono”!

Il Mon Tresor è... LA QUALITÀ DEL SERVIZIO “Il nostro Montresor – dice Alberto Costa – sta nella costanza di un servizio che deve essere sempre perfetto e puntuale. Con me soltanto personale adeguato, che sa quello che fa, in grado di far stare bene il cliente, che deve uscire contento e tornare da noi ancora più contento, consapevole di vivere esperienze sempre nuove e appaganti. La professionalità del personale è indiscutibile ed è il nostro miglior valore aggiunto. Mi piace creare ambienti e situazioni che facciano star bene la gente. Accoglienza e semplicità confortata da grandi attenzioni”.

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golavagando montresor di Daniele Briani

SUL GARDA, HOTEL

TOBAGO

PER UNA CUCINA DI ISPIRAZIONE MARINARA Vogliamo finalmente sfatare quella maldicenza diffusa secondo la quale in molti ristoranti degli alberghi italiani si mangia mediamente male? A quanto pare all’hotel Tobago è vero il contrario e anche in Italia comincia a diffondersi, come nel resto d’Europa, un’ottima cucina anche presso chi fondamentalmente incentra il suo business sulla ricettività alberghiera. Nella realtà dei fatti, gran parte del business ricettivo dovrebbe anche passare proprio attraverso la ristorazione, che ne è parte integrante, e che anzi eleva notevolmente il grado di qualità complessiva se correttamente sviluppata. Probabilmente per la famiglia Zaglio,

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ristoratori da quattro generazioni, questa pratica è scontata tanto che Luca Zaglio, già nel lontano 1980, aveva avviato un ristorante con locanda di otto camere che poi, nel 2008, divenne l’attuale Hotel Tobago con diciotto camere, wellness e, naturalmente, anche il ristorante aperto ai clienti esterni e non solo riservato agli ospiti dell’albergo. A condurre il complesso c’è il figlio Matisse, mentre la cucina è appannaggio del fratello Massimo che per anni è stato l’artefice del successo gastronomico dell’Osteria Osietra in quel di Peschiera. Massimo interpreta magnificamente una cucina di pesce, ma non del vicino lago di Garda, ben-


on

Trésor sì del mare. Folgorato dall’amore per una donna siciliana – oggi sua moglie – ha avuto la fortuna di frequentare le calde e ventilate coste sicule appena uscito dalla scuola alberghiera. Passeggiare lungo le scogliere di Lampedusa, investito dal profumo salmastro dell’aria marina, raccogliendo l’origano selvatico che ti permea le mani del suo inconfondibile profumo speziato, è l’esperienza che l’ha trasmutato, infondendogli l’ardore per una cucina di mare che non ha mai abbandonato nel corso della sua carriera. La curiosità verso la tradizione culinaria delle massaie siciliane, dalle quali si è fatto raccontare i segreti gastronomici, ha completato quella specializzazione che oggi possiamo degustare nelle sue pie-

tanze. Tra i primi sicuramente sono da citare gli spaghetti con salicornia e ricci di mare crudi e gli spaghetti aromatizzati con gamberi di Sicilia e pancetta. Per i secondi ci sentiamo di rilevare il baccalà in padella con crema di patate, basilico, acciughe del Cantabrico con scalogni in agrodolce, mentre per il dolce il must rimane la meringata alla frutta con crema pasticcera, pur non mancando altre scelte innovative. La cantina conta circa centodieci etichette divise tra Italia e Francia per una disposizione di sala che tra interno ed estivo mette a sedere circa cento persone, le più fortunate delle quali possono godersi l’aperitivo in piscina durante la bella stagione. La Spa, anch’essa fruibile dai clienti giornalieri, occupa circa duecento metri quadrati suddivisi tra sauna finlandese bio, bagno turco, cascata di sale, cromoterapia, oltre all’idromassaggio e alla piscina riscaldata esterna.Sempre fruibile dall’estate all’inverno, il Tobago Hotel non conosce sosta e, a pochi passi dal lago più grande d’Italia, offre un rilassante rifugio per il corpo, lo spirito e la gola.

Il Mon Tresor è... LA PASSIONE PER LA SICILIA Se Massimo Zaglio si trova ancor oggi a sperimentare nuovi piatti e nuove sensazioni gusto/olfattive da offrire ai propri ospiti, è perché ogni tanto torna a cercare l’ispirazione nelle terre siciliane, per rinverdire quel colpo di fulmine che lo infatuò dei sapori decisi e diretti delle coste sicule. Ripartendo da qui gli nascono proprio quei piatti che meglio identificano la sua cucina, fatta di sapori semplici e genuini come la Catalana di Granseola che in un tripudio cromatico mescola assieme il sapore del crostaceo, e quindi del mare, con la policromia delle verdure frutto invece della terra, in un misto tra il cotto e il crudo per una sensazione gustativa in perfetto matrimonio.

TOBAGO HOTEL Via della Pace,1 Garda (VR) Tel. 045 7256340 www.hoteltobago.it

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GOURMETFOOD

LA FORZA IMPETUOSA DI

AURORA

MAZZUCCHELLI RISTORANTE MARCONI, SASSO MARCONI di Simone Rosti foto di Leonarda Vanicelli e Alessandra Locatelli

Se dovessimo paragonare la cucina di Aurora Mazzucchelli ad un’opera letteraria, sarebbe certamente una di quelle opere collocate in piccoli angoli pregiati di una biblioteca d’autore. E quando apriamo uno di questi volumi, ci rammarichiamo di non averlo fatto prima, perché subito ci rendiamo conto di essere di fronte ad un capolavoro. Questo parallelo per significare che tali sono i risultati che ha raggiunto Aurora Maz-

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zucchelli, la cui ricerca colta e personalissima l’ha proiettata nell’olimpo dei grandi interpreti della cucina italiana, una chef che colpisce per la forza intrinseca che i suoi piatti sono in grado di sprigionare. Quella di Aurora è una cucina impetuosa, muscolare, che riesce a trafiggere il palato, emozionare il cuore, per poi ricondurre tutto al quadro concettuale che è alla base delle sue creazioni. Fulgido esempio, nel menù che


AURORAMAZZUCCHELLI

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GOURMETFOOD

Le lumache. Qui sotto, Il Mare del Nord e l’ananas in raviolo con ricotta, uvetta, pinoli e caviale di caffè.

abbiamo assaggiato, è Ofelia, l’anatra che si specchia nel suo stagno: uno schiaffo alle convenzioni, con profumi spiazzanti e confini spezzati fra terra e mare (la terrosità del cavolo nero e della bietola come contraltare al salmastro della salsa d’ostrica e dei cuori eduli): una portata celebrale, provocatoria e coreografica, dove prevale l’impatto della rappresentazione e la potenza sferzante degli elementi. La stessa intensità gustativa e ideologica ritorna in uno dei piatti che più ci ha colpito di recente: la lumaca. Degustatelo ad occhi chiusi per capire cosa significa integrità e perfezione. Qui troviamo la profondità dei sapori, data dalla salsa d’uovo e dalla salsa verde, l’affumicato della schiuma di tè nero e dell’aglio bruciato, le note

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ossidative della riduzione di “Canto del Ciò”, la consistenza vivida e carnosa della lumaca: un piatto avvolgente che da assuefazione ed invita anche alla più tradizionale delle scarpette! Poiché la storia del Marconi è ormai lunga e consolidata, ed è costellata di tanti piatti memorabili, non ci siamo fatti mancare due grandi classici: il Mare del Nord, teca gelida che riproduce il mare, con la stupenda brina di canocchie a simboleggiare la spuma ghiacciata, e le profondità del mare rappresentate dal fasolare, dal gambero rosso, dalla capasanta, dalla lattuga di mare e, ai margini del piatto come al largo nel mare, dall’aringa affumicata e dal caviale: una portata suggestiva, che spinge la mente nelle profondità degli oceani invernali; a seguire, il Maccherone ripie-


AURORAMAZZUCCHELLI

Faraona

crema di patate al limone e salsa di fiori INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

4 petti di faraona

Pelare le patate, tagliarle a pezzi e cucinarle unendo di

g. 200 di patate

tanto in tanto un poco di acqua fino ad ultimare la cot-

1 scorza di limone

tura. Passare al passaverdura e al setaccio, aggiustare

g. 250 di latte

di densità e di sapore con 100 grammi di latte, il sale

g. 100 di brodo di faraona

e la scorza grattugiata del limone. Con i restanti 150

sambuco, verbena, tiglio

grammi di latte realizzare un infuso mettendo tiglio,

g. 25 di burro

verbena e sambuco a marinare per 12 ore. Ricavare

g. 5 di amido di mais

dalle faraone i 4 petti e con le ossa e le cosce preparare

sale

un brodo.

pepe

Per la salsa: cuocere il burro con amido di mais e, ap-

olio extravergine d’oliva

pena inizia a stringere, versare 100 grammi di brodo e 100 grammi di latte ai fiori, mescolati fino ad ottenere una salsa liscia e profumata. Mettere i petti in un sacchetto sottovuoto con un poco di olio evo e cuocerli a 62,5°C nel roner per 20 minuti. Prima di servire, rosolare dalla parte della pelle in una padella di ferro ben calda e condire con sale e pepe. Finire il piatto mettendo la crema di patate, la salsa e per ultimo il petto brasato.

no d’anguilla affumicata, ostrica cruda e spinaci, un’esplosione di gusto e profumo in cui ci si domanda quale alchimia consenta a questi sapori di restare in assoluto equilibrio. Un pregevole virtuosismo lo troviamo nel Risotto cotto nel brodo di maiale, che ha tutto il sapore del maiale ma non la sua grassezza, bilanciata dalla verza e dalla mela in agro che conferisce la giusta accelerazione acida al piatto. Ma Aurora è anche in grado di giocare con la massima semplicità, regalandoci una Faraona con purè al limone con sambuco e tiglio, piatto nel quale emergono straordinarie e delicatissime note floreali ed agrumate. Anche con i dolci è una continua altalena di sapori e consistenze: dopo

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GOURMETFOOD

Cremoso

kunkuat candito e meringa alle spezie

INGREDIENTI

PROCEDIMENTO

g. 120 di tuorli d’uovo, g. 120 di zucchero, g. 360 di succo di man-

Con acqua, zucchero e glucosio fare uno sciroppo e lasciarlo

darino, g. 360 di burro a pomata, g. 20 di gelatina in fogli (colla di

cuocere per 10 minuti a fuoco basso. Levare dal fuoco, unire

pesce).

i kunquat e rimettere a cucinare per altri 20 minuti; lasciare raffreddare i frutti al suo interno e conservare in frigorifero. Al

PROCEDIMENTO

momento di servire tagliare a pezzi.

Lavorare i tuorli in planetaria con 100 grammi di zucchero fino a ottenere un composto molto chiaro. Unire il succo di mandarino

Per la salsa caramello: g. 70 di zucchero, g. 25 di acqua, g. 100

al restante zucchero e scaldare a 80°C. Versare questo sciroppo

di panna liquida, 1 pizzico di sale.

sui tuorli lavorati e raggiungere i 75°C. Continuare a montare e, una volta raggiunti i 65°C, aggiungere la gelatina alimentare (in precedenza ammollata e sciolta sul fuoco): arrivare a 50°C e unire il burro. Versare il composto in stampi rotondi, far rapprendere in frigorifero e congelare (per staccare dagli stampi). Aspettare qualche minuto fino ad avere la consistenza giusta.

Per il croccante di meringa e spezie: g. 70 di albume, g. 150 di

PROCEDIMENTO

zucchero, noce moscata e pepe di Sechuan macinati, sale.

Preparare un caramello con lo zucchero e l’acqua sul fuoco: quando raggiunge il colore nocciola, unire il sale e cuocere con

PROCEDIMENTO

la panna calda, versandola adagio e stando attenti a mescolare

Montare gli albumi con lo zucchero e il sale ottenendo così una

per creare una schiuma calda. Lasciare riposare.

meringa. Stendere il composto con uno stampo su una placca. Cospargere di spezie e seccarlo in forno a 120°C per 6 ore circa.

FINITURA DEL PIATTO

Una volta cotta, togliere la meringa dal forno e farla raffreddare.

Condire il cremoso con la salsa caramello, adagiarvi la meringa e, con l’aiuto di un mestolo, rompere la superficie superiore.

Per il kunquat candito: 10 kunquat, g. 250 di zucchero, g. 12,5 di glucosio, g. 100 di acqua.

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Guarnire con i kunquat canditi e le spezie in polvere.


AURORAMAZZUCCHELLI

l’intramontabile Ananas in raviolo con ricotta uvetta, pinoli e caviale di caffè, cavallo di battaglia del ristorante da circa un decennio, rinfrescante e gustoso, merita l’inchino una delle recenti proposte: Mandarino, meringa alle spezie e caramello, un dolce che sa unire la freschezza dell’agrume, la dolcezza morbida del caramello e la pungenza della speziatura, un fine pasto che non saremmo riusciti ad immaginare così centrato! Aurora si presenta al tavolo con una stupefacente umiltà, quasi timida, ma dietro a questa coltre, c’è un fiume in piena in grado di concretizzare incredibili portate, forte di una tecnica e di una maturità ormai consacrate. Aurora, però, non è sola in questo viaggio: quella del Marconi è anche una bella storia familiare, come ormai ne sono rimaste poche, con il fratello Massimo a governare con mano sicura la sala e la pregiata cantina, la sorella minore Mascia a destreggiarsi fra i tavoli, e i genitori Mario e Maria (fondatori del vecchio ristorante Marconi, nel 1983) a dare il loro prezioso contributo dietro le quinte. Quanto al vino, abbiamo aperto la cena con un azzeccatissimo - e per nulla scontato - Metodo Classico di Spergola, la Riserva dei Fratelli 2010 di Ca’ de Noci: vitigno autoctono del territorio emiliano, breve macerazione sulle bucce, 36 mesi sui lieviti e nessun dosaggio, per una bollicina dal colore ambrato che spiazza ed intriga, entrando in bocca come una lama per poi rivelare corpo ed equilibrio, con un leggero tannino a ripulire meravigliosamente la bocca. Bevuta sorprendente, e perfetta con alcuni dei piatti degustati. A seguire, abbiamo scelto il Riesling Abtsberg Kabinett Trocken 2007 di Von Schubert Grunhaus, vino di estrema pulizia ed eleganza, che unisce le tipiche note agrumate ed idrocarburiche del riesling (qui molto fini e delicate) ad una trama

Massimo Mazzucchelli

acida e fitta, piacevolmente sapido e secco, pieno e persistente, con una lunga vita ancora davanti. Ci siamo infine concessi un calice di rosso, orientandoci sul Vita Grama 2000 di Aurelio del Bono (Casa Caterina), un uvaggio di Cabernet e Merlot profondo, un po’ ruvido, come solo Del Bono potrebbe fare. A conclusione dell’esperienza, riponiamo il pregiato volume del Marconi nella biblioteca d’autore che merita, in attesa di riscoprire le nuove emozioni che ci regalerà la prossima volta che lo sfoglieremo. RISTORANTE MARCONI Via Porrettana, 291 Sasso Marconi (BO) Tel. 051 846216 www.ristorantemarconi.it info@ristorantemarconi.it

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INTERVISTA A...

MATTEO

BARONETTO di Alessandra Meldolesi

Il “Baronetto rampante”, uno dei talenti più puri della cucina italiana, si affranca dalla simbiosi con Cracco e percorre in solitaria un nuovo percorso creativo. Con spirito sabaudo. Hic Rhodus, hic salta. Per Matteo Baronetto sembra essere finalmente arrivato il momento di tuffarsi nella mischia, dimostrando quello che molti sospettano, ovvero che la formidabile stagione creativa di Cracco-Peck, e poi del ristorante Cracco, ha recato in realtà un duplice sigillo. Accanto al polpastrello della celebrity, freddo e finanche classicista, l’irriverenza di uno dei talenti più puri della nuova cucina italiana. La simbiosi - che datava dagli anni delle Clivie a Piobesi, e prima ancora dall’Albereta, dove il giovanissimo chef si imbatté

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nella “matricola” - sembrava destinata a non concludersi mai, tanto erano complementari e affiatati i due temperamenti, in una gerarchia che spostava sempre più le sue linee, fino agli ultimi menu firmati dal discepolo, all’acme del successo commerciale. Baronetto, a detta dello stesso Cracco, era peraltro maturato alla stregua di “un solista”, nello sforzo di rintuzzare ogni possibile influenza dall’esterno. Il frutto di una maieutica tanto singolare non poteva non destare l’attenzione dell’imprenditoria illuminata, che ha vestito


MATTEOBARONETTO

in questo caso i panni dandy di Michele Denegri, eminenza del settore medicale. “Un amico mi ha chiamato un giorno, angosciato dalla fine che poteva fare un luogo simbolo per la joie de vivre, la storia e la socialità cittadine. Allora ho deciso di intervenire, avviandone il recupero e la valorizzazione”. Occorreva però uno chef che suonasse le stesse corde sabaude, e la scelta è caduta su Baronetto, originario del torinese, per l’esattezza di Giaveno, che proprio al Cambio aveva già compiuto uno stage in giovanissima età.

Riso Cavour INGREDIENTI per 4 persone 4 uova, g. 120 di riso carnaroli, pomodorini datterini (confit), foglie di sedano, riso venere (soffiato), salsa di carne q.b., g. 80 di burro, sale maldon. PROCEDIMENTO Per i pomodorini confit: incidere i pomodorini con una piccola croce sulla parte inferiore, sbianchirli in acqua bollente per circa 20 secondi, raffreddarli in acqua e ghiaccio quindi pelarli. Condirli con sale, olio, un rametto di timo e uno spicchio d’aglio. Disporli su una placca e metterli in forno a 80°C per circa 4 ore. Conservarli sott’olio in frigorifero. Per il riso venere soffiato: cuocere il riso venere in abbondante acqua salata per circa 25/30 minuti, scolarlo, stendere i chicchi su una placca e farli essiccare per circa 8/10 ore a 65/70°C. Una volta secco, friggerlo in piccole quantità e molto rapidamente in olio di semi a 190°C (il riso dovrà risultare croccante). Cuocere le uova* in forno a vapore a 65°C per 43’. Una volta cotte, metterle a raffreddare in una bacinella con acqua e ghiaccio; aprire con molta cura facendo attenzione a non rompere la struttura dell’uovo che risulterà “bavoso e delicato”; immergerle in una bacinella con dell’acqua fredda. Far bollire il riso in una pentola

Del Cambio infatti non è un posto qualunque: fondato nel 1757 come caffè, quando fucine come queste custodivano il fervore intellettuale dell’Illuminismo, intitolato alla posta dei cavalli, forse al cambio fra valute o ancora al Consolato di Cambi, Negozi e Mestieri, ha accomodato sulle sue poltroncine la storia: Casanova e Mozart, Goldoni e Balzac, perfino Nietzsche e Maria Callas. Il suo habitué per antonomasia è stato tuttavia Camillo Benso Conte di Cavour, che vi pranzava sovente su un tavolo custodito come una reliquia nel locale. Proprio dirimpetto, del resto, si tenevano le sedute del primo parlamento della storia

con acqua salata e una cipolla picchettata, fatta annerire in padella in precedenza, per circa 16 minuti. Scolare e disporre in un contenitore condendo leggermente con dell’olio per far sì che non si attacchino i chicchi. Disporre l’uovo al centro del piatto caldo (preferibilmente una fondina), salarlo leggermente con del sale maldon, disporre tre pomodorini confit intorno ad esso e un ciuffetto di foglie di sedano. Il riso, precedentemente bollito, viene fatto saltare in una padella antiaderente con olio e burro fino ad ottenere chicchi asciutti, sgranati e leggermente croccanti e disposto sopra l’uovo e i pomodorini. Terminare il piatto con della salsa di carne e del riso venere soffiato. * in alternativa si può fare l’uovo in camicia.

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INTERVISTA A...

italiana. L’orologio tuttavia non si è fermato, le sue pile scalpitano anzi al 100% della carica. Ed è così che Denegri ha dato il via a un restyling integrale, che ha acceso la fiaccola della storia nel flusso caotico della contemporaneità. Sottoposta a restauro conservativo la sala Risorgimento, con i suoi affreschi ottocenteschi e gli arredi originali, oppure ricostruiti con gli stessi materiali, le è stato affiancato un secondo ambiente di stile completamente altro. A firmarlo un maestro dell’arte contemporanea come Miche-

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langelo Pistoletto, il quale ha tappezzato le pareti dei suoi Quadri specchianti, che includono nella composizione la presenza dello spettatore, in continuità con le specchiere d’epoca disseminate qua e là. Nel caso di questa istallazione, battezzata Evento, a confondersi con le sagome bidimensionali sono i riflessi in movimento dei commensali, coprotagonisti di quell’opera d’arte totale che è il pasto. Pistoletto però non è stato l’unico artista coinvolto, in un’operazione di mecenatismo che può ricordare Piazza Duomo ad Alba. I tavoli e le poltroncine sono firmati da Martino Gamper; su di essi fioccano i piatti decorati da Izhar Patkin: ceramiche scartate dalla manifattura di Sèvres e personalizzate con richiami al ristorante. Al termine della scalinata,

ricostruita in marmo bianco di Prali, spazi strappati al disuso ospitano invece il cocktail bar intitolato a Cavour, il cui accesso è libero. Preceduto dall’immaginario palazzo-città di Pablo Bronstein, che prolunga a dismisura le architetture di Guarino Guarini, è decorato sul soffitto dalle linee astratte di Arturo Herrera, che riprendono il filo d’oro del salone d’epoca. Nei vari spazi una offerta diversificata: accanto alla carta gastro, con relati-


MATTEOBARONETTO

vo menu degustazione, ci sono il light lunch per i pranzi di lavoro; il déjeuner à la forchette (cioè il brunch) per la domenica mattina, secondo una tradizione ottocentesca del locale; la ristorazione veloce e le gourmandises del bar Cavour, aperto fino all’1. Tutto in uscita dalla stessa cucina, disegnata da Baronetto in persona e firmata Matinox: induzione + gas + carbone; in brigata, per il momento, nessun secondo. Quale forma possa conseguire da una simile incandescenza, sversata nel calco nobiliare del Cambio, rientra fra i misteri delle arti del fuoco. Non è facile vaticinare su ciò che si mangerà anche solo fra un anno; per il momento Matteo Baronetto si muove alla ricerca di una sintesi fra lo spirito dei luoghi, secondo cerchi concentrici che dal locale si allargano alla cucina piemontese in genere, e il suo demone creativo. Giacché nessuno come lui, nel fotogramma di una cucita arrestata sul paradigma delle rivisitazioni, ha azzardato muoversi per la terra incognita dell’astrazione, mettendo a punto autentici capolavori, avanzatissimi sul fronte gustativo. La famosa finanziera, per esempio, nata su questi fuochi per sfamare i deputati tra una seduta e l’altra, è sicuramente nelle corde di un cuoco che da sempre valorizza il quinto quarto. Attualmente scorta un finto arrosto con scaloppina cruda e jus, secondo il modello dei reverse crudisti, dove la pietanza è rovesciata in un’integrità totale, che valorizza la fassona piemontese; in futuro sarà elasticamente declinata in altre forme. La notizia è che il menu chef’s table, finora riservato a 4 o 5 happy few, scaldati dal fuoco dei fornelli e dal vulcanismo dello chef, sarà a breve fruibile anche in sala, dove finora imperava la tradizione. “Riflettere, ma non troppo”, suona il motto del Baronetto rampante, come è stato soprannominato dal web. Aria fresca e spazio libero per le sale ben ammobiliate del Cambio.

MENU E PREZZI La cantine, ospitate nella parte più antica del locale (i muri sono seicenteschi), sono state anch’esse recuperate dopo decenni di incuria. I loro scaffali, sopra la ghiaia per cui filtra l’umidità del terrapieno, ospitano una selezione costruita from scratch dal sommelier Fabio Gallo: in tutto circa 1900 etichette, concentrate come vuole la tradizione dei luoghi sul Piemonte e sulla Francia, soprattutto Borgogna e Champagne, più l’affondo di qualche verticale sui maggiori vini nazionali. Lo sforzo è stato quello di ricostruire una profondità, con acquisti alla bisogna presso broker e collezionisti.

L’INTERVISTA Come hai progettato la tua cucina? È un progetto a quattro mani che ha intrecciato il know how della Matinox, guidata da Monsieur Bertaud, con le mie necessità, dettate sia degli spazi preesistenti, sia dal desiderio di avere una determinata dinamicità e ottimizzazione del lavoro. Gli spazi erano oggettivamente piccoli e vincolanti. Abbiamo guadagnato centimetri preziosi ovunque, creato uno spazio per le preparazioni di pasticceria al piano sottostante e un’area dedicata alla preparazione del

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INTERVISTA A...

Light Lunch. Vi è stata un’attenzione importante per rendere lo spazio confortevole: abbiamo il privilegio di avere luce naturale, i sistemi più sofisticati di aerazione e condizionamento, la musica durante la preparazione e anche un televisore. La brigata si è strutturata ed assestata in questi mesi? Ci stiamo ancora lavorando, confesso che questa è la sfida più difficile e delicata, ma anche coinvolgente. I ritmi dell’apertura sono stati intensi e pressanti, ora inizia la fase in cui creare una vera sinergia e un gioco di squadra. Ci sono ottimi elementi, molto giovani, confido in grandi soddisfazioni reciproche; saranno loro a scegliere me, non io loro. Io svolgo la sola funzione di catalizzatore. Rispetto a Cracco-Peck sono altri numeri, altre responsabilità e anche diversi tipi di ristorazione. Due esperienze diverse, diversi sentimenti, diverse città. Sicuramente c’è un

“contesto” da rispettare e di cui tener conto, Il Cambio non è un luogo come gli altri. Se non ci fosse stata questa caratteristica di unicità e bellezza, credo che non avrei mai lasciato Milano. Le offerte sono diverse: andiamo dal ristorante gastronomico (pranzo e cena) al Light Lunch, con un menù che cambia tutti i giorni e che incontra la domanda di un pranzo più veloce ed informale. Poi c’è il Bar Cavour, al primo piano del ristorante, un vero cocktail bar aperto fino a tarda notte con una sua specifica carta, più snella, internazionale e curiosa: si può scegliere dal club sandwich al cous cous, ai macaron.

rispetto e ascolto, non soggezione. Il mondo del mestiere che faccio sta cambiando e io sto cercando di personalizzare il cambiamento.

Durante il sodalizio con Carlo Cracco ti sei distinto per la pratica di una cucina astratta, insolita in Italia. Qui invece ti è stato chiesto di interpretare luoghi e memorie. Un’opportunità o una limitazione? Non ci sono limitazioni, confesso che è lo stesso spazio, con le sue luci, i suoi colori, storia e fascino ad indicarmi quello che deve essere il pensiero-guida:

Sta avanzando una generazione di giovani cuochi. Come la vedi? Sono contento che questa professione sia sempre più presa in considerazione e rispettata. Vedo ragazzi che cercano la passione e nuovi punti di riferimento. Quello che auspico è che si capisca quanto sia importante avere solide basi e che si riscopra lo studio di una materia come la cucina.

Pratichi una cucina di prossimità? Pratico la mia cucina, una cucina che forse non esiste (nel senso di non classificabile) dettata da intuizioni, ma anche da contaminazioni. Credo che una certa vitalità sia fondamentale, che il “rischio” del cambiamento si debba correre. Ho una grande ambizione per il Cambio, altrimenti non avrei accettato questa sfida imprenditoriale: fare qualcosa che duri nel tempo.

RISTORANTE DEL CAMBIO - Piazza Carignano, 2 - 10123 Torino - Tel. 011 546690 - www.delcambio.it - welcome@delcambio.it

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GOURMETFOOD

RODOLFO XXXX

GUZMÁN XXXXX

LA CUCINA CILENA CHE GUARDA AL CILE XXXXX di XXXXXXX

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di Flavia Tomaello

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RODOLFOGUZMÁN

Lo chef Rodolfo Guzmán ha dato inizio a una rivoluzione della gastronomia nel suo Paese. E per farlo ha preso un’iniziativa tanto insolita quanto desueta: osservare dall’interno la propria cultura e analizzarla, scommettendo sugli ingredienti che nascono sul suo territorio. Così è nato Boragó, uno dei migliori ristoranti dell’America Latina.

L’alta gastronomia cilena si è sempre caratterizzata, durante la sua storia, per l’attenzione a quanto proviene dall’estero. Per questo motivo la cucina internazionale ha occupato un posto di rilievo nei principali ristoranti della capitale, Santiago, rispetto alle proposte gastronomiche locali. Lo chef Rodolfo Guzmán è arrivato a cambiare questa storia giustificandone in questo modo le motivazioni di base: “Nel nostro intento di guardare più in là, abbiamo cercato di rinnovare la cucina cilena da un punto di vista che riteniamo di inestimabile valore, quello cioè che parte dal prodotto endemico dei nostri mari, boschi, valli e montagne”. Guzmán non ha ancora compiuto 40 anni. Durante i suoi primi anni di gioventù è stato professore di sci d’acqua, attività che ha dovuto lasciare in seguito a un incidente. E come conseguenza ha deciso di studiare gastronomia. Terminata la facoltà, ha intrapreso un viaggio per l’Europa durante il quale ha fatto tappa nelle cucine più famose come quella di Mugaritz, nei Paesi Baschi, o presso quelle

di Balzac e Azul Profundo, entrambe di Madrid. Nel 2007, approfittando della nuova spinta come polo gastronomico che stava prendendo la zona della Nuova Costanera, ha aperto Boragó, il ristorante che dirige tuttora. Di cosa tratta la proposta gastronomica? La base sono i prodotti prettamente cileni, il riferimento ai modelli di cucina degli antenati e la presentazione del prodotto in forma delicata e raffinata. I riconoscimenti non hanno tardato ad arrivare: immediatamente è stato definito “chef rivelazione” dai mass media locali (come la rivista Wikén, il giornale locale El Mercurio, o In, la rivista di bordo della compagnia aerea Lan) ed è entrato nella lista San Pellegrino dei migliori ristoranti del mondo. Alla fine del 2014, si attestava al quinto posto tra i locali più famosi dell’America Latina. Anche la guida WbpStars, che suole usare “infiltrati”, ossia ispettori in incognito, per la valutazione dei locali (come fa del resto anche la prestigiosa guida Michelin), lo ha posto tra i migliori 60 ristoranti del mondo, unico della sua regione a ricevere questo riconoscimento.

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GOURMETFOOD

Vitello con il suo latte di Parral INGREDIENTI Per il vitello: kg. 2 di costate di vitello (di buona qualità, con l’osso), pezzo di legno di tepú, 4 sacchetti sottovuoto grandi, olio extravergine d’oliva. Pulire il grasso in eccesso. Affumicare usando il legno di tepú per 5 minuti sul fuoco e lasciando che il fumo si disperda. Chiudere sotto vuoto e cucinare a 72 gradi C. per 40 ore. Togliere dalle buste di plastica, separando il collagene, dividere in porzioni e rimettere nei sacchetti, ciascuno con il liquido sufficiente per una porzione. Per servire, chiudere a caldo da entrambi i lati, aggiungere sale e la glassa con la mistura del latte puro di mucca con collagene ridotto. Terminare con sale marino e servire direttamente. Per il brodo di vitello: kg. 2 di ossa di costate di

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manzo (abbondanti e tagliate per la base), g. 5 di cioccolato amaro. Dorare le ossa appositamente collocate in recipienti nel forno a temperatura massima. Una volta ben dorati, metterli in una casseruola, coprire con acqua e portarli al punto di ebollizione per 24 ore. Filtrare e continuare a ridurre fino a ottenere un collagene viscoso (quasi alla fine, aggiungere un po’ di cioccolato amaro per aiutare a ottenete il giusto spessore. Conservare. Per la glassa: l. 1 di latte di mucca crudo (naturale) e successivamente pastorizzato, l. 0,5 di brodo di vitello. Mescolare il collagene con il latte puro di mucca, aggiungere gli altri ingredienti e ridurre fino a renderlo leggermente spesso. Glassare il vitello con questi ingredienti fino a ridurlo.

Per le crostine di latte: l. 1 di latte di mucca. In una padella antiaderente molto calda, spruzzare un po’ di latte, lasciarlo seccare fino a farlo caramelizzare, giusto un po’ prima che si bruci. Togliere rapidamente e lasciare raffreddare. Ripetere questo procedimento fino a ottenere le crostine necessarie per ornare il piatto. Per la decorazione: g. 100 di Alfalfa (erba medica) silvestre senza foglie, g. 1 di sale marino, olio d’oliva, 8 rametti da impregnare con quest’olio di bosco. Collocare la carne già glassata direttamente al centro di un piatto, collocarvi sopra alcune scaglie di sale marino e coprire con le crostine di latte. Decorare con le foglie dell’erba medica macerate con l’olio d’oliva e sale e con rametti impregnati precedentemente, bagnati e scottati.


RODOLFOGUZMÁN

La decorazione di un piatto può includere un fiore di campo, raccolto nelle zone del nord del Paese e un piatto può includere un solo tubero esotico che cresce solo nell’isola di Chiloé, o addirittura un’erba tra le più comuni che crescono senza che nessuno le coltivi sulle colline attorno a Santiago. La ricerca gastronomica non si è limitata solo agli ingredienti: alcune ricette vengono servite in ciotole di lava vulcanica. E questo non è tutto. Guzmán è stato un ricercatore della tradizione delle popolazioni autoctone del Cile: per quanto riguarda i metodi di preparazione, fa uso dei diversi tipi di pietra, proveniente sempre dal suolo nazionale, e sviluppa tecniche di affumicatura provenienti dalle varie regioni del Paese. Il suo progetto è stato da lui stesso denominato come “cucina d’intorno”, nome che si spiega con il fatto che si può utilizzare con ciò che il terreno sa dare in ogni momento. “Il rispetto e la raccolta dei prodotti provenienti dagli angoli più insoliti del Cile ci ha portato, in tutti questi anni, ad avere una relazione molto diretta con le comunità rurali e i piccoli produttori di tutto il Paese” sottolinea.

la sensazione di non aver provato tutto quello che avrebbe voluto provare, Guzmán ritocca la sua proposta del menù con degustazioni che comprendono buona parte della produzione di punta della stagione. La definizione “di stagione” non viene infatti come ormai banalmente si fa. Lo staff che si occupa della ricerca e sviluppo del ristorante ha a capo lo stesso Guzmán, che lavora senza sosta da di-

DIVERSO DA TUTTO Risulta alquanto difficile immaginare di essere “diverso da tutto ciò che esiste”, considerate tutte le alternative che si possono trovare tra gli scaffali di un supermercato al giorno d’oggi. Ma nel caso di Guzmán, la sua cucina implica un viaggio continuo e senza sosta lungo tutta la geografia del suo paese. “Il suolo cileno è in continuo cambiamento, ed è per questo che i nostri piatti cambiano giorno per giorno, in relazione al carattere di ciò che ci circonda”, così piega lo chef, che definisce il futuro del suo ristorante come qualcosa di “incerto”. Per non lasciar andare il visitatore con

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RODOLFOGUZMÁN

GOURMETFOOD

cembre fino alla fine di marzo per elaborare le sorprese che presenterà durante l’anno sulla tavola del suo ristorante. In seguito, tra marzo e dicembre, sfilano più o meno 700 nuovi piatti, mai serviti prima. “Se arriviamo ad presentarne 300 o 400 siamo contenti lo stesso”, ci informa lo stesso Guzmán. “Abbiamo un’ossessione quasi innaturale nel voler esprimere il carattere della terra cilena in una sola stagione, e questo è quanto accade: un processo naturale, attraverso il quale vogliamo solo far comprendere alla gente da dove provengono gli ingredienti che estraiamo dal terreno e in cosa consiste questa nostra affezione”. Guzmán ha trasformato il compito dello chef in una vera avventura. “Un giorno possiamo trovarci a più di 4000 metri di altezza a raccogliere un frutto che cresce solo una settimana all’anno ed è l’unico del pianeta, e il giorno dopo sulla costa o in un bosco naturale a raccogliere dei funghi che crescono alcuni anni e altri no”, spiega. Tuttavia Guzmán è fondamentalmente l’ideologo di una rivoluzione impossibile, il responsabile del cambio di stato delle cose, fatto senza aver cambiato assolutamente nulla. Forse ha fatto quello che nessuno (o molto pochi) tra i colleghi del suo Paese avevano osato fare: osservare dall’interno, riscoprire la ricchezza dell’eredità gastronomica cilena e, allo stesso tempo, voltare le spalle a determinate tendenze internazionali. “In Cile dire ciò che è popolare e ciò che non lo è, può sembrare alquanto soggettivo: siamo una nazione geograficamente molto lunga e forse ancora un po’ disunito proprio per questa ragione, con caratteristiche del terreno completamente diverse rispetto agli altri Paesi dell’America Latina. Per questo motivo, l’affermazione del Cile nella mappa gastronomica dipende da quanto noi cuochi cileni siamo capaci di identificare, dalle Ande fino alla costa”, spiega.

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RISTORANTE BORAGÓ Av. Nueva Costanera 3467 Vitacura - Cile Tel. (56 2) 2 953 8893 www.borago.cl


PRODOTTIECCELLENTI

EVOLUTION A TAVOLA CON LE PORCELLANE CHE RISPETTANO L’AMBIENTE

CIFA Centro Italiano Forniture Alberghiere Via Della Traversa 1 22074 Lomazzo (CO) Tel 02 96779084 www.cifasrl.it

È sempre più elevato il numero di ristoratori sensibili alle problematiche ambientali e orientati a “fare la propria parte” attuando scelte ecosostenibili nell’ambito del proprio lavoro. E d’altronde non potrebbe essere che cosi, poiché oggi resta sul mercato chi sa riconoscere per tempo i segnali che il mercato stesso invia. E in questo senso, ciò che attualmente si rileva è proprio una diversa predisposizione dei consumatori verso scelte ecofriendly. Albergatori e ristoratori non possono ignorare una tendenza così rilevante ed è per questo che i più reattivi tra loro stanno già utilizzando materiali usa e getta di tipo biologico per i propri buffet informali, detergenti ecologici per le pulizie o energia pulita per scaldare o rinfrescare gli ambienti. “Ma anche per l’arredotavola è possibile adottare solu-

zioni “verdi” – sostiene Angelo Fanfarillo, vice presidente di Cifa – Centro Italiano Forniture Alberghiera di Lomazzo (Como) -. Da tempo collaboriamo con l’azienda inglese Dudson, impegnata a produrre linee di stoviglie belle da vedere, attuali nel design, resistenti, ma, soprattutto, rispettose dell’ambiente.

La serie “Evolution” è porcellana realizzata con la più bassa emissione di anidride carbonica in fase di produzione: la percentuale del 79% risulta infatti inferiore a qualsiasi altro prodotto equivalente in porcellana, grazie ad una tecnologia monocottura a basso impatto ambientale. Persino lo smalto utilizzato da “Evolution” è completamente senza piombo, pur restando uno dei più resistemti sul mercato”. Dunque affidabilità a tutto tondo, con porcellane eleganti, morbide forme e quel look simile al “fatto a mano” in grado di riscaldare e personalizzare le tavole più attuali. Tutto questo con il valore aggiunto di prodotti la cui resistenza ai numerosi stress quotidiani è una garanzia di risparmio nel tempo. Per una tavola davvero green.

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GOURMETFOOD

M C

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MORENO

CEDRONI

E LA SUA CUCINA DI GENIO E INGEGNO

Fantasia e logica, astrazione e concretezza, spirito e materia: è nella capacità di sintesi che uno chef dimostra il proprio valore, rendendo avvincente ogni suo piatto.

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foto di StudioGraf Moreno Cedroni è l’emblema indiscusso di una cucina di vero e proprio divertissement, piena com’è di invenzioni che diventano pratica credibile e pienamente godibile. Il suo giocare

con le parole, ancora prima che con gli ingredienti, attira i commensali nella dimensione ludica della sua proposta gastronomica, in una condivisione che è l’essenza stessa della sua tavola.


MORENOCEDRONI

Odio alla minestra

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frutti di mare, orzo perlato, salsa di prezzemolo, cocco e lime INGREDIENTI Per l’orzo perlato g. 200 di orzo, l. 2 di acqua, g. 14 di sale. Per la salsa di vongole g. 50 di olio extravergine d’oliva, g. 2 di aglio tritato, g. 350 di vongole veraci, g. 10 di Verdicchio, g. 1 di prezzemolo. Per la salsa prezzemolo cocco lime g. 50 di brodo pesce, g. 10 di zenzero, g. 10 di lime, g. 20 di lemongrass, g. 25 di cocco barattolo, g. 1 di colatura di alici di Cetara, g. 1 di prezzemolo. Per i turgidi g. 100 di noci capesante, g. 50 di gamberi rossi sgusciati, g. 40 di ricciola, g. 30 di sep-

pia, g. 100 di veraci, g. 15 di olio extravergine d’oliva, g. 2 di aglio tritato. Altri ingredienti microplane, olio al peroncino. PROCEDIMENTO Cuocere l’orzo perlato in acqua salata per 40 minuti dal bollore. Scolare e raffreddare. Preparare la salsa di vongole facendo andare in padella l’olio e l’aglio. Appena inizia a venire a galla, aggiungere le vongole, il vino bianco e, appena evaporato, coprire, mentenendo il fuoco medio. Appena le vongole sono aperte, toglierle, sgusciarle, filtrare la salsa e frullarla insieme alle vongole sgusciate ed al prezzemolo. A 50 grammi di orzo aggiungere 40 grammi di

salsa; mescolare. Dare un bollore al brodo di pesce con lo zenzero, il lime a fettine ed il lemongrass tritato; versare filtrando su cocco e colatura; aggiungere le foglie di prezzemolo e frullare. Tagliare i molluschi e i crostacei in brunoise media. Far andare in padella l’olio, l’aglio e le vongole; appena aperte, toglierle e, nel sughetto, saltare velocemente i frutti di mare che ne prenderanno il sapore rimanendo crudi, tutto meno la ricciola che sarà aggiunta alla fine. FINITURA DEL PIATTO Al centro mettere in forma l’orzo con la salsa e sopra i frutti di mare, una grattata di zeste di lime ed alcune gocce di olio al peperoncino. A tavola versarvi sopra la salsa di cocco e prezzemolo.

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M C GOURMETFOOD

Uovo-tonno bianco

tataki, uovo in camicia, giardiniera e rapa rossa senapata INGREDIENTI Per l’uovo in camicia 4 uova Parisi, pellicola trasparente.

Per la rapa rossa senapata g. 40 di rapa rossa precotta, g. 5 di sedano, g. 5 di carota, g. 5 di cipolla, g. 8 di olio extravergine d’oliva, g. 70 di acqua, g. 1 di sale, g. 7 di sciroppo 1/1, g. 2 di senape in grani.

Quando sarà ben calda, adagiarvi il filetto di tonno bianco, salare leggermente e scottarlo velocemente sui quattro lati. Raffreddare e poi tagliare a fettine di circa 10 grammi l’una. Portare a bollore l’acqua con sale ed aceto; mettervi a cuocere il cavolfiore tagliato a pezzi di circa un centimetro per sette minuti, la carota tagliata a dadi di circa mezzo centimetro per 4 minuti ed il porro tagliato a jullienne per 1 minuto. Poi versare le verdure nell’olio, sale ed aceto, ed aggiungere 150 grammi di acqua di cottura e l’agrodolce preparato sciogliendo nel microonde zucchero e sale nell’aceto. Raffreddare. Far andare in padella l’olio con sedano, carota e cipolla tagliati a dadini, aggiungere la rapa rossa sempre a dadi e l’acqua. Al primo bollore, togliere dal fuoco e frullare; aggiungere sale, sciroppo e senape e mescolare.

PROCEDIMENTO Spennellare dell’olio su della pellicola trasparente appoggiata su una tazza, romperci un uovo e girare la pellicola formando un palloncino. Far andare una padella antiaderente con un filo d’olio extravergine, lo spicchio d’aglio leggermente premuto ed il rametto di rosmarino.

Finitura del piatto Alla base le fette di tonno, sopra l’uovo cotto in acqua bollente per quattro minuti, la salsa rapa sopra l’uovo ed intorno, infine, le verdure della giardiniera con un cucchiaio del loro liquido. Rompendo l’uovo, uscirà il tuorlo, donando una nuova salsa al piatto. Finire con dei cristalli di sale di Cipro.

Per il tonno bianco g. 200 di tonno bianco, g. 5 di aglio, g. 3 di rosmarino.

Per la giardiniera l. 1 di acqua, g. 15 di sale, g. 15 di aceto di vino bianco, g. 110 di cavolfiore, 35 carote, g. 15 di porro, g. 30 di olio extravergine d’oliva, g. 2,5 di sale fino, g. 12 di aceto di vino bianco, g. 15 di aceto di vino bianco, g. di 25 zucchero, g. 7,5 di sale fino.

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MORENOCEDRONI

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GOURMETFOOD

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M


MC

MORENOCEDRONI

Acciuga-carpaccio di fassona della Granda marinata nel miele da Sergio Capaldo, con frittelle di alici INGREDIENTI Per il riso susci: g. 100 di riso Carnaroli, g. 160 di acqua, g. 15 di aceto di vino bianco, g. 3 di sale, g. 2,5 di zucchero.

Per la conditella: g. 30 di olio extravergine d’oliva, g. 125 di brodo pesce, g. 70 di pomodori datterini tagliati a pezzetti da circa 1, g. 20 di cipolla bianca finemente tagliata, g. 10 di colatura di alici. Per la granita di peperone rosso: g. 150 di peperone rosso, g. 100 di acqua, g. 25 di sciroppo 1/1.

Per il carpaccio: g. 300 di fassona tagliata sottile.

Per la pastella: g. 100 di acqua, g. 75 di farina debole, g. 5 di lievito di birra, g. 2 di zucchero, g. 15 di tuorlo, g. 1 di sale, 1 litri di olio di semi di arachide, g. 50 di alici spinate.

riso in una ciotola e versare in piu’ riprese l’aceto, sale e zucchero precedentemente sciolti in microonde. Prendere la fetta di fassona di circa 30 grammi, mettere al centro 15 grammi di riso susci, ed arrotolare a mo’ di maki; tagliarlo in 4. Per la conditella: profumare l’olio con gli spicchi d’aglio che poi verranno tolti; aggiungere il brodo e dare un bollore; aggiungere i datterini tagliati e, appena iniziano a sbiancare, togliere dal fuoco. Aggiungere la cipolla sbollentata e la colatura; raffreddare. Per la pastella: mescolare velocemente con la frusta tutti gli ingredienti e far lievitare per circa 20 minuti, poi posizionarne 20 grammi in un rettangolo di carta da forno di cm. 14x8, aggiungendo un’acciuga per foglio. Portare l’olio a 160°C e versare la carta con la pastella che, come prenderà calore, si staccherà. Estrarre dall’olio appena inizia a dorare ed asciugare. Per la granita di peperone: frullare tutti gli ingredienti e passarli nella gelatiera.

Altri ingredienti: erba cipollina.

PROCEDIMENTO Tenere il riso nell’acqua per un paio d’ore, poi far fare un bollore sul fuoco; coprire il tegamino con un foglio d’alluminio e finire in forno a 180°C per 10 minuti. Versare il

FINITURA DEL PIATTO Mettere al centro i 4 rotolini di carne e riso, un cucchiaio di pomodorini e cipolla, un cucchiaio di brodo, un cucchiaino da tè di granita, dell’erba cipollina tritata e la pastella croccante ai bordi del piatto.

I piatti utilizzati in questo servizio sono di Dudson, distribuiti da CIFA. Pentole e tegami sono di Pentole Agnelli.

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PRODOTTI ECCELLENTI

NICOLA

FOSSACECA INTERPRETA

Una stella Michelin di prima grandezza, accanto alle cinque della regione, portavoce entusiasta e credibile delle sue radici abruzzesi, che cerca di valorizzare attraverso una rilettura rispettosa, ma energica, delle tradizioni. La sua ben nota umiltà, quel suo modo di fare schivo e riservato, costituiscono infatti solo la

facciata di una volontà di ferro e di uno spirito di sacrificio che l’hanno portato, a soli trent’anni, ad ottenere importanti e unanimi riconoscimenti. La lunga esperienza di famiglia in pasticceria e la competenza del fratello Antonio come sommelier sono quindi l’armonioso corollario di una cucina generosa e ospitale.

RISTORANTE AL METRÒ Via F. Magellano, 35 San Salvo Marina (CH) Tel. 0873 803428 www.ristorantealmetro.it info@ristorantealmetro.it

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Bauletti

con ricotta di pecora e pistacchi di Sicilia

con cremoso alle mandorle, cioccolato e mosto cotto INGREDIENTI per 4 persone

tamente per renderlo lucido. In-

Per la salsa al mosto cotto

8 Bauletti con Ricotta di Pecora e

serire in un sac Ă poche e riporre

g. 100 di mosto cotto di uva.

Pistacchi di Sicilia

in frigo.

DIVINE CREAZIONI SURGITAL

Ridurre il mosto cotto del 50%.

Per il cremoso alle mandorle

Per la salsa al cioccolato

g. 100 di latte, g. 120 di panna,

g. 60 di panna, g. 60 di latte, g. 50

PROCEDIMENTO

g. 50 di mandorle, g. 50 di ciocco-

di cioccolato, cru 70% cacao.

Cuocere i Bauletti con Ricotta di Pecora e Pistacchi di Sicilia in ac-

lato bianco. Far bollire panna e latte e stem-

qua bollente salata.

Bollire latte, panna e mandorle

perarli sul cioccolato cru 70%

Scolarli e servirli nel piatto con gli

tagliate. Stemperare sul ciocco-

cacao. Lasciare riposare 6 ore

ingredienti preparati preceden-

lato bianco e frizionare accura-

in frigo.

temente.

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PRODOTTI ECCELLENTI

Castelmagni

con tartare di pesce coccio e carciofi INGREDIENTI per 4 persone 12 Castelmagni DIVINE CREAZIONI SURGITAL g. 200 di filetto di pesce coccio

10 carciofi tipologia Mazzaferrata 1 spicchio di aglio rosso di Sulmona olio extravergine d’oliva g. 100 di vino bianco PROCEDIMENTO Tagliare il pesce coccio battendolo con il coltello per ottenere una tartare; condirla con sale e pepe e riporla in frigo. Preparare i carciofi mondandoli delle parti meno tenere; tagliarli in quattro. In una padella soffriggere leggermente olio e aglio; unire i carciofi e rosolarli con cura. Sfumarli con del vino bianco e portarli a cottura lasciandoli al dente. Cuocere i Castelmagni in acqua bollente salata; scolarli e comporre il piatto con tutti gli elementi preparati precedentemente.

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PRODOTTI ECCELLENTI

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Scrigni ai funghi porcini

con crema di olive Leccino e mazzancolle INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

12 di Scrigni ai Funghi Porcini

Bollire le olive Leccino in acqua per circa 5

DIVINE CREAZIONI SURGITAL

minuti e raffreddarle. Denocciolare le olive,

g. 200 di olive Leccino

frullarle con un po’ di acqua di cottura e cre-

16 mazzancolle

are una crema delicata.

1 spicchio d’aglio rosso di Sulmona

Sgusciare le mazzancolle e marinarle con

olio extravergine d’oliva

olio e uno spicchio d’aglio rosso di Sulmona. Cucinarle in padella con un filo di olio extravergine d’oliva. Cuocere gli Scrigni ai Funghi Porcini in acqua bollente salata per qualche minuto. Scolarli e comporre il piatto con i vari ingredienti.

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PRODOTTI ECCELLENTI

Ravioloni

con crema di ricotta di bufala e foglioline di spinaci con brodetto di pesce INGREDIENTI per 4 persone 8 Ravioloni con Crema di Ricotta di Bufala e Foglioline di Spinaci DIVINE CREAZIONI SURGITAL g. 400 di pesce di scoglio a piacere g. 200 di pomodori 1 spicchio di aglio rosso di Sulmona olio extravergine d’oliva g. 300 di prezzemolo PROCEDIMENTO Pulire ed eviscerare i pesci, sfilettarli e tenere da parte le lische. Preparare un brodetto facendo soffriggere olio e aglio, il prezzemolo e le lische dei pesci; aggiungere i pomodori e portare a cottura. Filtrare il brodetto. Cuocere i filetti di pesce nel brodetto per circa 2 minuti. Frullare il prezzemolo con del ghiaccio per ottenere una salsa verde. Cuocere i Ravioloni con Crema di Ricotta di Bufala e Foglioline di Spinaci in acqua bollente salata, scolarli e comporre il piatto con tutti gli ingredienti.

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PRODOTTI ECCELLENTI

Quadrelli

con chianina e cardoncelli

con olive, cicoria e tartare di vitello INGREDIENTI per 4 persone 12 Quadrelli con Chianina e Cardoncelli DIVINE CREAZIONI SURGITAL g. 200 di filetto di vitello g. 100 di olive taggiasche g. 200 di cicorietta 1 spicchio di aglio rosso di Sulmona olio extravergine d’oliva 1 pizzico di peperoncino PROCEDIMENTO Tagliare la cicorietta e spadellarla con olio, aglio e peperoncino. Tagliare molto finemente il filetto di vitello. Denocciolare le olive e tagliarle sottilmente al coltello. Comporre nel piatto tre quenelles con i tre elementi. Cuocere in acqua bollente salata i Quadrelli con Chianina e Cardoncelli, scolarli e completare il piatto.

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TRAVELFOOD

VIAGGIO NEGLI

IBLEI

TERRA DEI PROFUMI E SAPORI CARI A CAMILLERI di Daniele Briani e Giorgia Zucchi

Sarà perché il celebre scrittore Andrea Camilleri è nato a Porto Empedocle, poi ribattezzata Vigata nei romanzi che vedono protagonista il commissario Salvo Montalbano, ma certo è che nella provincia di Ragusa, divenuta immaginariamente Montelusa, si svolgono tutte le storie più importanti della fortunata saga letteraria. Il commissariato, infatti, si trova nel municipio di Scicli, mentre l’abitazione di Montalbano è in contrada Punta Secca, frazione balneare del Comune di Santa Croce Camerina, nella Sicilia Sud orientale.

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Oggi si è sviluppato un vero e proprio movimento turistico nelle zone minuziosamente descritte dallo scrittore siciliano, perché molti hanno deciso di andare a scoprire quei colori, quei profumi e quei sapori che ammaliavano i sensi del commissario, magnificamente interpretato televisivamente dal fascinoso Luca Zingaretti. Dunque è un bene che ci sia stata questa divulgazione romanzata e romantica relativa alla copiosa produzione alimentare del territorio, alle sue bellezze artistiche e culturali, alla ricchezza del suo mare.


VIAGGIO NEGLI I B L E I

E il marchio Viaggio negli Iblei ha lo scopo di valorizzare proprio il tessuto sociale ed economico di questa zona della Sicilia, spesso a torto, meno frequentata rispetto ad altre più famose. Nei dodici comuni che costituiscono questo territorio, lo stile barocco e il liberty dei tanti palazzi nobiliari e delle chiese hanno contaminato non solo le espressioni artigianali più tipiche, come i delicati pizzi e merletti o le caratteristiche ceramiche, ma persino la gastronomia che è certamente ridondante e generosa. Lo si evince nelle specialità dolciarie come i cannoli di ricotta, i caratteristici ‘mpanatigghi modicani con mandorle, cioccolata, spezie varie e persino filetto di vitello, ma anche nei primi piatti come

il maccu di fave o i cavati con sugo di maiale, fino alla gallina ripiena e al coniglio a pattuisa che un tempo si riservavano alle tavole delle feste. Altrettanto cospicua è la produzione casearia che affianca provole e caciocavalli al Ragusano dop, ottenuto dalla cagliata del latte vaccino munto da novembre a maggio, quando gli animali brucano all’aperto cibandosi con più di cento essenze spontanee del pascolo libero. La cipolla di Giarratana rappresenta un’altra peculiarità della produzione ragusana. Già Presidio Slow Food, si presenta in forma schiacciata e dalle dimensioni considerevoli. Dal sapore dolce e poco pungente, si utilizza in svariati modi sia a crudo per le insalate, sia cotta in varie versioni: arrostita, alla cacciatora con capperi e olive, con asparagelle selvatiche oppure ripiena alle verdure. Se ci si volesse sbizzarrire su un’ampia varietà di assaggi del commestibile bulbo, al Ristorante Angelica, nell’antico feudo di Calaforno, lo chef Gaetano Angelica (foto in alto) si rivelerà il testimone perfetto per questo prodotto. Gaetano è da sempre sensibile alla valorizzazione

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TRAVELFOOD

dei prodotti del territorio e alla genuinità della sua cucina, tanto da arrivare a prodursi un personalissimo estratto di Carrubo, secondo una vecchia ricetta domestica, per utilizzarlo come addensante alimentare o per guarnire i dolci fatti in casa. Se la Carruba rappresenta una produzione spontanea importante della Sicilia, oggi convertita a coltivazione per la produzione di farine naturalmente prive di glutine, altrettanto vale per l’origano selvatico dei Monti Iblei che è sicuramente un’altra delle eccellenze alimentari del territorio. A detta di Pasquale Ferrara (foto in basso), deus ex machina del Ristorante Sakalleo di Scoglitti, nella cucina siciliana le spezie non possono mai mancare e inoltre aggiunge: “Tre sono gli ingredienti fondamentali della mia cucina: aglio, olio e peperoncino. Nella giusta misura e con l’aggiunta di bottarga, il fumé di triglia e vongole, ne ricavo il miglior condimento per i miei spaghetti”. La base gastronomica del Sakalleo si fonda sulla cucina di pesce. Solo il pescato giornaliero detta il menù di degustazione che tra crudo e cotto sazia il commensale in un susseguirsi ininterrotto di portate, inframmezzate dai racconti di vita vissuta che, tra l’avventuroso e il romanzato, Pasquale sciorina fra una portata e l’altra. Tutte

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fondibile e questa unicità ne ha anche decretato il successo. Lo zucchero non si scioglie nella pasta di cacao perché la temperatura di lavorazione delle fave non supera mai i 45°C e quindi rimane cristallizzato all’interno della massa di cioccolato, dando la caratteristica sensazione tattile di granella al palato. queste specialità trovano il giusto abbinamento con le produzioni vinicole locali: dal Grillo all’Inzolia oppure al Frappato e naturalmente al Nero d’Avola. Un vino su tutti identifica la territorialità dell’area sud orientale della Sicilia e si tratta del Cerasuolo di Vittoria. Unica Docg siciliana, vanta natali enologici tra il VII e VI secolo a.c. quando i Greci fondarono la colonia di Kamarina nell’attuale territorio ragusano. Prodotto da un taglio di uve Nero d’Avola e Frappato, il suo colore è naturalmente rosso ciliegia brillante con note olfattive di frutti a bacca rossa e un sapore asciutto e secco. L’Azienda Maggiovini ne produce una versione bio, con una resa delle uve di 50 ql/ha, affinato per nove mesi in acciaio e nove mesi in bottiglia; e per la vendemmia 2007 si è fregiato della medaglia d’oro al concorso enologico di Bruxelles 2010. Se dulcis in fundo dev’essere, che Modica e il suo cioccolato sia. La sua caratteristica granulosità, quando si disfa in bocca, lo rende incon-

Forse per godere appieno della sicilianità Iblea bisognerebbe accomodarsi al Caffè dell’arte di Modica, sorseggiare un caffè imperiale (foto qui sopra) o rinfrescarsi con una granita, circondati dalla spettacolare architettura barocca, avvolti nel caldo abbraccio del vento siciliano; poi chiudere gli occhi pensando a quanto questa terra riesce a tramettere a chi la sa vivere con intensità, salvo ridestarsi perché tuppiando sulla spalla una voce domanda: “Mi scusasse, Montalbano sono e le vorrei spiare una cosa”.


VIAGGIONEGLIIBLEI

BUTÍQ

VASOCOTTURA ASSAGGI SICULI SOTTOVUOTO

butiq VASOCOTTURA Via Nazionale Modica Ispica 97015 Modica (RG) - Tel. 0932 455412 info@gurmesicilia.it - www.gurmesicilia.it

Gnocchi di ricotta al pesto trapanese INGREDIENTI per 6/8 persone

Qualcuno potrà obiettare che le porzioni sono piccole e misurate, ma la fragranza e la freschezza dei profumi e sapori che esse sprigionano sono inversamente proporzionali alle loro dimensioni. Vasocottura potrebbe sembrare l’ultima frontiera della cucina moderna o l’ultimo cooking show messo in atto dalla ristorazione, fatto più per l’apparenza che per la sostanza. In questo caso invece la sua ragion d’essere affonda le radici nella cucina delle nonne – in questo caso siciliane – che utilizzavano questa tecnica per conservare le verdure di stagione e consumarle durante il corso dell’anno. Carmelo Floridia e Stefano Alfano (foto a lato) hanno avuto l’intuizione di deviare questa tecnica di conservazione, facendone un sistema di cottura per mini porzioni di piatti tipici siciliani rivisitati. Al centro del loro progetto sta la valorizzazione dei prodotti della loro terra, fortunatamente baciata dal caldo sole della Trinacria e lambita dalla brezza mediterranea che dona ai frutti della campagna sapori e gusti franchi, puliti e netti che si possono ritrovare nel piatto, anzi in questo caso nel vaso, così come sono in natura. Sì perché questa cottura in sottovuoto permette di cucinare in assenza di ossigeno, mediamente a basse temperature e di conseguenza lascia inalterati i valori nutrizionali, le consistenze e i sapori degli ingredienti utilizzati. Inoltre, all’apertura del vaso, gli aromi investono delicatamente chi si accinge a degustare questi creativi assag-

g. 200 di olio extravergine d’oliva, g. 200 di mandorle bianche di Avola, g. 20 di basilico, g. 800 di pomodoro rosso, g. 80 di aglio di Nubia, g. 2 di pepe, g. 15 di sale bilanciato, g. 200 di ricotta di mucca, g. 40 di caprino fresco di Girgentana, g. 5 di timo fresco, g. 2 di sale, g. 10 di olio extravergine d’oliva. PROCEDIMENTO Per gli gnocchi: amalgamare la ricotta con il caprino fresco e l’olio. Passare al setaccio fine, unire il timo e, con l’aiuto di un sac a poche, formare delle piccole sfere. Far riposare una notte in frigo spolverati delicatamente di farina di grano tenero. Per il pesto: sbianchire per tre volte l’aglio

gi siculi, preparandolo al piacere del momento. Possiamo così assaggiare dei delicatissimi gnocchi di ricotta su pesto siciliano, nei quali la morbidezza della ricotta vaccina unita al caprino contrasta con il sapore più deciso del pesto trapanese e la croccantezza delle mandorle di Avola; oppure le lenticchie nere di Leonforte con cedro e bottarga dove in un solo assaggio la campagna si unisce al mare e agli agrumi. Racchiudere in una piccola forma di vetro vere e proprie ricette di gastronomia, è il progetto che i due chef assieme all’imprenditore Innocenzo Pluchino hanno identificato con il nome di Gurmé. Non si tratta di un errore di scrittura: in questo caso Gurmé si scrive come si legge proprio a sancire e identificare la semplicità della loro cucina. Butiq è l’ambiente genuino e conviviale dove i due chef esprimono la loro creatività. Ricavato all’interno del complesso ricettivo di Casa Ciomod, vi si possono degustare al momento le varie pietanze abbinate a vini locali di sicuro spessore, oppure acquistare i vasetti Gurmé da consumare per asporto assieme ad altre tipicità locali quali olio, vino, conserve e, naturalmente, il cioccolato di Modica.

con la buccia, in acqua, partendo da freddo. Pelare e tenere da parte coperto. Pelare e privare dai semi il pomodoro e tagliare a brunoise molto fine. Pestare nel mortaio il basilico con le mandorle, l’aglio e l’olio e.v.o. Amalgamare delicatamente con il pomodoro, unire il sale bilanciato per verdure. Suddividere il pesto nei vasetti, spolverare gli gnocchi dalla farina in eccesso, e sistemarli sopra il pesto. Chiudere i vasetti sottovuoto e cuocere in forno a 80°C vapore per 8 minuti. Aprire il vasetto e servire decorando con madorle a lamelle tostate e olio al basilico.

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TRAVELFOOD

RESORT

DONNAFUGATA REGNO DELLO CHEF DAMIANO BASSANO

“U mare u sole e u ventu” hanno forgiato il carattere di Damiano Bassano: salentino dop oggi Chef Executive del Golf Resort e Spa Donnafugata di Ragusa. Se gli studi alberghieri all’Ipssar di Bari lo hanno licenziato come giovane cuoco in erba, nella sostanza Damiano si è costruito attraverso le esperienze più variegate possibili cominciando dalla Francia del Bristol di Parigi e de “La Fourchette” di Strasburgo, passando da quelle a stelle e strisce alla corte di Thomas Keller e Michel Richard, per arrivare a chiudere il cerchio con l’alchimia latina di Ferran Adrià. La sommatoria di tutte le conoscenze acquisite si esprime in realtà in uno stile legato ai sapori tradizionali della sua terra d’origine, che emergono al di sopra delle esperienze, anche di quelle più estreme. “La cucina è soggettiva; secondo me non esiste un piatto sbagliato ma solo un modo diverso di avvicinare il cibo e quindi solo attraverso

la sperimentazione si possono cogliere nuove opportunità di abbinamento e nuovi sapori”. Sentendolo parlare, si capisce quanta curiosità pervada l’animo di questo chef trentaseienne, che ama viaggiare soprattutto per riscoprire nuovi alimenti e le relative tecniche di cottura. Oggi la sua figura professionale lo porta ed essere anche mentore dei suoi collaboratori, ai quali cerca di instillare proprio questo tarlo della curiosità e la passione per la ricerca. Gestire tre ristoranti in un’unica location è la nuova sfida raccolta da Damiano che è alla guida della brigata di cucina del Resort Donnafugata da maggio dello scorso

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VIAGGIONEGLIIBLEI

anno. Un modo nuovo e diverso di esprimersi. Abbandonato il singolo ristorante, ora può dedicare le sue attenzioni a tre diverse cucine: Il ristorante gourmet “Il Carrubo”, la “Club House” dedicata agli ospiti del resort e il “Fico d’india” dedicato alle colazioni e alla banchettistica d’autore. Essendo Damiano il comune denominatore di tutti e tre, il livello qualitativo rimane legato ai suoi dettami e quindi sostanzialmente alto. “Il Carrubo”, composto di circa sessantacinque posti a sedere e aperto anche ai clienti esterni, ruota il menù a la carte una volta a settimana. Qui lo chef riesce a esprimere meglio l’eleganza della sua cucina fatta di sapori genuini – soprattutto dedicati al pesce – confezionati in piatti poco elaborati e con cotture sottovuoto. La Club House offre invece un’espressione di pura sicilianità cominciando dai primi piatti come la pasta con le sarde, il falso magro con piselli, oppure la pasta alla

Norma. Per i secondi si fa riferimento al pescato del giorno e in ogni caso la sua ampia varietà accontenta tutti gli ospiti della struttura che, a pieno regime, conta circa quattrocento persone. I dolci, solamente di pasticceria fatta in casa, coprono le esigenze dalla colazione fino alla cena. Dal gel a base di frutta, al tipico cannolo siciliano o alla cassata, tutto racconta un mondo policromo di colori e sapori maturati al caldo sole della Trinacria, che nella provincia di Ragusa comprende anche il cioccolato di Modica. (D.B.)

RESORT DONNAFUGATA Contrada Piombo, 97100 Ragusa Tel. +39 0932 914 200 Cel: +39 335 7872363 Fax: +39 0932 914 222 www.donnafugatagolfresort.com nhdonnafugata@nh-hotels.com

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ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

a cura di Alessandro Rossi esperto di vino, bon vivant, fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”

BARRIQUE, TONNEAUX E BOTTI GRANDI FONDAMENTALE IL LEGNO PER IL VINO L’utilizzo del legno soprattutto per la conservazione ed il trasporto dei vini è certamente una pratica molto antica. Arcaici testi documentano che già all’epoca dei Babilonesi e dei Greci i fusti in legno erano utilizzati e conosciuti. I Romani li abbandonarono a favore delle anfore di terracotta; furono ripresi successivamente dalle popolazioni Galliche che occupavano l’attuale Borgogna. Il ruolo del legno è fondamentale per l’evoluzione e l’affinamento di un vino. I legni utilizzati per la produzione di botti destinate all’affinamento del vino sono principalmente quelli derivati dalla lavorazione di quercia, castagno, acacia e, in misura minore, ciliegio. Inizialmente il ruolo del legno era quello di contenitore per il vino, infatti dal 1800, i fusti furono utilizzati principalmente per il trasporto dei vini di Bordeaux e di Borgogna verso i paesi Anglosassoni. Oggi, la funzione del legno è mutata notevolmente, anche perché, attraverso approfondite ricerche, si è giunti alla conclusione che lo scopo principale è quello di permettere al vino di essere meglio ossigenato durante l’affinamento, quindi di evolvere in maniera più omogenea e rapida. La quantità di sostanze aromatiche, più o meno tostate/speziate/vanigliate, che si vogliono cedere a un vino durante la sua evoluzione, è importante per determinare lo stile aziendale ma anche il punto di bevibilità. Oggi, il consumatore richiede un apporto di legno più contenuto rispetto al ventennio passato, in parte per moda e per evo-

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luzione del gusto, in parte perché il vitigno che caratterizza un vino è certamente più riconoscibile senza l’eccessivo apporto di rovere, che può facilmente omologare un vino, una zona di produzione o una denominazione. Lo stile di un’azienda è anche determinato dalla scelta delle pezzature dei legni, oltre che dalla scelta di contenitori più o meno nuovi. La barrique di norma contiene 225 litri tagliata a spacco e con uno spessore che varia tra i 18 e 27 millimetri – 228 litri invece in Borgogna (con doghe un po’ più spesse) – ed è una piccola botte caratterizzata da doghe surriscaldate da lingue di fuoco che, in base al tempo e all’intensità della fiamma, determinano il grado di tostatura, solitamente leggera, media, media + o forte, ed è composta da 25/30 doghe unite tra loro da cerchi metallici. Il tonneau, invece, di solito contiene 500 o 600 litri, mentre le botti grandi arrivano sino a più di 200 ettolitri. Esistono anche altri tipi di barrique di misure differenti, più rare e destinate a tipologie o zone particolari, perchè originariamente questo tipo di botti erano utilizzate come unità di misura: ogni zona di produzione aveva la propria. Le foreste francesi sono regimentate da un organismo che pianifica accuratamente le piantagioni, i tagli ed eventuali diradamenti con obiettivi ben precisi: prima di tutto far crescere gli alberi perfettamente dritti e senza rami secondari. Viene così piantato un importante numero di alberi in modo


ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

tale che gli alberelli di quercia, alla ricerca di luce, crescano dritti e senza rami laterali. Dopo circa dieci di anni incominciano i primi diradamenti: vengono lasciati circa 400 alberi per ettaro; successivamente, quando le querce saranno prossime ai 40 anni, viene effettuato il secondo diradamento fino ad ottenere una cinquantina di alberi. Ogni primavera i tronchi di rovere vengono messi all’asta, ed inizia nella tonnelerie il lungo lavoro di realizzazione della barrique. I tronchi tagliati a pezzi vengono successivamente spaccati secondo un disegno ben preciso in doghe che, dopo un lungo periodo di stagionatura all’aperto, saranno pronte per comporre la barrique. L’azione naturale del sole, della pioggia e del vento consente al legno di rovere di eliminare con il tempo i tannini più amari, di fargli perdere buona parte della sua umidità e di arricchire i suoi componenti aromatici. Il montaggio di una barrique viene effettuato tutto manualmente ed è un procedimento artigianale molto importante e delicato: inizialmente le doghe sono riunite tutte da un lato, poi, con l’aiuto di una fonte di calore, vengono piegate e chiuse nella loro forma tradizionale.

LE ZONE VOCATE PER LE BARRIQUES Le zone più importanti per la produzione di legno destinato alla fermentazione e alla maturazione del vino si trovano in Slavonia (regione della Croazia, da non confondere con la Slovenia), dove le querce di grandi dimensioni sono famose per la produzione di grandi botti (legno più poroso e meno aromatico), e in Francia, in particolare nel Limousin (la tipologia di quercia è la medesima, Quercus Peduncolata o Quercus Robur) e nelle foreste di Allier e Tronçais, nel Massiccio Centrale, dove le caratteristiche del legno sono decisamente diverse. Interessanti anche, sempre in Francia, verso est, le zone di Nevers e Bourgogne e a nord-est l’area dei Vosges. Anche negli Stati Uniti crescono querce da botte, sicuramente interessanti ma molto profumate (Quercus Alba). I legni di Tronçais hanno una grana fine e sono utilizzati principalmente per lunghe maturazioni. Sono legni caratterizzati da un’importante cessione aromatica e hanno un debole contenuto di tannini. Quelli di Allier e Nevers hanno una venatura molto

fine, sono ideali per una conservazione non troppo lunga, donando sentori aromatici e una carica tannica maggiore. Da Vosges arrivano legni per vini di alta concentrazione. I Limousin sono sicuramente legni più porosi e di larghe venature, sono riservati a vini particolari perché sono molto ricchi di composti fenolici. Il rovere francese è divenuto il legno di riferimento in quanto consente al vino un’evoluzione caratterizzata da aromi sottili come note di vaniglia e chiodo di garofano. Le barriques di rovere americano evidenziano particolarmente l’aromaticità dei vini grazie ad un tipo di tostatura forte che serve a diminuire, appunto, l’intensità aromatica evidenziando, invece, gli aromi grigliati e tostati. La trasformazione del vino nella botte costituisce comunque l’aspetto più importante. È un procedimento chimico-fisico che avviene attraverso lo scambio di ossigeno il quale, penetrando attraverso le doghe, porta gli antociani (responsabili del colore) a legarsi con i tannini (responsabili di struttura, aggressività e pienezza) attraverso un processo chiamato polimerizzazione, facilitando la precipitazione delle sostanze colloidali. I vini evoluti in barrique, grazie proprio alle piccole dimensioni di queste, esaltano e accelerano i processi di interazione legno/vino, permettendo di ottenere in minor tempo vini rotondi ed eleganti. Nelle botti grandi tutto ciò è molto ridotto, sia perché le doghe sono più spesse e l’ossigeno non riesce a penetrare così decisamente, sia perché la superficie legnosa a contatto con il vino è proporzionalmente molto minore, nonostante lo scambio di ossigeno a parità di spessore di doghe risulti maggiore. Il vino, in questo caso, può risultare meno ricco di aromi rispetto a quello maturato in barrique, però mantiene sicuramente la sua più autentica personalità. Il rovere dei Balcani ha una tessitura differente e conferisce più tannini e il lento scambio di ossigeno permette ai vini di emergere alla distanza, magari dopo lunghi affinamenti in bottiglia, mentre nell’immediato sembrano vini più magri e amari. Qui entra però in gioco anche il gusto del produttore e la sua abilità nel dosare i diversi elementi. Certo è che la barrique ha avuto un ruolo non secondario nel rinascimento del vino italiano che ha caratterizzato l’ultimo scorcio del Novecento, anche se attualmente sta lasciando sempre più spazio a botti grandi, considerate meno invasive e più adatte a stili e punti di bevuta moderni che rispettano e caratterizzano i vitigni con cui sono prodotti i più grandi vini europei.

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VINARIA

SERENISSIMA IL NUOVO SPUMANTE VENETO di Gianluca Ricci

Nasce in piena zona Prosecco il primo metodo classico veneto della Doc Serenissima. Ignorata dalla maggioranza dei produttori. Che nella terra del Prosecco ci fosse qualcuno disposto a sfidare il successo planetario delle bollicine più famose del mondo e a produrre uno spumante in netta controtendenza con le regole del mercato, era difficile anche solo da immaginare. Eppure è accaduto: è accaduto che Giancarlo Moretti Polegato, patron della cantina Villa Sandi alle pendici del Montello, in piena zona Prosecco, abbia dato alla luce, dopo anni di studi e tentativi, il primo metodo classico veneto in ossequio ai dettami della doc “Serenissima” approvata nel 2011 e fino ad oggi quasi del tutto ignorata dai produttori. Un metodo classico, dunque, in pieno territorio Prosecco: un’egemonia culturale e soprattutto commerciale che ora viene messa in discussione da un prodot-

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to nuovo, battezzato per l’occasione dal governatore della regione Veneto Luca Zaia («I piccoli imprenditori, se non avessero coraggiosi apripista, non potrebbero accedere ai mercati internazionali») ma soprattutto dall’enostar Riccardo Cotarella, che, elogiando l’ardimento imprenditoriale di Polegato, ha avuto a ricordare come «la pedemontana trevigiana sia un territorio che non finisce mai di stupire». Eppure i Moretti Polegato il metodo classico lo frequentano da molti, moltissimi anni, dai tempi della rinascita di Villa Sandi, quando alla fine degli anni Settanta ne fecero un gioiellino dell’ospitalità e della vinificazione. Durante i lavori di ristrutturazione il crollo di un pavimento svelò un insospettato intrico di tunnel e cunicoli al di sotto della


SERENISSIMA

struttura, il luogo ideale per lasciare a riposare in bottiglia bollicine che non fossero prodotte in autoclave. Un viaggio in Champagne dei fratelli Moretti Polegato fece il resto e li convinse a tentare l’impresa: nacque così Opere Trevigiane, una linea di spumanti metodo classico di grande fascino e raffinatezza proveniente dal cuore di Valdobbiadene, una sorta di anacoluto enologico che, forse proprio per questo, ottenne un successo straordinario. Quel successo ha spinto allora la proprietà dell’azienda a cogliere le opportunità offerte dalla nuova doc veneta approvata nel 2011 e chiamata con grande lungimiranza «Serenissima». Si tratta di una denominazione allargata su ben cinque province della regione e mirata alla realizzazione di vini spumanti ottenuti con la rifermentazione in bottiglia, una sorta di marchio di produzione con cui le bollicine venete, oggi conosciute in tutto il mondo esclusivamente grazie al Prosecco, potrebbero

entrare in concorrenza con chi il metodo classico nel nostro Paese lo fa - e bene - da molti anni. Le superfici vitate (Chardonnay e Pinot Nero) devono essere montano-collinari a vocazione specifica, un po’ come accade nel vicino Trentino e nel Bresciano, con vigneti in pendio, estati fresche e ventilate e una significativa escursione termica: la fascia territoriale è apparentemente ampia, ma in realtà limitata all’area pedemontana delle province interessate e dunque in realtà piuttosto ristretta, dalle sponde orientali del lago di Garda al confine con il Friuli. Opere Serenissima è il nome di battesimo dell’ultimo nato a Villa Sandi, uno spumante diverso dai suoi predecessori, più fresco perché lasciato a maturare solo 24 mesi e non 36, 48 o addirittura 60 come i fratelli maggiori della linea Opere Trevigiane, uno spumante studiato per ampliare la gamma e offrire al mercato una panoramica completa del metodo classico targato - fa un

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VINARIA

po’ specie rimarcarlo - Valdobbiadene. Ecco perché nel corso del battesimo ufficiale si è parlato con frequenza di coraggio: la nuova denominazione offre infatti la possibilità a quanti si sentono pronti a cogliere la sfida di lanciarsi in un’impresa che oggi come oggi non si può prevedere come possa andare a finire. «È un vino che prova a farsi bandiera di un territorio - ha dichiarato Giancarlo Moretti Polegato presentando la sua nuova creatura - nella speranza che, aperta la strada, numerose aziende provino a seguire la nostra esperienza: solo così si può costruire un sistema forte con cui dare l’assalto ad un mercato che, soprattutto all’estero, ha voglia di Italia, e di bollicine italiane. Se sapremo fare squadra, Serenissima potrà diventare il volano giusto per promuovere il metodo classico veneto in maniera organica e sistematica. Vino e cibo italiani sono di gran moda nel mondo: basta solo che riusciamo a farli conoscere meglio». L’idea, oggi concretizzata nelle prime bottiglie, era di organizzare intorno

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ad un nome, Serenissima appunto, il mondo spumantistico veneto che si trova al di fuori dei vertiginosi interessi del Prosecco e che ha comunque le carte in regola per poter dire la sua su un mercato oggi disponibile ad accogliere nuove suggestioni. Per questo motivo Moretti Polegato invita i suoi colleghi a raccogliere il guanto di sfida e ad affiancarlo in un’avventura che potrebbe dare nuova linfa al già ricco patrimonio enologico veneto. Se e quando Serenissima rappresenterà lo stesso simbolico significato di Franciacorta o Trentodoc, vorrà dire che il percorso sarà compiuto. Anche se i rischi non mancano: la storia del Talento, marchio studiato a tavolino per riassumere significati e simboli troppo ricchi e articolati per poter essere compressi in una sola parola, e per questo lasciato tristemente agonizzare, dovrebbe far riflettere sulle modalità operative da mettere in campo. Ma Serenissima sembra evocare atmosfere e territori in grado di supportare il duro lavoro dei vignaioli veneti e di valorizzarlo al meglio.

VILLA SANDI Via Erizzo, 112 31035 Crocetta del Montello (TV) Tel. +39 0423 665033 Fax +39 0423 665009 www.villasandi.it


a cura di Gianni Di Lorenzo

ecce

inum

RUGGERI

LA PRODUZIONE 2014 DEL PROSECCO Il Prosecco, con i suoi 320 milioni di bottiglie distribuite nel mondo, ha battuto i consumi dello Champagne nel 2014. Nel mare di queste bollicine tanto amate, spicca per qualità la produzione della storica Cantina Ruggeri di Valdobbiadene. Già premiato in tutte le ultime annate, il Giustino B. 2014, da uve Glera 100%, si presenta con quelle caratteristiche di piacevolezza che ne potrebbero decretare ulteriori riconoscimenti anche quest’anno: evidenti note floreali e leggeri sentori di crosta di pane con un gusto fine e fruttato in buon equilibrio. Più impegnativo il Vecchie Viti 2014, un Prosecco superiore definito “Prosecco della memoria” sia per la sua provenienza da vitigni centenari, sia perché esprime le caratteristiche tradizionali dei grandi Prosecchi: profumi intensi e raffinati, un gusto morbido e pieno di mela matura con note minerali e una lunga persistenza. Per gli amanti del Prosecco meno abboccato, l’Extra Brut che, con i suoi 4,5 grammi per litro di zucchero residuo, garantisce a queste bollicine un carattere più asciutto e definito.

Dalla Sardegna, con vigore Bella sorpresa quella dell’Igt Marmilla Aromatico delle Cantine Su’entu di Sanluri (VS) che, a stemperare l’elevata gradazione alcolica abbiamo bevuto ben fresco su un saporito piatto del grande Roberto Petza, stellato chef del ristorante S’Apposentu di Casa Puddu a Siddi: zuppa di fregua di casa con delizie di mare, basilico e profumo di agrumi. Sarà per l’incontro tra sapori sardi intensi e vigorosi, ma questo vino da uve Nasco, Moscato e Chardonnay con quei profumi netti di ginestra, mirto e miele e le note minerali, agrumate e aromatiche, sposa perfettamente un piatto complesso come questo.

Monsupello Nature, bollicine dell’anno

L’ESSENZA

Il Monsupello Nature (Pinot Nero Metodo Classico Pas Dosè) è lo spumante premiato con lo speciale ambito riconoscimento “Bollicine dell’anno” dalla Guida Vini d’Italia 2015 del Gambero Rosso. Frutto del Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese e della tecnica enologica e filosofica dell’indimenticato storico fondatore dell’Azienda Agricola Monsupello, Carlo Boatti, uno di quei vignaioli illuminati che, in Italia, hanno dato valore e identità alla loro terra e alle loro viti. Il Nature è lo spumante non dosato, che il “signor Monsupello” riservava agli amici. L’Azienda Agricola Monsupello pose le sue basi oltre un secolo fa, nel 1893, quando la famiglia Boatti in località Cà del Tava nel comune di Oliva Gessi, iniziò a dedicarsi alla cura dei propri vigneti. Nel 1914 i Boatti acquistarono il fondo detto “Podere La Borla” a Torricella Verzate, dove costituirono la cantina, che potenziata e ammodernata nel tempo, è la stessa di oggi. Attualmente Monsupello è gestita da Pierangelo, Laura, Carla e Carlotta Boatti, affiancati da un preparato staff tecnico in vigneto e cantina coordinato dall’Enologo Marco Bertelegni, professionista scrupoloso e attento conoscitore del territorio. L’Azienda è in continua evoluzione secondo le attuali esigenze di mercato e ben determinata a proseguire il cammino, basato su obiettivi qualitativi che l’hanno portata nel tempo ai vertici dell’enologia italiana. (Antonietta Mazzeo)

In tempi di “bolle” troppo spesso omologate, ancor più spesso grevi, ecco spuntare, quasi per caso, una bottiglia di sorprendente intensità. Oro zecchino brillante e perlage fittissimo. Naso e bocca di raffinata tendenza ossidativa. Bevibilità, pienezza, eleganza, succosità! Grande bottiglia questo Essenza. Lo produce, da vendemmia tardiva, l’azienda agricola franciacortina Santus, in quel di Rovato. Complimenti a Maria Luisa Santus e Gianfranco Pagano, titolari e passionali agronomi di questi vigneti gestiti in maniera originale: uve raccolte quando sono quasi surmature, per ottenere una sorprendente pienezza gustativa e grandi profumi.

DELLE BOLLICINE

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VINARIA

È ITALIANO IL MIGLIOR SAUVIGNON DEL MONDO. LO PRODUCE

TIARE

NEL COLLIO FRIULANO di Gianni Di Lorenzo

Il Sauvignon più buono del mondo è italiano e poiché il riconoscimento è stato conferito in terra francese, di certo vale un trono regale. Produce questa eccellenza assoluta Roberto Snidarcig, 50 anni di travolgente schiettezza, che con la moglie Sandra conduce, in quasi totale autarchia, i 10 ettari vitati che abbracciano due delle zone Doc più interessanti del Friuli Venezia Giulia, ossia il Collio e l’Isonzo. Qui, appunto è nato quel Sauvignon Tiare 2013 che si è aggiudicato la Medaglia d’oro e il Trofeo speciale alla 5° edizione del Concours Mondial du Sauvignon di Bordeaux 2014. Campione del mondo, quindi: si tratta del primo (e finora unico) riconoscimento in assoluto di questa portata che viene tributato ad un vino italiano. Tiare si è distinto per la sua

eleganza e carattere fra i 751 campioni esaminati, presentati al prestigioso concorso da 473 aziende provenienti da 21 Paesi del mondo. Un successo bissato nel 2015, quando il Sauvignon Tiare 2014 si è aggiudicato la Medaglia d’oro alla 6° edizione del Concours Mondial du Sauvignon. Tanto impegno e passione di Roberto Snidarcig nella produzione di Sauvignon sono stati premiati anche con l’assegnazione dei Tre Bicchieri del Gambero Rosso 2015 al Sauvignon Tiare 2013 e del Top Hundred 2015 del Golosario al Sauvignon Empîre 2011, che ha lo ha decretato il miglior vino fra i 100 selezionati nella guida di Paolo Massobrio e Marco Gatti. Una pioggia di riconoscimenti arrivati praticamente tutti insieme

AZIENDA AGRICOLA TIARE Loc. Sant’Elena 3/a 3470 Dolegna del Collio (GO) Tel 0039 0481 62 491 www.tiaredoc.com info@tiaredoc.com

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TIARE

e che hanno quasi procurato a Roberto la gastrite, che si acuisce ogniqualvolta sa di dover parlare in pubblico: “Questo aspetto della popolarità mi blocca” spiega con disarmante semplicità questo viticoltore per vocazione. E continua “Non è nella mia indole esibirmi, parlare in pubblico davanti alle grandi platee, come ad esempio quando sono stato di recente dichiarato “Cantina emergente 2015 del Gambero Rosso” e sono salito sul palco a ritirare il premio. Preferisco parlare di me e dei miei vini così, come stiamo facendo ora con voi, guardando in faccia le persone, seduti attorno a un tavolo e possibilmente con un bicchiere

di Sauvignon da sorseggiare. Ammetto la mia incapacità congenita di affrontare telecamere, talk-show o qualsiasi altra forma di mia personale esposizione!” Succede però che improvvisamente una persona si imponga all’attenzione pubblica e che da quel momento tutti, finalmente, si accorgano di lui. Ma c’è chi in tempi non sospetti aveva visto lontano e aveva intuito il valore di quanto Snidarcig stava facendo: quel qualcuno era, guarda caso, il grande Luigi Veronelli che nel 1996 ne aveva scritto su L’Espresso. Ma quali sono i meriti di questo Sauvignon così speciale? Nella scheda tecnica dovremmo citare, in primis, l’ostinazione e l’impegno del produttore. In campagna fin dall’adolescenza, Roberto aveva infatti individuato fra

le uve che suo padre acquistava da altri contadini per vinificare, una vigna di Sauvignon che spiccava sulle altre per il suo carattere particolare, il cui vino si evolveva e migliorava in modo significativo e sorprendente di anno in anno. E proprio da quella vigna è iniziato il suo amore per il Sauvignon (che rappresenta ora il 50 % della sua produzione): ne ha preso dei tralci, ne ha fatto dei cloni e una caparbia selezione di marze, che ha piantato nel suo primo ettaro di vigneto, a Dolegna. Sempre a Dolegna, fra le zone più pregiate del Collio, acquista poi altri terreni e vi impianta nuovi vigneti di Sauvignon e, via via, di altre uve a bacca bianca, che qui trovano terreno e microclima ottimali. Ma è soprattutto sul Sauvignon che si concentra, studiandolo, seguendone

con passione e perfezionismo tutte le fasi, dalla campagna alla vinificazione e all’affinamento. Nel 2007 costruisce fra le vigne una modernissima cantina, di medie dimensioni, ma dotata di tecnologia di ultima generazione. La progetta lui stesso in base alle sue esigenze e al suo modo di fare vino e la fa dipingere di un delicato color viola. Sopra la cantina, gli spazi per degustare i vini e per l’agriturismo (per i quali ha scelto un vitale color arancio) si aprono con un grande porticato sul verde delle viti di Sauvignon. Annessa alla cantina, la casa dove vive con il piccolo Alessandro e la moglie Sandra, compagna di vita, avventure e lavoro, dalle cui mani escono i genuini e saporiti piatti della tradizione friulana per i quali è noto il loro agriturismo. La gamma dei vini (la produzione è di circa 100.000 bottiglie annue) spazia dagli autoctoni agli internazionali. I Bianchi Sauvignon (45% della produzione ), Malvasia, Pinot Grigio, Ribolla Gialla, Friulano. I Rossi Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot a cui si affiancano selezioni di grande carattere, ovvero Ronco del Merlo (un Merlot in purezza), Pinot Nero, Refosco dal penducolo rosso e Schioppettino. Conclude la gamma una piacevole bollicina, Bolle, blend di Ribolla Gialla (70%), Malvasia (25%) e Sauvignon (5%).

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Faccio cose... ...vedo gente a cura del direttore Elsa Mazzolini

PREMIO DIRE, FARE, SOGNARE TENUTA CIALDINI - Castelvetro (MO)

Possiamo chiamarli i “fantastici cinque”. Perché ognuno di loro a suo modo ha lasciato un’impronta nel racconto dell’enogastronomia dell’Emilia Romagna. Non uno sguardo localistico, ma una narrazione che dal “piccolo mondo” ha acceso i riflettori sull’Italia intera, con riflessi in alcuni casi anche oltreconfine. Il palcoscenico di queste narrazioni è la quarta edizione del riconoscimento “Dire Fare Sognare”, promosso da Partesa, tributo a un territorio popolato di personaggi che

hanno fatto della cultura del cibo e del vino il loro tratto distintivo. Quel tratto che rende unica l’Emilia Romagna: nel linguaggio (“Dire”), nella manualità (“Fare”) e nell’essere un popolo che sa vedere oltre (“Sognatore”). In questa edizione sono stati premiati: Piero Meldini, tra i primi studiosi, già dalla metà degli anni Settanta, ad occuparsi di storia del cibo, membro del Comitato scientifico di Casa Artusi; Arturo Balestrieri, fondatore e Presidente del

Comitato Promotore del Gola Gola Food & People Festival; Beatrice Balsamo, da trent’anni nel campo dei disturbi del comportamento alimentare con l’approccio della psicanalisi narrativa; Anselmo Chiarli, illustre personaggio del firmamento enologico italiano, artefice del decollo mondiale del Lambrusco; Graziano Pozzetto, uno dei principali ricercatori e divulgatori di cultura gastronomica. A sceglierli una giuria di tre tra le più qualificate firme del giornalismo enoga-

Nella foto in alto, con ME, Vincenzo Cammerucci, Alessandro Rossi di Partesa, Silver Succi, Fabio Gardini. Qui sotto, i premiati della sezione cultura: Graziano Pozzetto, Piero Mellini, Arturo Balestrieri, Anselmo Chiarli e Beatrice Balsamo.

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stronomico: Andrea Grignaffini, Elsa Mazzolini e Alessandra Meldolesi. La premiazione si è svolta lunedì 8 giugno scorso a Castelvetro di Modena nella Tenuta Cialdini di Cleto Chiarli. Due i momenti di “Dire Fare Sognare”: il riconoscimento a cinque personalità che con modalità diverse si sono distinte nella promozione della cultura enogastronomica; il riconoscimento che premia il lavoro di un operatore di ogni provincia emiliano romagnola, da Piacenza a Rimini, scelto tra ristoratori, baristi, enotecari e torrefattori. Questi i nomi dei vincitori per territorio: Vincenzo Cammerucci (Ristorante Camì

to l’Arco (Bologna); Trattoria La Rosa (Sant’Agostino – Ferrara) (foto 2); “Per il quarto anno consecutivo Partesa premia i principali protagonisti dell’enogastronomia della nostra Regione - spiega Alessandro Rossi di Partesa – Dopo tre edizioni in Romagna, per la prima volta Dire Fare Sognare fa tappa in Emilia, e lo fa in una prestigiosa e storica location qual è la Tenuta Cialdini di Cleto Chiarli. Giuria qualificata, cinque personalità di primo piano, dieci rappresentanti di tutta l’Emilia Romagna: sono gli ingredienti di questo riconoscimento che vuole essere un attestato culturale ai protagonisti della nostra regione”.

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– Ravenna); Gardini Cioccolato (Forlì); Silver Succi (Ristorante Quartopiano - Rimini); Errico Recanati (foto 1) (Ristorante Andreina - Loreto - Ancona). Relais Cascina La Scottina (foto 3) (Scottina – Piacenza); Trattoria ai Due Platani (foto 4) (Coloretto – Parma); Osteria del Viandante (foto 5) (Rubiera – Reggio Emilia); Carlo Alberto Borsarini de la Lumira (Castelfranco Emilia – Modena); Alessandro Panichi del Ristorante Sot-

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Faccio cose... ...vedo gente

ULIASSI E CEDRONI: ONORE AL MERITO PALAZZETTO DELLO SPORT - Senigallia (AN)

Anche quest’anno è stato assegnato il “Premio Panzini”, giunto alla sua quarta edizione. Dopo il Maestro Gualtiero Marchesi, l’imprenditore Giovanni Rana e il pluristellato chef Bruno Barbieri, sono saliti sul podio gli chef stellati Moreno Cedroni e Mauro Uliassi, orgoglio della città di Senigallia e di tutta la terra marchigiana. Un ulteriore riconoscimento per Uliassi e Cedroni, maestri dell’arte culinaria, che hanno ricevuto ambitissimi premi; due chef che hanno promosso l’eccellenza nella ristorazione riuscendo, con le loro doti e in maniera diversa, ad interpretare, attualiz-

zandole, le specialità della tradizione. È stato un evento molto atteso dai 1400 alunni dell’istituto senigalliese, tutti rigorosamente nelle loro divise di cucina, di sala bar, di ricevimento e di guide turistiche, che hanno riempito le gradinate del Palazzetto dello

Sport di Senigallia, orgogliosi ed emozionati di poter incontrare due grandi chef stellati della loro terra. Un avvenimento che ha fatto sicuramente sognare gli alunni: incontrare due “ex ragazzi” come loro, che nei loro sogni hanno

trovato la forza e l’energia per raggiungere ambiti traguardi. Sicuramente questo premio rappresenta la giusta cornice al Panzini, un istituto che ha sempre svolto un importante lavoro scolastico, sempre attento ai propri alunni, volto alla loro crescita personale e professionale. Il “Premio Panzini”, quest’anno con Uliassi e Cedroni, vuole quindi sottolineare e offrire agli studenti l’opportunità di pensare al proprio futuro in modo nuovo, di sognare e di allargare i propri orizzonti professionali.

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VINARIA

AUTOCHTONA 2013

AWARD “AUTOCTONI CHE PASSIONE!” PER IL MIGLIOR VINO BIANCO A:

MONTONICO ABRUZZO DOC/DOP SUPERIORE 2012 SANTAPUPA

MONTONICO ABRUZZO DOC/DOP SANTAPUPA Uvaggio: 100% Montonico Terreno: medio impasto tendente all’argilloso Sistema di allevamento: filare Analisi sensoriale: naturalmente beverino grazie alle peculiari caratteristiche quali il colore giallino, il suo delicato frutto e la sua innata morbidezza. Tipo di vinificazione: tradizionale a temperatura controllata Vinificazione: l’uva raccolta manualmente viene tenuta in criomacerazione e poi pigiato con diraspa-pigiatrice, quindi il grappolo viene prima diraspato e poi pigiato. Il mosto fiore viene immesso in serbatoio di acciaio con doppia tasca di refrigerazione per la pulitura a freddo. Dopo averlo reso limpido, il mosto viene fatto fermentare a temperatura controllata e quindi fatto riposare per circa due mesi, dopo di che viene stabilizzato a freddo, filtrato a farina ed imbottigliato previa microfiltrazione sterile. Abbinamenti gastronomici: ottimo come aperitivo o con antipasti a base di pesce, zuppe, minestre e carni bianche.

Società Agricola LA.DI. s.n.c.n di Elisabetta Di Berardino & C. Via Colle Croce - 64020 Morro D’Oro (TE) - Italia Tel +39 085.8959110 – Fax +39 085.895324 info@vinilaquercia.it - www.vinilaquercia.it - E Commerce: www.vinilaquercia.com

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EDITORE

CONFEDERATION

LA MADIA s.r.l Sede legale: Via E. De Amicis, 53 - 20123 Milano (MI) Sede operativa: Via Pacchioni, 365 - 47521 Cesena (FC) Tel. 0547 23821 - Fax 0547 25791 Internet: www.lamadia.com - E-mail: lamadia@lamadia.com Direttore responsabile: Elsa Mazzolini

REDAZIONE

EUROPEENNE

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Caporedattore: Maria Chiara Zucchi Impaginazione: Andrea Amadori Stampa: D’Auria Printing SPA - (AP) Webmaster: Giorgia Zucchi Redazione e centro di distribuzione in Gran Bretagna: ALIVINI Company Limited - London - Tel. +44 20 8880 2525

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Domenico Acconci, Enza Bettelli, Silvia Bianco, Daniele Briani, Teresa Cremona, Andrea Dal Cero, Giuseppe De Girolamo, Maurizio Di Dio, Luigi Filippi, Lucy Gordan, Verdiana Gordini, Giuseppe Lo Russo, Giovanni Mastropasqua, Antonietta Mazzeo, Alessandra Meldolesi, Claudio Mollo, Alessia Pellegrini, Giacomo Pilati, Pierpaolo Rastelli, Alessandro Ricci, Gianluca Ricci, Alessandro Rossi, Simone Rosti, Flavia Tomaello, Salvatore Tuccillo, Primo Vercilli. Fotografi: Nikoboi, Pasquale Spinelli, StudioGraf, Lido Vannucchi Illustratori: Patrizia Zavatti

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