La Madia Travelfood n. 307 - Maggio 2016

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Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

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CHAMPAGNE INGLESE DA QUESTI VIGNETI NASCE LO

ALL’

LA MADIA EDITORE

ANNO XXXI - Maggio 2016 - N. 307 - €E 4,00 - Direttore ELSA MAZZOLINI




SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD n. 307

GOURMETFOOD

di

Gianni Di Lorenzo

pag. 50

GOURMETFOOD

ALESSANDRO PANICHI

A Castellammare di Stabia novità e tradizione insieme.

Autore di qualità a Bologna.

GOURMETFOOD

VINARIA

Flavia Tomaello

Alessandra Meldolesi

pag. 56

PIAZZETTA MILÙ

di

di

pag. 68

pag. 90 SOLEDAD NARDELLI

CHAMPAGNE ALL’INGLESE

La cucina come atto d’amore con l’Argentina nel cuore.

Bollicine di qualità anche oltre Manica.

di

Gianluca Ricci


La cultura del benessere

MondoChef - Cuocomercato

Un’insalata da re!

a cura di Alessandra Meldolesi........................................ pag. 38

di Primo Vercilli................................................................ pag. 8

Lettere al Direttore........................................................... pag. 39

La scelta vegana

Buone Nuove..................................................................... pag. 40

Singapore Vegan

Golavagando “Mon Trésor”

di Silvia Bianco................................................................. pag. 10

Pub No Name

Assaggi di Galateo

di Daniele Briani............................................................... pag. 42

Si fa presto a dire aperitivo!

Ristorante Nuovo 900

di Fabio Ferrantino........................................................... pag. 12

di Daniele Briani............................................................... pag. 44

Progettare l’impresa

Ristorante Decanter

Gli errori nei menù

di Enza Bettelli................................................................. pag. 46

di Lorenzo Ferrari............................................................. pag. 14

Giovani Talenti

Golavagando

Maurizio Bardotti

Betto a Milano................................................................. pag. 18

di Claudio Mollo............................................................... pag. 62

Posta Zirm Hotel a Corvara

FashionFood

di Gianni Di Lorenzo......................................................... pag. 20

Barcelò La Bobadilla......................................................... pag. 72

Red Brick

Chef di Spirito

di Roberta Filippi.............................................................. pag. 24

I Mugnuli selvatici

Biancomangiare

di Sonia Leo..................................................................... pag. 76

di Claudia Barale.............................................................. pag. 26

GourmetFood

GolavagandOraviaggiando

Marco Vegliò.................................................................... pag. 82

Osteria di Chichibio

Vinaria

di Sandro Romano........................................................... pag. 28

Il focus di Alessandro Magnum

Golavagando

André Tchelistcheff

Masserie del Falco

di Alessandro Rossi.......................................................... pag. 86

di Sandro Romano........................................................... pag. 30

Enovità

Osteria Mamma Rosa...................................................... pag. 34

di Gianluca Ricci............................................................... pag. 96

Lo chef... il suo piatto Vincenzo Cammerucci..................................................... pag. 35 Cocktail... and more Pomodoro Wine - Panini e panzanella di Daniele Briani............................................................... pag. 36



EDITORIALE di

Elsa Mazzolini

UN GRANDE POTERE Avevo deciso di non occuparmi dell’olio di palma - argomento già da tempo dibattuto sui giornali ma, soprattutto, sulle pagine di Facebook – confidando sulle capacità di scelta dei consumatori. Ma la massiccia campagna pubblicitaria (10 milioni di euro!) messa in atto dall’Unione Italiana Olio di Palma Sostenibile (dove “sostenibile” è una evidente contraddizione in termini, essendo tale solo per la grande industria, che lo paga molto meno degli oli sani) mi ha fatto capire che ognuno di noi dovrebbe quantomeno provare a reagire nei confronti di una comunicazione manipolata. Scrivere sui giornali che la coltivazione di questo olio tropicale “consente di utilizzare dalle 5 alle 11 volte meno superficie agricola di qualsiasi altro olio vegetale” il che “contribuisce a preservare la natura”, glissando artatamente non solo sul tema della sistematica distruzione delle foreste pluviali e sul conseguente rischio di estinzione di migliaia di specie animali, ma anche sui danni che questi grassi saturi provocano soprattutto nei bambini tramite merendine, biscotti e dolcetti vari, significa fornire informazioni false o distorte per motivazioni di puro interesse economico. Fortunatamente Carrefour, Esselunga, Barilla, Plasmon, Colussi, Gentilini e alcune altre aziende hanno perfettamente colto il segnale derivato da un progressivo aumento di consumatori che evitano di acquistare prodotti contenenti olio di palma (50% di grassi saturi), palmito (80%), olio di cocco (87%), grassi idrogenati e hanno immesso sul mercato oltre 500 prodotti a base di olio d’oliva, di girasole, di cartamo, di mais, di sesamo, di arachidi, di soia. Hanno quindi optato per la sostenibilità vera, quella che tutela sia l’ambiente che l’uomo. Questo significa che ogni rivoluzione è possibile. E mentre l’Indonesia, invocando il pretesto di un attentato agli interessi dello Stato, minaccia l’espulsione di Leonardo di Caprio e di ogni turista che, come lui, posti su Facebook messaggi di difesa della foresta pluviale, noi dovremmo diventare più consapevoli della forza che un’opposizione di massa può dimostrare contro le speculazioni sulla pelle della gente. Bisogna boicottare. Opporsi ideologicamente. Ogni possibile estensione di questo concetto per costruire una società veramente sostenibile, è lecita. La pratica del boicottaggio pacifico ma sistematico da parte dei consumatori vale quindi anche per contrastare la politica di quei Paesi che, come l’Egitto, praticano la tortura o l’omicidio di Stato o la palese limitazione della libertà individuale: basta cancellarli collettivamente dalle nostre mete turistiche privandoli di una fonte cospicua di denaro e qualcosa, di sicuro, cambierà. Gli interessi di Stato, come si evince dalle minacce dell’Indonesia, sono soprattutto quelli

ME

economici. Basta colpirli.

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LACULTURADELBENESSERE

a cura di

Primo Vercilli Medico Dietologo

UN’INSALATA DA RE! Quante volte ci siamo trovati a pensare che non c’è niente di meglio che una bella insalatona! Oppure, quante volte ci siamo trovati nell’obbligo di consumare un’insalata, solo perché eravamo a dieta! Il problema più grosso sta proprio nel fatto che molto spesso pensiamo all’insalata come a qualcosa di “triste”, privo di gusto, e invece è solo la nostra fantasia che è priva di creatività. Ebbene oggi voglio darvi qualche consiglio su come rendere un’insalata gustosa. Il primo passo è ovviamente scegliere la materia prima, cioè il tipo di verdura in foglia. Ce ne sono di tre categorie: indivie, lattughe e cicorie (con sottocategoria dei radicchi). Le indivie sono più croccanti: quelle più usate sono la scarola e l’indivia riccia. Da tagliare finemente a coltello. Le lattughe sono le più tenere, e ce ne sono davvero di tutti i tipi: trocadero, iceberg, appia, regina di maggio, lollo, pasqualina, trentina… Tra le cicorie si annoverano anche i radicchi, sia estivi che autunnali. Sono erbe più amare rispetto a indivie e lattughe, con un maggior contenuto di ferro e un’azione di stimolo epatico depurativo. Molte persone hanno problemi nella digestione delle lattughe, a causa del ricco contenuto di cellulosa. È chiaro quindi che la scelta del tipo di verdura a foglia dovrà dipendere sia dal gusto che dalla digeribilità individuale della persona. Esistono poi le insalate di campo, ovvero le erbe spontanee, più ricche di antiossidanti rispetto a quelle coltivate. Una volta scelta la base, aggiungiamo qualcosa di croccante! La croccantezza darà una marcia in più alla nostra insalatona, e sicuramente ci regalerà più sazietà: infatti, è risaputo che più un alimento deve essere masticato, più il centro della sazietà a livello cerebrale viene stimolato da sostanze che lo appagano. Mi raccomando però: la croccantezza va raggiunta solo con altri tipi di vegetali e non con i crostini! Ecco qualche idea: sedano tagliato a tocchetti molto sottili (è bene scegliere le coste interne del sedano, quelle più tenere e dal colore più tenue: sono più facilmente digeribili per il minor contenuto di fibra); cetriolo

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(da sbucciare qualora si avessero problemi di digeribilità); taccole (o fagiolini) sbollentate per 7-8 minuti e tagliate a tocchetti; germogli di alfa-alfa, crescione o broccoli; carote grattugiate o a rondelle sottili. Il terzo passo deve essere quello di dare colore alla vostra insalata. Sapete che mischiare colori diversi di verdure in uno stesso pasto fa sì che la protezione antiossidante sia esponenzialmente più elevata? Vale a dire: se mangiate carote e peperoni insieme non avrete una protezione pari alla somma degli antiossidanti contenuti in queste verdure, ma esponenzialmente superiore! Un vantaggio non da poco per combattere i radicali liberi… E allora, anche qui, ecco qualche consiglio: peperoni verdi, gialli o rossi, ricchissimi di vitamina C, B1 e B2 (da sbucciare con un pelapatate se danno problemi di digestione; è possibile aggiungerli anche dopo averli arrostiti in forno: lasciateli cuocere un’ora a 200°C girandoli spesso, metteteli in un sacchetto di carta per qualche minuto e poi sbucciateli; il passaggio nel sacchetto permetterà di pelarli più facilmente); cipolla rossa di Tropea, per palati più arditi (da consumare previa salatura e riposo se causasse bruciori di stomaco); pomodorini confit o datterini, ricchi di vitamina A, C e K, potassio e manganese (da limitare in fase premestruale per lo spiccato effetto di ritenzione idrica); barbabietola rossa cotta, in piccole quantità per l’elevato contenuto di zuccheri. Attenzione al mais in scatola: ve lo sconsiglio, prima di tutto perché non è una verdura ma un cereale; e in secondo luogo perché si tratta di un prodotto di bassissima qualità, molto poco nutriente e niente affatto indispensabile al nostro pranzo. E ora veniamo al quarto punto: che proteina possiamo aggiungere alla nostra insalata? Intanto partiamo dal presupposto che bisogna aggiungere un solo tipo di proteina, altrimenti un piatto nato per essere facilmente digeribile, rischierà di diventare un “mattone” nello stomaco! Un’ottima scelta potrebbero essere le proteine vegetali, quali i


LACULTURADELBENESSERE

legumi: si adattano bene alle insalatone i ceci e i fagioli (non limitatevi a cannellini e borlotti, provate anche i fagioli neri e rossi, più ricchi di antiossidanti!). Scegliete legumi secchi da cuocere e conservare in frigorifero o, se proprio siete di fretta, legumi conservati in vaso di vetro, biologici, e ben sciacquati dal liquido di conservazione. Tra le proteine animali possiamo scegliere uova biologiche sode, petto di pollo fatto alla piastra e insaporito con aromi (curry, paprika, rosmarino…), scaglie di parmigiano o pecorino, tonno sott’olio in vaso di vetro (il vetro è un materiale inerte, che non determina il passaggio di ioni metallici nel cibo; se scegliete tonno al naturale preferite quello con scritto “filetti di tonno”, perché è di qualità migliore e non risulta sbriciolato e poco appetibile).

tere più ingredienti possibili si mischiano frutta secca, semi, avocado e olio extravergine. Fate attenzione: in questo modo non fate altro che aumentare notevolmente il valore energetico della vostra insalatona, e -soprattutto se siete a dieta- avrete creato un pasto che è tutto fuorché dietetico. Come regola generale considerate circa 2 cucchiai di “componente grassa” per una porzione. Potete, ad esempio, fare un cucchiaio di mandorle tritate grossolanamente e un cucchiaio di olio extravergine, o un cucchiaio di olio e.v.o. e un cucchiaio di avocado a cubetti. Cercate di non mischiare più di due tipi di grassi differenti per non impegnare troppo la digestione: complice il caldo e le alte temperature, lo stomaco ha bisogno di più tempo per elaborare i grassi.

Ma non è finita: possiamo aggiungere un po’ di dolcezza… Se amate gli abbinamenti frutta-verdura potete aggiungere un poco di frutta alla vostra insalatona, per renderla ancora più fresca e gustosa. Non troppa: quel tanto che basta per stuzzicare il palato. Scegliete frutta fresca (come mele verdi, pesche, frutti di bosco) e non disidratata (datteri, uvetta, fichi secchi…), poiché quest’ultima è più ricca di zuccheri. Qualche abbinamento intrigante? Eccolo: fragole-asparagi; ananas-uova; pesche-gamberi; mela verde-tonno.

Quali sono i grassi che si possono aggiungere? Sicuramente l’olio extravergine d’oliva; poi possiamo usare frutta secca o semi, avocado maturo, cocco biologico in scaglie. Evitate di usare oli di semi: quelli tradizionalmente in commercio sono raffinati, ricchi di sostanze pro-infiammatorie. Se gradite il sapore di oli particolari (come quello di lino, di semi di zucca o di nocciola) ricordatevi di comprarli biologici e solo se è indicato che sono stati estratti a freddo; conservateli in frigorifero: si deteriorano facilmente, specialmente con il caldo. Ebbene, la vostra insalatona è pronta! A volte potete aggiungere una componente acida data dal succo di limone o dall’aceto di mele o dall’acidulato di umeboshi! Attenzione con il sale e sbizzarritevi con le spezie e le erbe aromatiche! Comincia la bella stagione: largo alle insalatone da re!

Per ultimo dobbiamo aggiungere una componente grassa alla nostra insalata! Uno degli sbagli più grandi che si fanno quando si preparano le insalatone è uno scorretto dosaggio dei grassi: nella foga di met-

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LA SCELTA VEGANA

a cura di

Silvia Bianco testimonial di cucina vegana

SINGAPORE VEGAN

CITTÀ ETICA RISPETTOSA DELL’UOMO E DELL’AMBIENTE

Recentemente sono stata in Asia, ho visitato diversi luoghi, ma ho un amore incondizionato per Singapore, città in cui sono stata diverse volte e che puntualmente mi coinvolge in un turbine di colori ed emozioni. E’ una città multietnica, la cui popolazione è un mix tra cinesi, indiani, malesiani, altre discendenze asiatiche ed europei. E’ una delle città più densamente popolate al mondo, ma differentemente da città ad alta densità come Hong Kong, Singapore è meno caotica, ha un animo gentile e sorridente ed è molto pulita, ordinata ed organizzata. I singaporeani hanno da sempre una stretta connessione con il vegetarianismo, quasi il 40% di loro è Buddista o Induista, religioni che da sempre seguono un’alimentazione vegetariana o vegana a seconda della scuola, proclamando un profondo rispetto per tutti gli esseri senzienti e l’imprescindibile difesa per la vita. Singapore, nome che deriva dal malese Singapura, ovvero “La città del leone”, ha visto un incremento sostanziale nell’offerta di prodotti e servizi per chi si nutre principalmente di una alimentazione vegetale. Negli ultimi anni la popolazione ha maturato sempre più la consapevolezza dei benefici di mangiare meno carne e più vegetali e di conseguenza sempre più ristoranti onnivori offrono opzioni vegetariane, talvolta pagine intere del loro menù sono dedicate a cibo vegetale.

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Fino a qualche anno fa la maggior parte delle persone a Singapore non aveva ben chiara la differenza tra vegan e vegetariano; oggi tenersi aggiornati tramite un semplice click è facile ed alla portata proprio di tutti tanto da aver permesso anche a chi è meno giovane di conoscere l’esatto significato di un’alimentazione a base esclusivamente vegetale (purely vegetarian) e di poter offrire un piatto adeguato alle richieste di noi vegani. E’ frequente trovare piccoli ristoranti gestiti da anziani proprietari da oltre 30 anni che, oltre a saper parlare perfettamente inglese, sanno come comporre un piatto vegano. La crescita esponenziale del veganismo riguarda anche le giovani generazioni che sia per motivi religiosi, sia per averne compreso i vantaggi in termini di minor impatto ambientale, riduzione del maltrattamento delle specie animali ed un benessere generale, la ritengono la scelta di vita del futuro. E’ il caso di dire che la conoscenza eguaglia il potere, nel senso che la crescita delle opzioni vegetariane e vegane rispecchia l’interesse oramai globale nell’adottare una dieta a base vegetale. A spaventare sono le contaminazioni del cibo, le rivelazioni su scadenti e spietate produzioni industriali della carne e, per contro, tutta l’informazione online riguardante i benefici del vegetarianismo hanno contribuito a far diventare il veganismo un’opzione molto popolare anche a Singapore.


LASCELTAVEGANA

Il “meatless Monday” (lunedì senza carne), iniziato negli Stati Uniti nel 2003 per spronare le persone ad iniziare la settimana in maniera salutare, è diventata un’abitudine in molti paesi del mondo ed accolta anche dai consumatori a Singapore, riscontrando un raddoppio delle vendite di cibo e bevande vegetali nel corso degli ultimi 4 anni. In tutte le aree di Singapore è facile trovare ristoranti vegan, la maggior concentrazione si trova attorno a Aljunied, nell’area di Geylang, una zona ricca di negozi di luci, fruttivendoli e numerose associazioni buddiste come l’Amitabha e d il Vimalakirti. Uno dei ristoranti vegetariani più antichi della zona è il Kwan Inn Vegetarian Food, situato in prossimità dei negozi di manufatti buddisti, aperto circa 30 anni fa e molto popolare tra i locali ed i monaci. Il laksa è una zuppa piccante, una combinazione tra cucina cinese e malesiana, i cui ingredienti principali sono tagliolini o vermicelli di riso, latte di cocco e base al curry o tamarindo. In questo storico ristorante ne preparano una favolosa versione con tagliolini saltati, germogli di soia croccanti ed un succulento tofu marinato in latte di cocco e brodo vegetale tutto per soli 2SGD (poco più di un euro) . Nelle vicinanze, si trova l’ECO Harmony Cafè che sostiene il movimento “green” per un mondo migliore e promuove attivamente una vita olistica e cucina vegana, intendendola come stile di vita salutare per mente e corpo. Qui offrono una serie di menu tutti singaporean style utilizzando esclusivamente prodotti vegetali biologici provenienti dalle fattorie gestite da questa associazione che, al contempo, si occupa di educazione per bambini e non con difficoltà fisiche. La clientela è principalmente costituita da anziani locali che supportano l’iniziativa benefica e credono fermamente nel nutrirsi di solo cibo allo stato naturale possibile senza trasformazioni. In questa città, è molto frequente trovare ristoranti o mense benefiche strettamente correlate a templi buddisti ed induisti, un esempio è la dining hall del Buddha Tooth Relic Temple nella zona di Chinatown, dove ogni giorno da lunedì a domenica dalle

8 alle 15 un gruppo di giovani volontari serve piatti tipici in versione vegan. Il ristorante ha un ingresso esterno al tempio e si trova proprio nel piano interrato; è dotato di un’ampia cucina, più di 100 posti a sedere e offre pasti caldi, gustosi, non particolarmente fritti e, con una buona varianza giornaliera, proponendo 6/7 tipi di verdure diverse, radici, ravioli tipici, tagliolini, riso, zuppe, alternative alla carne e dolci per la modestissima cifra di 3SGD (poco meno di €2) per ogni piatto completo. Il ricavato viene raccolto dai monaci che lo utilizzano per operazioni di carità. Lo spirito di beneficenza è molto caro e vivo nel cuore di molti ristoratori vegan singaporeani, spesso mi sono trovata a parlare con i gestori che mi raccontano come le loro giornate lavorative si concludano con la distribuzione del cibo che avanza a fine giornata: ogni sera caricano sui loro furgoni vegetali ed ortaggi che altrimenti verrebbero gettati, li suddividono in tante porzioni e li consegnano ad associazioni caritatevoli. Singapore è una città meravigliosa, molto calda ed umida, ma si può trovare ristoro negli innumerevoli e coloratissimi mercati di frutta e verdura dove si trova una enorme varietà di frutta esotica a prezzi esigui. Passeggiando tra le bancarelle si respirano profumi dolcissimi enfatizzati dalla calura, si trovano banchetti che offrono acqua di cocco freschissimo servita direttamente dalla noce di cocco verde, frullati e succhi di frutta fresca, oppure macedonie esotiche fatte con dragon fruit (pithaya), mango, guava, longan (una specie di litchi), starfruit (carambola), mangostano, durian, rambutan, solo per citarne alcuni.. e per la modica cifra SGD 3, ovvero poco più di €1. Tutto accompagnato da una semplice ma calda accoglienza dei fruttivendoli che ogni giorno aprono i loro banchetti alle sei del mattino ed importano la frutta più succosa dalla vicinissima Malesia. Insomma Singapore, la città-stato conosciuta come uno dei principali centri finanziari al mondo, con un ruolo importantissimo nel commercio internazionale e della finanza è al contempo una città mossa da uno spirito di conservazione e cura dell’ambiente, la cui popolazione promuove uno stile di vita salutare e longevo.

Silvia e gli esperti rispondono...

Inviate le vostre domande a: lamadia@lamadia.com

Vorrei imparare a fare dei soffici muffins vegani ma non ho chiaro come sostituire il burro. Il burro può essere sostiuito anche con burro di soia o margarina, ma occorre fare attenzione alle etichette dei prodotti che si trovano nei supermercati. Il burro di soia spesso ha tra gli ingredienti l’olio di palma, che oltre ad essere ricco di grassi saturi, ha un dannosissimo impatto ambientale. La margarina vegetale talvolta contiene latte in polvere. Se non si è sicuri della provenienza si può preparare il burro vegetale a casa facendo sciogliere a fiamma bassa 100 grammi di burro di cacao, aggiungere il composto sciolto a 150 grammi di olio di girasole spremuto a freddo e deodorato; il composto dovrà essere sbattuto con una frusta o minipimer e riporre il tutto in un contenitore di vetro e mettere a solidificare in frigorifero per almeno 8 ore. Se non avete tempo e dovete preparare un dolce in pochissimo tempo, basta sostituire 100 grammi di burro con 125 grammi di yogurt di soia naturale che garantisce morbidezza ai vostri muffin.

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Gala teo ASSAGGI DI

a cura di

Fabio Ferrantino Docente di Galateo presso Bon Ton Academy Professore di Enogastronomia IPSSAR Piobbico

SI FA PRESTO A DIRE APERITIVO! Aperitivo, Happy Hour, Apericena sono termini molto presenti soprattutto fra i più giovani, ma si fa sempre più fatica a distinguere in cosa consista realmente questo specifico momento. Il vocabolario fa derivare la parola dal latino medievale “aperitivus” riferito ad un termine dell’ambito medico in quanto adatto ad agevolare le secrezioni gastriche, mentre dal francese apéritif ne deriva il significato di bevanda alcolica generalmente a base di vini invecchiati, vermouth, o di amari vegetali (china, rabarbaro, carciofo, ecc.), che ha effetto di stimolare l’appetito o, talora, anche di favorire la digestione. Nell’uso, il nome si estende anche ad alcune bevande (in particolare gli amari o bitter) scarsamente alcoliche o analcoliche. (Vocab. Treccani) L’aperitivo è una vera e propria tradizione internazionale molto antica: nasce come prescrizione di tonici amari prima del pasto, veri e propri toccasana, fino ad arrivare alla fine del ‘700 con la nascita di alcune bevande alcoliche come il vermouth Carpano a Torino e poi il Campari a Milano. Il nord Italia è stato l’apripista di questa moderna usanza conviviale e detiene ancora diversi primati. C’è chi afferma che l’aperitivo sia nato a Genova dove i baristi, a fine giornata, offrivano gratuitamente le rimanenze di cibo accompagnate da una consumazione, per Torino l’aperitivo è nato con il vermouth e per Milano con il Campari, come per il Veneto con l’Aperol che dagli anni Cinquanta crea il suo connubio perfetto con il prosecco nello Spritz; non da meno Firenze con la nascita del Negroni negli anni Venti. Si potrebbe continuare facendo molteplici esempi, costatando, però, che una vera zona madre dell’aperitivo non esiste, come per il resto del mondo. Ciò che è opportuno sottolineare è il fatto che sia divenuto un importante occasione di convivialità che ci può ricorda-

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re il tanto caro “Tea time” nella cultura britannica. Come altri momenti della giornata legati al consumo di cibo e bevande, anche questo non si sottrae a delle buone norme da seguire, soprattutto perché è molto versatile. Può distinguersi come un’occasione formale o informale, può essere effettuato in diversi ambienti, da un museo o galleria d’arte ad un bar, una serata di gala o un’inaugurazione, semplicemente prima della cena al ristorante o privatamente in casa. Per questo è bene, quando possibile, dedicare all’aperitivo uno spazio ad esso esclusivo. Ha un orario preciso che va all’incirca dalle 19 alle 20.30. La durata può variare: nel caso di un aperitivo che precede la cena è buona norma non dilungarsi per più di trenta/quaranta minuti. L’aperitivo può essere una carta vincente quando non si è a conoscenza dell’orario preciso dell’arrivo degli ospiti per la cena, intrattenendo, così, in modo piacevole ed elegante. È per questo che andrà servito fin da subito con l’arrivo del primo invitato. La disposizione dei tavoli potrà avvenire a buffet, sfruttando anche il bancone nel caso del bar. Se vi fossero dei camerieri per il servizio di bevande e stuzzicheria, gli invitati potranno servirsi direttamente dai vassoi con le mani, a patto che il cibo non preveda l’uso della posateria. Da non dimenticare l’ordine di servizio, prima le signore e le persone più anziane. È opportuna, in ogni caso, la presenza di tavoli d’appoggio per lo sbarazzo e di cestini per gli scarti. C’è sempre quel nocciolo di oliva del nostro Dry Martini che non sappiamo mai dove buttare. Nel caso del buffet, che ci permette di poter servire delle pietanze leggermente più elaborate, saranno presenti dei piattini e dei tovagliolini per il cibo.


ASSAGGIDIGALATEO

Come posateria potranno bastare delle forchettine da frutta; nessuna preparazione dovrà prevedere l’uso del coltello. Per le bevande, se il servizio è libero e non su ordinazione, è opportuno considerare una dose e mezzo per ospite, considerando che ci sarà chi prenderà un secondo bicchiere. Ricordiamoci sempre che l’aperitivo non è una cena, ma solo un preludio per stuzzicare l’appetito, per questo il termine “apericena” non può trovare alcun significato, sarebbe meglio evitare l’uso di questa parola. L’Happy Hour, termine anglosassone che sta per “Ora felice” si riconduce all’usanza di praticare determinati sconti o promozioni sulle bevande, prevalentemente alcoliche, in una determinata fascia oraria. Ormai questa moda è passata in disuso, anche nella Milano da bere che ha osannato tale termine fino a pochi anni fa. L’Happy Hour è stato condannato e poi vietato anche dalle più significative associazioni di pub e birrerie inglesi in quanto atto a incrementare, irragionevolmente, l’uso di alcol, soprattutto fra i più giovani. È importante che ci sia sempre un buon assortimento anche di bevande analcoliche. Il galateo prevede che queste vengano disposte in caraffe di

vetro da cui ci si può servire personalmente, ma se vi è la presenza di un bar e di un bartender, è sicuramente più originale lasciare a questa figura la fantasia per creare qualcosa di speciale anche con dei succhi analcolici. Vietate le bottiglie di cocktail o aperitivi già pronti. Anche se in casa, cerchiamo di imparare alcune ricette delle preparazioni più famose; in fondo non è poi così difficile e, se proprio manca l’estro, allora riponete l’aperitivo già pronto in una bella caraffa di cristallo o di vetro. Essendo un momento spesso meno formale di un servizio placé, diviene fondamentale creare la giusta atmosfera con della buona musica di sottofondo, ancor meglio se suonata da elementi dal vivo. L’opzione di un aperitivo all’aperto è da considerare solo per la bella stagione. Anche se gli spazi delle attività sono sempre più ristretti, è poco indicato rimanere in una struttura esterna con delle lampade per il riscaldamento, a meno che sia riparata dal vento con delle coperture laterali e ci sia un buon riscaldamento con aria calda. Se l’evento sarà destinato a poche persone con il servizio di un calice di vino, un cocktail o una bevanda analcolica con qualche stuzzichino leggero come olive e salatini, allora sarà più adeguato chiamarlo drink.

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PROGETTARE L’IMPRESA

a cura di

Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop

GLI ERRORI NEI MENÙ L’ANALISI, LA SOLUZIONE

Il Menu Engineering è materia che si occupa di aumentare gli incassi dei ristoranti utilizzando come unico strumento il menù. Lo si fa dapprima lavorando sulla parte analitica che riguarda il ristorante (i “numeri”!) e infine strutturando in maniera scientifica le descrizioni dei piatti che compongono il menù. Proprio sulla base di come vengono solitamente descritti i piatti sui menù italiani, sono solito distinguere due tipologie di menù. Io le chiamo, scherzosamente, «La lista della spesa» e il «Creativone». Entrambe queste soluzioni hanno delle peculiarità che li caratterizzano e li definiscono, che tra poco indicherò, ma sono particolarmente interessanti per le reazioni che suscitano nella clientela. Spesso, infatti, queste reazioni non sono quelle desiderate e le conseguenze si manifestano direttamente nell’incasso del ristorante, in maniera negativa. Vediamole nel dettaglio.

Quando domando ai miei clienti perché abbiano deciso di utilizzare questo metodo per scrivere le descrizioni dei propri piatti, la risposta che mi viene data è assolutamente lecita: rigore. Insomma, vogliono essere «rigorosi» e non lasciare nulla al caso. Però, purtroppo, la reazione che un cliente ha di fronte ad una descrizione del genere non è proprio delle migliori. Spesso, infatti, il cliente è annoiato da descrizioni del genere. Ma, in particolar modo, è la percezione della qualità che ne risente. Infatti il peggior difetto di un menù «La lista della spesa» è sicuramente la mancanza di emozionalità nella descrizione stessa. Una descrizione fredda, apatica, che genera quindi una percezione di bassissima qualità degli ingredienti. Risultato: il cliente non apprezza a fondo quanto ha nel piatto. Magari il titolare usa anche un Prosciutto di Parma DOP stagionato 36 mesi, ma se non viene scritto, il cliente non può né saperlo, né apprezzarlo fino in fondo.

1) MENU «La lista della spesa» Il Menù «Lista della spesa» è sicuramente il più diffuso nei ristoranti italiani, ma e’ quello che - purtroppo - genera i danni maggiori. Lo si riconosce facilmente proprio perchè non è un Menù, non lo sembra almeno, ma una vera e propria lista della spesa! Con le descrizioni dei piatti scritte proprio come se le si dovessero acquistare dal proprio fornitore di fiducia, con gli ingredienti che compongono il piatto separati da una virgola.

In questo caso sono solito ricordare ai miei amici ristoratori il primo comandamento del Menu Engineering: il cliente non è uno chef! Se vuoi che riconosca la differenza, gliela devi dire.

Esempio pratico: Pizza con il Crudo Ingredienti: pomodoro, mozzarella, prosciutto crudo

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2) MENU «Creativone» Il Menù «Creativone» si colloca agli antipodi rispetto a quello «Lista della spesa». E’ raro trovarlo, ma è una fortuna che sia così, perché il pubblico non lo apprezza. Lo si riconosce facilmente perchè non è un Menù, ma uno sproloquio di parole altisonanti incomprensibile ai più. Per fare un esempio pratico, proviamo ad immaginare come


PROGETTAREL’IMPRESA

potrebbe essere descritta la pizza con il prosciutto crudo dell’esempio precedente qualora finisse su un menù «Creativone». Il sogno di un maialino che voleva diventare pizza Con impasto integrale della casa e l’ingrediente segreto del nostro mastro pizzaiolo. La reazione del cliente, di fronte ad una descrizione del genere, è di «smarrimento». Confusione. Risultato: non si riesce bene a comprendere dove il pizzaiolo voglia andare a parare e si creano quindi delle aspettative sbagliate. E questo è l’aspetto peggiore del menù «Creativone», in quanto un cliente dalle aspettative non chiare risulta impossibile da soddisfare. Qualsiasi manicaretto prelibato gli porteremo non combacerà comunque con le sue aspettative. E un cliente insoddisfatto risulta essere un grande problema, come ben sappiamo. La soluzione al menù «La lista della spesa» e al menù «Creativone»: quella «Narrativa»! In questo caso la soluzione che propongo è quella di creare un Menù chiaro, ben descritto e ben impaginato, che abbia indicato con precisione gli ingredienti che compongono i piatti, ma che allo stesso tempo non sia una banale «Lista della spesa». E che abbia il chiaro obiettivo di incentivare le vendite dei piatti che desideri vendere (ma di questo parlerò nel prossimo numero su questa rivista). In particolare, la soluzione che reputo più funzionale ed efficace, è quella di raccontare delle storie! Narrare il piatto al cliente, in maniera coerente all’identità del tuo ristorante.

Al Prosciutto, ma come piace a me Con la base di salsa di pomodoro fatta in casa, fiordilatte e (fuori dal forno!) Prosciutto Crudo 24 mesi tagliato a coltello, profumatissimo, che prendo da Franco, piccolo produttore locale. Risultato? Cliente non annoiato (perché “rapito” da una bella storia), che non solo comprende bene la composizione del piatto, i suoi ingredienti e la sua filosofia, ma capisce anche quanto sei appassionato al tuo lavoro e quanto ci tieni a dargli esclusivamente il meglio. Insomma, la descrizione del piatto diventa un pretesto per elencare minuziosamente gli ingredienti, ma soprattutto per raccontare la storia e la filosofia che caratterizzano il ristorante.




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BETTO DOLCERIA ROSTICCERIA SICILIANA Corso di Porta Ticinese, 58 - Milano Studio, design e progettazione: Costa Group Arch. Giulia Corvi

BETTO UNA DOLCERIA ROSTICCERIA SICILIANA A MILANO Siciliano di nascita e milanese d’adozione. «Betto è la naturale estensione dei profumi e sapori con cui sono cresciuto – spiega il proprietario Roberto Fiorello – in una famiglia innamorata della cucina popolare, quella che oggi chiamiamo street food, dedita a tramandare e conservare le ricette della tradizione pasticcera siciliana. L’attenzione alla qualità fa parte del know how di famiglia, che ha fatto del “Made in Sicily” una storia aziendale decennale». E allora, è facile intuire come il concetto di tipico siciliano sia stato applicato anche all’ambientazione di Betto, la nuova dolceria rosticceria siciliana inaugurata a Milano, che Costa Group ha saputo declinare nelle sue forme più tradizionalmente barocche. Con un elegante bancone nero che attraversa il locale per tutta la lunghezza ed espone le migliori variazioni sul tema della pasticceria e rosticceria siciliana, e boiserie nera alle pareti alternata a carta da parati di rose in fiore. Pienamente in stile romantico barocco. Il vero tocco di classe è rappresentato dalle luminarie colorate a soffitto, usate per le tradizionali feste popolari, che spiccano per contrasto, sul nero delle travi, lasciate a vista.

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E dai dettagli, piccole minuzie di stile, come le sedie personalizzate con borchie e logo dorati, il pellame rosso intenso degli sgabelli, le cornici dorate e l’eleganza del marmo nero utilizzato per il bancone. Il risultato? Una calda atmosfera d’altri tempi e d’altri luoghi, quelli della tradizione isolana, delle feste di paese, dei colori e degli aromi che raccontano un’autentica storia siciliana. Con posto d’onore naturalmente riservato ai prodotti, declinati in tutte le varianti possibili. Conserve, marmellate, creme spalmabili, prodotti regionali e vini esposti in bella vista per la Dispensa di Betto, e le cialde impilate, “buccie” dei cannoli siciliani da farcire sul momento, che invogliano e accolgono il cliente: vere sculture del gusto tradizionale. Dalla colazione in avanti, fino a notte, va in scena un avvicendamento di colori e sapori che raccontano la storia di una genuina cucina regionale. «Betto non nasce per essere chiamato format – prosegue Roberto Fiorello – ma se dovessimo crearne uno, porremmo sicuramente al centro la dedizione e la cura del cliente, nel rispettare le migliori ricette della tradizione. Non ci basta “far da mangiare”, ma ci interessa che lo show gastronomico siciliano sia percepito dai clienti. Maneggiamo sac à poche, impiattiamo involtini di spada, sformati di pasta e di verdura, rispettando la tradizione e innovando il servizio». Il gusto diventa così protagonista assoluto durante tutto l’arco della giornata, dalle colazioni caffè siciliano e brioche, al pranzo, con il banco che si riempie di pietanze cucinate la mattina, tra cui gli immancabili arancini di riso, per poi acconpagnare i clienti verso l’aperitivo, con degustazione di selezioni di prodotti regionali, gastronomia e fritti. «I cavalli di battaglia sono ovviamente arancini e cannoli, i primi proposti in diverse ricette, tutte con prodotti del territorio, i secondi farciti al momento, con ricotta di pecora bio e le nostre creme. Una ricetta per la “buccia”, come è chiamata in Sicilia, sviluppata appositamente per noi, rende i nostri cannoli sempre friabili e profumati. Più in generale, la rosticceria è la migliore selezione di arancini, sfoglie, fritti e impasti della tradizione, e la pasticceria, la migliore selezione di prodotti a base di ricotta, mandorla e pistacchio».

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A CORVARA

POSTA ZIRM HOTEL PER SCOPRIRE IL GUSTO DEL BENESSERE di

Gianni Di Lorenzo

Un albergo veramente pioniere, il Posta Zirm Hotel di Corvara, in Alta Val Badia. Nel 1908 è stato infatti il primo ad aprire, come stazione di posta, in questa straordinaria vallata altoatesina, oggi destinazione fra le più esclusive e chic delle Alpi, nel 2001 ha inaugurato la Wellness Farm basata sui principi del Feng Shui, unica nel suo genere in Alto Adige, ed ora - primo albergo in Alta Val Badia a farlo – dedica un’assoluta attenzione ai vegani e propone in tavola menu elaborati appositamente per loro. Da oltre un secolo sinonimo di ospitalità squisita e prelibatezze gastronomiche, il Posta Zirm fa parte della selezionata catena dei Wanderhotels, una sessantina di hotel esclusivamente a conduzione familiare che si trovano nelle più belle zone montane di Austria, Italia, Svizzera e Germania e offrono un alto grado di competenza nel settore dell’escursionismo alpino. Franz e Silvia Kostner, il senso dell’ospitalità l’hanno nel Dna e – al passo con i tempi

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- captano con attenzione i nuovi trend e le nuove esigenze del turismo internazionale. Dopo aver completamente ristrutturato il ristorante dell’hotel e La Taverna, da sempre punto di ritrovo fra i più frequentati della Val Badia, hanno deciso di introdurre un menu vegano nel ristorante, aperto anche a chi non risiede in hotel, piacevole alternativa agli altri due menu che tradizionalmente la cucina del loro hotel propone agli ospiti ovvero quello altoatesino, del territorio con prodotti a km Zero e quello internazionale e particolarmente raffinato con proposte che spaziano dal pesce ai crostacei. “La maggiore sfida oggi, è infatti quella di proporre un menu che segua questa scelta alternativa, ma che allo stesso tempo riesca a proporre pietanze capaci di mantenere, se non incrementare, il piacere di mettersi a tavola” spiega Franz Kostner, vegano egli stesso come la sorella Silvia. E continua: “Spesso la cucina vegana viene, a torto, associata ad un’alimen-

TAGLIATELLE

di zucchine con crema di mandorle e spinaci

INGREDIENTI per 2 persone

PROCEDIMENTO

g. 100 di crema di mandorle bianca

dorle con l’acqua minerale. Pelare e tagliare finemente le ci-

g. 200 di spinaci giovani

ml. 150 di acqua minerale 2 piccole cipolle rosse 2 spicchi d’aglio

8 pomodorini essiccati sott’olio g. 30 di nocciole tostate 8 zucchine

6 cucchiai d’olio d’oliva 1 pizzico di curcuma sale marino iodato pepe nero

Lavare e centrifugare gli spinaci. Mescolare la crema di manpolle e gli spicchi d’aglio. Sgocciolare e poi tagliare finemente

i pomodorini essiccati. Tritare le nocciole lasciandole a pezzi

piuttosto grossi. Lavare le zucchine e tagliarle con un affettaver-

dure a spirale per ricavarne le tagliatelle. Riscaldare l’olio d’oliva in una padella e soffriggervi le cipolle insieme alla curcuma per circa 2 minuti. Unire l’aglio e soffriggere l’insieme per altri

2 minuti. Aggiungere poi la crema di mandorle e gli spinaci e scottare gli ingredienti mescolando per 1-2 minuti. A piacere

condire con sale e pepe macinato. Togliere dal fuoco. Condire le tagliatelle di zucchine con un cucchiaio d’olio d’oliva e un

pizzico di sale, mescolarle alla crema di mandorle e spinaci e scottare il tutto per circa 1 minuto. Cospargere le tagliatelle con le nocciole e servire.

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MILLEFOGLIE

di melanzane con pesto alla rucola

INGREDIENTI per 4 persone 20 fette sottili di melanzana 40 pomodorini ciliegia g. 30 di cipolla

g. 100 di salsa di pomodoro 1 spicchio d’aglio g. 200 di rucola g. 40 di pinoli

tazione noiosa e povera di sapori. Sperimentando i nostri cibi, invece, si scoprirà un mondo fatto di gusto e di grande varietà di alimenti, tale da garantire ogni giorno menu diversi, appetitosi, fantasiosi, oltre che salutari. L’ho studiato per mesi con i nostri chef e devo dire che sta riscuotendo un grande successo.” Ecco quindi che, nel contesto di una cena, si parte con un bel buffet di verdure in entrata. Poi spazio alle saporite vellutate (di patate con olive taggiasche e olio d’oliva novello, ai pomodori Pachino con pesto al basilico o tiepida al melone con olio al lime) e ai primi piatti golosi e colorati, come bulgur paella allo zafferano con peperoni, piselli e coriandolo; risotto ai mirtilli con dadolata di porcini; spaghetti con verdure novelle; rotoli di quinoa con fiori di montagna. Si sperimentano quindi i secondi che vedono protagonisti il tofu, semplice o marinato, le verdure e i le-

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olio extravergine d’oliva sale e pepe

PROCEDIMENTO

Cospargere di farina le fette di melanzana, friggerle e poi farle sgocciolare per bene.

Tagliare i pomodorini in quarti, tritare la cipolla e l’aglio, rosola-

re brevemente nell’olio e poi aggiungere la salsa di pomodoro

e i pomodorini tagliati, così da ottenere una massa compatta.

Iniziare a costruire la millefoglie con lo strato di melanzana in fondo. In mezzo ad ogni strato di melanzana, mettere la massa di pomodorini.

Fatto questo, introdurre in forno a 110°C per circa 20 minuti. In-

serire la rucola, i pinoli, l’olio d’oliva, il sale ed il pepe in un mixer finché risulterà finemente tritata. Per servire, stendere il pesto al lato della millefoglie e guarnire il tutto con foglie d’insalata riccia.


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gumi, fra un tortino di melanzane trifolate con formaggio vegano, i vermicelli con germogli di verdure in salsa alla soia e le polpette di lenticchie con verdurine, su spinaci all’olio d’oliva e purea di patate al rafano. Una gioia per gli occhi, il palato, la salute. Oltre che a venire incontro a una domanda sempre più precisa da parte di chi anche in vacanza non vuole rinunciare alla sua scelta alimentare, il menu vegano arricchisce e completa l’offerta dei programmi Detox e Benessere proposti dalla Wellness Farm dell’hotel. I fratelli Kostner, da sempre attenti agli aspetti naturali del benessere, hanno scelto per i loro ospiti i trattamenti di “benessere scientifico” della MEI, basati sulla sinergia fra

sana alimentazione, prodotti erboristici e movimento per disintossicarsi, riacquistare energia e vitalità psico-fisica, favorire il rimodellamento corporeo. Particolarmente interessante è il Percorso Benessere Mei da iniziare in hotel e proseguire poi a casa. Frutto di anni di studio ed esperienze, insegna a consumare gli elementi nutritivi giusti al momento giusto. La sua efficacia è rafforzata dall’impiego di prodotti naturali, provenienti esclusivamente dalla lavorazione di piante selvatiche, a crescita spontanea colte nel momento balsamico, controllate nei principi attivi e lavorate con procedimenti non stressanti e senza inquinanti. Aperta anche agli ospiti esterni e ideata

secondo i dettami del Feng Shui, la Wellness Farm si sviluppa per circa 1000 m²: linee curve, pochi colori, molto silenzio, è un luogo ideale per rilassarsi e per ritrovare la perfetta forma fisica. In un ambiente minimal etno-chic, discreto e accogliente, i più moderni trattamenti cosmetici si sposano con gli antichi rimedi dell’Alta Val Badia, come i Bagni alpini (bagni curativi di fieno o di segatura di cirmolo), il bagno all’olio fossile Tirolese, l’idromassaggio con bagni al latte o agli oli alpini essenziali. Gli ospiti dell’hotel hanno libero accesso alla piscina con giochi d’acqua e idromassaggi, a saune, bagni turchi, frigidarium e ai percorsi Feng Shui di Fuoco, Acqua, Legno, Metallo e Terra.

Ad ogni aspetto dell’energia corrispondono infatti particolari cicli di trattamento, di differente durata, che ciascuno può fare da solo, con la guida del team della Welness Farm: il fuoco è abbinato al rilassamento, l’acqua al rafforzamento, il legno alla stimolazione, il metallo al riequilibrio, la terra, infine, al ciclo completo.

POSTA ZIRM HOTEL Str. Col Alt, 95

39033 Corvara In Badia (BZ) Tel. +39 0471.836175 www.postazirm.com info@postazirm.com

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RED BRICK

RED BRICK

Via Frassinago 2/c - 40123 Bologna Tel. 051 580950

NUOVO STILE PER IL LOCALE BOLOGNESE E NUOVA APERTURA A CASTEL MAGGIORE (BO) di

da martedì a giovedì 19/23 venerdì 19/24

sabato 12/15 - 19/24

Roberta Filippi

domenica 12/15 brunch - 19/23

Due locali dagli stili diversi ma accomunati dallo stesso obiettivo: offrire alla propria clientela un’esperienza gastronomica curata ed eccellente, ricca di sapori veri, autentici e genuini. Il Red Brick Group creato da Angelo Di Stani e dalla moglie Teresa Barone, coadiuvati in cucina dall’esperienza dell’executive chef Giuseppe Clemente e da uno staff giovane, attento e preparato, si propone di creare una nuova offerta ristorativa di qualità valorizzando la carne, sia bianca che rossa, in ricette originali e curate in cui le location, ognuna con il proprio stile peculiare, accolgono la clientela per un’esperienza gastronomica sempre coinvolgente. La nuova sfida del Red Brick di via Frassinago 2/c (Bologna), che in cucina vede la presenza del giovane chef Andrea Masotti, è creare un percorso degustativo in cui lasciarsi trasportare dal piacere della carne, un melting pot etno-gastronomico ben strutturato, in cui ritroviamo ispirazioni della cucina internazionale, il tutto filtrato da una rigorosa tecnica di chiara impronta europea. Il menu, una vera antologia per car-

© Massimo Gennari

Orari cucina:

RED BRICK - STEAK HOUSE Via Pio La Torre 9c/d

c/o Le Piazze Lifestyle Shopping Centre 40013 Castel Maggiore (BO) Tel. 051 6325586

da lunedì a sabato 12/15.00 - 19/24

© Massimo Gennari

© Massimo Gennari

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Orari cucina

domenica 12/15 brunch - 19/23 www.redbrickgroup.it


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nivori che non dimentica però anche qualche ricetta ben studiata destinata ai vegetariani, propone una scelta di piatti con i più pregiati tagli di carne: dalla tartare di manzo al brunoise di Cervo al controfiletto di Angus che troviamo fra i crudi, al Wagyu Kobe o il Kafta di pecora proposto negli antipasti, fino al coniglio, il controfiletto di Bisonte, la salsiccia di capretto o il maialino da latte laccato che compongono le portate principali. Impronta più informale, invece, per il nuovo locale di Castel Maggiore, il Red Brick Steak House, che sposa la filosofia accogliente della brasserie con un’attenzione puntuale nella scelta gastronomica, caratterizzato da un interior design di spiccata impronta industrial, ricercata e giovane. Nel menu del nuovo locale le carni spaziano fra diversi tagli, provenienze e tipologie cotte non solo alla griglia, per esaltarne al meglio il sapore genuino e le caratteristiche e accompagnate dalle salse preparate artigianalmente. Non manca nemmeno qui un’attenzione per i vegetariani e agli amanti delle birre artigianali non pastorizzate né filtrate selezionate da L.A.B. Libera Arte della Birra.

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BIANCOMANGIARE A FOLIGNO CUCINA SAPORITA DI LIBERTÀ E FASCINO SICILIANO di

Claudia Barale Luca Petrucci

foto di

Una cucina particolare, esercitata da persone particolari, squisite, che sanno aggiungere gusti accessori a tutto ciò che già è di gusto. Una cucina speciale quella di Biancomangiare che protegge, che apre alle contaminazioni buone, che salva anche alcune tipicità rendendole libere di farsi apprezzare per come sono, nel piatto. Una cucina un po’ umbra e un po’ siciliana. Ma soprattutto molto mediterranea. Biancomangiare si trova a Foligno, nel centro storico, ed è un’Osteria/Ristorante familiare di recente fondazione. I suoi creatori sono Maria Andolfo “la cuoca con turbante”, di Alì Terme (Messina), lato ionico della Sicilia, e Nino Calamuneri, suo compagno, fotografo, laureato in architettura, creativo, curioso, di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), del lato tirrenico della Sicilia che guarda le isole Eolie, coadiuvante in cucina e anfitrione mescitore in sala. Il progetto di Biancomangiare nasce per la passione comune dei due verso la cucina, il cibo, i prodotti della terra. Maria ha lasciato il suo posto fisso di impiegata comunale per il progetto Biancomangiare, trascinata a Foligno da Nino che il “centro du munnu” l’ha nel cuore fin dai tempi del militare.

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Con la carica del suo carattere di cuoca matriarca, felicissima indagatrice della natura, Maria predispone i commensali alla sua tavola con le ricette di famiglia e della tradizione siciliana. La cucina di Biancomangiare è senza fronzoli, ispirata dalla memoria, dalle radici, dai sani sentimenti anche verso la terra che lo ospita, che sa garantire il rigore delle stagioni. Soprattutto Sicilia quindi nei piatti semplici, ma non mancano i prodotti principi dell’eccellenza locale. Così nella pasta con le sarde ci trovi lo zafferano di Cascia, nel coniglio e nell’umido di totani la patata rossa di Colfiorito (IGP) e la cipolla rossa di Cannara. Le braciolettine di carne sono di vitellone bianco dell’Appennino centrale (IGP) e gli strangozzi, tipica pasta di qui sono ai sughi e ai ragù di fattura meridionale. L’insalata di couscous è di farro spezzato di Monteleone di Spoleto (Dop) con le lenticchie di Castelluccio (IGP). E nel carrello dei formaggi il Piacentino Ennese è assieme a favolosi caprini di Colforcella di Cascia e il pecorino To-

RISTORANTE BIANCOMANGIARE Via Maurizio Quadrio, 21 06034 Foligno (PG) Tel. +39 0742 351078 / +39 337 1238050 www.biancomangiare.it biancomangiareristorante@gmail.com

scano (DOP). Biancomangiare è un rifugio del gusto a tutto tondo, che ti seduce: un inno all’ arte, alla passione, alle antiche ricette, alla magia, all’amore, all’amicizia. Incasellato in una tranquillissima via del rinato centro storico folignate, al Biancomangiare ti senti bene appena entri: architettura razionale, umile, riconoscibile

nell’impiego di materiali semplici, come anche l’arredamento. Un ambiente curato che ti fa stare a tuo agio e che parla già di cibo dalle parteti, con quadri d’arte e fotografie, dichiarando da subito il carattere di chi lo conduce con grande attenzione per la qualità e per le regole antiche dell’ospitalità.

RISTORANTE BIANCOMANGIARE Via Maurizio Quadrio, 21 06034 Foligno (PG)

Tel. +39 0742 351078 / +39 337 1238050 www.biancomangiare.it

biancomangiareristorante@gmail.com

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GRANDE QUALITÀ DI PESCE ALLA

OSTERIA DI CHICHIBIO DI POLIGNANO A MARE di

Sandro Romano

La novella del Boccaccio che racconta di come Chichibio giustificò la sparizione di una delle zampe della gru che aveva cucinato, ha dato il nome a questo ristorante dove la cucina di pesce raggiunge livelli di assoluta eccellenza. Ma, per non smentire il nome del locale, chiedo scherzosamente a Vito Bianchi, titolare dell’Osteria di Chichibio: “Può accadere che nel piatto ci si ritrovi un polpo con sette tentacoli o un astice con una sola chela?” Mi risponde con decisione: “Nei piatti che proponiamo fortunatamente non manca nulla, anzi. Il nostro pesce proviene rigorosamente dal pescato locale ed è sempre freschissimo, così ogni nostra ricetta ha tutti i sapori e i profumi del nostro splendido mare”. E’ davvero così. I piatti sono gustosi e curati in ogni particolare, il pesce, di grande qualità, si sposa sapientemente con gli ortaggi e gli odori tipici della cucina mediterranea, dando vita a preparazioni di grande appeal come l’aragosta alla catalana o i crostacei in pinzimonio con verdure di stagione, piatti per i quali l’Osteria di Chichibio è diventata meta di numerosi personaggi dello spettacolo che di frequente transitano a Polignano, spesso scelta quale scenario naturale dei numerosi film girati negli ultimi anni in Puglia, dopo la costituzione dell’Apulia Film Commission.

L’AMBIENTE Sono passati di qui e spesso ritornano personaggi quali Riccardo Scamarcio, Bianca Guaccero, Dario Vergassola, Belen Rodriguez, Rocco Papaleo, Niccolò Fabi, Roberto Donadoni, Fabio Volo, Alan Friedman e tanti altri, che hanno lasciato testimonianza del loro passaggio lasciando un autografo sulla parete di mattonelle a sinistra dell’entrata. L’arredamento è sobrio e ricercato al tempo stesso, con una predominanza del bianco e l’inserimento di alcuni pezzi antichi della tradizione rurale come la “capretta” e una bella madia del ‘600, che poggiano su di un bel pavimento fatto di vecchie chianche. Completano la bella atmosfera di questo locale i quadri del pittore barese Gennaro Picinni e le particolarissime lampade dell’artista polignanese Peppino Campanella.

TRA I MIGLIORI RISTORANTI DI PESCE IN PUGLIA La ricercata cucina di pesce è il punto di forza dell’osteria di Chichibio, con antipasti che ricalcano la tradizione tutta barese del pesce crudo, composti da ricci, un ampia scelta di frutti di mare, polpi e allievi, sempre freschissimi. Una vera leccornia per gli amanti del genere sono i curatissimi carpacci, di sarago, scorfano o ricciola, o le tartare di scampi, di tonno, o di gambero viola. Un gustoso viaggio nei

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sapori del mare e della terra è l’antipasto Chichibio, composto da 7/8 varietà di pietanze calde, come il tortino di carciofi con vellutata di carote di S.Vito, particolarissima varietà locale dai colori che vanno dal bianco al viola scuro passando per il giallo, l’arancio, il rosso, oppure il baccalà in pastella, l’involtino di melanzana con ricotta di bufala o la palamita sfilettata in salsa alla menta. Particolari i primi piatti, sempre di pasta fresca, come i tagliolini gamberi, porcini e zucchine, i paccheri ai frutti di mare e bottarga, la calamarata alle vongole veraci, peperoncino, pinoli e pistacchi di Bronte. Tra i secondi, tutti rigorosamente preparati nel forno a legna presente in sala, vale la pena ricordare il pesce S. Pietro con patate o lo scorfano gratinato, ma regola imprescindibile è che sono i prodotti di stagione acquistati la mattina a ispirare la preparazione del menù del giorno.

I DOLCI Ottima la varietà di dolci a disposizione degli ospiti, tra i quali, gettonatissimi, il tortino alle mandorle e la cialda di frolla

con crema ai frutti di bosco abbinati al gelato di vaniglia, per stimolare il palato con la sensazione di caldo-freddo oppure, d’estate, il semifreddo ai fichi d’India.

PERCHÉ MANGIARE AL RISTORANTE CHICHIBIO Un pranzo completo dall’antipasto al dolce, vini esclusi, ha un costo di 50/55 euro. Importante è la carta dei vini di questo ristorante, curata da Giacomo Bianchi, che si occupa anche dell’accoglienza e

della sala, con eccellenti etichette italiane e francesi e un ampia scelta di vini biodinamici. Completa l’offerta una vasta scelta di distillati pregiati e la lista degli oli, con prevalenza di etichette pugliesi di qualità. Il ristorante serve un totale di 80 coperti con la possibilità di metterne 30 all’esterno nella bella stagione e, pur non disponendo di una linea di lavoro dedicata, rivolge la sua attenzione anche a chi ha problemi di celiachia preparando, all’occorrenza, pietanze senza glutine. Prima o dopo cena, a due passi c’è la magia dello splendido centro storico di questa accogliente città marinara, che ha dato i natali al grandissimo Domenico Modugno e meta imperdibile per chi, scegliendo tra le numerose ottime gelaterie, vuole assaporare un gustoso gelato o il tradizionale “caffè speciale”, da assaggiare assolutamente quando si viene per la prima volta a Polignano a Mare. OSTERIA DI CHICHIBIO   Largo Gelso, 12

70044 Polignano a Mare (BA) Tel. 080 424 04888

www.osteriadichichibio.it

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NEL POTENTINO

MASSERIE DEL FALCO DIMOSTRA CHE LA BASILICATA ESISTE Sandro Romano Giovanni Mastropasqua

di foto di

Regione incredibile la Basilicata, sospesa com’è tra il passato e il presente, forse non ancora – grazie a Dio – troppo orientata al futuro. Nella piana fra le città di Acerenza e Venosa (PZ) sorgono Le Masserie del Falco, uno dei rarissimi avamposti gourmet di questa regione: panorami bellissimi, grandi distese di campi e prati, dolci colline e... il nulla. Il “nulla” è bellissimo. E’ quella sensazione di totale lontananza dalla confusione delle città, dallo stress del quotidiano, una sensazione difficile da descrivere, un nulla che avvolge, che coinvolge, oltre la vista, anche gli altri sensi, in un susseguirsi di sensazioni contrastanti che vanno dallo stupore per la bellezza dei luoghi a quello per l’assoluta insufficienza di indicazioni stradali, dall’affascinante volteggiare dei rapaci alla tranquillità, forse persino eccessiva, di alcuni paesi dell’entroterra. Ma la Basilicata è questa, prendere o lasciare. E’ bella anche nelle sue contraddizioni, lo dice persino, all’inizio del suo film “Basilicata coast to coast”, il famoso attore/ regista lucano Rocco Papaleo: “Va bene, confesso, sono nato in Basilicata. Sì, la Basilicata esiste, è un po’ come il concetto di Dio, ci credi o non ci credi. Io credo nella Basilicata”. Ebbene ci crediamo anche noi, crediamo nel concetto di bellezza incontaminata di questa terra sospesa tra due mari che molto poco - forse troppo poco - ne influenzano l’economia; una regione che ancora non conosce il turismo di massa e che, però,

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proprio per questo motivo restituisce, a chi ha la sensibilità giusta per apprezzarla, sensazioni ineguagliabili. Eppure in questa regione ci sono chicche come il borgo de Le Masserie del Falco, una struttura molto bella, dotata di 28 belle camere, 2 Suite, 3 Junior Suite e 8 appartamenti. Il ristorante Lo Scrigno dei Sapori è ricavato nella vecchia stalla, con pavimenti in chianche, muri in pietra a vista e numerosi elementi in legno antico, con quadri di valore e raffinato gusto appesi alle pareti. Una delle pareti è addirittura un grande pezzo di roccia che testimonia come, anticamente, si tendeva a utilizzare quanto la natura offriva per poi completare il lavoro con l’opera dell’uomo. Molto


MASSERIEDELFALCO

YIN&YANG DI RAVIOLO

Ravioli liquidi di caciocavallo podolico in due consistenze con fragola Candonga top quality e fiori di primavera INGREDIENTI per 4 persone

g. 200 di farina di semola Grano Senatore Cappelli, g. 60 di farina di grano arso, g. 140 di farina tipo “00”, g. 96 di uova, g. 160 di tuorli, ml. 1,5 di olio evo.

Per la sfoglia alla farina di Grano Senatore Cappelli: g. 240 di farina di

bella la porta d’ingresso, massiccia, recuperata a nuovo splendore dopo un sapiente lavoro di restauro. Qui opera Gianfranco Bruno, un vero “cavallo di razza”, cuoco trentenne senza dubbio tra i più interessanti in Italia, vincitore anche della manifestazione “Cuoco emergente del Sud” ideata da Luigi Cremona. Supportato in sala da Mariangela e Aurelio Lamiranda, Bruno è, nonostante la giovane età, molto maturo e capace di esprimere una creatività a volte spinta, a volte più misurata, senza mai stravolgere la materia prima del territorio grazie alla sua notevole capacità tecnica, al solo scopo di esaltare i sapori e giocare con le consistenze e prendendo decisamente le distanze da inutili spettacolarizzazioni. Un giovane talentuoso e concreto, insomma, appassionato di culture orientali che arricchiscono la sua cucina di spezie e aromi, come nello Yin e Yang di raviolo, piatto apparentemente semplice che esprime appieno il carattere e la sua visione gastronomica. La sfoglia, di semola e di grano arso, è riempita con una fonduta di caciocavallo podolico e condita in cinque versioni diverse: mandorle, alice e vincotto, fiori di malva, zeste di arance e fragola Candonga. L’esplosione in bocca di questi scrigni contenenti caciocavallo fuso trasmette cinque esperienze, tutte diverse, in cui la base è la fonduta, ma la di-

semola, g. 160 di farina tipo “00”, g. 96 di uova, g. 160 di tuorli, ml. 1,5 di olio evo.

PREPARAZIONE: impastare tutti gli ingredienti e lasciar riposare i due impasti

per 30 minuti. Stendere le sfoglie nello spessore desiderato e ricavare, utilizzando uno stampo circolare, 24 cerchi di sfoglia chiara e 16 di sfoglia scura. Ri-

empirli con il ripieno di caciocavallo, per il quale si procederà come di seguito. Per il caciocavallo liquido: g. 80 di caciocavallo podolico 16 mesi, ml. 220 di panna fresca, g. 24 di parmigiano reggiano 20 mesi, g. 1,4 di Agar agar.

PREPARAZIONE: portare a bollore la panna, togliere dal fuoco e inserire i

formaggi grattugiati. Mescolare bene e unire l’agar agar. Filtrare e versare il composto negli appositi stampini circolari in silicone. Abbattere di tempera-

tura a -20°C e sformare. Farcire le diverse sfoglie e pressare bene l’estremità della sfoglia.

Per la ricetta: 4 mandorle amare, 2 alici dello Jonio sotto sale, ml. 2 di vincotto di Aglianico del Vulture, 4 cime di finocchietto selvatico, 1 fragola Candonga, zeste di pompelmo candito, fiori eduli.

PREPARAZIONE: lessare in acqua bollente appena salata i ravioli, sistemarli a scacchiera avendo cura di metterne 2 neri e tre chiari in ogni piatto di portata.

Completarli adagiando su ognuno di essi un ingrediente diverso. Sui 3 ravioli bianchi mettere la mandorla, alice e vincotto, zeste di pompelmo.

Completare un raviolo nero con un quarto di fragola Candonga top quality, e

l’altro con i fiori eduli. Dressare il piatto con del caciocavallo Podolico 30 mesi grattugiato.

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GOLAVAGANDO

versità si evidenzia negli abbinamenti, tutti azzeccatissimi. Un gran piatto davvero, quasi elementare nell’ideazione ma tecnicamente raffinato, che da solo giustifica il viaggio. C’è molto altro, però, da assaggiare. Gianfranco, ragazzo semplice dal sorriso aperto e dai modi educati, è cuoco eclettico che sa governare la sua idea di cucina ricca di elementi territoriali accarezzati dal misurato utilizzo di spezie e aromi, oppure di prodotti inusuali che, valorizzati da giusti abbinamenti e cotture corrette, spesso riservano piacevolissime sorprese. Una specie di “zen territoriale”, come ci siamo divertiti a definirla. E’ il caso del nido di zucca spaghetto all’aglio e olio, con gazpacho alla fragola Candonga e gelato di piselli, piatto originale che è la conferma della direzione in cui lavora la mente gastronomica di Gianfranco, sempre alla ricerca dell’equilibrio nutrizionale e della leggerezza da esaltare con le acidità, per pulire il palato e donare freschezza. Stessa ricerca con ingredienti diversi per lo splash di gamberi rossi dello Jonio su salsa di mandorle con giuncata e limone del Metapontino, spugna di bietoline e mandorle tostate, in cui il rimbalzo di sapori è, ancora una volta, la principale caratteristica. Il riso Karnak della Piana di Sibari con ostriche e lattuga di mare, confettura di sedano-limone e dragoncello è piatto di non facile gestione, basato su equilibri difficili, in cui le alternanze di gusto si giocano sul filo sottile dei corretti dosaggi. Tra i secondi ho assaggiato un delicato baccalà confit sulla sua maionese, funghi Cardoncelli, fave Tonka e fave novelle e un morbidissimo agnello de La Sellata appena affumicato con chutney di lampascioni al ficotto e gelato allo yogurt, a riprova della capacità che il cuoco lucano ha di sape-

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BACCALÀ

confit, funghi cardoncelli, fave in due consistenze INGREDIENTI per 4 persone

Per il baccalà confit: g. 600 di filetto di baccalà, ml. 800 di olio extravergine di Ogliarola del Vulture, 1 spicchio d’aglio, timo limonato q.b.

Per la maionese di baccalà: proteine del baccalà, olio evo, succo di limone.

PROCEDIMENTO: dissalare il baccalà e ricavarne 4 tranci da 150 grammi. In

una casseruola versare l’olio evo, il timo e l’aglio, quindi portare ad una temperatura di 60°C. Immergere il baccalà e cuocere per 35 minuti. A fine cottura

del baccalà, raffreddare l’olio e filtrare avendo cura di separare la parte bian-

ca (le proteine del baccalà); emulsionare queste ultime con l’olio e qualche goccia di succo di limone.

Per il guazzetto di fave novelle e funghi cardoncelli: g. 50 di fave novelle

sgusciate, sale fino q.b., ml. 100 di brodo vegetale, g. 150 di funghi cardoncelli, 1 spicchio d’aglio, g. 25 di olio evo.

PROCEDIMENTO: scottare i funghi cardoncelli con uno spicchio d’aglio in camicia e del timo; aggiungere il brodo e lasciar cuocere per qualche minuto

aggiustando di sale. A parte sbollentare le fave novelle e sgusciarle, quindi tenerle da parte.

Per completare la ricetta: g. 10 di fave Tonka, guazzetto di fave novelle e funghi cardoncelli, baccalà confit, maionese di baccalà, fiori di malva.

PROCEDIMENTO: al centro del piatto disporre il baccalà confit, versare con

delicatezza il guazzetto di funghi e le fave novelle, adagiare qualche goccia di maionese di baccalà e completare con le fave Tonka tritate. Decorare con petali di fiori di malva.


MASSERIEDELFALCO

re valorizzare sia il pesce che la carne, in questi due casi interpretandole in chiave delicatamente agrodolce. Complesso ed elegante il dessert cioccolato e fiori, composto da brownie e noci, gelèe di cioccolato, fiore di zucca cristallizzato, salsa al karkadè e sorbetto alla lavan-

da, un dolce ancora una volta perfettamente in linea con il suo pensiero. Chiusura con un divertente vassoio di piccola pasticceria: ovis mollis alla confettura di pere cotogne; Cremino al cioccolato e lemon curd; Cantuccio al vincotto e mandorle; Zenzero candito al cacao. Non sappiamo davvero se la Basilicata è pronta per una cucina così fortemente caratterizzata ma allo stesso tempo fortemente legata al territorio seppure in chiave decisamente personale e moderna; ma di una cosa siamo assolutamente sicuri, e cioè che sentiremo parlare di questo trentenne.

MASSERIE DEL FALCO

Contrada Reddito degli Angeli 85023 Forenza (PZ) Tel. 0971 773867

www.masseriedelfalco.it info@masseriedelfalco.it

SPLASH!

di gambero rosso

Nudo di gambero rosso dello Jonio, giuncata e limone del Metapontino, salsa di mandorle e soffice di bietoline

INGREDIENTI

20 gamberi rossi, g. 50 di giuncata.

Per la salsa di mandorle: g. 50 di mandorle pelate, g. 30 di mollica di pane, ml. 30 di brodo vegetale, aglio, ml. 2 di succo di limone.

Per la spugna: g. 40 di bietoline a purea, g. 80 di uova, g. 4 di amido di mais, g. 2 di farina “00”, g. 1,5 di baking. PROCEDIMENTO

Mettere in ammollo le mandorle pelate in acqua per 1 ora; frullarle, passarle

al setaccio e metterle da parte. Sgusciare i gamberi rossi e porli in un bagno di acqua salata al 35%. Nel frattempo aggiungere in un contenitore le bietole

già sbollentate con il resto degli ingredienti; frullare e setacciare. Riporre il composto in un sifone e aggiungere 2 cariche di azoto. Lasciar riposare per 50 minuti, poi sifonare il composto in un bicchiere e cuocere a microonde per circa 40 secondi. Porzionare a piacere.

In un piatto di portata disporre la salsa di mandorle, adagiare i gamberi rossi, affiancare ad ognuno la spugna alle bietole e completare con le zeste di limone candito e le mandorle tostate.

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GOLAVAGANDO

A MILANO DA

MAMMA ROSA LA CUCINA È SEMPRE APERTA Si diffondono profumi di novità dalle cucine dell’Osteria Mamma Rosa, l’elegante ristorante nel cuore di Milano, a pochi passi dal centro e dal quadrilatero della moda. Come da sua abitudine, Valerio Stumpo, executive chef del locale, ha appena rinnovato il menu adeguandolo alle offerte della primavera. «A ogni cambio di stagione siamo soliti inserire nelle ricette base i prodotti che la natura porta con sé, in una carta che si basa sulla freschezza delle materie prime, oltre che sulla loro qualità», spiega Stumpo. «E la primavera regala molti ingredienti nuovi, soprattutto prodotti della terra e vegetali che permettono nuovi abbinamenti per una proposta gustosa, completa e varia».

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Il tutto senza tradire la vocazione verso la cucina italiana in generale, vera caratteristica del ristorante che sa muoversi con classe tra i vari piatti che hanno reso famoso nel mondo il nostro Paese. La carta abbina ricette di terra e proposte di mare in un’offerta davvero completa. Tra i primi, ad esempio, gli ospiti possono spaziare dai gustosi spaghetti all’astice e pomodorini di Pachino ai raffinati ravioli d’oca con leggera crema di fonduta o alla delicata zuppa di verdure con dadolata di pane profumato all’olio di timo. Le portate di pesce dipendono da quanto di meglio offre giornalmente il mercato ittico: come non lasciarsi tentare da un invitante filetto di San Pietro in casseruola con carciofo spina e porro al vin santo? Per chi preferisce il classico, il branzino (di mare, non di allevamento!) al sale o alla griglia o un fritto misto pastellato accompagnato da un mix di verdurine non tradiscono mai. Una chicca? La tagliata di tonno scottata al sesamo su

OSTERIA MAMMA ROSA

Piazza Cincinnato 4 - 20124 Milano Tel. 02 29522076 Fax 02 20245592

www.osteriamammarosa.it info@osteriamammarosa.it

letto di cipolla rossa di Tropea in agrodolce merita, da sola, una visita all’Osteria Mamma Rosa. Le pietanze a base di carne non sono meno attraenti: golose fiorentine (di scottona, di chianina), costate e tagliate si alternano a piatti ricercati come il filetto di fassone al vino dolce toscano (Antinori) profumato al pepe Szechuan su letto di carciofi leggermente scottati. Se tanta offerta non dovesse bastare, per i palati più esigenti o difficili la cucina riserva un trattamento speciale: è possibile, infatti, ordinare il proprio menu e, compatibilmente con la disponibilità degli ingredienti e con i tempi di lavorazione, ritrovarselo servito al tavolo. «Ma il “fuori menu” lo accettiamo anche quando l’ospite è già seduto a tavola», assicura Stumpo. «Qualunque cosa egli gradisca, noi gliela facciamo». La cucina dell’Osteria Mamma Rosa è attiva dalle 12.00 alle 24.00 con orario continuato, secondo un’abitudine internazionale che in Italia non è ancora troppo diffusa. Pertanto, è possibile sedersi a tavola a qualsiasi ora e avere a disposizione l’intero menu del locale senza limitazione di sorta, indipendentemente dall’orario. Vanto dell’Osteria Mamma Rosa è anche una cantina/ enoteca ricchissima: sono oltre mille le etichette disponibili, con alcune rarità di grande pregio (come l’Amarone Quintarelli annata 1997 e il Masseto del 1987), senza tralasciare gli Champagne più pregiati da centellinare al piano inferiore del locale, in una lounge dedicata che permette di cenare o trascorrere piacevoli momenti after dinner con musica d’ascolto live, proposta da artisti diversi a rotazione.


LOCHEF Vincenzo Cammerucci Lo scriviamo da anni perché lo conosciamo bene da sempre: Vincenzo Cammerucci è stato ed è uno dei più grandi talenti della cucina italiana. La sua impeccabile manualità, l’elegante tensione creativa, l’originalità delle sue proposte, ne hanno sempre fatto un esempio per tantissimi colleghi di ieri e di oggi e costituiscono una certezza per gli ospiti che costantemente affollano il Camì, raffinato ristorante di campagna con grande orto, nel ravennate.

Ravioli con canocchie e topinambur La classe si vede dai dettagli e si assapora ad ogni boccone. I ravioli con canocchie e topinambur hanno tutto ciò che un piatto perfetto deve avere: intensità e delicatezza dei sapori, equilibrato contrasto tra la morbida carnosità del raviolo e le croccanti chips di topinambur. Il fondo con canocchie nel loro brodo ne sublima l’insieme.

ILPIATTO


C CKTAIL... a cura di

Daniele Briani foto di

StudioGraf IL BARTENDER

Charles Flamminio Bartender mixologist Belludi 42 Riccione LO CHEF

Fabio Drudi “Curiosità, passione e tenacia sono gli ingredienti dei miei piatti”

POMODORO WINE cl. 3 di vino rosso

5 gocce di Tabasco

o salsa Worcestershire (2 splash) cl. 12 di pomodoro

1 pizzico di sale rosa

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Dal pre dinner all’after dinner, nasce un nuovo modo di giocare tra solido e liquido. L’alchimia del bere miscelato sposa la cucina con sapori che rimbalzano dall’una all’altra preparazione, in una esperienza sensoriale pienamente coinvolgente.

PANINI E PANZANELLA INGREDIENTI

Per la panzanella: g. 400 circa di pane to-

semola, g. 10 di sale, g. 10 di lievito di birra,

tenere di sedano, 6 pomodori Pachino, olio

Per i panini: g. 350 di farina 00, g. 150 di g. 285 di acqua, g. 25 di olio extravergine d’oliva.

scano raffermo, 1 cipollotto fresco, 3 coste extravergine d’oliva, aceto di vino, 1 cetriolo, basilico, sale, pepe.

PREPARAZIONE

PREPARAZIONE

aggiungere il lievito di birra, l’acqua con il

con acqua e aceto. Lavare e tagliare le ver-

In una planetaria inserire le farine mescolate, sale e l’olio. Impastare.

Formare dei panini di 30 grammi e lasciarli lievitare. Cuocere in forno a 175°C per 12 minuti circa.

Tagliare il pane in piccoli pezzi e bagnarli

dure in piccoli pezzi, aggiungerle al pane e aggiustare di olio, sale e pepe. Tagliare i panini, svuotarli e riempirli con la panzanella. Guarnire con un foglia di basilico fritto.

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M

NDO

chef

CUOCOMERCATO

L’IMBUTO STA TRACIMANDO

LUMA ACCESA PER BIAGIOLA

Al vulcanico Cristiano Tomei un ristorante solo non basta più: il suo Imbuto sta tracimando in una nuova avventura, sempre a Lucca. Manca ancora il nome sull’insegna, ma il concept prende forma: si tratterà di un laboratorio polifunzionale, finalizzato alla condivisione di idee ed esperienze, aperto a qualsiasi contributo. Al primo piano si affacceranno professionalità differenti, da Lido Vannucchi, fotografo, a un giovane arrotino: la piazza ideale per uno scambio di idee. Mentre al piano terra avrà sede la grande cucina, estesa su 250 metri quadrati. Passeranno sui suoi fornelli alcune preparazioni per il ristorante gastronomico, un po’ sacrificato negli spazi, ma anche le ricette degli eventi, con tanti cuochi ospiti, e le conserve confezionate con eventuali eccedenze di contadini amici. In futuro ci sarà forse anche una scuola e quasi sicuramente un’osteria, anzi una vera osteria, con i salumi confezionati insieme a Michelangelo Masoni e formaggi cagliati dall’amicizia.

Accasato anche Michele Biagiola, che ha lasciato in eredità alla sua rodata brigata le Case di Macerata. Opererà presso la Luma di Montecosaro, ribattezzata “Dio te ne ringrazi”, dove proseguirà il lavoro intrapreso sul vegetale e sulla tradizione italiana.

ROMA ASPETTA PANERO Enrico Panero lascia il Da Vinci di Eataly Firenze, che si trasformerà in un temporary restaurant, utilizzato per la staffetta fra ristoranti e trattorie della regione. Punta su Roma, zona Prati, dove ha ricevuto un’offerta imperdibile.

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BARTOLINI PIGLIATUTTO Abbassati i sipari su Expo, non è finito l’effetto Milano. Ed Enrico Bartolini fa l’asso pigliatutto: dopo avere rilevato il bergamasco Gourmet, ampio e suggestivo locale in città alta dove proporrà la sua cucina “classico-contemporanea” a prezzi accessibili (i due menu degustazione costeranno 45 e 70 euro, in un’atmosfera Casual, come recita il nome sull’insegna), si prepara a trasferire nel capoluogo lombardo le sue creazioni più esclusive, puntando alle tre stelle. Opererà presso il Mudec, Museo delle Culture, in via Tortona, affiancando al ristorante il bar bistrot; con lui il secondo di sempre, Remo Capitaneo.

TAGLIENTI VEDE IL LUME In dirittura d’arrivo anche Luigi Taglienti, che indosserà per la prima volta le vesti di chef patron presso il complesso ex Richard Ginori sul Na-

viglio grande. Il suo Lume sarà parte integrante del più ampio progetto urbanistico della società californiana MB America. L’interior design, firmato Monica Melotti, prevede una cucina a vista dentro un suggestivo cubo di vetro; per gli ospiti saranno disponibili due menu e una carta.

LA TROMBETTA DI MORELLI Giancarlo Morelli infine si prepara a lanciare il suo spin-off: la Trattoria Trombetta, locale moderno affacciato sull’antico Lazzaretto, in via Lecco, dove verranno servite le specialità lombarde in un’atmosfera rilassata.

COCKTAIL MARTINI Se Milano ride, Roma non piange. Soprattutto grazie a Marco Martini, che indosserà presto la toque dello chef patron, dismettendo la formula bistronomica in favore del gastronomico puro. Il suo sarà un ristorante classico ma giovanile, dove proseguirà il lavoro intrapreso, compreso l’abbinamento con i cocktail. Con lui tutta la brigata della Stazione di Posta, di sala e di cucina, insieme alla compagna Paola Apollaro. “Un locale proprio rappresenta la massima realizzazione per un cuoco. Ma la cucina non cambierà: abbiamo già un menu pronto con piatti nuovi, segnati da una maggiore presenza di vegetali ed erbe aromatiche, perché ho più tempo per ricercare e lavorare sui dettagli. Andrea Farletti sta costruendo da zero la carta dei vini, puntando


a cura di Alessandra Meldolesi

Lettere al Direttore... sui piccoli produttori anziché sui blasoni. Perché sarà un ristorante gastronomico in senso classico, ma aperto ai giovani anche nei prezzi. I menu degustazione saranno due: da 5 portate a 70 euro e da 7 a 90. Porterò anche qualche classico, come il merluzzo, patanegra e arancia amara e i ravioli al vapore. I coperti saranno una cinquantina, con la possibilità di fare banchetti ed eventi e una proposta più veloce e informale a pranzo, coerente con la domanda della zona”.

LANDI SOGGIORNA AL PLAZA Luca Landi e il patron Salvatore Madonna hanno scelto di far planare in Versilia il loro Lunasia, su una terrazza con panorama mozzafiato: quella dell’Hotel Plaza e de Russie di Viareggio. Cucina che vince non si cambia, però, come la squadra, che si prodigherà tutto l’anno. L’inaugurazione è caduta il 2 aprile: “Offriremo ospitalità, calore e prodotto, con la cucina che ci rappresenta e nuovi inserimenti di classici della tradizione locale e italiana, un’attenzione particolare al momento del pranzo con l’informalità che questo servizio può richiedere, proponendo ciò che in questi anni ci ha fatto eccellere: la pasta fresca di Angelo Paracucchi, il gelato campione del mondo 2009, la cucina alla lampada fatta direttamente al tavolo, le ricette di carne nate dalla classicità appresa in Francia e soprattutto l’eccellenza senza compromessi del pescato del nostro mare”.

EMILIA-ROMAGNA IN FERMENTO Luca Gardini insieme allo chef Marcello Leoni ha inaugurato il suo locale a Forlì, Casa di Mare, nei pressi del Museo San Domenico. Ma ci sono novità anche a Bologna: il nuovo locale della famiglia Bartolini si collocherà in Piazza Malpighi e nel filone del gran fritto, con un numero di coperti a tre cifre. Mentre a Modena Irina Steccanella e Giuseppe Palmieri traslocheranno il loro Lino da Rua Freda in Calle di Luca, dove sono già iniziati i lavori per trasformare quello che era un bar in un equipaggiato ristorante, dotato di una cucina professionale dove si affaccenderà anche una sfoglina in pianta stabile. La carta affiancherà prove più italiane alle specialità emiliane, come tortellini e tagliatelle; prevista anche la vendita di pasta fresca da asporto. In sala la bella moglie di Palmieri, Gabriela Nuta.

Cucina forzata Oggi tutto va veloce, tutto freme, tutto brucia in pochi secondi. Quando sei alla fine della realizzazione di un progetto devi già avere pronto, almeno nella tua mente, il prossimo obiettivo fin nei minimi dettagli per metterlo subito in pista, sennò sei già in ritardo. Questi concetti cozzano, e non poco, con i tempi della buona cucina che dovrebbe essere fatta, di norma, di tempi lunghi, pazienza, amore. Ma quanto la mente di un cuoco professionista può essere tranquilla per esprimere ciò che davvero vuole, o quanto invece è messa sotto pressione, spremuta in maniera forzata, per partorire novità alla velocità che il mercato richiede? E anche nell’ipotesi che la forzatura sia davvero importante, il risultato finale sarà davvero il frutto della volontà, del piacere, del genio? Non è forse eccessiva la pressione del mercato, sia per velocità che per richiesta qualitativa? Capita spesso anche a me di pensare ricette per “spingere” un determinato prodotto o perché i tempi e la stagionalità dei menù richiedono un cambiamento forzato. Così ti trovi a non poter magari riproporre una ricetta dell’anno prima solo perché il mercato richiede novità!! Noto sempre di più che alla fine, tuttavia, le ricette che colpiscono e rimangono sono quelle nate da una intuizione venuta senza forzature, dettate da un incontro, un assaggio, un libro, una conversazione… In verità, se si ha davvero qualcosa da dire e da esprimere, si riesce a farlo pienamente solo dando sfogo alla propria creatività in un ambiente che ha tempi e modi ben precisi, che non sono quelli della società e del mercato. Purtroppo andare alla propria velocità è un lusso che pochissimi possono permettersi, ma che ognuno di noi si meriterebbe. Massimo Poli La Taverna dei Poeti - Capoliveri (LI)

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Buone Nuove

le novità del mese

VALFRUTTA LANCIA LA NUOVA LINEA DI LEGUMI ITALIANI BIOLOGICI

BN

I Legumi BIO Valfrutta sono un concentrato di benessere che restituisce al palato il piacere degli antichi sapori semplici e veri, per un’alimentazione sana e bilanciata, senza ingredienti o derivati di origine animale (con certificazione VeganOK). La linea di Legumi BIO Valfrutta comprende • • • •

I FAGIOLI BORLOTTI dal sapore ricco e dalla consistenza corposa; I CECI ottimi per preparare piatti bilanciati, dal sapore rustico, ma molto efficace, con un elevato apporto nutrizionale; I FAGIOLI CANNELLINI dalla consistenza tenera e dal sapore delicato; LE LENTICCHIE dal sapore pieno ed intenso sono fonte di fibre e proteine, con un basso contenuto di grassi e zuccheri.

KNORR PROFESSIONAL UNA BASE ALL’ALTEZZA DEI PROFESSIONISTI DELLA CUCINA

BN

Knorr Professional è la prima linea completa di brodi, fondi e demi-glace preparati esclusivamente con ingredienti accuratamente selezionati per rispondere alle esigenze dei professionisti in cucina. La linea Knorr Professional garantisce un gusto autentico e una consistenza naturale in quanto è prodotta seguendo lo stesso processo che lo chef realizza in cucina per preparare le sue basi in modo tradizionale, solo in larga scala. Basta guardare l’etichetta: non c’è nessun ingrediente in meno e nessun ingrediente in più, nulla di artificiale, solo le migliori materie prime. Molto più che semplici prodotti quindi, ma veri e propri ingredienti per realizzare piatti di prima qualità. Sette le specialità Knorr Professional con cui realizzare infinite ricette: 3 brodi in gelatina (Manzo, Pollo e Verdure); 3 fondi (Bruno, Chiaro e Fumetto di Crostacei); 1 demi-glace. Tutta la linea è: senza glutine, senza glutammato, senza conservanti, senza coloranti, senza aromi artificiali, senza grassi idrogenati.

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I ristoranti

on

Trésor

Scopriamo insieme quali sono i locali che racchiudono piccoli grandi tesori...

Ogni ristorante, locanda o trattoria, famosa o meno, può vantare il proprio “Mon Trésor”, un personalissimo tesoro fatto di attenzione per i dettagli, cura dei propri ospiti, professionalità in cucina e in sala.

golavagando montresor di

Daniele Briani

A RIVA DEL GARDA

NO NAME HA UN’IDENTITÀ PRECISA

No Name, nessun nome, ma sicuramente un’identità certa che il locale si è creato in sedici anni di attività. Tutto ebbe inizio all’alba del terzo millennio quando il quindicenne Manuel Amistadi entrò nel business di famiglia come parte integrante dello staff del nuovo locale. Nuovo in tutti i sensi, perché sia il locale che la famiglia erano completamente vergini del settore nel quale andavano a cimentarsi. Immerso nella responsabilità di un’attività imprenditoriale mediata dalla freschezza e vitalità giovanile, in Manuel è maturata la consapevolezza che quella del locale serale era la sua strada e, una volta completati gli studi alberghieri di rito, ha cominciato a plasmare la sua creatura portandola a essere uno dei locali di riferimento della costa Gardesana. Il No Name apre ogni anno i battenti a Pasqua, quando le giornate al lago cominciano ad allungarsi e s’inizia dalle colazioni, dirimpetto al sole che sorge illuminando la riva nord del lago di Garda. Se il mattino ha l’oro in bocca, è dalle sei di sera che il locale dà il meglio di se. Un cambio di pelle che rivela la simbiosi tra Manuel e la sua creatura, dove la fantasia e la creatività si misurano nei

Noi abbiamo individuato alcuni di questi “Mon Trésor” e li segnaliamo nelle prossime pagine... Lo staff del Pub No Name: da sinistra, Ivan, Giada, Daiana e Manuel Amistadi.


ILLUSION

NO NAME CRU

Bitter Montresor; Tequila 99000 horas; mirtilli; pompelmo; succo di lime fresco; Bitter all’arancio; Bitter al cetriolo.

Bitter Montresor; Tovel Gin (TN); olio extravergine d’oliva dop del lago di Garda; rosmarino e due foglie di basilico sia nello shaker che come guarnizione; orange bitter; tonica Tassoni; 2 mirtilli e 2 fette di mela della Val di Non sia nello shaker che come guarnizione. Bicchiere: tumbler alto.

Bicchiere: tumbler basso.

PARADISE Bitter Montresor; Trento doc Wallenburg (TN); Aperitivo Valentini (TN); marmellata di Arance amare (TN); 3 pezzi di pompelmo fresco. Bicchiere: da vino.

novanta cocktail da gustarsi all’aperto, comodamente seduti a osservare la luce del giorno spegnersi al di là del bacino lacustre. “La fantasia al potere”: uno slogan di calcistica memoria che ben indentifica la personalità di Manuel e dei suoi cocktail, perché pur nel rispetto delle regole auree dell’Aibes, lui lascia libero sfogo al suo estro. In fin dei conti, fu proprio questo contatto diretto che la figura del barman aveva con la clientela ad affascinarlo da giovane e a indirizzarlo verso questo percorso lavorativo; fu proprio la possibilità di cogliere l’essenza di una personalità o di uno stato d’animo per poi trasformarlo in un gusto da bere, che ne ha fatto un barman. Moltissimi gli spirits che compongono il menù: più di quaranta whiskey, altrettanti Gin e numerose Vodke, Vermuth e Tequile. Non mancano poi le eccellenze, tra le quali spiccano alcuni prodotti trentini che lui ama utilizzare per dare un tocco di regionalità alle sue ricette. Per gli amanti del vino, la carta offre molti

prodotti locali in rapida rotazione per rinnovare costantemente l’offerta anche al cliente abituale. Tra le bollicine, oltre allo Champagne, si predilige il Trento doc anche per la miscelazione di alcuni cocktail. Uno staff giovane, entusiasta e simpatico anima l’ambiente perché in mancanza del nome, il No Name ha sicuramente uno spirito che lo identifica.

PUB NO NAME

Piazza Catena - Riva del Garda (TN) Facebook: bar non name

Il Mon Tresor è... IL COCKTAIL SU MISURA Potrebbe sembrare una diceria o uno specchietto per le allodole, invece il cocktail “assicurato” è una realtà. Capire lo stato d’animo di una persona e comporre un cocktail ad hoc per quel momento equivale a saper cogliere l’attimo. Cosa ci può essere di più esaltante per un artista del bere miscelato? Potrebbe sembrare presuntuoso e quasi arrogante, oppure limitante per il cliente che magari vorrebbe solo un classico. Nessun timore: se non piace, il cocktail è assicurato, perché potete averne uno classico senza sovrapprezzo, ma se piace, quel cocktail è solo il vostro...

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golavagando montresor di

Daniele Briani Fabio Staropoli

fotodi

RISTORANTE

NUOVO 900

SUL GARDA UNA CUCINA DI TRADIZIONI REGIONALI DIVERSE Contaminazione? E che contaminazione sia! Di quella genuina, semplice, verace che non lascia spazio all’estremo progresso gastronomico, ma si fonda sulle tradizioni familiari umbroromano-trentine. Lucio Toccoli nasce a Terni, ma all’età di un anno è già sulla sponda bresciana del lago di Garda, trasferitosi a Limone con la famiglia che gestisce una farmacia nel comune gardesano. Manco a dirlo, in casa cucina la mamma, anche se il papà si cimenta spesso ai fornelli con ot-

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timi risultati. Per Lucio la scuola dei sapori e delle tradizioni familiari, già contaminati da quelli trentini nel focolare domestico, si arricchisce in età adulta dell’esperienza quinquennale nella capitale d’Italia, prima di ritornare in pianta stabile nell’alto Garda dove dà vita all’osteria Lunello in quel di Torbole. Una prima avventura nel mondo della ristorazione che dura sei anni. Il tempo di capire, di crescere, di fare esperienza per poi ampliare i propri orizzonti. Parallelamente a que-

sti accadimenti, a Riva del Garda, nel pieno centro storico, il vecchio ristorante “Faccetta Nera” - chiaramente nato in epoca fascista - vive il suo declino che lo porta alla definitiva chiusura agli inizi degli anni novanta. Un timido rilancio alla sua riapertura nel 2008 lo restituisce alla piazza, anche se per un breve periodo prima di un’altra chiusura. A questo punto i tempi sono maturi perché i due s’incontrino. Nel 2013 riapre il “Nuovo 900” che sotto la conduzione di Lucio ti fa apprezzare


RISTORANTE NUOVO NOVECENTO

Via Gazzoletti, 8 - Riva del Garda (TN) FB Nuovo 900 da Lucio Tel. 0464 567629

la semplicità di una cucina che pesca dalle eccellenze e peculiarità trentine contaminandole con la tradizione della norcineria umbra e di qualche sapore laziale. Il menù offre la prima contaminazione già dall’antipasto con un piatto di affettati misti umbri serviti assieme a un tortel di patate tipicamente trentino. Si prosegue poi con i primi tra cui scegliere i tonnarelli cacio e pepe o gli strangolapreti burro e salvia o i fusilli con la salsiccia umbra. Salsicce che ritroviamo anche nei secondi cotti sulla griglia oppure, se siamo più salutisti, possiamo ordinare una trota delle Dolomiti al cartoccio. I dolci sono tutti fatti in casa, dal tiramisù alle crostate, anche se una menzione particolare va ai biscotti da assaggiare abbinati con il vino dolce. La carta dei vini si compone di circa cinquanta etichette anche qui suddivise tra Trentino, Veneto, Umbria e Lombardia nel rispetto delle

zone di produzione limitrofe. Si possono assaggiare almeno una decina di vini aperti e serviti al calice, sia bianchi che rossi e bollicine. I cinquanta posti a sedere interni si confondono in un misto di moderno e vintage, con vecchi mobili riusati in funzioni diverse da quelle originali e una mise en place da osteria d’altri tempi con tovaglietta in carta paglia a corredo di piatti e posate. Nella bella stagione i quaranta posti a sedere distribuiti nell’antistante piazzetta diventano la sala principale del locale, che si trasforma anche in palco per concerti dal vivo. Ultima frontiera per Lucio sarà quella delle “Tapas Italiane” che prenderà il via nella stagione entrante: un modo diverso per approcciarsi al locale in orari pomeridiani per una tarda merenda o un aperitivo anticipato.

Il Mon Tresor è... I SAPORI DELLA MEMORIA Definire una cucina vintage sarebbe un eccesso, ma definire vintage la filosofia che la genera è più corretto e logico. Effettivamente il filo conduttore che va dall’arredamento alle pietanze conferma l’amore per la tradizione, per i sapori di una volta, generati da semplici materie prime che con i loro gusti diretti e precisi si fondono in un miscuglio di tradizioni interregionali.

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golavagando montresor di

Enza Bettelli

RISTORANTE

DECANTER

AL RAMADA PLAZA MILANO ALTA CUCINA IN UN AMBIENTE DI ELEGANTE DESIGN Lo pensano in molti che, a parte qualche eccezione, nei ristoranti degli alberghi la delusione gastronomica è spesso in agguato. Che piacere potersi quindi sedere in una sala confortevole, scorrere un menu invitante e poi gustare un piatto che è proprio come lo si era immaginato. Dove? Al ristorante Decanter del Ramada Plaza Milano, un ambiente elegante ma senza eccessi, design moderno, colori vivaci ma non aggressivi, comode poltroncine, tavoli a giusta distanza e apparecchiati con informale eleganza. In cucina c’è Andres Martinez, chef colombiano di Cali, 38 anni di cui 18 trascorsi in Italia e molti di questi spesi ad imparare l’arte presso grandi chef, tra cui Claudio Sadler e Andrea Galli. La cucina di Andres segue la tradizione italiana, spesso con

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il tocco in più di un ingrediente che arriva dall’altra parte del mondo, ma senza sconfinare nel fusion. Il Decanter non è, per fortuna, riservato ai soli ospiti dell’albergo e a mezzogiorno è affollato da “esterni” che apprezzano l’atmosfera di accogliente relax e l’ottima cucina a prezzi più che interessanti. La sera, il Ramada Plaza Milano propone l’alternativa della Brasserie, 45 coperti in una atmosfera raccolta e intima. Per il menu della Brasserie i piatti di Andres sono più ricercati, come l’antipasto di carciofi liguri, panzanella scomposta e uovo in camicia, i ravioli di grano saraceno ripieni di Blu di San Magno, da gustare con il cucchiaio per raccogliere il delizioso formaggio che ne fuoriesce, i bonbon di anatra con fegatini, bufala e chutney di


Il Mon Tresor è... UN GRANDE MENU A PICCOLI PREZZI Il menu del Decanter propone per la pausa pranzo piatti appetitosi e delicati, con prodotti freschi di stagione cucinati con mano leggera ma con l’impronta dell’alta cucina. Il menu è sempre diverso e include per esempio risotto con pisellini e code di gamberi, gnocchetti sardi alla contadina, salmone in crosta di sesamo, mousse al caffè e frutti di bosco. A disposizione dei clienti anche un ricco buffet di verdure, focaccia e pizza fragranti e, naturalmente, i dolci di Liza. Inoltre, il mercoledì si può gustare su prenotazione un ottimo sushi. Un piatto da chef costa più o meno come un panino e il coperto è incluso: una magnifica alternativa per chi deve mangiare tutti i giorni fuori casa.

porri e pomodorini. La maga dei dolci è Liza Marquez, filippina di origine ma italiana di adozione, che rende indimenticabili i fine pasto e la prima colazione in hotel. Tutti i giorni, apericena sulla terrazza dell’hotel o nel giardino sul quale si affacciano Decanter e Brasserie, un angolo di verde inaspettato in questa zona di Milano e che comprende anche il piccolo orto di erbe aromatiche di Andres.

DECANTER

Ramada Plaza Milano

Via Stamira D’Ancona, 27 - Milano Tel. +39 02 28854750 www.lhmfood.it info@lhmfood.it

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GOURMETFOOD

A CASTELLAMMARE DI STABIA

PIAZZETTA MILÙ

RAPPRESENTA LA NOVITÀ INNESTATA SULLA TRADIZIONE di

Gianni Di Lorenzo Diego Marinelli

foto di

Se ne stanno accorgendo tutti, critica e pubblico. Ed è un fiorire di commenti positivi unanimemente concordi nel definire Piazzetta Milù una delle belle novità di cui occuparsi con interesse nel territorio fittamente stellato della Campania. Che novità poi non è, visto che la famiglia Izzo gestisce questo ristorante a Castellammare di Stabia da ben 15 anni.

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PIAZZETTAMILÙ

RISTORANTE PIAZZETTA MILÙ Corso A. De Gasperi 23

80053 Castellammare di Stabia (NA) Tel. 081 8715779

www.piazzettamilu.it - emimilu@hotmail.it

Aperto a pranzo e cena. Giorno di riposo: mercoledi e domenica sera. Ferie: variabili MENU DEGUSTAZIONE

48 € (5 portate più stuzzico, predessert e coccole finali) 55 € (6 portate più stuzzico, predessert e coccole finali) Abbinamento vini al calice ad ogni portata: 20 € e 25 € Carta dei vini: 600 etichette circa da tutte le regioni d’Italia e tutte le più importanti regioni estere (soprattutto Francia)

ROMBO Di nuovo però c’è la recentissima e bella ristrutturazione che ha puntato alla realizzazione di un ambiente luminoso su due livelli, con ballatoi in vetro da cui occhieggiano arredi di buon gusto, importanti bottiglie e cassette griffate di cantine prestigiose. Anche nella cucina a vista, curata e ben organizzata, c’è aria nuova con la new entry di Luigi Salomone, giovane chef che ha saputo fare la gavetta intelligente di un quadriennio con Paolo Barrale al Marennà dell’irpina Feudi di San Gregorio, poi con il bistellato Francesco Sposito di Taverna Estia, con Nino di Costanzo ai tempi relativamente recenti del Terme Manzi di Ischia e al Metamorfosi con Roy Caceres. Grazie a loro, la sua preparazione professionale si è dunque attestata su basi solide, ma poi, in modo indipendente, ha saputo avviare il proprio percorso individuale di chef executive, operazione impegnativa in un panorama gastronomico regionale di importante e diffusa creatività. Con un’umiltà che gli assicura quantomeno la stima di tutti i suoi colleghi, ha quindi cominciato a disegnare i tracciati per la strutturazione di piatti che sapessero dimostrare sia la sua capacità tecnica sia sentimentale di descrivere il territorio con uno stile autonomo: ci sembra stia attuando il progetto soprattutto attraverso ricette tradizionali nelle quali istillare la linfa della contemporaneità. E finalmente, malgrado siamo a due passi dal mare, sta costruendo una cucina a più facce che, pur privilegiando proposte di pesce , racconta una diffusa tradizione fatta di ricette realizzate con le carni dei territori circostanti: facendo tesoro di quanto appreso negli anni

e patate su maionese di alici e the verde alla verbena PREPARAZIONE

Scottare 4 filetti di rombo chiodato sulla propria pelle (in modo da conservarne tutti gli oli essenziali) e cuocere 4 minuti in forno 200°C.

Cuocere due patate lesse, schiacciarle e condirle con olio extravergine d’oliva bio aromatizzato con foglie di

limoni essiccate. Nel frattempo preparare una maione-

se con 1 uovo, 100 grammi di olio di semi di soia, 15 grammi di acciughe, 5 grammi di limone e tenere in frigo. Condire un insalatina di erba portulaca (o altra erba

amara) e condire con olio extravergine d’oliva e limone. Adagiare il filetto del rombo al centro del piatto, servire

le patate in quenelle nel lato del piatto e inserire la maionese con dei piccoli ed eleganti punti sul bordo del

rombo, seguendone il profilo. Aggiungere, infine, del the verde alla verbena in polvere e servire.

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GOURMETFOOD

trascorsi in cucine altrui e quasi a rendere omaggio ai suoi Maestri, propone pertanto un piacevolissimo coniglio all’ischitana, ma anche un elegante ragù di agnello di Laticauda, oppure la variazione di maialino nero lucano. In linea con le espressioni culinarie tipiche campane, parlano un dialetto addomesticato anche il baccalà e papacelle napoletane, che risulta essere una variante della classica insalata di rinforzo partenopea, qui con i papacelli (piccoli peperoni tondi) ridotti in crema; la mortadella di mare (ossia il tonno) nell’abbinata storica con pane e fichi, o la sostanziosa mescafrancesca – che è un mix di diverse paste corte gragnanesi di solito utilizzate per la pasta e fagioli - qui invece cotta con ceci bio, ragù di totani neri e polvere di alghe, ovvero tradizione sì, ma con la zampata sorniona di chi ci mette la propria firma.

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PIAZZETTAMILÙ

La cucina senza una sala adeguata avrebbe tuttavia vita breve, perché sta proprio nell’accoglienza amabile e nella capacità di relazionarsi empaticamente con il pubblico, la possibilità concreta di valorizzare ogni proposta dello chef. Fortunatamente qui la sala è ben presidiata da Valerio Izzo che organizza e coordina il lavoro dei giovani camerieri in bianco e nero e da suo fratello Emanuele che è riuscito a creare con competenza una carta dei vini molto interessante, con numerose ragionate proposte locali, ma soprattutto con tante etichette nazionali ed internazionali che rivelano la sua passione di sommelier e l’originalità di molte sue scelte importanti, specie nel caso delle bollicine, in generale , o delle bottiglie di matrice francese, ben custodite nella suggestiva cantina ipogea scavata nella roccia. La gestione familiare di questo ristorante rappresenta un punto di forza da sottolineare, anche perché forte e solare è la presenza di mamma Lucia che, soffermandosi ai tavoli come si addice ad una perfetta padrona di casa, spiega agli ospiti provenienti da fuori regione quante e quali siano le ricette di famiglia, le tradizioni legate alle feste locali che culminano con un’apoteosi di sontuosi dolci

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tipici, i prodotti regionali a volte dimenticati che Piazzetta Milù riporta invece a nuova vita. Le fa da contraltare, ma con una riservatezza del tutto siciliana (lui ha infatti origini palermitane) il marito Michele, già grandissimo pizzaiolo oltre vent’anni fa e ora tenace custode di quel braciere ancora attivo che negli anni passati ha regalato molte soddisfazioni e giusta fama al locale.

LA GENOVESE a modo Mio INGREDIENTI per 4 persone

g. 200 di pasta (formato corto, ideale zito o candela) ammollata per 1 ora in acqua scolata e 1 ora in frigo

Per il ripieno: g. 100 di carne, g. 40 di pane, g. 30 di parmigiano, rosmarino tritato, 1 uovo (meglio se da gallina livornese). PREPARAZIONE

Farcire le candele o gli ziti uno ad uno e tenerli da parte. Preparare

un ragù di cipolla in bianco con olio, limone di Sorrento e rosmarino

selvatico. Per aggiungere gusto alla preparazione, creare una spuma al Provolone del Monaco (o altro formaggio a pasta filata) con 300 gram-

mi formaggio, 150 grammi di panna, 150 grammi di albume. Caricare

un sifone a pressione e cuocere a 66°C in forno ciclo vapore. Calare le candele nell’acqua in ebollizione come una normale pasta, poi saltarle

in padella con fondo di vitello e cipollotto nocerino. Preparare un piatto

fondo con salsa di cipollotto alla base, le candele, impiattarle una sopra l’altra e poi unire la spuma di Provolone del Monaco da bruciare in superficie con un cannellino. Aggiungere limone a bucce e servire.

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PIAZZETTAMILÙ

MAIALINO NERO

in variazione con porro alla brace su chutney di fichi e paprika dolce Estrapolare con un taglio preciso dal

500 grammi di fichi secchi, 100 gram-

un pezzo di 70 grammi circa a bassa

cucchiaio di miele bio, fondo di maiale

maialino la sua pancetta e cuocerne temperatura (68°C) per 12 ore con un pizzico di sale.

Scalzare una costina dall’intero carré e rosolarla in padella a fuoco medio con burro francese, rosmarino e aglio.

Creare una terrina con i tagli secondari

dell’animale (testa e piedi del maiale) con finocchietto selvatico ed arancia, condendo con sale ed olio extravergine d’oliva e friggerla a 180ºC. Nel frattempo prepara-

re una brace calda a carboni e cuocere un porro spesso e tenace.

Preparare un chutney mescolando 150

grammi di porro, 500 grammi di aceto,

mi di acqua, 100 grammi di zucchero, 1 all’aceto.

Prepare il piatto con la variazione dei tre pezzi cucinati, adagiare la terrina sul chutney ed il porro croccante in abbinamento alla pancet-

ta; aggiungere, nel bordo del piatto, germogli di senape e paprika dolce e terminare la preparazione col fondo dello

stesso maialino.

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UNA INTENSA GAVETTA PER

ALESSANDRO PANICHI ORA AUTORE DI QUALITÀ A BOLOGNA di

Alessandra Meldolesi foto di Bob Noto

Non sarebbe forse l’incipit migliore per un pezzo, la consueta geremiade su quanto sia stata avara fino a poco tempo fa la piazza di Bologna, forse la più statica tra le grandi città italiane. Sta di fatto, tuttavia, che ci sono voluti quattro anni affinché il coperchio pesante del silenzio cominciasse a sollevarsi dalle pentole di Alessandro Panichi, instancabile nel resort della famiglia Caselli a Borgo Panigale, passato il ponte sul Reno e uno stillicidio di semafori severi. Alle spalle il brulichio cementizio dell’abitato, in una periferia quotidiana senza troppe pretese; di fronte lo srotolarsi verde dei prati, che pian piano ingaggiano la loro dolce risalita sui colli. La location si incunea nella cerniera fra due realtà cittadine e la percorre in entrambi i sensi, un po’ natura e un po’ metropoli, anche se l’edificio è soprattutto storia. Risale alla fine del XVI secolo, infatti, Villa Aretusi, residenza del pittore tardo rinascimentale, il cui nome è giunto ai poste-

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ri sulle antologie e sulle guide turistiche, sotto le riproduzioni degli affreschi nella cattedrale di Bologna. Né manca qualche ritratto che ce lo restituisce nella sua presenza austera, con i mustacchi e il pizzo d’ordinanza, così simili a quelli dello chef che oggi percorre i suoi stessi ambienti. Le camere sono una decina, più gli spazi per gli eventi e i congressi. Laddove si immaginerebbe lo studio del pittore, zeppo di modelle e cavalletti, i tavolini pronti a ricevere gli ospiti della trattoria, al piano terra, e del ristorante gastronomico, al primo piano. Si chiama Sotto l’arco, per citare la porta antica e maestosa, sopravvissuta alla recinzione della villa, che ne incornicia la sagoma dalla strada, allontanandola in una dimensione un po’ fantastica, soprattutto quando vi si insinua una nebbia fitta. Un tempo la percorrevano i calessi, rifiniti di paratie dall’immaginazione; mentre oggi vi transitano talento e cultura gastronomica. Perché Panichi è uno dei cuochi più titolati


ALESSANDROPANICHI


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della sua generazione e sul curriculum racconta il romanzo della cucina italiana: da Marchesi a Paracucchi, da Paolo Lopriore al Pescatore. I natali sono a Sarzana, in una Liguria un po’ meticcia, imbastardita dalla vicinanza con l’Emilia e la Toscana, dove lo iodio si stempera nella balsamicità dell’Appennino e accarezza i salumi appesi nelle cantine. “Ma in casa mia non c’era nessuno del mestiere; l’unico che aveva la passione era mio nonno, che si divertiva a cucinare per tutta la famiglia. Sarà stato probabilmente il suo esempio a farmi sognare, tanto che fin da piccolo la mia vocazione è stata chiara. ‘Cosa vuoi fare da grande?’. ‘Il cuoco’. Quindi l’alberghiero e le prime stagioni in giro, fra cui, decisiva, quella al Saraghino di Numana con Massimiliano Emiliozzi e Roberto Fiorini. Il primo posto che mi ha fatto sbattere sulla ristorazione gastronomica, con il suo rigore e i ritmi assurdi di lavoro. Da quel momento in avanti ho avuto un solo obiettivo: Gualtiero Marchesi, che per me era un icona da poster, qualcuno di irreale”.

Lo avvicina con la mediazione di un paio di allievi: prima Antonio Ghilardi del Papillon di Torre Boldone, poi Marco Fadiga alla Pernice e la Gallina. “Un ristorante che ho vissuto come se fosse casa mia: ho iniziato pulendo lo spazio fra le mattonelle con lo spazzolino, in ginocchio, e ho finito per trascorrerci quattro anni, finché un giorno non sono tornato alla carica. ‘Quando mi mandi da Marchesi?’. Così Marco è partito per l’Albereta con una lettera segreta e poco dopo sono stato chiamato”.

BACCALÀ

come fosse alla vicentina...

INGREDIENTI

Per il gelato di baccalà alla vicentina: g. 600 di ritagli di baccalà di

ottima qualità, g. 20 di acciughe, g. 200 di cipolla gialla, g. 50 di parmigiano reggiano, ml. 300 di latte fresco, g. 3 di prezzemolo tritato, sale,

pepe bianco e olio evo q.b., g. 100 di farina 00, l. 1 di olio di oliva (per friggere).

Procedimento: come per la ricetta tradizionale, in una casseruola di coccio, appassire la cipolla con le acciughe in olio evo, aggiungere il

prezzemolo, il baccalà, precedentemente infarinato e fritto in olio di oliva e il parmigiano.

Coprire con il latte, aggiustare di sale e pepe e cuocere in forno preriscaldato a 160°C per 1 ora e mezza. Quando il baccalà sarà pronto,

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A quei tempi lo chef faceva di nome Lopriore: “Un fulmine. Lasciava tutti basiti con le sue illuminazioni”. Tre mesi di stage, un anno di lavoro e glielo scippa un altro rampollo della generazione Marchesi: Silvio Salmoiraghi, “il più bravo sulle carni”. A Parigi, nel suo Lotti, passano sette mesi. Ma fra un’esperienza e l’altra si incuneano altri nomi eccellenti: Filippo Chiappini Dattilo, Enrico Crippa, Carlo Cracco e Matteo Baronetto, perfino Antonio, Nadia e Bruna Santini. I successivi tre anni sono per la Locanda Mongreno, dove con Pier Bussetti conquista la stella e familiarizza con le tecniche spagnole. E ancora la Locanda dell’Angelo, vicino a casa, dove Stefano Paracucchi gli mette a disposizione quaderni e ricettari del padre. “Ricordo che partiva sempre dalla qualità del prodotto: un grande insegnamento”. Il passaggio Sotto l’Arco è datato 2011: per Panichi equivale a un rito di passaggio nel ruolo di autore. All’inizio in continuità relativa con la cucina di Pier Bussetti e le sue pirotecniche avanguardiste, poi con svolgimenti più classici, nei quali riemerge un’impronta mar-

RADICCHIO

canocchia, lampone e bottarga INGREDIENTI per 1 porzione

3 foglie belle di radicchio di Treviso 6 grosse canocchie pulite 3 lamponi freschi

g. 15 di bottarga di muggine di Cabras

ml. 10 di succo di lampone zuccherato al 5%

ml. 10 di aceto di lamponi

(ricavato dalla macerazione per 25 giorni di lamponi freschi in aceto di mele)

g. 0,2 di Xantana

ml. 10 di olio evo

di olive taggiasche PREPARAZIONE

Mettere a marinare le ca-

rinato e cospargere con 5 grammi di

nocchie nell’olio evo per 10

bottarga grattugiata al momento. Emul-

co di lampone per 5 minuti.

di lamponi con la Xantana e metterne una

minuti e i lamponi a marinare nel sucLavare accuratamente le foglie di ra-

dicchio, adagiarvi sopra due canoc-

chie per foglia e nella parte superiore della foglia, mettere il lampone ma-

sionare con l’aiuto di un minipimer l’aceto goccia abbondante per ogni foglia di

radicchio. Il mio consiglio è di mangiare il piatto senza posate, arrotolando la foglia e intingendola nell’aceto emulsionato.

frullarlo e congelarlo in un bicchiere del

l’aiuto di un matterello ad un’altezza di

fresca e l’olio rimanente, aggiustare di sa-

re le porzioni necessarie.

ottenuti a 75°C per 7/8 ore. Successiva-

il colino cinese, caricarla in un sifone da

Pacojet. Al momento dell’utilizzo, pacossa-

Per la polenta soffiata: l. 1 di acqua, g.

350 di farina di mais, ml. 50 di olio evo, sale q.b., l. 1 di olio d’ oliva (per friggere).

Procedimento: in una pentola alta far bollire l’acqua, salarla, aggiungere olio evo, la farina di mais a pioggia e frustare

energeticamente per non creare grumi.

2/3 millimetri e far seccare in forno i fogli

mente friggere in olio d’ oliva molto caldo, in modo che le sfoglie di polenta possano soffiare.

Per la spuma di cipolla: g. 175 di patate

scaldare il sifone a bagnomaria per avere una spuma a circa 45°C.

e pepe q.b.

cio di baccalà (io utilizzo il morro della

A cottura terminata la polenta dovrà risul-

gliate precedentemente a tocchetti, in 10

in mezzo a due fogli di carta da forno con

gas per crema. Al momento dell’utilizzo,

PREPARAZIONE

75 di panna fresca, ml. 30 di olio evo, sale

Procedimento: in una pentola rosolare

tare molto compatta e asciutta. Stenderla

mezzo litro ed aggiungere una carica di

pulite, g. 300 di cipolla gialla pelate, ml.

Far cuocere la polenta per circa un’ora e

mezza, aggiungendo acqua all’occorrenza.

le e pepe. Passare la crema ottenuta con

delicatamente le patate e le cipolle, ta-

ml, di olio evo; coprire d’ acqua e portare

a cottura. Frullare aggiungendo la panna

Infarinare e friggere in olio d’oliva un tranrafols da 170 grammi) avendo cura di non scuocerlo.

Impiattare per prima una sfoglia di polenta soffiata, una quenelle di gelato al baccalà

ed il morro adagiato sopra la spuma di cipolla. Terminare con del cerfoglio.

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GOURMETFOOD

chesiana fatta di eleganza e sfumature gustative. Ma l’ultima carta stupisce con ricette contemporanee, nitide e puntute nell’incrociare gusti primari, spesso crudiste o comunque contraddistinte da elaborazioni minimali, secondo le tendenze oggi in voga. Particolarmente friendly i prezzi: 5 portate, più stuzzichini e piccola pasticceria, costano appena 45 euro; 7 una banconota da 5 in più. Poi c’è il menu al buio, la cui composizione, tagliata con forbici sartoriali sulla tipologia del cliente, è a discrezione dello chef, con fuori carta secondo le disponibilità del mercato e un costo di 70 euro. Ma il giovedì a pranzo c’è anche una formula da non perdere: porta il nome ironico di “menu turistico”, con il prezzo barrato a 35 euro come si farebbe in una bettola, ed elenca le specialità cittadine, rivisitate col sorriso. La delicatissima terrina di bollito con gelato di friggione, aria al

Nella foto, il maitres Giuseppe Sportelli e lo chef Alessandro Panichi (seduti); in piedi, da sinistra, il secondo di cucina Valerio Santunione e il capo partita Matteo D’Agostin.

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verde e purea di limone, per cominciare, dalla stupenda testura fondente; gli altrettanto eleganti tortellini né panna né brodo, crasi di due preparazioni tanto familiari quanto inconciliabili nell’immaginario del gourmet, con il brodo di cappone ridotto dieci volte e montato alla panna come una salsa; la geniale tagliatella al ragù crunch, essiccato in forno fino a ottenere un crumble di umami, dove la pasta è saltata con il grasso del sugo; il tortellone invidioso ripieno degli elementi della lasagna, besciamella e ragù, condito con polvere di Parmigiano; la cotoletta alla petroniana proposta come una battuta in carrozza dentro fette di pane, sotto forma geometrica, e per finire una torta di riso racchiusa fra molte virgolette, a mo’ di pancake con gelato di mandorla amara e lamina di caramello. Fra i piatti di ispirazione più classica, in prima linea le riletture, spesso

affrontate con lenti crudiste e giocando sul contrasto fra temperature. Vedi l’elegantissimo civet di cinghiale, con la carne cruda di un animale giovane tagliata a carpaccio, la salsa classica di un esemplare più vecchio, il gelato degli aromi di rito, alloro e ginepro, più una chips di polenta. Oppure il baccalà come se fosse alla vicentina, la cui ricetta originale, ricostruita grazie alle dritte della mamma di un cuoco, viene scompaginata senza stravolgerne il gusto. Sul piatto il filetto appena infarinato e spadellato viene affiancato da una cialda di polenta soffiata e da una spuma dolciastra di cipolla; su un lato il gelato ricavato invece dai ritagli, elaborati secondo la filologia vicentina e semplicemente pacossati. Dove ancora una volta a risaltare è il prodotto, ritratto con pennellate marchesiane nella separazione degli ingredienti e nella soavità gustativa.


ALESSANDROPANICHI

Più contemporanei, invece, piatti come la zuppa di mandorle con sgombro affumicato, puntarelle e caviale, bellissima geometria di gusti sapidi e amari ammorbidita dalla dolcezza della frutta secca e dalla morbidezza delle testure; oppure la canocchia servita cruda, appena massaggiata in extravergine ligure, sopra la foglia di radicchio con bottarga e lampone, da sgranocchiare a mo’ di finger food: anche qui un match teso fra gusti primari: l’amaro vegetale, la dolcezza dei frutti di bosco e del crostaceo, l’umami della bottarga, l’acidità sfacciata della goccia di aceto di lamponi misto ad aceto di mele. Al fianco di Panichi, in sala e in cantina, c’è una spalla solida: quella di Giuseppe Sportelli, già maître e sommelier della Pernice e la gallina, abilissimo nel rinfocolare la nostalgia di grandi classici come la lampada. “Mio padre era ristoratore, ma scelse di mandarmi in giro a fare la gavetta nei grandi ristoranti e nell’hôtellerie, dove ho imparato regole e riti di un servizio scomparso. Erano i tempi delle pirofile con la cloche, il cui contenuto veniva sporzionato al guéridon. Prima che arrivasse la nouvelle cuisine con la sua ricerca estetica sull’impiattato. Ma ho fatto anche un po’ di estero, ho insegnato e perfino gestito un negozio di pasta fresca”. Migliore maître d’Italia per l’associazione MIRA nel 2002, maître dei maître nel 2005 e quarto ai mondiali del 2007, accende tuttora il fornelletto in sala per piatti come la sogliola alla mugnaia e le susine flambate al whisky su polvere di noci. Amministra una carta dei vini da 400 etichette, ricca di riesling, bollicine italiane e francesi, abbinamento elettivo della cucina.

RICORDO DI ISTANBUL INGREDIENTI

Per il latte ai fiori: l. 1,2 di latte fresco intero, ml. 200 di panna fresca, g. 400 di zucchero semolato, g. 7 di boccioli di rose secchi, g. 6 di fiori di camomilla secchi, g. 2 di fiori di bergamotto secchi, 2 gocce di essenza di geranio, g. 17 di colla di pesce.

Procedimento: portare a 80°C il latte, la panna e lo zucchero mescolati. Togliere dal fuoco, unire tutti i fiori, l’essenza di geranio e la colla di pesce, lasciare riposare coperto per 30 minuti. Filtrare il tutto e far rassodare la porzione direttamente nel piatto.

Per il crumble a crudo di tahina: g. 150 di tahina, g. 100 di burro pomata, g. 50 di

sesamo nero tostato e leggermente frullato, ml. 10 di olio di sesamo, g. 100 di zucchero a velo.

Procedimento: mescolare tutti gli ingredienti delicatamente e ricavarne un salame;

avvolgerlo in carta da forno e congelare.

Per il piatto: g. 20 di crumble di tahina, g. 2 di pasta di pistacchio di Bronte pura, g. 2 di polline di edera, 5 cubetti di albicocche secche condite con un cucchiaino di marmellata di albicocche, 5 striscioline di dattero secco, 10 petali di fiori eduli freschi.

Procedimento: cospargere il piatto del latte ai fiori con tutti gli ingredienti in maniera

esteticamente armonica. Servire freddissimo passando il piatto finito in abbattitore termico di temperatura in negativo. Il ricordo dei profumi e sapori provati nei mercati di Istanbul.

RISTORANTE SOTTO L’ARCO Villa Aretusi, Ristorante e Albergo Via Aretusi 5, 40132 Bologna

Tel: 051 6199848 - Fax 051 6169213

www.villa-aretusi.it - info@villa-aretusi.it

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MARCO VEGLIÒ A FANO, LA SUA CUCINA DI MARE foto di

Gianni Triggiani

La posizione del ristorante a ridosso della spiaggia di Fano ne condiziona l’ispirazione: cucina di pesce dunque, con tutto il rispetto e l’attenzione che si deve a quello freschissimo. Marco Vegliò è il giovane condottiero del Galeone, la cui rotta è decisamente orientata verso una creatività moderata, ricca di apporti regionali e opportune contaminazioni. RISTORANTE IL GALEONE

Piazzale Gaetano Amendola, 2 - 61032 Fano (PU) - Tel. 0721 823146 - www.ilgaleone.net

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MARCOVEGLIÒ

CAPPUCCINO

di ceci vongole e aria di mare INGREDIENTI

g. 300 di Ceci Cotti a Vapore Valfrutta Granchef 1 scalogno

1 spicchio di aglio

2 mazzetti di cerfoglio g. 200 di vongole

g. 100 di acqua di mare g. 2 di lecitina di soia

g. 10 di nero di seppia

g. 200 di brodo di pesce olio extravergine d’oliva PROCEDIMENTO

Ceci interi, frullare tutti il resto dividendo

poca acqua di mare. Impiattare in una tazza

aglio; farli imbiondire, poi aggiungere i

giungere il nero di seppia (otterremo due

parte di crema nera; aggiungere i Ceci e le

Realizzare un fondo di olio, scalogno e

Ceci Cotti a Vapore sbollentati. Farli insaporire per circa 5 minuti, quindi aggiun-

gere il brodo di pesce e cuocere per altri

20 minuti. Tenere da parte due cucchiai di

il composto in due parti. In una parte agcreme: una naturale ed una nera). Scottare

le vongole in acqua bollente per 20 se-

condi, gettarle subito in acqua e ghiaccio, sgusciarle una ad una e tenerle da parte in

da cappuccino trasparente mettendo una

vongole; riempire la tazza con la crema più

chiara e finire il tutto con l’aria di mare fatta semplicemente emulsionando con un minipimer l’acqua di mare con la lecitina di soia.

FILETTO

di ombrina, crema di topinambur, salsa al Visner INGREDIENTI

PROCEDIMENTO

nambur, olio extravergine d’oliva, g. 200

bollire i topinambur (tenendone 2 da parte) fino a renderli morbidi; successivamente frul-

4 filetti di ombrina di g. 80, g. 300 di topidi Cicoriella Selvatica di Campo Spirito

Contadino, ml. 50 di vino di visciole (Visner), 1 spicchio d’aglio.

Ridurre il vino di visciole di circa la metà per concentrarlo e renderlo più denso. Pelare e larli insieme all’olio evo fino a creare una crema liscia.

Tagliare a fette sottili i topinambur messi da parte in precedenza e friggerli in abbondante

olio per renderli croccanti come delle chips. Scottare i filetti d’ombrina dalla parte della

pelle fino a renderla croccante e terminare con la cottura in forno a 180°C per 3 minuti. Scottare la Cicoriella Selvatica di

Campo con un filo d’olio ed uno spicchio d’aglio in camicia.

Impiattare con crema di topinambur su cui adagiare un po’ di Cicoriella Selvatica di Cam-

po e disporvi sopra il filet-

to di ombrina. Versare a

gocce la salsa di Visner e

terminare il piatto con al-

cune chips di topinambur.

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GOURMETFOOD

FILETTO

di mazzola, guanciale, finocchietto e patate al nero di seppia INGREDIENTI

4 filetti di mazzola di g. 80

g. 20 di Cicoriella Selvatica di Campo Spirito Contadino

g. 100 di patate ratte

g. 10 di nero di seppia g. 10 di finocchietto

4 fette di guanciale stagionato olio extravergine d’oliva 1 spicchio di aglio 1 scalogno

brodo di pesce PROCEDIMENTO

Far appassire lo scalogno con un filo d’olio, aggiungere le patate tagliate

a cubetti e lasciarle insaporire per alcuni minuti, quindi coprire con del brodo di

pesce. Una volta cotte, frullarle ed aggiungere il nero di seppia fino ad ottenere una crema liscia e lucida. Condire i filetti di mazzola con il finocchietto tritato, sale

ed abbondante pepe. Successivamente coprire i filetti con le fette di guanciale ed infornare a 220°C per 5 minuti. Nel frattempo saltare in padella la Cicoriella con uno

spicchio d’aglio ed un filo d’olio. Disporre nel piatto un cucchiaio di crema di patate con un ciuffo di cicoria e sopra adagiarvi un filetto di mazzola. Guarnire con un filo d’olio e del finocchietto selvatico.

ALICI

crude, maionese di ricci di mare e puntarelle INGREDIENTI

24 alici sfilettate

g. 3 di pasta di acciughe g. 120 di puntarelle

g. 100 di polpa d ricci di mare

g. 60 di olio extravergine d’oliva

g. 100 di Cicoriella Selvatica di Campo Spirito contadino 1 spicchio d’aglio

PROCEDIMENTO

Marinare i filetti di alici con l’aglio tagliato a fette sottili, fiocchi di sale

ed un filo d’olio. Per la

maionese di ricci di mare,

porre a bagnomaria la pol-

pa di riccio con 50 grammi di

acqua; portare il tutto a 62°C con-

tinuando a frustare. Successivamente

emulsionare la polpa di riccio ottenuta

con l’olio evo a filo. Pulire le puntarelle e

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MARCOVEGLIÒ

CANOCCHIA

crema di canocchie e lattuga di mare INGREDIENTI

PROCEDIMENTO

g. 30 di lattuga di mare

nel quale tostare 8 canocchie per alcuni

12 canocchie

olio al prezzemolo

pane al nero di seppia essiccato 1 scalogno

brodo di pesce

olio extravergine d’oliva

Realizzare un fondo con olio e scalogno minuti, poi bagnare con del brodo di pe-

sce e far cuocere per altri 10 minuti; frullare tutto e passare al colino. Porre 4 canoc-

chie in abbattitore per poterle sgusciare da ambo i lati. Grattare grossolanamente

del pane al nero di seppia e farlo essiccare in forno a 130°C per 20 minuti. In un piatto fondo versare un mestolo di crema di

canocchie leggermente tiepida e disporvi

al centro un ciuffetto di lattuga di mare dissalata; posarvi sopra la canocchia cruda

e condirla con olio e fiocchi di sale. Finire il piatto con l’olio al prezzemolo ed il pane al nero di seppia. porle in acqua ghiacciata per farle arricciare. Scolarle e condirle con la pasta di

acciughe. Frullare la Cicoriella precedentemente sbollentata con un po’ della sua

acqua di cottura ed un filo d’olio fino ad

ottenere una crema liscia ed omogenea. In un piatto fondo disporre a specchio la crema di Cicoriella ottenuta. Adagiarvi sopra le puntarelle e sistemarvi i filetti di alici. Infine disporre a gocce la maionese di ricci di mare.

IN COLLABORAZIONE CON

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Giovani talenti IN TOSCANA BRILLA LA STELLA DI

MAURIZIO BARDOTTI PORTAVOCE DI UNA CUCINA DI SAPORI E DI TRADIZIONE fotoservizio di

Claudio Mollo

Maurizio Bardotti muove i suoi primi passi tra i sapori della Toscana e, nel periodo che va da 15 ai 20 anni, oltre alla scuola frequenta ristoranti e osterie nei quali la cucina della tradizione si rivela di fondamentale importanza per la sua formazione. Negli anni successivi, presso ristoranti e chef stellati, affina sempre più tecniche e approccio con il cibo. Ma il suo maestro per eccellenza, quello di cui parla sempre con deferenza e ammirazione è Gaetano Trovato, chef patron del ristorante Arnolfo di Colle di Val d’Elsa, locale nel quale Maurizio ha lavorato per diversi anni. Malgrado altre importanti esperienze fatte all’estero, è qui che Maurizio completa il suo bagaglio professionale, quello che gli ha poi permesso di fare il grande salto e di gestire una “sua cucina”, portando avanti la sua filosofia senza più maestri alle spalle. Così, due anni fa, il passaggio al Colombaio di Casole d’Elsa, locale già noto agli amanti della cucina gourmet per una Stella Michelin che brillava già da qualche anno a fianco del nome del ristorante. Timori, emozioni, grandi impegni e speranze sono stati ripagati dalla conferma di questa “stella”, che ormai da due anni è sua a tutti gli effetti e che premia una cucina elegante, piacevole, in continua evoluzione. portata avanti con grande entusiasmo e umiltà.

“La mia cucina - racconta Maurizio - vuole essere un omaggio alla Toscana, terra ricca di prodotti meravigliosi, di storia costellata di grandi ricette e sapori decisi. Elementi che fanno parte di me e che ho trasportato nella cucina del Colombaio, arricchendoli con nuovi colori e forme, unendo il vecchio e il nuovo, fondendo nuove idee con vecchi pilastri della tradizione”. Il Colombaio di Casole d’Elsa è una stupenda sosta per chi di cucina se ne intende davvero, situato com’è in mezzo alle copiose colline verdi e vellutate che si trovano tra Volterra e Colle Val d’Elsa, ai piedi di Casole, borgo accogliente e solitario, decisamente fuori dalle rotte più frequentate. Un fienile arredato con grande garbo che arricchisce con l’arte culinaria


MAURIZIOBARDOTTI

un bellissimo biglietto da visita. Il locale è molto accogliente, caldo e confortato da tonalità e punti luce studiati con attenzione. L’inverno lo fa diventare ancora più intimo e intrigante, mentre la buona stagione offre l’opportunità di pranzi e cene fuori dal locale in un piacevole spazio attrezzato, con tanto di valli e colline sullo sfondo. Proprietaria del complesso, Mariva Benucci, energia da vendere, schiettezza nei rapporti con il prossimo e una grande passione che le ha permesso di realizzare un piccolo-grande sogno, con molta fatica e notevole impegno economico.

ASTICE

mela verde e lardo affumicato INGREDIENTI per 4 persone

morbida, frullarla con un filo di olio buono,

1 mela verde

clorofilla estratta dalle erbe che avremo

2 astici

g. 40 di lardo di cinta senese sale maldon

1 spicchio di limone

olio extravergine d’oliva g. 5 di prezzemolo g. 10 di basilico

erbe aromatiche PREPARAZIONE

Cuocere gli astici nel forno a vapore per 5 minuti; raffreddarli in acqua fredda.

Sbucciare la mela verde e cuocerla inseRISTORANTE IL COLOMBAIO

Strada Provinciale, 27 in Cavallano Casole d’Elsa (SI)

rendola in un sacchetto per sottovuoto tagliandola a cubetti. Quando risulterà

il succo dello spicchio di un limone e la

ottenuto sbollentandole in acqua e sale.

Raffreddare in acqua e ghiaccio, frullare e

passare al setaccio. Tagliare a cubi piccoli

il lardo e affumicarli con un legno poco resinoso. Rifinire, tagliandole in modo accurato, le polpe degli astici.

Con le rifilature preparare la tartare e tostare le polpe in padella. Sistemare al cen-

tro del piatto la salsa di mela, sempre al centro collocare la tartare, intorno i pezzi di astice scottato e due quenelle ciascuno

di lardo affumicato. Finire il piatto condendo con sale maldon, olio buono, tartare di mela ed erbe aromatiche.

Tel. 0577 948453

www.ilcolombaio.it

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Giovani talenti

MAURIZIO BARDOTTI INTERPRETA

SCRIGNI CON BURRATA DI PUGLIA

crema di melanzana nera e bianca, olio al basilico, pomodorini datterini affumicati INGREDIENTI per 4 persone

PREPARAZIONE

Divine Creazioni Surgital

sacchetto sottovuoto e immergerlo in acqua bollente.

12 Scrigni con Burrata di Puglia 1 melanzana grande

g. 20 di aceto bianco g. 40 di olio

g. 10 di burro

6 pomodorini datterini

g. 15 di foglie di basilico sale

pepe timo

zucchero di canna

Tagliare mezza melanzana a cubetti, imbustarla in un

Quando i cubi risulteranno morbidi, aprire il sacchetto e,

con l’aiuto di un frullatore, mixare aggiungendo l’aceto, 10 grammi di olio e il burro. Passare al setaccio.

Tagliare fette non troppo sottili l’altra metà della melanzana e

grigliarle fino quasi a bruciarle. Frullare anche queste con altri 10 grammi di olio regolando di sale e pepe.

Sbollentare le foglie di basilico, raffreddarle in acqua e ghiaccio,

sgocciolarle bene e frullarle con i restanti 20 grammi di olio extra-

vergine d’oliva. Sbucciare i pomodorini, condirli con sale, zucchero di

canna, un filo d’olio e alcune foglie di timo. Candire in forno a 90°C per 45 minuti, poi affumicare con trucioli di legno poco resinoso.

Sistemare al centro la crema bianca, nel mezzo quella nera, poi adagiarvi so-

pra gli Scrigni cotti per 4 minuti in acqua bollente salata. Guarnire infine con l’olio al basilico, i pomodorini affumicati e le erbe aromatiche.

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www.surgital.it

Giovani talenti per

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Giovani talenti

LE VIOLETTE

con stracotto di guancia di vitello, agrumi canditi, cavolo romano INGREDIENTI per 4 persone

PREPARAZIONE

g. 10 di scorza di agrumi

sbollentarle per tre volte cambiando sem-

12 Le Violette Divine Creazioni Surgital g. 10 di scorza di limone

g. 10 di scorza di mandarino

12 ciuffetti di cavolo romano 4 guance di vitello

1 stecca di sedano 1 carota

1 cipolla rossa rosmarino

vino bianco

g. 40 di zucchero g. 100 di acqua

olio extravergine d’oliva q.b.

Tagliare la scorza degli agrumi a listarelle, pre l’acqua e conservarle in uno sciroppo fatto con i 100 grammi di acqua e i 40 grammi di zucchero. Tritare le verdure e

far soffriggere in olio d’oliva, aggiungere le guance e bagnarle con vino bianco. Por-

tare a cottura aggiungendo brodo. Quan-

do saranno molto morbide, sfilacciarle e rimetterle nella stessa pentola; aggiungere il rosmarino tritato regolando di sale e pe-

pe. Sbollentare il cavolo romano lasciandolo al dente. Con un coppapasta quadra-

to sistemare lo stracotto alternandolo con Le Violette precedentemente cotte per 5

minuti in acqua bollente salata e poi sco-

late. Guarnire con la scorza degli agrumi, i ciuffetti di cavolo romano e condire con olio extravergine d’oliva.

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Giovani talenti per

PANCIOTTI CON CAPPESANTE E GAMBERI DEI MARI DEL NORD peperone rosso, vaniglia INGREDIENTI per 4 persone

PREPARAZIONE

e gamberi dei mari del Nord

metterlo in una teglia con lo spicchio d’a-

12 Panciotti con cappesante Divine Creazioni Surgital 1 peperone rosso

mezza bacca di vaniglia g. 5 di aceto sale

olio extravergine d’oliva 8 gamberi

1 spicchio d’aglio

Condire il peperone con il sale e l’olio, glio schiacciato. Cuocerlo per 30 minuti

in forno a 160°C. Quando risulterà cotto,

spellarlo, togliere i semi e frullarlo aggiun-

gendo sale, olio e la mezza bacca di vaniglia grattugiata.

Realizzare una tartare utilizzando 4 gamberi e scottare gli altri 4 in padella.

Cuocere i Panciotti per 6 minuti, sistemarli

nel piatto aggiungendo la crema di peperone, la tartare coppata e i gamberi appena scottati. Condire con olio buono.

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GOURMETFOOD

SOLEDAD

NARDELLI LA CUCINA COME ATTO D’AMORE CON L’ARGENTINA NEL CUORE di

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Flavia Tomaello


SOLEDADNARDELLI

Soledad Nardelli è la chef del Chila, uno dei ristoranti più esclusivi di Buenos Aires. Il segreto del suo successo sta unicamente nella sua instancabile curiosità e nel suo desiderio di ricerca.

“Per me, cucinare è dare amore”. Questa premessa sta alla base dello stile di vita di Soledad Nardelli, chef dello Chila, uno dei ristoranti più avanguardisti ed esclusivi di Buenos Aires, proiettato com’è persino in progetti a lungo termine. Nardelli è nata nella capitale argentina nel 1979 e ha sempre cucinato fin da bambina. Al momento di scegliere una carriera professionale, si è avviata alla facoltà di Giurisprudenza. Ma i suoi passi in quella direzione sono stati brevi: la sua vocazione era già molto chiara. Come studentessa di gastronomia, ha girato per le cucine del suo Paese, di Spagna e di Francia. “Cercavo di acquisire precisione ed abilità nella tecnica, nonché rispetto e attenzione per la materia prima, ma sempre mirando all’eccellenza come risultato finale”, spiega. Alla fine si è laureata come specialista in arte culinaria presso l’IBAHRS, nel suo Paese, ma in seguito ha deciso di perfezionarsi in Europa. Ha frequentato un master in cucina presso l’Ecole des Arts Culinaires et de l´Hotellerie (Institut Paul Bocuse), a Lione, in Francia, e un altro in amministrazione di ristoranti presso l’Universidad de Alicante, in Spagna. Ha in seguito collaborato per due anni in vari ristoranti della comunità gastronomica Valenciana. E’ durante questo periodo che ha dato vita alla sua collaborazione con Paco Torreblanca. Poi, dopo un anno passato a Barcellona, è ritornata in Argentina, dove ha continuato il suo apprendistato in diversi locali di alto livello tra cui Cholila, Llao Llao Hotel di Bariloche e Katrine Hotel Internacional di Iguazú.

LA GASTRONOMIA COME VIAGGIO Nella sua iperattività Soledad è stata anche docente e conduttrice televisiva di programmi di cucina fino al momento in cui è arrivata la sua grande opportunità. Nel 2010 era ormai una celebrità ed è proprio in quell’anno che il suo ristorante viene eletto come il migliore in Argentina, trasformando Nardelli nella prima donna a ricevere il premio di “Chef del Futuro”, consegnatole a Parigi. Un anno più tardi, il suo talento naturale intraprende un percorso di formazione “sul campo” che la porta a girare il paese per conoscere le varie cucine regionali (i risultati di questo viaggio vengono trasposti in un programma televisivo trasmesso dalla rete locale specializzata in gastronomia “El Gourmet”) e ad essere l’anfitrione ufficiale nella visita argentina del mitico chef catalano Ferran Adrià. “La gastronomia è anche un viaggio: è un incontro di culture, di forme, di consistenze, di sapori e aromi, molto simile a quello che troviamo quando ci spostiamo per scoprire ogni regione” racconta Soledad. “Viaggiare è per me fondamentale per conoscere altre cucine, conoscere la loro gente, rinnovarmi professionalmente e spiritualmente”, aggiunge.

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GOURMETFOOD

TRA I MIGLIORI RISTORANTI AL MONDO Nel 2012, Nardelli è stata una delle creatrici del GAJO (acronimo che sta per Giovane Gastronomia Argentina), un gruppo di cuochi, al di sotto dei 40 anni, che ricerca la professionalità in tutti i settori della catena dell’industria gastronomica: appoggia la ricerca e l’educazione formale dei produttori, dei cuochi, dei camerieri, e dei venditori; valorizza l’impiego di prodotti regionali di alto valore gastronomico e allo stesso tempo rivendica l’utilizzo di prodotti di stagione, nel loro massimo momento di maturazione e di allevamento, a prezzi equi e soprattutto disponibili all’interno della geografia del Paese. Ha inoltre firmato il convegno Marca País (Marchio Paese, ndt), che l’ha trasformata in un’ambasciatrice della cucina argentina nel mondo. Nel 2013, Chila era già uno dei 50 migliori ristoranti dell’America Latina (secondo i requisiti di The World’s 50 Best). A questo riconoscimento si aggiungono anche altri premi: miglior chef del 2011 (consegnato dalla rivista Cuisine & Vins), miglior cucina d’autore nel 2011 e nel 2012 (in entrambi i casi, il premio è stato consegnato dal sito web specializzato Guía Óleo) o il premio al miglior creativo argentino nel 2010 per il menù del Chila. La bacheca del ristorante continua, anno dopo anno, a riempirsi di onorificenze.

SOUFFLÉ

di dulce de leche con salsa d’arachidi e gelato di crema americana Ingredienti

Per la crema pasticcera di dulce de leche

g. 100 di tuorli, g. 35 di zucchero, g. 35 di amido di mais (mescolare in un con-

tenitore), ml. 170 di crema, ml. 250 di latte, g. 50 di zucchero, g. 400 di dulce de leche da pasticceria.

Portare a una prima bollitura, di modo che si sciolga bene lo zucchero. Versare sui tuorli. Rimettere sul fuoco (basso) fino a quando diventa spessa.

Versare in un frullatore con le fruste e aggiungere il dulce de leche fino a rendere il contenuto omogeneo. Versare in un contenitore con una pellicola a contatto. Lasciar raffreddare. Per la meriga francese

Stessa quantità di chiare e di zucchero. Mescolare la stessa quantità di crema

pasticcera di dulce de leche e di meringa in un contenitore con movimenti avvolgenti fino a rendere il composto omogeneo.

Versare in una teglia per soufflé precedentemente cosparsa di burro e zuccherata, fino a 2/3 della teglia. Cuocere in forno a 200°C per 12 minuti circa. Servire subito, spolverando con zucchero a velo. Per la salsa d’arachidi

ml. 100 di latte, ml. 25 di crema, g. 30 di tuorli, g. 35 di burro di arachidi.

Mescolare il tutto. Portare a 82°C a bagnomaria, mescolando costantemente.

Aggiungere il burro di arachidi. Amalgamare bene. Setacciare e lasciar raffreddare a bagnomaria.

Servire una piccola palla di gelato di crema americana.

IL MEGLIO DELLA SUA CUCINA “Chila è il luogo dove mi esprimo, dove condivido la quotidianità con tutto il mio staff di cuochi e dove posso dar sfogo al mio amore per la cucina, lavorando con dedizione per dare il meglio della mia cucina e dei suoi prodotti.”, spiega Nardelli. Definisce così il suo spazio: “Ci proponiamo l’obiettivo che ogni invitato possa sperimentare un momento magico a partire dalla combinazione di differenti fattori: un’accoglienza e un benvenuto calorosi, un tocco delicato di massima attenzione verso tutti i dettagli, un servizio personalizzato da parte del nostro maître, suggerimenti speciali del nostro staff di cuochi e piatti appositamente pensati per i palati più esigenti”. Chila si trova nel quartiere di Puerto Madero, uno dei poli gastronomici più energetici di Buenos Aires. Nel locale tutti i sensi vengono sapientemente stimolati (il volume della musica perfetto, l’illuminazione nel punto esatto, le grandi finestre con vista fiume che offrono panorami bellissimi, sia di giorno che di

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SOLEDADNARDELLI

notte), l’ambiente è ideale e si completa con un dettaglio non molto considerato in Argentina, ovvero il fatto di avere la cucina a vista. “Quest’idea nasce per far capire agli invitati quanta dedizione viene messa nella preparazione dei loro piatti”, dichiara Nardelli. Curiosa e disposta al continuo apprendimento, la chef assicura che “la sua ispirazione nasce in qualsiasi momento, non importa il giorno o l’ora... giocano molto la sensibilità e la capacità di avere sempre tutti i sensi al massimo”. Durante gli ultimi anni ha creato, ha sognato e immaginato piatti diversi a seconda delle più svariate situazioni. “Oggi, la mia ispirazione fondamentale è ancorata al mio Paese, alle sue terre, province, paesaggi e culture, alle mani che coltivano, ai nostri prodotti e alla nostra storia” conclude Nardelli. “Un’esperienza gourmet consiste nel darsi con tutti i sensi al momento conviviale per godere pienamente di un’esperienza unica” conclude.

RISTORANTE CHILA

Alicia Moreau de Justo 1160

Puerto Madero - Capital Federal Buenos Aires, Argentina

Tel. (54 11) 4343-6067 www.chilaweb.com.ar

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FASHIONFOOD

BARCELÒ LA BOBADILLA

UN PICCOLO GIOIELLO TRA LE COLLINE DELL’ANDALUSIA

Barceló Hotels & Resorts presenta uno dei gioielli della sua “collezione” che conta oltre 100 Hotel&Resorts nel mondo, Barcelò La Bobadilla, un piccolo borgo nella campagna andalusa trasformato oggi in un’elegante struttura di 70 camere, che conserva le antiche tradizioni di questo angolo di terra spagnola. Siamo nella regione della Loja, nel cuore dell’Andalusia, dove le colline si susseguono lasciando agli occhi un paesaggio sconfinato. 350 ettari di terreno in mezzo agli ulivi, per garantire l’assoluta pace e riservatezza a chi sceglie questo resort, unico nel suo genere, per trascorrere qualche giorno di vacanza o celebrare un evento o un matrimonio da sogno.

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Una piazzetta centrale, decorata con fiori e con una fontana tradizionale, su cui si affacciano il campanile e una cappella che custodisce il più grande organo della Spagna, rappresentano una location favolosa per qualsiasi coppia che voglia fare una promessa di matrimonio. Barcelò La Bobadilla nasce negli anni ottanta per volontà di un avvocato e uomo d’affari, il Dr. Egli. Il progetto originale prevedeva un lussuoso ristorante che rispettasse l’ambiente e dove l’architettura fosse in grado di mescolare le diverse culture che hanno influenzato l’Andalusia. Commissionò il progetto a un architetto di Granada, Jesús del Valle, e con gli anni ha assunto, a


BARCELÒLABOBADILLA

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FASHIONFOOD

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poco a poco, la forma attuale. Nel 1992 l’enorme successo ha permesso alla struttura di entrare a far parte della catena internazionale The Leading Hotels of the World. Grande impulso è stato, poi, dato al resort, quando è entrato a far parte dei Barcelò H&R, nel 2005. Personaggi e artisti negli ultimi trent’anni hanno cercato rifugio e ispirazione all’interno delle mura di Barcelò La Bobadilla, così come membri di alcune fa-

Parte dell’energia proviene dai noccioli di oliva, rielaborati nella propria centrale a biomasse. Il resort è diventato negli anni un emblema mondiale della filosofia Slow Travel e ha ottenuto numerosissimi riconoscimenti, configurandosi come una delle strutture alberghiere più rappresentative della Spagna. Ogni camera di Barceló La Bobadilla è uno spazio con una propria personalità che sorprende l’ospite per le sue dimensioni, l’attenzione ai dettagli e, soprat-

miglie reali, sedotti dall’influsso del passato moresco, in un angolo di mondo dove il tempo sembra essersi fermato. Oggi, Barceló La Bobadilla è un hotel molto attento alla sua sostenibilità e al rispetto della natura che lo circonda.

tutto, il silenzio totale esterno rotto solo dal canto degli uccelli. L’atteggiamento consono per attraversare la soglia di ogni camera è quello di entrare nella storia dei personaggi, pensatori, artisti e viaggiatori romantici che vi hanno soggiornato, per godere il perfetto comfort che offre. L’albergo è un vero riflesso del paesaggio e l’essenza di una terra unica. Inoltre, per garantire agli ospiti un’avventura sensoriale totalizzante con la natura e la cultura, l’hotel ha progettato 5 esperienze uniche che mettono in contatto diretto il visitatore con l’ambiente circostante, la gastronomia, l’ecologia, esperienze appetibili anche per le coppie, che hanno così l’opportunità di celebrare un momento romantico unico. Il fatto che l’hotel sia “alfiere” del concetto di Slow Travel in Spagna è indice che le attività che propone, come corsi di cucina, laboratori creativi e altro, sono sempre in grado di trasmettere questo spirito,


BARCELÒLABOBADILLA

questa nuova tendenza che porta il viaggiatore a rilassarsi e a creare una profonda connessione con l’ambiente circostante. Ogni spazio gastronomico dell’hotel regala un’esperienza diversa con due elementi in comune: i massimi livelli di qualità e l’atmosfera rilassata di un piccolo villaggio andaluso. Il pranzo nella piazza della chiesa, la cena con vista sugli oliveti, un menù degustazione gourmet o una cena romantica sotto le stelle ... ogni ospite e ogni palato si soddisfano in uno o l’altro dei ristoranti, La Finca e il Cortijo.

BARCELÒ LA BOBADILLA AL Finca La Bobadilla

18300 Loja - Granada, Spagna Tel. +34 958 32 18 61 www.barcelo.com

labobadilla.info@barcelo.com

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ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

a cura di

Alessandro Rossi esperto di vino, bon vivant, fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”

ANDRÉ TCHELISTCHEFF

IL MITO CHE HA CAMBIATO IL VINO NEL MONDO Immaginate di essere davanti ad un televisore, magari durante una notte piovosa e improvvisamente vi appare sullo schermo l’attore che ha fatto la storia del cinema horror degli anni ’30, Béla Ferenc Dezső Blaskó, in arte Bela Lugosi, un caratterista rimasto celebre soprattutto per le sue interpretazioni dei film horror, in particolare Dracula, ma non un Dracula qualunque, quel Dracula, quello che l’ha reso immortale e che ha dato un volto definitivo e popolare al Principe delle Tenebre; Bela si immedesimò per tutta la sua vita in quel personaggio al punto che quando morì fu sepolto con il mantello da Dracula. Vi chiederete cosa c’entra Bela Lugosi e anche Dracula con una storia del vino, ma se cercate su internet una foto di Lugosi, magari a fine carriera, vecchio e raggrinzito e la mettete a fianco del personaggio che stiamo per raccontarvi; ecco, noterete una somiglianza, perché tutti e due erano principi, uno delle tenebre e l’altro, oltre ad esserlo sul serio, lo diventò anche dell’enologia mondiale, perché questa è la storia di uno dei più grandi personaggi del mondo del vino, la storia di André Tchelistcheff l’enologo

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russo-californiano. Una sua citazione oramai famosa, più volte riportata da tanti critici e colleghi, è considerata ancora attuale: “Un grande vino è il risultato di un’equazione che coniuga e contempla a un tempo eleganza, equilibrio, morbidezza, consistenza, complessità, possibilità di pronta beva e capacità di lungo invecchiamento”. Frase che sembra scontata forse, ma che per tanti non lo è, e lui riuscì ad applicarla a tutti i vini da lui seguiti e ci riuscì in maniera, a detta di tutti, esemplare.


ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

“Il principe André Tchelistcheff è stato il più grande enologo del 20° secolo” – racconta in un suo scritto Luigi Veronelli - “Non posso dimenticare quel mio antico – si parla degli anni Settanta - viaggio in California alla ricerca di quei vini lontani di cui m’era stato detto un gran bene. La verifica fu, a dir poco, sorprendente. Non v’era cantina ch’io visitassi, senza l’assaggio di una, due, tre bottiglie eccellenti. Alla mia domanda - ripeto: stupefatta - su chi avesse curato quel vino, la risposta era, pressoché sempre, André Tchelistcheff. André Tchelistcheff è stato - a detta di tutti i colleghi che hanno potuto confrontarsi con lui o che hanno studiato i sui trattati - il winemaker più influente della California dopo l’abolizione del proibizionismo.

PIÙ MORTO CHE VIVO IN RUSSIA André è all’epoca figlio di una delle famiglie più importanti e in vista del paese, è un principe o così si dice, anche se alcune fonti smentiscono. Più volte si ritrova il cognome della sua dinastia nella storia di quel paese, spesso a fianco degli Zar, infatti il padre di Tchelistcheff è un aristocratico molto importante, il capo della Corte Suprema nel sistema giudiziario russo. André nasce a Mosca nel lontano novembre del 1900; ovviamente, secondo tradizione, diventa un militare, studia presso l’Accademia di Kiev fino al 1917 quando scoppia la Rivoluzione d’Ottobre e lui è solamente un adolescente di diciassette anni. André passa la sua adolescenza nella tenuta vicino a Kaluga e in quella di Mosca e come molti della nobiltà del suo tempo si gode la vita; benessere e tranquillità sono all’ordine del giorno, studia al Ginnasio di Mosca e vive una vita piena di cene e incontri intellettuali. Però, come raccontavamo prima, scoppia la rivoluzione, la guer-

ra e i bolscevichi denunciano la famiglia Tchelistcheff e, come spesso accade in queste storie raccontate anche nei film, il padre di André è il primo della lista, stilata da Lenin, ad essere considerato un pericolo per il regime e quindi da eliminare. La tenuta di famiglia viene saccheggiata e distrutta, ma non basta. L’odio che queste guerre civili portano con sé è atroce: i cani da caccia, amatissimi dal padre di André, vengono prima uccisi e poi appesi agli alberi che fiancheggiavano la strada che porta alla tenuta, come in segno di sfida, mentre la famiglia, oramai da tempo, è in fuga utilizzando passaporti falsi ottenuti dal padre grazie a potenti amicizie. André è un ragazzo fortunato, ha sfiorato la morte più volte, come quando da bambino, a causa di un’infiammazione addominale, rischia la vita anche perché la penicillina ancora non è stata scoperta. Ma lui resiste, lotta e si salva. André chiede al padre di poter entrare nella scuola degli ufficiali di Ekaterinodar (ora Krasnodar); ovviamente, come dicevamo prima, era una tradizione per gli aristocratici dei tempi. Una volta terminato l’addestramento, André parte per la guerra in Crimea dal 1918 al 1921, combatte con l’esercito bianco nella guerra civile russa e qui succede qualcosa di strano ed incredibile. Nel 1921, appunto durante la battaglia di Crimea, André è in missione insieme al suo battaglione e, improvvisamente, una serie di mitragliatrici fanno fuoco sul plotone: rimangono quasi tutti uccisi o gravemente feriti, ma lui no, esce miracolosamente illeso. Nonostante sia vivo - le comunicazioni ovviamente non erano quelle di adesso - viene dato ugualmente per morto, la sua famiglia avvertita e addirittura viene indetto un funerale commemorativo in memoria del figlio. Ma torniamo al campo di battaglia: le mitragliatrici sparano, lui non viene colpito o finge di essere colpito, viene dato per morto sotto una tempesta di neve, aspetta che tutto finisca e si salva grazie ad un cosacco che si accorge di lui e lo salva curandolo e dandogli assistenza medica.

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André anche in questo caso è fortunato perché evacuato come la maggior parte dei suoi compagni che si sono salvati, viene poi congedato e spedito prima in Jugoslavia e poi in Cecoslovacchia esattamente a Brno e qui, invece che portare avanti una sua vecchia passione ovvero la medicina, inizia a studiare agronomia ed enologia. André è un genio e in due anni batte tutti e si laurea a pieni voti.

NUOVA VITA IN FRANCIA E POI IN CALIFORNIA André decide definitivamente che la sua vita è il vino, non si sa esattamente cosa l’abbia convinto, ma inizia un percorso che lo consacrerà come tra i più grandi personaggi del XX secolo proprio in questo campo, il vino. Insomma, Andrè a questo punto della sua storia è in Francia senza un soldo ma studia, studia tantissimo: enologia, fermentazione e microbiologia prima all’Institut Pasteur e poi l’Institut Agronomique. Viene assunto nella regione dello Champagne, perché i francesi non sono stupidi: se ne accorgono subito di questo ragazzo tanto bravo e con idee innovative; lo chiamano, lui risponde e vi rimane per anni e anni, lavorando anche per Moët & Chandon e nei laboratori di Nicolas, uno dei più importanti rivenditori di vini di Francia. Ma lui è un principe, il principe Tchelistcheff, un vero principe ma anche un uomo libero e, quando arrivano i nazisti ad invadere la Francia verso la fine degli anno ‘30, non vuole collaborare. Siamo nel 1937, Georges de Latour, grande produttore californiano, arriva in Francia alla ricerca di un enologo, ne cerca uno veramente bravo, ovviamente francese. Incontra il Professor Paul Marsais presso l’Istituto Pasteur che immediatamente gli dice di avere un ragazzo che fa per lui, ma c’è un problema, quel ragazzo non è francese ma un russo e si chiama André, André Tchelistcheff. E così Georges de Latour offre ad André un contratto con la cantina Beaulieu per la quale lavorerà fino all’aprile del 1973; prima di iniziare come consulente indipendente per tante altre aziende, si trasferisce dunque con la sua famiglia in Napa Valley nel 1938 e diventa in breve tempo un mito dell’enologia. Nel suo soggiorno negli Stati Uniti è una leggenda vivente, è il

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più grande enologo americano e se l’industria vinicola della California è tecnologicamente all’avanguardia lo deve in parte a lui. Tchelistcheff arriva in un momento critico dell’enologia americana, si producono infatti vini imbevibili e pieni di zuccheri. Una recensione dell’epoca dice “Gli americani farebbe meglio a bere birra piuttosto che vini dalla California.” La grandezza di André non sta solo nel fatto di essere un grande tecnico, ma anche di aver mediato e interpretato la filosofia vinicola del nuovo mondo e di averla adattata e sviluppata alla luce di un’industria nascente e di uno spirito giovanile come quello americano, ma il suo contributo più importante e quello dedicato alle tecniche di fermentazione, ma soprattutto la fermentazione malolattica. Utilizza infatti tecniche mai viste all’epoca come il ghiaccio per abbassare la temperature delle uve durante la raccolta e fa sostenere alle aziende grandi investimenti per modificare le vasche utilizzando, forse uno dei primi, il cemento e la vetroresina considerando che l’acciaio ancora non era utilizzato. In Napa Valley Tchelistcheff diventa “il Dottore” probabilmente per il suo aspetto così rigido e serioso, immaginatelo tutto accigliato mentre percorre pensieroso le vigne in campagna, oppure perché amava utilizzare sempre un camice bianco da laboratorio quando era in cantina ma più che altro, anzi sicuramente, per la sua capacità di curare vini considerati difettosi. Ma André sa che il vino si produce prima di tutto in vigna, è soprattutto un agronomo, e introduce lo studio della viticoltura in California ricercando le migliori varietà da piantare. E’ tra i primi a piantare Pinot Noir e Chardonnay e studia il variegato terroir della Napa Valley identificando le aree in cui il Cabernet Sauvignon può dare il meglio di se. Nel suo periodo di maggior successo, a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60, André incontra Dorothy, l’amore della sua vita; si sposa e trascorse il resto dei suoi anni con lei. Dorothy è stata una grande ispirazione per André: era riuscita a dargli l’amore e a trasmettergli quella serenità che forse non aveva mai avuto, il supporto di cui aveva bisogno per proseguire nel migliore dei modi il resto della sua vita. Tutto va per il meglio, gli anni passano e André è sempre più famoso. Alcuni grandi vini californiani sono grandi per merito suo come per altro alcuni grandi vini italiani, ma di questo parleremo tra poco.


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Dopo aver lasciato Beaulieu, diventa consulenza enologo presso Jordan Vineyard & Winery nel 1976. Crea un laboratorio privato a St. Helena e diventa consulente di tantissimi produttori Californiani e non oggi molto famosi: Joseph Heitz, Rev. John Staten di Field Stone Winery, Mike Grgich, Joel Aiken, Jordan, Neibaum/Coppola, Buena Vista Winery, George & Peter Rubissow, Erath Winery, Sequoia Grove, Chateau Ste Michelle e Columbia Crest Winery, Robert Moldavi, Louis Martini, Rob Davis di Jordan Vineyard & Winery, Rick Sayre di Rodney Strong Wine Estates, lo consideravano il loro mentore. Durante la consulenza per Chateau Ste Michelle a Washington, Tchelistcheff cerca di insegnare il suo mestiere al nipote, Alex Golitzin che quattro anni dopo e incoraggiato dallo zio, fonda la Quilceda Creek Vintners a Snohomish, Washington. André fu determinante nella formazione di due generazioni di viticoltori di California, tra cui Joe Heitz, Mike Grgich e Jill Davis.

L’ARRIVO IN ITALIA, ANZI, IN TOSCANA Però un momento: va bene che il nostro personaggio è il fondatore dei vini americani, ma come abbiamo anticipato, è stato fondamentale e forse veramente un punto di riferimento per una serie di vini toscani che hanno, e stanno facendo, la storia oltre ad essere stato mentore di tanti enologi che hanno cambiato l’Italia come Giacomo Tachis. “Convinsi Tchelistcheff” – racconta sempre Luigi Veronelli “già consulente della famiglia Antinori - a un viaggio in Italia, così da confrontarsi con gli enologi del nostro paese che agivano, pressoché tutti, in modo opposto al suo, con la ricerca di vini facili e passanti, adatti alla massa, e non di vini problematici, adatti agli individui. Il 20 maggio 1983, in San Casciano, nella Tenuta degli Antinori, ci fu l’incontro decisivo. Il Maestro spiegò la sua teoria sull’uso della barrique, per lui necessario nella produzione di ciascun vino (fatta eccezione per il solo Riesling sia italico sia renano) che avesse l’ambizione e la possibilità di farsi grande” Nella Fattoria dell’Ornellaia, distante solo pochi passi dalla Tenuta di San Guido, l’azienda produttrice del Sassicaia forse il vino italiano più famoso al Mondo, è Lodovico Antinori che, seguendo l’idea di un vino diverso stilisticamente avuta dallo zio

Mario Incisa, dopo aver girato gli Stati Uniti da costa a costa e aver accumulato una grandissima esperienza del mercato d’oltreoceano torna in Italia e si ferma a Bolgheri. Lodovico, assieme ad André Tchelistcheff, estrae dai 45 ettari della tenuta un nuovo vino, l’Ornellaia appunto. Successivamente nasce il Masseto, un merlot in purezza da un vigneto di 6,63 ettari nato nel 1984 grazie all’intuizione di Tchelistcheff che crede subito nelle potenzialità di quelle terre composta da argille sciolte e sabbie ricche di ciottoli che offrono al vino potenza, concentrazione e apporto tannico. André muore il 5 aprile del 1994 a novantacinque anni ma in superbe condizioni, capace di assaggiare e riconoscere ogni vino che gli fosse proposto. Prima d’ogni altro giudizio ne dichiarava, soddisfatto, il nome. Quando incontrava un grande vino nuovo che lo emozionava, scattava in piedi, si inginocchiava e diceva “ Vorrei averlo fatto io …” Durante i suoi anni 56 anni come enologo ha aiutato a definire lo stile dei vini migliori della California , in particolare il Cabernet Sauvignon della Napa Valley. La Morte di Tchelistcheff però non è passata inosservata neanche in Europa. “Mi rende così triste” - ha detto Christian Moueix, manager di Château Pétrus a Bordeaux e comproprietario di Dominus immobili in Napa Valley - “André era un uomo saggio, lui era un maestro per tutti noi sia come professionista sia come modestia. È davvero una grande perdita” André Tchelistcheff era un gentiluomo, un estroso, un genio assoluto, un cavaliere di un’epoca passata. Una volta disse: “Il vino è una bevanda intellettuale, non ha la tossicità di un liquore e, preso con moderazione, apre la mente. Ho visto un introverso, dopo due bicchieri di vino, aprirsi come un fiore”. Anni dopo la sua morte, molti ancora si chiedono in tempo di crisi o di decisioni: “Che cosa avrebbe fatto André ?” Jim Laube lo ricorda come un uomo costantemente in movimento, spesso di fretta, ma sempre in grado di trovare il tempo per aiutare qualcuno. Molti ricordano anche il suo sorriso gentile, le sue spesse sopracciglia ricciolute, ed il suo accento russo oltre alle pieghe profonde del suo viso, linee di saggezza e del tempo. Questo è stato per tutti André Thcelicheff, il mito che ha cambiato il vino.

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VINARIA

CHAMPAGNE ALL’INGLESE SONO GIÀ PIÙ DI 400 LE AZIENDE INGLESI CHE PRODUCONO BOLLICINE DI QUALITÀ GRAZIE SOPRATTUTTO AI CAMBIAMENTI CLIMATICI di

Gianluca Ricci

Sarà la pittoresca e romantica campagna del Kent ad ospitare le viti di Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Meunier con cui la rinomata maison francese Taittinger intende produrre sparkling wine di qualità sull’isola britannica. Uno champagne all’inglese, insomma, vera bestialità enologica fino a qualche decennio fa, ma a breve realtà che si preannuncia fra le più interessanti. L’azienda punta a produrre 300mila bottiglie a partire dal 2020 col nome evocativo di Domaine Evremond: Charles de Saint-Evremond fu infatti il poeta francese che introdusse lo champagne alla corte del re Carlo II d’Inghilterra, nel XVII secolo. Non si tratta di fantascienza, dunque, ma di un concreto progetto enologico legato, evidentemente, ai drastici cambiamenti climatici degli ultimi anni, durante i quali le campagne

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CHAMPAGNEALL’INGLESE


VINARIA

del sud dell’Inghilterra sono diventate terreno di conquista per chiunque punti a produrre bollicine di qualità. Ovviamente quel vino non si chiamerà champagne, ma diventerà l’avanguardia di un fenomeno che, perdurando le mutazioni del clima - come peraltro si prevede - per i prossimi due decenni almeno, si preannuncia consistente. In Champagne si continueranno comunque a produrre le nobilissime bollicine che hanno fatto la fortuna della Francia enoica, ma sarà dall’Inghilterra che arriveranno i prodotti in grado di lanciare il guanto di sfida della qualità. E gli stessi francesi hanno voluto giocare d’anticipo, investendo in modo massiccio sui terreni inglesi: «L’Inghilterra del sud - ha dichiarato Pierre Emmanuel Taittinger, presidente dell’omonima azienda vinicola francese - si presta straordinariamente bene a produrre uno spumante davvero innovativo, che non sarà champagne, ma non potrà nemmeno essere paragonato ad

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alcuna altra bollicina del mondo. Prevediamo possa offrire agli appassionati specificità uniche ed autonome, tali da metterlo in competizione con le migliori produzioni planetarie». Le viti saranno orientate verso sud e saranno piantate ad un’altezza non superiore agli 80 metri, in modo da permettere ai grappoli di acquisire il massimo delle opportunità che ha da offrire un territorio diventato ora climaticamente compatibile. Le campagne interessate saranno quelle di Chilham, nei pressi di Canterbury, città peraltro gemellata con la francese Reims dove si trova la sede della Taittinger. I maligni non credono al miracolo climatico e sostengono invece che si tratti di una mera faccenda economica: se un ettaro di terreno in Champagne costa intorno agli 1,2 milioni di euro, secondo stime recenti e piuttosto

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attendibili, lo stesso ettaro oltremanica viene a costare poco più di 33mila euro. Produrre “champagne inglese” sarebbe allora una sfida finanziaria più che enologica, fermo restando che comunque, alla fine, nelle bottiglie deve finire un prodotto in grado di farsi vendere ed apprezzare. Non si può negare però che negli ultimi anni una serie sempre più consistente di aziende agricole abbia iniziato a dedicarsi con grande abnegazione alla produzione di uve da destinare alle bollicine. Da pochissimo tempo la Forty Hall Vineyard, cooperativa sociale gestita da volontari, ha intrapreso la strada della vinificazione: si tratta della prima cantina di Londra a lanciarsi in questa impresa, ma non sembri una follia o una curiosità per iniziati. Se inizialmente si punta ad una produzione limitata a qualche centinaio di bottiglie, le viti piantate nei dintorni della capi-

tale potrebbero garantire una quantità di uva tale da puntare alle 10mila bottiglie l’anno. Per non parlare di Rathfinny, che nel Sussex coltiva ormai da anni ben 162 ettari di Pinot e Chardonnay con cui dà vita a sparkling sempre più apprezzati non solo dagli appassionati britannici, ma anche da quelli di tutto il mondo, vista la messe di riconoscimenti ottenuta in molti dei più importanti concorsi a cui la casa vinicola inglese ha partecipato. E che dire di Coates & Seely, diventata nel giro di un lustro una delle maison più apprezzate nella produzione di uno spumante che non ha nulla da invidiare ai più noti sparkling di Francia e Italia? Oppure di Chapel Down, che nel Kent e nel Sussex ha coltivato viti capaci di sfidare per gusto e personalità i più ingombranti vicini francesi? O di Gusbourne, il cui Brut Reserve ha avuto accoglienze trionfali alle ultime manifestazioni vinicole? È ormai da 15 anni che in Inghilterra si lavora per un ingres-

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so trionfale nel mondo degli spumanti: le aziende impegnate in questa impresa sono già più di 400, tutte dedite alla cura di Pinot e Chardonnay, le uve più adatte a quei terreni e a quel clima. Cinque milioni le bottiglie prodotte ogni anno, un’inezia se confrontate ai cinque miliardi di Italia e Francia. Tuttavia si prevede una crescita esponenziale: i climatologi sono giunti a calcolare che l’aumento della temperatura media di un grado centigrado favorisce una progressione delle vigne verso nord di quasi 200 chilometri. Se i concorrenti tremano, soprattutto i vicini d’oltremanica, gli appassionati invece esultano: una nuova gamma di profumi e di sapori si sta aggiungendo a quelle da tempo consolidate, frutto di un lavoro di straordinaria qualità che, bruciando tempi e tappe, sta portando l’Inghilterra a proporsi come una terra enoica a tutti gli effetti.

Una vocazione tardiva, è vero, ma il cambiamento climatico a cui sono sottoposti soprattutto i Paesi del nord Europa sta regalando alle brughiere del sud una nuova, interessantissima ragione di vita. Nel giro di qualche anno birra e sidro diventeranno anticaglie al cui ricordo si brinderà stappando una bottiglia di ottimo spumante inglese. Se n’è accorta persino la regina che, nel dubbio, ha piantato alcune viti di Pinot e Chardonnay persino nei meravigliosi giardini della sua residenza di Windsor.

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ENO

ità

XXXXXA CURA DI

GIANLUCA RICCI

PROSECCO DELL’ALTRO MONDO Sarà la Spade Oak, storica cantina neozelandese, a produrre per prima vero Prosecco made in Nuova Zelanda. Dopo quattro anni di quarantena, previa autorizzazione di una sentenza della World Trade Organization, le barbatelle di Glera acquistate dall’Italia saranno piantate quest’anno nei 160 ettari della tenuta di Gisborne. Nel giro di qualche anno Steve Voysey, il vulcanico vignaiolo che da tempo sta cercando di condurre in porto il progetto, potrà finalmente immettere sul mercato migliaia di bottiglie di Prosecco neozelandese con tanto di denominazione. Già, perché la Wto ha consentito ai produttori australiani e neozelandesi di indicare in etichetta il nome Prosecco, creando le premesse per una vera e propria rivoluzione commerciale. Anche se dal Consorzio di Tutela veneto il direttore Luca Giavi ha già messo le mani avanti, spiegando come da tempo ormai siano state messe in atto strategie in grado di tutelare nome e qualità di un vino che non può temere una simile concorrenza. Sarà molto difficile insomma che il Prosecco dell’altro mondo possa uscire dai ristretti confini della sua zona di produzione.

COLLIO, IL TERRITORIO PIÙ BELLO L’associazione delle enoteche italiane Vinarius non ha avuto dubbio alcuno: il più bel territorio del vino italiano è il Collio. Al terroir friulano è andato l’ambito riconoscimento «per essere stato protagonista e guida del rinascimento del vino italiano - si legge nelle motivazioni ufficiali - per aver trasmesso ai propri vini lo spirito ed il carattere che ha permesso di vivere e prosperare in un luogo duro e difficile, per la capacità e la decisione necessari per riconquistarne il primato». Il premio vuole dare adeguato riconoscimento sia alla straordinaria qualità delle cantine, che qui producono vini tra i più celebrati del nostro Paese, soprattutto bianchi, sia alla particolarità di un territorio su cui imprenditori lungimiranti hanno saputo investire senza distruggere le singole specificità. Nella speranza che molti altri possano seguire il luminoso esempio.

ECCELLENZA SALENTINA Prodotto solo nelle migliori annate con Negroamaro, Primitivo, Aglianico e Malvasia Nera, il Quarantale 2010 è uno dei vini più rappresentativi dell’Azienda leccese Rosa del Golfo. Rosso porpora intenso e con profumi avvolgenti di macchia mediterranea e spezie, in bocca è pieno e carnoso, con tannini fitti e morbidi e riconferma di alcune spezie in particolare avvertite anche al naso, ossia chiodi di garofano, pepe e cannella in primis. Data la sua struttura complessa e la lunga persistenza gustativa, è opportuno affiancarlo a piatti importanti di carni rosse o su lasagne e paste con sughi elaborati.

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PROSECCO VS SPARKLING ALCOHOL FREE Altro che Champagne. Non è dalle mitiche bollicine francesi che il Prosecco deve guardarsi, ora che sta invadendo i mercati di tutto il mondo, bensì dai più prosaici sparkling “alcohol free”, vini frizzanti analcolici sul cui successo la britannica Tesco ha scommesso senza tentennamenti. Che Champagne e Prosecco in realtà simulassero una concorrenza che, dati alla mano, non c’è mai stata, né per tipologia di prodotto né tantomeno per ambito culturale, era noto. Diverse le direzioni, diversi i consumatori, agli antipodi le strategie commerciali. Tanto che il Prosecco ha iniziato la sua campagna di conquista affascinando soprattutto i più giovani. Lo stesso target a cui però la Tesco ha deciso di destinare un rosè a base Pinot Noir e uno spumante a base Chenin Blanc prodotti in Sudafrica, entrambi rigorosamente privi di alcool grazie ad una particolare procedura che prevede il blocco della fermentazione immediatamente prima che gli zuccheri si sintetizzino. Profumi e sapori sono quelli del vino: un temibilissimo concorrente per le più raffinate bollicine venete, ancor più temibile se si pensa che il costo di una bottiglia di questo pseudo vino non supera le 3 sterline. Sta ora ai produttori nostrani escogitare una strategia difensiva che permetta di non vanificare lo straordinario sforzo commerciale fin qui prodotto.



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