CONTIENE I.P.
Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa
ROBERTO PETZA
E IL FUTURO POSSIBILE DELLA SARDEGNA
LA MADIA EDITORE
ANNO XXXI - Ottobre 2015 - N. 301 - €E 4,00 - Direttore ELSA MAZZOLINI
www.lamadia.com
SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD n. 301
GOURMETFOOD
di
Alfredo Antonaros
La scelta vegana La pasticceria vegana di Silvia Bianco................................................................. pag. 6 Assaggi di Galateo A tavola con gli asiatici di Fabio Ferrantino........................................................... pag. 8 Golavagando
pag. 28
Cimmino 104.................................................................... pag. 12 GolavagandOraviaggiando Ristorante Da Camporesi
ROBERTO PETZA
di Giovanni Mastropasqua............................................... pag. 14
E il futuro possibile della Sardegna.
MondoChef a cura di Alessandra Meldolesi........................................ pag. 16 Golavagando “Mon Trésor”
GOURMETFOOD
di
Sandro Romano
pag. 40
Locanda Perinella di Daniele Briani............................................................... pag. 20 Ristorante La Villa 1.4 di Daniele Briani............................................................... pag. 22 Gastronomia Io Parmigianino di Daniele Briani............................................................... pag. 24 Prodotti Eccellenti Andrea Incerti Vezzani interpreta Divine Creazioni Surgital.................................. pag. 44 GourmetFood Ristorante Albergo Al Ponte di Gianni Di Lorenzo......................................................... pag. 52 Chef di Spirito
FELICE LO BASSO Più Unico che raro.
Nazario Biscotti di Sonia Leo..................................................................... pag. 58 Intervista a...
TRAVELFOOD
di
Teresa Cremona e Elsa Mazzolini
Jack Dell di Lucy Gordan................................................................. pag. 82 Vinaria Il focus di Alessandro Magnum di Alessandro Rossi......................................................... pag. 88 Azienda Agrobiologica San Giovanni di Filippo Fabbri................................................................ pag. 90 Agriturismo Al Rocol
pag. 64
di Gianni Di Lorenzo......................................................... pag. 92 Assaggio di libri............................................................. pag. 96
VIAGGIO IN DANIMARCA Patria della Nuova Cucina Nordica e di uno stile di vita sostenibile.
EDITORIALE di
Elsa Mazzolini
LA CLASSE NON È ACQUA Finita da poco la vendemmia, ho deciso di non parlare di vino, bensì di acqua, senza la quale non ci sarebbe vino. Tanta acqua. Da 200 a 400 litri per ogni litro di vino prodotto con il nostro sistema agricolo che integra le piogge con l’irrigazione, fino a 680 litri in Australia, Cile, California, dove si impiantano vigneti a prescindere dal clima locale e dove, di conseguenza, si irriga massicciamente. Il vino non ha colpe particolari: per un chilo di riso ci vogliono infatti 2500 litri d’acqua, per un chilo di orzo per birra 1420 litri, 125 litri per una sola mela, 5990 litri per un chilo di carne di maiale e ben 16000 per 1 kg di carne bovina, 8860 litri per un chilo di the. Questi calcoli si chiamano impronta idrica e servono a stabilire il quantitativo di acqua che è stato utilizzato per produrre ogni tipo di alimento. Esiste anche un’”impronta carbonica” atta a misurare quanta Co2 viene sprigionata nell’ambiente tra produzione e trasporto (per ogni litro di vino australiano importato in Italia, 9,4 chili di petrolio consumato e ben 29 kg di Co2!) Ciò detto, possiamo affermare almeno due concetti fondamentali: 1) una bottiglia di vino, acqua, vetro, tappo e trasporto compresi, non può costare uno o due euro, se non speculando, come avviene nei casi di caporalato, sulla pelle dei braccianti agricoli e sui compensi conferiti ai viticoltori. 2) In un mondo dove 1 miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile, dove 2 miliardi e mezzo di persone vivono senza acquedotti, dove i 2/3 della popolazione potrebbe trovarsi in condizioni di “stress idrico” già entro il 2025 a causa dello spreco delle risorse naturali e al surriscaldamento del pianeta, occorrerebbe trovare sistemi di produzione, stili di vita e di alimentazione più sostenibili. Ora, io non sono assolutamente una fanatica del km0 perché amo troppo le biodiversità, ma ho cominciato a privilegiare le produzioni italiane, la filiera corta, la stagionalità e soprattutto chi produce cercando di ridurre al massimo l’impatto ambientale. Se è vero quel che dicono gli esperti, e cioè che il nostro sud diventerà a breve il nuovo Sahara a causa della rete idrica colabrodo, delle scarse precipitazioni e delle fonti d’acqua in esaurimento, credo che ci accorgeremo presto che la nostra miopia non ha senso. Né futuro.
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LA SCELTA VEGANA
a cura di Silvia Bianco testimonial di cucina vegana
LA PASTICCERIA VEGANA In molti pensano che non sia possibile creare ottimi dolci senza l’utilizzo di latte vaccino, burro e uova, ma gli esperti converranno che basta qualche piccolo accorgimento e sostituzione con altri ingredienti ed il gioco è fatto. La creatività e la passione sono sempre il motore della cucina e grazie a questo anche i vegani, gli intolleranti al lattosio, gli allergici alle uova possono su creazioni di pasticceria deliziose. Basti pensare, ad esempio, che il latte vaccino può essere sostituto con latti vegetali come quello di soia, avena, farro, miglio oppure con il latte di mandorle o cocco che conferiscono piacevoli sfumature. Il burro invece può essere sostituito da olio extravergine d’oliva, oppure da un olio dal sapore meno deciso come, ad esempio, l’olio di semi di mais, in una proporzione di 80 grammi di olio al posto di 100 grammi di burro. Il burro può essere sostituito anche da panna di soia, yogurt di soia (125 grammi per 100 grammi di burro), oppure, ancora, possiamo realizzare un burro vegetale autoprodotto utilizzando un mix di olio di semi di girasole e burro di cacao o cocco. E le uova? A parte l’utilizzo di preparati sostituitivi reperibili in commercio e costituiti da una miscela di amido e farina di tapioca, possiamo sostituire le uova con diversi prodotti in base alla “funzione” delle uova in una ricetta. Se le uova hanno funzione legante si possono sostituire con fecola di patate, farina di soia, amido di mais, banana matura, tofu, mela grattuggiata, farina di ceci; se invece la funzione è di tipo lievitante, si può ricorrere a farina di soia, yogurt di soia (che è anche legante), semi di lino o chia polverizzati in acqua (anche legante), aceto di mele, ed infine aggiungere del cremortartaro in abbinato
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a bicarbonato per aiutare nell’attivazione della lievitazione. Insomma, come si può vedere, abbiamo l’imbarazzo della scelta circa i prodotti sostitutivi che, nella loro semplicità, ci aiutano ad ottenere un dessert di qualità, squisito, adatto non solo a vegani ma anche a intolleranti o allergici a lattosio e/o uova. Il vero scopo di questo mese è però parlarvi di un prodotto favoloso: l’acqua di cottura dei ceci (o dei legumi in genere). Ci si chiederà: “Cosa ha di sensazionale quest’acqua?“ Ebbene in realtà questo prodotto così semplice e apparentemente insignificante sta rivoluzionando e migliorando la pasticceria vegana. L’acqua di cottura dei ceci o acqua cecina, di fatto si comporta come l’albume d’uovo se viene montata a neve, in quanto possiede alcune delle proprietà dell’albume e alcune delle proprietà del tuorlo. Non sono ancora stati effettuati studi scientifici sull’analisi chimica e nutrizionale dell’acqua dei legumi; ad oggi possiamo ipotizzare che l’acqua monti per via delle proteine e/o per la gelatinizzazione degli amidi. Ad ogni modo l’utilizzo dell’acqua cecina si presta ad innumerevoli preparazioni come meringhe, macarons, creme, mousse, torrone, marshmellows, torte, cialde, biscotti, ma anche maionese, hamburgher, pasta. Dobbiamo questa scoperta al tenore francese Joel Roessel (http:// www.revolutionvegetale.com/) e all’ingegnere di software americano Goose Wohlt (http://aquafaba.com/index.html) i quali, uniti dalla voglia di creare delle meringhe vegan, hanno dato il via a questa scoperta sensazionale, condividendo le loro ricerche e sperimentazioni a livello internazionale grazie anche alla creazione di in un
gruppo facebook, “Vegan Meringue - Hits and Misses“. La ricetta delle meringhe di Roessel e Wohlt prevede: - liquido di cottura dei ceci, da loro nominata come “aqua faba” (400 grammi circa). Si comporta molto bene anche l’acqua dei ceci in scatola (latta, tetrapack o vetro non importa); - mezza tazza di zucchero semolato. Il procedimento è molto semplice: montare a neve l’acqua di ceci (vanno bene anche lenticchie, fagioli rossi, bianchi, etc...) e versare lentamente lo zucchero e l’acido citrico mentre la planetaria continua a lavorare ad alta velocità. Et voilà, avremo il nostro impasto di meringhe che potremo arricchire con coloranti naturali come la curcuma per il giallo, la barbabietola per il rosa, la menta o il te matcha per il verde, oppure essiccare e ridurre in polvere mele, fragole, banane, mango, cachi e qualsiasi altro frutto per ottenere delle meringhe fruttate. Per la cottura, è sufficiente un essicatore, mantenedo una temperatura tra i 69°/85°C per circa due o tre ore (ad oggi non è possibile definire temperatura e tempistica esatte in quanto rimane ancora sconosciuta la composizione precisa dell’acqua faba: non resta quindi che sperimentare in base al proprio forno o essicatore). Questa ricetta non ha nulla da invidiare in termini di gusto e consistenza alle meringhe fatte con albume d’uovo, vi invitiamo pertanto a provarle e mentre aspettiamo le vostre testimonianze e commenti all’indirizzo lamadia@lamadia.com faremo merenda con dei biscottini realizzati proprio utilizzando l’aqua faba di cui forniamo la ricetta ideata dallo chef pasticcere Stefano Broccoli della pasticceria vegan “La DolceVita” di via Borgo Palazzo 106 a Bergamo.
LASCELTAVEGANA
Silvia e gli esperti rispondono... Durante il cambio di stagione noto una forte perdita di capelli. Quali sono gli alimenti vegetali che possono aiutarmi? Molte donne (e non solo) soffrono per la perdita copiosa di capelli e la fragilità delle unghie, specialmente durante il cambio stagione. Esiste un prodotto vegetale che ci aiuta molto a combattere questo prolema: il miglio bruno selvatico. E’ un cereale, il più ricco di minerali, di acido silicico, oltre che di fluoro, zolfo, fosforo, ferro, magnesio, potassio, zinco, etc. Contiene altresì un’alta quantità di vitamine del gruppo B (B1, B2, B6, B17), di acido pantotenico e di ammide di acido nicotinico. Tutti i minerali, i microelementi e i principi attivi sono presenti in forma pura; proprio questa purezza fa sì che il nostro organismo e le sue cellule assimilino in modo straordinario le varie sostanze. E’ un ottimo integratore naturale che rinforza i capelli, le unghie, lo scheletro, ed essendo un antiossidante ridona bellezza alla pelle. Basta un cucchiaio di miglio selvatico al giorno per due mesi ed avrete una chioma più forte e sana.
Ho provato il latte di soia ma non mi piace ed in più mi hanno detto che tutta la soia è OGM. Bisogna un po’ sfatare l’idea che la soia sia tutta OGM. La soia destinata all’alimentazione umana proveniente da fonti sicure, non è OGM, è, ahimè, possibile trovare soia ogm nei mangimi che vengono dati agli animali degli allevamenti intensivi e questo è doppiamente grave sia per gli animali stessi, sia perché la loro carne è destinata sulle tavole di molta gente che di conseguenza se ne alimenterà. Ad ogni modo se Il latte vegetale di soia non è di vostro gradimento, ci sono altrettante alternative valide come il latte da cereali: di riso, avena, farro, miglio, grano saraceno (che non è un cereale ma viene consumato come tale), oppure latte dai semi: cocco, mandorle, nocciole che troviamo in commercio oppure che possiamo preparare autonomamente a casa lasciando in ammollo il seme, poi frullarlo nella stessa acqua e filtrarlo, oppure frullare e filtrare il cereale bollito che si preferisce. Questa soluzione è quella che preferiamo perché priva di conservanti e di zuccheri aggiunti.
Inviate le vostre domande a: lamadia@lamadia.com
CHI È LO CHEF PASTICCIERE STEFANO BROCCOLI Si occupa da svariati anni del mondo della ristorazione naturale. Si è formato nell’ambito della cucina macrobiotica e successivamente igienistica. Diventato vegetariano all’età di 11 anni, attualmente è vegan. È il pasticciere della pasticceria Dolcevita a Bergamo ed anche docente di cucina e pasticceria naturale e vegana nelle scuole di formazione alberghiera e cuochi della provincia di Bergamo.
Biscottini Vegan Coulis alle mandorle e cacao
all’amaretto
INGREDIENTI: g. 350 di farina “00”, g. 350 di olio di coc-
INGREDIENTI: ml. 600 di latte di soia, ml. 40 di li-
co, cl. 50 di acqua di ceci montata a neve, g. 100 di farina
quore all’amaretto, g. 200 di fecola di patate, g. 400
di mandorle, g. 350 di zucchero di canna, g. 150 di fecola
di zucchero di canna, la punta di un cucchiaino di
di patate. Per la versione al cacao, aggiungere 30 gram-
curcuma, un cucchiaio di olio di cocco.
mi di cacao, diminuendo la farina “00” a 320 grammi. PROCEDIMENTO: far insaporire l’olio di cocco PROCEDIMENTO: montare in una planetaria l’acqua
con la curcuma in un pentolino sul fuoco e lasciar
di cottura dei ceci (per ottenere una buona acqua
raffreddare. Aggiungere la fecola, lo zucchero ed il
faba, è consigliabile far cuocere 2 litri di acqua per
latte di soia a filo. Portare nuovamente sul fuoco e
500 grammi di ceci). Montare separatamente l’olio
far sobbollire per 10 minuti mescolando continua-
di cocco (meglio se di tipo solido) con lo zucchero,
mente. Far raffreddare la salsa ottenuta e quindi
unire la farina di mandorle e la fecola di patate e per
incorporare l’amaretto.
ultimo incorporare con molta delicatezza l’acqua faba montata. Formare dei biscottini e cuocerli per circa 10 minuti a 180°C.
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Gala teo ASSAGGI DI
a cura di Fabio Ferrantino Docente di Galateo presso Bon Ton Academy Professore di Enogastronomia IPSSAR Piobbico
A TAVOLA CON GLI ASIATICI CROSS-CULTURE E BUONE MANIERE PER SAPERSI COMPORTARE AL MEGLIO CON DEGLI OSPITI STRANIERI La conoscenza del galateo e del bon ton rimane un aiuto fondamentale quando il nostro lavoro ci chiede di rapportarci quotidianamente con una clientela sempre più esigente e sempre più eterogenea. Le mode cambiano e le nuove generazioni sono sempre più smart. Rimangono, però, degli aspetti fondanti della propria cultura che non si possono violare, ancor più se si tratta di una cultura orientale. L’educazione, e (sempre in primo luogo) la religione mescolata alla filosofia, segnano delle norme comportamentali ben specifiche che devono essere rispettate. L’obiettivo di ogni ristorante è quello di porre il proprio ospite a suo agio per condurlo in un percorso enogastronomico emozionante e sorprendente. Questo diventa più difficoltoso se dinanzi a noi troviamo un ospite distante dalla nostra cultura che potrebbe contrariarlo ed in alcuni casi offenderlo. Proprio per questo, conoscere alcune basi delle culture straniere, ciò che oggi viene definita cross-culture, diviene fondamentale per migliorare sempre più il proprio servizio o per partire con il piede giusto quando si vuole iniziare una nuova avventura lavorativa all’estero. In questo articolo vediamo alcune regole fondamentali per accogliere al meglio un nostro ospite asiatico, che sia un pranzo o una cena più o meno formale, in casa o al ristorante. Nella maggior parte dei Paesi asiatici, mangiare o anche più semplicemente prendere un tè, costituiscono dei veri e propri rituali, che chiedono degli spazi e delle tempistiche adeguati. Sono infatti popolazioni che hanno origine da una vita condotta
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in modo molto slow, anche se oggi non si direbbe. Le proprie usanze tendono a sottolineare il forte senso di rispetto verso la natura e tutti i frutti che da essa ne derivano. Le regole comportamentali sono fortemente influenzate dalla filosofia di Confucio e tendono a dare molto valore alle relazioni interpersonali che vengono considerate un vincolo ed una garanzia. Rimane inoltre un forte senso di rispetto verso la figura dell’anziano che non deve essere mai trascurato e sempre tenuto in considerazione. Questo è molto importante anche nelle precedenze di servizio, sarà servita per prima la persona di rango più importante o la persona più anziana, seguiranno poi in ordine di importanza gli altri commensali. Prima di tutto il saluto. Solitamente oggi è ridotto ad un semplice inchino del busto in avanti. In Giappone come anche in Cina, bisogna evitare il più possibile il contatto fisico, anche una semplice stretta di mani potrebbe non essere vista di buon occhio. Tuttavia, soprattutto nel mondo globalizzato degli affari, se un asiatico dovesse protendere la mano per salutare aspettatevi una stretta più lunga del normale, che a volte avviene con entrambe le mani. Il pranzo è di solito alle 12:00 mentre la cena è alle 18.30: la puntualità è un dovere in quasi tutti i Paesi asiatici. Quando organizziamo la mise en place del nostro tavolo, abitualmente rotondo, ricordiamoci che il posto d’onore rimane di fronte alla porta d’entrata. Nell’apparecchiatura della tavola giapponese solitamente non sono previsti i tovaglioli in quanto il cibo non si tocca mai con le mani, ma solo con le bacchette.
ASSAGGIDIGALATEO
Sarebbe opportuno, in caso ve lo chiedessero, predisporre delle bacchette per ogni commensale le cui punte poggino su un poggiabacchette. Questi strumenti devono essere utilizzati esclusivamente per mangiare. Non si puntano mai verso una persona, non si gesticola mai con le bacchette in mano e non si infilzano in una ciotola in quanto ricordano gli incensi che vengono bruciati in ricordo dei defunti. Bisogna ricordarsi anche che, quando si posa una teiera sul tavolo, non si rivolge mai il beccuccio verso una persona, ma sempre all’esterno o verso un posto libero. A livello gastronomico, evitate di offrire prodotti caseari fermentati, non graditi e poco digeribili per cinesi e giapponesi che non bevono latte come noi occidentali facciamo abitualmente. Anche quella che per noi è una semplice bottiglia di acqua naturale è difficile da trovare in Cina, perché fin dall’antichità per depurarla bisognava bollirla e si tendeva ad aggiungere sempre qualche foglia di tè per renderla più gradevole al palato. Quindi meglio predisporre del tè, bevanda sicuramente sempre presente sulle tavole asiatiche. Evitiamo di assegnare ad un cinese il tavolo numero quattro (simboleggia la morte e naturalmente porta male), ma anche il settantatré (rappresenta il funerale) e l’ottantaquattro (l’incidente). I numeri di buon auspicio sono l’otto ed il sei. Nel caso in cui vi chiedessero un biglietto da visita del vostro ristorante, ricordatevi di porgerlo con tutte e due le mani, segno di rispetto e cura verso ciò che state lasciando. Il biglietto da visita rappresenta sempre l’immagine della vostra azienda. Stessa cosa vale quando prendete o restituite la carta di credito per i pagamenti, utilizzate entrambe le mani. Se volessimo lasciare un piccolo cadeau di arrivederci scegliete della carta rossa, oro, argento e rosa per incartarlo, sono colori che esprimono gioia. Evitate i colori connessi al lutto come il bianco, il nero, l’azzurro o il giallo. Se non accetteranno il regalo subito, non vi preoccupate, è tutto nella norma. Infatti anche per un invito bisogna insistere almeno tre volte prima che dall’altra parte venga accettato. Stiamo attenti però a che regalo facciamo, ad esempio regalare orologi in Cina non è un bel gesto in quanto l’orologio simboleggia il tempo della vita che passa. Sarebbe anche opportuno non regalare dei fiori, tipico dono del corteggiamento, meglio dei dolci o del vino. Per consuetudine, quando vogliamo organizzare un banchetto, anche aziendale, bisogna offrire agli invitati molto di più di quanto siano in grado di mangiare. Può anche capitare che, quando si arriva ad un banchetto, anche se non in vostro onore, vi possano accogliere con un applauso, in quel caso è buona norma che applaudisca anche la persona interessata. Ricordatevi che, per i cinesi, se nei piatti rimarrà parte del cibo servito non è segno di un qualcosa di non gradito, ma al contrario indica che il pasto è stato apprezzato.
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GOLAVAGANDO
Studio, design e progettazione Costa Group, Arch. Sara Paveto CIMMINO 104 Corso Garibaldi 104 - Milano
NUOVO COCKTAIL BAR E GRILL
CIMMINO 104 È CUCINA POLIEDRICA A MILANO Al mattino accoglie quella Milano che, ancora assonnata, corre a passo spedito verso il posto di lavoro, rifocillandola con cornetti, brioches e vero caffè napoletano. La sera si trasforma in un moderno cocktail bar & grill, nel cuore della zona tradizionalmente frequentata dai milanesi per gustare in compagnia buoni aperitivi, dopo le fatiche della giornata. Aperto in Corso Garibaldi, nel fulcro del quartiere Moscova, il nuovo Cimmino 104 è un locale che non smette di stupire i propri clienti. Progettato e realizzato da Costa
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Group, Cimmino 104 racconta di un calore e accoglienza tutta partenopea, così come i soci fondatori, senza però rinunciare al lato glamour della città a cui appartiene. Il solido bancone e la parete alle sue spalle sono realizzati attraverso l’assemblaggio di numerose cornici in legno, mentre il piano sovrastante è in peltro. Degli stessi materiali è composto il secondo bancone, che si affaccia direttamente sulla strada. Da lì i clienti possono acquistare direttamente i propri cocktail, attingendo dalla vastissima scelta a disposizione,
CIMMINO104
e consumarli all’aperto come vuole la tradizione milanese. All’interno del locale il ripiano che la mattina ospita la macchina del caffè viene nascosto la sera da una scaffalatura che, tramite un meccanismo automatico, può alzarsi all’occorrenza, mostrando le pregiate bottiglie tra cui scegliere. Non potevano poi mancare i manicaretti tipici dell’arte culinaria napoletana, preparati direttamente sotto gli occhi del cliente nella cucina a vista che si affaccia sulla sala principale del locale, e che possono es-
sere consumati sia a pranzo che a cena nella zona riservata ai tavoli che si trova al piano superiore o nel dehors esterno circondato dal fervore di Largo la Foppa. La cucina è protetta da un’ampia e alta vetrata, apribile nella parte inferiore, che fornisce luminosità e trasparenza al locale, catapultando i clienti direttamente verso i fornelli, in modo da avvalorare maggiormente il concetto di freschezza e artigianalità anticipato dalla scritta in bella vista “Fatto da Noi”. In alcune ore della giornata la cucina
scompare alla vista dei clienti grazie a un semplice e veloce movimento, confermando l’aspetto camaleontico del locale, capace di trasformarsi a seconda delle esigenze. Il menù sviluppa una storia che parte da Napoli e arriva in tutto il mondo: dalla vera Mozzarella di Bufala con i Friarielli, passando per Club Sandwich ed Hamburger, arrivando a Babà e Sfogliatelle. In cabina di regia, Costa Group non poteva meglio rappresentare la proprietà nel realizzare un concetto oggi divenuto realtà.
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GOLAVAGANDO
La campagna forlivese intorno, una casa, un giardino, usi e sapienza di una famiglia i cui ricordi si intrecciano al presente. L’amore per l’accoglienza e l’idea del cibo come momento di comunione tra i commensali... luoghi come questo si raccontano da soli a prestar cuore ed orecchio: ad occhi chiusi le senti le corse affannate e gli orli dei vestiti che restano impigliati nei cespugli bassi, l’eco di risate grosse e lucciole, candele e confidenze... qualcosa di segreto. Ogni giardino ha un mistero, ed il segreto di questa casa e di questo giardino è che chi c’è rimasto per sempre incontra chi ci ritorna da altrove. Un nido, questa è la sensazione più forte che se ne riceve, caldo ed accogliente. Al giardino si accede dalla sala interna o da una passerella che costeggia il fianco della casa, una passeggiata al chiaro di lumini verticali, come fosse pioggia di luce, le vele bianche issate tra le chiome degli alberi, le tavolate, sotto, posizionate in modo da favorire la discrezione ma non la distanza, tovaglie che accarezzano appena il legno del mobilio e lavanda in vaso, antiche madie, cestini, casse di vino e profumo di ortensie. Bianco, rosa, verde, glicine, i colori richiamano l’ambiente naturale in fioritura, l’alternanza
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RISTORANTE
DA CAMPORESI A FORLÌ IL CUORE DI UNA CASA OSPITALE di
Giovanni Mastropasqua
di forme e materiali rende ogni tavolata unica. La sala interna ricalca esattamente la percezione di assoluta armonia descritta. Una meraviglia. Un ristorante che non può prescindere dal passato: la storia della famiglia Camporesi... La famiglia Camporesi nel forlivese era
già nota ancor prima che questa casa di campagna ed azienda agricola aprisse le sue porte al pubblico nel dicembre del 2012. Mara Mazzoncini e suo marito Alfredo Camporesi hanno avuto la fortuna di vivere uno di quegli amori - spesso oggetto di narrazione letteraria - fatti di sincera e reale condivisione di passioni, uno di quei matrimoni dove non si diventa mai marito e moglie ma si resta per sempre sposi. Mara ed Alfredo, già a partire dagli anni ’70, amavano organizzare feste in occasione della raccolta delle albicocche, alle quali partecipavano i loro amici di Forlì ma anche personaggi di spicco del cinema e del teatro tra i quali Rossella Falck, Alessandro Gassman, Ugo Tognazzi, Marco Columbro, Luca Zingaretti, Valentina Cervi, Michele Placido, Valeria Valeri, Elena Sofia Ricci, Luca Barbareschi... Ospiti che avevano piacere di riunire intorno alla tavola per celebrare con entusiasmo la loro gioia di vivere e le gioie della vita. Quando Alfredo viene a mancare, ciò che non viene a mancare è ancora quella gioia di vivere e di celebrare con entusiasmo il piacere dell’accoglienza. Anna, figlia di Mara, abbandona la sua attività di antiquaria e, con l’appoggio di suo marito Vincenzo Tini Brunozzi, deci-
de di aprire ufficialmente le porte di casa Camporesi al pubblico. E’ un passaggio di testimone, un’eredità emotivamente concreta quella che Anna riceve da suo padre, e con sua madre a fianco realizza un progetto di cucina ispirata al territorio e reinterpretata in chiave moderna. In cucina, lo chef Giuseppe Graziani, diplomato alla scuola alberghiera, punta tutto sulla qualità e la freschezza delle materie prime. Le paste fresche vengono tirate al mattarello: tagliolini, tagliatelle, tortelli, cappelletti, cappellacci e lune piene. Le carni, black angus australiana, tagliata argentina e filetto irlandese, provengono da allevamenti biologici certificati ed etici: gli animali pascolano liberamente e le carni restano morbide e succose. Il pesce del menu del venerdì è il pesce fresco dell’Adriatico che la mattina stessa arriva dai mercati ittici della costa. Verdura, ortaggi, frutta e formaggi stagionati provengono da aziende del territorio circostante, ma non mancano prelibatezze delle vicine province come il culatello di Modena. Sulla tavola, poi, un pane prodotto da un panificio di Corniolo fatto con un lievito madre antico 100 anni ed un pane prodotto in casa con farina ai 7 cereali e farro. I dolci vengono preparati artigianalmente. In cantina, una selezione dei migliori vini del territorio e birre artigianali.
LA DEGUSTAZIONE La nostra degustazione si apre con un bis di antipasti, spuma di mortadella con crostini caldi e spuma di robiola con pomodorini e basilico. A seguire, un trionfo di primi, gnocchi di patate al profumo
di campo, con formaggio di fossa ed arancia candita; lune piene di pere con zenzero e pistacchi saltati; spaghettone con ragù bianco di anatra su salsa di finocchi; tortelli saltati allo squacquerone. Tre assaggi di secondi: galletto alla cacciatora con olive taggiasche e pomodorini; catalana di tagliata di filetto di manzo; fiorentina di black angus australiano. Per dessert, una mousse allo yogurt con salsa di agrumi. I vini che ci hanno accompagnato nella deliziosa degustazione sono stati il Prugnolo e il Moro dell’azienda Tenuta Villa Trentola di Capocolle di Bertinoro (FC). Perché cenare dai Camporesi Il ristorante Da Camporesi è il luogo ideale per consumare cibo genuino e fresco, godere di un’atmosfera piacevolmente rilassata e respirare il fascino di una vera saga familiare. Il giovedì, durante la bella stagione, il locale organizza degli aperitivi con i barmen professionisti del BIG BAR e musica con ADB Dj; il venerdì menu a base di pesce.
RISTORANTE DA CAMPORESI Via Tommaso Tamberlicchi, 5 47122 Forlì (FC) - Tel. 328.8205193 www.dacamporesi.com Chiuso lunedì. - Aperto da martedì al sabato solo cena Domenica e festivi aperto pranzo e cena - 49 coperti Si accettano cani
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M
NDO
chef
INKIOSTRO E CALAMARO PER GIACOMELLO Dopo 3 anni trascorsi al Bulli di Ferran Adrià e una girandola di ristoranti e corsi in tutta Italia, Terry Giacomello ha finalmente trovato il giusto nido per il suo talento: è l’Inkiostro di Parma, bellissima struttura modernista affidata alle cure della patronne Francesca Poli, che commenta: “Le nostre priorità erano troppo diverse da quelle di Madama, che mirava soprattutto a compiere esperienze all’estero e a valorizzare la propria immagine. Giacomello ci è piaciuta subito perché vogliamo muoverci in continuità con il lavoro degli ultimi 4 anni, incentrato sul pesce, ma in chiave maggiormente gourmet. Cercheremo di crescere pian piano, cominciando con una carta dalla creatività misurata”.
CASE CHIUSE PER BIAGIOLA
CUOCOMERCATO
ha comunque trovato una sistemazione stabile presso l’Hotel Cristallo di Corvara in Badia, sulle Dolomiti, dove si occupa in particolare del ristorante gourmet La Gana. “Credo che mi fermerò molto a lungo. Per me è stato come tornare alle origini, visto che sono cresciuto in Germania, quindi tante abitudini che vedo mi fanno tornare bambino. Ho cercato di riunire nel piatto le suggestioni del sud e del nord, vedi la battuta di bue di malga con scampi, cremoso di foie gras e insalatina di albicocche al Marsala. Anche per la cucina dell’hotel ho adottato uno stile mediterraneo con influenze ladine. Tutti i mercoledì vado in baita con i clienti dell’albergo e facciamo una piccola grigliata con nozioni di cucina, ma presto inizieranno anche i corsi”.
SEPE TUTTO CASA E BOTTEGA
Si chiude invece l’avventura delle Case di Macerata per Michele Biagiola, chef che ha regalato e mantenuto alla struttura la stella Michelin durante la sua lunga permanenza. Il sodalizio sembrava indissolubile, oltre che particolarmente azzeccato grazie alla sensibilità di questo chef per il vegetale; resterà inconsolabile la nostalgia dei gourmet per un’esperienza unica, fra le più avanzate sul fronte dell’autoproduzione.
Massimiliano Sepe, vecchia conoscenza dei gourmet capitolini, ha lasciato il Penna d’oca, nei pressi di Piazza del Popolo, per Casa e Bottega, in via dei Coronari. “Sarà una nuova sfida”, commenta. “Appena 25 coperti e una cucina mignon da dividere con un solo collaboratore. Tendenzialmente somiglierà a un bistrot, con un servizio che copre tutta la giornata, dalla colazione in avanti. Per me l’occasione di evadere dalle strettoie di un menu classico, spaziando dalla colazione al pranzo, fino all’aperitivo serale”.
PARISI IN ALTA QUOTA
SALOMONE IN PIAZZETTA
Ancora indecisa la situazione del Mosaico; lo chef Corrado Parisi, succeduto per il lampo di un servizio a Nino Di Costanzo,
Cambio della guardia anche a Piazzetta Milù, indirizzo che tanta fortuna ha portato a Cristoforo Trapani, che verrà sostituito
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a cura di Alessandra Meldolesi
dal talentuoso secondo di Paolo Barrale, già all’opera con Nino di Costanzo e Francesco Sposito: Luigi Salomone, di appena 27 anni, vincitore nel 2013 del premio Birra Moretti. “Ho iniziato dopo i lavori di ammodernamento sulla cucina. Castellammare di Stabia ha tante tradizioni, per cui proporrò una cucina tanto radicata nel territorio quanto creativa. Paolo Barrale è stato per me qualcosa di più di un maestro, ma dopo 4 anni ho deciso di cercare la mia strada sposando il progetto della famiglia Izzo”.
PISANIELLO A CENA Antonio Pisaniello ha chiuso la sua Locanda di Bu per inaugurare Cena, locale situato nel centro storico di Nusco, che affianca al gastronomico da 25 coperti l’ospitalità e la scuola di cucina.
OLDANI IN GONDOLA Sul fronte delle consulenze si segnala infine il taglio del nastro da parte di Davide Oldani presso l’Aman Canal Grande Venice, dove all’offerta dell’executive chef Akio Fujita si affiancheranno otto piatti made in Cornaredo, fra cui lo sgombro in saor, zafferano e riso e la celebre cipolla caramellata.
MORELLI VA (A) FORTE Sbarca invece a Forte dei Marmi, presso l’Orsa Maggiore, lo chef del Pomiroeu Giancarlo Morelli, che dirigerà i gesti dell’executive Federico Veronesi, già suo allievo.
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I ristoranti
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Trésor
Scopriamo insieme quali sono i locali che racchiudono piccoli grandi tesori...
Ogni ristorante, locanda o trattoria, famosa o meno, può vantare il proprio “Mon Trésor”, un personalissimo tesoro fatto di attenzione per i dettagli, cura dei propri ospiti, professionalità in cucina e in sala. Noi abbiamo individuato alcuni di questi “Mon Trésor” e li segnaliamo nelle prossime pagine...
golavagando montresor di
Daniele Briani
LOCANDA
PERINELLA I VALORI DELLA TRADIZIONE NEL VICENTINO
Quando il vezzeggiativo di famiglia supera in popolarità il nome del locale che essa conduce, significa che hai raggiunto l’apice del successo. Ma andiamo con ordine, perché la storia dei ristoratori Perin nasce con la prozia Marina nel 1920 nel locale di San Quirico di Valdagno. In seguito, nel 1936, nonna Rosa Bicego prese in gestione un locale per minatori in quel di Maglio di Sopra, il ristorante “da Sandro”, che nel 1962 passò di mano a Perin Bruno Alessandro e alla moglie Piccini Ernesta che gestiva in toto la cucina. E’ a questo punto che il ristorante, pur mantenendo la stessa anagrafica, perse definitivamente la sua identità, per assumere quella del vezzeggiativo di famiglia “da Perinea”, che era l’indicazione che i clienti chiedevano alle persone del posto per trovare il ristorante. Nel 1993 gli attuali fratelli Perin si spostano in un nuovo locale, a circa dieci chilometri dal precedente e aggiungono alla ristorazione anche le camere, realizzando la Locanda Perinella, che nel tragitto ha perso la dizione dialettale del nome,
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Trésor
coniandone una sua italianizzazione. Se il ristorante “da Sandro” viveva principalmente di pasta fatta in casa e carne alla brace, la locanda Perinella, pur mantenendo le caratteristiche di genuinità e semplicità della cucina veneta, ha ampliato il menù selezionando tipicità locali nella scelta delle materie prime. Rimane dunque la pasta fatta in casa di cui si occupa Marinella, mentre le carni sono selezionate direttamente dall’animale intero che è sezionato e lavorato da Walter, mentre la pasticceria è appannaggio di Marco che ogni giorno prepara sontuosi carrelli per il dolci. Con Mara dedicata all’organizzazione del servizio di sala
e del ricevimento, la squadra Perin è al completo e riesce a gestire i punti chiave della struttura che si compone di sessanta posti a sedere divisi nelle varie salette interne, di cento posti situati nel salone per i banchetti e i ricevimenti oppure dei centoventi posti esterni. La locanda comprende ventidue camere divise tra suite, alla francese e doppie. Tra le specialità del menù citiamo gli antipasti di cui menzioniamo quello con i peperoni all’aceto con acciuga e soppressa che arriva direttamente dal ristorante “da Sandro” senza aver subito alcune modifiche, a voler dare un tocco di continuità tra quella cucina e l’attuale. Tra i primi evidenziamo gli gnocchi di patate di Selva con tartufo dei Colli Vicentini mentre i secondi sono degnamente rappresentati dal cotrofiletto di agnello al timo e patate arrosto. Sui dolci l’imbarazzo della scelta è imponente ma il dolce di ricotta con crema chantilly e cioccolato li rappresenta tutti in maniera adeguata. La struttura rimane aperta tutto l’anno tranne il mese di Agosto e da Natale fino all’Epifania.
LOCANDA PERINELLA Via Bregonza, 19 - 36070 Brogliano (VI) Tel. e Fax 0445.947688 www.locandaperinella.it
Il Mon Tresor è... IL FORTE LEGAME CON IL TERRITORIO C’è un fil rouge che lega il passato degli inizi della prozia Marina alla locanda Perinella di oggi. In primis il forte legame con il territorio in tutte le sue forme ed espressioni, iniziando dalla ristrutturazione e il recupero conservativo di una vecchia filanda per bachi cavalieri, che oggi ospita le sale e le camere della struttura ricettiva. Non solo. Anche i piatti vivono di ricordi e legami al territorio, perché se alcuni arrivano direttamente dal passato senza alcuna alterazione, altri parlano del territorio nella sua specifica peculiarità con prodotti locali come le patate di Selva che sono addirittura un alimento a denominazione comunale, oppure l’agnello del monte Pulli, che era lo stesso agnello che Rosa Bicegno offriva ai minatori quando si sedevano al tavolo della sua osteria dopo che uscivano dalla cava di carbonella. Come a dire che se anche le forme cambiano, la sostanza rimane quella originale con un salto indietro nel tempo ai valori e sapori di una volta.
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golavagando montresor di
Daniele Briani
RISTORANTE
LA VILLA 1.4
STILE LOUNGE CON CUCINA NEL VENEZIANO
Era il locale che mancava nella Riviera del Brenta. Adesso finalmente c’è. Merito di Davide Maniero, della sua costanza e abnegazione nel far vivere il suo sogno. Davide ha unito la sua passione coltivata dall’adolescenza fino ai venticinque anni per il mondo horeca dove ha lavorato come barista, con la sua estrazione tecnica che ne ha fatto un imprenditore edile nel settore contract e ristrutturazione di locali chiavi in mano. La Villa 1.4 si può considerare la sua interpretazione di Lounge bar con cucina, aperto a pranzo e cena e, naturalmente, dopocena. Per questo motivo sia la ristrutturazione edile e l’arredamento (fin nei minimi particolari), oltre naturalmente anche l’organizzazione ricettiva, è passata sotto la sua direzione. Essendo nativo di Fossò, la difficol-
tà è stata doppia, perché, secondo il detto “nessuno è profeta in patria”, i detrattori non mancavano. I risultati però gli stanno dando ragione. Partito da un locale dismesso e chiuso da un anno, oggi La Villa lavora a pieno regime con un pranzo a buffet e la cena a la carte per i quaranta posti a sedere interni e i sessanta del giardino estivo. Inoltre la sala del primo piano, dedicata alle feste private o agli eventi gastronomici, è arredata con un tavolo imperiale da trenta posti. il locale è immerso nelle calde tonalità autunnali del crema, ruggine,
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LA VILLA 1.4 Via XXV Aprile, 1 30030 Fossò (VE) www.lavilla14.it info@lavilla14.it
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Trésor
cioccolato e allestito con materiali naturali, come ad esempio il legno, che donano un’atmosfera rilassata, a contrasto vivace con i colori vividi del giardino estivo, dove ci si immerge nel rigoglioso verde pur stando a pochi passi dal centro del paese. Mentre il pranzo è incentrato su un
ricchissimo buffet, la cucina serale offre un menù diviso tra finger food e piatti di portata, dove la paella Valenziana è stato eletto all’unanimità quale piatto distintivo dello chef. Il locale rimane comunque volutamente molto informale, condizione necessaria per sfociare nel dopo cena di assoluto divertimento, tra la musica di noti Dj che riescono a riempire il dehors. Il mercoledì dedicato alla serata Naif è l’apogeo assoluto della festa. Se vi incuriosisce sapere perché La Villa è 1.4, forse una visita in loco è meglio farla.
Il Mon Tresor è... LA PROMOZIONE DEI PRODOTTI CON LE SERATE A TEMA Difficile individuarne uno data l’ampiezza e la diversità della proposta del locale. Sicuramente le serate a tema sono la migliore espressione della vitalità di Davide, che continua a promuovere nuove e divertenti iniziative a tutto tondo e soprattutto a livello eno-gastronomico. Per il prossimo autunno-inverno il tema da sviluppare sarà quello sempre più di moda della cucina vegana.
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Daniele Briani
GASTRONOMIA
IO PARMIGIANINO L’EMILA 2.0 NEL PARMENSE
Simona Ampollini e Dario Bernardi ce l’avevano in mente fin dal 2012, dopo l’inaugurazione del locale “La Maestà” in quel di Ronco Campo Canneto, di aprire una Gastronomia d’autore nel centro storico di Fontanellato, sulla via principale che porta alla suggestiva rocca. Tre anni dopo il sogno è divenuto realtà e l’1 Febbraio 2015 la gastronomia, salumeria, degusteria con cucina ha aperto i battenti. Un angolo architettonicamente suggestivo dell’Italia medievale si arricchisce di una piccola perla che raccoglie al suo interno varie eccellenze alimentari parmensi da acquistare per asporto oppure assaggiare
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Trésor in loco. Effettivamente l’idea originale era quella di far assaggiare per poi vendere, ma se inizialmente poteva limitarsi a prodotti crudi, l’idea si è evoluta con l’aggiunta della cucina e di conseguenza del servizio di ristorazione. Pertanto al banco si possono scegliere varie forme di pasta fresca fatta in casa a cominciare dai tortelli in varie versioni, passando alle lasagne, alle tagliatelle, ai cannelloni e agli gnocchi. Non mancano le torte come crostate, sbrisolona, tiramisù, la torta di ricotta mascarpone e frutti di bosco (foto a sinistra), anche se naturalmente il piatto forte rimangono i salumi tra cui particolari stagionature di prosciutto oltre i ventisette mesi, pregiati culatelli e strolghini, senza dimenticare le pancette, le coppe e la spalla cruda. Nota a parte per il Parmigiano di montagna di Bardi sia 24 che 30 mesi, usato anche per le lavorazioni di cucina oltre che disponibile per l’asporto. I secondi piatti annoverano, la punta ripiena, la rosa di parma e soprattutto lo stracotto di guanciale che rappresenta il
fiore all’occhiello del menù di carne. La carta dei vini è ampia e variegata con note internazionali anche se ricca di prodotti del territorio come il Lambrusco. Scegliendo di occupare uno dei trenta posti a sedere interni o uno dei diciotto esterni ci si regala un assaggio di quell’Emilia che si racconta attraverso i suoi sapori.
Il Mon Tresor è... IL PIATTO ESPRESSIONE DEL TERRITORIO Potrebbe sembrare strano per una gastronomia scegliere un piatto di portata, ma a nostro avviso i tortelli di spalla cotta in pasta verde con pomodorini e ricotta salata ritraggono al meglio sia l’eccellenza delle singole materie prime vendute al banco – ci riferiamo alla ricotta, alla spalla cotta e alla pasta fresca – sia l’insieme che esce dalla lavorazione di cucina, capace di creare il giusto matrimonio tra gli ingredienti. La succulenza del piatto unisce il salato della ricotta con la dolcezza della spalla cotta e la freschezza del pomodorino. Un connubio di sapori e di soprattutto di colori di cui il Parmigianino sarebbe entusiasta.
IO PARMIGIANINO Via Marconi, 21 Fontanellato (PR) Tel. +39 366 277 6687 ioparmigianino@gmail.com
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GOURMETFOOD
LA DETERMINAZIONE DI
ROBERTO PETZA E IL FUTURO POSSIBILE DELLA SARDEGNA di
Alfredo Antonaros foto di Niko Boi
È considerato il migliore in Sardegna. Di certo uno dei cuochi più interessanti d’Italia. Senza alcun dubbio rappresenta una delle massime eccellenze del vasto panorama italiano. Si chiama Roberto Petza. Nasce nel 1968 a San Gavino Monreale, paese del Medio Campidano. Fin da piccolo il desiderio di diventare falegname. Di costruire cose importanti usando le mani. La madre che lo iscrive alle magistrali, che lui odia, e lui che, di nascosto, si iscrive alla scuola alberghiera. Poi il diploma, il lavoro che non c’è in una terra che offre molto poco. Dove i ristoranti decenti sono pochissimi. Allora, come tanti altri in Sar-
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degna, la via è quella di uscire, di vedere cose nuove. Di cercare strade altrove, con percorsi intricati fuori dall’isola, ricchi di esperienze e di incontri che lasciano il segno. Poi, trascinante come quello d’Africa, il mal di Sardegna. Il ritorno a casa, dopo quindici anni, con la voglia di fare qualcosa di diverso. Con l’illusione che finalmente la propria terra fosse cambiata, che si fossero messe in moto cose buone, che si fosse andati avanti. Invece, all’improvviso, scoprire che la Sardegna era tornata indietro. L’economia crollata, il paese, San Gavino, diventato più piccolo e più vecchio. La fabbrica chiusa.
ROBERTOPETZA
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GOURMETFOOD
Maialino
brado croccante con funghi di bosco saltati alle erbe e salsa di vino e frutta
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INGREDIENTI per 20 persone
PROCEDIMENTO
ialino, mettendo la sua carne in una bowl,
1 maialino da latte di kg. 6
Dividere il maialino da latte a metà, condire
mischiare e aggiustare di sapore. Sul fondo
l. 6 di olio EVO
con sale alle erbe e lasciare marinare 12 ore,
di una terrina disporre la cotenna ben stesa
sale alle erbe q.b.
dopodiché disporre in una gastronorm alta
senza lasciare buchi, aggiungere la carne,
olio EVO q.b.
e coprire con olio. Cuocere in forno a secco
pressare e mettere in abbattitore in positivo.
110°C per 6 ore. Scolare dall’olio togliere la
Con le ossa preparare il fondo (metodo clas-
cotenna e tenere da parte. Disossare il ma-
sico). In un pentolino far sciogliere il burro,
ROBERTOPETZA
mettere in infusione le foglie di mirto e tenere al caldo per circa 1 ora, aggiungerci il fondo di maialino e far bollire e ridurre fino a raggiungere la consistenza voluta, tenere da parte al caldo. Pulire i cardi e sbianchirli in acqua salata stando attenti a mantenere la giusta consistenza, abbattere la temperatura e tenerli da parte. In un pentolino far scaldare dell’olio per friggere a circa 200°C e passarci l’amaranto per qualche secondo fino a che i semini non si saranno aperti (risulteranno come pop corn in miniatura). Tagliare il maialino in quadrati con lato di circa 5 centimetri di lato, scaldare una padella e arrostire dalla parte della pelle, una volta che la pelle sarà bella croccante e la carne calda servire su piatto piano con la salsa e i funghi salatati in padella con olio e rosmarino, aggiungendo un filo d’olio EVO e servire.
I giovani fuggiti via. Ma a vincere, questa volta, è un insieme di testardaggine, coraggio, incoscienza. L’incoscienza di ignorare quello che c’è attorno. Era il 1998. Petza inaugura, nel suo paese natale, il ristorante S’apposentu, raccogliendo subito riconoscimenti che ne attestano l’assoluto valore. S’apposentu è una parola sarda usata per definire il salotto buono di casa, dove si accolgono gli ospiti. L’atmosfera è di grande relax in un ambiente caldo ed accogliente. Nel 2002 Petza si trasferisce a Cagliari e fonda il ristorante S’apposentu al Teatro Lirico. Una grande idea che ha subito un grande successo. Un’esperienza unica in Italia che unisce la tradizione del melodramma e della grande musica ad una importante ristorazione fondata su cucina del territorio, con materie prime selezionate. Arrivano subito la stella Michelin, e, unanime, l’apprezzamento di noti gourmet e di grandi guide gastronomiche nazionali e internazionali. Poi la politica, e chi amministra - che non hanno capito la straordinarietà e il fascino unico di questa esperienza che fonde insieme il meglio dell’italianità (cucina e musica di altissima qualità) - infilano la loro stoltezza in questa bellissima esperienza così “italiana”. E nel 2010, Cagliari e il Teatro Lirico si lasciano sfuggire la bravura di Petza. Un vero peccato, perché avevano in mano il ristorante più importante della Sardegna, n°74 in Italia. Una stella Michelin che attirava spesso più degli spettacoli in cartellone nel teatro. Cinque anni di un lavoro intelligente, duro ma creativo e brillante, buttati via. Anche questa è una storia tutta italiana. E pure la Sardegna è così: irriconoscente, spinosa, difficile. “Non è Milano, dice Petza, dove se apri e sei bravo, sfondi e ti applaudono. Qua è sempre una sfida tutti i giorni, un terno al Lotto che puoi di continuo aspettare, ma sempre inutilmente”. Però lui ha la testa dura e le idee chiare. Come ha fatto altre volte, rifà i bagagli.
Come altre volte, decide di muoversi verso dove nessuno oserebbe andare. Ma lui azzarda, rischia, tenta di nuovo. Sceglie strade impensabili e inesplorate. Si trasferisce a Siddi. Un posto che è uno di quei paesi fatti di polvere e di nulla che si vedono in certi vecchi film western. Siamo a 187 metri sul livello del mare, in una villa padronale in stile liberty del primo novecento, nota come Casa Puddu. Ristrutturata dal Comune nel 2000, destinata prima a ospizio, poi a centro giovanile, poi, prima di finire nel nulla, o tra le grinfie dei vandali, come succede spesso, rimane in attesa che succeda qualcosa. La casa l’ha tirata su Francesco “don Ciccittu” Puddu, un imprenditore che, a inizio Novecento, aveva acquistato macchinari per fare la pasta e diventare il proprietario del più famoso pastificio sardo, gloria di Siddi fino a metà anni Novanta, quando venne rilevato dalla Parmalat di Callisto Tanzi col pretesto del rilancio (in realtà per eliminare dalle carte geografiche e dal mercato un dinamico concorrente). Il Pastificio Puddu venne infatti chiuso poco dopo, con un requiem sulla millenaria storia del grano in Sardegna, un tempo serbatoio d’Italia, e con il trionfo di strategie del tutto anti-autoctone. I pochi imprenditori locali della pasta, i rari rimasti, preferiscono infatti usare cereali canadesi o australiani e non quelli locali.
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GOURMETFOOD
Il percorso di Roberto Petza va subito, invece, nel senso opposto: usa solo farine locali, fatte col grano duro Senatore Cappelli della Cooperativa Madonna d’Itria di Villamar, per creare formati come marraconis filaus, tallutzas, lorighittas, pillus di semola. Il profumo e il gusto di questa pasta di qualità, nella Marmilla «ce la portiamo dietro» dice Petza. La Marmilla, l’area di Siddi, nella Sardegna centro-meridionale, era il vero granaio dell’isola. «Da sempre qui si era coltivato il grano e il pastificio Puddu rappresentava l’emblema della pasta sarda di qualità. La Marmilla è un fondale di basse colline tondeggianti e di ampie distese interrotte da un altipiano basaltico che chiamano Sa Jara. Un territorio suggestivo e irrepetibile: trecento specie di flora endemica, macchia mediterranea, sugheri, zone palustri, cavallini selvatici. Un’area ricca di insediamenti preistorici legati prevalentemente all’attività agricola. Sono qui alcune delle più belle «tombe dei giganti» e Su Nuraxi, il complesso nuragico di Barumini, patrimonio dell’umanità per l’Unesco. «Mi piacciono le sfide, e questo luogo, a misura d’uomo, mi ha stregato», dice Petza di questo paesino di 750 abitanti, grande quanto il cortile di una scuola professionale di Milano o Roma. Eppure qui, in questo nulla, comincia il miracolo. Questo piccolissimo luogo, grazie a lui, riprende vita. In questa terra antica, ricca anche di grandi risorse enogastronomiche che, da sempre, attendono un via, un mercato, un qualcosa che somigli a una normale dinamica economica dove semino, produco, raccolgo, vendo, reinvesto, semino di nuovo, e dico finalmente, finalmente qualcosa si muove. Così, grazie al ristorante di Petza, nasce una nuova, ricca, filiera di 250 piccoli produttori. Qui Petza ha riacceso dinamiche prima impensabili. E ha riconquistato anche la stella Michelin. A Siddi, dove chiunque altro non avrebbe
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neppure aperto un buco per vendere le caramelle ai bambini. Se li si vuole descrivere, uno dietro l’altro, i miracoli di Roberto Petza, non ci si deve dimenticare però anche del suo lavoro in cucina. Lì tradizioni, prodotti e profumi di Sardegna diventano piatti segnati da una manualità raffinata, da costanti sapori di frutta e di Mediterraneo, da una sapienza che ha memorie antiche. Sono geniali elaborazioni , le sue, partorite da una ricerca continua di nuove cotture, di preparazioni audaci e presentazioni che seducono. Altra marcia in più che possiede sono le materie prime che arrivano, in gran parte, dall’orto e dalla piccola
ROBERTOPETZA
Uovo
patate e tartufo INGREDIENTI per 4 persone 4 uova di gallina g. 500 di patate g. 200 di burro fuso g. 300 di latte fresco 1 piccolo tartufo
PROCEDIMENTO
che si asciughino e diventino croccanti, sco-
olio extra vergine d’oliva q.b.
Cuocere le patate con la pelle in acqua salata
larle e tenerle da parte al caldo.
4 cucchiai di briciole di pane tostato con
al 30%, una volta che saranno morbide, sco-
In una padella far rosolare la pancetta in mo-
aglio, cipolle tritate e rosmarino
larle, pelarle e passarle allo schiaccia patate,
do che prenda un bel colore e sia ben ar-
sale maldon q.b.
tenere in caldo. Mettere il burro fuso in un
rostita, tenere al caldo. Frullare in maniera
pepe di mulinello q.b.
frullatore capiente, aggiungere le patate e far
semigrossa il pane raffermo, a parte frullare
2 cipolle tagliate a julienne
girare al massimo e aggiungere piano piano il
le erbe con il sale, mescolare i due composti
2 cucchiai di pancetta affumicata a listarelle
latte caldo fino ad avere la consistenza di una
e tostare in forno a 150°C per 8 minuti con un
g. 300 di pane raffermo
besciamella liquida, a questo punto aggiu-
filo d’olio.
prezzemolo q.b.
stare di sale e aggiungere il tartufo, filtrare il
Per la composizione del piatto mettere in
salvia q.b.
tutto al colino fine e mettere dentro un sifone
una fondina un cucchiaio di briciole di pane,
timo q.b.
per panna montata, chiudere e caricare con
la spuma di patate e sistemarci sopra l’uovo;
rosmarino q.b.
due bombolette di gas, tenere in caldo a ba-
spolverare con pepe di mulinello, qualche
origano fresco q.b.
gnomaria a 61°C. Mettere le uova a cuocere
fiocco di sale maldon, un cucchiaino di pan-
maggiorana q.b.
nel roner a 65°C per 20 minuti. Nel frattempo,
cetta arrostita e sopra le cipolle croccanti,
sale marino q.b.
friggere le cipolle in olio EVO a 130°C fino a
finire con un filo d’olio EVO.
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GOURMETFOOD
Brodo
di pecora con erbe aromatiche, funghi, crudo di pesce e raviolini di Casu Axedu
INGREDIENTI per 4 persone
Altri ingredienti: filetti di presce di scoglio (spi-
secchi, le cipolle, la carota pelata e tagliata
Per il brodo: kg. 1 di carne di pecora privata del
nato), 16 foglioline di sedano selvatico, 8 pomo-
in quattro parti, il sedano, il mazzetto misto
grasso, 6 pomodori secchi sotto sale, 3 cipolle
dorini confit, 16 foglioline di basilico, 8 ciuffetti
di erbe, il pepe e il sale e a fuoco moderato
tagliate a metà e arrostite sulla piastra, 1 carota,
di finocchietto selvatico, 1 cucchiaio di erba
portare a bollore, schiumare e continuare la
1 costa di sedano, 1 mazzetto misto di prezze-
cipollina tagliata a bastoncini di circa cm. 1
cottura per circa 5 ore a fuoco lento. Passato
molo, timo, basilico, rosmarino e alloro, 2 spicchi
di lunghezza, 12 fiori di senape selvatica, sale e
questo tempo, filtrare con un panno di lino,
d’aglio, g. 1 di pepe nero in grani, poco sale.
pepe q.b., olio extravergine d’oliva.
dividere in due pentolini, in uno metterci dentro i pomodorini confit e tenere in caldo.
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Per i ravioli: g. 200 di semola di grano duro, 8
PROCEDIMENTO
rossi d’uovo, g. 100 di formaggio acido, g. 10 di
Per il brodo: in una pentola capiente met-
Per i ravioli: mettere il formaggio acido in un
scorza d’arancia grattugiata, g. 30 di pecorino
tere 4 litri d’acqua fredda e 1 chilogrammo
frullatore, aggiungere il pecorino, sale e pepe
giovane, sale e pepe di mulinello q.b.
di ghiaccio aggiungere la carne, i pomodori
e frullare fino ad avere una crema liscia. Tra-
ROBERTOPETZA
sferire il composto in una bacinella e incorpo-
pesce in piccoli pezzi e condire con lo zenzero.
rare la scorza d’arancia, aggiustare di sapore e
Distribuirlo poi in modo casuale nei piatti ben
mettere il tutto in un sac a poche, conservare
caldi e mettere, sempre in ordine casuale, le
in frigorifero. Impastare la semola con i rossi
foglie di basilico, l’erba cipollina, il finocchietto
d’uovo, lavorare fino ad avere un impasto
e le foglie di sedano, 2 pomodorini confit e un
omogeneo e liscio, avvolgere nella pellicola e
filo d’olio extravergine d’oliva. Cuocere i ra-
far riposare per almeno un’ora in frigorifero.
violini nel pentolino del brodo dove abbiamo
Passato questo tempo, tirare la pasta nella sfo-
scaldato i pomodorini. Una volta cotti, scolarli
gliatrice, fare delle sfoglie molto sottili e, con il
e sistemarne 3 in ogni piatto, mettere il brodo
composto di formaggi, confezionare dei ravio-
bollente del secondo pentolino in una teiera.
lini tondi con l’aiuto di un coppa pasta del dia-
Servire il piatto con gli ingredienti e versare
metro di circa 4 centimetri. Tagliare i filetti di
sopra il brodo davanti al commensale.
fattoria adiacente alla sua struttura. Il risultato sono proposte ormai notissime come l’antipasto di uovo, patate tartufate e cipolle; o la zuppa di fregua di casa, con le delizie del mare, basilico e profumo di agrumi; o l’indimenticabile (supremo, geniale) maialino brado croccante con carciofi alle erbe e salsa di vino. Piatti ormai classici, nel suo menu, anche la scaloppa di fegato grasso d’oca affumicato a bassa temperatura con composta di albicocche e spezie; spaghetti artigianali di grano sardo con palamita arrostita, cipollotti, zafferano, capperi, olive e pinoli; piccione disossato arrostito in padella con cipolle novelle alla brace e salsa di prugne; pesche di Villacidro caramellate al rum con mousse di yogurt e biscottini croccanti allo zenzero. Roberto Petza è anche l’anima di due delle più importanti manifestazioni enogastronomiche realizzate in Sardegna. La prima è il Siddi Wine Festival, che riunisce ogni anno più di 100 produttori di vino (e non solo) per confrontarsi e « fare gruppo» (sfida che se, nel Continente, è audace, in Sardegna è per lo meno utopica e quasi impossibile). «Un’idea nata quasi per gioco, nell’agosto 2012. Ci siamo rivolti al territorio in modo che si cresca insieme – sottolinea
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GOURMETFOOD
S’APPOSENTU DI CASA PUDDU Vico Cagliari, 3, 09020 Siddi (VS) Tel. +39 070 9341045 www.sapposentu.it info@sapposentu.it Il ristorante è chiuso domenica sera, lunedì e martedì.
Petza - e non puntiamo a fare classifiche, il vino migliore o peggiore. In Sardegna siamo sempre gli uni contro gli altri, e le nostre ricchezze non riescono mai a farsi conoscere». Oggi, anche grazie al S’Apposentu, olio, vino, pasta, formaggi, e tutte le piccole produzioni della Marmilla e della Sardegna, stanno acquistando una importante visibilità. Speriamo si impari a fare squadra….”. Il secondo grande progetto è Coxinas, rivolto a valorizzare le materie prime del territorio. Si tratta di una fiera delle eccellenze sarde e dei prodotti locali. Fatta in collaborazione con la Cantina “Su ‘entu”, la manifestazione, ideata da Roberto Petza e dalla Fondazione Accademia Casa Puddu, punta a un sistema di filiera che, tra le altre cose, riconosca la professionalità degli chef e degli operatori enogastro-
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nomici. L’Accademia Casa Puddu si propone infatti di trasformare i produttori in piccoli ambasciatori del territorio. “È come una missione, la nostra… Si possono fare grandi cose anche in territori difficili, dice Roberto Petza, anche qui dove le campagne sono spesso mal lavorate. In Sardegna abbiamo prodotti eccezionali che però non vengono utilizzati dalle grandi strutture. Valorizzarli significa costruire il futuro economico dell’isola. E dire ai giovani che anche qui, nell’isola più bella del mondo, un futuro è possibile”.
GOURMETFOOD
FELICE LO BASSO PIÙ
UNICO CHE RARO
di
Sandro Romano
Più unico che raro. L’Unico, infatti, è l’unico ristorante in Italia al ventesimo piano ed è anche l’unico ristorante non pugliese ad avere le brigate di cucina e di sala formate in gran parte da pugliesi. Maitre, sommelier, alcuni camerieri pugliesi, staff di cucina per due terzi pugliese e chef executive, Felice lo Basso, detto Felix, pugliese pure lui.
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Insomma, un angolo di eccellenza gastronomica della pianeggiante Puglia, che guarda Milano dall’alto di uno dei suoi più imponenti grattacieli, il World Join Center, gigante di vetro da cui si gode una meravigliosa vista sulla città. Con l’ascensore si raggiunge il piano, dove una gentile signorina accoglie gli ospiti con un sorriso e li fa accompagnare nella sala.
RISTORANTEUNICO
Felice è un cuoco quarantunenne di Molfetta (BA), di solida esperienza acquisita sulla riviera romagnola, in Costa Azzurra e poi in Alto Adige, all’Alpenroyal di Selva di Val Gardena, dove la Michelin nel 2011 gli ha riconosciuto una meritata stella. Dopo il lungo periodo all’Alpenroyal, Felix, che è persona ambiziosa, vivace, incapace di cullarsi sugli allori e sempre alla ricerca di nuovi stimoli, nel 2014 approda a Milano, con l’ambizioso compito di sostituire lo chef romano Fabio Baldassarre al timone dell’Unico. La sala del ristorante è circondata da vetri attraverso i quali si riesce ad ammirare la città che si estende a vista d’occhio ai piedi del grattacielo, donando un panorama che è davvero mozzafiato. Le luci soffuse contribuiscono a creare una gradevolissima atmosfera ricercata ma neppure troppo ingessata, grazie all’utilizzo di mobili, tavoli e sedie di design moderno, predisponendo, così, a una maggiore informalità. Lo chef ci ha riservato il tavolo in cucina, postazione privilegiata dalla quale abbiamo potuto assistere al perfetto sincronismo di tutta la brigata, diretta con precisione svizzera dal suo maestro d’orchestra, sempre serafico, tranquillo, mai frenetico, dotato di quella simpatica giovialità che è tipica dei ragazzi del Sud. Mai un urlo, solo comandi decisi e chi deve agire agisce: con rapidi gesti il piatto prende forma e, in tempi strettissimi, è pronto, arrivando in tavola alla giusta temperatura di servizio. I piatti di Felice Lo Basso trasmettono il ricordo della sua terra, che lui sapientemente mescola con le esperienze, le cotture e i sapori dell’Alto Adige, regione che lo ha accolto durante 12 anni densi di soddisfazioni. “La mia cucina esprime l’armonizzazione di prodotti pugliesi e altoatesini – conferma Lo Basso - riuscendo, così, a unire idealmente, con passione, im-
pegno e creatività, due estremi della nostra lunga penisola. E’ la stessa cucina che facevo all’Alpenroyal, quella che mi ha dato grosse soddisfazioni e che rappresenta appieno il mio pensiero gastronomico. Il mio stile è quello, non voglio cambiarlo, anzi, con l’intento di perfezionarlo sempre più, mi sono dato l’obiettivo, qui a Milano, di arrivare alla seconda stella”. Dall’incrocio di queste esperienze nascono piatti come l’ottimo carpaccio di cervo marinato alle spezie, gelatina di mirtilli, lampascioni, panna acida, gelato al foie gras e zucchero al pino mugo, piatto di stampo altoatesino con la caratterizzante incursione del lampascione, in aperto e gradevole contrasto con le note dolci della gelatina e dello zucchero profumato.
Un piatto completo, i cui sapori sono perfettamente armonizzati fra loro, che esprime il suo personale concetto di cucina fusion, e, poiché nella sua concezione del piatto mancava la pur sempre interessantissima nota amara, lo chef è andata a cercarla nell’ideale paniere di prodotti pugliesi. E’ proprio questo il meccanismo nella mente di Felix, infatti. Serve l’amaro in un piatto fatto prevalentemente con prodotti del Nord? Senza troppi vincoli territoriali ecco pronti, ad esempio, i lampascioni. Serve il dolce? Si va di barbabietola. Serve il salato e un po’ di affumicato? Ricorre, con mano equilibrata, al capocollo d Martina Franca, ed ecco che la Puglia aggiunge il suo tocco, la sua pennellata decisiva. O, viceversa, lo chef utilizza la mela, la
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GOURMETFOOD
panna acida, le patate viola, i frutti di bosco o persino la balsamicità del pino mugo per arricchire e completare un piatto di ideazione più meridionale. Piatti fortemente identitari, come la sua insalata di terra e mare con spuma di patate, asparagi di mare (salicornia), frumento fritto e garusoli, termine veneto usato per i murici. Il discorso vale anche per l’elegante rapa rossa e capasanta, le cui dolcezze sono attutite dalla fresca acidità della tartare di Granny Smith e dall’appena percettibile tocco esotico del cardamomo. A seguire, due primi di concreta sapidità: i tortelli di ceci con spuma di bufala su carpaccio di gambero rosso, ma soprattutto la cremosissima carbonara di baccalà, realizzata con spaghettoni Benedetto Cavalieri, baccalà a dadini spadellato e guanciale croccante. Ci ha colpito, durante la degustazione, l’importanza che Felice Lo Basso ha dato a un’osservazione giunta da un cliente in sala, da lui ritenuta corretta, al punto che il piatto seppia pugliese arrostita con lingua di vitello, broccoli all’acciuga, spugna d’inchiostro e consommè di granchio, nelle successive uscite è stato servito tenendone conto, a dimostrazione di una modestia, attenzione e sensibilità fuori dal comune. La chiusura è stata affidata a un fresco
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predessert, la zuppetta ai frutti di bosco con gelato alla menta e melange allo yogurt, seguito dal golosissimo cremoso al cioccolato bianco con spugna al the verde e arancia. Sostanza e creatività insieme, ma in maniera dosata e ben equilibrata, caratterizzano, quindi, la proposta gastronomica di Felice Lo Basso, cuoco dallo strano e simpaticissimo accento fusion un po’ come la sua cucina, realizzata con grandi materie prime e idee semplici, ma quanto mai convincenti.
RISTORANTEUNICO
UNICO RESTAURANT Viale Achille Papa, 30 20149 Milano Tel. 02 3921 4847 www.unicorestaurant.it info@unicorestaurant.it
Baccello
di piselli con insalatina di lumache di mare, piselli bolliti e mandorle fresche INGREDIENTI per 4 persone
PROCEDIMENTO
chine per circa un’ora e, dopo averle pulite,
Per il baccello
Pulire i piselli freschi facendo attenzione
condirle con olio extravergine, sale, pepe e
4 piselli interi
a non rompere il baccello e dividendolo
unirle ai piselli.
g. 100 di lumache di mare
in due parti (servirà come contenitore per
g. 50 di mandorle fresche
l’insalata).
COMPOSIZIONE DEL PIATTO
olio extravergine q.b.
Bollire i piselli in acqua salata e raffreddare
Disporre l’insalatina nel baccello; rifinire con
sale e pepe q.b.
immediatamente nel ghiaccio per bloccar-
le mandorle fresche e decorare con germogli
germogli o fiori eduli a piacere
ne il colore. Nel frattempo bollire le luma-
e fiori eduli a piacere.
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PRODOTTI ECCELLENTI
ANDREA
INCERTI VEZZANI INTERPRETA
foto di
Elevato livello di qualità della cucina, del servizio, dell’ambiente, ma anche tenacia e passione: sono quasi sempre questi i fattori che determinano il successo di un locale stellato. Non sfugge a questa regola aurea Andrea Incerti Vezzani che, insieme a Marcella, ha saputo attirare l’interesse di pubblico e critica autorevole su questa accogliente casa immersa nel verde delle terre matildiche. La stagionalità, la cultura culinaria “contadina” del reggiano su cui lo chef ha fondato la sua filosofia gastronomica, unite a costante ricerca sul piano tecnico ed esecutivo, conferiscono alle sue proposte quella componente emozionale che fa di ogni piatto, una piccola opera d’artigianato artistico.
RISTORANTE LOCANDA CÀ MATILDE Via della Polita,14 42020 Rubbianino di Quattro Castella (RE) Tel. 0522 889560 www.camatilde.it - info@camatilde.it
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Niko Boi
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Ravioloni
con crema di ricotta di bufala e foglioline di spinaci gamberi marinati al miele e timo INGREDIENTI per 4 persone
PROCEDIMENTO
con poca acqua e fare ridurre fino ad ottenere
12 Ravioloni con Crema di Ricotta di Bufala
Procedere con la pulizia dei gamberi e farli
una salsa vellutata; filtrare e tenere in caldo.
e Foglioline di Spinaci DIVINE CREAZIONI
marinare per 15/20 minuti con olio extraver-
Cuocere i Ravioloni con Crema di Ricotta di
SURGITAL, 12 gamberi rossi, g. 30 di miele di
gine, peperoncino dolce tagliato fine, il miele
Bufala e Foglioline di Spinaci in acqua bollen-
Sulla, qualche rametto di timo, 1 peperoncino
di sulla, un poco di sale e il timo sfogliato.
te salata, scolarli e mantecarli con il fondo di
dolce, olio extravergine d’oliva, 4 pomodori dat-
Tostare in una padella le teste dei gamberi
gamberi. Adagiarli nel piatto; guarnirli con i
terini, 1 spicchio d’aglio.
con aglio e pomodori datterini; deglassare
gamberi marinati e il timo fresco.
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PRODOTTI ECCELLENTI
Ravioloni
con formaggio Asiago e radicchio rosso di Treviso
pastinaca alla vaniglia, dragoncello e aceto balsamico tradizionale INGREDIENTI per 4 persone
PROCEDIMENTO
8 Ravioloni con Formaggio Asiago
Lavare e mondare la pastinaca; tagliarne me-
e Radicchio Rosso di Treviso
tà a fette sottili e friggerle in olio ben caldo
DIVINE CREAZIONI SURGITAL
fino a doratura.
g. 600 di pastinaca
Tagliare grossolanamente l’altra metà della
g. 60 di burro
pastinaca e farla rosolare con il burro, poi
1 bacca di vaniglia
aggiungere un po’ d’acqua e fare cuocere per
g. 300 di olio di semi di arachide
10 minuti circa. Aggiungere la vaniglia, aggiu-
aceto balsamico tradizionale
stare di sale e pepe, frullare il tutto al mixer e
radicchio rosso di Treviso
passare al setaccio fine. Tenere da parte.
dragoncello
Lavare e mondare il radicchio e conservarne
sale e pepe
le punte che andranno marinate con olio, sale e aceto balsamico. Cuocere i Ravioloni con Formaggio Asiago e Radicchio Rosso di Treviso in acqua bollente salata, scolarli e mantecarli con poco burro, disporli nel piatto e guarnirli con la crema di pastinaca, il radicchio marinato, il dragoncello ed un cucchiaino di aceto balsamico tradizionale.
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PRODOTTI ECCELLENTI
Raviolotti con polenta e Montasio Dop
cavolfiore, funghi pioppini baccalá INGREDIENTI per 4 persone 8 Raviolotti con Polenta e Montasio DOP DIVINE CREAZIONI SURGITAL g. 200 di cavolfiore g. 200 di funghi pioppini g. 220 di baccalá dissalato ml. 100 di latte intero erba cipollina olio extravergine d’oliva 1 foglia di alloro 1 spicchio d’aglio pepe PROCEDIMENTO Lavare le cimette del cavolfiore, tritarle fini come se fosse un cous-cous e condirle con erba cipollina, olio, sale e pepe. In una padella soffriggere l’aglio, deglassare con il latte; aggiungere il baccalà, una foglia di alloro e i funghi pioppini mondati e cuocere per 1 minuto. Cuocere i Raviolotti con Polenta e Montasio DOP in acqua bollente salata, scolarli, mantecarli con poco olio, disporli nel piatto. Guarnirli con i funghi, il baccalà e il cous-cous di cavolfiore.
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I Carbonari con asparagi, maggiorana e liquirizia INGREDIENTI per 4 persone g. 400 di Carbonari DIVINE CREAZIONI SURGITAL g. 30 di maggiorana freschissima g. 6 di liquirizia in polvere g. 50 di porri g. 400 di asparagi g. 60 di burro sale e pepe PROCEDIMENTO Lavare e mondare gli asparagi; affettare sottilmente la parte piÚ tenera con l’aiuto di una mandolina. Fare soffriggere con poco burro i porri tagliati grossolanamente e aggiungere poi le parti piÚ fibrose degli asparagi; coprire con acqua e far cuocere. Frullare il tutto al mixer e passare al setaccio; aggiustare di sale e pepe. Lavare e mondare anche la maggiorana. Nel frattempo cuocere la pasta per 30 secondi in acqua bollente salata. Scolarla, mantecarla con poco burro, disporla nel piatto e guarnire con gli asparagi precedentemente conditi con olio e sale, la maggiorana e la liquirizia.
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PRODOTTI ECCELLENTI
Castelmagni
con fave, guanciale e salsa al pepe verde INGREDIENTI per 4 persone 12 Castelmagni DIVINE CREAZIONI SURGITAL g. 200 di fave pulite g. 160 di guanciale stagionato g. 150 di panna fresca g. 40 di scalogno g. 40 di burro g. 6 di pepe verde liofilizzato cerfoglio PROCEDIMENTO
Soffriggere con il burro lo scalogno; deglassare con la panna; aggiungere sale e pepe verde liofilizzato. Fare ridurre; passare al setaccioe tenere da parte in caldo. Nel frattempo rosolare il guanciale fino a farlo diventare croccante. Cuocere i Castelmagni in acqua bollente salata; disporli nel piatto. Guarnire con le fave fresche, il guanciale croccante e la salsa al pepe verde.
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GOURMETFOOD
RISTORANTE ALBERGO
AL PONTE
UNA META SICURA NEL PANORAMA GASTRONOMICO FRIULANO di
Gianni Di Lorenzo
Ormai capita sempre più spesso di stupirsi per certe mancate segnalazioni sulle guide o per le solite inaffidabili recensioni “senza rete” lasciate “sulla rete” da anonimi pseudo clienti. Ne è un esempio il ristorante Al Ponte di Gradisca d’Isonzo che si può senz’altro definire una meta sicura e che invece subisce l’avarizia degli organi di comunicazione o addirittura il totale di-
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sinteresse di chi dovrebbe scriverne con competenza e autorevolezza. Parlano tuttavia per questo luogo ospitale la tradizione di famiglia, la sensibilità esecutiva dello chef, la piacevolezza delle sale, la cura nel servizio e nella presentazione dei piatti. La gestione del locale è familiare e risale a quando i Rizzotti sono scesi dalle montagne di Peonis, in Carnia, e lo hanno acqui-
ALPONTE
stato nel 1985. Qui hanno trasferito quel patrimonio di tradizioni che sono poi la vera ricchezza del nostro Belpaese. Le ricette montanare di casa - custodite da zia Olga, ancora operativa nella cucina del Ponte - sono state ereditate dal nipote Luca Rizzotti Plet che ha saputo accostarle con rispetto a quelle tradizionali del basso Friuli, in quel gioco di parentele tra territori contigui, eppure diversi tra loro, così abituale in ogni regione italiana. Quindi i cjarson prettamente carnici, elaborati in una variante personalizzata, trovano posto accanto ai vari risotti insaporiti con il pesce dell’alto Adriatico, in una tradizione che confina con quella veneta. Commistioni tra zone diverse del Friuli anche nelle varie zuppette di erbe e verdure, filiazioni dirette della classica jota, o negli gnocchetti, di
pane o di patate, impreziositi da sughi leggeri, ritmati sui prodotti di stagione. Il territorio locale e circostante entra in antipasti e secondi piatti gestiti con eleganza, come nel caso della tàrtara di scottona slovena con crostini e burro di malga; del goulash di manzetta al refosco con gnocchetti di pane alle erbe e speck; del frico croccante, prugne calde e battuta di manzetta con gelato all’aglio…. “E pensare che Luca frequentava il conservatorio! - sospira mamma Adriana che, nella conduzione del ristorante, fa davvero la differenza, appassionata ed esperta com’è di cibi e di vini – Ma niente da fare: a vent’anni ha lasciato la musica, per suonare il nostro spartito gastronomico di centenaria tradizione. Io stessa sono stata allevata a pane e vino per consuetudine di famiglia e la
IL POSTO Il ristorante è anche albergo in un’oasi di verde accanto alle vie di comunicazione più importanti del Friuli Venezia Giulia: autostrada e aeroporto a pochi minuti. L’hotel è molto curato ed è dotato di un centro benessere con sauna, bagno turco, massaggi rilassanti, bagni aromatizzati, solarium. È punto di partenza per sorvoli in elicottero delle vigne del Carso, del Collio e dei Colli orientali.
AL PONTE V.le Trieste, 12 - 434072 – Gradisca d’Isonzo (GO) Tel. 0481.99213 - Fax 0481.93795 info@albergoalponte.it - www.albergoalponte.it Chiusura: domenica sera e lunedì Costo medio*: Euro 45,00 menù di carne; Euro 60,00 menù di pesce - *pasto senza vini né bevande Carte di credito: Visa, Master card e American Express Posti disponibili: 100 circa nelle tre sale, Hotel 38 camere a Euro 120,00 la doppia, e 4 suites a Euro 180,00
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GOURMETFOOD
Composta
di pomodori e soffiato alla mozzarella di bufala INGREDIENTI
sca il liquido di cottura; sovrapporre una
kg. 2 di pomodori maturi
terrina vuota della stessa dimensione
2 spicchi d’aglio
e lasciare in pressione per circa 4 ore.
2 melanzane
Per il soffiato, tagliare a pezzettoni
2 mozzarelle di bufala
la mozzarella di bufala conservandola
g. 100 di pane bianco non salato
nella propria acqua di mantenimento,
4 foglie di basilico
portare a 65°C, aggiungere
g. 10 di timo
mollica di pane e frullare il composto sino a che ri-
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PROCEDIMENTO
sulterà omogeneo. Lasciar
Pelare i pomodori ed eliminarne i semi; di-
raffreddare e mantecare
sporli, tagliati a metà, su una teglia. Aroma-
in gelatiera.
tizzarli con timo e spicchi d’aglio in camicia.
Servire in una fondi-
Passarli in forno a 120°C per 40 minuti. Nel
na con un velo di
frattempo pelare le melanzane e tagliarle
vellutata al pomo-
sottili dalla parte della lunghezza; cucinarle
doro ricavata dai
su una pentola antiaderente con un pizzico
pomodori che vi
di sale, sino a che risulteranno dorate. Fode-
saranno rimasti, due
rare una terrina di media grandezza con le
fette di terrina di melan-
melanzane, adagiarvi a strati i pomodori e
zane e una quenelle di sof-
richiudere con le melanzane restanti, pres-
fiato alla mozzarella di bufala
sando leggermente in modo tale che fuorie-
con una foglia di basilico fritta.
ALPONTE
passione che si eredita forse si trasfonde anche inconsapevolmente nei figli attraverso i profumi di casa, il calore della famiglia riunita attorno alla tavola, i sapori della memoria”. Tanto è travolgente la mamma, tanto è schivo e riservato Luca, che preferisce parlare attraverso i propri piatti. Sobriamente ci racconta dei suoi viaggi in America, dei tre anni trascorsi in Thailandia che lasciano una traccia evidente nell’uso di erbe, spezie e accostamenti insoliti, e poi della sua passione per la preparazione quotidiana del pane, che ci viene servito caldo e fragrante, con un profumo irresistibile. Gli piace inventare e sperimentare e, per la sua fluente creatività, spesso è amorevolmente redarguito dalla mamma che vorrebbe
minori digressioni rispetto alla tradizione. Le divergenze si appianano tuttavia attraverso scelte innovative che lo chef porta avanti con apprezzabile misura, riconducendosi autonomamente al lessico familiare e a quello del prodigo Friuli. L’abbiamo verificato personalmente apprezzando la sua splendida frittura dell’Alto Adriatico, il delicato nido di polentina tenera con fonduta di Montasio 6 mesi e ricotta affumicata, il soffice ai cipolotti servito con il suo consommé e ricotta affumicata soffiata (foto 1), i cjalcions carnici con uvetta sultanina e menta (foto 2), il goulash di pezzata rossa (foto 3), la zuppetta alle albicocche pepe rosa e vaniglia (foto 4). Ci siamo affidati al gusto di Adriana, brillante esponente delle Donne del Vino in
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Gnocchetti
di melanzane con piccolo pesto al basilico e gamberi rossi istriani INGREDIENTI
mente. Frullare il composto con un cutter,
2 melanzane di media grandezza
aggiungervi la farina un po’ per volta e ag-
8 gamberi rossi istriani
giustare di sale. Versare l’impasto in un sac
g. 100 di farina “00”
à poche e cucinare gli gnocchetti in acqua
g. 100 di basilico
bollente poco salata. Per il pesto al basilico
g. 20 di pinoli
frullare assieme basilico, pinoli, burro e pane
1/2 spicchio d’aglio
bianco con l’aiuto di un cutter sino a che
g. 30 di burro
l’impasto risulterà omogeneo. Distendere
g. 50 di mollica di pane bianco
l’impasto su un foglio antiaderente, con
1/2 cipolla piccola
l’aiuto di un matterello e conservare in frigo. Con il carapace dei gamberi fare un brodetto,
PROCEDIMENTO
mentre con la carne preparare un battuto
Per gli gnocchi, pelare le melanzane e tagliar-
non troppo sottile.
le a pezzettoni, cucinarle a vapore per circa
Padellare gli gnocchi direttamente nel bro-
10 minuti. Nel frattempo soffriggere la mezza
detto di gamberi, adagiare sulla fondina il
cipolla con olio extravergine di oliva.
velo di pesto al basilico, che si scioglierà con
Quando le melanzane saranno cotte, aggiun-
il calore degli gnocchi, gli gnocchi stessi e il
gerle al soffritto di cipolla e rosolarle legger-
battuto di gamberi rossi.
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GOURMETFOOD
Friuli, e ci siamo fidati della sua ricerca di piccoli produttori d’eccellenza. Ci ha affascinato il Tovè 2012 da uve Tokay e Verduzzo, prodotto da Marco Cecchini a Premariacco (UD) che si autodefinisce “produttore indipendente” perché insofferente alle mode dilaganti nel mondo del vino e fiducioso solo delle proprie intuizioni e realizzazioni. “Un vino molto buono per me è sufficiente”. – ama asserire – E questo Tovè è davvero molto buono, sapido e minerale com’è, profumato di frutta estiva e fiori bianchi. Una boccata d’aria diversa che parla di rispetto della terra e delle più naturali espressioni dei singoli vitigni. Dopo il Tovè, un superbo Il Carpino Vis Uvae 2010 dell’omonima azienda di San Floriano del Collio, ai
Arrosto
di maialino da latte con kren e mele INGREDIENTI 1 lonza di maialino da latte con cotenna, g. 50 di rosmarino, 1 spicchio di aglio, sale e pepe, 2 mele, 1 radice di kren, olio extravergine di oliva del Carso. PROCEDIMENTO Tritare il rosmarino e lo spicchio d’aglio; in una ciotola versare il sale e il pepe e aggiungervi il trito di rosmarino. Distendere la lonza e pareggiarla, in modo tale che tutte le parti siano della stessa grossezza. Cospargerla con il trito e arrotolarla, così da formare un arrosto. Infornare con un filo d’olio a 120°C per 4 ore circa. Nel frattempo sbucciare le mele e cucinarle in una pentola antiaderente con qualche goccia di limone, onde evitarne l’ossidazione. Tagliare il maialino a fette non troppo sottili; sul fondo di un piatto ben caldo versare il purè di mele, adagiare due fette di maialino e nappare con la salsa che si sarà formata in cottura. Grattugiare un po’ di kren e servire subito.
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confini con la Slovenia. Ci attira subito il suo bel colore ramato, acquisito grazie alla permanenza del Pinot Grigio sulle sue bucce violacee, con profumi di melone, pompelmo e rosmarino, e una mineralità che sconfina in una piacevole, naturale, tendenza ossidativa. Dunque vini del territorio proposti finalmente con un po’ di originalità, con un servizio a perfetta temperatura e con perfetto corredo di informazioni. La ricca cantina spazia comunque sulle migliori etichette nazionali e vanta una invidiabile collezione di grandi formati. Nel complesso - per tornare alle considerazioni iniziali - un ristorante che merita dalle guide un’attenzione molto maggiore di quella che il pubblico già gli riserva.
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TRAVELFOOD Teresa Cremona foto di Pasquale Spinelli di
VIAGGIO IN
DANIMARCA PATRIA DELLA NUOVA CUCINA NORDICA E DI UNO STILE DI VITA SOSTENIBILE
Il battello scivola sui canali di Copenaghen, la visita turistica prevede il Parlamento, la chiesa di Frederikskirken, il maestoso Palazzo di Amalienborg, residenza della Regina Margrethe II, le antiche case di Christianshavn, ma anche il moderno Teatro dell’Opera (foto sopra) e la Biblioteca Reale, più nota come “The Black Diamond” (in basso a destra). Dopo il centro storico e i quartieri settecenteschi, si costeggia la ex zona portuale
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che si sta trasformando per accogliere residenze esclusive progettate da architetti e designer di grido; la guida segnala anche l’edificio dei magazzini portuali ora sede del Noma, ristorante famoso oramai quasi quanto la romantica Sirenetta. In questo suggestivo scenario liquido, antico e innovativo convivono, e l’armonia è perfetta. Copenaghen è città d’acqua e di battelli, di parchi e di biciclette, è città di giovani adatta a chi giovane
DANIMARCATRAVELFOOD Appena a nord di Copenaghen si può visitare la casa di una danese eccezionale, Karen Blixen, autrice del famoso romanzo La mia Africa (foto 1). Procedendo ancora verso nord, è obbligatoria la visita al Castello di Kronborg (foto 2). Questo castello si trova a Elsinore, ed è uno dei più bei castelli rinascimentali del nord Europa. Si trova alle porte dell’Øresund ed è stato costruito nel 1574-1585. Kronborg è probabilmente il più famoso castello danese, noto in tutto il mondo grazie a Shakespeare che vi ambientò l’Amleto (nel 2016 verrà festeggiato il 400° anniversario della morte di William Shakespeare). Accanto al castello, lo spettacolare Nuovo Museo Marittimo di Danimarca (foto 3), costruito sotto e attorno al porto.
non è. Il suo fascino è nella sua posizione, nella sua storia, ma anche nei suoi contrasti. La città cambia senza tradirsi, è elegante e sportiva, intuisce e anticipa le mode, senza mai essere troppo alla moda. Non si può parlare di Copenaghen senza citare le oltre 250 varietà di smørrebrød per i quali la Danimarca è da sempre famosa o lo “smushi”, nato di recente che unisce lo “smørrebrød concept” agli ingredienti del sushi. Nel centro storico, Strøget la più lunga via pedonale dello shopping d’Europa, tutte le firme internazionali più famose sono presenti, ma il magazzino Normann è assolutamente danese e ogni oggetto esposto è puro design, accanto c’è la sede della Royal Copenaghen (qui a lato),
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dove invece si racconta la tradizione. A Vesterbro, un tempo quartiere operaio e a luci rosse, il cambiamento fa nascere piccoli caffè, locali alla moda, negozi di alimentari dal sapore esotico e boutique insolite di grande successo. 17 stelle Michelin, 12 ristoranti Bib Gourmand, street food e mercati alimentari, Copenaghen è ormai diventata una mecca globale per la gastronomia, offrendo molte esperienze culinarie tra le più in voga al momento. Ma la Nuova Cucina Nordica non si limita a Copenaghen.
Anche nella campagna danese e nei piccoli villaggi si ritrova quell’attenzione al prodotto locale e ai sapori autentici della Scandinavia. La correlazione tra natura, storia, cultura, arte e prodotti locali rende l’Odsherred una regione unica e per questo motivo è stata riconosciuta primo geoparco della Danimarca, nel 2014. Diversi produttori hanno infatti potuto usare l’etichetta “Taste of Odsherred”, che attesta la provenienza locale dei prodotti. E’ da Copenaghen verso l’Odsherred che si sviluppa il nostro percorso.
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TRAVELFOOD
I MERCATI DI COPENAGHEN di
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Teresa Cremona
Fronte mare, con vista sull’Operahouse, la panoramica banchina arredata con tavoli e con zone relax, un ambiente easy, vivace, vissuto, dove in allegro relax ci si incontra, si mangia, si ascolta musica: questo è il mercato del ‘cibo di strada’ sull’isola di Papirøen, - letteralmente l’isola di carta, perché in passato vi si stoccavano le balle di carta pronte per le spedizioni - Papirøen è ora in attesa di essere trasformata in un quartiere di condomini di alto standing. Nel frattempo e per un tempo determinato (2 anni) uno dei vecchi capannoni, rimasto identico nella sua spoglia architettura industriale, ospita il Mercato dello Street Food, e mette a disposizione superfici che possono essere affittate da chiunque voglia tentare di essere imprenditore nel settore del cibo da strada. Per partecipare è necessario però aderire ad un codice di comportamento che prevede alcune regole fondamentali: cibo da stra-
da, ma di qualità. Ecosostenibile e senza additivi aggiunti, realizzato con prodotti freschi, locali e organici, con attenzione ai vegetariani, e con sostegno ad una razza di bovini danesi in estinzione. Last but not least, è anche richiesta una certa
DANIMARCATRAVELFOOD
attenzione al design. I grandi spazi interni si presentano come un parcheggio di veicoli disparati. In ordinato disordine sono allineati roulotte, truck, caravan, camioncini e chioschi. Ognuno ospita la piccola attività di un imprenditore indipendente che cucina una tipicità del suo paese d’origine, cibo messicano, uzbeko, cubano, cinese, inglese, danese, giapponese, marocchino, e ovviamente anche italiano. Ma il Copenaghen Street Food Market è anche un luogo di eventi: vi si svolgono concerti e spettacoli, è sede del Jazz Festival e del Kulturhavn dedicato alla cultura. Ma vale sempre la regola: tutto deve essere a costo contenuto. Il progetto è di Jesper Møller e Dan Husted, due giovani imprenditori che insieme ad una diecina di altri investitori hanno finanziato questa iniziativa: il successo è stato immediato e quindi il Comune di Copenaghen si è impegnato a trovare una nuova location, quando inizieranno i lavori urbanistici e arriverà il momento di traslocare. COPENAGHEN STREET FOOD Papirøen/The Paper Island Warehouse 7 & 8 - Trangravsvej 14 http://copenhagenstreetfood.dk
Un altro mercato che ci è piaciuto è Torvehallerne (foto in questa pagina), un complesso di due costruzioni moderne e al centro la piazza dove sono in vendita fiori, frutta e verdure e dove si può mangiare all’aperto. Gli spazi interni sono organizzati in gallerie con negozi eleganti che vendono prodotti di qualità, specialità danesi e anche internazionali, pane, carne, pesce, formaggi, distillati, vini, gelati, ma ci sono anche le boutique per l’arredamento di design della casa e della cucina. I banchi offrono anche piatti pronti di aspetto gourmet. Bar e piccoli ristoranti completano l’offerta. TORVEHALLERNE Frederiksborggade 21 1360 København K http://torvehallernekbh.dk
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TRAVELFOOD
“RE”DZEPI SOVRANO DEL
NOMA di
Elsa Mazzolini
© Mikkel Heriba
© Peter Brinch
Durante il classico giro turistico in battello, la guida cita il Noma tra le attrattive più rilevanti di Copenaghen. E senza dubbio lo è, considerato l’elevato numero di persone che ogni giorno, con liste d’attesa lunari, affollano il celebre ristorante di René Redzepi. Ma lo è soprattutto per l’enorme influenza che la sua cucina esercita, fin dal 2004, su tutte le attuali espressioni gastronomiche danesi, ormai uniformate su un nuovo modello alimentare
© Mikkel Heriba
ecosostenibile, che sembra non avere un passato. Eppure qualcosa di ancestrale nel radicalismo vegetale ed entomofago del famoso chef è perfettamente avvertibile,
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in quanto la sua ricerca esasperata delle radici primordiali (non solo edibili) e dei metodi di fermentazione naturali come fondamento di molte sue invenzioni, non sono altro che un omaggio ai sapori
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LA STRAORDINARIETÀ DI REDZEPI Renè Redzepi basa la sua filosofia su un concetto molto semplice, difficile da realizzare se non si è dotati di una grande tecnica: ridare dignità a una cultura gastronomica, quella del nord Europa, fino a qualche anno fa evidentemente poco conosciuta. L’idea è di esaltare i prodotti nordici, trasmettendo al palato il sapore del trascorrere delle stagioni. La sfida sta proprio nel rendere saporiti i pochi ingredienti naturali che crescono nel periodo più freddo come il centonchio, l’acetosella, l’ortica. L’attenzione verso i prodotti di territorio è maniacale: spazio al biologico, biodinamico e a una cucina quasi senza grassi. Sono completamente ridisegnate le temperature di servizio dei piatti, la linea di confine tra il caldo e il freddo è praticamente annullata. Le acidità e le note amare sono il leitmotiv di una cucina che vale la pena di provare almeno una volta nella vita. Alber Sapere
© Mikkel Heriba
NOMA Strandgade 93 DK-1401 Copenaghen Tel: +45 3296 3297 www.noma.dk noma@noma.dk
© Mikkel Heriba
© Mikkel Heriba
che maggiormente identificano la sua terra. Dunque lo stile Redzepi ha gettato le basi di quella che viene definita New Nordic Cuisine e ha creato uno spartiacque tra un passato oscuro e un presente che al momento continua a brillare. Purtroppo, mentre la pulizia estetica del Noma ha influenzato persino i piatti delle rosticcerie da asporto, lo sciame infinito di cuochi usciti da quello straordinario laboratorio di idee sta producendo troppe cucine fotocopia, alla lunga un po’ ripetitive.
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GERANIUM TOP RESTAURANT A COPENAGHEN di
Il Geraniun, germogliato all’ultimo piano di un palazzo periferico adiacente lo stadio di Copenaghen, non ha colori sgargianti se non nelle creazioni gastronomiche. L’uniformità di bianco, nero e grigio degli arredi caratterizza infatti l’aspetto dell’altro più importante ristorante della capitale, due stelle Michelin affiancate orgogliosamente accanto a quelle del Noma e tre premi Bocuse – bronzo, argento e oro – ben esposti in cucina.
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Elsa Mazzolini Qui, come nella maggior parte dei ristoranti danesi, non si mangia alla carta, bensì sulla dittatura di un menu già predisposto dallo chef (versione “Universe” a 1600 corone e una più contenuta a 1200 corone). L’unica possibilità concessa è quella di scegliere da una ricca carta dei vini proposti anche al bicchiere in ordine anche qui predeterminato e tra una serie di succhi e centrifughe di erbe e frutta. Abbiamo optato per questi ultimi, come
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GERANIUM Per Henrik Lings Allé 4, 8 2100 København Ø Tel. +45 69 96 00 20 www.geranium.dk info@geranium.dk
avrebbero suggerito sia Gualtiero Marchesi che Alain Passard, per non “inquinare” con l’alcol il delicato equilibrio dei piatti che sono partiti in sequenza rapida e ben cadenzata con un succo fermentato di carota, granchio e olio di olivello spinoso, dalle straordinarie funzioni antiossidanti, poi con la ricostruzione di una foglia di carciofo di Gerusalemme ad altissimo tasso di sapore, quindi con lo straordinario canolicchio completamente edibile (chiaro omaggio alla cozza con valve commestibili di Redzepi) ripieno di alga islandese, salsa Kir con caviale e uova di lompo (foto pagina accanto), passando per i camaleontici sassi verdi di gelatina di rafano con sgombro (foto a lato). La cucina, a vista come tutte quelle degli adepti della New Nordic Cuisine, trasmette la vivacità e l’energia di un gruppo di lavoro giovanissimo, coordinato dal genio creativo di Rasmus Kofoed, figliol prodigo, come si può intuire, dal celebrato Renè Redzepi.
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AMASS RESTAURANT Refshalevej 153 1432 Copenaghen Tel. +45 43584330 www.amassrestaurant.com info@amassrestaurant.com
Ancora uno chef del Noma, ancora una zona immediatamente periferica che un nuovo ristorante rende improvvisamente appetibile e frequentatissima. Matteo Orlando ha deciso di sfruttare gli ampi spazi di una casa dall’architettura industriale, modificata con enormi vetrate aperte sul mare e sull’orto di quelle erbe, verdure e fiori che trovano largo impiego nel suo doppio menu “obbligatorio”: Current a 595 corone con 4 bicchieri di vino a 395 corone, ed Extended a 795 corone e 6 bicchieri di vino a 595 corone. La cucina a vista domina la (rumorosa) vasta sala al pian terreno, mentre la cantina e la dispensa refrigerata e trasparente con le carni a frollare sono al piano superiore, dove si colloca l’entrata. La ascendenza americana dello chef e la sua esperienza in ristoranti internazionali offrono una diversa prospettiva di questa cucina nordica e un approccio meno metafisico, meno iperconcettuale e più alloctono. Si avvertono i sentori di fiori, bietoline e mandorle sul tuorlo d’uovo che ci viene servito da uno dei giovani chef in brigata, mentre la componente delle
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INFLUENZE
INTERNAZIONALI AD
AMASS di
Elsa Mazzolini Tim Spreadbury
foto di
erbe di campo diventa quasi una semplice decorazione nella rana pescatrice con pelle di pollo arrostita; si rafforzano invece di nuovo i sapori nel maiale biologico, latte di nocciole, erba pignola e susina acerba. Interessante il dessert poco dolce al rabarbaro, finocchietto e cialde di yogurt secco.
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CUCINA TEATRALE AL
GEIST di
Teresa Cremona
Centrale che più non si può, il ristorante trova collocazione nella piazza del Teatro Reale Danese e del mitico Hotel d’Angleterre, nella zona dei negozi eleganti, ma in un angolo di fascino atemporale, in un palazzetto dal cortile antico, segnalato da una minuscola targa di ispirazione magrittiana. Elegante, sofisticato, trendy, ma anche giovane, vivace, pieno di energie, è Geist, locale di piacevoli contrasti,
GEIST Kongens Nytorv 8 Dk - 1050 København K Tel. (+45) 3313 3713 www.restaurantgeist.dk mail@restaurantgeist.dk
creato dallo chef-patron Bo Bech (foto a destra). Pareti scure sapientemente illuminate, grandi finestre che accentuano l’intimità degli interni, e solo arredi di design, a cominciare dal magnifico blocco cucina. Si può mangiare seduti al lume di candela o su alti sgabelli intorno al banco che abbraccia la cucina a vista, e che è l’officina-palcoscenico dove opera la numerosa brigata di giovani chef, che
lavora in sintonia, coordinata secondo tempi sperimentati. Un’équipe super organizzata che ogni sera interpreta il suo ruolo e manda in scena lo spettacolo. Gli ordini sono evasi con superba scioltezza, senza intralci, affanno o tempi morti; una pianificazione super collaudata permette di servire molti coperti quasi in contemporanea, e a fine serata il numero complessivo dei servizi effettuati è veramente significativo. Tutte le proposte del menu sono preparate in precedenza, al momento dell’ordine i piatti sono finiti e composti in tempi brevissimi. Il cibo è divertente, intrigante, intellettuale. I piatti sono grafici, cromatici, minimalisti, solo apparentemente semplici. Materie prime di qualità, erbe, verdure, frutti ma anche crostacei sono protagonisti e giocano abbinamenti insoliti. Servizio impeccabilmente assiduo.
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C’È UNA REGINA AL
DEN RØDE COTTAGE IN SELANDIA di
Elsa Mazzolini
Ha scelto la campagna e i boschi della Selandia, ad oltre un’ora a nord di Copenaghen, l’unica donna chef stellata della Danimarca. Anita Klemensen sentiva il bisogno di ritmi rilassati e di silenzio per costruire la propria idea di cucina, pertanto, scoperto un antico edificio appartenente alla guardia forestale – tanto piccolo da aver dovuto ricavare le cucine in un paio di container esterni – ne ha fatto il suo nido ospitale. Due stanze - una al pian terreno e una al piano superiore - possono accogliere
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una ventina di ospiti, serviti con le belle porcellane della Royal Copenaghen. Nella buona stagione gli spazi esterni diventano una risorsa importante, così come il giardino delle erbe, elemento essenziale di tutti i suoi piatti.
DEN RØDE COTTAGE Strandvejen 550 2930 Klampenborg Tel. +45 39 90 46 14 www.denroedecottage.dk info@denroedecottage.dk
DANIMARCATRAVELFOOD RESTAURANT SLETTEN Gl. Strandvej 137 3050 Humlebæk Tel: +45 49 19 13 21 www. sletten.dk info@sletten.dk
IL MARE NEI PIATTI DEL RISTORANTE
SLETTEN di
Elsa Mazzolini
Il mare! E’ un incanto che aggiunge piacere al piacere della tavola pranzare sotto il sole nel dehors del ristorante Sletten, sul porticciolo dell’idilliaco borgo marinaro omonino. Nei piatti di buona fattura degustati - ostriche perle bianche servite in 3 varianti e salmone con formaggio affumicato, cetriolo e sesamo croccante - si avverte subito eleganza, capacità tecnica e sensibilità cromatica: il tocco sapiente è infatti quello dello chef stellato del Formel B di Copenaghen, Kristian Arpe-Møller, proprietario anche di questa struttura. Entrambi i ristoranti sono guidati dalla medesima filosofia: tutte le creazioni sono realizzate con ingredienti di primissima qualità e servite in piccoli piatti
curatissimi, in abbinamento all’ottima birra locale o a piacevolissimi vini francesi. Lo scorso maggio Kristian Arpe-Møller e Rune Amgild Jochumnsen hanno inaugurato anche il ristorante di tendenza Uformel. Lo chef Frederik Rudkjøbing, già sous-chef del Formel B, crea qui piatti semplici e naturali come l’agnello danese bio ai pomodori e verdure grigliate e il ceviche di rombo alle fragole verdi, finocchio grigliato e aglio marinato. Il sommelier Martin Iuel-Brockdorff Bek fa sì che Uformel sia sempre in grado di servire i migliori vini al calice e in bottiglia. Oltre ai vini è anche possibile traovare i cocktail del miglior barman danese, Hardeep Rehal.
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DRAGSHOLM SLOT UNA FULL IMMERSION NEL PASSATO E IN UNO SPLENDIDO PRESENTE di
Secondo la narrativa classica fiorita, è il caso di dirlo, attorno alla Nuova Cucina Nordica, i boschi scandinavi sono tutti un brulicare di cuochi che si alzano presto al mattino per raccogliere danzando felci e licheni freschi di rugiada, radici, fiori ed erbe spontanee, quasi fossero al supermercato del biologico. Ma il ventiquattrenne Christoffer Sørensen (nella pagina accanto in alto), biondo e diafano elfo che coordina la cucina del ristorante gourmet interno al magnifico castello Dragsholm Slot (le cucine sono
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Elsa Mazzolini
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due e sono dirette da Claus Henriksen, già vicedirettore del Noma), preferisce utilizzare soprattutto i prodotti di fattoria stagionali del Lammefijord e della regione dell’Odsherred, considerata il più importante geoparco della Danimarca. Da una tradzione agricola che prende avvio in maniera organica nella seconda metà del IXX secolo e dalle coltivazioni dei terreni che circondano il castello, nascono dunque i sapori di una cucina armoniosa, valorizzata, piatto dopo piatto, da una selezione accurata di vini soprattutto francesi. In un viaggio sensoriale di gran livello, abbiamo potuto degustare insalate da Søren Wiuff, crema di ostriche ed erbe del nostro giardino con Aligoté, Bouzeron 2011, La Maison Romane, Bourgogne; cappesante, cavolo a punta e salsa di mitili con Chardonnay/Sauvignon 2010, Domaine Labet, Jura; le nostre patate, nocciole tostate, erbe odorose e acetosa con Chardonnay, Meursault 2011, Domaine Michel Caillot, Bourgogne; lingua di vitello da Grambogård in Fyn con scorzonera e ortiche con Pinot Noir 2011, Gevrey-Chambertin, Anne et Sebastian Bidault, Bourgogne; asparagi bianchi grigliati, formaggio fresco fatto in casa con pane tostato con Sauvignon Blanc, Sancerre 2013, Domaine du Carrou, Loire; fragole da Havnsø con latte profumato al pino e asperula con S/A Gamay, “La Bulle Gamay”, P-U-R, Beaujolais; schiuma e sorbetto di yogurt con fiori con Riesling Auslese 2006, Stachelberg, Weingut Schloss Sommerhausen, Franken. Il Dragsholm Slot è il più antico castello della Danimarca, ubicato ad Horve. Originariamente era una fortezza medievale, nota per l’incarcerazione nei suoi sotterranei di Earl di Bothwell. Oggi il Castello, oltre ad essere uno dei migliori ristoranti della Danimarca, è un hotel con splendide camere dislocate nel corpo centrale e nelle scuderie di un tempo.
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IL TOCCO FEMMINILE DEL
RØRVIG KRO di
RØRVIG KRO Toldbodvej 55 4581 Rørvig Tel. +45 59 91 80 43 www.roervigkro.dk roervigkro@mail.dk
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Elsa Mazzolini
Tanja Holmgaard Nielsen, bionda, sorridente ed espansiva chef del rinomato ristorante Rørvig Kro, nel centro del piccolo paese omonimo e a due minuti a piedi dal porto, trae ispirazione dalla Francia e dall’Italia per cotruire la sua cucina generosa e solare. In questo modo la proposta gastronomica si arricchisce di nuovi contenuti, diventando più originale e leggermente discostata dai canoni più diffusi e comuni della New Nordic Cuisine. Sostenuta da una creatività misurata e ben gestita, ogni sua proposta sembra tuttavia ricondurre ad una matrice tradizionale fatta di ingredienti strettamente territoriali. Molto attento e premuroso il servizio espletato da gentili figure femminili nelle due sale luminose da 45 e 90 posti. Ampio il dehors utilizzato anche per matrimoni e compleanni.
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IL FUTURO DELLA CUCINA DANESE
NORDIC FOOD LAB di
Teresa Cremona
Roberto Fiore, isolano di Sardegna trapiantato in Danimarca, è un giovane chef animato da molti interessi e ideali e con lo spirito di cittadino del mondo. Roberto Fiore è il capo progetto del Nordic Food Lab, il laboratorio di ricerca nell’università di Analisi Sensoriale di Copenaghen, dove si studia il cibo e i suoi possibili futuri sviluppi. L’idea del Nordic Food Lab è nata nel 2008 nelle cucine del Noma dove all’epoca, Roberto era parte della brigata, da un’intuizione dello chef Renè Redzepi, La prima sede del laboratorio fu un battello ancorato in un canale in prossimità del ristorante. Ora il Food Nordic Lab è all’interno dell’Università, è sostenuto finanziariamente dal governo danese, e
fa ricerche indirizzate a sondare le potenzialità dei prodotti scandinavi per farli evolvere in nuove opportunità alimentari, ma fa anche ricerche motivate da fini etici, come la sperimentazione sul ‘tempe’, un fungo indonesiano che, messo a contatto con i fagioli, produce un enzima che fermenta e genera un prodotto che si sviluppa negli interstizi fra fagiolo e fagiolo. La nuova sostanza ha la con-
sistenza di una crema spessa e può facilmente essere lavorata per diventare simile ad una barretta energetica. L’équipe che lavora con Roberto Fiore è composta da tre membri operativi che provengono da paesi diversi e da alcuni stagisti di diverse nazioni - complessivamente una quindicina di persone. Ogni partecipante al progetto porta informazioni sulle tradizioni della propria cultura del cibo. Si studiano consistenze, forme di cottura, tecniche gastronomiche, e come nel caso del fungo tempe, si elaborano soluzioni utili a creare nuovi cibi a basso costo destinati soprattutto alle popolazioni più indigenti. Inoltre ci sono due progetti finanziati, il primo è sugli insetti, probabile fonte di cibo nel futuro; il secondo riguarda lo studio dei comportamenti alimentari degli adolescenti, le loro scelte ed il loro approccio al cibo.
Ma la ricerca del Nordic Food Lab è anche indirizzata a trovare cibi alternativi che abbiano potenzialità di ritorno economico, ne è un esempio l’ Anty Gin, nato da una joint venture tra il Food Lab e la Cambridge Distillery, una delle più note e raffinate distillerie del mondo. Per produrre Anty Gin sono servite più di 6ooo formiche rufa (specie che ha il suo habitat nel sottobosco delle conifere) ed il risultato è un gin ottimo (lo abbiamo assaggiato), molto apprezzato dagli intenditori e venduto ad un costo più che significativo. Anty Gin è distillato a bassa temperatura proprio per esaltare le caratteristiche dell’acido formico prodotto dalle formiche che ha caratteristiche antisettiche e che a seconda della specie, può avere sapore di bergamotto, di lime, di limone, e comunque sempre di agrumi. Il suo gusto è gradevole e in futuro potrebbe essere un’alternativa laddove gli agrumi non sono coltivati o coltivabili. Tutto questo e molto di più ci è stato raccontato, spiegato con entusiasmo, partecipazione, intelligente passione da Roberto in una pausa del suo lavoro. NORDIC FOOD LAB Rolighedsvej 30 1958 Frederiksberg C http://nordicfoodlab.org
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L’ESPANSIONE DEI
MICROBIRRIFICI In un Paese famoso in tutto il mondo per la sua birra, incontriamo Anders Kleinstrup, managing director del microbirrificio Nørrebro Bryghus. Al Nørrebro Bryghus, ospitato in una fabbrica riadattata risalente al 1857, si può gustare la moderna brasserie nordica con un’ampia selezione di birre, prodotte a vista direttamente nel locale. Il micro-birrificio è stato fondato dal mastro birraio Anders Kissmeyer che ha lavorato alla Carlsberg per 16 anni. Nell’aprile 2008 Nørrebro Bryghus ha vinto le prime due medaglie al World Beer Cup di San Diego, California, e nel 2010 si sono aggiudicati due medaglie d’oro e una medaglia d’argento
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alla World Beer Cup a Chicago, Illinois. Una competizione che è considerata le Olimpiadi della birra, con più di 3.330 birre in gara da 642 birrifici e da 44 diversi paesi. Nel 2009 il Nørrebro Bryghus ha lanciato della prima birra CO2 neutrale della Danimarca, la “Global Ale”, comprando le quote di CO2 corrispondenti all’inquinamento derivante dalla produzione di Global Ale.
NØRREBRO BRYGHUS Ryesgade 3 2200 Copenaghen N www.noerrebrobryghus.dk
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C’È DEL VINO IN DANIMARCA di
Elsa Mazzolini
Lo scenografico Odsherred, con il suo clima mite e l’influenza del mare, rappresenta il luogo ideale per la coltivazione della vite, tanto che oggi i produttori in Danimarca sono un centinaio. Tra questi, i proprietari dei vigneti Ørnberg, Niels Esbjerg and Anders Ørnberg, che hanno iniziato il loro ambizioso progetto nel 2007 con l’intento di produrre “vini di qualità dal gusto nordico”. Nel 2014 sono stati selezionati come “vigneto dell’anno” vincendo il primo premio per i loro vini bianco, rosé e dolce. Nei 3 ettari di terreno sabbioso gessoso ricoperto di erba spontanea e con
viti ad alberello, i due fratelli non utilizzano concimi chimici. Da una vendemmia che dura dai primi di settembre fino a metà ottobre, ricavano circa 12.000 bottiglie, vendute ad un prezzo di cantina che varia dai 20 euro dell’Ørnberg base fino ai 120 euro dello sparkling.
ØRNBERG VIN Drusbjergvej 2 4583 Sjællands Odde Tel. +45 24 48 84 68 www.oernberg-vin.dk
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INTERVISTA A...
A MANHATTAN
JACK DELL
È IL PROPRIETARIO DI “KATZ’S”, DELI FOOD EBRAICO di
Lucy Gordan
Fondato nel 1888 dai Fratelli Iceland, “Katz’s” si trova al 205 di Houston Street, nel Quartiere Lower Eastside di Manhattan. È il delikatessen ebraico, ma non kascher, più vecchio di New York. Con l’arrivo di Willy Katz, nel 1903, il suo nome diventa “Iceland and Katz”. Poi, nel 1910, quando Willy è raggiunto da suo cugino Benny e insieme comprano le quote dei fratelli Iceland, il suo nome è stato cambiato in “Katz’s” per sempre. Il cam-
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biamento più recente risale al 1988, l’anno del suo 100° anniversario, quando la famiglia Katz, non avendo eredi, decide di vendere il locale a Martin Dell, a suo figlio Alan e a suo genero Fred Austin. Nel maggio scorso Lucy Gordan, nativa di Manhattan e nostra inviata speciale, si è recata al “Katz’s” per parlare con Jake Dell, figlio di Alan, che ufficialmente è entrato in amministrazione nel 2009 e che adesso dirige il ristorante.
KATZ’S DELICATESSEN 205 E Houston St, New York Stati Uniti Tel. +1 212-254-2246 www.katzsdelicatessen.com
L ’ I N T E R V I S T A La sua è la quarta famiglia proprietaria di “Katz’s” e lei fa parte della terza generazione della sua famiglia a gestirlo. Suo nonno Martin era un piccolo ristoratore e suo padre uno chef: ci parli di loro. Mio nonno Martin è nato e cresciuto qui nel Lower Eastside di Manhattan. All’inizio del Novecento questo era il quartiere di milioni d’immigrati appena arrivati, per la maggioranza italiani o ebrei dell’Est Europa. Presto “Katz’s” è diventato il loro luogo d’incontro. Ogni venerdì gli immigrati ebrei si riunivano per mangiare wurstel con fagioli, diventati presto uno dei piatti pilastro del locale. Da giovane mio nonno ha cambiato spesso lavoro, mettendo da parte abbastanza soldi da poter comprare un bar e diventare benestante. Lui era il tipico esempio del cosiddetto “sogno americano”.
In breve tempo ha fatto parecchi soldi ed è diventato socio di “Katz’s” negli anni ’80. All’epoca il quartiere era caduto molto in basso: qui non veniva più nessuno. Lui e mio padre Alan hanno realizzato un miracolo per arrivare al successo di cui godiamo adesso. Durante gli anni, come avete modificato il menù? Quali piatti nuovi ha aggiunto ciascuno di voi? Che cosa non modificarebbe mai? Nessuno di noi ha apportato grossi cambiamenti. I nostri clienti amano il nostro pastrami, il resto del menù, le nostre tradizioni e tornano spesso proprio perché non ci sono cambiamenti, per ritrovare quella familiarità che conoscono. Mio padre ha aggiunto solo il “reuben”: i clienti lo associano ad un sandwich tipico dei “deli” (il nostro delicatessen o
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INTERVISTA A...
deli food, come scrivono le guide americane, n.d.r.), perciò lo offriamo. Può spiegare ai nostri lettori la differenza tra pastrami e corned beef? Come si preparano? Corned beef è il taglio “brisket” dalla spalla della mucca, messo sotto aceto per quattro settimane. Pastrami è il taglio “ombelico”, dallo stomaco della mucca, ed è affumicato. Il pastrami sembra nero all’esterno per il sale, pepe, coriandolo e aglio, aromi che si sono amalgamati e sedimentati durante l’affumicatura. Le due differenze principali tra corned beef e pastrami si ravvisano proprio nei diversi tagli della carne e per l’affumicatura del Pastrami. Comunque tutte e due le carni sono prima bollite, poi cotte a vapore, e tradizionalmente tagliate a mano. Poi a Katz’s entrambe sono messe sotto salamoia per 30 giorni, senza additivi. La corned beef commercialmente preparata è invece “pompata” con additivi per essere pronta in 36 ore.
Il suo piatto preferito sul menù di “Katz’s”? Pastrami. Il piatto preferito dal pubblico sul menù di “Katz’s”? Senza dubbio il panino di pastrami con il pane di segale. Anche il nostro “reuben” va per la maggiore, ma siccome contiene sia carne, sia formaggio, tecnicamente non è un panino canonico per un “deli” ebraico. Ogni settimana noi serviamo circa 7.000 chili di pastrami, circa 4.000 chili di corned beef, circa 1.000 chili di salami, e circa 2.000 chili di hot dogs.
Come spiega la rinascita della moda dei delicatessen? Com’è diverso il pastrami di “Katz’s” da quello dei deli nuovi o dei suoi competitori tradizionali come “Zabars”, “Arties”, o “Barney’s Greengrass”, per citarne soltanto alcuni? Solo il nostro pastrami è quello autentico. I nuovi “deli” sono favolosi, da ammirare, ma ormai molte persone, soprattutto i non newyorkesi, non conoscono i “deli” e i cibi ebrei tradizionali; i nuovi deli servono però a far conoscere il concetto. Ciononostante, noi qui a “Katz’s” siamo unici: nessun altro sa preparare le carni come noi. Noi siamo i veri professionisti. Da dove vengono i suoi clienti? La maggioranza è ebrea? Vengono da tutto il mondo e praticano tutte le religioni, non sono solo ebrei. Durante la settimana, a pranzo, la maggioranza dei nostri clienti è fatta di turisti; la sera la maggioranza è newyorkese. Durante i fine settimana, d’estate e a Natale, di nuovo la maggioranza è turistica. Presumo che “Katz’s” sia chiuso nei giorni festivi ebraici. No, siamo aperti 365 giorni all’anno e non accettiamo prenotazioni se non per feste private. Il nostro sito è www. katzsdelicatessen.com. Quale percentuale dello staff è ebreo? Quasi inesistente. La nostra filosofia è di dare lavoro a chi abita qui vicino e al momento la maggioranza degli abitanti di questo quartiere non è più ebrea. Le mura del ristorante sono ricoperte da fotografie di VIP che hanno mangiato qui; mi può elencare qualche nome? Dipende quale argomento le interessa: la politica, lo sport, la moda, o il mondo dei divertimenti come cinema o teatro. Per
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JACKDELL
esempio, sei presidenti americani hanno mangiato qui, tra cui Jimmy Carter, Bush Senior, Clinton… Tra i tanti attori mi ricordo Leonardo Di Caprio e Richard Gere. Molti episodi cinematografici sono stati girati qui. Il più famoso è il falso orgasmo di Meg Ryan nella famosa commedia romantica “When Harry Meets Sally” seguito dal commento ironico di Estelle Reiner: “Lo stesso per me, grazie.” Abbiamo indicato il tavolo di Ryan e Bill con un cartoncino che dice: “Dove Harry ha incontrato Sally…speriamo che vogliate la stessa cosa di cui lei ha goduto…” Altre incursioni cinematografiche sono state fatte nel film francese New York (2012), Mary and Max(2009), Attraverso L’Universo (2007), Incantato (2007), Siamo Padroni della Notte (2007), e Donnie Brasco (1997). Le qualità essenziali per essere un ristoratore top? Lavorare sodo ed avere fiuto per gli affari. L’aspetto del suo lavoro che ama di più? Amo essere in mezzo alla gente ed ascoltare i loro ricordi di questo posto. Sono tanti tanti racconti perché tanta gente ha un forte legame emotivo con “Katz’s” e ritorna spesso. Di meno? Combattere con la burocrazia municipale, statale e federale: è uno stress mici-
diale. Poi fare i lavori d’ufficio, soprattutto calcolare le tasse. A soli 27 anni non è troppo giovane per gestire “Katz’s”? Qual è la sua sfida più impegnativa? Non credo che le sfide dipendano dall’età. Essere imprenditore di successo è sempre una sfida. Ogni giorno c’è qualcosa che non va, qualcosa che devi modificare o aggiustare. Molte sfide non sono prevedibili. L’episodio più negativo che le è capitato da quando è al comando? I due uragani pazzeschi, soprattutto Sandy, le numerose mancanze di corrente elettrica, la rottura di una tubatura dell’acqua sotto la strada che ha versato un metro di fango nella nostra cantina. Che divertimento!
stra le loro opere. Gli artisti dovevano o abitare, o mantenere uno studio qui vicino: il requisito per aderire a quest’occasione fu avere un legame significativo con il Lower Eastside. L’iniziativa aiutò molti artisti a farsi conoscere, stabilire dei contatti con gallerie apprezzate, e poi decollare. Ci siamo divertiti tutti! Ho venduto gli “air rights” perché non costruirò mai un palazzo sopra “Katz’s”. Nel contratto è stabilito che neanche eventuali compratori possono costruire sopra “Katz’s”. Costruiranno un palazzo di quattro piani accanto a “Katz’s”, ma né loro né io possiamo costruire qui sopra. Ho venduto per proteggermi, proteggere il locale, e per proteggere i miei discendenti. Nessuno potrà modificare il nostro aspetto, mai...
Non ha modificato né il menù, né l’arredamento, ma due anni fa ha aperto una galleria d’arte qui accanto e l’anno scorso ha venduto i suoi “air rights”... Perché? Sì, era concepita come una galleria pop-up o temporanea per festeggiare il nostro 125esimo anniversario. Come ben sa, un anniversario dura un anno, cioè poco. La galleria era uno spazio geniale dove artisti locali potevano mettere in mo-
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INTERVISTA A...
La città che ama di più, dopo New York naturalmente? Londra. Mi ricorda New York. Ambedue le città sono piene di vita e cosmopolite. Anche Parigi è cosmopolita e magnificamente romantica, ma credo di amare Londra un po’ più di Parigi forse perché parlo la lingua. Scommetterei che, se parlassi il francese, mi piacerebbe più Parigi di Londra. È mai venuto in Italia, dove abito io? Sì, l’Italia è uno dei miei Paesi preferiti, per le sue opere d’arte e per la sua enogastronomia. Sono stato a Roma, Firenze, in giro per la Toscana, Venezia, e Milano. La mia città preferita è Firenze perché è a misura d’uomo ed è stracolma di cultura, d’altronde come tutta l’Italia. Per me il posto più bello d’Italia è il Lago di Como. Gli chef sono conosciuti per avere delle collezioni di macchine veloci, motocicli, o orologi; lei? Gli chefs sono anche conosciuti per essere un po’ pazzi. Non ho ancora una collezione, se non di T-shirts di “Katz’s”.
Se lei non fosse diventato un ristoratore, quale professione avrebbe scelto? Medico. Ero già iscritto alla facoltà di medicina. Però non riuscivo a staccarmi da qui. Quanto amo questo posto! Non avrei mai immaginato di innamorarmi del lavoro. Poi ho pensato: “Ma perché non dovrei continuare sulle orme di mio nonno e mio padre, e fare invece il medico? Sono passati sei anni dalla scelta di allora. E sono felice di averla fatta. Solitamente uno non si sveglia la mattina contento di andare a lavoro. Io, sì.
Per sapere ancora di più su “Katz’s, leggete Katz’s: An Autobiography of a Delicatessen, pubblicato durante le festività per il 125esimo anniversario del locale (Jake Dell ha scritto il testo). Le circa 600 foto sono di Baldomero Fernandez (384 pagine). Si può comprare alla cassa di “Katz’s” insieme a mugs, candele e T-shirts o da Amazon. Prezzo: $23.99.
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Una sua giornata tipica? Faccio tutto ciò che c’è da fare. Lo staff è composto da 130 persone; i clienti affamati sono diverse centinaia. Io pago i conti e gli stipendi; organizzo il piano di lavoro e gli orari dello staff. Poi amo andare di tavolo in tavolo per parlare con i nostri clienti; faccio delle interviste con giornalisti come sto facendo con lei adesso. Sto dove servo. Conserva un sogno nel cassetto per il futuro? Abbiamo iniziato a spedire i nostri piatti fuori New York, per adesso soltanto negli Stati Uniti, ma io spero di spedirli dappertutto, in tutto il mondo. Perché no? Israele sarà la sua prima destinazione? No, Londra, il Regno Unito, L’Australia. È molto più facile fare delle spedizioni che aprire un altro “Katz’s”. Ma c’è un precedente: durante la Seconda Guerra Mondiale i proprietari di allora, Lenny Katz e Izzy Tarowsky, ambedue con un figlio nell’esercito all’estero, inventarono la pubblicità: “Manda un salame a tuo figlio nell’esercito”. Ancora oggi sosteniamo i ragazzi del nostro esercito: abbiamo un indirizzo speciale internazionale per spedire pacchi ai nostri soldati all’estero. Spesso mandiamo dei pacchiregalo ai nostri ragazzi di stanza in Afghanistan o in Iraq.
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IL MONDO CREATIVO
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ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM
a cura di
Alessandro Rossi esperto di vino, bon vivant, fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”
I COSTI DEL VINO E L’IMPORTANZA DELL’ANNATA Partiamo da un dato, per così dire, scientifico: ricerche universitarie hanno dimostrato che una bottiglia di vino Docg prodotto in una regione italiana di pregio con almeno due anni di maturazione (tra legno e bottiglia) non costa meno di 5 € al produttore. Cifra che nasce principalmente dal costo del lavoro in vigna, dalle attrezzature e dal personale di cantina, nonché dalla confezione. E questa è la cifra di base. Se poi si lavora una vigna con rese particolarmente basse, se si usano legni costosi per l’affinamento, se si chiamano consulenti stellari, se si usano tappi da 6 centimetri ed etichette d’artista, ovviamente la cifra può essere molto diversa, andando facilmente a raggiungere i 15 €. Se poi il produttore organizza viaggi e cene di presentazione, partecipa a fiere per il mondo, compra pagine di pubblicità sulle riviste enologiche patinate e si costruisce una cantina multimilionaria, ecco che la cifra può ulteriormente salire. A volte si sente domandare: “Ma se i costi sono questi, allora come si spiegano quei vini che escono dalla cantina a prezzi vicini a 100 € o più, in Italia come in Borgogna come in California?”. Qui il discorso è diverso, perché in certi casi si paga il mito, la rarità (si vedano anche i Vins de Garage), l’esclusività. Per chiarire l’idea sono utili le parole, che cerchiamo di riportare in modo testuale, di un celebre produttore italiano, il quale ha pubblicamente e freddamente sostenuto che “se a livello internazionale ci sono appassionati, collezionisti e ricchi generici che vogliono permettersi bottiglie esclusive, è giusto che il mercato gliele offra; e tra le 200 etichette al mondo che possono permettersi questi costi, voglio metterne anch’io qualcuna delle mie”. Nel fronte opposto, è sicuramente possibile che vini ricavati da zone non molto famose, con vigne decisamente produttive e pochi costi di cantina riescano a costare anche meno di 5 €. L’esempio più classico è quello delle cantine sociali, le quali,
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pagando pochissimo le uve ai loro soci, riescono a vendere vino (sia sfuso ai grandi imbottigliatori sia in bottiglia con propria etichetta) a prezzi decisamente più bassi: purtroppo però sono ancora poche le aziende cooperative ad aver messo in pratica seri progetti-qualità. Ma spostiamoci verso l’aspetto qualitativo del vino. Quanto conta l’annata per un vino? Tantissimo, non certamente per determinare se un vino è buono o cattivo come molti pensano, ma sicuramente per distinguere le eccellenze che, grazie ad un buon andamento meteorologico, possono essere prodotte solo nelle migliori annate. Tutti sanno che il millesimo di produzione è uno dei fattori fondamentali per determinare la qualità di un vino e spesso e volentieri, se parliamo di grandi vini, l’elemento annata è considerato un fattore fondamentale per determinare il valore reale di una bottiglia, soprattutto quando si parla di etichette molto costose. In realtà – pur nell’ambito della stessa azienda – vi sono altre componenti specifiche da prendere in considerazione (grandinate, reimpianto dei vigneti, cambi di proprietà o di enologo, ecc.). L’annata, comunque, stabilisce per molti vini anche il loro prezzo ed è proprio per questo che alla fine di ogni vendemmia vengono analizzate e valutate separatamente le varie zone di produzione. Infatti non è detto che una buona annata in Piemonte lo sia per forza anche in Toscana, e non è detto che una felice vendemmia per il Chianti lo sia per forza anche per il Brunello di Montalcino, nonostante la stretta vicinanza geografica. Oltre il fattore meteorologico non bisogna trascurare gli aspetti tecnici di vigna e cantina. Infatti, grandi annate possono diventare ancora più grandi, come piccoli millesimi possono migliorare, se in cantina le uve sono accolte da un bravo cantiniere. Quando l’annata non è proprio clemente nei vigneti, la cura enologica
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è capace di compiere veri e propri salvataggi, tanto da rendere i vini accettabili anche nelle vendemmie più avverse. Va anche ricordata la serietà di molti produttori che, consapevoli delle non esaltanti condizioni meteorologiche di un’annata, preferiscono non commercializzare i propri vini oppure riducono di molto i quantitativi tramite una severa selezione delle uve oppure, ancora, decidono di venderli come prodotti più modesti, anche nel prezzo. L’elemento da non dimenticare è che, nelle annate mediocri, una sicurezza è rappresenta dai produttori affermati e affidabili, mentre nelle annate migliori anche i produttori meno noti o famosi possono regalare valide sorprese. Le grandi annate, dicevamo, permettono ad un vino di sfidare le curve del tempo e accrescere durante gli anni il proprio valore economico. Avviso per gli appassionati: i prezzi che seguono sono riferiti a vini introvabili, e spesso ormai sicuramente anche imbevibili (nel senso che sono giunti a fine corsa), per cui non è il caso di preoccuparsi. Saranno i miliardari americani, cinesi e russi a poter continuare a far crescere i prezzi di queste siderali bottiglie nelle aste di tutto il mondo e, se berranno quelle con più di 100 anni, mal gliene incoglierà. Solo a titolo di curiosità, per parecchi anni la bottiglia più cara è rimasta uno Château Lafite del 1887 appartenuta al terzo presidente statunitense, Thomas Jefferson, battuta per 160.000 $. Ma adesso è stata sopravanzata da un vino della stessa casa, che a Hong Kong è stato pagato 170.000 € nella versione 1869. Come spesa assoluta per un pezzo lo scettro spetta però allo Château Cheval Blanc 1947, che è arrivato a 304.000 $, ma si trattava di un formato Imperiale, corrispondente a 6 litri e quindi a 8 bottiglie. Al di fuori delle aste e passando ai vini d’annata, di norma l’etichetta più costosa rimane il Grand Cru RomanéeConti dell’omonimo Domaine borgognone, che per inciso adotta da parecchi anni la coltivazione biodinamica. Seguono i grandi classici di Bordeaux, con Petrus e Lafite in testa, e qualche raro californiano. Per l’Italia invece, sempre in relazione a bottiglie da 0,75 litri appena immesse sul mercato, dominano, pur con qualche inevitabile variabilità della cifra indicata dovuta al locale in cui la si trova, l’Amarone Vigneto di Monte Lodoletta di Romano Dal Forno (280 €), il Masseto della Tenuta dell’Ornellaia (330) e i Langhe Nebbiolo – Sorì Tildin, Sorì San Lorenzo e Costa Russi – di Gaja (sui 300 €). Ma non bisogna dimenticare che, sfogliando le guide enologiche, noi comuni mortali possiamo comunque trovare in qualsivoglia enoteca bottiglie premiatissime e validissime a meno di 50 €, spesso addirittura a un decimo di quelle cifre. Ecco la tabella delle recenti vendemmie ritenute migliori, da buona parte della stampa specializzata, nelle più importanti regioni viticole d’Italia e del mondo. Tenendo presenti due importanti consigli. Il primo è del grandissimo enologo Émile Peyanud, che suggeriva di stappare i grandi rossi solo dopo un
minimo di 9 anni dalla vendemmia, in modo da gustarli quando hanno almeno iniziato la fase di terziarizzazione, quella in cui si sviluppano gli aromi più seducenti grazie alla maturazione avvenuta in bottiglia. Lo stesso periodo di affinamento si potrebbe utilizzare per gli Chardonnay di Borgogna, ma diciamo che, in linea di massima, per i grandi bianchi si può iniziare dopo 3 o 4 anni dal millesimo indicato in etichetta. L’altro consiglio è nostro ed è relativo alla longevità massima. È ovvio che è difficile indicare con esattezza il momento in cui un vino passa dalla fase di ottimale espressività ed equilibrio a quella della decadenza ma, razionalmente, si può ritenere che, parlando di grandi annate e di grandi produttori, il massimo per essere certi di provare piacere sia: 30 anni per il Bordeaux, 25 anni per il Barolo e per il Syrah del Rodano, 20 anni per Barbaresco e Brunello di Montalcino, 15 anni per il Pinot Noir di Borgogna e per il Chianti Classico, 20 anni per i migliori Cabernet Sauvignon della California e Shiraz d’Australia. Si tratta ovviamente di indicazioni soggettive, infatti in molti abbiamo assaggiato un grande Barolo di 40 anni o un perfetto Bordeaux di 50 o un ammaliante Verdicchio di 20, ma bisogna sempre ricordare che ogni anno che passa porta con sé rischi legati all’ambiente di conservazione, al tappo e a una seppur lievissima evaporazione del vino. In questo senso vi è l’illuminante esempio di Biondi Santi, che periodicamente provvede alla ricolmatura delle bottiglie di Brunello di Montalcino Riserva che abbiano più di vent’anni. Con un unico problema per il cliente: qualora il vino risulti qualitativamente compromesso a causa di una cattiva conservazione, la bottiglia verrà scartata.
LE GRANDI ANNATE Australia, Shiraz: 2010, 2009, 2005, 2001, 2000; California, Cabernet e Merlot: 2011, 2009; Francia, Champagne: 2009, 2008, 2006, 2004, 2002; Francia, Borgogna, Pinot Noir: 2010, 2009, 2008, 2005, 2002, 1999; Francia, Borgogna, Chardonnay: 2010, 2008, 2006, 2005, 2002, 2001; Francia, Rodano, Syrah e Grenache: 2010, 2009, 2006, 2001, 1999; Francia, Bordeaux, Cabernet e Merlot: 2010, 2009, 2008, 2005, 2000, 1995; Francia, Alsazia, Bianchi: 2010, 2009, 2008, 2005, 2000, 1998, 1996; Nuova Zelanda, Sauvignon e Chardonnay: 2010, 2009; Germania, Riesling: 2011, 2007, 2005, 2001, 1999; Italia, Piemonte, Nebbiolo: 2009, 2008, 2006, 2004, 2001, 1999, 1996; Italia, Toscana, Sangiovese: 2007, 2006, 2004, 2001, 1999, 1995; Italia, Friuli e Veneto, Bianchi e Soave: 2009, 2006, 2004; Italia, Alto Adige, Bianchi: 2010, 2004, 2002; Italia, Veneto, Amarone: 2007, 2004, 2001, 1995; Italia, Taurasi e Aglianico del Vulture: 2008, 2005, 2001, 1999; Italia, Marche, Verdicchio: 2010, 2006, 2004.
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VINARIA
PIOGGIA DI MEDAGLIE D’ORO AI VINI BIOLOGICI E VEGANI DELL’AZIENDA
SAN GIOVANNI DI OFFIDA, NELLE MARCHE di
Filippo Fabbri
Un oro e tre argenti. Il campione in questione non è uno sportivo, bensì una Cantina che ha fatto del biologico il suo quotidiano. Una scelta di qualità, quella dell’Azienda Agrobiologica San Giovanni di Offida, premiata a Lisbona nella XIV edizione del Concorso Enologico Internazionale “Selezione del Sindaco”. Ben quattro i vini premiati su un campione di 1200 referenze in gara, con il Kiara Offida Docg Pecorino 2014 nel gradino più alto del podio, motivo d’orgoglio per l’intero territorio visto che il vino è prodotto da un vitigno autoctono dell’area picena. Non da meno le tre medaglie d’argento arrivate con il Marta Brut, Marche Igt Passerina 2014 e Zagros Offida Docg Pecorino 2012. Non è la prima volta che questi vini conquistano la ribalta internazionale. Già nel gennaio scorso un’altra attestazione era arrivata al ‘Millesime Bio’, il Salone Mondiale del vino da agricoltura biologica di Montpellier, dove sempre la Cantina di Offida aveva conquistato l’intero podio del concorso.
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L’oro, l’argento e il bronzo nel medagliere erano stati centrati dallo Zagros Offida Pecorino 2012, Marta Marche Passerina 2013 e Leo Guelfus Rosso Piceno Superiore 2010. Insomma se in Francia si era calato il tris, in Portogallo è arrivato il poker, a dimostrazione dell’attenzione dell’azienda per le produzioni autoctone marchigiane testimoniata anche dallo studio di zonazione della doc Offida realizzato in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano allo scopo di ottimizzare il rapporto tra vite e ambiente, nonché valorizzare le potenzialità genetiche dei vitigni in un determinato territorio. Dunque, la scelta del biologico paga. Con l’aggiunta, per l’Agrobiologica San Giovanni, della certificazione vegana. Dall’annata 2014 i suoi vini sono stati certificati con il marchio “Qualità Vegetariana Vegan” dal CSQA quale Ente certificatore.
SANGIOVANNI
La crescente sensibilità del pubblico verso un’alimentazione salutare ed ecosostenibile, ha infatti portato l’Azienda San Giovanni a non utilizzare più, sia nei terreni che nei processi di produzione del vino, prodotti di origine animale, ma solo componenti di origine vegetale. Una scelta ‘secondo natura’, puntando decisamente alla valorizzazione dei vitigni del territorio. Nata nel 1990 da una lunga tradizione familiare, l’Agrobiologica San Giovanni si dipana nei 30 ettari di vigneto su un’altitudine media di 320 mt. s.l.m, fra le colline del Piceno, nel comune della medievale Offida, borgo celebre per l’arte del merletto a tombolo e sede dell’Enoteca Regionale delle Marche. Sui vitigni di Passerina, Pecorino, Trebbiano, Montepulciano e Sangiovese coltivati su terreni argillosi ed esposti al microclima delle vicine coste adriatiche, si basa la produzione dell’Azienda San Giovanni.
AZIENDA AGROBIOLOGICA SAN GIOVANNI Contrada Ciafone, 41 - 63035 Offida (AP) Tel. +39 0736 889032 - Fax +39 0735 488011 www.vinisangiovanni.it - info@vinisangiovanni.it
LA GAMMA COMPLETA DEI VINI Nella pagina a fianco, il Kiara Offida Docg Pecorino 2014, medaglia d’oro al Concorso Enologico Nazionale “Selezione del Sindaco”, qui sopra i vigneti dell’Azienda Agrobiologica San Giovanni a Offida e, sotto, la gamma completa dei vini dell’azienda, comprensiva della più economica linea Gyo.
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VINARIA
ALL’AGRITURISMO
AL ROCOL DI OME
PER SCOPRIRE I SEGRETI DEL FRANCIACORTA
di
Gianni Di Lorenzo
Nessuna rete commerciale, ma solo vendita diretta al consumatore dei vini, di nicchia e di alta qualità, dell’azienda. Visite guidate con degustazioni, corsi di cucina e Sparkling Pic Nic. Si pernotta in antichi rustici fra le vigne, si gustano i piatti della tradizione preparati con i prodotti dell’azienda. E, da quest’autunno, si fa Wine Trekking fra le vigne della tenuta. “Vieni da noi e scopri il Franciacorta e la Franciacorta!” Questo l’invito che la famiglia Vimercati Castellini, proprietaria della cantina Al Rocol di Ome (Bs), fa agli enoturisti, a chi ama la natura e la campagna, le buone cose della tavola, le attività e gli sport all’aria aperta. Al Rocol si trova nel cuore di una delle regioni vitivinicole più famose d’Italia, la Franciacorta. Una tenuta di 34 ettari, in cui le vigne coltivate su terrazzamenti ben esposti al sole si alternano all’uliveto e al bosco di querce, castagni, robinie secolari, dove sono tracciati itinerari per passeggiate a piedi e in sella alla mountain- bike, che conducono fino all’antico roccolo di caccia che le dà il nome. Dismesso il suo antico utilizzo,
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oggi il roccolo è una straordinaria architettura vegetale, con querce secolari i cui rami si intrecciano gli uni negli altri, con una fantastica vista sui pendii della Franciacorta. A condurre la tenuta, dove è stato aperto fin dal 1996 uno dei primi agriturismo franciacortini, è Gianluigi Vimercati Castellini, attuale Presidente dell’Agriturist Lombardia. Con lui, la sorella Francesca, il padre Giovanni che si occupa della cantina e la mamma Daniela, straordinaria cuoca a cui è affidata la cucina. E sono proprio loro ad accogliere gli ospiti e a condurli, passo dopo passo, alla scoperta di come si produce il più pregiato vino italiano fermentato in bottiglia, il noto Franciacorta che porta il nome del
ALROCOL
territorio da cui nasce. La produzione di vini di alta qualità (circa 60.000 bottiglie all’anno) rappresenta infatti l’attività principale de Al Rocol, che utilizza uve proprie, tradizionalmente coltivate su spettacolari terrazzamenti in collina, per produrre pregiati Franciacorta, a cui si affiancano corposi Curtefranca Rosso e profumati Curtefanca Bianco. Li si può degustare e acquistare solo in azienda perché, racconta Gianluigi Vimercati Castellini, “per scelta abbiamo deciso di non vendere nella rete commerciale, ma
La cantina è sempre aperta per visite guidate, che si concludono nella Sala degustazioni, dove si assaggiano le varie tipologie di vini, accompagnati da sfiziosità e prodotti tipici del territorio franciacortino. Nell’Enoteca annessa alla cantina (aperta tutti i giorni della settimana) si possono acquistare anche gli altri prodotti dell’agriturismo, fra cui Olio extra-vergine d’oliva IGP Sebino, dal gusto delicato e armonico e dalla bassissima acidità, che si ottiene dalla raccolta precoce delle olive del solo territorio di Ome,
solo direttamente al cliente finale. Riteniamo infatti importante il contatto diretto fra noi che produciamo i vini e chi sceglie di gustarli. E, altrettanto importante, il fatto di dare ai nostri consumatori la possibilità di vedere come nascono i vini che acquistano e di conoscerne in prima persona l’intera filiera.” “E poi – continua- la nostra terra, per cui vino&turismo sono un binomio sempre più indissolubile: ci teniamo che la gente arrivi in Franciacorta, la scopra anche tramite noi. Di solito, chi ci viene una volta ci torna: nel nostro agriturismo abbiamo ospiti, soprattutto stranieri (dai tedeschi agli svedesi) che tornano da anni. Idem per i vini, che la gente – una volta stata qui – ci ordina comodamente online da casa.”
la Grappa di Chardonnay distillata dalle vinacce del Franciacorta Brut Ca del Luf Millesimato, le marmellate, i mieli naturali di acacia, castagno, millefiori, l’aceto di vino. “Vogliamo far riscoprire a chi arriva fin da noi la genuinità e l’autenticità di un mondo rurale ormai dimenticato” dice Gianluigi Vimercati. Una riscoperta che conduce dalla vigna alla cantina, dall’orto alla tavola. Seguendo le antiche ricette di famiglia, sua madre Daniela affiancata dallo chef Fabio Orizio, cucina piatti stagionali della tradizione bresciana e franciacortina, valorizzando i prodotti dell’orto e della fattoria: casonsèi (ravioli) ripieni di carne o insaporiti con il Bagòss, pregiato formaggio proveniente delle vicine montagne, taglia-
AL ROCOL Via Provinciale, 79 - Ome (BS) Tel. e Fax 030.6852542 www.alrocol.com - info@alrocol.com
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VINARIA
telle tirate a mano con funghi nostrani, gnocchi di patate o zucca, zuppe di verdure dell’orto, manzo all’olio con le verdure, brasato al vino rosso, fragranti crostate con marmellate fatta in casa o frutta fresca. Ed è sempre lei a tenere corsi di cucina, apprezzatissimi anche dagli ospiti stranieri. E per chi ha un po’ di tempo da regalarsi, niente di meglio che fermarsi a pernottare in agriturismo, che mette a disposizione degli ospiti anche delle mountain bike. Nel corpo centrale della tenuta e in un vecchio rustico ristrutturato in mezzo ai vigneti sono state ricavate 15 camere e vari appartamenti, arredati in stile country, mixando armoniosamente mobili antichi con pezzi moderni e lineari. Fra vigne e bosco, è stata realizzata una piscina, nel verde del prato e, poco lontano, piazzole di sosta attrezzate di tutto punto per accolgliere i camper. Per far riscoprire anche ai più piccoli l’autenticità della vita in campagna e i valori della tradizione contadina millenaria, è stata infine creata una fattoria didattica: si possono così accarezzare gli asinelli e le caprette, prendere le uova dal pollaio, raccogliere le verdure nell’orto, esplorare il frutteto e il vigneto.
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Con la bella stagione, l’Azienda Al Rocol di Ome apre le porte della sua tenuta a chi vuole trascorrere una rilassante e ritemprante giornata nel verde di bosco e vigneti, apprezzando il silenzio e la natura. “Abbiamo pensato di abbinare escursioni fra boschi e vigne, cibi e Franciacorta” racconta Gian Luigi Vimercati Castellini. Ed ecco così il Wine Trekking: come in ogni trekking, ci sono delle tappe in cui concedersi riposo e relax dopo l’impegno della camminata; ma in questo caso la pausa ha qualcosa di veramente speciale, dato che ad attendere i trekkers c’è una degustazione guidata di Franciacorta, di diversa tipologia da sosta a sosta. E poi lo Sparkling Pic Nic: agli ospiti viene consegnato un cestino da pic nic con una bottiglia di Franciacorta assieme a salame nostrano, pani, torte salate, dolci “della nonna” e altre golosità. Tre le tipologie di cestini fra cui scegliere, differenziate fra loro proprio per la tipologia di vino inserita. Oltre ai Cestini Franciacorta e Millesimato, anche il Cestino Curtefranca, per chi preferisce i vini rossi. Ci si può inoltre incamminare fra vigne e boschi e scegliere il luogo dove fermarsi: nel vecchio roccolo, oppure sui soleggiati terrazzamenti con geometrici filari di viti, o ancora nei prati.
Tagliatelle
all’uovo con pomodorini basilico e ricotta salata INGREDIENTI Per la pasta: kg. 1 di farina bianca, 10 uova. Per il sugo: ricotta salata, pomodorini, aglio, basilico, olio extravergine del Sebino. PREPARAZIONE: preparare la pasta impastando la farina disposta a fontana con le uova; formare le tagliatelle e disporle a nido in una teglia. Tagliare in 4 i pomodorini e porli in infusione in una ciotola con olio, basilico e uno spicchio d’aglio. Al momento di servire, buttare le tagliatelle in acqua bollente salata e, una volta venute a galla, metterle nella padella dove sono stati precedentemente messi i pomodorini. Far saltare alcuni minuti e servire cosparse con basilico e ricotta salata. Se si desidera, qualche pinolo.
Manzo all’olio INGREDIENTI: 1 cappello del prete di manzo di circa kg. 1, 1 carota, 1 gamba di sedano, 1 cipolla, acciughe, olio extravergine del Sebino. PREPARAZIONE: far cuocere la carne in acqua e olio in un recipiente che la contenga a misura con gli aromi e le acciughe. A cottura ultimata, togliere la carne dal liquido e frullare quest’ultimo aggiungendo formaggio e pane grattugiato per addensare la salsa. Tagliare la carne a fette abbastanza alte e servirle nappate con il sugo e cosparse di prezzemolo tritato.
ASSAGGIO DI
LIBRI a cura di Giorgia Zucchi
TOP CHARME IN ITALIA
IL VALORE DEL CIBO
Finalmente una guida con una maggiore piacevolezza grafica e una minore freddezza contenutistica: le 100 “più belle dimore d’autore del Paese” vengono illustrate con belle foto e testi esaustivi che descrivono tutte le peculiarità, da quelle ambientalistiche a quelle relative alle bellezze strutturali e ai servizi offerti.
L’efficacia di una campagna pubblicitaria, di un messaggio promozionale o di uno spot non sta più (o comunque non solo) nell’investimento economico, ma risiede nella capacità di intercettare e comprendere i bisogni e i pensieri dei consumatori, ancora prima che questi vengano espressi. Non per niente per Peter Drucker, padre dei guru del marketing, “la cosa più importante nella comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto. Se è vero che il marketing funziona meglio quando non tenta di vendere a tutti i costi, allora diventa fondamentale capire di cosa si può parlare con i propri potenziali clienti per guadagnare stima, fiducia, insomma credibilità, e come farlo in modo da suscitare interesse e curiosità”.
a cura di Teresa Cremona TCI Editore - 224 pagine - Euro 19,90
LA CUCINA PIACENTINA Non soltanto il ritratto di una cucina, ma un canto d’amore per il territorio e la sua gente, la sua cultura, che, insieme, hanno saputo creare sapori ed emozioni unici. Per raccontarci questo incontro felice, Andrea Sinigaglia e Marino Marini ci introducono alle atmosfere piacentine con un abbecedario di termini dialettali, ora gastronomici (come mariole, salume confezionato con l’intestino cieco del maiale, o come chizzöla, la salsicciata coi ciccioli), ora non del tutto gastronomici, come fasôlon, che indica una persona non proprio furbissima. I tre piatti-simbolo della città sono la bomba di riso, a base di piccione, i tortelli con la coda, e i pisarei e fasô, piatto della cucina povera tradizionale, costituito da gnocchetti di pangrattato e farina, che richiamano piccoli attributi dei bambini, accompagnati da fagioli. Quando un giovane presentava la fidanzata alla famiglia, dicono, la madre controllava il pollice destro dell’aspirante nuora, per verificare la presenza dei calli che solo chi prepara spesso i pisarei può avere. Tantissimi i prodotti tipici: salumi come il culatello e il cappello da prete, formaggi come il Grana Padano, i pomodori, chiamati oro rosso, e le centinaia di piatti di cui qui troviamo ricette tra cui barbis. Da leccarsi i baffi.
di Andrea Sinigaglia e Marino Marini Orme Tarka Editore - 222 pagine - Euro 17,50
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a cura di Valentina Canali - Edizioni Agra 200 pagine - Euro 15,00
LA CUCINA MOLECOLARE
di Anne Cazor Bibliotheca Culinaria 160 pagine Euro 28,00
Toh, rispunta la cucina molecolare, quella basata sui processi fisici e chimici che governano le cotture degli alimenti e le interazioni degli ingredienti! Rispunta perché finalmente, al di là delle critiche e delle polemiche dovute perloppiù a disinformazione, rimane un patrimonio di conoscenze che, di fatto, hanno cambiato il volto dell’attuale ristorazione. Oggi lo stile di piatti, dolci e perfino cocktail si deve proprio a questo movimento di pensiero e le 48 ricette, magnificamente fotografate, ne danno la prova e inducono a sperimentare nella propria cucina.
SUCCHI FRULLATI & SORBETTI PER LA SALUTE 40 ricette svelano tutte le potenzialità dei succhi e i loro svariati utilizzi: cocktail, gelati e sfiziose proposte per recuperare la fibra e le sue qualità. Succhi che sfruttano le proprietà curative delle bacche di goji, dei semi di chia e del tè macha, cocktail speziati che sorprendono il palato, gelati e sorbetti rinfrescanti e golosi: ogni ricetta si basa sul recupero di tutti gli elementi nutritivi del succo.
di N. Michieletto, D. G. Sottile, F. Bottoli A. Marchetti - Tecniche Nuove Editore - 144 pagine Euro 14,90
IL VALORE DELL’OLIO L’avvento, nel mondo della produzione alimentare, del frantoio oleario artigiano e, sul mercato, dell’olio artigianale, costituisce certamente un elemento di chiarezza e di trasparenza a favore del consumatore, ma potrebbe determinare anche una rivoluzione in un comparto agroalimentare rimasto indietro e non più adeguato ai tempi, superato nei processi e nella legislazione, nella formazione e nella comunicazione. L’aver affermato che esiste un olio dalle olive, tracciato e certificato per la sua qualità e regolato per il suo processo di lavorazione, che pone una lunga esperienza al servizio della tecnologia moderna, ha cambiato il senso e il ruolo del Mastro Oleario, nuova figura professionale in grado di garantire il valore economico e l’alto livello di qualità del prodotto che ne fa un cibo buono, sano e nutriente, necessario alla salute del consumatore e insieme in grado di offrirgli varietà di sapori e di gusti che la biodiversità - territoriale e olivicola - rende possibile.
di Mario Pacelli e Giampaolo Sodano Agra Edizioni - 196+296 pagine (2 volumi) - Euro 25,00
TAVOLE D’AUTORE Imbandire la tavola è un modo per raccontarsi. Ogni allestimento è un’opportunità per esprimere un’idea personale di ospitalità. Attraverso immagini di grande impatto, 14 interior stylist italiani svelano altrettanti modi di interpretare la convivialità. Nella sua introduzione, la fotografa e autrice, Francesca Moscheni, fa notare che il lavoro di questi professionisti è poco conosciuto. “... un po’ art director, un po’ scenografi, un po’ arredatori, procurano gli oggetti giusti, scelgono i colori adeguati e ricreano atmosfere cercando location o ricostruendo ambienti. Fanno un lavoro fondamentale per i fotografi che ricevono l’incarico di creare immagini. Chi meglio di loro poteva restituire uno sguardo moderno e unico sullo stile della tavola, con il polso della tendenza, con suggerimenti da dare e idee da replicare?” di Francesca Moscheni - Bicliotheca Culinaria 160 pagine - Euro 34,90
LEONARDO NON ERA VEGETARIANO Il libro unisce testi e ricerche su Leonardo a quindici nuove ricette di Enrico Panero, chef del Ristorante Da Vinci di Eataly Firenze. Enrico Panero ha immaginato le nuove ricette basandosi sulle liste della spesa di Leonardo, tratte da diversi documenti e codici vinciani. Arricchiscono il volume, e lo completano, un saggio sul Cenacolo di Leonardo di Cristina Acidini, fra le massime conoscitrici al mondo dell’arte leonardiana, e per la parte food l’intervento del gastronauta Davide Paolini che conduce il lettore in un viaggio, anch’esso inedito e assai suggestivo, fra i luoghi e i sapori delle terre vinciane. Leonardo da Vinci fu grandissimo artista, scienziato, scopritore e inventore. Ma la sua passione e il suo genio si applicarono anche ai temi del cibo, della cucina, dell’alimentazione, tanto da poter ravvisare nei suoi contributi di più varia natura, riferimenti importanti per la definizione della moderna cultura gastronomica e culinaria.
prefazione Oscar Farinetti - Maschietto Editore 192 pagine - Euro 19,00
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CONFEDERATION
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REDAZIONE
EUROPEENNE
DES GOURMETS
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COLLABORATORI
La famiglia dei Gourmets europei si è data una nuova dimensione per valorizzare
il piacere
della convivialità e della cultura
Domenico Acconci, Enza Bettelli, Silvia Bianco, Daniele Briani, Teresa Cremona, Andrea Dal Cero, Giuseppe De Girolamo, Maurizio Di Dio, Luigi Filippi, Lucy Gordan, Verdiana Gordini, Giuseppe Lo Russo, Giovanni Mastropasqua, Antonietta Mazzeo, Alessandra Meldolesi, Claudio Mollo, Alessia Pellegrini, Giacomo Pilati, Pierpaolo Rastelli, Alessandro Ricci, Gianluca Ricci, Alessandro Rossi, Simone Rosti, Flavia Tomaello, Salvatore Tuccillo, Primo Vercilli. Fotografi: Nikoboi, Pasquale Spinelli, StudioGraf, Lido Vannucchi Illustratori: Patrizia Zavatti
enogastronomica italiana
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