Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa
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Estate
egetale
IN ITALIA QUESTA CUCINA NON È UNA MODA MA UNA TRADIZIONE
LA MADIA EDITORE
ANNO XXXI - Giugno 2016 - N. 308 - €E 4,00 - Direttore ELSA MAZZOLINI
SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD n. 308
GOURMETFOOD
di
Antonietta Mazzeo
GOURMETFOOD
di
pag. 38
pag. 44
SCACCO MATTO
AQUA DI MARE
Vince in tre mosse! Sano, buono e bello...
Con le creazioni del giovane Cosimo Russo.
GOURMETFOOD
FASHIONFOOD
pag. 54
Sandro Romano
di
pag. 78
ESTATE VEGETALE
JW MARRIOTT VENICE
In Italia questa cucina non è una moda ma una tradizione.
Un paradiso di benessere nell’isola delle rose.
Teresa Cremona
La cultura del benessere
Golavagando “Mon Trésor”
Etichette e spot, che confusione!
Trabocco Punta Cavalluccio
di Primo Vercilli................................................................ pag. 8
di Massimo Di Cintio........................................................ pag. 30
La scelta vegana
Osteria Scottadito a Pesaro
Vini biovegani
di Daniele Briani............................................................... pag. 32
di Silvia Bianco................................................................. pag. 10
Ajò Drink & Food sul Lago di Como
Walter Frontalini, il re del Vegan e Glutin Free
di Giovanni Angelucci....................................................... pag. 34
di Silvia Bianco................................................................. pag. 12
FashionFood
Assaggi di Galateo
BorgoBrufa a Torgiano
Metterci la faccia... digitale
di Gianni Di Lorenzo......................................................... pag. 50
di Fabio Ferrantino........................................................... pag. 14
Buone Nuove..................................................................... pag. 54
Progettare l’impresa
Chef di Spirito
Nel menù tre “accorgimenti grafici”per vendere i piatti
Paolo Barrale
a più alta marginalità e guadagnare di più
di Sonia Leo..................................................................... pag. 86
di Lorenzo Ferrari............................................................. pag. 16
Vinaria
Golavagando
Il focus di Alessandro Magnum
Il Gelatiere dal 1948......................................................... pag. 20
40 vini della vita
GolavagandOraviaggiando
di Alessandro Rossi.......................................................... pag. 92
Ristorante Patty a Riccione
Problemi per il vino italiano
di Alessia Pellegrini.......................................................... pag. 22
con l’abolizione dei piccoli Comuni
Cocktail... and more
di Gianluca Ricci............................................................... pag. 94
Cherry Rosé - Piadina con mousse di mortadella,
Enovità
gambero e pistacchi
di Gianluca Ricci............................................................... pag. 96
di Daniele Briani............................................................... pag. 24
Vinaria Appunti di viaggio, Sud Africa di Angelo Gaja.................................................................. pag. 97
EDITORIALE di
Elsa Mazzolini
MADIA VEG Quando i frati dell’Antoniano di Bologna hanno chiamato lo chef vegano Simone Salvini – noto ai più grazie all’imitazione di Crozza – per cucinare il pranzo alla mensa dei poveri, tra i convitati è serpeggiato un malcontento di cui ha parlato tutta l’Italia. Forse la salvifica missione clericale dovrebbe limitarsi alla conversione religiosa e non a quella alimentare; di certo il segnale dato dai clochard non va sottovalutato: l’integralismo vegano non può essere un’imposizione, ma una scelta. Nel Bel Paese il problema è di relativa entità: solo il 7% della popolazione segue un regime vegetariano e solo l’1% rifiuta qualsiasi cosa provenga dagli animali. La dieta mediterranea potrebbe costituire la salomonica via di mezzo: nella piramide degli alimenti che dovrebbero garantire il nostro benessere, infatti, abbondanti sono quelli di origine vegetale e molto modeste le quantità di pesce e carni, soprattutto rosse, da consumare saltuariamente (2,6 - 5%). Senza dimenticare che tutta la nostra cucina tradizionale del sud, di matrice contadina, è di fatto storicamente vegetariana. Sono soprattutto le motivazioni di carattere ambientalista e animalista a determinare oggi la scelta vegetale, tanto che il 52% degli italiani sarebbe favorevole alla promulgazione di una legge che, per impedirne la macellazione, vorrebbe equiparare tutti gli equidi agli animali da affezione. Ma in base a che cosa potremmo definire oggi l’affezione?! Un mio amico aveva un gallo che mangiava nel seggiolone a tavola con la famiglia e si puliva il becco nel tovagliolo quando gli dicevano che si era sporcato. Io stessa avevo una gallina che mi si sedeva in grembo quando leggevo e che giocava a rimpiattino con le mie figlie. Temo che l’affezione sia dunque un fatto relativo e molto individuale. Nella mia sfera di affetti, per esempio, non rientrano ancora pesci e crostacei... Dedicare quasi l’intero giornale di giugno alla cucina vegetale potrebbe sembrare sproporzionato se rapportato quindi a quell’8% di consumatori che hanno fatto la loro scelta etico/salutista. In realtà un buon piatto vegetale rientra in ogni regime alimentare onnivoro e poi noi “ci portiamo avanti con i lavori” perché, secondo le più recenti proiezioni statistiche, nel 2050 sarà vegetariana la metà
ME
della popolazione italiana.
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LACULTURADELBENESSERE
a cura di
Primo Vercilli Medico Dietologo
ETICHETTE E SPOT CHE CONFUSIONE!
Magari è superfluo, ma oggi voglio semplicemente farvi un invito a leggere sempre con molta attenzione quello che vi capita sott’occhio: in particolare etichette nutrizionali e articoli di giornale possono spesso creare confusione invece di aiutare a comprendere. Intendiamoci, di passi avanti (soprattutto se guardiamo le informazioni nutrizionali inserite nelle etichette) ne sono stati fatti, ma ancora molto spesso ci sono deficit informativi o messaggi che portano ad equivoci. Secondo un’indagine che ha coinvolto, qualche anno fa, 56 Paesi, condotta dalla Global Nielsen Survey, 6 consumatori su 10 non capiscono le etichette delle confezioni. Tra l’altro, a volte, si nota anche una discrepanza nel mettere in evidenza le caratteristiche, da nazione a nazione, pur tenendo presente lo stesso prodotto. Ad esempio in alcuni Paesi viene utilizzata una informazione “a semaforo” che invece in Italia, per lo stesso prodotto, non viene utilizzata. Sicuramente una etichettatura in cui le carenze nutrizionali, o gli eccessi, vengono evidenziati con un colore è molto più comprensibile di tabelle in cui i numeri vengono semplicemente elencati. Non solo: a volte, per un certo prodotto, vengono messe le informazioni nutrizionali non solo per 100 grammi o per porzione (richieste per legge), ma addirittura per abbinamento. Faccio un esempio con una certa polvere di cacao molto utilizzata per fare la colazione, mescolata con il latte: nelle tabelle nutrizionali compare
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anche la tabella con le informazioni riguardanti la porzione di latte già mescolata con la polvere di cacao. Questo tipo di informazione, sebbene apparentemente comoda, rischia di portare fuori strada il consumatore, che non sa più se il contenuto di calcio (o di grassi o di proteine, ecc.) è dovuto ad un prodotto o ad un altro. È come se nell’etichetta di un sugo pronto io mettessi le caratteristiche nutrizionali della pasta condita con quel sugo! L’invito è sempre quello di fare molta attenzione a ciò che si legge, perché, purtroppo, la verità non è mai (ma veramente MAI) quella che appare a prima vista. O meglio, per comprendere realmente come stanno le cose, bisogna effettivamente non solo leggere con attenzione le etichette, ma anche avere una informazione adeguata alle spalle (che il più delle volte non si ha!) ed essere già sensibilizzati nei confronti delle problematiche nutrizionali. Pensate per esempio a tutto quello che ultimamente si sente dire dell’olio di palma. Molte aziende si sono mosse per toglierlo dagli ingredienti nei loro prodotti (e, ovviamente, si sono affrettati a renderlo evidente nelle confezioni con diciture tipo “palm oil free”), ma questa conquista dei consumatori a volte si scontra con il fatto che comunque quegli stessi prodotti hanno, in ogni caso, un elevato quantitativo di grassi saturi. Il problema dell’olio di palma infatti, sta semplicemente nel fatto che contiene molti grassi saturi. Ecco perché sebbene ci riempia
LACULTURADELBENESSERE
di soddisfazione acquistare un prodotto “palm oil free” è altrettanto vero che, per la nostra salute è bene non sottovalutare, sempre nello stesso prodotto, il contenuto di grassi saturi, che potrebbe comunque essere estremamente elevato. Sono quindi necessarie una conoscenza, una consapevolezza e una attenzione. Troppo difficile? Difficile o no, ne va della nostra salute. Il rischio altrimenti è solo quello di avere una gran confusione in testa. Perché è proprio questo il problema: la confusione, il disorientamento. E, purtroppo, in campo alimentare, di confusione ce n’è davvero tanta. Molto spesso (fortunatamente non sempre) è proprio sulla confusione che le industrie alimentari puntano, quando ci fanno vedere con orgoglio le informazioni nutrizionali sui loro prodotti, puntando l’accento su qualcosa di positivo, che attira l’attenzione per distoglierla da altre informazioni, che sono sicuramente inserite in etichetta, ma sono meno visibili (presenti perché previste per legge). Pensate che troveremo mai, per esempio, un sacchetto di patatine in cui viene enfatizzato allo stesso modo l’assenza di grassi saturi e l’eccesso di sale? Certamente no. L’assenza di grassi saturi viene messa in evidenza, mentre l’eccesso di sale lo possiamo solo ricavare dalle tabelle nutrizionali. Questa è la potenza del marketing e la lacuna della legislazione. Da qui poi si creano gli equivoci. Un esempio tra tutti? La margarina. Ci sono ancora persone che comprano la margarina, perché “è priva di colesterolo” (che è vero!) e quindi è migliore di qualsiasi altro grasso di condimento (falso!). Già dagli anni 70 del secolo scorso, un numero sempre maggiore di studi ha analizzato il possibile ruolo dei grassi parzialmente
idrogenati (caratteristici della margarina e responsabili della sua consistenza molle, semisolida) nell’insorgenza delle malattie cardiovascolari. In quel periodo, la margarina e i grassi simili presentavano un livello elevato di grassi trans (39-50%). Nel 2003 l’assunzione quotidiana di grassi trans da parte degli americani era di circa 7 grammi al giorno per gli uomini e 5 per le donne. Il principale organo di controllo americano sull’alimentazione, la FDA, stimò che la presenza di grassi trans negli alimenti poteva causare la morte per patologia coronarica di 1000 americani all’anno. Con il tempo la percentuale di grassi trans nella margarina è di molto diminuita, ma resta comunque un alimento che viene proposto come “salutare” e che invece è dannosissimo. Ma purtroppo, in assenza di conoscenza, in un sistema di confusione, il più delle volte, non capendo bene il significato delle tabelle nutrizionali, ci fidiamo degli slogan e degli spot. Come, per esempio, quando ci troviamo di fronte ad un prodotto “magro”! Le persone sono ancora convinte che un prodotto a “zero grassi” sia un prodotto a “zero calorie”! Ma allora, se fosse così, vorrebbe dire che lo zucchero (zero grassi) è paragonabile all’acqua fresca! Infatti, devo dire, ci sono moltissime persone che dicono che un ghiacciolo è come bere acqua ghiacciata! Oppure altri pensano che “cibo grasso” sia sinonimo di “cibo cattivo”! In questo caso, quindi, l’olio di oliva (elemento fondamentale per la salute) sarebbe dannosissimo! Che fatica, amici, orientarci nella jungla delle etichette nutrizionali e degli spot pubblicitari! Meglio spegnere la tele, riporre in frigo il nostro prodotto “zero grassi” e farsi una bella passeggiata all’aria aperta!
LA SCELTA VEGANA
a cura di
Silvia Bianco testimonial di cucina vegana
VINI BIOVEGANI
SONO SEMPRE PIÙ NUMEROSE LE AZIENDE CHE PRODUCONO IN MODO ETICO Spesso ho avuto occasione di incontrare persone che considerano l’acqua come la bevanda d’eccellenza per accompagnare i piatti, ritenendola l’unica scelta per percepire appieno i sapori. L’acqua è un bene preziosissimo a cui non possiamo e dobbiamo rinunciare; ma se parliamo di cibo in senso di godimento, sia vino che acqua scelti con accuratezza permettono di esaltarne le qualità. Un’acqua ed un vino più leggeri andranno ad accompagnare pietanze delicate, mentre piatti più sostenuti e strutturati avranno bisogno di essere abbinati a vini robusti ed acque mineralizzate. Concorderete con me che le percezioni organolettiche delle bevande e del cibo, oltre che la qualità degli stessi, sono quindi importantissime per fare gli abbinamenti giusti ed ottenere il massimo dell’espressione dei sensi. Premetto che non sono una grande intenditrice di vini, ciò nonostante distinguo all’assaggio la preziosità di un vino d’eccellenza. Sono rimasta piacevolmente colpita durante l’ultimo Vinitaly, dal fatto che molte aziende stanno intra-
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prendendo un cammino di conversione al biologico e molte al biodinamico per giungere a vini vegani. Sarà la maggiore consapevolezza del prodotto, sarà che i produttori fanno i conti con i trend del momento, specialmente all’estero dove c’è maggiore sensibilità al biologico e vegano, diverse grandi aziende vinicole, anche quelle che da sempre hanno un tipo di produzione molto tradizionale, hanno presentato ufficialmente delle linee bio e vegan. Non è un cambio semplice ed immediato, richiede tempo e volontà di cambiare: un vino è vegan quando non vengono utilizzati derivati di origine animale durante gli step produttivi (ad esempio per la chiarificazione) ed il risultato del prodotto è ottimo tanto quanto quello di una produzione classica. Apprezzo quindi enormemente gli sforzi di ogni cantina che, oltre alla classica produzione, abbia iniziato a proporre una linea vegana. Ne ho incontrate molte, alcune cantine hanno esordito sul mercato proponendo una sola etichetta vegan, abbiamo ad esempio il Ruchè Montalbera del Monferrato, il Brut Green Vegan di Quadra di Franciacorta, TerraQuilia
LASCELTAVEGANA
TARTUFINI
al cacao e burro d’arachidi Chef Stefano Broccoli Pasticceria Dolcevita - Bergamo INGREDIENTI
g. 120 di datteri medjoul freschi e morbidi (denocciolati), g. 120 di ceci cotti BIO, scolati senza sale (utilizzare i ceci contenuti nella lattina utiliz-
zata per l’Aquafaba), g. 100 nocciole
tostate BIO e senza pellicina, g. 30
di cacao amaro in polvere, 1 punta di
vaniglia bourbon in polvere, 7 cucchiai
di Moscato Giallo Bio Vegan Cantina
Aldeno, 2 cucchiai di olio di riso/girasole
deodorato, 3/4 cucchiai di burro di arachidi. PROCEDIMENTO
Ammorbidire i datteri in acqua per 15 minuti e
strizzarli. Tritare le nocciole nel mixer, aggiungere i
ceci scolati, i datteri fatti a pezzettoni, il cacao , peanut but-
ter, vaniglia bourbon. Aiutare il lavoro del robot con l’acqua e
l’olio. Regolarsi con la consistenza in base alla necessità. Con queste dosi viene un composto compatto, si possono fare delle quenelle o truffle o formine varie con l’ausilio di formine per biscotti.
© Gianni Triggiani
con il lambrusco e pignoletto del modenese, il CiuCiu rossopiceno delle Marche, il Vegamaro il primo Negroamaro pugliese certificato vegan di Feudi di Guagnano, ed inoltre ci sono aziende come Cantina Aldeno di Trento che, oltre alla produzione standard, dal 2015 propone più di una tipologia di vini biovegan come il Gewurtztraminer, Pinot grigio, Moscato Giallo, Merlot, Cabernet, Trentino rosso e nero, tutte vegan. L’azienda è una cooperativa di soci, il cui presidente è vegano ed ha quindi spinto affinché venisse introdotta la linea vegan, un’idea accolta da tutti i soci fondatori con entusiasmo e con l’obiettivo nel tempo di convertire a vegan tutta la produzione completa. La qualità dei vini biovegan è sempre più elevata, come dimostra l’Azienda Agrobiologica San Giovanni di Offida (AP) che già a Montpellier - rinomato Salone Mondiale del vino da agricoltura biologica - ha ottenuto la Medaglia d’Oro per lo Zagros Offida D.O.C.G. Pecorino 2012, l’Argento per il Marta Marche I.G.T. Passerina 2013 e il Bronzo per il Leo Guelfus Rosso Piceno D.O.C. Superiore 2010.
Durante la mia visita a Vinitaly ho avuto modo di conoscere direttamente una grande azienda, conosciuta a livello mondiale, apprezzata ed amata da tutti (vegan e non) con un vino che fa breccia nel cuore, un vino che all’assaggio è come il Primo Bacio: Querciabella. No, non mi piace vincere facile, ma Querciabella è un’eccellenza di equilibri naturali ed energetici che seducono con eleganza e passione, di cui non si può fare a meno di parlare. E’ tra le prime aziende impegnate a rispettare l’ambiente ed bandisce l’utilizzo di animali e prodotti di origine animale in ogni fase produttiva, dalla vigna alla cantina. Il Presidente Sebastiano Cosma Castiglioni ereditò l’azienda dal padre Giuseppe e grazie alla lungimiranza, ma soprattutto alla volontà di salvaguardare l’ecosistema, Sebastiano C. Castiglioni convertì Querciabella alla viticoltura biologica nel 1988 e poi biodinamica dal 2000. È il più grande vigneto in Italia biodinamico e certificato biologico con 74 ettari di vigneti del Chianti Classico e 32 ettari sulla costa della Maremma, la cui produzione non contempla
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LA SCELTA VEGANA
la presenza di sostanze chimiche e sintetiche (biologico) ed utilizza innumerevoli tecniche per portare un perfetto equilibrio all’ecosistema del vigneto per condurlo sino alla cantina. Questo avviene dalle potature e raccolte manuali, dallo studio attento dell’ambiente ed il suo contesto, fino all’utilizzo di sovesci derivanti dalla macerazione di piante che nascono già nell’ecosistema del vigneto a cui vengono aggiunte erbe aromatiche ed officinali, come la senape tra una coltura e l’altra e le leguminose per dare vitalità al terreno. Tutto ciò che serve all’ecosistema del vigneto nasce già al suo interno e non viene portato nulla da fuori, escludendo categoricamente tutti i prodotti animali e chimici dai loro processi. La vite si nutre unicamente dal terreno su cui vengono lasciati a macerare i sovesci costituiti da 36 piante diverse, permettendo così a migliaia di vermi, insetti ed altre specie di nutrirsi ed al contempo di arricchire microbicamente il terreno del vitigno. Inoltre tutti i vigneti sono circondati da boschi che fungono da barriera naturale contro quei terreni che vengono denaturati con pesticidi ed forniscono energia e vitalità, facendo interagire animali ed insetti con il vigneto. Un vibrante dialogo della natura, è così che nasce il sapore ricco ed unico di queste uve, favorendo una meravigliosa biodiversità in tutto l’ecosistema circostante e contribuendo alla salvaguardia delle api, che negli ultimi decenni stanno, ahimè, diminuendo drasticamente per via dei pesticidi e fertilizzanti chimici. La loro scomparsa porterebbe a conseguenze devastanti, perché le api sono insetti essenziali per l’ecosistema terrestre: basti pensare che l’impollinazione di piante e coltivazioni dipende all’80% dalle api. Confido in un futuro prossimo in cui sempre più aziende intraprenderanno questo cammino verso un mondo migliore, producendo vini d’eccellenza nel rispetto della natura.
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WALTER FRONTALINI IL RE DEL VEGAN E GLUTEN FREE Sin da giovanissimo si forma nella cucina dello chef Fabio Tacchella e lavora con chef di primo piano, da Giorgio Nardelli, a Cristian Beduschi, campione del mondo di pasticceria italiana, a Lucio Pompili (ristorante 2 stelle Michelin). La passione porta Walter Frontalini ad approfondire il tema del senza glutine. Un vero pioniere in questo campo: nel 2001 il suo ristorante entra a far parte dei “locali informati” della guida nazionale dell’AIC. Nel 2012 fonda Cibotec Food Ingredients, orientato allo sviluppo di farine senza glutine, zucchero, uova e lattosio per la pasticceria e la cucina.
RICETTA GLUTEN FREE - SUGAR FREE - VEGAN
LASCELTAVEGANA
BURGER VEGANO
di panelle palermitane alle prugne della California, peperoni rossi, cipolle e aceto balsamico INGREDIENTI
fino ad assorbimento dalla pasta. Formare subito 4 palline di 84
2 patate a spicchio con la buccia, 4 fette di pomodoro, 10 prugne
in un luogo caldo per 30-35 minuti. Spennellare i panini con latte
Per 4 panini: 4 panini da burger, 4 fette di cipolla rossa di Tropea, della California, 4 burger di panelle (pasta phyllo Gluten Free), g. 100 di dressing all’aceto balsamico di Modena.
Per il panino da burger: g. 167 di Tutto Farina 1 (farina senza
glutine), g. 122 di acqua, g. 3 di lievito di birra secco, g. 8 di olio extravergine d’oliva, g. 5 di sale. PREPARAZIONE
Riscaldare l’acqua (tiepida) e aggiungere il lievito, mescolare e lasciare riposare per 5 minuti. Nel vasca di un mixer aggiungere la
farina setacciata, il sale con l’acqua (precedentemente mescolata con lievito) ed impastare gli ingredienti.
Versare l’olio d’oliva e continuare ad impastare, anche a mano,
grammi e porre su una teglia con carta da forno. Lasciar lievitare
di riso e cospargere con semi di sesamo. Cuocere i panini in forno già caldo a 180°C per 30-35 minuti o sino che abbiano preso un
bel colore dorato. Aggiungere, assieme ai panini, contemporaneamente una teglia con un po’ d’acqua nel ripiano piu in basso nel forno.
Per la salsa di prugne e aceto balsamico: mettere in un pentoli-
no 8 prugne tagliate in 4 con 300 grammi di aceto balsamico, e 30 grammi di peperone rosso a cubetti e lasciar cuocere finché che si sia creata una salsa semi densa. Lasciare raffreddare a temperatura ambiente (da fredda sarà più densa).
Per gli hamburger di panelle palermitane: tritare finemente
due fette di cipolla e mezzo peperone rosso, tagliare le 3 prugne
a pezzettini, mettere 300 grammi di acqua fredda in un pentolino
con 150 grammi di farina di ceci, aggiungere sale e pepe e cuocere mescolando continuamente; a cottura ultimata aggiungere la
cipolla, i peperoni e le prugne. Distendere su una teglia la crema formatasi nello spessore di 2-3 centimetri e lasciar raffreddare.
Preparazione fagottini: srotolare la pasta phyllo, tagliare i fogli in quattro quadrati identici e con un pennello in silicone bagnare l’interno degli stampi da muffin e ogni foglio con l’olio; sovrapporre 4 fogli come se fossero dei petali. LAVORAZIONE
Tagliare la crema a fettine spesse circa 1 centimetro, porle al centro dei quadrati, aggiustare con il pepe bianco e chiudere
bene il composto con il primo foglio di pasta phyllo. Sovrapporre i successivi arrotolandoli su se stessi come a simulare la corolla di
un fiore. Sistemare il saccottino all’interno degli stampi da muffin, infornare a 170°C per pochi minuti (fare attenzione: la pasta phillo
cuoce in un momento). Con un cerchio (coppa pasta) tagliare le panelle e cuocerle in una padella antiaderente ben calda con un filo d’olio sino a doratura completa da ambo le parti.
Per le patate: sbollentare le patate in acqua per 5 minuti, poi
scolarle e condirle bene con olio extravergine, rosmarino tritato, paprika, aglio. Distribuire su una teglia e cuocere in forno a 180°C sino a doratura ultimata.
Creare l’hamburger: tagliare i panini a metà, mettere la fetta di pomodoro, poi il burger di panella palermitana, poi gli anelli di
cipolla e per ultimo il dressing al balsamico. Coprire il panino con l’altra metà e gustare ogni morso con le patate arrostite ben calde. P.S. Controllare sempre che i prodotti siano ammessi per celiaci.
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Gala teo ASSAGGI DI
a cura di
Fabio Ferrantino Docente di Galateo presso Bon Ton Academy Professore di Enogastronomia IPSSAR Piobbico
METTERCI LA FACCIA…DIGITALE ALCUNE ACCORTEZZE DI NET-ETIQUETTE PER ESSERE IMPECCABILI ANCHE SUL WEB
Dai foodie ai ristoratori più all’avanguardia, il mondo della rete è diventato indispensabile per trasmettere la propria identità ed il proprio business. Non sempre però lo si fa in modo corretto rischiando a volte di creare dei danni d’immagine o distorcere negativamente dei messaggi destinati a chi è aldilà dello schermo. Il mondo del web è molto severo e non perdona, ad aiutarci per evitare gaffe sulla rete c’è la Net-Etiquette, una serie di comportamenti adeguati che ogni utente del web dovrebbe adottare, ancor più se rappresentante di un’azienda o un marchio. La gran parte dei possibili avventori alla ricerca di un ristorante adatto a loro iniziano per prima cosa a consultare il web in cerca di maggiori informazioni sull’ambiente, i servizi, le tipologie di menù, i piatti e così via. Con il sito o la nostra pagina social dobbiamo identificare ciò che facciamo in modo da poter trasmettere la nostra storia. Layout e contenuti sono essenziali per raggiungere questo obiettivo. Se si hanno poco tempo e poca esperienza con questi strumenti di marketing è consigliabile affidarsi ad un’agenzia di comunicazione che curerà la vostra immagine, ma è importante che tutto ciò che viene pubblicato sia vagliato da titolari e responsabili, al fine di comprendere se i vostri intermediari recepiscano in modo adeguato il messaggio che deve passare. Uno degli errori più comuni e più gravi riguarda la fotografia. Capita spesso di trovare nella home del sito del ristorante, il primo impatto della visita virtuale, una slideshow, ossia una sequenza di immagini, con risoluzioni molto basse che danno un aspetto
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pessimo di ciò che vogliamo presentare. Oggi la fotografia è essenziale per invogliare un possibile cliente a varcare la soglia del proprio ristorante e ci fa comprendere già dal web la cura e la passione che riponiamo nell’attività che conduciamo. Diviene dunque fondamentale investire periodicamente in servizi fotografici professionali capaci di catturare la vostra essenza per poi comunicarla al pubblico della rete. È apprezzabile affiancare al sito web ufficiale le pagine dei social network più famosi come facebook o twitter, in modo da raggiungere una fetta più ampia di utenti, per farsi conoscere e per trasmettere delle iniziative anche attraverso questi canali. In ogni progetto è fondamentale comprendere e individuare le esigenze più importanti dei visitatori. I requisiti essenziali che non devono mancare nella navigazione sono delle gallerie fotografiche per raccontare visivamente l’esperienza gastronomica che si potrebbe vivere, la possibilità di consultare il menù online, l’indirizzo e i contatti del ristorante compresi gli orari di apertura. Questi ultimi sarebbe opportuno inserirli in tutte le pagine in basso o nella parte superiore in quanto spesso si ricerca il sito solo per queste informazioni. Evitiamo di fare partire dei sottofondi sonori o dei video all’apertura della home che spesso infastidiscono i visitatori, soprattutto se si trovano in un luogo pubblico. Ricordiamoci che la maggior parte dei naviganti della rete usufruisce di questo servizio attraverso dei dispositivi mobili come tablet e smartphone, quindi diviene essenziale avere dei siti
ASSAGGIDIGALATEO
detti responsive ossia che adattano i contenuti in base alla grandezza dello schermo che stiamo utilizzando, dando una visione sempre chiara delle nostre pagine. Fra i servizi più comodi da inserire su un sito vi è la gestione delle prenotazioni online, quindi la possibilità di riservare il proprio tavolo con un click, ancora una realtà un po’ lontana, che pian piano sta arrivando anche nel nostro Paese. Legato a questo bisogna aprire una parentesi. Spesso non siamo abituati ad usare la comunicazione web fatta di email, messaggi sui social ecc. È importantissimo, come per il telefono, rispondere cordialmente e prontamente confermando una prenotazione online o inviando una email; sono sinonimi di professionalità ed efficienza. Dunque controlliamo periodicamente durante il giorno anche questi canali di interazione.Per le email sarà fondamentale creare una firma, ossia una sigla che apparirà automaticamente in tutte le email che scriviamo dove andremo a mettere oltre al logo aziendale anche il nome del responsabile che sta scrivendo, l’indirizzo e i recapiti della realtà di ristorazione che si sta rappresentando. Se il ristorante accoglie anche della clientela straniera, sarà fondamentale la possibilità di visualizzare le pagine in lingue diverse, quelle più utili ovviamente. Capita, anche per i ristoranti più rinomati, che sul sito o sulle pagine social si trovino gigantografie dello chef o patron quasi in ogni pagina. Sicuramente far conoscere anche virtualmente lo staff può avere una funzione di avvicinamento e fidelizzazione del cliente, ma ciò non deve prevalere sul focus centrale ossia la presentazione dell’ambiente, di ciò che si fa e dell’esperienza emozionale incentrata sulla clientela. I social network sono sempre più importanti e non possono mancare come integrazione del sito. Sono pagine che vanno curate periodicamente, almeno un paio di volte a settimana, pubblicando contenuti che raccontino un pezzo di storia della vostra realtà rendendo partecipi le persone già vostre clienti ed invo-
gliando i possibili avventori. È importante interagire con tutti gli internauti che seguono le vostre pagine (followers) che ci citano o commentano qualche contenuto, non replicare equivale a non rispondere ad un saluto ricevuto. Queste pagine possono divenire un forte strumento di marketing facendo arrivare il vostro messaggio a target di persone ben definite per sesso, età, interessi e luoghi frequentati. In evoluzione dell’attività è sicuramente un valido aiuto a cui destinare un importante budget. Anche su questi canali è indispensabile riportare tutti i dati di contatto e localizzazione del proprio business. Fra le regole è rilevante ricordarsi di scrivere sempre in minuscolo e mai interamente in maiuscolo, sulla rete o per email equivale a gridare. Come accennato in precedenza, il web non perdona, dunque anche quando ricevete delle critiche verso la vostra azienda, bisogna rispondere in modo garbato e professionale, senza mai perdere le staffe e mai mentendo su ciò che si afferma: tutto rimane scritto e pubblico; la lealtà e la professionalità saranno dei punti di forza assoluti che vi ripagheranno.
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PROGETTARE L’IMPRESA
a cura di
Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop
NEL MENÙ TRE “ACCORGIMENTI GRAFICI” PER VENDERE I PIATTI A PIÙ ALTA MARGINALITÀ E GUADAGNARE DI PIÙ
Partiamo da una domanda: «E’ vero che al Ristorante si mangia prima con gli occhi che con la bocca?» Esiste da anni una tesi sostenuta da molti: che le persone mangerebbero prima con gli occhi che con la bocca. E’ un ragionamento corretto? Chi scrive crede che lo sia solamente in parte. Chi scrive pensa, infatti, che le persone mangino prima di ogni altra cosa con la mente. Ancora prima che con gli occhi. Ancor prima che con la bocca. Sì, la mente. Infatti, prima di vedere arrivare il piatto al tavolo (quindi mangiarselo con gli occhi) il cliente quel piatto lo ha dovuto scegliere. Poi ordinare. Cioè, quel piatto ha dovuto prima attirare la sua attenzione, poi il suo interesse e infine la sua scelta: «Si’, lo voglio!» Tutto questo rappresenta lo scopo ultimo di un menù ingegnerizzato, cioè un menù realizzato per guidare la decisione del cliente verso determinati piatti, catturandone prima l’attenzione, poi l’interesse e infine convincendolo a compiere proprio quella scelta.
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Contrariamente ai menù tradizionali, i menù ingegnerizzati vengono “pensati” e realizzati proprio per raggiungere questo obiettivo. A quale scopo? Ovviamente quello di incentivare la vendita di alcuni piatti — quelli a più alta marginalità, o popolarità, o di più semplice realizzazione e servizio — rispetto ad altri. Il perché di tutto questo è presto detto: nel momento in cui si incentiva la vendita del piatto a più alta marginalità, a più alta popolarità o di più semplice realizzazione e servizio si finisce per guadagnare di più, incontrare sempre più il volere della clientela e facilitare il lavoro della brigata di cucina e di sala. Ma come si cattura l’attenzione di un cliente nei riguardi di un piatto piuttosto che di un altro? Chi scrive propone tre “accorgimenti grafici”, cioè dei piccoli trucchetti utilizzati più e più volte nella realizzazione di menù ingegnerizzati che hanno dimostrato di funzionare, in tutta Italia. Da nord a sud, da est a ovest, questi accorgimenti grafici hanno dimostrato di portare ingenti profitti ai ristoratori che li hanno utilizzati.
PROGETTAREL’IMPRESA
(1) Riquadro;
(2) Grassetto;
(3) Elemento grafico;
Pappardelle Alfredo Cotte al dente e saltate in padella con un fiocco di burro ed erbette fresche - 10,00
Pappardelle Alfredo Cotte al dente e saltate in padella con un fiocco di burro ed erbette fresche - 10,00
Pappardelle Alfredo Cotte al dente e saltate in padella con un fiocco di burro ed erbette fresche - 10,00
Lasagne della Nonna Sette strati di pura felicità, con ragù di carne cotto lentamente per 8 ore - 9,00
Lasagne della Nonna Sette strati di pura felicità, con ragù di carne cotto lentamente per 8 ore - 9,00
Lasagne della Nonna Sette strati di pura felicità, con ragù di carne cotto lentamente per 8 ore - 9,00
Spaghetto al pomodoro Con salsa di pomodoro fresco, basilico e tanto Parmigiano Reggiano - 7,00
Spaghetto al pomodoro Con salsa di pomodoro fresco, basilico e tanto Parmigiano Reggiano - 7,00
Spaghetto al pomodoro Con salsa di pomodoro fresco, basilico e tanto Parmigiano Reggiano - 7,00
Tagliatelle ai porcini Fatte a mano dalla Iole, saltate con un fiocco di burro e funghi porcini - 10,00
Tagliatelle ai porcini Fatte a mano dalla Iole, saltate con un fiocco di burro e funghi porcini - 10,00
Tagliatelle ai porcini Fatte a mano dalla Iole, saltate con un fiocco di burro e funghi porcini - 10,00
Fusilli al pesto Con pesto alla genovese fatto in casa con ingredienti freschi - 8,50
Fusilli al pesto Con pesto alla genovese fatto in casa con ingredienti freschi - 8,50
Fusilli al pesto Con pesto alla genovese fatto in casa con ingredienti freschi - 8,50
Vediamoli: 1) Il Riquadro. Il primo accorgimento grafico consiste nell’inserire all’interno di un riquadro il piatto che si desidera incentivare. L’immagine parla da sé. Infatti lo “Spaghetto al pomodoro” risalta dalla pagina, catturando l’attenzione di chi legge. Mediamente si riscontrano un aumento degli ordini del piatto all’interno del riquadro di circa il 15%. E’ sicuramente l’accorgimento grafico più efficace. Tuttavia, risulta poco elegante, quindi poco adatto per ristoranti fine-dining che cercano di offrire un’esperienza culinaria alta. Per ristoranti casual, informali e veloci invece è decisamente adatto ed efficace. 2) Il Grassetto Il secondo accorgimento grafico consiste nello scrivere il piatto di cui si desidera incentivare le vendite in grassetto. Anche in questo caso, come ben si può vedere nell’immagine, il risultato è lampante: lo “Spaghetto al pomodoro” cattura immediatamente l’attenzione di chi legge. Mediamente l’ordine medio aumenta del 10%. E’ facile accorgersi di come questo accorgimento non funzioni solamente sul menù, ma anche sulla carta stampata. Si pensi infatti ai titoli di paragrafo contenuti in questo articolo ed evidenziati con l’uso del grassetto. Il nostro occhio, quindi la nostra attenzione, tendono a cadere “naturalmente” su di essi, spingen-
doci a leggerli con più attenzione rispetto al resto della pagina. Giocando graficamente si può utilizzare in tutte le tipologie di ristoranti senza nessun tipo di inconveniente. 3) L’elemento grafico Il terzo ed ultimo accorgimento grafico che utilizziamo per realizzare i menù ingegnerizzati per conto dei nostri clienti è l’elemento grafico. Questo accorgimento, semplice e poco impegnativo, consiste nell’affiancare al titolo del piatto un elemento grafico a piacere. Questo elemento fungerà da “punto di ancoraggio visivo”, catturando l’attenzione del lettore, che sarà portato a leggere il piatto stesso e, spesso, ad ordinarlo. E’ l’accorgimento grafico meno efficace, ma anche quello più versatile. Infatti, avendo l’accortezza di scegliere un elemento grafico coerente con l’identità del ristorante, si potrà utilizzare orizzontalmente in tutte le tipologie di ristorante: dall’osteria allo stellato, dal fast food al ristorante di alta cucina. Un unico consiglio prima di concludere: attenzione alle esagerazioni. Utilizzare troppi accorgimenti grafici non farà altro che generare l’effetto opposto rispetto a quello desiderato, finendo per evidenziare i piatti non in evidenza. Il consiglio, dopo centinaia di test effettuati, è quello di evidenziare un solo piatto per ogni categoria. Buon menu engineering!
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GOLAVAGANDO
NEL PIACENTINO
IL GELATIERE DAL 1984 È ANCHE PASTICCERIA E CIOCCOLATERIA DI QUALITÀ Due famiglie e tre generazioni unite dalla passione per la tradizione e dal coraggio di sperimentare. La famiglia Lavelli e la famiglia Mastromatteo sono garanzia di qualità sin dal 1984, anno in cui Nonno Domenico, insieme ai fratelli Andrea e Pierino, inizia l’attività di gelatiere, in franchising, nel cuore di Castel San Giovanni, storico paesino dell’Emilia, definito la “Porta della Val Tidone” per la sua posizione strategica e per l’interesse artistico dovuto alla presenza di numerose rocche e castelli. È però all’inizio degli anni ’90 che inizia l’inarrestabile evoluzione de Il Gelatiere con il venir meno dell’accordo che lega il locale al marchio d’origine. Da quel momento non solo gelato, dunque, ma anche pasticceria, caffetteria e cioccolateria per Nonno Domenico e per la figlia Emanuela che, insieme al marito Luigi, fanno della qualità della materia prima la loro arma vincente. “Pasticcini, torte e gelato sono i nostri punti di forza anche se l’alta qualità in tutti i campi ci permette di avere eccellenze in ogni prodotto – spiega Davide, terza generazione insieme alla sorella Camilla e alla compagna Federica, nonché forza portante della gelateria oggi. “Ormai tutti producono tutto quindi, per distinguerci dalla concorrenza, puntiamo sulla materia prima e sulla cura dei dettagli.” Bellissimi alla vista e buonissimi all’assaggio, i prodotti proposti da Il Gelatiere nascono da una continua evoluzione che
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GOLAVAGANDO
dura da più di trent’anni. “Il segreto - racconta Davide - è quello di non fermarsi mai. Ci teniamo sempre aggiornati così da poter proporre al nostro cliente continue novità grazie anche ad apparecchiature di ultima generazione.” E l’evoluzione c’è stata anche nella forma con un importante restyling dello storico locale a cura di Costa Group. Massima trasparenza e materiali naturali caratterizzano la nuova veste de “Il Gelatiere dal 1984”. Il laboratorio a vista garantisce un contatto diretto tra artigiano e cliente così come anche la vetrina a due porte, che permette il passaggio delle torte direttamente dalle mani del pasticcere a quelle del cliente. La zona caffetteria, distinta da quella gelateria, ha per protagonista una macchina per il caffè professionale mentre il banco semifreddi ricorda, nella forma, un baule, a significare qualcosa di appena arrivato, quindi freschissimo. Ceramica bianca per il laboratorio e per il frontale del banco a richiamare pulizia e freschezza, mentre a terra e su una parete gres porcellanato effetto legno a ricreare un’ atmosfera calda e naturale. Il marmo all’ingresso conferisce la giusta importanza al locale, mentre l’intelaiatura in ferro della porta, con saldatura a vista, ha il sapore del passato. “L’operazione fatta con Costa Group aveva due scopi - racconta Davide - Riprogettare il locale in chiave moderna e funzionale, senza però dimenticare 30 anni di storia, e, nel contempo, riuscire a farlo creando qualcosa di unico e personale.” E l’operazione sembra piacere davvero anche alla golosa clientela. Il restyling ha infatti portato un notevole incremento di lavoro e un grande numero di potenziali nuovi clienti. C’è chi passa per un gelato, una granita, un delizioso pasticcino o anche solo per un caffè… una piccola pausa di dolcezza per poi tornare sicuramente!
IL GELATIERE DAL 1984
Piazzale Antonio Gramsci, 2 Castel San Giovanni (PC)
Studio, design e progettazione: Costa Group Arch. Paolo Torpia
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GOLAVAGANDO
A RICCIONE
Via Passeggiata Goethe, 28/c
RISTORANTE PATTY
Tel. 0541 642548
PER UNA PASSIONALE CUCINA DI PESCE
RISTORANTE PATTY
47838 - Riccione (RN)
www.ristorantepatty.it
Alessia Pellegrini Giovanni Mastropasqua
di foto di
Mangiare è una necessità, mangiare bene è un’arte da coltivare con intelligenza e curiosità. Così insegna la cultura marinara di Diego Silvestri, titolare e gestore del ristorante Patty di Riccione, custode di un’antologia di storie di mare nella quale nessuna onda è uguale ad un’altra. Porto di approdi e partenze, di sirene e marinai che hanno voglia di sentire il gusto del sale e del mare, il locale è situato a pochi metri dalla zona Marano a Riccione, a ridosso di una bella passeggiata che costeggia il lido. Un menu per gli amanti del pesce crudo ed un menu per chi ama divertirsi con le creazioni dello chef, sono la base di una cucina di chiara ispirazione mediterranea che riesce a conquistare tutti. Quando, nel 2007, si apre l’opportunità di rilevare questo ristorante sulla spiaggia, Diego, finalmente, può trasformare in motivazione professionale le sue passioni più intense e far maturare le esperienze passate nel settore della ristorazione mettendo in campo tutte le cose che ha imparato fin da ragazzino quando suo padre era titolare di una pescheria. La cucina di questo locale è un viaggio per mare ed un percorso di scoperta. L’io protagonista è la materia prima, l’ingrediente, il pesce, esaltato nella sua semplicità o nella sua complessità. Protagonista è anche la sfida di presentarlo
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crudo, così com’è, facendolo apprezzare nella sua naturale consistenza e nel suo sapore ricco e intenso. Un’educazione al gusto che promuove un rapporto passionale con gli alimenti, un approccio tipicamente romagnolo, orientato al corpo, a tutto ciò che è immediato ed autentico. Ed immediata ed autentica è la cucina di questo locale che si presenta senza segreti, in trasparenza. Il pane ed i dolci sono di produzione propria ad eccezione di alcune specialità della pasticceria campana e siciliana, le paste fresche sono preparate in casa (tagliatelle, tagliolini, ravioli, tortelloni, passatelli e strozzapreti), i sughi sono cucinati al momento con l’offerta ulteriore di frutti di mare, ostriche dalla Bretagna, noci, mandorle, tartufi, cannelli, canocchie, cozze pelose e tutto il pescato freschissimo della Sicilia, ricci e tonno rosso, scorfani, cernie, occhiate, mazzole, saraghi, gamberi rossi e viola di Mazara del Vallo. Verdure, ortaggi e frutta vengono dal territorio, l’entroterra circostante. La carta dei vini conta circa 120 etichette, da Nord a Sud, con una particolare attenzione per le bollicine, italiane e francesi, una decina di champagne ed una buona selezione di distillati di pregio.
L’AMBIENTE Elegante, ben curato, con il bianco che ben si accorda agli ambienti marini, riflettendo la luce solare e rendendo gli spazi più ampi, rilassanti e sereni. C’è qualcosa in questo locale di completamente diverso, qualcosa che non solo si può mangiare ma che rende felici; nello sfondo, la maestosità del mare, la sua gratuità preziosa, la gioia condivisa di un pasto... cose che hanno a che fare con la pienezza della vita.
LA DEGUSTAZIONE Una entrée a base di tortino di ricotta di pecora di San Patrignano con polpa di crostacei e fragole precede l’antipasto con acciughe del Cantabrico con yogurt greco salato, burro salato francese e uova di salmone, carpaccio di salmone reale dell’Alaska, tonno rosso di Mazara del Vallo, ricciola, ombrina e spigola. A seguire i primi di pasta: spaghetti ai ricci di mare e passatelli con crema di zucchine e mazzancolle. I secondi propongono spigola ai frutti di mare e fritto in pastella di birra con calamari, seppioline, gamberoni e mazzancolle. Il dolce a chiudere è un fruttino gelato ai gusti fragola,
arachide, noce e fico d’India, un gelato preparato da una nota pasticceria salernitana con la polpa del frutto e presentato nel frutto stesso. Nel calice, ad accompagnamento della degustazione, Demetra dalla Cantina Mirabella in Franciacorta. Perché far visita al ristorante Patty di Riccione? Per tutta la freschezza e la varietà del pesce pescato e non allevato, la tipicità regionale ed il largo respiro di una cucina mediterranea. Mangiare su tavoli dalla “mise” raffinata, potendo scegliere tra sabbia o sala interna, garantisce la riuscita del pranzo. Il servizio attento e frizzante e i prezzi al di sotto delle aspettative producono clienti felici.
OSTERIA DI CHICHIBIO Largo Gelso, 12
70044 Polignano a Mare (BA) Tel. 080 424 04888
www.osteriadichichibio.it
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C CKTAIL... a cura di
Daniele Briani foto di
StudioGraf IL BARTENDER
CHERRY ROSÉ cl. 2 di Cherry cl. 5 di Soda
3 pezzetti di lime
6 pezzetti di fragola
1 cucchiaio di zucchero
Charles Flamminio
Franciacorta Rosé a colmare
Bartender mixologist Belludi 42 Riccione
PIADINA CON MOUSSE DI MORTADELLA, GAMBERO E PISTACCHIO
LO CHEF
INGREDIENTI
Per la mousse di mortadella
4 pistacchi interi
g. 125 di formaggio cremoso
4 gamberi
2 cucchiaio d’olio
mezzo spicchio d’aglio in camicia Per la piadina
g. 500 di farina
Fabio Drudi
g. 40 di latte
“Curiosità, passione e tenacia sono gli ingredienti dei miei piatti”
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g. 250 di mortadella
Mettere la mortadella e il formaggio cremoso in un cutter e lavorare per realizzare un composto cremoso. Passarlo al setaccio e metterlo in una sacca da pasticciere.
g. 100 di strutto
PREPARAZIONE
g. 50 di acqua gassata
scottarli in una padella con due cucchiai d’o-
g. 150 di acqua tiepida g. 15 di sale
Impastare il tutto e far riposare. Tirare l’impasto e formare dei piccoli dischi da cuocere sulla piastra.
Sgusciare i gamberi, privarli del loro filo e
lio e mezzo spicchio d’aglio in camicia. Pren-
dere i dischi di piadina, porvi la mousse di mortadella e formaggio al centro, aggiungere il gambero e finire con un pistacchio sgusciato.
“
Dal pre dinner all’after dinner, nasce un nuovo modo di giocare tra solido e liquido. L’alchimia del bere miscelato sposa la cucina con sapori che rimbalzano dall’una all’altra preparazione, in una esperienza sensoriale pienamente coinvolgente.
”
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golavagando montresor di
Massimo Di Cintio
SUL MARE DI CHIETI
PUNTA CAVALLUCCIO HA IL FASCINO ESCLUSIVO DEL TRABOCCO
“Quel fanciullo seminudo agile come un gatto, bruno come un bronzo ricco d’oro…con i suoi occhi acuti d’uccel di rapina”. Così Gabriele d’Annunzio descriveva Tommaso Verì, più conosciuto come Tummase de Scirocche (di scirocco, dal nome del vento), in una poesia del 1875. Il poeta abruzzese tornava periodicamente nel suo eremo dal quale guardava il mare e qualche anno dopo raccontò “la grande macchina pescatoria composta da tronchi scortecciati, di assi e gomene, che biancheggiava singolarmente, simile allo scheletro colossale di un anfibio antidiluviano”, ovvero il trabocco, straordinaria struttura da pesca che ingioiella il tratto di litorale che va da Ortona a Vasto, in provincia di Chieti, conosciuto appunto come la Costa dei Trabocchi. Con un’intelligente operazione avviata a metà degli anni Duemila dalla locale condotta Slow Food subito seguita dalla Camera di Commercio e dalle istituzioni locali, i trabocchi – in tutto una trentina – sono stati oggetto di un progetto di recupero e di valorizzazione per diventare un prezioso attrattore turistico, rimanendo nella disponibilità delle famiglie che da secoli se ne tramandano la conduzione. La più antica, nota e numerosa è quella dei Verì, originari della Francia, arrivati oltre due secoli fa e stabilitisi tra San Vito, Fossacesia e Rocca San Giovanni, dove operano i diversi ceppi parentali. Abili artigiani iniziarono a utilizzare ingegnosamente legni di querce e lecci per costruire semplici passerelle e cercare di arpionare il pesce dall’alto; successivamente adottarono particolari reti da pesca che ancora oggi orlano i trabocchi che per anni hanno rappresentato la fonte primaria di reddito delle famiglie di traboccanti, oggi praticata quasi esclusivamente con piccole imbarcazioni. E dopo quasi un secolo e mezzo sembra di rivedere la scena raccontata da d’Annunzio, ma adattata ai nostri giorni: c’è ancora un Tommaso, pronipote del nostro “Tummase de Scirocche”, ma è ben vestito e l’agilità filiforme serve a muoversi tra i tavoli di quello che negli anni è stato trasformato in un delizioso ristorantino che gestisce insieme ai genitori Orlandino e Pina. È il trabocco Punta Cavalluccio, la cui struttura originaria risale al 1887 costruita dalle mani di Bernardo Verì; insieme ai trabocchi Punta Torre e Spezza Catena, situati a distanza di circa 300 metri l’uno dall’altro e attualmen-
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Il Mon Tresor è... CENARE SULL’ACQUA Pur se la buona cucina della signora Pina rappresenta sempre il punto di forza, un pranzo e ancor più una cena sul trabocco, accompagnata dallo sciabordìo delle onde del mare e dai profumi della macchia mediterranea circostante, rappresenta un’esperienza unica e indimenticabile.
te aperti esclusivamente per le visite, costituisce il patrimonio di famiglia e un pezzo di storia da raccontare e da offrire ai visitatori. Sospesi sul mare e accarezzati di giorno dalle leggere brezze marine e rinfrescati dal venticello di terra che arriva puntualmente dopo le 22, si può gustare la più schietta delle cucine di pesce preparata con sapienza e generosità da mamma Pina, affiancata ai fornelli dalla giovane Alberta Tarquini. Il menù è fisso e non derogabile, si basa sul pescato del giorno e della stagione e prevede una lunga sequenza di antipasti (una quindicina!), un primo e un secondo piatto e un assaggio di frutta e dolci tipici locali, con un costo tra 50 e 60 euro (a seconda se si scelga di cenare sulla piattaforma o più intimamente sulla penisola) compresi i vini proposti (ma in alternativa c’è una carta con oltre cinquanta etichette). Nella nostra visita abbiamo iniziato i marinati di pesce serra e di acciughe, il carpaccio di polpo; le alici fritte in pastella; le polpette di pesce azzurro; i gamberi bianchi e gli scampi al vapore; le mazzancolle al pomodoro; le seppie in terracotta; le cozze ripiene al sugo; le cappesante e i lumaconi ripieni e gratinati al forno, le delicate lumachine e un guazzetto di polpose cozze al pepe e limone. Tra i primi si possono trovare le mezze maniche al sugo di scampi, le casarecce ai frutti di mare, le squisite sagnette con sugo di granchi pelosi e ceci
di Navelli, o la chitarrina allo scoglio. Anche i secondi variano in base all’approvvigionamento, ma c’è sempre una fragrante frittura mista o di calamari e capiterà di trovare la ricciola cotta al tegame condita con capperi e pomodoro, l’ombrina al forno con patate, il tonno alla piastra. Si chiude con frutta di stagione e una selezione di bocconotti frentani. La particolarità del luogo, per il numero non ampio di coperti e per la limitata apertura stagionale – da Pasqua a fine settembre – impone la prenotazione.
TRABOCCO PUNTA CAVALLUCCIO Contrada Piane Favaro, 267
66020 Rocca San Giovanni (CH) Chiuso il lunedì.
Aperti dal martedì alla domenica a pranzo e a cena, da Pasqua a ottobre.
Prezzo 50-60 euro (vini inclusi)
Tel. +39.338.5980985 - +39.333.3010800 www.traboccopuntacavalluccio.it
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golavagando montresor di
Daniele Briani
A PESARO
L’OSTERIA SCOTTADITO RAPPRESENTA IL MODO GENUINO DI CUCINARE IL PESCE Mangiare a “scottadito” non implica, per forza di cose, abbrustolirsi i polpastrelli quando si mangia, ma s’intende quel modo diretto e scevro da troppi convenevoli del galateo gastronomico fatto d’intingoli e salse, di cibarsi del pesce o della carne cucinate sulla griglia. All’Osteria Scottadito l’idea di fondo è proprio questa: riportare sulla tavola l’antica tradizione marinara che prevedeva una bella grigliata del pescato giornaliero, una volta rientrati in porto. Adagiata dirimpetto al mare, nella baia Flaminia di Pesaro, l’osteria conta circa cento posti a sedere in inverno che raddoppiano con la bella stagione all’apertura della terrazza esterna vista mare. Una scommessa
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nata lo scorso anno e portata avanti con caparbia dedizione dal patron Fabio Patrignani che per quest’anno ha messo assieme un complesso di prim’ordine: ai fuochi lo chef Giuseppe Cappella, alla griglia Mattia Donati e vocalist, ovvero leggasi maitre di sala, Enrico Cerioni. I quarant’anni d’esperienza di un casertano doc come Giuseppe sono la garanzia di una cucina fatta con dedizione e passione e un punto di riferimento per le nuove leve che crescono al suo fianco. “Ogni piatto è una composizione artigianale, nato dalla tradizione e affinato dall’esperienza, ma sempre artigianale rimane e quindi una creazione a se stante, ogni volta un pezzo unico che abbisogna di tutto l’amore
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Trésor e la passione per riuscire bene.” Con queste parole lo chef si presenta e aggiunge: “Come uomo del sud amo socializzare, e cucinare è il mio modo di comunicare; per questo ho accettato la sfida dello Scottadito, perché questa cucina è come il mio modo di essere: diretto, semplice e genuino.” Non a caso la pasta fresca è tutta fatta in casa, dai tagliolini, ai passatelli agli strozzapreti, che possiamo assaggiare con diversi sughi di pesce. Sui piatti di mare l’imbarazzo della scelta è notevole. Iniziando dalle crudità su cui spicca la tartare di
Enrico Cerioni, direttore giovane ma di provata esperienza, ha le idee chiare su cosa offrire alla clientela dello Scottadito, e non vuole fermarsi alla semplice ristorazione ma andare oltre, verso un’offerta di finger food per il cliente frettoloso o per quello che ama il pre-dinner e preferisce gustarsi quattro o cinque leccornie di pesce servite al banco, abbinate ad un buon calice di vino o meglio ancora ad un cocktail. A questo proposito la carta dei vini conta circa una cinquantina di etichette tra cui una decina aperte al calice.
Da sinistra, Fabio Patrignani, Enrico Cerioni, Giuseppe Cappella e Mattia Donati
tonno che profuma dei sapori del sud con capperi, olive e pomodori secchi, oppure il tonno alla plancia appena scottato e adagiato su una crema di melanzane guarnito con germogli si soia e sticks di melanzane, oltre naturalmente al classico sauté di vongole o la catalana di crostacei. Dalla graticola, dove in senso figurato siede Mattia, escono l’hamburger di pesce servito con una maionese all’erba cipollina fatta in casa, le varie grigliate di pesce classiche e gli spiedini tra cui quello sublime di cefalo avvolto nella pancetta.
La predominanza è sicuramente per i vini bianchi e le bollicine tra cui qualche champagne che pare s’abbini magnificamente agli spiedini di pesce e non solo. E allora, per una volta, è meglio lasciare da parte il galateo e mangiare a Scottadito, in riva all’Adriatico.
OSTERIA SCOTTADITO
Viale Londra,1 - Baia Flaminia Pesaro (PU)
Tel. 0721 25711
www.scottaditopesaro.it
Il Mon Tresor è... LO STILE “STREET FISH FOOD” Ne abbiamo individuato uno che meglio potesse identificare la filosofia del locale e la scelta è caduta su un poker di assaggi: la crepe ripiena con ricotta e pesce, servita assieme al calamaro ripieno con salsa agrodolce, ai canestrelli gratinati, e lo spiedino di cefalo e pancetta, quest’ultimo eletto capostipite tra gli street food per intensità di gusto e filosofia del cibarsi a scottadito.
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golavagando montresor di
Giovanni Angelucci
SI PARLA SARDO AD
AJÒ
DRINK & FOOD SUL LAGO DI COMO Chi l’ha detto che in cucina debba lavorare soltanto un cuoco dalla lunga carriera e un locale possa essere solo nelle mani del migliore food&beverage manager? A volte possono bastare la voglia e la passione di sempre, come in tutto, coadiuvate da un partner capace e intraprendente. Parliamo della coppia Veronica Pochintesta e Oreste Aggio che alla soglia dei quarant’anni hanno deciso di dedicare i propri saperi (e sapori) alla loro nuova avventura enogastronomica: Ajò drink&food. Sono passati quasi due anni da quando decisero di dare nuova vita agli spazi che precedentemente ospitarono l’attività famigliare di lei, “è difficile definirlo, non saprei dire neanch’io cosa esattamente sia se dovessi darne una classificazione, è l’Ajò e basta!”, racconta sorridendo Oreste. Proprio così, si parla sardo nella comasca Domaso, abbracciata dal Lago di Como a due passi dai confini svizzeri, e a dire il vero vengono parlate molte lingue diverse anche se entrambi sono originari del luogo. Però, quando si è viaggiatori, amanti del cibo buono e scopritori del mondo insieme alle sue materie prime di qualità, si finisce per non poterne
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on
Trésor AJÒ DRINK&FOOD
Via Regina, 41 - 22013 Domaso (CO)
Tel. +39 346 3668188
fare più a meno e voler offrire agli altri ciò che si è vissuto durante i propri viaggi, attraverso la cucina. La splendida location, divisa tra uno spazio chiuso con luminose vetrate e una meravigliosa terrazza con tavoli e divani affacciata sul lago, farebbe supporre che nel menù la scelta spazi tra i tipici misultin o i piatti a base di pesce persico, e invece si gioca sulla contaminazione di viaggio percorrendo le diverse cucine italiane ed estere. “Da ogni itinerario percorso portiamo indietro qualcosa che ci ha colpito e che cerchiamo di reinterpretare al meglio”, raccontano. Dalla carta dell’Ajò si ordinano le bruschette preparate con il buon pane casereccio e i prodotti freschi della zona come la “golosa” con miele di castagno, lardo e noci, la classica “caprese” con pomodori e mozzarella o la “scarola” che con aglio, olive taggiasche e capperi profuma di mediterraneo. I
taglieri rappresentano la preferenza di molti perché ricchi e gustosi, vengono serviti su una tavolozza in legno come colori da utilizzare a piacimento: salumi e formaggi con le tipicità della zona e non solo, l’emiliano con coccoli fritti accompagnati da crudo di Parma, squacquerone e marmellata, il toscano composto da salumi regionali, crostoni con fegatini e pappa al pomodoro, il tris di miniburger cotti su pietra, o l’Ajò composto da un ricco misto di pesce fritto. Poi ci sono le proposte a tema regionale che variano ogni week end con piatti provenienti dalle regioni d’Italia, dall’Abruzzo con i suoi magnifici arrosticini di pecora ai fritti napoletani declinati attraverso le pizze con sugo al pomodoro e grana, fino al porcetto sardo. Le proposte sono variopinte così come lo sono le ricette e talvolta può accadere che in cucina vengano realizzati piatti internazionali come i tacos e
burritos messicani nel mese di maggio. La versatilità dell’Ajò lo rende ideale per una cena ma anche per un aperitivo o semplicemente per un drink serale: a disposizione una buona selezione di birre spillate o in bottiglia provenienti da Stati Uniti, Germania e le buone artigianali italiane, l’offerta vinicola conta una quindicina di cantine e sta crescendo col tempo, i cocktails spaziano dai
classici gin and tonic e mojito all’Ajò (ghiaccio pestato con lime, lime cordial, Ginger beer, Bombay gin) e al lemonspritz con limoncello.
Il Mon Tresor è... LA SPLENDIDA LOCATION Il Mon Trésor è certamente la splendida location che con pioggia o sole fa bene all’anima. È più facile incontrare bel tempo dato che l’Ajò lavora da aprile ad ottobre e non c’è niente di meglio di una sosta prolungata sui divanetti esterni sorseggiando uno spritz preparato con il bitter Montresor e servito in brocchetta di vetro o mangiando un piatto vista lago di Como. Il tutto avvalorato da ingredienti speciali non rintracciabili su alcun menù, la fantasia e la passione di una giovane coppia innamorata di quel che fa.
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GOURMETFOOD
A BOLOGNA
SCACCO MATTO VINCE IN TRE MOSSE! SANO, BUONO E BELLO… di
Antonietta Mazzeo foto di Niko Boi
Era il 1987 quando due fratelli di origini lucane, Mario e Vincenzo Ferrara, decisero di aprire un ristorante, acquistando e ristrutturando una pizzeria a Bologna in via Broccaindosso 63/B. Il nome del locale, Scacco Matto, è una locuzione nata da uno sdrucciolamento fonetico dall’espressione originaria: “Scià matt”, il re è morto, alla passione dei fratelli per l’antico gioco. Gli scacchi hanno rappresentato per Mario e Vincenzo molto più che un gioco. L’austera metafora della vita e della lotta per la vita che caratterizza gli scacchi è stata la principale delle filosofie gestionali della loro attività. Non si gioca per partecipare, si gioca per vincere. Sulla scacchiera non c’é posto per il caso e la sfortuna, ai quali ci si possa appellare in caso di sconfitta. Tutto dipende da noi stessi. Si vince o si perde per proprio merito o per propria colpa. I pezzi sulla scacchiera di Mario e Vincenzo sono l’estrema cura nella selezione delle materie, il rispetto delle stagionalità, l’armonia degli abbinamenti sempre nuovi e stimolanti,
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SCACCOMATTO
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GOURMETFOOD
studio, ricerca e innovazione delle preparazioni e dei sistemi di cottura. Vincere la partita rappresenta il raggiungimento del successo della loro attività, del loro compiacimento e della soddisfazione del cliente. Mario è il “re nero”, rappresentazione simbolica di una cucina nitida, lineare e mai banale, sempre attenta ad autenticità e tradizione, ma attuale, vivace e dinamica, aperta alle novità e alla sperimentazione. A completare la brigata di cucina, gli sous chef da 12 anni al fianco di Mario, “l’alfiere”Angelo Buttelli e “il cavallo” Luca Burnelli. Le proposte di terra e di mare celano il ricordo dei profumi e dei sapori forti dell’antica tradizione lucana. I piatti non si compongono mai di più di due o tre ingredienti, tutti trattati con giudizio. Processi reinventati, mantenendo intatte le origini, da una spinta creativa, che rinnova, innova e contamina, l’idea gastronomica classica. La tecnica non per stupire ma per ottimizzare “l’idea di cucina”. Cotture sottovuoto e a bassa temperatura esaltano i sapori originali degli ingredienti, la precisione dei dosaggi e la lavorazione delle verdure, servite come protagoniste o in accompagnamento alla quasi totalità dei piatti, di cui esaltano le
PANZANELLA E SARDONCINI CRUDI con mostarda di peperoncino INGREDIENTI
PROCEDIMENTO
di pane già biscottati, g. 15 di acciughe dissalate, g. 15 di capperi
schiacciarla dolcemente con le mani. Unire le acciughe, i capperi,
Per la panzanella: g. 550 di pomodori datterini, g. 150 di crostini
dissalati, g. 100 di olio extravergine d’oliva, g. 30 di cipolla rossa, 1 scalogno, una puntina d’aglio, peperoncino, g. 25 di aceto rosso.
Frullare metà dei pomodori, tagliare in quattro l’altra metà e aglio, il peperoncino e la cipolla rossa, tutti tritati finemente; mescolare e aggiungere l’olio e l’aceto. Infine accorpare i crostini e
Per i sardoncini: kg. 1 di sardoncini, sale q.b.
lasciar riposare. Dopo 30 minuti rimescolare un po’ il composto e
(preferibilmente qualità fiaschetto), g. 800 di zucchero.
Pulire i sardoncini e metterli sotto sale per 10 minuti, quindi lavarli
Per la mostarda di peperoncino: kg. 1 di peperoncini già puliti Lasciar macerare una notte. Mettere a bollire lo sciroppo che avre-
mo ottnuto con la macerazione e, raggiunto il bollore, versarlo sui peperoncini. Ripetere l’operazione per 7 giorni. Il settimo giorno frullare, ottenendo così la mostarda.
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correggere di sale.
sotto l’acqua corrente.
Abbattere per 24 ore. Scongelare in frigo a 4°C e servire dispo-
nendo una quenelle di panzanella e sopra 3 sardoncini. Completare con qualche goccia di mostarda a lato.
SCACCOMATTO
PROCEDIMENTO
Tagliare le cipolle a julienne e metterle ad ap-
passire a fuoco lento in una casseruola con olio extravergine d’oliva e un pizzico di sale fino.
Quando la cipolla risulterà appassita, aggiun-
gere l’acqua e lasciar restringere con i semi di finocchio fino a completamento della cottura.
Frullare il composto nel Bimby ottenendo cosi una crema abbastanza densa del peso di circa
500 grammi. A parte realizzare un roux chiaro con il burro e la farina e aggiungerlo alla crema
RAVIOLI
pizzicatico di cipolla e parmigiano liquido con funghi porcini e nocciole tostate INGREDIENTI per 10 persone
Per Il ripieno: g. 500 di zuppa di cipolla già frullata e pas-
sata al cono cinese (per ottenere 500 grammi di zuppa di cipolle ci vogliono circa 400 grammi di cipolla bianca già
pulita, 400 grammi di acqua e 2 grammi di semi di finoc-
chio), g. 50 di burro, g. 50 di farina, g. 4 di colla di pesce, g. 250 di parmigiano 24 mesi di montagna, 2 rossi d’uovo. Per la pasta all’uovo: g. 800 di farina 00, 8 uova.
mescolando velocemente; aggiungere anche 4
grammi di colla di pesce. Fuori dal fuoco versare
parmigiano e rossi d’uovo ottenendo così un ripieno liscio. Dopo aver impastato la sfoglia, ti-
rare una pasta sottile e disporvi il ripieno lasciando il bordo di un centimetro (con una spronella tagliare la pasta in eccesso e rigirare la sfoglia su
se stessa e, con la stessa spronella, tagliare i ravioli). In una padella mettere a sciogliere il burro con i funghi precedentemente saltati con aglio,
olio e salvia. Cuocere i ravioli in acqua bollente
salata, scolarli e poi saltarli nella padella aggiungendo all’ultimo pomodori secchi a lamelle sot-
tili e il prezzemolo. Impiattare e completare con un spolverata di nocciole.
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GOURMETFOOD
SCACCO MATTO AGLI ORTI A giugno, luglio e poi di nuovo a settembre, il ristorante apre in uno dei giardini più suggestivi e antichi del centro di Bologna: gli Orti di via Orfeo. Qui troveremo un giardino inaspettato e segreto, dove poter passare “gustose” ed interessanti serate accompagnate da piacevoli conversazioni sul tema del cibo grazie agli interventi di personaggi che si alterneranno nel “Salotto nell’Orto”. SCACCO MATTO AGLI ORTI
Ingresso da Via Della Braina, 1 Bologna
peculiarità per armonia o per contrasto, sono elementi caratterizzanti di accostamenti originali e indovinati, composizioni equilibrate, con il giusto tocco di creatività. Vincenzo è “la torre, il pezzo pesante senza limiti di movimento”, che domina e governa la sala. In un’ambientazione volutamente semplice, accogliente e familiare, lui guida e accompagna con grande riguardo i clienti … “pedoni”, in un coinvolgente percorso degustativo, con proposte e abbinamenti curiosi e stimolanti, completati da più di trecento etichette, tra cui bollicine Italiane e champagne, che contraddistinguono una carta dei vini, “la regina”, ben equilibrata tra qualità, prezzo e novità. Si gioca a scacchi da tempo immemorabile, ci saranno sempre nuove partite e chi ne farà la cronaca e la storia. Mario e Vincenzo hanno sicuramente vinto la loro partita 29 anni fa. Ora vaga il re dallo scudo nero / guarda le sue legioni vinte sul campo solitario. / Dovunque si muova ode sinistri rumori. / Scacco! risuonano le valli. Scacco! echeggiano i boschi. / Non c’è più scampo: guarda il suo certo destino. / Abbandona il trono alla rovina / Ed è scacco matto”. (poeta inglese del Seicento)
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SCACCOMATTO
PACCHERI
aglio, olio, peperoncino e gamberi rossi crudi INGREDIENTI
kg. 1 di paccheri, kg. 1 di gamberi rossi di Sicilia, 1 mazzetto di erba
aglina, peperoncino secco q.b., olio
extravergine q.b., basilico, g. 20 di pomodorini appassiti, , sale, pepe.
PROCEDIMENTO
Lavare l’erba aglina e sbollentarla veloce-
mente in acqua; raffreddarla in ghiaccio e
poi frullarla con poco olio e sale, ottenendo un salsa liscia e densa.
Sgusciare i gamberi rossi e tagliarli a pez-
RISTORANTE SCACCO MATTO Via Broccaindosso, 63 - Bologna Tel. e Fax 051263404
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zettini, quindi condirli con olio, sale e basilico. Cuocere i paccheri in acqua bollente salata, scolarli e saltarli in una padella con olio, peperoncino e la salsa di erba aglina.
Prima di servire, aggiungere i gamberi sopra i paccheri e pomodorini appassiti.
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GOURMETFOOD
A PORTO CESAREO
“AQUA” DI MARE CON LE CREAZIONI DEL GIOVANE COSIMO RUSSO di
Sandro Romano Ezio D’Onghia
foto di
La Puglia sa regalare immagini meravigliose in qualsiasi stagione dell’anno. Se poi succede che l’inverno “spari” una giornata che non sai se definire uno strascico dell’ultima estate o un assaggio della prossima, le sensazioni che ti passano davanti agli occhi mescolate al profumo del mare diventano qualcosa di indelebile. E’ quello che è accaduto il giorno in cui abbiamo pranzato presso l’Aqua, il ristorante del Le Dune Suite Hotel di Porto Cesareo, dove lavora un cuoco giovane, molto in gamba. Ci accomodiamo, accompagnati da Giovanni Pizzolante, direttore del locale e dell’hotel, che ci accoglie all’ingresso. Il ristorante gode di un affaccio privilegiato su una delle splendide spiagge di questa meravigliosa cittadina salentina, e davanti a noi c’è lo spettacolo della natura, perfettamente fruibile dalle ampie vetrate della luminosa veranda. Porto Cesareo, poco più avanti rispetto all’hotel, aspetta un po’ sonnacchiosa l’arrivo della nuova bella stagione, cha da maggio a ottobre la riempie di turisti provenienti dall’Italia e dall’estero. Pizzolante commenta: “Ciò che abbiamo davanti agli occhi è un patrimonio che non possiamo permetterci di non valorizza-
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re”. Ha ragione. Parte la cucina e, sin da subito, accompagna questo meraviglioso spettacolo. L’entrèe è molto particolare: una crema cotta di ricci, tartare di canocchie, lime e prezzemolo, scenograficamente servita su sassi di mare fumanti di ghiaccio secco. Perfetta la divisione dei sapori, dai quali emerge delicatamente la tartare di canocchia, accompagnata dalla setosità della crema di riccio, dalla calibrata spinta acida del lime e dal profumo del prezzemolo, che regalano al piatto quella freschezza inevitabilmente persa con la cottura. Ottimo, se questo è l’inizio… Cosimo Russo, chef executive dell’Aqua, nonostante la giovane età rivela la qualità della sua preparazione professionale: si è formato alla scuola di uno dei grandi della cucina italiana, lo chef Sergio Mei, presso il Four Seasons di Milano. Dal suo maestro, Cosimo ha carpito concretezza e sensibilità verso la materia prima, che riesce a trattare con mano leggera ma ispirata. L’antipasto uovo, capocollo di Martina Franca, mugnoli, anguilla al vincotto e pane di Laterza è la conferma della capacità di tenere i sapori ben distinti fra loro; una gradevolissima zuppetta che colpisce subito per il profumo quasi di vaniglia che sale
RISTORANTEAQUA
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GOURMETFOOD
CREMA COTTA
ai ricci di mare, tartare di canocchie, lime e schiuma di prezzemolo INGREDIENTI per 8 persone Per la crema cotta base l. 1 di panna fresca
g. 100 di polpa di ricci fresca 8 tuorli
Per le canocchie
posto nei gusci dei ricci e cuocere a 140°C con il 50% di umidità.
Per le canocchie: estrarre il frutto dai crostacei e tagliarlo a cubetti. Condire e tenere in fresco.
g. 100 di polpa di canocchie
Per la schiuma di prezzemolo: lavare e
sale e pepe q.b.
qua gasata e filtrare con il passino a maglia
buccia di lime grattugiata q.b. olio extravergine d’oliva Per la schiuma di prezzemolo g. 200 di prezzemolo
g. 100 di acqua gasata lecitina di soia q.b. PROCEDIMENTO
Per la crema cotta: mescolare a freddo
tutti gli ingredienti; insaporirli con il pepe e passare al colino cinese. Versare il com-
mondare il prezzemolo. Frullarlo con l’ac-
fine. Montare con il frullatore a immersione
aggiungendo la lecitina fino ad ottenere una schiuma compatta e ben ferma. PRESENTAZIONE
Una volta cotta la crema, sformare e di-
stribuire sulla superficie la tartare di ca-
nocchie e una cucchiaiata di schiuma di prezzemolo ben montata.
Adagiare il riccio in un piatto al di sopra di uno zoccolo di sale o altro.
dal piatto, certamente dato da quella punta di vincotto, piacevole perché dosato con precisione millimetrica. La scelta vincente è stata quella di fermare la cottura dell’uovo nel momento in cui era morbido ma non liquido, evitando, così, che il tuorlo, approcciato con il cucchiaio, rompendosi potesse amalgamare tutti i sapori. Molto interessante. Si prosegue con un risotto Carnaroli di Sibari mantecato al limone verde con anemoni croccanti e crudo di gamberi viola di Gallipoli, in cui la positiva influenza del maestro Mei si sente tutta. Gli anemoni croccanti contrastano la cremosità perfetta, mentre l’acidità del limone verde accompagna la dolcezza del crudo di gamberi. Piatto molto ben fatto, cottura del riso azzeccata al centesimo di secondo, grande equilibrio. A seguire, il baccalà con sponsale fondente, pomodoro d’inverno, patate viola e olive infornate è piatto rassicurante, gradevole rivisitazione dei classici abbinamenti che abi-
RISTORANTEAQUA
POMODORO
farcito di grano stumpato, cupeta e latte di pecora cagliato INGREDIENTI per 4 persone
Per i pomodori farciti: g. 650 di pomodori, l. 1,5 di sciroppo agli agrumi (l. 1 di acqua - g. 150 di zucchero semolato - bucce di mandarino - citronella in stecche),
g. 200 di grano stumpato, g. 65 di cioccolato fondente tritato, g. 20 di pistacchi
tritati, g. 15 di arachidi caramellati tritati, g. 15 di sciroppo di agave, g. 5 di tamarindo, g. 5 di buccia di mandarino grattugiata, sciroppo di fiori di sambuco q.b., pepe di Timut q.b.
Per il latte di pecora cagliato: g. 250 di latte crudo di pecora, g. 2 di caglio liquido.
tualmente accompagnano la cottura del baccalà. In chiusura, ecco un’altra sorpresa di grande effetto: il pomodoro farcito di grano stumpato dolce, cupeta e latte di pecora cagliato, servito in versione predessert. Il grano stumpato (pestato) era una delle pietanze dei contadini, i quali facevano la perlatura utilizzando il tipico mortaio in pietra, lo stompu, appunto. Il suo condimento era il sugo di pomodoro e la ricotta forte, tipica di queste zone, ma la rivisitazione di questo antico piatto salato in chiave dolce è veramente da applausi, bella da vedere, non stucchevole, equilibratissima nei sapori poco usuali. Un dolce non troppo dolce, molto, molto apprezzabile, che meriterebbe di essere servito come dessert. Originale e fantasioso, piatto da fuoriclasse. Il tramonto, partito dai toni dell’arancio acceso, del giallo, del rosa intenso, sfuma prima verso tonalità più tenui e poi vira decisamente, a sole calante, verso il blu e il grigio, spettacolo che, da queste parti, si ripete molto spesso e, per vederlo, non bisogna avere particolare fortuna. E’ lo spettacolo che la Puglia offre a chi sa cogliere le sue innumerevoli sfaccettature e che qui, in Salento, sa esprimersi ai massimi livelli. Dal piacevole colloquio con Cosimo Russo, il trentunenne chef tarantino au-
Per le guarnizioni: bucce di tamarindo q.b., fiori di rosmarino q.b., rametti di timo q.b., cupeta tritata q.b. PROCEDIMENTO
Per il grano stumpato: sciacquare e mettere in ammollo il grano per una notte. Scolarlo e cuocerlo in acqua zuccherata (200 grammi per litro) fino a quando risulta
morbido, evitando che si sfaldi. Una volta freddo, metterlo in una bastardella e unirvi tutti gli altri ingredienti. Lasciare riposare per una notte.
Per i pomodori: immergere i pomodori in acqua bollente salata per circa 10 secon-
di; scolarli, raffreddarli in acqua e ghiaccio, pelarli e confezionare dei contenitori tagliando la parte superiore e scavando l’interno con uno scavino. Immergere i pomodori nello sciroppo e lasciare sciroppare per 3 ore. Scolare e farcire con il grano dolce. Chiudere con la parte superiore del pomodoro a mo’ di coperchio.
Per il latte cagliato: in una casseruola portare il latte alla temperatura di 35°C e versare il caglio liquido. Coprire con la pellicola e lasciare riposare al caldo per 20 minuti, affinché avvenga la cagliata.
Per la presentazione: in un piatto fondo adagiare una cucchiaiata di latte cagliato.
Al centro sistemare il pomodoro ripassato nella cupeta tritata. Terminare il piatto con le erbe aromatiche e i fiori di rosmarino.
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GOURMETFOOD
RISOTTO
Carnaroli di Sibari mantecato al limone verde con anemoni e crudo di gamberi viola di Gallipoli INGREDIENTI per 4 persone
g. 320 di riso Carnaroli di Sibari Per il brodo di crostacei: g. 200 di carcasse di gamberi, g. 50 di cipolla bianca pulita a cubetti, g. 50 di carote pulite a cubetti,
g. 50 di sedano verde pulito a cubetti, g. 100 di porri (parte ver-
de) puliti a cubetti, g. 100 di pomodori ramati a cubetti, 1 spicchio
d’aglio, g. 10 di gambi di prezzemolo, 1 foglia di alloro fresca, sale fine q.b., g. 50 di ghiaccio, l. 2 di acqua, g. 20 di olio extravergine di oliva.
Per la press di gamberi viola: il contenuto della testa dei gamberi
privato degli occhi, g. 20 di concentrato di pomodoro, g. 20 di
pomodoro datterino a cubetti, g. 5 di basilico, g. 5 di finocchietto,
1 spicchio d’aglio schiacciato, g. 3 di Martini Dry, g. 2 di Pernod, g. 5 di succo d’arancia, olio extravergine d’oliva q.b., sale e pepe q.b.
Per la mantecatura del riso: g. 80 di burro salato freddo a cubet-
ti, g. 5 di olio extravergine d’oliva, g. 40 di vino bianco Sauvignon, g. 50 di parmigiano grattugiato 16/18 mesi di stagionatura, buccia di limone verde grattugiata q.b.
Per gli anemoni: g. 100 di anemoni freschi, latte q.b., semola
PROCEDIMENTO
Per i gamberi viola: 12 gamberi viola freschi.
e farla bollire; versarvi le carcasse dei gamberi; sbianchirle per
rimacinata q.b.
Per la crema di prezzemolo: g. 200 di prezzemolo sfogliato, ghiaccio tritato q.b., olio extravergine d’oliva q.b.
Per il brodo di gamberi: riempire una pentola con l’acqua salata qualche minuto, schiumando le impurità che vengono a galla
con una schiumarola; scolarle. Pulire la cipolla, l’aglio, le carote, il
sedano, i porri e i pomodori, lavarli e tagliarli a cubetti. Versarli in una pentola con l’olio e farli appassire; aggiungerli alle carcasse
con il prezzemolo, l’alloro, bagnare con il ghiaccio e l’acqua. Por-
tare a ebollizione e fare sobbollire per 30 minuti, schiuman-
do le impurità. Spegnere il fuoco e lasciare riposare per 10 minuti; filtrare al passino fine.
Regolare di gusto con 6 grammi di sale fine per litro di brodo.
Per i gamberi viola: privare i
gamberi della testa che terremo da parte. Sgusciare
le code e tenere da parte i carapaci con cui faremo
il brodo. Tagliare le code in due per la lunghezza.
Sistemarle su un foglio
di carta da macellaio, so-
vrapporne un altro e ap-
piattire con il batticarne
fino ad ottenere un carpac-
cio uniforme. Una volta fred-
do, con l’aiuto del coppapasta
tagliare dei dischi del diametro de-
siderato.
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RISTORANTEAQUA
Per la press di gamberi: in una bastardella unire tutti gli ingredienti e lasciare
marinare per 20 minuti. Passare il tutto allo schiacciapatate; filtrare al passino fine. Emulsionare con l’olio fino ad ottenere una crema densa. Regolarne il sapore.
Per la crema di prezzemolo: frullare il prezzemolo con il ghiaccio tritato. Filtrare il liquido ottenuto al passino fine. Emulsionare con l’olio e regolarne il sapore.
Per la cottura del riso: tostare il riso per un minuto con una foglia di alloro e uno
scalogno pulito intero. Bagnarlo con il vino
bianco, coprire a filo con il brodo bollente. Cuocere il riso tenendolo girato, bagnan-
dolo con altro brodo man mano che si asciuga. A 3/4 di cottura aggiungere 10
grammi di burro. Terminare la cottura del riso, facendolo asciugare bene e mantenendolo al dente (18/19 minuti circa).
Per la mantecatura del risotto: togliere
il riso dal fuoco e mantecarlo con il burro freddo, il parmigiano grattugiato, la buccia di limone e terminare la mantecazione.
Regolare il sapore con il sale, il pepe, l’olio
e il vino. Aggiungere brodo per regolare la densità.
Per gli anemoni: pulirli, lavarli in acqua
tore della bella sequenza dei piatti sopradescritti, si evince il carattere: semplice dal sorriso aperto, sincero. Cosimo racconta la sua esperienza al Four Seasons di Milano, evidenzia ciò che ha imparato dal grande Sergio Mei, cioè rigore, concretezza e saper dare motivazione e soddisfazione alla propria brigata, senza mai isterismi, ma con mano ferma. Difficile pensare a Cosimo come ad un sergente di ferro e in effetti non lo è. Troppo gioviale per esserlo, ma la stoffa del campione c’è tutta. Il tempo di un caffè e la chiacchiera con il cuoco si sposta in cucina, dove sono appena arrivate le ostriche imperiali che vuole assolutamente farci assaggiare. Dopo il caffè? Perché no? Prima una, poi due, poi… Ma qui inizierebbe un altro racconto…
leggermente salata, scolarli. Scaldare l’olio
a 16°C. Passare gli anemoni prima nel latte e poi nella semola. Friggerli e asciugarli su carta assorbente.
PRESENTAZIONE
Servire il risotto nel piatto piano con al
centro il carpaccio di gamberi, sopra gli anemoni ben caldi. Finire il piatto con le due salse e gemogli di basilico rosso.
RISTORANTE AQUA Via Strada dei Bacini, 89 73010 Porto Cesareo (LE) Tel. 0833 560660 Fax 0833 560464 www.aquaportocesareo.it
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FASHIONFOOD
A TORGIANO
BORGOBRUFA
OFFRE IL VALORE AGGIUNTO DI UN AMBIENTE SPETTACOLARE di
Gianni Di Lorenzo
Attualmente forse non esiste un bene più prezioso dello spazio, della quiete, di ambienti ameni immersi nella natura. Oggi però una sempre più diffusa cultura del benessere cerca questi valori in contesti facili da raggiungere, promettenti sul piano turistico e con offerte interessanti per lo svago, il fitness, il tempo libero. Se di certo ogni regione italiana vanta ricchezze architettoniche e patrimoni ambientali di incomparabile bellezza, la verde Umbria offre il vantaggio di una posizione centrale rispetto alle altre e uno stile di vita pienamente sostenibile a livello sociale, economico, alimentare e viario.
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Proprio nel cuore di questa bella regione e in perfetta corrispondenza con i desiderata dei viaggiatori evoluti, il BorgoBrufa SPA Resort offre lusso, comfort e benessere nella quiete di Torgiano - già famosa per il suo museo del vino – dall’alto di un colle che domina Perugia, Assisi, Spello, Foligno, tanto per non farsi mancare nessuna delle cittadine cult dell’Umbria. E proprio il panorama è uno degli elementi che danno ulteriore prestigio alle 50 belle camere dell’hotel, tutte dotate di balcone o patio per un contatto più diretto con la natura, con la punta di massima agiatezza nella Imperial Suite corredata di sauna a infrarossi e pisci-
BORGOBRUFA
na privata riscaldata. Il centro benessere costituisce il fiore all’occhiello del Resort: il più grande dell’Umbria, - oltre 1200 mq - ha locali esclusivi, trattamenti personalizzati con prodotti naturali di produzione propria, come quelli a base di olio d’oliva o vino, oppure di cioccolato tipico umbro. Anche l’esperienza culinaria si vive nell’esclusività degli ambienti, diversi a seconda dei momenti della giornata e delle esigenze. Il ristorante “Quattro sensi” occupa la sala principale, dove viene servito il buffet di colazione. La cena viene servita invece nella terrazza panoramica, coperta e climatizzata, ma con vista mozzafiato su Assisi e Perugia, ideale per le cene romantiche a lume di candela mentre, per gli
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FASHIONFOOD
eventi speciali, si può scegliere l’elegante sala con camino. La cucina è stata affidata allo chef campano Ciro D’Amico (foto in basso), a cui va il merito di aver portato la gioiosa solarità partenopea in una tradizione a volte un po’ austera, arricchendola con i colori e i sapori del mare e del sud. Una contaminazione convincente, come nel caso del tonno scottato con semi di chia, rotolini di gamberi rossi alla barbabietola e salsa allo yogurt, dove la creatività tende a scalzare la consuetudine gastronomica locale, per poi invece mettersene al servizio come nella spalla e coscia d’agnello farcito con verza e tortino di melanzane e ancor più nel riso tostato al Nobile del Borgo con petto di piccione spadellato e pecorino alle vinacce di Sagrantino, che è un vero e proprio omaggio alla cultura enoica della regione. Ma la vera passione dello chef è il cioccolato, che lui lavora e propone sia nella versione al piatto, sia come cioccolateria, grazie ad una precisa formazione con chef e pasticcieri importanti. Tra le esperienze più significative va considerato il suo lavoro al Badrutt’s Palace di St. Moritz a fianco dello chef Enrico Derflingher, già cuoco di corte della Regina Elisabetta e attuale presidente nazionale Eurotoques, sodalizio di cui Ciro fa parte.
PETTO D’ANATRA marinato alla birra ambrata con budino di peperoni gialli INGREDIENTI per 4 persone
2 petti d’anatra di g. 300, cl. 500 di fondo di anatra sgrassato, cl. 33 di birra artigia-
nale ambrata, cl. 100 di succo di arance fresche, g. 80 di zucchero di canna, g. 300 di peperoni gialli, g. 120 di mascarpone, cl. 50 di panna fresca, g. 5 di agar agar, 1 cipolla bionda.
PROCEDIMENTO
Parare la marinatura con il succo e lo zucchero, far caramellare ed unire la birra. Aggiungere il fondo di anatra.
Preparare i due petti di anatra che vanno incisi dalla parte della pelle. Scottarli in una padella antiaderente per due minuti su entrambi i lati.
Quando saranno rosolati, adagiarli in un contenitore e versarvi sopra la marinatura bollente. Realizzare il budino preparando un fondo di cipolla.
Unire i peperoni pelati in precedenza e cuocere per circa 40 minuti, bagnando ripetutamente con il brodo.
Frullare il tutto, portare a bollore, unire l’agar agar, togliere dalla fonte di calore e mescolare con il mascarpone e la panna. Versare negli stampi e lasciar raffreddare. Impiattare tagliando il petto in quattro pezzi. Come guarnizione aggiungere il budino. Salsare con la marinatura e guarnire con germogli misti.
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BORGOBRUFA
FORME DI CIOCCOLATA INGREDIENTI
PREPARAZIONE
zucchero, g. 50 di acqua, 6 tuorli, 2 uova, l.
tutto a 85° e aggiungere la colla di pesce ammollata e strizzata. Nel frattempo sciogliere il
Per la bavarese al gianduia: g. 300 di
1 di panna, g. 25 di colla di pesce, g. 300 di cioccolato gianduia, g. 200 di panna bollita.
Per la bavarese al gianduia: unire le uova e lo zucchero e versare nell’acqua. Portare cioccolato con la panna bollente e lasciar raffreddare.
Una volta che tutti gli impasti si saranno raffreddati, unirli e aggiungere la panna montata.
Per la bavarese al cioccolato bianco:
Per la bavarese al cioccolato bianco: cuocere lo zucchero e versarlo sugli albumi che
di cioccolato bianco, g. 300 di panna bolli-
la panna. Unire il cioccolato agli albumi e aggiungere al tutto la panna montata.
g. 250 di albume, g. 500 di zucchero, g. 500 ta, l. 1 di panna.
Per la mousse al cioccolato fondente: g. 500 di cioccolato fondente, g. 250 di
stanno montando dentro alla planetaria. Nel frattempo sciogliere il cioccolato bianco con
Per la mousse al cioccolato fondente: sciogliere il cioccolato con la panna montata. Aggiungere alla panna semi montata il cioccolato una volta che si sarà raffreddato.
panna bollita, g. 750 di panna semi montata.
Per la salsa allo zabaione: mischiare in un pentolino l’acqua e il marsala. Versare sullo
Per la salsa allo zabaione: g. 50 di zuc-
tutto a 82°C e raffreddare.
chero, g. 50 di rossi d’uovo, g. 125 di ac-
zucchero e i rossi d’uovo precedentemente mischiati, dopodiché portare nuovamente
qua, g. 75 di Marsala.
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GOURMETFOOD
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Estate egetale
Estate egetale IN ITALIA QUESTA CUCINA NON È UNA MODA MA UNA TRADIZIONE
Complici il caldo, l’abbondanza di frutta e verdura fresca, una più diffusa coscienza alimentare che lega il benessere psicofisico delle persone al rispetto per la natura e per il mondo animale, si può preannunciare un’estate più ecologica, in equilibrio tra cucine di stampo vegetariano o di stretta matrice vegana. E se ci sono chef ormai votati esclusivamente al rispetto più rigoroso dell’ambiente, altri inseriscono nei loro menù tradizionali anche piatti “verdi”, in linea con la crescente richiesta del mercato. Ma anche con la tradizione delle singole regioni.
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GOURMETFOOD
EMANUELA
TOMMOLINI
PORTAVOCE DI UNA SPLENDIDA CUCINA VEGETALE di
Elsa Mazzolini Niko Boi
foto di
Eleganza, dolcezza e una determinazione ferrea. Sono queste le caratteristiche immediatamente percepibili in Emanuela Tommolini, giovane cuoca appartenente al prestigioso sodalizio dei Jeunes Restaurateurs d’Europe, attualmente impegnata nell’affermare le linee della sua cucina esclusivamente vegetariana. Emanuela, dunque, è forza e delicatezza, gli stessi elementi che troviamo nei suoi piatti straordinariamente equilibrati, ricchissimi di sapore e di sensazioni emozionanti. La sua scelta vegetariana non è stata immediata, ma è maturata negli anni, convalidata da esperienze importanti come quella al Joia di Pietro Leemann. Ma che la convinzione sia definitiva lo si nota dal fatto che Emanuela tratta certi ortaggi come fossero carne, certe verdure come fossero pesce. Il concetto non è peregrino: in una cucina che è arrivata ad un punto ideologico preciso, gli ingredienti, per così dire, “sostitutivi” delle proteine animali, assumono un tale protagonismo da far dimenticare certe presunte assenze. I piatti sono talmente definiti, talmente “finiti” in ogni particolare, sia estetico che gustativo, da non poter neppure essere catalogati come proposte vegetariane tout court, bensì come elevate espressioni della migliore cucina creativa.
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Estate egetale
VARIAZIONE di cavolfiore INGREDIENTI
ma liscia ed omogenea; aggiungere del
1 cavolfiore verde
di sale e setacciare. Tenere in caldo.
2 cavolfiori bianchi ml. 800 di latte di mandorla 1/4 di cipolla dorata
g. 85 di nocciole del Piemonte tostate g. 50 di semi di sesamo bianco g. 7 di fior di sale 1 arancia
g. 150 di olive taggiasche denocciolate
g. 40 di capperi di Pantelleria la scorza di mezzo limone sale marino
olio extravergine d’oliva PREPARAZIONE
Ricavare un carpaccio di cavolfiore bianco
tagliandolo a fettine sottilissime con la mandolina; immergerlo in acqua fredda.
Fare un trito di cipolla e stufarlo con un filo
d’olio e un goccio d’acqua; aggiungere
450 grammi di cavolfiore bianco tagliato a piccoli pezzi regolari, coprire con il latte di mandorla e portare a cottura. Scolare il
cavolfiore e frullarlo per ottenere una cre-
liquido di cottura, se necessario; regolare Dividere il cavolfiore bianco e il cavolfiore verde in piccole cime e cuocerle sottovuoto a 95°C per 20 minuti.
Tritare al coltello i capperi (messi a dissalare per almeno 5/6 ore) e le olive taggiasche, aggiungere la scorza di limone tritata finemente e l’olio extravergine d’oliva.
Preparare il gomasio: tostare i semi di sesamo con il fior di sale in una padella sul
fuoco e pestarli al mortaio. Aggiungere
25 grammi di gomasio alle nocciole tritate grossolanamente al coltello.
Pelare l’arancia a vivo e tagliarla in piccoli
pezzi. Arrostire su una lyonnaise le cime di cavolfiore cotte sottovuoto con un filo d’olio; regolare di sale.
Scolare e asciugare il carpaccio di cavolfio-
re. Comporre il piatto con una cucchiaiata di crema di cavolfiore calda, il cavolfiore
arrostito e l’arancia; condire con il pesto
di olive e capperi e il condimento a base
di nocciole e gomasio. Completare con il carpaccio di cavolfiore.
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GOURMETFOOD
INSALATA
PREPARAZIONE
di agrumi e carote con gelato alla lavanda INGREDIENTI per 4 persone
Per lo sciroppo al cardamomo
2 clementine
ml. 300 di acqua
1 pompelmo rosa 2 arance 2 carote
erbe aromatiche meringhe
Per il gelato alla lavanda ml. 500 di latte
ml. 100 di panna
g. 100 di zucchero
1 cucchiaio di fiori di lavanda essiccata
3 bacche di cardamomo g. 100 di zucchero
Per la zuppetta profumata alle erbe l. 1 di acqua
g. 200 di zucchero
1 rametto di menta 1 stecca di vaniglia 2 anici stellati
qualche foglia di cedrina
scorza di arancia e limone 1/4 di stecca di cannella
Per il gelato alla lavanda: portare il latte,
la panna e lo zucchero a 85째C, aggiungere la lavanda e lasciare in infusione almeno
12 ore in frigorifero. Poi filtrare e mantecare con la gelatiera.
Pelare gli agrumi a vivo e tagliare le carote a dadini.
Riunire tutti gli ingredienti della zuppetta alle erbe in una pentola, portarli a bollore e lasciarli in infusione almeno 30 minuti. Filtrare e aggiungere gli agrumi; lasciarli macerare per un giorno.
Portare a bollore gli ingredienti per lo sciroppo al cardamomo, aggiungere le carote e lasciarle macerare per un giorno.
Disporre sul piatto una pallina di gelato
alla lavanda, guarnire con gli agrumi, le carote, una cucchiaiata di zuppetta alle er-
be, le erbe aromatiche fresche e qualche piccola meringa.
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Estate egetale
CUPOLA
ripiena di zucca, scalogno e mandorle, hummus di ceci e acetosella INGREDIENTI per 4 persone
PREPARAZIONE
una crema omogenea. Lasciare la purea
1 zucca hokkaido
tine con tutta la buccia, sistemarle in una
limone, l’olio, la tahina, frullare, aggiustare
Per la zucca 5 scalogni
salvia, timo, santoreggia, maggiorana 1 peperoncino
1 stecca di cannella
olio extravergine d’oliva sale marino
zucchero di canna Per l’hummus di ceci
g. 200 di Ceci Grandi Cotti a Vapore Valfrutta Granchef
il succo spremuto di mezzo limone
2 cucchiai di olio extravergine d’oliva 1 cucchiaio di tahina sale e pepe q.b.
g. 100 di yogurt naturale
Privare la zucca dei semi e tagliarla a fetteglia da forno in modo che non siano
sovrapposte. Tagliare gli scalogni a fettine ed aggiungerli alla zucca, condire con le
erbe aromatiche, la cannella e il pepe-
roncino, aggiungere olio, sale e una spolverata di zucchero di canna. Cuocere in
forno 200°C per 20 minuti avendo cura di coprire la teglia con un foglio di alluminio,
poi per altri 10 minuti a 170°C senza foglio di alluminio.
Tagliare delle fettine sottili di zucca e farle
essiccare in essicatore a circa 40°C, poi macinarle al macinaspezie per ottenere una polvere.
Utilizzare i ceci con la loro acqua di governo e passarli al mixer in modo da ottenere
di ceci nel mixer, aggiungere il succo di
di sale e pepe, mettere il composto in un sac à poche.
Preparare le cupole: coppare la pasta fillo del diametro necessario per rivestire uno
stampo di cupole in silicone. Spennellare
con olio due fogli e rivestire le cupole. Cuocere in forno a 180°C per 6 minuti.
Tostare le mandorle in forno a 170°C per 10 minuti e tritarle grossolanamente al
coltello. Riempire i gusci con la zucca e un cucchiaino di mandorle al centro.
Condire lo yogurt con l’erba cipollina ta-
gliata a rondelle, posizionare le cupole al centro del piatto e completare con l’hummus di ceci, lo yogurt, la polvere di zucca e l’acetosella.
erba cipollina
polvere di zucca acetosella pasta fillo
g. 100 di mandorle pelate
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GOURMETFOOD
BRUSCHETTA
con pomodori gialli invernali, cagliata di mandorle ai limoni sotto sale e origano INGREDIENTI
PREPARAZIONE
mortartaro, aggiungere l’olio e l’acqua, im-
l. 1 di latte di mandorla al naturale
giungere il sale e il succo di limone, girare
composto coperto da pellicola per un’ora
Per la cagliata di mandorle senza zucchero
g. 5 di sale marino
g. 40 di succo di limone
1 spicchio di limone sotto sale Per i pomodori
pomodori gialli invernali pugliesi aglio rosso
olio extravergine d’oliva sale marino
origano di Sicilia Per la brisée all’olio extravergine
g. 250 di farina di grano tenero tipo 2 ml. 100 di acqua
ml. 100 di olio extravergine d’oliva g. 3 di sale marino
g. 3 di cremortartaro pimpinella
aceto balsamico tradizionale
IN COLLABORAZIONE CON
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Portare il latte di mandorla a 85°C, agbene, coprire e lasciare riposare per circa
mezz’ora. Filtrare la cagliata attraverso un panno di cotone e lasciarla sgocciolare in frigo per almeno 24 ore. L’indomani condirla con un trito di limoni sotto sale.
Dividere i pomodori gialli a metà, condirli
con sale, olio, origano e aglio e cuocerli in forno a 150°C per trenta minuti.
Setacciare insieme la farina, il sale e il cre-
pastare velocemente e lasciare riposare il
in frigo. Stenderlo nello spessore di circa 3 millimetri; ritagliare dei quadrati con
l’aiuto di un coppapasta e cuocerli in forno a 170°C per circa 12 minuti o finché non risulteranno dorati. Fare raffreddare.
Comporre la bruschetta sistemando sulle
basi di brisée i pomodori, la cagliata, un pizzico di origano, qualche goccia di aceto balsamico e qualche foglia di pimpinella.
foto © Gianni Triggiani
Estate egetale
RAVIOLI
di patate ripieni di cime di rape e fonduta di caciotta stagionata di capra INGREDIENTI per 50 ravioli circa
PREPARAZIONE
kg. 1 di patate rosse
ra calde e passarle al passaverdura; stenderle su una spianatoia.
Per l’impasto
g. 300 di farina tipo 0 1 uovo
Per il ripieno
g. 850 di Cime di Rape Spirito Contadino lessate e sgocciolate g. 20 di mascarpone
g. 100 di olio extravergine d’oliva sale q.b.
pepe q.b. Per la fonduta
g. 100 di caciotta stagionata di capra latte intero q.b.
Cuocere a vapore le patate intere con la buccia, sbucciarle anco-
Farle intiepidire, formare un impasto morbido ma non appiccicoso con la farina e l’uovo. Cuocere in acqua bollente le cime di
rape per 7/8 minuti, raffreddarle in acqua e ghiaccio, strizzarle bene. Frullarle al mixer con l’olio e il mascarpone, aggiustare di
sale. Riempire un sac à poche con il composto. Stendere l’impasto di patate con un matterello, formare dei cerchi, riempirli con il composto di cime di rape e chiuderli a mezzaluna.
Scaldare il latte, grattugiare il formaggio di fossa e fare una fon-
duta versando il latte sul formaggio e frullando con il frullatore a
immersione (regolarsi con la quantità di latte in modo da ottenere la densità desiderata). Tenere in caldo.
Cuocere i ravioli per 4 minuti in abbondante acqua salata. Scolarli, sistemarli sui piatti e condirli con la fonduta e una macinata di pepe nero.
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foto © Gianni Triggiani
GOURMETFOOD
CREMA di fave, cicoria selvatica, spirulina e granola di semi INGREDIENTI
1 pizzico di sale
della buccia esterna, in abbondante acqua
1 spicchio d’aglio
g. 270 di semi e frutta oleaginosa (man-
zetto di erbe finché non saranno tenere;
g. 250 di fave secche 1 mazzetto guarnito
(rosmarino, salvia timo, maggiorana) olio extravergine d’oliva sale marino integrale
g. 90 di grano saraceno
dorle, noci, nocciole, semi di sesamo, lino, canapa, girasole, chia ecc...)
spirulina in polvere
PREPARAZIONE
Spirito Contadino
insieme l’olio, l’acqua e il malto; miscelare
Cicoriella Selvatica di Campo
Per la granola
granola con avena e grano saraceno g. 350 di fiocchi di avena g. 150 di farina di farro g. 120 di malto
g. 100 di olio di semi di girasole g. 20 di acqua tiepida
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Con un frullatore a immersione, frullare i fiocchi di avena, la farina e il sale; aggiun-
gere il composto liquido alle farine e lavorare bene. Unire quindi il grano saraceno, i
semi e la frutta oleaginosa; stenderli in una
teglia con carta da forno, cuocerli a 160°C
per 15 minuti. Una volta fredda, conservare la granola in un contenitore chiuso.
Lavare e cuocere le fave secche, private
con lo spicchio d’aglio in camicia e il maz-
scolarle, togliere l’aglio e il mazzetto di
erbe, frullarle al mixer aggiungendo un po’ d’olio extravergine a filo; se necessario
regolare la densità con un po’ d’acqua calda. Aggiustare di sale, tenere in caldo fino al momento del servizio.
Cuocere la cicoriella per 3 minuti in acqua
bollente salata; raffreddarla subito in acqua fredda e strizzarla bene. Al momento del servizio saltarla in padella con un po’
di olio profumato all’aglio e peperoncino; regolare di sale e tenere in caldo.
Servire la crema di fave con la cicoriella,
una spolverata di spirulina e la granola di semi.
foto © Gianni Triggiani
Estate egetale
BURGER
vegetale con ceci e mugnuli selvatici INGREDIENTI
PREPARAZIONE
In una boule capiente unire i ceci, i broc-
Spirito Contadino
mixer. Sbriciolare il tofu a mano e condirlo
la farina e il pangrattato.
g. 200 di Mugnuli Selvatici di Campo g. 250 di Ceci Grandi Cotti a Vapore Valfrutta Granchef
g. 400 di tofu al naturale
1 cucchiaio di salsa di soia
4 cucchiai di fiocchi di avena piccoli 4 cucchiai di farina di grano tenero 2 cucchiai di pangrattato 1 carota
1 scalogno
1 costa di sedano mezzo porro sale q.b.
Frullare i ceci in maniera grossolana al con la salsa di soia, un filo d’olio extravergine, sale e pepe.
Sbollentare i mugnuli in acqua bollente per due minuti, raffreddarli in acqua e ghiaccio e tritarli al coltello.
Realizzare un trito sottile con sedano, carota, scalogno e porro e stufarlo dolcemente con un filo d’olio extravergine d’oliva e un goccio d’acqua. Aggiungere i broccoletti e saltarli per qualche minuto in padella. Regolare di sale e pepe.
coletti, il tofu sbriciolato, i fiocchi di avena, Formare con il composto delle polpette schiacciate e passarle nella farina di mais.
Tagliare delle grosse fette di pane, ricavarne dei dischi con un coppapasta.
Tostare il pane da entrambi i lati con un
filo d’olio in una padella antiaderente; fare la stessa cosa con le polpette.
Comporre i panini: spalmare le fette di
pane con la senape, alternare una fetta di
radicchio, la polpetta, la maionese e chiudere con un’altra fetta di pane tostato.
olio extravergine d’oliva q.b. farina di mais
pane raffermo
foglie di radicchio senape
maionese vegana qualche foglia di cedrina
scorza di arancia e limone 1/4 di stecca di cannella
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GOURMETFOOD
foto © Gianni Triggiani
PESTO
di cavolfiore e olive nere dolci, cavolo rosso e mandorle INGREDIENTI
PREPARAZIONE
1/4 di cavolo rosso
sbianchirlo in acqua bollente salata per 5
1/2 cavolfiore
1 cucchiaio di Olive Dolci Pugliesi Spirito Contadino
1 cucchiaio di capperi sotto sale scorza di un limone
olio extravergine d’oliva q.b. sale q.b.
1 spicchio d’aglio
1 pizzico di peperoncino suco di 1/2 limone mandorle
aceto di mele
erbe aromatiche
Dividere il cavolfiore in piccole cime, minuti. Preparare il condimento: saltare in
padella le olive dolci pugliesi con un filo
d’olio, lo spicchio d’aglio e una punta di peperoncino; tritare al coltello i capperi (dissalati), tagliare le scorze del limone a
julienne sottilissima, aggiungere un misto di erbe aromatiche tritate, olio evo, sale e
succo di limone. Tritare il cavolfiore al coltello e aggiungerlo al condimento; unire le
olive; tenere da parte. Tostare le mandorle in forno a 170°C per qualche minuto. Ta-
gliare le foglie di cavolo rosso a julienne, condirle con aceto di mele, sale e olio. Riempire dei bicchierini con il pesto di cavolfiore e porvi sopra l’insalatina di cavolo rosso. Guarnire con le mandorle tostate.
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IN COLLABORAZIONE CON
Estate egetale
SIMONE
CICCOTTI
SULLA SCIA DELLA TRADIZIONE UMBRA VEGETARIANA foto di
Gianni Triggiani
Chef da tempo affermato nel mondo della ristorazione stellata con la sua Antica Trattoria San Lorenzo – locale storico nel cuore di Perugia – Simone Ciccotti è chef curioso, eclettico, preparatissimo sul piano professionale. Ama sbizzarrirsi insieme ai suoi giovani collaboratori, attingendo non solo alla grande tradizione gastronomica italiana, ma anche e soprattutto concentrandosi sui piatti della cucina tipica umbra. Così molte ricette offrono l’ineguagliabile piacere dei diversi sapori di un tempo, ottenuti con gli accostamenti più umili, sapientemente nobilitati e reinventati per assecondare in maniera adeguata i gusti moderni. Sul tronco di questa ricerca Ciccotti ha innestato anche i rami di una cucina vegetariana riconoscibile, ricca di quei sapori che proprio la tradizione ha tramandato fino ad oggi e che la sua inventiva ha saputo rendere freschi ed attuali.
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GOURMETFOOD
PAN MORBIDO
al sale grosso con stracchino gelato INGREDIENTI per 6 persone
PREPARAZIONE
g. 300 di pane da tramezzini
carré con la panna e farlo ammorbidire;
g. 400 di panna liquida g. 200 di zucchero g. 200 di burro
4 uova (2 tuorli, 2 intere)
1 cucchiaio di olio extravergine d’oliva sale grosso q.b.
gelato allo stracchino
oppure una stracciatella
Mettere a bagno un giorno prima il pansciogliere il burro a bagnomaria. Sbattere le uova con lo zucchero, il sale e l’olio; ag-
giungere il burro fuso e infine il pane con
la panna. Amalgamare bene fino a ottene-
re un composto omogeneo e liscio. Imburrare e infarinare stampini in alluminio; versarvi il composto e cuocere a bagnomaria per 30 minuti a 165°C.
Servire tiepido con quenelles di stracchino
gelato oppure con un semplice gelato alla stracciatella. Guarnire a fantasia.
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Estate egetale Questa ricetta è tipica umbra: una ricetta povera, ma ricca di nutrienti, molto semplice eppure con un gusto dolce amaro spettacolare.
+ 3 ricette ciccotti Food Factor + 1 ricetta Picchiotti Bologna + 3 piatti urso
FRASCARELLI
acqua farina con polentina di datterini, aglio, olio, peperoncino e marasciuolo selvatico di campo INGREDIENTI per 6 persone
PREPARAZIONE
g. 400 di farina 00
una pentola con bordi alti; aggiungere
6 uova intere
olio extravergine d’oliva q.b.
una grattata di noce moscata sale
Per la salsa
g. 400 di Datterini Cirio Alta Cucina 1 spicchio d’aglio
olio extravergine d’oliva sale e pepe
1 peperoncino. Per il pesto
g. 100 di Marasciuolo Selvatico di Campo Spirito Contadino
olio extravergine d’oliva pinoli
pecorino
parmigiano Tempo di preparazione e di esecuzione: 20 minuti
Mettere sul fuoco abbondante acqua in sale e due cucchiai d’olio. Soffriggere in una padella olio, aglio e peperoncino;
aggiungere il datterino e lasciarlo cuocere
per circa dieci minuti. Preparare i frascarelli rompendo le uova in una ciotola e sbattendole con la forchetta; disporre la
farina sul piano di lavoro in modo disordinato; versarvi l’uovo a gocce e iniziare a mescolare formando dei grumi con i palmi delle mani. Prendere i grumi e scottarli
nell’acqua in ebollizione e sbattere con
una frusta come se si stesse cuocendo la polenta. Scolare i frascarelli e saltarli in padella con la salsa del datterino; spolverare con cacio, pecorino e parmigiano. PRESENTAZIONE
Disporre il pesto di marasciuolo a specchio
sul piatto; posarvi sopra la pasta e guarnire con ciuffi di marasciuolo e parmigiano.
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GOURMETFOOD
MUFFIN
di cipolla rossa di Cannara, gelato al gorgonzola e confettura di pomodoro INGREDIENTI per 6 persone
PREPARAZIONE
g. 250 di panna liquida da cucina,
di pomodoro. Procedere con l’esecuzio-
g. 250 di cipolla rossa di Cannara 6 uova
g. 100 di farina
g. 25 di lievito birra
g. 150 di parmigiano grattugiato sale e pepe q.b. Per il gelato 5 tuorli
g. 500 di panna montata da cucina g. 250 di gorgonzola dolce miele
Per la confettura di pomodoro
kg. 1 di Supercirio Cirio Alta Cucina kg. 1 di zucchero l. 2 di acqua
Tempo di preparazione e di esecuzione: 30 minuti
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I muffin sono dei dolcetti di origine anglosassone molto apprezzati anche in Italia. Possono essere aromatizzati e farciti in tantissimi modi diversi e si possono preparare anche nelle versioni salate.
Preparare un giorno prima la confettura ne del gelato: sciogliere il gorgonzola a
bagnomaria alla temperatura costante di
56°C. Nel frattempo montare la panna a neve ferma e le uova con il miele, quindi incorporare piano piano la panna e il gor-
gonzola. Aggiustare di sale e riporre nel freezer per 3 ore.
Per i muffin: sbattere uova e parmigiano;
aggiungere la cipolla cotta con acqua e panna (omogenizzata a purè); mescolare con farina la restante panna e il lievito di
birra sciolto. Aggiustare di sale e pepe.
Cuocere in forno preriscaldato a 165°C per
25 minuti a bagnomaria. Servire con la con-
fettura a specchio sul piatto. Adagiarvi il muffin e disporvi sopra una quenelle di ge-
lato al gorgonzola. Guarnire con filamenti di miele e qualche piccolo fiore edule.
IN COLLABORAZIONE CON
Estate egetale
NUOVI CODICI PER LA CUCINA VEGETARIANA E VEGANA:
CAPRA E CAVOLI
A MILANO UN LUOGO CARNALE SENZA USO DELLA CARNE di
Roberta Filippi
Dove un tempo c’era l’acqua, nel quartiere Isola di Milano oggi sospeso fra vecchie botteghe e l’avveniristica piazza Gae Aulenti, si trova il “loft” ristorante Capra e Cavoli - Food & Relax Maison, una piacevole oasi di tranquillità. Il ristorante è un piccolo giardino “segreto” arredato con cura e attenzione per i dettagli, in cui le luci soffuse, le verdi piante decorative e i grandi ombrelloni richiamano l’atmosfera leggera di un dehor estivo e in cui il soffitto, decorato dall’illustratrice Elibee, è una magia di colori e vignette delicate che ricordano i libri delle favole per bambini e bambine. In questa location calda e accogliente, il piacere per il buon cibo, cucinato con passione e creatività dagli chef Barbara Clementina Ferrario in bianco e Luca Giovanni Pappalardo in nero, si fonde con l’arte dell’accoglienza e della convivialità. La cucina di Capra e Cavoli è improntata sull’uso originale e creativo dei vegetali, con un’attenzione particolare per la ricerca
del gusto e dei sapori veri, l’utilizzo di materie prime di altissima qualità e di prodotti di stagione. Il risultato è una cucina sempre nuova, “carnale ma senza uso della carne”, che ama raccontare coinvolgendo vista e gusto, e non dimentica gli onnivori, per “salvare capra e cavoli”. L’attenzione al mondo vegetariano e vegano nasce come sfida, quella della ricerca del vero piacere per il gusto, in cui la sostituzione di alcuni ingredienti non muta il mood del piatto né lo avvilisce ma, anzi, ne esalta l’originalità degli accostamenti. In cucina la chef Barbara Clementina Ferrario che predilige i prodotti dell’orto, erbe aromatiche e spezie, per ritrovare il gusto autentico degli ingredienti, e lo chef Luca Giovanni Pappalardo, chef umanista e narratore la cui origine siciliana è il fil rouge che percorre molte delle sue creazioni culinarie, che fondono anima mediterranea e tecniche di preparazione asiatiche. Da Capra e
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GOURMETFOOD
Cavoli il cibo è gioco e scoperta, senza dimenticare mai il legame con il benessere e la salute, caratteristica comune ad entrambi gli chef e che ha portato Pappalardo a collaborare con il progetto Smart Food della Fondazione Ieo (Istituto Europeo di Oncologia), fondato e diretto da Umberto Veronesi. Cuore del menu non possono che essere le verdure, in particolare le primizie di stagione, protagoniste con i loro colori e sapori nei nuovi piatti. Apre il menu il rosso rubino della tartare di 4 pomodori, fragole e aneto di “Profondo rosso”, mentre due piatti omaggiano le gioie culinarie delle regioni del mezzogiorno italiano: “Sud” è una reinterpretazione audace di uno dei piatti più amati della cultura culinaria italiana, la parmigiana, qui declinata in una millefoglie di melanzane con spuma di fiordilatte e salsa di pomodoro al peperone mentre in “Norma” le melanzane sono arrostite e accompagnate da una marmellata di pomodori all’arancia, panna acida di soia, basilico e pasta croccante. Fra le primizie di campo della bella stagione gli asparagi occupano un posto di rilievo, nel nuovo menu nel piatto “A tutta birra” vengono proposti con riso nero, luppolo e birra. “Rivoluzione vegana” (foto qui a lato) nasce come un sushi vegano: ogni verdura viene cotta secondo tecniche di marinature a bassa temperatura o fortissimi shock termici che permettono di
conservare la textura della materia, per un gusto assolutamente sorprendente. Altre suggestioni nascono dal desiderio di sorprendere il palato e gli occhi, come nei “Falsi d’autore”. L’idea è quella di reinterpretare un classico della tradizione culinaria italiana, sfruttandone tecniche di cottura e di preparazione, ma utilizzando solo ingredienti vegetali. Il risultato non è un’asettica imitazione del classico, ma un piatto dal gusto originale che è ponte fra tradizione e innovazione, come la
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“Croccoleta” una cotoletta croccante di sedano rapa servita su un letto di primizie di stagione (carciofi, cipollotti dolci, carote, bietole, ravanelli) appena scottate per conservarne proprietà nutrizionali e gusto; la “Carbonara vegetale”, o il “Risotto non risotto” con chicchi di sedano rapa risottati e un sorprendente ossobuco vegetale. Grande attenzione è data anche alla pasticceria, soprattutto vegan. Tutto viene prodotto internamente con l’utilizzo di
Estate egetale prodotti freschi. Si può così scegliere fra splendidi e ammiccanti petits-fours, vegan cake ogni giorno diverse o proposte più estrose come il “Dolce sushi” riccioli di tofu ripieni di cocco e mandarle da tuffare nella glassa di cacao. Omaggio ai sapori della Sicilia è “It’s a green day”, una mousse di pistacchio, clorofilla, mela verde, menta e cioccolato, mentre “La crème della crème” esalta uno dei must di Capra e Cavoli la crema vegana arricchita da frutta di stagione o da abbinamenti come cioccolato pere e caramello o cioccolato mandarle e arancio. Ad accompagnare le proposte una mise en place sempre originale e curata nei dettagli, e un impiattamento in cui l’armonia fra forme, colori e consistenze si completano. Ad accompagnare le pietanze un cesto di fragranti focacce e panini di diversi tipi, preparati con farine biologiche macinate a pietra e prodotti quotidianamente per garantirne la freschezza e sofficità. Non manca un’accurata carta di vini, con una preferenza per quelli da agricoltura biologica e biodinamica, ma soprattutto per i vini “emozionali”, frutto di storie di lavoro agricolo ormai quasi scomparso e di una vinificazione meno interventista possibile. Una chicca di fine pasto è la carta dei tè e degli infusi che utilizzano solo prodotti biologici.
CAPRA E CAVOLI FOOD & RELAX MAISON Via Pastrengo, 18 - Milano Tel. 02 87066093
www.capraecavolimilano.it Orari
Da Martedì al Sabato dalle 18.00 alle 23.00 per Aperitivo e Cena
Sabato e Domenica mattina
dalle 11.00 - 15.00 per il Brunch Chiuso Domenica sera e Lunedì
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GOURMETFOOD
CANNOLO DI MELANZANE
con ricotta al limone femminello e passata di patate siracusane alla paprika affumicata INGREDIENTI per 4 persone 4 fette di melanzane
g. 320 di patate siracusane
g. 20 di paprika affumicata g. 100 di porro
crema di latte q.b.
brodo vegetale q.b.
g. 100 di pan grattato 2 uova
g. 320 di ricotta fresca di pecora
olio extravergine d’oliva 1 limone
sale, pepe, cannella
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PREPARAZIONE
Mettere sotto pressa le fette di melanzana con qualche granello di sale, così da far perdere l’acqua di vegetazione.
Nel frattempo passare la ricotta al setaccio, unire un filo d’olio extravergine
d’oliva, la buccia del limone grattugiata, un pizzico di cannella e il pepe.
Spalmare sulla fetta di melanzana la ri-
cotta e arrotolarla su se stessa ottenen-
do così un cannolo; eliminare le due estremità.
Passare nell’uovo sbattuto e poi nel pan grattato. In un tegame rosolare il porro
tagliato a julienne insieme alle patate si-
MAURIZIO
URSO ARTEFICE DI UNA CUCINA ANTICA CON I SAPORI CONTEMPORANEI
A Maurizio Urso - presidente dell’Accademia Nazionale Italcuochi Sicilia e chef del ristorante La Terrazza sul Mare del Grand Hotel di Ortigia, a Siracusa - si deve riconoscere la capacità di saper valorizzare le varie anime della cucina siciliana, influenzata dalle numerose dominazioni straniere subite, in un’accellente opera di sincretismo. Anche nei piatti vegetariani dello chef si riconosce una alchimia di sapori e odori tipicamente isolani, tipicamente tradizionali, squisitamente contemporanei.
Estate egetale
COUS COUS
vegetariano agrumato con aria di mandorla INGREDIENTI per 4 persone
cous; aggiungere un filo d’olio e il succo
g. 240 di brodo vegetale
assorbito, quindi versarlo in un recipiente
g. 240 di cous cous precotto olio extravergine d’oliva g. 40 di succo d’arancia g. 80 di carote
g. 80 di sedano
g. 80 di zucchine g. 100 di piselli
g. 100 di peperoni 12 asparagi
4 ciliegino pachino
polvere di limone q.b. g. 30 di caciocavallo sale e pepe q.b.
Per l’aria di mandorle: frullare 100 grammi di mandorle in 200 grammi d’acqua;
lasciare riposare e poi passare il tutto alla
stamina, strizzandola. Ripetere l’operazione più volte, quindi portare il liquido a
50/60°C unendo 10 grammi di lecitina di soia e frustare velocemente facendo in modo di far emergere una schiuma (l’aria
di mandorla); con un cucchiaio raccoglierla e porla sul cous cous. PREPARAZIONE racusane tagliate a rondelle; quando risulteranno ben rosolate, aggiungere a coprire con tpt di brodo e crema di latte.
Portare a bollore il brodo vegetale; spegnere il
d’arancia e attendere che il brodo venga
e sgranarlo. Lavare bene gli ortaggi e tagliarli a cubetti, quindi passarli velocemente in padella.
Pelare gli asparagi e scottarli per qualche minuto, conservando le punte.
Sbollentare i piselli in acqua per qualche minuto, sgocciolarli e porli in acqua ghiacciata, togliendo l’involucro esterno.
Nel frattempo avremo già scottato i pomo-
dorini in acqua dopo avervi praticato una piccola incisione; immergerli in acqua con ghiaccio e togliere il velo alzandolo verso il picciolo; friggere per 1 minuto, quindi salare.
Unire gli ortaggi al cous cous lasciandone una parte per decorare, salare e pepare, unire il cacio, poco olio extravergine d’o-
liva e la polvere di limone, quindi con un cucchiaio amalgamare bene il tutto.
Porre un coppapasta tondo sulla base del
piatto, riempirlo con il cous cous finito di verdure, quindi estrarre il coppapasta e decorare con le restanti verdure, il ciliegino fritto, l’aria di mandorle. Spolverare con la polvere di limone e finire con un filo d’olio extravergine d’oliva.
fuoco e versare a pioggia il cous
Lasciare cuocere e ridurre. Quando saranno pronte, frullarle con l’immersore e aggiungere la paprika affumicata; salare e pepare.
Friggere il cannolo in olio extravergine d’oliva, quindi tagliare, se lo
si desidera, a losanga e porlo sulla passata di patate disposta sul piatto.
Finire con erbette aromatiche dorate ed eventualmente con riduzione di Nero d’Avola.
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GOURMETFOOD
GEGÈ
MANGANO
PORTATORE SANO DI UNA CUCINA POVERA PUGLIESE. VEGETARIANA PER TRADIZIONE foto di
Gianni Triggiani
Il ruolo di uno chef come Gegè Mangano - patrón del ristorante Li Jalantuùmene collocato nel centro storico di Monte Sant’Angelo, nel foggiano, come fosse un salotto nel cuore di casa - è quello di ambasciatore credibile di una cucina vegetale che non è moda odierna ma che è parte integrante della tradizione locale. La cucina gourmet può essere dunque anche questo: semplicità, sapori e pugliesità vera con grandi prodotti del territorio, che dimostrano come ogni regione non debba cercare troppo lontano per affermare i valori antichi di piatti che da sempre coniugano la loro bontà, con la salubrità e l’ecosostenibilità.
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Estate egetale
PAN FRITTO con cicoriella selvatica saltata e scaglie di caprino INGREDIENTI
PREPARAZIONE
g. 350 di Cicoriella Selvatica di Campo
Preparare una padella con un filo d’olio, aggiungere uno spicco d’aglio e lasciar rosolare;
4 fette di pane
Spirito Contadino
g. 100 di Datterini Cirio Alta Cucina dl. 2 di brodo vegetale 2 uova
g. 100 di scaglie di caprino 3 spicchi d’aglio
1 cucchiaio di zucchero foglie di basilico rametti di timo
sale e pepe q.b.
Cuocere la cicoriella per circa cinque minuti; scolarla e raffredarla con del ghiaccio. unire la cicoriella selvatica di campo e saltare.
Privare della buccia due spicchi d’aglio, tagliarli a lamelle e distribuirle sui datterini, aggiungere foglie di basilico spezzettate a mano e rametti di timo. Spolverizzare il tutto con poco sale grosso e un pugno di zucchero. Irrorare con olio extravergine d’oliva.
Disporre i datterini in una placca su un foglio di carta da forno, preriscaldando a 140°C e lasciarli cuocere per circa un’ora e mezzo.
Friggere bene le fette di pane passate precedentemente nell’uovo, aggiungere la cicoriella saltata, quindi i datterini e le scaglie di caprino.
GOURMETFOOD
INSALATINA DI ZUCCHINE
con scaglie di caprino, chicchi di mais con salsa al Nero di Troia INGREDIENTI
2 zucchine di media grandezza g. 200 di rucola selvatica
g. 100 di Ciliegini Cirio Alta Cucina g. 100 di scaglie di caprino g. 200 di mais bollito
ml. 300 di Nero di Troia g. 40 di zucchero
PACCHERI con crema di mugnuli e mandorle tostate INGREDIENTI
g. 400 di paccheri
g. 300 di Mugnuli Selvatici di Campo Spirito Contadino 1 filetto d’acciuga
50 filetti di mandorle tostate fili di peperone essiccati sale pepe q.b.
PREPARAZIONE
Per la crema: cuocere i mugnuli in acqua bollente salata.
In una padella versare un filo d’olio, uno spicchio d’aglio, un filetto d’acciuga e la-
sciar rosolare. Eliminare l’aglio e unire i mugnuli, lasciando cuocere per alcuni minuti, aggiungendo qualche mestolo d’acqua. Passare al mixer.
Portare ad ebollizione una pentola d’acqua salata e cuocervi i paccheri.
Adagiare la crema di mugnuli sul piatto; scolare i paccheri e stenderli sulla crema di
mugnuli aggiungendo un filo d’olio. Deco-
rare con filetti di mandorle tostate e fili di peperone essiccati.
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foglie di basilico
1 spicchio d’aglio foglioline di timo
fogliolin di origano fresco
olio extravergine d’oliva q.b. sale e pepe q.b.
PREPARAZIONE
Riempire d’acqua una pentola molto
capiente (tanto da coprire le pannoc-
chie); portare l’acqua ad ebollizione
e salarla con sale grosso (come per la pasta). Inserire le pannocchie e co-
prire con un coperchio (per renderle più morbide alcuni aggiungono una punta di bicarbonato).
Estate egetale
Il tempo di cottura è di circa un’ora. Pulire la rucola e lavarla.
Lavare e tagliare le zucchine a fette dello spessore di un centimetro
e mezzo circa e grigliarle. Bollire il vino con lo zucchero finché non rag-
giunge una consistenza sciropposa (circa 20 minuti), poi filtrare e lasciare
travergine d’oliva i ciliegini con uno
PANE, VERDURA E FANTASIA
glie di basilico spezzettato, foglioline
INGREDIENTI
PREPARAZIONE
Spirito Contadino
lente salata le verdure separatamente per
intiepidire. Asciugare velocemente
in padella con un cucchiao d’olio exspicchio d’aglio finemente tritato, fodi timo e foglioline di origano fresco. COMPOSIZIONE
Pennellare sul piatto la salsa di Nero di Troia. Disporvi sopra le zucchi-
ne, aggiungere la rucola, i chicchi di
mais; condire con olio e sale ed infine unire le scaglie di caprino e i ciliegini.
g. 200 di Cicoriella Selvatica di Campo g. 200 di Cime di Rape Spirito Contadino g. 200 di patate
g. 100 di Ciliegini Cirio Alta Cucina 2 cipolle rosse
fili di peperone essiccati
olio extravergine d’oliva q.b.
Lessare le patate. Cuocere in acqua bolcirca 10 minuti. Scolarle e raffredarle con del ghiaccio.
Tagliare la cipolla a julienne. In una pa-
della farla rosolare, aggiungere le patate a rondelle e dorarle; unire le verdure e
infine i ciliegini. Grigliare alcune fette di
pane, adagiarle su un piatto di portata, aggiungere le verdure ed infine i fili di peperone essiccati.
IN COLLABORAZIONE CON
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FASHIONFOOD
JW MARRIOTT VENICE
UN PARADISO DI BENESSERE NELL’ISOLA DELLE ROSE
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JWMARRIOTTVENICE
di
Teresa Cremona
Oggi è Isola delle Rose, un tempo si chiamava Sacca Sessola (Sacca è il nome che si da alle isole artificiali e Sessola è uno strumento usato in laguna per svuotare l’acqua dalle barche e l’isola ne ricorda la forma). E’ fra le più grandi (16,03 ettari) e anche fra le più giovani isole della Laguna di Venezia. E’ stata creata alla metà dell’Ottocento, costruita con i materiali di risulta provenienti dagli scavi del porto commerciale di Santa Marta. Fu inizialmente destinata a deposito di combustibili, poi grazie al suo clima particolarmente mite e dolce, divenne un’oasi agricola con orti, uliveti e vigneti. Nel 1904 alcuni capannoni furono modificati per ospitare un ospedale per malattie endemiche che nel 1914 diventò l’Ospedale San Marco, specializzato nella cura delle malattie polmonari. Nel 1927 il Comune di Venezia donò l’isola ad un ente assistenziale perché vi fosse costruito un nuovo ospedale da 300 posti che fu inaugurato nel 1936 dal re Vittorio Emanuele III. L’Ospedale
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FASHIONFOOD
Pneumologico Achille De Giovanni era un fiore all’occhiello della sanità veneta, di moderna concezione, era immerso in un parco, dotato di servizi innovativi, di centri ricreativi, di una sala cinematografica e di un dopolavoro per il personale. Nei nostri anni ‘80 l’ospedale termina la sua attività e per l’isola inizia un lento processo di abbandono e di degrado. Nel 1992 Sacca Sessola è affidata all’Associazione Venice International Center for Marine Sciences of Technologies, che vi svolge ricerche nel campo della tecnologia marina. Queste notizie servono non solo per conoscere la storia dell’isola, ma anche per apprezzare appieno i lavori di restauro, trasformazione, ripristino, rinnovo che il complesso degli edifici ha subito e da cui è nato il resort. Resort è parola che sembra fuori contesto nella laguna veneta ma che invece definisce un’ospitalità che prima mancava e che oggi è offerta e che permette di vivere Venezia immersi nel sereno, languido ambiente lagunare, godendo di ampi spazi naturali, di un par-
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co, di attività sportive, di aree create appositamente per i bambini, e tutto a soli 10 minuti di barca da piazza San Marco. Dalla magnifica piscina sul roof dell’hotel lo skyline di Venezia è indimenticabile. JW Marriott Venice Isola delle Rose è
stato progettato dallo studio Matteo Thun & Partners, ed è dotato di centro benessere e spa, ha piscine outdoor, indoor e sul roof, diversi ristoranti e bar e un centro meeting e congressi di circa 1.200 metri quadrati.
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C’è la Dispensa (foto a destra), dove si possono assaggiare e acquistare prodotti eno-gastronomici di qualità, con annessa la sala per le cooking class. Nel progetto anche la ristrutturazione della chiesetta dell’isola ed il recupero dell’uliveto dopo il censimento degli alberi esistenti. E per la prima volta dopo molti anni, ad ottobre 2015 c’è stata la raccolta delle olive, affidata alle competenze di esperti. L’olio che ne è stato ricavato servirà nelle cucine dei ristoranti dell’albergo e sarà imbottigliato in confezioni che potranno essere acquistate dagli ospiti. Anche il parco con alberi ormai secolari ha ritrovato il suo splendore e sono stati ricostruiti i tracciati dei suoi percorsi, mentre una vasta aerea dell’isola è stata nuovamente destinata ad orto.
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Tutto realizzato nel rispetto dell’esistente che è tornato a mostrarsi nelle linee architettoniche dei primi del Novecento, nette e ricche di bei dettagli. Già la darsena che accoglie all’arrivo in albergo ha un design rigoroso, reso sontuoso dal largo impiego di marmo travertino. Sono ampi e chiari i saloni, la sala colazioni ha cucina a vista ed è aperta sulla terrazza esterna. Le 250 camere e suite sono divise fra quelle nel corpo principale e altre in strutture sparse sull’isola, che conservano le caratteristiche architettoniche d’origine: tetti mansardati con imponenti travature a vista, muri in mattoni dai colori patinati dal tempo, che con
la tecnica ‘box in the box’ contengono al loro interno suite ipermoderne in un contesto dal sapore storico. L’arredamento è confortevole, ricco ma senza eccessi, i colori sono chiari dal grigio perla, al beige, al verde oliva, colori scelti per essere in sintonia con la natura circostante. La percezione è di luminosa comodità; foto d’epoca in bianco e nero raccontano Venezia attraverso i personaggi dello spettacolo e della cultura. Lo spazio è una componente d’arredo, gli ambienti sono ariosi con circolarità fra
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stanza, closet, antibagni con vasche di design, e bagni. The Hotel comprende le 191 camere nell’edificio principale. La Residenza, le 12 camere con giardino privato e con piscina con vista sulla laguna. L’Uliveto 26 camere affacciate sugli ulivi. La Maisonette, 20 suite su due livelli, ciascuna con patio e giardino; alcune dotate di piscina privata con vista sul canale. Infine La Villa Rose (220 mq e 450 mq di giardino) residenza di lusso esclusivo con piscina, è l’ex abitazione del direttore dell’ospedale, costruita in stile neo romanico e con vista su Venezia e la laguna.
Quattro i ristoranti del resort, la Cucina, al piano terra dell’Hotel, è lo spazio dedicato alla colazione con piatti preparati a vista dagli chef ma aperto anche a pranzo con menù della tradizione italiana e internazionale. Sagra (foto sotto) – Rooftop Restaurant è al 4° piano dell’Hotel, anche qui si vede la brigata al lavoro sotto la direzione dello Chef Mauro Taufer (foto a lato), che è anche Executive Chef del Resort. Il Sagra ha un affaccio spettacolare sul parco e sulla laguna. La sua proposta è di cucina nazionale con attenzione ai sapori del Veneto, senza dimenticare le altre regioni italiane. L’ambiente è informale.
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FASHIONFOOD
Dopolavoro (foto in questa pagina) – Dining Room con la supervisione dello chef Giancarlo Perbellini, veronese, due stelle Michelin. Dopolavoro è in un piccolo padiglione gioiello che negli interni è un caleidoscopio di trasparenze con splendida interpretazione degli spazi che coniugano antico e moderno, vetro e mattone. Vi si propone cucina d’autore interpretata dal giovane chef Federico Belluco - nei piatti granseola, ricciola, moeche, ma anche animelle e maialino. A noi è sembrato molto buono il polpo alla Plancia con lardo e maionese al rafano cren, semplici sapori che non cercano di stupire, ma con perfette consistenze e giusto equilibrio tra acidità e dolcezze. Molto bravo il sommelier Ottavio Venditto. Poi c’è Giardino – Garden Grill per grigliate in famiglia – vera delizia per i bambini, accanto alla piscina e nel cuore del parco secolare. Naturalmente si possono consumare light lunch anche al Rose – Lounge Bar situato nella hall, al Sagra – Poolside Bar, al Giardino Bar e allo Spa Café.
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E per finire parliamo della Spa creata insieme a GOCO (Go Community) con sede a Bangkok e tra le massime autorità mondiali nel settore del benessere. La Spa Isola delle Rose è la più grande di Venezia con i suoi 1750 mq e anche con banchina di attracco privato per chi non è residente in hotel. La lieve, elegante architettura dei primi del ‘900, si apre verso l’acqua e offre otto cabine con vista sulla laguna e una meravigliosa suite. Completano la struttura la sauna, il bagno turco con muro al sale, una palestra e una panoramica piscina riscaldata interna, che prosegue all’esterno in una sequenza di vetrate scorrevoli. Nei giardini, parterre in legno per lezione di yoga, meditazione, ed esercizi di sapienza olistica. Isola delle Rose Venice è il primo JW Marriott in Italia, brand già presente in Europa con alberghi a Londra, Bucarest, Cannes e Ankara, e Baku (Azerbaijan).
JW MARRIOTT VENICE
Isola Delle Rose - 30133 Venezia Tel. 041 852 1300
www.jwvenice.com
Chiuso da ottobre a marzo
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ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM
ONLY THE BEST a cura di
Alessandro Rossi esperto di vino, bon vivant, fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”
40 VINI DELLA VITA (ANCHE SE LA BOTTIGLIA ASSOLUTA NON ESISTE) Quali sono i vini della vita? Sono i migliori del mondo? Sono quelli che vorremmo bere sempre e solo? No, ma certamente sono bottiglie da provare, con cui un appassionato può essere certo di trovare momenti di piacere. Sono vini differenti, ognuno con una sua storia personale. Ovviamente i vini citati sono in questa lista perché nel corso della mia vita ho avuto il privilegio di assaggiarli più volte e con profondità di annate, esercizio che certifica anche la storia e la serietà di un’azienda non solo sulla carta ma soprattutto nel bicchiere. Ogni momento, infatti, richiede la bottiglia giusta, che non può essere la stessa quando sull’isola deserta ti prende la malinconia, oppure quando ti senti un invincibile eroe, oppure se hai voglia di pensare al futuro davanti a un fuoco sulla spiaggia. Uno dei più celebri degustatori del mondo ha detto: “Tutte le volte che mi chiedono qual è il miglior vino che ho assaggiato nella vita, dico “l’ultimo che ha degustato”, perché la bottiglia assoluta, per nostra fortuna, non esiste”. Infatti, anche se è vero che la critica enologica mondiale ha decretato, quasi all’unanimità, che i vini rossi maggiormente meritevoli di elogio sono quelli a base di pinot nero, cabernet (franc e sauvignon), merlot, nebbiolo, sangiovese e syrah, e per quanto riguarda i vini bianchi chardonnay, riesling e sauvignon, è anche vero che in certe occasioni ci vuole un vino meno impegnativo e più immediato. Ovviamente elencare 40 vini è molto riduttivo e questa lista potrebbe essere ben più lunga. Chissà, tra qualche anno scriverò nuovamente questo pezzo e magari troverete tante altre aziende. Buona bevuta.
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1) Barbaresco Asili Riserva (Bruno Giacosa) 2) Barolo Bricco Boschis Vigna San Giuseppe Riserva (Cavallotto) 3) Barolo Brunate-Le Coste (Giuseppe Rinaldi) 4) Barolo Monfortino Riserva (Giacomo Conterno) 5) Bâtard Montrachet Grand Cru (Domaine Leflaive) 6) Bolgheri Sassicaia (Tenuta San Guido) 7) Brunello di Montalcino (Fattoria Poggio di Sotto) 8) Brunello di Montalcino (La Cerbaiona, Diego Molinari) 9) Chablis Grand Cru Le Clos (Domaine Raveneau) 10) Champagne Blanc de Blancs (Salon) 11) Champagne Brut Premier Cru Coeur de Cuvée (Vilmart) 12) Champagne Dom Pérignon Rosé (Möet & Chandon) 13) Champagne Vintage (Krug) 14) Château La Mission Haut-Brion Pessac-Leognan (Château La Mission Haut-Brion) 15) Château Lafite-Rothschild Pauillac (Château Lafite-Rothschild) 16) Château Mouton-Rothschild Pauillac (Château Mouton-Rothschild) 17) Châteauneuf-du-Pape Réserve Rouge (Château Rayas) 18) Chianti Classico Riserva (Castell’in Villa) 19) Clos de Vougeot Grand Cru (Domaine Méo Camuzet) 20) Corton-Charlemagne Grand Cru (Domaine Coche-Dury) 21) Echézeaux Grand Cru (Emmanuel Rouget) 22) Fiano di Avellino (Colli di Lapio) 23) Fontalloro (Fèlsina) 24) Grüner Veltliner Smaragd M (F. X. Pichler) 25) La Tâche Grand Cru (Domaine de la Romanée Conti) 26) Langhe Nebbiolo Sperss (Gaja) 27) Le Pergole Torte (Fattoria di Montevertine) 28) Montevetrano (Montevetrano) 29) Montrachet Grand Cru (Domaine Ramonet) 30) Porto Vintage National (Quinta do Noval) 31) Poully-Fumé Pur Sang (Didier Dagueneau) 32) Priorat L’Ermita (Álvaro Palacios) 33) Proprietary Red (Pahlmeyer) 34) Ribera del Duero Reserva Especial (Vega Sicilia) 35) Riesling Clos Sainte Hune (Trimbach) 36) Sancerre La Grande Côte (Pascal Cotat) 37) Scharzhofberger Riesling Trockenbeerenauslese (Egon Müller) 38) Trento Brut Riserva del Fondatore Giulio Ferrari (Ferrari) 39) Verdicchio dei Castelli di Jesi Superiore Casal di Serra Vecchie Vigne (Umani Ronchi) 40) Wehlener Sonnenuhr Riesling Auslese Gold Kapsel (Joh. Jos. Prüm)
GOURMETFOOD
ABOLIZIONE E ACCORPAMENTO DEI PICCOLI COMUNI
IL VINO ITALIANO POTREBBE SUBIRE NUOVI ATTACCHI di
Gianluca Ricci
PIÙ DELLA PERONOSPORA POTÉ LA BUROCRAZIA Più della peronospora poté la burocrazia. Potrebbe essere questo il triste epitaffio con cui salutare la storia millenaria della vinificazione nel nostro Paese se i politici insisteranno a tralasciare le problematiche più serie in cui è coinvolta l’enologia italiana e si dedicheranno a picconare senza pietà ciò che ancora di buono è rimasto - e non è poco - nelle nostre cantine. Come per esempio sta facendo quella ventina di deputati che, proponendo l’abolizione dei comuni sotto i 5000 abitanti e il loro conseguente accorpamento, forse inconsapevolmente sta sgretolando il tesoro di credibilità che molte denominazioni hanno con fatica accumulato nel corso dei decenni. Già, perché molti dei vini più rinomati del Paese portano il nome della località d’origine, legati come sono, sicuramente più che in altre località del globo, al territorio in cui vengono prodotti. Vino e territorio, d’altronde, è il binomio su cui si è fondata la specificità qualitativa del vino italiano, una specificità peraltro largamente vincente. Si pensi a Barolo (739 abitanti) e Barbaresco (670), a Greco di Tufo (934) o Scansano (4500). Montalcino (5139 abitanti) se la caverebbe per un soffio, ma sarebbe costretta ad elaborare precise politiche di radicamento dei cittadini, in modo da evitare eventuali diaspore verso i paesi vicini. Certo, se dal punto amministrativo la fusione fra comuni piccoli sarebbe auspicabile soprattutto nell’ottica della tanto decantata spending review degli ultimi anni, non altrettanto si può dire per le conseguenze letali che tale provvedimento avrebbe nei confronti dei paesi del vino, totalmente disarmati di fronte ad un evento
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del genere. Se passerà la proposta di legge, gli effetti collaterali sulle denominazioni d’origine saranno devastanti e costringeranno molti vignaioli a ricominciare daccapo lungo una strada che pareva ben battuta.
UN DURO COLPO AL TERROIR L’Associazione Nazionale Città del Vino, che raccoglie sotto la sua egida ben 450 comuni italiani a vocazione vitivinicola, si è già fatta sentire nelle adeguate sedi istituzionali. Il concetto di terroir, su cui si sono concentrate la comunicazione e le strategie commerciali degli ultimi anni, viene pesantemente indebolito mentre invece sarebbe necessario rinforzarlo: «Lo scioglimento dei piccoli Comuni, se da proposta diventerà legge - ha commentato Paolo Benvenuti, direttore dell’Associazione - rischia di distruggere definitivamente il nostro sistema di qualità. Storia e tradizioni non possono essere cancellate con un colpo di spugna legislativa». E con esse un patrimonio culturale, ma soprattutto economico, di straordinaria importanza. Vitigno e territorio, d’altronde, sono i riferimenti principali del sistema di qualità delle denominazioni del nostro Paese e indebolirli o addirittura cancellarli equivarrebbe a seppellire decenni di politiche lungimiranti e, perché no?, di investimenti mirati. La speranza delle migliaia di viticoltori legati a doppio filo alla sopravvivenza dei piccoli comuni è riposta nella revisione delle specifiche norme previste dal Testo Unico del Vino, ancora in via di definizione: il documento che vorrebbe riunire tutte le disposizioni che disciplinano la materia e semplificare le procedure normative legate alla produzione e alla commercializzazione
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del vino dovrebbe prevedere, secondo quanto proposto dal sindaco di Conegliano Veneto, nonché presidente dell’Associazione Nazionale Città del Vino, Floriano Zambon, una più accurata specificazione delle caratteristiche identitarie dei nostri vitigni, più di cinquecento varietà ufficialmente riconosciute. Un patrimonio da valorizzare e non certo da disperdere.
UN ALTRO COLPO ALLE DOP Ma non è questo il solo pericolo in agguato. Ce n’è un secondo, forse ancora più micidiale, anche se recenti interventi politici sono stati in grado di disinnescarne temporaneamente la potenza distruttrice: la liberalizzazione dell’uso del nome dei vitigni. Allo studio della Commissione Europea infatti c’è stata per lungo tempo la proposta di consentire a chiunque li coltivasse e li trasformasse in vino di esibire legalmente in etichetta il nome dei vitigni. In questo modo si sarebbero potute vendere bottiglie di Barbera provenienti dalla Grecia o di Nebbiolo austriaco. Qualsiasi vino estero, se la norma fosse stata approvata, avrebbe potuto chiamarsi con nomi di prodotti tipicamente made in Italy, nonostante la denominazione di origine protetta. Da una parte dunque un colpo al terroir, dall’altro al vitigno, i due capisaldi su cui da tempo immemorabile si basa l’intera produzione enoica italiana. Fortunatamente la Commissione è tornata sui suoi passi e, su pressione della delegazione europarlamentare italiana, sta meditando di ritirare la proposta. Si tratterebbe, per usare le efficacissime parole di Coldiretti, di «sventare uno scippo da oltre tre miliardi di euro»: a tanto assommerebbe il giro di affari dei vini prodotti e commercializzati sotto lo scudo protettivo del vitigno di origine. La revisione del regolamento europeo sulle denominazioni di origine e le indicazioni geografiche protette potrebbe infatti prevedere lo stralcio dell’atto di liberalizzazione, blindando di fatto il fortino entro il quale si erano asserragliati i produttori italiani di Lambrusco, Vermentino, Aglianico o Teroldego, giusto per fare qualche nome noto. Ma non è ancora possibile abbassare la guardia, come ha ammonito l’europarlamentare ed ex ministro delle Politiche Agricole, nonché membro della commissione agricoltura a Bruxelles, Paolo De Castro: «Gli atti si ritirano - ha ricordato - ma si possono sempre ripresentare. Noi puntiamo a mantenere la garanzia che vini come Vernaccia, Barbera o Sangiovese possano essere legittimamente coltivati in qualsiasi Paese europeo, ma nessuno possa dare il nome di questi vitigni al prodotto finito, secondo quanto previsto dal regolamento sul vino del 2007». C’era d’altronde da aspettarselo: il vino italiano sta vivendo un momento di straordinario vigore commerciale e non sono pochi coloro che, nel continente, vorrebbero pascersi almeno delle briciole. E per questo sarebbero disposti a stravolgere, oltre alle abitudini consolidate, le leggi che ne proteggono l’unicità.
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A CURA DI GIANLUCA RICCI
ANTEPRIMA MONTEPULCIANO D’ABRUZZO 24/26 GIUGNO - CHIETI Giunta alla quarta edizione, Anteprima Montepulciano d’Abruzzo racconterà il Montepulciano d’Abruzzo Doc Riserva 2013 e le ultime annate del Montepulciano d’Abruzzo DOC e DOCG Colline Teramane delle ultime annate, ma offrirà la possibilità di conoscere e degustare anche gli altri vini a denominazione di origine come Trebbiano d’Abruzzo, Cerasuolo d’Abruzzo, Tullum, Villamagna, Controguerra, Ortona e Abruzzo che, com’è noto, riunisce anche i bianchi autoctoni Pecorino, Passerina, Cococciola, fermi o in versione spumante. Novità dell’edizione 2016 sarà la nuova location, lo splendido centro storico di Chieti con le strade e le piazze e con la sua offerta culturale di prestigio, con eventi e itinerari tra musei, palazzi e cortili per una narrazione esperienziale a più dimensioni della città e della regione, in collaborazione con il Polo Museale d’Abruzzo e le associazioni cittadine.
www.anteprimamontepulcianodabruzzo.it
ITALIA, IL BIOLOGICO TIRA Sono 1300, secondo quanto certificato dall’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, le cantine che in Italia producono vino secondo metodologie biologiche e biodinamiche. Addirittura 72.300 gli ettari coltivati seguendo i dettami dei protocolli ufficiali, pari - incredibile ma vero - al 22% su scala mondiale. Ciò significa che in Italia, soprattutto nel sud del Paese, si produce un quinto del vino biologico del mondo. Un risultato impensabile solo poco tempo fa, visto che otto anni or sono aziende e superfici vitate risultavano pari ad un 97% in meno. L’agricoltura biologica d’altronde ha fatto enormi progressi, al punto che oggi ormai le rese per ettaro fra coltivazioni bio e convenzionali sono diventate assolutamente identiche. Ad aumentare sono invece stati i profitti per chi ha saputo vedere lontano, visto che allo stato attuale, dati della grande distribuzione alla mano, il vino biologico ha incrementato le vendite del 14% solo rispetto al 2014, per un valore pari a 2,9 milioni di euro.
ZORZETTIG MAI PIÙ UGUALE Zorzettig, centenaria azienda friulana dei colli orientali, compie un altro importante passo nel suo progetto di qualità e autenticità, con un’immagine innovativa, che ridisegna tutta la produzione classica dell’azienda. Scorre il tempo, insieme alle idee sempre in movimento di un’azienda che adesso ha deciso di raccontare e condividere il percorso di evoluzione di questi anni anche attraverso il segno più immediato e visibile, con una nuova immagine, che ridisegna tutta la produzione “classica” di Zorzettig. Un’etichetta ampia, che non teme di nascondere il contenuto della bottiglia con la consapevolezza che la qualità del vino deve essere salvaguardata e protetta anche dalla luce. Un segno che non potrà mai essere uguale quando ripetuto: il colore scorrerà sui fogli e prenderà forme sempre nuove: ad ogni annata la sua etichetta. Sulla nuova etichetta, la Z di Zorzettig del logo aziendale esce in rilievo, con un segno grafico nuovo e stilizzato, assieme alla G di Giuseppe, padre di Annalisa ed esempio imprescindibile di un passato che evolve nella continuità con la tradizione. Cambia il segno ma rimane intatto il rapporto con il territorio e con i principi antichi: forse quando si parla di vino, il “passato” è qualcosa da ricercare anche in avanti. (Antonietta Mazzeo) Zorzettig di Zorzettig Cav. Giuseppe s.s.a. Via Strada S.Anna, 37 33043 Spessa di Cividale del Friuli (UD) Tel. +39 0432716156 - Fax +39 0432716292 info@zorzettigvini.it - www.zorzettigvini.it
SPAGNA SUGLI SCUDI Non solo l’Italia e la Francia, ma anche la Spagna ha potuto festeggiare un 2015 enologico da record: +7,5% rispetto al 2014, ovvero tre miliardi di litri di vino esportati in tutto il mondo per un valore pari a 2,63 miliardi di euro, nonostante il prezzo medio di una bottiglia di vino spagnolo sia sceso del 2,9%. Merito dei prodotti di qualità, visto che a trainare il settore sono stati soprattutto gli Igp (+15,6%), i Dop (+6,8%) e le bollicine (+6,1%), mentre il vino sfuso ha mantenuto le quote dell’anno precedente. Ad assicurarsi i vini spagnoli sono stati soprattutto francesi, tedeschi e cinesi: in quei mercati sono stati registrati gli incrementi maggiori, ma non sono stati da meno Stati Uniti, Canada e Messico, che mai come lo scorso anno si sono riforniti presso le cantine spagnole. Un nuovo, temibile concorrente si è affacciato su un mercato che in generale non conosce flessione alcuna: si tratta ora di capire quanto riusciranno le singole aziende a inserirsi in reti commerciali oggi ai limiti della bulimia.
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VINARIA
APPUNTI DI VIAGGIO, SUD AFRICA di
Angelo Gaja
Il mio primo viaggio in Sud Africa l’ho fatto prima di Pasqua. Il Sud Africa ha una popolazione di 55 milioni di abitanti, dei quali 7 milioni di bianchi. Presidente della Repubblica é Jacob Zuma che non soltanto è stato condannato recentemente dalla Corte Costituzionale, ma ha anche la sfiga di arrivare dopo il grande e carismatico Mandela, grazie al quale venne messo fine all’apartheid. La lingua maggiormente parlata é l’afrikaans, introdotta dai colonizzatori olandesi, a fianco di una cinquantina di altre lingue e dialetti. Da qualche anno la prima lingua che viene insegnata a scuola è l’inglese, che sta guadagnando spazio anche in altre nazioni africane e sarà destinata nel tempo a divenire assai più di una lingua veicolare. Sono stati gli olandesi ad introdurre la viticoltura in Sud Africa nella seconda metà del 1600, ricorrendo alle varietà francesi. La varietà storicamente più diffusa era il Pinotage, incrocio Pinot nerocinsault. La produzione annuale di vino sfiora i 10 milioni di ettolitri, per il 60% controllato da cantine cooperative, il 50% consumata in loco ed il resto esportato. In tutto il paese le cantine sono 700, esigua la presenza di cantine artigianali. A pochi chilometri da Cape Town e dalla costa (mi sovviene Tachis: “la vite ed il vino amano il respiro del mare”) si trova STELLENBOSCH, che corrisponde sia al nome della città che a quello dell’area viticola d’eccellenza, incorniciata in un paesaggio mozzafiato. Nell’area operano 170 cantine, tutte di proprietà dei bianchi di ceppo olandese, anglosassone, … Le cantine cooperative qui controllano soltanto il 10% della produzione. Il clima trae beneficio dalle correnti fredde oceaniche originatesi dal polo antartico. Suoli che derivano da alterazioni del granito. Vigneti a media/bassa densità di impianto, a spalliera, potati a cordone speronato, irrigati, condotti in sistema convenzionale; qualche interesse per la conduzione biologica. Il Pinotage praticamente soppiantato dalle varietà internazionali, quelle a tutti note già piantate nei paesi del “nuovo mondo”, quelli al di fuori dell’Europa. Alcuni luoghi di produzione esibiscono abitazioni storiche, ville ampie di grande fascino, di stile architettonico olandese. Le cantine visitate sono immerse in giardini vasti, ricchi di vegetazione e di fiori, curati da mano d’opera di colore e di bassi salari. Ovunque bacini per la raccolta di acqua piovana e sorgiva ove c’e’. La produzione é affidata a macchinari moderni:
l’avvento di Mandela, 1992, aprì le porte alle importazioni ed avviò la modernizzazione del paese. Locali capienti per la degustazione e l’acquisto diretto di vino in cantina, personale qualificato, attenzione alla temperatura di servizio dei vini. Presso molte cantine i visitatori possono godere dell’accoglienza di luoghi di ristoro e camere. Grande sfoggio in etichetta di nomi varietali, oltreché di nomi di fantasia. Livello di qualità dei vini assaggiati: medio-alto. Nei vini bianchi eccelle una varietà scarsamente diffusa nel ”nuovo mondo”, lo CHENIN BLANC, che ho molto apprezzato per eleganza, sapidità e freschezza conferitagli da una acidità vibrante. Con il cambiamento climatico in atto è questa una varietà che, i produttori che lo desiderano, dovrebbero essere autorizzati a piantare anche in Italia centro-meridionale. Nelle varietà ad uva nera primeggiano SHIRAZ, oltreché Cabernet Sauvignon.
LE CANTINE VISITATE JORDAN, www.jordanwines.com - accolti dalla proprietaria Kathy Jordan, molto attenta alla storia dei luoghi, con grande affabilità e professionalità. MEERLUST, www.meerlust.co.za - fondata nel 1693, cantina storica per eccellenza. Dal 1980 produce RUBICON, porta lo stesso nome del vino prodotto a Napa da Francis Ford Coppola. Le due cantine hanno trovato modo di non litigare, assegnandosi sul mercato aree diverse di competenza. Rubicon é stato il primo vino sud-africano ispirato al taglio bordolese classico. A Meerlust incontro a pranzo, organizzato magistralmente in cantina, Giorgio Dallacia giorgio@dallacia.com pordenonese trapiantato a Stellenbosch dal 1974. Di lui ho poi sentito soltanto parlare bene nel prosieguo del mio viaggio. Gli viene riconosciuto il merito di avere favorito la crescita qualitativa dei vini di diverse cantine offrendo consulenze, consigli e suggerimenti, oltreché instancabile promotore della cultura italiana. Mi é successo spesso, nei paesi esteri, di incontrare personaggi, di origine italiana e non, la cui azione ha portato beneficio di immagine all’Italia e sempre ho sofferto la mancanza di generosità del nostro paese, l’incapacità di istituire un riconoscimento, CAVALIERI D’ITALIA?, da assegnare loro. Giorgio sarebbe un candidato ideale.
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